GUENDALINA SERAFINELLI GIACINTO BRANDI (1621-1691) Catalogo ragionato delle opere VOLUME PRIMO UMBERTO ALLEMANDI L’età del barocco inaugura una nuova e multiforme estetica della percezione, suggerendo anche in tempi moderni argomenti di riflessione. Sistema culturale complesso, il barocco resiste a ogni definizione monolitica; a partire da coloro i quali possono essere considerati i padri fondatori della concezione moderna di questo periodo, da Wölfflin a Riegl, da Benjamin a Croce, il crescendo degli studi, anche in anni recenti, ha ampliato notevolmente il raggio di conoscenze. Nella sua poliedrica e straordinaria ricchezza creativa, questa sorprendente stagione artistica invita all’analisi del suo stupefacente e ininterrotto gioco tra metafora e artificio, affetti e dissimulazione, metamorfosi e concettismo, meraviglia e agudeza. La comprensione di tale universo estetico trae indubbia solidità dalle acquisizioni documentali, che restituiscono luce e concretezza alla datità sto- rica. In questo solco si colloca l’eccellente contributo offerto dal volume di Guendalina Serafinelli che, attraverso una coerente analisi e una limpida visione critica, reintegra nella sua storia contestuale la personalità artistica di Giacinto Brandi e la sua rilevante produzione pittorica. Nato a Roma nel 1621, come i documenti d’archivio rintracciati da tempo dalla studiosa dimostra- no, Brandi è da considerarsi un pittore pienamente romano: dalla residenza originaria in via Giulia egli si sposta nel Campo Marzio e la sua attività ha luogo in prevalenza nella città pontificia, dove entra presto in consuetudine con l’ambiente artistico cui lo legherà anche il rapporto familiare con il padre Giovanni, ricamatore, e il cognato Giovanni Battista Magni, pittore. Stando alle fonti, Brandi apprende i primi rudimenti dallo scultore Alessandro Algardi, che si serve del volto aggraziato del pittore per dare forma alle sue «teste degli angeli», ed è ben detto dall’autri- ce che questa breve esperienza stabilisce le linee direttrici di un percorso di formazione osservante del classicismo di matrice carraccesca. In questa traccia si aggiunge, nell’educazione artistica del pittore, il contributo fondamentale del bolognese Giovan Giacomo Sementi presso il quale Brandi perfeziona la pratica del disegno e si misura con l’esercizio pittorico, individuando in Guido Reni, di cui Sementi era stato collaboratore, uno dei modelli di riferimento essenziali del suo percorso e della sua evoluzione stilistica. Dirompente e incisiva, poi, l’esperienza con Giovanni Lanfranco, il cui operato artistico rappresen- ta uno dei massimi approdi della cultura barocca di cui potrebbe essere segno il viaggio di Brandi a Napoli nel 1638, teso all’assimilazione del linguaggio illusionistico generato in Lanfranco (che si era trasferito nella città partenopea nel 1634) dal magistrale riesame di Correggio a Parma. A differenza di altri, l’artista romano non arrivò a beneficiare della protezione esclusiva di una fa- miglia nobile, ma sono attestati e significativi i rapporti, ad esempio, con i Pamphilj, i Colonna e i Barberini. Sin dall’inizio, le sue prove riscuotono largo apprezzamento per l’efficace sintesi operata dal suo linguaggio pittorico, sensibile all’estetica reniana e lanfranchiana, in una crescente apertura verso l’eloquio barocco: la formula è un felice amalgama di corsiva riconoscibilità, di spazi luminosi e di pennellate ampie dalla definitiva energia vibrante; vigore espressivo e dinamicità inventiva per- sistono fino alla fase matura della sua lunga e fortunata carriera, conclusasi allo scadere del secolo, al tramonto del pontificato di Alessandro VIII Ottoboni. Brandi è per sua natura orientato alla raffigurazione di scene sacre e di devozione, come attestato dal- le numerose pale d’altare, pitture da cavalletto e dagli estesi cicli decorativi, cui lavora intensamente negli ultimi decenni della sua attività professionale. Tuttavia nel suo percorso egli non disdegna i racconti mitologici, inaugurando la sua carriera artistica con un ciclo destinato alla Sala di Ovidio di Palazzo Pamphilj a piazza Navona e terminandola con la sequenza di tele per il Camerone di Palazzo Taverna a Montegiordano, né trascura di contribuire a lavori di collaborazione con maestri specializzati nella pittura di paesi (lavori tramandati al momento solo dalle risultanze storiografiche e documentarie) o nel genere floreale, come testimoniato dalla personificazione dell’«Autunno», oggi nel Palazzo Chigi di Ariccia, che convive con disinvolta eleganza accanto al superbo tripudio di fiori dipinto da Mario Nuzzi. Passando in rassegna il corpus delle opere (più di centocinquanta quelle certe, rinvenute e classificate con persistente acribia) emerge di certo la riconoscibilità del codice espressivo esperito in tutte