<p>MAURIZIO NOBILE 23 </p><p>N. 23 </p><p>2020 </p><p>MAURIZIO NOBILE <br>N. 23 </p><p><em>Coordinamento scientifico di </em></p><p>Laura Marchesini </p><p><em>Autori delle schede </em></p><p>Francesca Baldassari, Gabriele Fattorini, <br>Chiara Fiorini, Giancarlo Gentilini, Francesco Leone, Laura Marchesini, Massimo Pulini, Marco Riccòmini, Davide Trevisani, Francesca Valli <br>Questo è il XXIII catalogo della mia carriera ormai trentennale. Ogni volta che presento la mia selezione si rinnova in me l’emozione per ogni opera che ho scelto, studiato e acquisito. Fortunatamente è ancora l’entusiasmo, nonostante le difficoltà che attraversa il Mercato dell’Arte da qualche anno, che mi guida nella ricerca quotidiana dei pezzi portandomi a viaggiare in Italia e all’estero e a visitare collezioni private e colleghi. </p><p>Così nasce questo catalogo come una raccolta di disegni, dipinti e sculture dal XVI al XX secolo che mi rappresenta. Queste opere rispecchiano il mio gusto e, in un certo senso, sono anche le tessere di un «mosaico» ideale che compone la mia stessa storia, perché ciascuna è un amore, una speranza, una riconferma, un insegnamento, il ricordo di un viaggio e di un incontro e, a volte, perché no, anche un’arrabbiatura. </p><p>La scelta di comprendere grafica, pittura e scultura vuole sottolineare l’ampiezza dei miei interessi e, con l’occasione del TEFAF, presentare anche al pubblico di <em>W orks on Paper </em>la poliedricità della mia ricerca e delle mie scelte, anche al di là del Disegno, che resta comunque per me una delle mie grandi passioni. </p><p>Maurizio Nobile </p><p>5</p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">1</li><li style="flex:1">GIORGIO GANDINI DEL GRANO </li></ul><p></p><p>PARMA, FINE DEL XV SECOLO — 1538 </p><p><em>Studio per sette figure</em>, c. 1535 </p><p>Matita rossa, mm 142 184. </p><p>×</p><p>In basso a destra a penna e inchiostro bruno: <em>117</em>. Sul verso in alto al centro a matita nera <em>Correggio </em>e in basso a sinistra 32. PROVENIENZA: J. H. Wiegersma (Lugt 1552b). BIBLIOGRAFIA: Vaccaro 2015, p. 70, fig. 14. </p><p>La recente scoperta di questo disegno – che può essere </p><p>aggiunto a un gruppo di altri quattro fogli di soggetto </p><p>condo gli stretti legami con il Correggio, di cui era uno </p><p>dei più stretti seguaci e continuatori del suo stile. Queste </p><p>analogo con stesse dimensione e tecnica conservati al premesse avrebbero certamente garantito una maggior </p><p>Museo del Louvre (FIG. 1),<sup style="top: -0.3562em;">1 </sup>già catalogati sotto il nome </p><p>uniformità stilistica agli affreschi dei tre intradossi, dei </p><p>di Correggio (1489–1534), è una significativa aggiunta al pendenti e della cupola con l’<em>Assunzione della Vergine</em>, che </p><p>piccolo corpus grafico di Giorgio Gandini del Grano. </p><p>Questi fogli sono stati per la prima volta attribuiti a </p><p>Allegri non aveva potuto completare. </p><p>Oltre al foglio in esame e ai quattro al Louvre, ese- </p><p>Gandini da Mary Vaccaro<sup style="top: -0.3563em;">2 </sup>e successivamente da Fran- guiti alla maniera di Correggio (studi di un modello per </p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">cesca Frucco.