Università degli Studi di Padova Dipartimento dei beni culturali, archeologia, storia dell’arte, del cinema e della musica SCUOLA DI DOTTORATO DI RICERCA IN Storia e critica dei beni artistici, musicali e dello spettacolo CICLO: XXV Le influenze su Rossini della musica di Haydn Direttore della Scuola: Ch.mo Prof. Vittoria Romani Supervisore : Ch.mo Prof. Sergio Durante Dottorand o: Federico Gon A Berto, Gianni e Sergio, ognuno a suo modo. Grazie. Premessa L’avvicinarsi all’opera di Haydn e Rossini per una ricerca comparativa di ordine stilistico non è operazione priva di dubbi e difficoltà. Trattandosi di due pilastri del sinfonismo austro-tedesco settecentesco e del melodramma italiano dell’Ottocento, l’affidarsi alle acquisizioni della critica più o meno recente è altrettanto doveroso quanto il tentare di metterne in discussione taluni aspetti benché accreditati dalla storiografia musicale e dall’analisi. Nel caso del presente studio mi è parso necessario prendere le mosse da un’intuizione che doveva essere assecondata, a prescindere dalla possibilità di approdare a un esito interamente ‘certo’ da un punto di vista metodologico. L’ipotesi di ricerca dalla quale si è partiti era fondata su tre sole certezze: l’amore per l’opera musicale Haydn, Mozart e Rossini, la consapevolezza di quale sia il portato mozartiano allo stile del Pesarese ed il soprannome che quest’ ultimo si era guadagnato negli anni giovanili (il Tedeschino ). Mi pareva inoltre che, apprezzato lo scarto stilistico che intercorre tra Rossini e gli operisti immediatamente precedenti e in qualche caso coevi (Paisiello, Cimarosa, Päer, Mayr, Fioravanti, Generali, Farinelli, Mosca, Morlacchi), quel soprannome significasse più che un’etichetta di comodo coniata da docenti e/o colleghi dalle inclinazioni autarchiche. Avendo studiando con un certa attenzione il teatro mozartiano e le sue peculiarità, mi ero reso conto della presenza in Rossini di qualche altro ingrediente, per così dire, strutturale; il particolare uso tematico, il calcolato e ricorrente incedere armonico, la ripetitività di certe formule, la precisione formale e lo humour profuso anzitutto dall’orchestra prima che dalla drammaturgia: tutte istanze che la drammaturgia mozartiana non presenta in maniera così stringente e caratterizzante. Giocoforza, la bussola si è orientata su Franz Joseph Haydn ben prima che alcune testimonianze di Rossini stesso confermassero la sua passione e conoscenza diretta di un numero significativo di opere di Haydn risalente agli anni in cui era stato studente presso il Liceo musicale di Bologna, gli anni del Tedeschino per l’appunto. Si è scelto di indagare l’influenza del compositore austriaco principalmente nella musica composta da Rossini nella decade 1804 – 1814, estremi che corrispondono alle Sonate a quattro ed all’inizio dell’attività presso il San Carlo di Napoli, città nella quale il suo stile si allontanerà da quello degli anni veneziani ossia – per dirla con Stendhal - “Rossini 1815” percorrendo i primi passi che porteranno, quindici anni dopo, alla sintesi del Guglielmo Tell . Ciò non toglie che, laddove fosse utile, si siano indagati aspetti rilevanti di lavori posteriori quali Il barbiere di Siviglia (1816), Semiramide (1823), fino a talune opere del periodo francese. I Le condizioni dell’indagine sono state chiarite sin dall’inizio, riservando al capitolo 1 la ricognizione delle fonti dirette (opinioni di Rossini su Haydn) e dell’effettiva presenza della musica di Haydn sul suolo italiano, mentre nel capitolo 2 si è cercato di istituire delle classi generiche (forma, armonia, tematismo, orchestrazione, humour , retorica e citazionismo tout court ) grazie alle quali poter definire le peculiarità della Wiener Klassik (con particolare riferimento ad Haydn), ponendole ove possibile in relazione con quanto è rilevabile nello stile di Rossini. I capitoli successivi analizzano nello specifico tre grandi momenti della scrittura del Cigno di Pesaro – sinfonie, Sonate a quattro , arie, insiemi e finali operistici – indagandone le caratteristiche e relazionandole alla prassi mozartiana ed haydniana. L’ordine de capitoli esula da quello cronologico (che avrebbe previsto anzitutto l’analisi delle Sonate ) in virtù di una linea di indagine che consente, nell’ambito delle sinfonie, una più chiara esposizione della casistica. Inoltre, qualora le circostanze lo abbiano permesso, si è approfittato per mettere ordine nella tassonomia e nella catalogazione di determinati comportamenti e topoi , ridefinire o introdurre una utile nomenclatura come pure, a fronte di atteggiamenti stilistici incompatibili, per escludere l’influenza haydniana relativamente ad aspetti o situazioni particolari. Fondamentali per l’approccio metodologico e storiografico si sono rivelati alcuni capisaldi della