Menchelli-Buttini 2

Menchelli-Buttini 2

FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 112v, bb. 29-41 1 Le prerogative dell’inciso iniziale vengono esaurite in A e nella sezione centrale B, nel primo caso anche tramite una contrazione del ritmo melodico e armonico conseguente al singolare incastro fra il soprano e i primi violini, cui si affida la versione più aspra con il salto conclusivo, da ripetersi poi insistentemente sulla coloratura di «sfortunata», appresso il piccolo colpo di scena dell’entrata forte in anticipo dei primi violini (b. 79) che trascina con sé la voce, badando forse di evitare un’eccessiva monotonia: peraltro, già «temo il periglio» (bb. 73-74) assume rilievo dal gesto inatteso della scala discendente, sottolineato col mutare altrettanto improvviso del corteggio armonico e tramite il breve disporsi dei primi violini colla parte. Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Non ho più core, I-Vnm, Cod. It. IV.482, cc. 113v-114r, bb. 67-74 e 78-86 – 496 – – 10 di 21 – HASSE E VIVALDI II. Nel secondo atto dell’Alessandro nell’Indie l’imprevista notizia della morte dello sposo costituisce l’ulteriore peripezia della regina Cleofide, totale rovesciamento rispetto alla precedente manifestazione di clemenza di Ales- sandro verso Poro. Forse proprio il subbuglio espresso nel recitativo Che mi giovò sull’are, confacente a un’intonazione con strumenti, nel 1736 consigliò per l’aria d’entrata Se il Ciel mi divide la sostituzione con versi più energici e vibranti come quelli di Il regno, il consorte (II.13), ma nel medesimo metro del senario regolarmente accentuato con misura dattilica, traendo dall’originale l’antitesi «vita-morte» (da «viver-morir») e l’ipotetica «Dell’idolo mio / se il Cielo mi priva» (da «Se il Ciel mi divide / dal caro mio sposo»). Reinhard Strohm inoltre rileva l’intima connessione col recitativo, di cui le righe «Il regno, il consorte, / la pace perdei; / la vita mi resta, / ma questa di morte / più dura è per me» evocano «Lo sposo, il regno, / misera! già perdei; / si perda ancora / la vita che 17 m’avanza». Il nuovo testo spinge in direzione dell’aria parlante, cioè di un «morceau d’expression, d’agitation, un air qui exprime la passion par des moyens différens, par des mots, par exemple, entrecoupés, par des soupirs 18 élancés, avec de l’action, du mouvement», nel quale far eccellere le doti canore e attoriali di Vittoria Tesi Tramontini, attingendo al medesimo modello di un’aria vivaldiana scritta qualche anno prima per Anna Giraud, La madre, lo sposo del Farnace (Mantova, 1732), lo stesso che La figlia, lo sposo del Motezuma (Venezia, 1733) oppure ancora Se parto, se resto del Catone in Utica (Verona, 1737): non è dunque per una mera stravaganza se Il regno, il consorte si conserva 19 nell’allestimento ferrarese. 17 REINHARD STROHM, The Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, p. 610. 18 La celebre citazione contenuta nella pagina dei Mémoires che descrive il primo incontro con Vivaldi è tratta da CARLO GOLDONI, Tutte le opere, a cura di Giuseppe Ortolani, vol. I, Milano, Mondadori, 1954, p. 165. A p. 722 si trova la versione pubblicata da Goldoni nella prefazione al tomo XIII dell’edizione Pasquali delle proprie opere. 19 Le successive citazioni sono tratte da PIETRO METASTASIO, Drammi per musica, a cura di Anna Laura Bellina, vol. I (Il periodo italiano, 1724-1730), Venezia, Marsilio, 2002, p. 487; L’ALESSANDRO / NELL’ INDIE. / Dramma per Musica / DA RAPPRESENTARSI / Nel Famosissimo Teatro Grimani – 497 – – 11 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Vi è poi per la veste musicale una tradizione suggestiva che guida in La figlia, lo sposo (Allegro molto, C, Do minore) la scelta della tonalità d’impianto, l’esordio in levare, la tendenza a dividere il senario in due trisillabi mediante la 20 pausa, l’approdo alla parallela maggiore coincidente con una climax melodica. / di S. Gio: Grisostomo / Nel Carnovale dell’Anno 1736. / DEDICATO / A SUA ECCELLENZA IL SIGNOR / MARCHESE BOTTA / Tenente Generale di S. M. / C. C. ec. ec. ec. / IN VENEZIA, MDCCXXXVI. / Per Marino Rossetti. / CON LICENZA DE’ SUPERIORI. pp. 53-54; MOTEZUMA / DRAMA PER MUSICA / Da rappresentarsi / NEL TEATRO / DI SANT’ANGELO / Nell’Autunno dell’Anno 1733. / IN VENEZIA, / Appresso Marino Rossetti, in Merceria / all’Insegna della Pace. / Con Licenza de’ Superiori. p. 46. 20 La tipologia è discussa in REINHARD STROHM, Italienische Opernarien des frühen Settecento (1720- 1730), 2 voll., «Analecta Musicologica», 16, Colonia, Volk, 1976 , vol. I, pp. 63-65, 240-241. – 498 – – 12 di 21 – HASSE E VIVALDI Antonio Vivaldi, Motezuma (1733), La figlia, lo sposo, D-Bs, SA 1214, c. 75r, bb. 7-12 Lo stesso genere di attacco spezzato qualifica le prime battute di Che furia, che mostro (III.4, Allegro assai, ¢, Mi bemolle maggiore) del Siroe, re di Persia (Bologna, 1733) di Hasse, con impeto culminante all’inizio della parte centrale in una lenta catabasi di quasi due ottave su sette battute, esasperata dal ‘ritar- dando’ conclusivo, figura della folle e improbabile discesa agli inferi con cui l’interprete, ancora la Tesi Tramontini, doveva sprigionare tutta l’aggressiva 21 disperazione della protagonista Emira. Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Che furia, che mostro, A-Wn, Hs 17256, bb. 22-26 21 Un commento all’opera e all’aria è offerto in REINHARD STROHM, L’opera italiana nel Settecento, cit., pp. 200-213: 210. – 499 – – 13 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Che furia, che mostro, A-Wn, Hs 17256, bb. 107-114 In circostanze di analoga instabilità emotiva «Fra tanti pensieri / di regno ed amore» (I.3, Piuttosto andante, ¢, Sol maggiore) di Cleonice nel Demetrio di Hasse applica in tempo più lento la variante altrettanto canonica della sincope al posto della pausa, cioè un segno d’amplificazione / unificazione di contro al frammento, quasi giocando con le due alternative della scrittura nella parte centrale (si confronti il canto con i primi violini), probabilmente in nome di un principio di varietà e d’intensificazione, cui pure si adeguano nelle bb. 111-113 la maggiore consistenza dei ritmi lombardi, l’utilizzo dell’accordo di settima diminuita e la subitanea deviazione armonica per rendere le oscillazioni del conflitto interiore nel verso «risolvo, mi pento». Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Fra tanti pensieri, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 21r, bb. 25-29 – 500 – – 14 di 21 – HASSE E VIVALDI Johann Adolf Hasse, Demetrio (1732), Fra tanti pensieri, I-Vnm, Cod. It. IV.482, c. 24r, bb. 108-113 Il regno, il consorte avrebbe facilmente obbedito a queste convenzioni, specie se osserviamo come il declamato del recitativo Che mi giovò sull’are si organizza nelle bb. 19-21, ed invece imbocca una strada diversa. Ma procediamo con ordine. Nel rapporto voce/accompagnamento che contraddistingue il recitativo Che mi giovò sull’are, dove il canto è preferibilmente interpunto dalle scale degli archi, si coglie una progressione del pathos e si lascia spazio al gesto scenico della cantante: Johann Adolf Hasse, Alessandro nell’Indie (1736), Che mi giovò sull’are, GB-Lbl, Add. 30838, c. 128v, bb. 19-21 Una simile mescolanza di dramma e di musica raggiunge l’effetto ma è tipica della forma dell’accompagnato e talvolta pertiene persino all’aria, come testimoniano in Hasse – con il dato aggiuntivo dell’esecuzione all’unisono – il recitativo Tu, barbaro, tu piangi! E chi l’uccise? in III.4 del Siroe, re di Persia (Bologna, 1733), e l’ultima aria del primo atto del Gerone, tiranno di Siracusa (Napoli, 1727), Sì... verrò... ma come... oh Dio!, che illustra lo stato estremo di Clotilde/Giustina Turcotti dinanzi alla sconfitta dello sposo mediante l’ingresso vocale declamatorio, allusivo al parlato attraverso i lembi ridotti del canto, le pause, gli interventi strumentali, ma dopo il ritornello, che parrebbe acquistare quasi la valenza di un piccolo preludio. – 501 – – 15 di 21 – FRANCESCA MENCHELLI-BUTTINI Johann Adolf Hasse, Siroe, re di Persia (1733), Tu, barbaro, A-Wn, Hs 17256, bb. 8-11 Johann Adolf Hasse, Gerone, tiranno di Siracusa (1727), Sì... verrò... ma come... oh Dio!, A-Wn, Hs 17280, bb. 11-13 Il passaggio in Alessandro all’aria Il regno, il consorte convoglia l’agitazione di Cleofide nel moto all’unisono delle crome disposte a due a due, in cui si percepiscono l’effetto della sincope, che vela una scala ascendente, e l’assimilazione di movenze strumentali, a guardare per esempio i violini nel ritornello e nell’accompagnamento dell’aria della Griselda, Scocca dardi l’altero tuo ciglio (Ottone, II.7, Allegro molto, C, Do maggiore), col supplemento della 22 direzione contraria del basso. 22 Il modello più comune prevede invece che l’accompagnamento diminuisca il canto coi sedicesimi, come ad esempio in Agitata è l’alma mia della Didone abbandonata di Sarri riadattata dall’autore per Venezia nel 1730 (cfr. REINHARD STROHM, Italienische Opernarien des frühen Settecento, cit., vol. II, es. mus. 89). Quasi un trentennio appresso, la splendida messa di voce di Parto; ma tu, ben mio nell’ultima versione della Clemenza di Tito di Hasse (Napoli, 1759), su un Re costante di cinque battute, lascia attendere per un istante la discesa unisona dell’orchestra e poi il moto dei sedicesimi dei violini, legati appunto a due a due e con l’appoggiatura. – 502 – – 16 di 21 – HASSE E VIVALDI Antonio Vivaldi, Griselda (1735), Scocca dardi l’altero tuo ciglio, bb. 20-25, da Eric Cross, The Late Operas of Antonio Vivaldi, cit., vol. II, pp. 237-238 Il culmine in Hasse viene raggiunto sulla piccola accelerazione conclusiva eccedente la giusta proporzione verso la decima superiore, declamando quasi d’un fiato con slancio carico di tensione, prima di distendersi sulla ripresa del concetto determinante «la pace perdei».

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