<sup style="top: -0.3562em;">3 </sup></li><li style="flex:1">figure viste da sotto in sù disegnate in due registri in de- </li></ul><p></p><p>Nella conferenza <em>Correggio e il suo tempo: Giorgio </em>licato e morbido gesso rosso), conosciamo altri tre dise- </p><p><em>Gandini del Grano tra Allegri e Bedoli nel Duomo di Par- </em>gni per questa commissione conservati rispettivamente </p><p><em>m a</em><sup style="top: -0.3563em;">4 </sup>Mary Vaccaro ha sottolineato il rapporto tra questi </p><p>all’Albertina, agli Uffizi e al Castello di Windsor. In par- </p><p>disegni e gli affreschi commissionati a Gandini nel 1535, ticolare, il disegno preso in esame e i quattro del Louvre </p><p>dopo la morte di Correggio, nell’abside e nella volta del </p><p>coro della Cattedrale di Parma. </p><p>sarebbero serviti da modello per quello di Vienna, che </p><p>raffigura un gruppo di santi e angeli per una delle sezio- </p><p>ni della volta a crociera. In questo gruppo di figure Kon- </p><p>Tuttavia anche questa commissione al Gandini non </p><p>fu portata a termine e rimase al suo stato progettuale a rad Oberhuber ha riconosciuto uno dei soggetti menzio- </p><p>causa della prematura morte del pittore (1538), al quale nati nel programma iconografico istituito dai <em>fabbriceri </em></p><p>subentrò nel cantiere Girolamo Mazzola Bedoli (1500– della Cattedrale nel contratto del 1535.<sup style="top: -0.3563em;">6 </sup>Il foglio presenta </p><p>1569) l’anno successivo.<sup style="top: -0.3562em;">5 </sup></p><p>uno studio completo e dettagliato in matita rossa a tratti </p><p>Non abbiamo molte informazioni su Gandini, ma sottili e senza pentimenti e, come notato dalla Frucco,<sup style="top: -0.3563em;">7 </sup></p><p>data l’importanza e il prestigio della commissione, pos- è probabilmente un disegno d’insieme sviluppato da un </p><p>siamo supporre che la scelta dei canonici e dei <em>fabbriceri </em>altro foglio preparatorio, mentre i due conservati agli della Cattedrale sia ricaduta sul nostro, nonostante la Uffizi<sup style="top: -0.3563em;">8 </sup>e al Castello di Windsor<sup style="top: -0.3563em;">9 </sup>sono frammenti da risua giovanissima età, per due motivi: il primo l’indub- ferirsi allo stesso progetto. bia fama e la notorietà di cui certamente godeva, il se- </p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">1</li><li style="flex:1">Inv. nn. 5931-5932-5933-5934, già </li></ul><p>in collezione Dezallier d’Argenville, 1680–1765. Si veda Frucco 2010, pp. 182–183, nn. 21, 22, 23, 24: figg. 25, 26, 27, 28. Vaccaro 2008. <br>456Vaccaro 2008, p. 445. Testi 1934, p. 104. Oberhuber 1970, p. 282, in particolare nota 26. Inv. 17629. Si veda Frucco 2010, pp. 146–147; pp. 179–180, n. 18; fig. 24. </p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">8</li><li style="flex:1">Inv. 1955F. Si veda ivi, pp. 146– </li></ul><p>147; pp, 180–181, n. 19; fig. 22. Inv. n. RL5499. Si veda ivi, pp. 146–147; pp. 181–182, n. 20; fig. 23. <br>9<br>7<br>2</p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">3</li><li style="flex:1">Frucco 2010, pp. 182–183. </li></ul><p></p><p>FIG. 1: Giorgio Gandini Del Grano, <em>Studio per otto figure, in differenti attitudini su due registri</em>, Paris, Musée du Louvre, inv. 5932. </p><p>6</p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">2</li><li style="flex:1">GIULIO CAMPI </li></ul><p></p><p>CREMONA 1507/1508 — 1573 </p><p><em>Studio di un putto seduto, di una figura maschile in piedi rivolta verso destra, schizzo di una mano</em>, c. 1530 / Sul verso: <em>Studio