L'apicoltura Tradizionale a Corigliano D'otranto

L'apicoltura Tradizionale a Corigliano D'otranto

L'apicoltura tradizionale a Corigliano d'Otranto Domenico Costantini 1. Introduzione Corigliano d'Otranto è uno dei nove comuni della Grecìa Salentina; gli anziani parlano il griko, ultimi depositari di una lingua, di una cultu- ra rurale, tramandate per secoli di generazione in generazione: una cul- tura che ha disegnato il paesaggio in modo inconfondibile, lasciandovi segni che tutt'ora lo caratterizzano, dalle costruzioni a secco ai frantoi ipogei, alle cave, alle coltivazioni del tabacco, della vigna, dell'ulivo, in un ambiente faticosamente trasformato, fatto vibrare dalle parole canta- te e dal suono degli strumenti di tradizione, il tamburello, il cupa cupa, per esempio. Una cultura che sta scomparendo. Salvatore Donno vive a Corigliano ed ha settantuno anni. Ogni gior- no, da quando è nato, va in campagna, cura la sua terra, lavora nelle ca- ve di pietra, alleva le sue api. Delle api conosce ogni cosa, ogni segreto. Durante l'intervista, non ha mai avuto un momento di esitazione se non davanti al pensiero che essa, oltre a documentare la sua "arte", potesse servire ad altri fini. Di fronte all'obiettivo poi, era orgoglioso di immor- talare immagini che non vede nel futuro dei suoi discendenti. Salvatore è nato "mmenzu all'api"; il padre ha cominciato "l'arte" a diciott'anni, nel 1918, ed era arrivato ad avere più di ottanta piluni de pe- tra disposti su più file all'interno del giardino della sua masseria. L'apicoltura tradizionale nel Salento è fortemente caratterizzata infat- ti dall'uso dei piluni de petra come arnie e, dagli studi fatti fino ad oggi, si può affermare che non esistono manufatti simili al di fuori dell'area salentina. Gli "apiari" di pietra sono una peculiarità architettonica anco- ra ben visibile nelle campagne del Salento e, a quanto risulta dalle testi- monianze, alcuni di essi risalgono almeno al XVI secolo. I piluni de petra ancora oggi usati sporadicamente dal nostro intervi- stato, sono costituiti da un concio di pietra di tufo di Cutrofiano di circa * Ricerca condotta per il conseguimento del Diploma post-lauream in Storia Re- gionale Pugliese (relatore prof. Eugenio Imbriani) nell'a.a. 2002-2003. 215 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di MAGO - Lecce L' apicoltura tradizionale a Corigliano d'Otranto settantacinque centimetri per venticinque, scavato all'interno per tutta la sua lunghezza. Le basi minori di queste arnie vengono poi chiuse con la- stre di pietra leccese di spessore di circa cinque centimetri. Una di que- ste basi rimane chiusa e, nella parte in basso, sono stati praticati uno, due o anche quattro fori da dove entrano ed escono le api; nell'altra base la lastra viene provvisoriamente chiusa con un impasto di terra ed è aperta quando bisogna lavorare all'interno dell'arnia. Come il griko fino a due secoli fa era una lingua diffusa in tutto il Sa- lento, così l'apicoltura tradizionale, fino alla prima metà secolo scorso, era un'attività diffusa in molte famiglie. Se dunque Corigliano è uno dei pochi comuni salentini in cui oggi si parla il griko, Salvatore Donno è l'unico apicoltore di tradizione a Cori- gliano. Questo studio si divide in due sezioni: la prima è la trascrizione inte- grale dell'intervista a Salvatore Donno, svolta personalmente e in più ri- prese in campagna vicino alle sue api, la seconda è la documentazione fotografica effettuata sul campo. L'intervista si è svolta nell'estate del 2002 nella lingua locale e, dopo la trascrizione integrale, è stata tradotta solo nella terminologia e ricomposta secondo gli argomenti trattati i qua- li sono stati evidenziati e distinti in paragrafi. Il lavoro si conclude con la ricerca di alcuni proverbi salentini ine- renti il "mondo" delle api, che restituiscono un'immagine semplice e co- lorata dell'esperienza locale su questo tema. 2. Intervista a Salvatore Donno 2.1. "Arte cu arte e lu lupu alle pecure". - Come ti chiami e quanti anni hai? Donno Salvatore, settantuno anni. A me, a Corigliano, se non dici "lu Totu de le api" non mi conosce nes- suno. - Quando hai imparato a fare l'apicoltore? Ci sono talmente tanti anni... mio padre era di 18 anni, era del 900, ed abbiamo continuato sempre lo stesso mestiere. - Tuo padre ha imparato quando aveva 18 anni? Si, ha imparato a 18 anni. 216 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di 'MAGO - Lecce Domenico Costantini - Da chi? C'era uno, in una masseria fuori Corigliano. - Tuo padre cosa faceva in questa masseria, lavorava? No, lo conosceva e sapendo che aveva le api prendeva informazioni su questo mestiere, poi è una passione però. - E tu, quando hai cominciato? Ma, siamo nati nel mestiere, sono nato nel giardino dove c'erano le api e vedendo