074 Genga (Girolamo E Bartolomeo)

074 Genga (Girolamo E Bartolomeo)

Frammentiarte.it vi offre l'opera completa ed anche il download in ordine alfabetico per ogni singolo artista Giorgio Vasari - Le vite de' più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a' tempi nostri (1568) Parte terza (secondo volume) Girolamo Genga VITA DI GIROLAMO E DI BARTOLOMEO GENGA E DI GIOVAMBATTISTA SAN MARINO GENERO DI GIROLAMO PITTORI FIORENTINI Girolamo Genga, il quale fu da Urbino, essendo da suo padre di dieci anni messo all’Arte della Lana, perché l’essercitava malissimo volentieri, come gli era dato luogo e tempo di nascosto con carboni e con penne da scrivere andava disegnando. La qual cosa vedendo alcuni amici di suo padre, l’essortarono a levarlo da quell’arte e metterlo alla pittura, onde lo mise in Urbino appresso di certi maestri di poco nome, ma veduta la bella maniera che avea e ch’era per far frutto, come’egli fu di quindici anni lo accomodò con maestro Luca Signorelli da Cortona, in quel tempo nella pittura maestro eccellente, col quale stette molti anni e lo seguitò nella Marca d’Ancona in Cortona et in molti altri luoghi, dove fece opere e particolarmente ad Orvieto, nel Duomo della qual città fece, come s’è detto, una cappella di Nostra Donna con infinito numero di figure, nella quale continuamente lavorò detto Girolamo e fu sempre de’ migliori discepoli ch’egli avesse. Partitosi poi da lui, si mise con Pietro Perugino, pittore molto stimato, col quale stette tre anni circa et attese assai alla prospettiva, che da lui fu tanto ben capita e bene intesa, che si può dire che ne divenisse eccellentissimo, sì come per le sue opere di pittura e di architettura si vede, e fu nel medesimo tempo che con il detto Pietro stava il divino Raffaello da Urbino, che di lui era molto amico. Partitosi poi da Pietro se n’andò da sé a stare in Fiorenza, dove studiò tempo assai; dopo, andato a Siena vi stette appresso di Pandolfo Petrucci anni e mesi, in casa del quale dipinse molte stanze, che per essere benissimo disegnate e vagamente colorite meritorno essere viste e lodate da tutti i senesi e particolarmente dal detto Pandolfo, dal quale fu sempre benissimo veduto et infinitamente accarezzato. Morto poi Pandolfo, se ne tornò a Urbino, dove Guidobaldo duca Secondo lo trattenne assai tempo, facendogli dipignere barde da cavallo che si usavano in que’ tempi, in compagnia di Timoteo da Urbino pittore di assai buon nome e di molta esperienzia, insieme col quale fece una cappella di S. Martino nel Vescovado per Messer Giovampiero Arivabene mantovano, allora vescovo d’Urbino, nella quale l’uno e l’altro di loro riuscì di bellissimo ingegno sì come l’opera istessa dimostra, nella qual è ritratto il detto Vescovo che pare vivo. Fu anco particolarmente trattenuto il Genga da detto Duca, per far scene et apparati di commedie, le quali perché aveva bonissima intelligenza di prospettiva e gran principio di architettura, faceva molto mirabili e belli. Partitosi poi da Urbino, se n’andò a Roma, dove in strada Giulia, in Santa Caterina da Siena, fece di pittura una Resurrezzione di Cristo, nella quale si fece cognoscere per raro et eccellente maestro, avendola fatta con disegno, bell’attitudine di figure, scorti e ben colorita, sì come quelli che sono della professione che l’hanno veduta ne possono far bonissima testimonianza. E stando in Roma attese molto a misurare di quelle anticaglie, sì come ne sono scritti appresso de’ suoi eredi. In questo tempo, morto il duca Guido e successo Francesco Maria duca Terzo d’Urbino, fu da lui richiamato da Roma e constretto a ritornare a Urbino in quel tempo che ’l predetto Duca tolse per moglie e menò nel stato Leonora Gonzaga, figliuola del marchese di Mantova, e da sua eccellenza fu adoperato in far archi trionfali, apparati e scene di commedie, che tutto fu da lui tanto ben ordinato e mezzo in opera, che Urbino si poteva assimigliare a una Roma trionfante; onde ne riportò fama et onore grandissimo. Essendo poi col tempo il Duca cacciato di stato, da l’ultima volta che se ne andò a Mantova, Girolamo lo seguitò sì come prima avea fatto nelli altri esilii, correndo una medesima fortuna e riducendosi con la sua famiglia in Cesena, dove fece in Sant’Agostino all’altare maggiore una tavola a olio, in cima della quale è una Annunziata e poi di sotto un Dio Padre e più a basso una Madonna con un Putto in braccio in mezzo ai quattro Dottori della Chiesa, opera veramente bellissima e da essere stimata. Fece poi in Forlì a fresco, in San Francesco, una cappella a man dritta, dentrovi l’Assunzione della Madonna con molti Angeli e figure a torno, cioè Profeti et Apostoli, che in questa anco si cognosce in quanto mirabile ingegno