di un toro </em></p><p>Matita rossa, mm 190 250. </p><p>×</p><p>Sul recto in basso a destra di mano di Sir Joshua Reynolds in inchiostro </p><p>ferrogallico: <em>Parmigiano</em>. </p><p>PROVENIENZA: Sir Joshua Reynolds, 1723–1792 (Lugt 2364); Arthur Melville Champernowne, nato nel 1871 (Lugt 153). </p><p>Questo inedito foglio recto verso è riconducibile alla e Venezia fossero opere tardive di Boccaccio Boccacci- </p><p>giovinezza di Giulio Campi, e più precisamente al 1530 no,<sup style="top: -0.3563em;">6 </sup>mentre l’influenza di Dürer sulla grafica di Campi </p><p>quando al pittore furono commissionate da Massimi- fu alla base di errate attribuzioni ad Altobello Melone, i </p><p>liano Stampa, segretario privato di Francesco II Sforza, cui disegni sono estremamente rari, a Pordenone e per- </p><p>le decorazioni per Santa Maria delle Grazie a Soncino </p><p>sino a Moretto da Brescia.<sup style="top: -0.3563em;">7 </sup>Sebbene queste attribuzioni </p><p>(Cremona). Per la chiesa Campi realizzò la pala d’alta- fossero scorrette, è significativo che i primi conoscito- </p><p>re con la <em>Madonna e il Bambino, i santi Caterina d ’ Alessan- </em>ri associassero involontariamente Campi ad artisti del </p><p><em>dria, Francesco e Pietro Martire Stampa</em>,<sup style="top: -0.3563em;">1 </sup>gli affreschi con Nord Italia di altissimo calibro. </p><p>l’<em>Assunzione della Vergine </em>sull’arco trionfale, gli Evange- </p><p>listi nella volta del presbiterio e i Santi Carmelitani nei </p><p>pendenti dell’abside.<sup style="top: -0.3562em;">2 </sup>Quest’insieme omogeneo segna un </p><p>Nel foglio in esame, il trattamento della matita ros- </p><p>sa e la resa delle figure sono tipici degli studi di Campi </p><p>per Santa Maria delle Grazie, la mancanza di corrispon- </p><p>importante momento nello sviluppo stilistico nella car- denza palmare con gli affreschi dimostra che il disegno </p><p>riera dell’artista, in precedenza sostanzialmente influen- rappresenta una prima fase elaborativa del ciclo, fissan- </p><p>zato dalla pittura veneziana e nordeuropea. A Soncino, do i primi pensieri che il pittore avrebbe sviluppato solo </p><p>infatti, Campi assimila la tavolozza di Pordenone e l’e- successivamente. </p><p>leganza e la simmetria classiche di Raffaello, attingendo </p><p>La figura barbuta è evidentemente una prima idea </p><p>per l’apostolo sorpreso drappeggiato in giallo, all’estre- </p><p>spunti anche dalle stampe di Marcantonio Raimondi.<sup style="top: -0.3562em;">3 </sup></p><p>I primi dipinti di Campi sono corredati da un note- ma sinistra dell’arcata (FIG. 1). La sua posa finale è sta- </p><p>8</p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">vole corpus di disegni, che ha attirato l’attenzione degli </li><li style="flex:1">ta definita in un disegno pubblicato da Bora, ma i tratti </li></ul><p></p><p>studiosi solo negli anni ‘70 del XX secolo, quando Ales- somatici della figura – che ricordano quelli di un rapace </p><p>sandro Ballarin per primo notò che due disegni a mati- – sono replicati nell’affresco. </p><p>ta rossa dello Staatliche Museen di Berlino erano studi </p><p>per gli Evangelisti raffigurati nella volta di Santa Maria </p><p>Inoltre san Giacomo, che si inginocchia al centro della composizione mostrando in maniera irriverente </p><p>delle Grazie.