le sue fasi, dai bozzetti alle opere finite. Dall’esplorazione della vasta produzione brandiana, affiora preziosa e singolare la pala con il «Martirio dei santi Quaranta di Sebaste», un caposaldo della vita artistica e personale di Giacinto Brandi; opera lodata dagli storiografi e dalla critica, ma della quale a lungo è stata ignorata la storia esecutiva. Innegabilmente originale, la struttura del dipinto, che tanto inciderà su artisti come Daniel Seiter e Giovanni Battista Beinaschi, presenta un ritmo concitato di diagonali, di moti espansi e subito contratti, ove luci violente contribuiscono a esaltare il tema del supplizio in una tensione drammatica evocante persino l’impetuosa energia di Bernini. Essa è infatti il capolavoro della maturità, portata a termine nel 1662 per la chiesa romana delle Stimmate di San Francesco su incarico di Pietro Paolo Brandi, fratello del pittore, divenuto nel 1658 erede universale di monsignor Francesco Sacchetti. Come dimostrato dalla studiosa, il Sacchetti, una figura rimasta per molto tempo avvolta nell’oblio, ebbe un ruolo decisivo nel percorso di afferma- zione professionale di Giacinto Brandi, rappresentando il tramite privilegiato per l’ottenimento di prestigiose commissioni, come ad esempio i lavori giovanili nel Palazzo Pamphilj a piazza Navona, che valsero al pittore anche la nomina a cavaliere dell’Abito di Cristo. Dal meditato riesame della fase conclusiva del barocco romano, forse meno geniale ed esplorata, ma analogamente vivace e policroma, il lungo lavoro portato a compimento da Guendalina Serafinelli, frutto di un’analisi condotta con passione, ma anche con severità di metodo e di giudizio, restituisce agli studi la conoscenza pressoché esaustiva dell’operato pittorico di Giacinto Brandi che, a con- clusione del suo percorso artistico ed esistenziale, sembra chiudere con professionale e trasparente destrezza un secolo straordinario di fascinazione estetica. STEFANIA MACIOCE Sapienza Università di Roma Sommario 11 Introduzione Capitolo I Origine e formazione 17 I.1 Roma 1621 24 I.2 La lezione di Giovanni Lanfranco e il viaggio a Napoli Capitolo II Il ritorno a Roma e la collaborazione con Giovanni Battista Magni 35 II.1 Nel pontificato di Innocenzo X 37 II.2 Palazzo Pamphilj a piazza Navona 42 II.3 Giacinto Brandi e Giovanni Battista Magni a Palazzo Colonna 44 II.4 La decorazione del soffitto di Santa Maria in Via Lata 46 II.5 Verso un percorso autonomo: Giacinto Brandi, Mattia e Gregorio Preti Capitolo III I pontificati Chigi e Rospigliosi 57 III.1 Giacinto Brandi nella Roma Alessandrina 63 III.2 Cerimonie di beatificazione e canonizzazione 66 III.3 Il «Martirio dei santi Quaranta di Sebaste»: il lascito di Francesco Sacchetti e la regia di Pietro Paolo Brandi 71 III.4 «Passare espressamente per quella città per considerarne l’eccellenza»: Brandi a Gaeta 76 III.5 Il ritorno a Roma 85 Appendice 1. Testamento di Francesco Sacchetti Tavole Capitolo IV Gli anni settanta 113 IV.1 La grande decorazione chiesastica romana: una panoramica 116 IV.2 «Viene stimata una delle più belle di Roma»: la chiesa dei Santi Ambrogio e Carlo al Corso 126 IV.3 Pale d’altare e pitture da cavalletto 135 IV.4 Philipp Peter Roos e il prestigio sociale 139 IV.5 La bottega Capitolo V La piena maturità 151 V.1 «Vi concorrono a vederla Cardinali Titolari, e molto Popolo, essendo applaudita»: la decorazione della chiesa di San Silvestro in Capite 157 V.2 «Si sono anche dopo molti anni ritrovate più adulte le meraviglie di esso»: i lavori nella chiesa di Gesù e Maria al Corso 164 V.3 Gli ultimi anni Capitolo VI 189 La vicenda critica Introduzione Quando nel 2005 mi avventurai nell’appassionante ricerca sul Casino romano di Giovanni Lan- franco1 non immaginavo che di lì a poco avrei dedicato quasi un decennio di studi a Giacinto Brandi. La scoperta di diverse tracce di affresco nelle stanze del villino fuori porta San Pancrazio, appar- tenuto allo stesso Lanfranco, confermava quanto riportato da Giovan Pietro Bellori e Giovanni Battista Passeri nelle biografie del maestro: l’artista di Parma aveva decorato personalmente alcuni ambienti di quel luogo di ritrovo e delizia, non rinunciando a coinvolgere nei lavori anche diversi amici pittori. Nonostante fossi consapevole del fatto che ben difficilmente sarei riuscita a identificare le persona- lità attive in questa impresa (le tracce di affresco finora rinvenute si presentano in cattivo stato di conservazione), i miei interessi iniziarono a spostarsi verso la cerchia dei pittori legati a vario titolo a Lanfranco, stringendosi, a poco a poco, attorno a una figura privilegiata: Giacinto Brandi, il maggiore erede artistico del maestro emiliano. Fu allora che mi resi conto di quanto la critica fosse stata spesso ingenerosa
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