il padre abbiamo continuato. - Tuo padre faceva proprio quel mestiere? Sì, faceva anche altri mestieri, il contadino come lo faccio io, però ave- va quell'hobby. Poi a quei tempi c'erano diversi a Corigliano, c'era il giudice Bucci, c'e- ra Meleleo di Castrignano nella sua masseria.... - Grandi proprietari quindi.... Sì. - Ma quante api avevano? Per uso famiglia. - Che tipo di arnie avevano? Le casse del tipo piccolo. Don Alberto Capani ad esempio "sutta allu Casciulu" [località], lui lo vendeva il miele. E lo guidava mio padre, se ne occupavano assieme. - A tutti questi, tuo padre, dava consigli? Consigli? No, li guidava, li curava a tutti, al "lu Corni de Corianu" per esempio, a Don Angelo Comi che le aveva nella masseria Appidè: erano diversi, e non c'erano altri che potevano occuparsene; Tamborrino di Maglie aveva le api ai laghi Alimini. - Tuo padre aveva arnie di legno o di pietra? Tutte di pietra. Poi aveva anche le casse, però di legno ne aveva meno. - Quante arnie aveva tuo padre? Più o meno settanta. - Tu ne hai solo cinque, dove sono le altre arnie di pietra? In parte le ho prese io, in parte sono state rotte, alcune regalate, alcune sono diventate fioriere. - Tuo padre, quando non ha potuto più occuparsi delle api che aveva, che cosa ne ha fatto? 217 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IMA GO - Lecce L'apicoltura tradizionale a Corigliano d'Otranto Le ha divise ai figli: eravamo in quattro e le ha divise in parti uguali. - Tutti voi figli sapevate "l'arte"? Tutti sapevamo, in due poi abbiamo continuato. - Quante arnie aveva quando le ha divise? Quaranta più o meno, dieci a testa. - Di pietra o di legno? Tutte di legno, quelle di pietra già non le usava più. - Più o meno ne aveva quante hai tu adesso. Io ne ho un'ottantina tra piene e vuote, piene ho quarantacinque, però un anno le ho riempite tutte ed ho messo api anche in quelle di pietra. - All'inizio teneva solo arnie di pietra, o ne aveva già di legno? No, all'inizio è partito proprio con quattro "piluni de petra" [piloni di pietra]. - Li faceva lui? No, non li poteva fare lui. Venivano fatti a Cutrofiano, alle cave di tufo. - Li prendeva anche da masserie dove non li usavano più? Sì, è vero, li trovava anche così. - Come le chiamava in dialetto le arnie? Quelle di pietra "ucche de petra" [bocche di pietra] oppure "piluni de pe- tra": hanno i due frontali con una "chianca" [lastra di pietra leccese], da- vanti veniva chiusa con malta e fatti i buchi per le api, invece dietro è le- vabile per poter lavorare. - Ora le usi quelle in pietra? No, non le uso proprio. Le ho usate un anno perché avevo tutto pieno e per non perdere gli "ssami" [sciami] le ho messe dentro. Le ho prese pro- prio perché mio cognato voleva buttarle. - Di pietra ne aveva molte? Bè, ne aveva molte, però ad un certo punto hanno cominciato a produr- re meglio quelle di legno, perché quelle di pietra danno di più come al- levamento, come , invece come quantità di miele danno di più quelle di legno. Le migliori per il miele sono quelle in legno più grandi, con le due parti: quella superiore e quella inferiore distinte, poi quelle sempre in legno più piccole, con il vetro davanti, infine quelle di pietra. - Questo perché? Prima non c'era tanta possibilità [economica] per fare una cassa di legno e allora le facevano di pietra. 218 Provincia di Lecce - Mediateca - Progetto EDIESSE (Emeroteca Digitale Salentina) a cura di IM4G0 - Lecce n Ctntn - Ma perché una di legno produce più di una di pietra? Prima cosa è più grande, tiene due piani, mentre quella di pietra ne ha uno. Devi aggiungere due di pietra per fare una di legno. E loro [le api] quando lavorano e si ritrovano molto strette, non fanno altro che mette- re cova e ssàmanu. - In questo modo non producono miele? No. Nelle casse in legno, se uno si vuole dedicare proprio al mestiere, ti- ra tutti i pettini fuori, e tira tutte le celle delle api regina, in modo che non possano ssamàre. Invece in queste di pietra, questo lavoro non si può fare. - Ti chiamano quando ci sono sciami? Ad esempio i vigili di Castrignano sanno che sono cliente loro da tanti anni e quando vedono ssami non danno ordine a nessuno di prenderli se non che dicono: "Date un colpo di telefono a questo numero!" - E a Corigliano? A Corigliano no, perché già siamo diversi che sappiamo. Chi lo trova lo prende. - Quanti siete adesso a Corigliano? Tre, a parte qualcuno che lo ha fatto solo per un periodo. - Quando prendi uno sciame cosa fai? Lo metti nella cassa? Si, viene preso in una sporta [borsa di paglia intrecciata], io faccio così, però oggi hanno delle cassette fatte apposta ed usano quel sistema, però è più difficile anziché come usiamo noi, perché si dice che "vale più la pratica che la forza".

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