letteratura musicologica incentrata su questi autori, in speciale modo qualora se ne potessero incrociare i risultati; ad esempio, le evidenze che traspaiono dallo studio di Philip Gossett sulle sinfonie rossiniane sono risultate assai vicine a quelle riscontrate da Robbins Landon nelle sinfonie del maestro austriaco – un accostamento che ha accomunato i due maggiori responsabili della vogue musicologica per Rossini ed Haydn - così come le indagini relative alla retorica musicale del Pesarese (Beghelli) si sono potute mettere in relazione all’ Ars oratoria così evidente nell’autore della Creazione (Sòmfai, Sisman); talune forme sia della musica strumentale che del teatro di Rossini si sono potute correlare all’evoluzione formale haydniana studiata da Ethan Haimo. Seguendo queste eterogenee tracce metodologiche si è cercato per quanto possibile di evidenziare aspetti e livelli diversi di intertestualità, una dimensione cruciale sulla quale ho cercato di insistere. A corollario di ciò, indispensabili sono risultati dei testi che, pur esulando dallo stretto rapporto tra questi due autori, hanno avuto la funzione di definire un ambito storico-analitico pertinente fra Sette e Ottocento, e a cavallo delle Alpi: mi riferisco soprattutto ai maggiori esempi tratti dalla copiosa letteratura mozartiana (Webster, Durante, Abert, Kunze), al teatro d’opera in Italia e sue specifiche (Dahlhaus, Bianconi, Fabbri) ed agli studi sul classicismo di Charles Rosen e Daniel Heartz. II L’obiezione, lecita e prevedibile, è che un’ analisi stilistica non può essere suffragata da prove inconfutabili, e dunque comporti un margine di rischio tanto alto da renderla a tratti ingiustificata; a ciò sono preposti i primi due capitoli, che tentano di definire i rapporti Haydn – Rossini dal punto di vista biografico e linguistico; nei successivi tre si è tentato di dimostrarne le relazioni comparando il modus operandi dei due compositori in presenza di soluzioni simili adottate in frangenti tecnico- espressivi paragonabili. In alcun punto dell’indagine l’influenza haydniana è stata data per scontata, tentando tuttavia di porre in evidenza come i due autori risolvano secondo logiche simili situazioni compositive che presentano livelli di analogia. Di più non può offrire questo lavoro, dal momento che non siamo in grado di conoscere con sicurezza ogni contatto avuto da Rossini con i testi haydniani. In una prospettiva più generale, questo studio lo si deve intendere come lavoro ricognitivo e propedeutico per una più ampia analisi della lezione che la Wiener Klassik ha impartito agli autori della grande stagione melodrammatica dell’Ottocento italiano, lezione che coinvolge anche gli operisti successivi a Rossini - Donizetti bevve direttamente alla fonte del tedesco Mayr, Bellini e Verdi estesero lo studio personale anche ai lavori di Beethoven – i quali contribuirono a portare l’opera italiana su livelli assoluti di chiarezza comunicativa, potenza espressiva e valore estetico. Gli artisti sovente vanno soggetti ad un’aneddotica che tende a moltiplicarne i natali, romanzare gli anni di formazione, persino ad inventare dei caratteri fittizi; Rossini è forse quello che – primariamente per causa propria e delle molteplici maschere indossate in gioventù ed in vecchiaia - ha subito gravemente il peso di una storiografia semplificata che lo volle far apparire quale grasso bon vivant dedito agli eccessi dei lombi e dello stomaco. Resta però la confessione che, ormai avanti negli anni, fece ad un amico a proposito degli anni giovanili: “a quel tempo studiavo Haydn con particolare predilezione”. Una così rilevante filiazione poetica non può non essere presa sul serio. III IV 1 – LA STORIA …guastai da Rossini, no i vol sentir la musica Todesca, dove in fondo el so megio anca lu pesca. (P.BURATTI , Sonetto per la ricuperata salute del Nob.Sig. Andrea Erizzo Principe dell’Impero austriaco , 1818) 1.1 Testimonianze dirette e fonti coeve 1.1.1 Ricordi rossiniani “Non solo amo i grandi musicisti tedeschi, li ho studiati con predilezione già nella mia primissima giovinezza e non ho trascurato nessuna occasione di conoscerli sempre meglio” 1. Così confidava l’anziano compositore pesarese al più giovane amico e collega Ferdinand Hiller durante l’ ozio della comune villeggiatura a Trouville nel 1855. E’ indubbio che non si trattasse di una boutade per compiacere il suo interlocutore, se poco dopo Rossini rincarò la dose affermando di conoscere a fondo i grandi lavori bachiani (“Che colosso questo Bach! In uno stile come quello scrivere una tal quantità di composizioni! E’ incredibile. Ciò che per gli altri è difficile, anzi impossibile, per lui era un gioco”) 2 e mozartiani (“Il Confutatis come minimo non può averlo fatto che Mozart” 3 a proposito
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