<sup style="top: -0.3562em;">4 </sup>Altri disegni furono pubblicati da Giulio le terga allo spettatore, ha un profilo aquilino simile a </p><p>Bora: uno a matita nera per l’Apostolo all’estrema sini- quello del suo omologo abbigliato in giallo, a cui è ac- </p><p>stra dell’arco trionfale e un altro a matita rossa per il costato un cranio marcatamente arrotondato e ad una </p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">profeta Eliseo nell’abside.<sup style="top: -0.3562em;">5 </sup></li><li style="flex:1">barba estremamente appuntita. </li></ul><p></p><p>Molti dei primi disegni di Campi, che evidenziano </p><p>Il suo gesto è riconoscibile nell’immagine speculare </p><p>la predilezione dell’artista per la matita rossa, sono sta- di una mano che viene rapidamente tracciata in basso a </p><p>ti in passato erroneamente attribuiti ad altri artisti del </p><p>Nord Italia noti per impiegare lo stesso medium, come </p><p>Girolamo Romanino e Pordenone. Un tempo si pensava </p><p>che i fogli oggi ritenuti di Campi e conservati a Teplice sinistra del foglio. </p><p>Il putto, apparentemente seduto sulle nuvole, è sicuramente correlato alla tipologia degli angeli, piutto- </p><p>sto muscolosi, che incorniciano l’<em>Assunzione della Vergine </em></p><p>FIG. 1: Giulio Campi, <em>Apostoli</em>, Soncino (Cremona), Santa Maria delle Grazie. </p><p>8</p><p>in cima all’arco trionfale. In effetti, vista al contrario, la </p><p>sua posa è sorprendentemente vicina a quella del putto </p><p>che gonfia il mantice dell’organo a sinistra dell’affresco. </p><p>Il verso del foglio evidenzia un aspetto affascinante e completamente diverso della personalità artistica di </p><p>Campi, ovvero la sua passione per il disegno di anima- </p><p>li dal vero. </p><p>Questo studio straordinariamente acuto e realistico </p><p>di un toro, la cui testa è disegnata da diverse angolazioni, </p><p>si accorda perfettamente per tema e tecnica con alcuni </p><p>studi similari conservati a Teplice – uno dei quali mostra </p><p>un cucciolo di leone – e con il verso del disegno già cita- </p><p>to di Venezia, <em>Due tori e una coppia di Anatre</em>.<sup style="top: -0.3563em;">9 </sup></p><p>Come dimostra l’iscrizione nell’angolo in basso a </p><p>destra di questo foglio, la qualità del disegno è tale che </p><p>Sir Joshua Reynolds, il grande pittore, collezionista e co </p><p>-</p><p>noscitore del diciottesimo secolo, credeva si trattasse di </p><p>Parmigianino. La sua ipotesi non era affatto ingiustifica- </p><p>ta, ed era senza dubbio motivata dalla sicurezza nell’uso </p><p>della matita rossa e dalle invenzioni figurative estrema- </p><p>mente originali. Entrambi questi aspetti fanno dunque </p><p>ritenere il presente disegno un esempio particolarmente </p><p>significativo della grafica di Giulio Campi. </p><p>L’attribuzione è stata confermata da Giulio Bora e Marco Tanzi. privata Milanese; il secondo presso l’Istituto Nazionale per la Grafica, Roma, inv. 125862. Si veda Bora 1984, pp. 10–11, figg. 15 a–b. </p><p>*</p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">1</li><li style="flex:1">Oggi conservato alla Pina- </li></ul><p>coteca di Brera, Milano (Reg. Cron. 1128). I santi Caterina d’Alessandria, Francesco e Pietro Martire Stampa, padre di Massimiliano. Per la chiesa si veda De Santis, Merlo 1992. Gli ultimi affreschi sono stati staccati e trasferiti nel convento adiacente. Per un’analisi della prima parte della