fusse, perché l’opera fu giudicata bellissima. Fecevi anco la storia dello Spirito Santo per Messer Francesco Lombardi, medico, che fu l’anno 1512 ed egli la finì, et altre opere per la Romagna, delle quali ne riportò onore e premio. Essendo poi ritornato il Duca nello stato, se ne tornò anco Girolamo e da esso fu trattenuto ed adoperato per architetto e nel restaurare un palazzo vecchio e farli giunta d’altra torre nel monte dell’Imperiale sopra Pesaro. Il qual palazzo per ordine e disegno del Genga fu ornato di pittura d’istorie e fatti del Duca, da Francesco da Forlì, da Raffael dal Borgo, pittori di buona fama, e da Cammillo Mantovano, in far paesi e verdure rarissimo, e fra li altri vi lavorò anco Bronzino fiorentino giovinetto, come si è detto nella vita del Puntormo. Essendovi anco condotti i Dossi ferraresi, fu allogata loro una stanza a dipignere; ma perché finita che l’ebbero non piacque al Duca, fu gittata a terra e fatta rifare dalli sopra nominati. Fecevi poi la torre alta 120 piedi con 13 scale di legno da salirvi sopra, accomodate tanto bene e nascoste nelle mura che si ritirano di solaro in solaro agevolmente, il che rende quella torre fortissima e maravigliosa. Venendo poi voglia al Duca di voler fortificare Pesaro et avendo fatto chiamare Pierfrancesco da Viterbo, architetto molto eccellente, nelle dispute che si facevano sopra la fortificazione, sempre Girolamo v’intervenne et il suo discorso e parere fu tenuto buono e pieno di giudizio. Onde, se m’è lecito così dire, il disegno di quella fortezza fu più di Girolamo che d’alcun altro, se bene questa sorte di architettura da lui fu sempre stimata poco, parendoli di poco pregio e dignità. Vedendo dunque il Duca di aver un così raro ingegno, deliberò di fare al detto luogo dell’Imperiale vicino al palazzo vecchio un altro palazzo nuovo, e così fece quello che oggi vi si vede, che per esser fabrica bellissima e bene intesa, piena di camere, di colonnati e di cortili, di logge, di fontane e di amenissimi giardini, da quella banda non passano prencipi che non la vadino a vedere; onde meritò che papa Paulo Terzo, andando a Bologna con tutta la sua corte, l’andasse a vedere e ne restasse pienamente sodisfatto. Col disegno del medesimo il Duca fece restaurare la corte di Pesaro et il Barchetto facendovi dentro una casa che, rappresentando una ruina, è cosa molto bella a vedere; e fra le altre cose vi è una scala, simile a quella di Belvedere di Roma, che è bellissima. Mediante [lui] fece restaurare la rocca di Gradara e la corte di Castel Durante in modo che tutto quello che vi è di buono venne da questo mirabile ingegno. Fece similmente il corridore della corte d’Urbino, sopra il giardino, et un altro cortile ricinse da una banda con pietre traforate con molta diligenza. Fu anco cominciato col disegno di costui il convento de’ Zoccolanti a Monte Baroccio e Santa Maria delle Grazie a Senigaglia, che poi restarono imperfette per la morte del Duca. Fu ne’ medesimi tempi con suo onore ordine e disegno cominciato il Vescovado di Sinigaglia, che se ne vede anco il modello fatto da lui. Fece anco alcune opere di scultura e figure tonde di terra e di cera, che sono in casa de’ nipoti in Urbino, assai bene. All’Imperiale fece alcuni Angeli di terra, i quali fece poi gettar di gesso e mettergli sopra le porte delle stanze lavorate di stucco nel palazzo nuovo, che sono molto belli. Fece al vescovo di Sinigaglia alcune bizzarrie di vasi di cera da bere per farli poi d’argento, e con più diligenzia ne fece al Duca per la sua credenza alcuni altri bellissimi. Fu bellissimo inventore di mascherate e d’abiti, come si vidde al tempo del detto Duca, dal quale meritò per le sue rare virtù e buone qualità essere assai remunerato. Essendo poi successo il duca Guidobaldo suo figliuolo, che regge oggi, fece principiare dal detto Genga la chiesa di San Giovambattista in Pesaro, che essendo stata condotta secondo quel modello da Bartolomeo suo figliuolo, è di bellissima architettura in tutte le parti, per avere assai immitato l’antico e fattala in modo ch’ell’è il più bel tempio che sia in quelle parti, sì come l’opera stessa apertamente dimostra, potendo stare al pari di quelle di Roma più lodate. Fu similmente per suo disegno et opera fatto da Bartolomeo Ammannati fiorentino scultore, allora molto giovane, la sepoltura del duca Francesco Maria in Santa Chiara d’Urbino, che per cosa semplice e di poca spesa riuscì molto bella. Medesimamente fu condotto da lui Battista Franco, pittore veniziano, a dipignere la cappella grande del Duomo d’Urbino, quando per suo disegno si fece l’ornamento dell’organo del detto Duomo che ancor non è finito.

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