sua carriera si veda Tanzi 2004, pp. 7–10; più recentemente Tanzi 2012, pp. 42–43. <br>67<br>Teplice, Regional Museum, inv. CA 501; Venezia, Gallerie dell’Accademia, inv. 520. Rispettivamente Bayonne, Musée Bonnat, inv. 1368 (<em>Stu- </em></p><p><em>dio per un uomo seduto</em>); Provi- </p><p>dence, Rhode Island Museum of Art, inv. 20465 (<em>Madonna </em></p><p><em>col Bambino e san Rocco</em>). Si </p><p>veda inoltre Bora 1985, p. 281, n. 2.6.1; Bora 1988, p. 15, fig. 39. Bora 1984, pp. 10–11, figg. 15 a–b. <br>23<br>8<br>4</p><p>5<br>Kupferstichkabinett, inv. KdZ 5143-5143, con l’attribuzione di Ballarin del 1975 annotata sul montaggio. Il primo di questi disegni era all’epoca in una collezione </p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">9</li><li style="flex:1">Teplice, Regional Museum, </li></ul><p>inv. CA 503-504, 650. Per ulteriori approfondimenti sulle attribuzioni dei disegni di Campi a Boccaccino e ad altri, si veda Tanzi 1999, pp. 7–8. </p><p>10 </p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">3</li><li style="flex:1">PAOLO GUIDOTTI </li></ul><p></p><p>detto </p><p>IL CAVALIER BORGHESE </p><p>LUCCA 1560 CIRCA — ROMA 1629 </p><p><em>Ritratto di contadino o Allegoria dell ’ Autunno</em>, c. 1610 </p><p>Olio su tela, cm 71 57,3. </p><p>×</p><p>Tagliato a mezzo busto contro un fondo scuro, il gio- una datazione intorno al 1610. I riscontri più significavane occupa tutto il primo piano della composizione tivi, nella comune materia densa e compatta, nell’uso </p><p>con il suo fare vigoroso, la barba e i baffi incolti, il naso </p><p>imponente, gli occhi scuri e la fronte aggrottata, solcata </p><p>dei bianchi e dei rossi e nell’intensità dell’espressione, si </p><p>colgono con il <em>Davide con la testa di Golia, </em>conservato nel- </p><p>dalle rughe dell’esperienza. La sua veste rossa sfilaccia- la basilica di San Paolo fuori le Mura a Roma, firmato </p><p>ta sembra annodarsi sulla spalla e una camicia bianca e datato 1608, analogamente aggiornato in chiave natu- </p><p>gli ricade alla vita, lasciando il petto villoso scoperto in </p><p>ralistica. Rispetto a quest’ultimo la nostra tela manifesta </p><p>bella vista. In capo porta una pezza da cui fugge qual- forse solo un’avvenuta maturazione nella conduzione </p><p>che ciocca ribelle; alle sue spalle si intravedono, relegati del pennello e nel trattamento delle ombre, ciò che por- </p><p>in un angolo, un grappolo d’uva, alcune pere e il riccio terebbe a immaginare una cronologia leggermente più </p><p>aperto di una castagna. Avanza con il braccio destro mu- avanzata. </p><p>scoloso verso l’osservatore, portando in avanti il busto </p><p>e mostrando quasi con prepotenza una pala da lavoro </p><p>illuminata sulla punta metallica dalla luce radente. La </p><p>pennellata è schietta, fortemente chiaroscurata. </p><p>Ancora più stringente risulta il confronto con l’<em>Au- </em></p><p><em>toritratto </em>del pittore, oggi in collezione privata, di cui si </p><p>conosce una replica. Qui Guidotti si ritrae con lo sguar- </p><p>do eloquente verso l’osservatore, il colletto rigido della </p><p>I dati di stile ci consentono di restituire la tela al ca- veste castigata, la penna, il libro, e la croce del cavalie- </p><p>talogo del lucchese Paolo Guidotti, pittore che, dopo rato della Milizia di Cristo. Medesima è la pennellata </p><p>aver mosso i primi passi nella sua città natale, decise di </p><p>cercare migliore fortuna nell’Urbe dove si trasferì intor- sestati gli stessi decisi colpi di luce che riscontriamo nel </p><p>no al 1589, quando il suo nome compare già tra i membri contadino in esame<em>. </em>Ad avallare l’attribuzione proposta </p><p>dell’Accademia di San Luca. Personalità poliedrica e an- interviene anche la quasi sovrapponibilità della mano </p><p>che traccia il pizzetto; nelle nocche delle mani sono as- </p><p>ticonformista, dedito alla matematica, alle lettere, all’a- sinistra del protagonista del nostro esemplare con quel </p><p>-</p><p>strologia e alla musica, capace di assimilare agevolmen- la del poeta raffigurato nella tela del museo di Ajaccio, </p><p>te le più disparate influenze, Guidotti seppe distinguersi </p><p>subito nella Roma pontificia come uno dei massimi pro- </p><p>databile analogamente intorno al 1610. </p><p>Siamo di fronte ad un’opera che dovette far scuo- </p><p>tagonisti a cavallo tra la raffinata stagione manieristica, la a Pietro Paolini, suo conterraneo ed erede spirituale, </p><p>ormai al tramonto, e le nuove tendenze dei caravagge- eseguita da Guidotti poco prima che questi decidesse di schi. Nel 1608 Scipione Borghese concesse a Guidotti rientrare a Lucca nel 1611, dopo “27 anni di volontario di fregiarsi del suo stesso cognome (da cui l’epiteto di esilio”, per usare le sue stesse parole. Rientrò a Roma cavalier Borghese con il quale è ricordato dalle fonti), sei anni più tardi, dopo aver girovagato tra Lucca, Pisa </p><p>svelando un rapporto privilegiato che dovete contribu- e Reggio Emilia, per dedicarsi sostanzialmente alla sua </p><p>ire non poco al suo inserimento in città. </p><p>grande impresa poetica: la <em>Gerusalemme distrutta</em>, poema </p><p>Il nostro probabile contadino, forse un’Allegoria di imitazione tassiana che narrava le imprese dell’impe- </p><p>dell’Autunno, mostra di essere già informato della par- </p><p>lata del Merisi e compagni, facendoci propendere per </p><p>ratore Tito contro gli ebrei ribelli. </p><p><em>Francesca Baldassari </em></p><p>12 </p><p></p><ul style="display: flex;"><li style="flex:1">4</li><li style="flex:1">GIAN DOMENICO CERRINI </li></ul><p></p><p>detto </p><p>IL CAVALIER PERUGINO </p><p>PERUGIA 1606 — ROMA 1681 </p><p><em>San Girolamo </em></p><p>Olio su tela in ottagono, cm 97 83. </p><p>×</p><p>PROVENIENZA: Firenze, collezione privata. </p><p>Lione Pascoli assicura che Gian Domenico Cerrini «era </p><p>di bella statura, e presenza; e conservò fin all’ultimo </p><p>del Lanfranco. Il lungo soggiorno romano si interruppe, </p><p>sebbene solo per qualche anno, in seguito al suo viag- </p><p>la solita sua giovialità, e gratitudine verso gli amici, da’ gio a Firenze, da porsi tra il 1656–1657 e il 1661. Parrebbe, </p><p>quali per l’ottimo suo costume e per lo nobile, e manie- infatti, che il pittore di Perugia fosse chiamato a Firen </p><p>-</p><p>roso suo tratto fu sempre distinto, e venerato, e forse ze da alcuni membri della Famiglia dei Medici (Mattia, </p><p>per niun altro professore ebbero in que’ tempi maggior Leopoldo e Ferdinando), per i quali – come risulta dai </p><p>venerazione i letterati».<sup style="top: -0.3562em;">1 </sup>Tuttavia, non gli giovò la man- documenti e inventari medicei – l’artista eseguì numero- </p><p>canza di un biografo. Ne tace, infatti, il Passeri,<sup style="top: -0.3563em;">2 </sup>e pure </p><p>se opere, parte delle quali identificate a cominciare dal- </p><p>il suo conterraneo e conoscente Luigi Pellegrini Scara- le indagini di Evelina Borea (1978) e dalla ricognizione </p><p>muccia,<sup style="top: -0.3562em;">3 </sup>mentre Pellegrino Orlandi ricorda solo che «fu </p><p>meticolosa e a più puntate di Marco Chiarini sulla rivi </p><p>molto gradito per il bel modo di colorire, e girare di te- sta ‘Paragone’.<sup style="top: -0.3563em;">9 </sup></p><p>ste»,<sup style="top: -0.3562em;">4 </sup>così che molti dei suo dipinti sono finiti nel tempo </p><p>Queste ricerche hanno permesso di restituire al Cer- </p><p>-</p><p>nel catalogo di altri pittori più noti tra i quali, in parti- rini, tra le altre, anche la grande tela col <em>San Girolamo</em>, </p><p>colar modo, Simone Cantarini e Francesco Romanelli. oggi nella Certosa di Firenze (FIG. 1),<sup style="top: -0.3562em;">10 </sup>dove il santo ere- </p><p>La riscoperta critica è, dunque, cosa recente e al pittore </p><p>mita è ricalcato sul modello della tela in esame come, </p><p>perugino si è cominciato a guardare con crescente inte- anche, quello nel dipinto nella chiesa di San Paolo del </p><p>resse solo dopo l’articolo pioneristico di Evelina Borea Collegio del Preziosissimo Sangue ad Albano (FIG. 2).<sup style="top: -0.3562em;">11 </sup></p><p>del 1978.<sup style="top: -0.3562em;">5 </sup>Al pittore è stata, quindi, dedicata una mostra,<sup style="top: -0.3562em;">6 </sup>La tela ottagonale e quella oggi presso la Certosa di Fi- </p><p>e numerose sue opere sono apparse nell’esposizione al- renze mostrano, infatti, il santo in posa quasi speculare, </p><p>lestita presso il Complesso Monumentale di San Pietro </p><p>come se il pittore perugino le avesse concepite a breve </p><p>a Perugia (dove un particolare della sua <em>Sacra Famiglia </em>distanza l’una dall’altra. </p><p><em>con sant ’ Anna e san Giovannino </em>della Galleria Nazionale </p><p>dell’Umbria di Perugia ha guadagnato la copertina del </p><p>catalogo).<sup style="top: -0.3563em;">7 </sup></p><p>Se non fosse per qualche particolare assente dalla </p><p>tela, si sarebbe tentati di identificare questo <em>San Girolamo </em></p><p>(la cui forma poligonale denuncia una antica provenien- </p><p>Formatosi a Perugia, alla scuola di Gianantonio za collezionistica fiorentina) con la tela perduta di stes- </p><p>Scaramuccia,<sup style="top: -0.3562em;">8 </sup>dove si esercitava nel «colorire, e copia- so soggetto citata negli inventari medicei (Guardaroba </p><p>re» e in «qualche operetta d’invenzione», a Cerrini è sta- 1222, <em>Inventario della collezione del Gran Principe Ferdinan- </em></p><p>to associato storicamente un alunnato bolognese presso </p><p><em>do de’ Medici</em>, 1713): «Un simile alto b. 2 e 1/3 largo b. 1 e s. </p><p>Guido Reni, non confermato dalle fonti. È però indub- 18, dipintovi di mano del suddetto San Girolamo a sede- </p><p>bio che il pittore perugino, giunto a Roma (la sua prima re con manto rosso sulle spalle e petto nudo che con la </p><p>opera certa è l’<em>Apparizione della Trinità a Santa Maria </em>mano sinistra tiene la testa di morte e la destra poggiata </p><p><em>Maddalena de’ Pazzi</em>, nel transetto destro in Santa Maria al petto, sta in atto di leggere un libro aperto con ador- </p>
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