Luigi Pirandello e Peppino de Filippo Pasquale Sabbatino Riassunto: Nella ricca produzione teatrale di Peppino De Filippo, per la quale alla luce dei recenti studi e rinvenimenti è auspicabile una nuova stagione filologica, vengono analizzate le riduzioni napoletane di Liolà e Lumie di Sicilia (LL’uva rosa) di Pirandello. Gli interventi di Peppino sul testo pirendelliano risultano finalizzati non solo all’adattamento degli ambienti alla realtà napoletana, ma soprattutto a una personalizzazione delle messinscena, che in particolar modo nella caratterizzazione dei personaggi risente della sensibilità e del vissuto umano dell’autore partenopeo. 1. Il progetto editoriale di Farse e Commedie e la stagione della filologia La fortuna editoriale delle opere teatrali di Eduardo presenta una parabola sempre più montante, dalla Cantata dei giorni dispari (1951), che raccoglie le commedie dal dopoguerra in poi, e dalla Cantata dei giorni pari (1959), che ospita i testi antecedenti, all’edizione, ancora presso Einaudi, curata da Anna Barsotti, che mantiene la successione Cantata dei giorni dispari (1995) e Cantata dei giorni pari (1998), fino alla significativa inversione, nei Meridiani di Arnoldo Mondadori, del Teatro, I. Cantata dei giorni pari (2000) e II. Cantata dei giorni dispari (tomo 1, 2005; tomo 2, 2007), a cura di Nicola De Blasi e Paola Quarenghi. La fortuna editoriale delle opere teatrali di Peppino, invece, è limitata a un ventennio circa, dal 1964 al 1985. Si va dalla I ed. di Farse e Commedie (Napoli, Alberto Marotta, 1964, 2 voll.) alla II ed. “riveduta e ampliata” (Napoli, Alberto Marotta, 1971, 4 voll.). L’edizione postuma, che reca la dicitura “3a edizione rive- duta e ampliata” (Napoli, Tommaso Marotta, 1984–1985, con due post-fazioni di Lelia Mangano De Filippo e Tommaso Marotta), è il risultato di un’operazione commerciale tendente a lanciare “un Peppino tascabile,” con la suddivisione dei quattro grandi volumi della II ed. in 12 piccoli volumi, con qualche spostamento nella successione e con il taglio di cinque testi nella già ridotta sezione delle opere scritte in collaborazione e nell’ambito delle riduzioni (…Ma c’è papa! commedia in tre atti di Peppino e Titina De Filippo, Il simulatore tre atti in cinque quadri di Quaderni d’italianistica, Volume XXXVI n. 1, 2015, 193–232 Pasquale Sabbatino Peppino De Filippo e Rino Albertarelli, Quelle giornate! commedia in due parti e quattro quadri di Peppino De Filippo e Maria Scarpetta, Caro nome… commedia in due parti e quattro quadri di Peppino De Filippo e Maria Scarpetta, Aulularia. La pentola del tesoro di Plauto, riduzione in due parti di Peppino De Filippo da una traduzione di Giulio Pacuvio). Da allora, sui testi teatrali di Peppino, tranne qualche isolata e poco signi- ficativa iniziativa,1 cala il sipario. Da oltre vent’anni le opere teatrali di Peppino non vengono più pubblicate, con l’inevitabile riduzione dei lettori di Peppino, il quale continua ad essere fruibile solo nelle sale teatrali e nei circuiti televisivi da spettatori e telespettatori. Le linee, che Peppino ha seguito nel realizzare la raccolta Farse e Commedie, sono chiaramente enunciate nel carteggio epistolare con Paolo Ricci,2 il quale non solo fa da tramite tra l’autore e l’editore Alberto Marotta, ma viene anche scelto espressamente da Peppino come amicale e autorevole “guida” editoriale. Nella lettera dattiloscritta, con firma autografa, datata Roma, 18 giugno 1964, Peppino lamenta il silenzio dell’editore sul contratto, che pure andrebbe discusso “prima di mettere in mezzo un lavoro così complicato e faticoso come quello della pubblicazione di un volume di commedie.” Nonostante questo par- ticolare, Peppino lascia intendere di aver lavorato, per cui “tutto il materiale è pronto” e non gli rimane “che spedirlo.” Nella stessa missiva Peppino rimanda ad altri tempi (“Facciamo prima una cosa poi ne mettiamo in mezzo un’altra”) due proposte fatte da Ricci (la pubblicazione di una biografia e la pubblicazione del “piccolo romanzo” Il giro del mondo a piedi, sette capitoli in dieci puntate apparse nel settimanale “Ruota di Napoli,” tra il 29 aprile e il 29 luglio 1933)3 ed esprime la sua idea di fondo: Io penso, sotto tua correzione, ad un volume di commedie nello stile e carattere più semplici che siano possibili. I miei disegni, come illustrazioni, possono andar bene, ma non ci metterei altro. 1 È il caso della raccolta Tutto Peppino…. Cfr. Addesso, “Per una ricostruzione bibliografica di Peppino De Filippo ‘autore,’” in Peppino De Filippo, 465. 2 Sul carteggio cfr. Caro Peppino, particolarmente 27–31 e 47–89 (Catalogo della mostra). La corrispondenza tra Peppino e Paolo Ricci è conservata nel Fondo Paolo Ricci presso l’Archivio di Stato di Napoli cfr. Inventario a cura di Iacuzio e Terzi, Napoli: Sebezia, 2008. 3 Cfr. D’Ambrosio, “Il giro del mondo a piedi…,” in Peppino De Filippo e la comicità nel Novecento,121–62. — 194 — Luigi Pirandello e Peppino de Filippo Ipotizza anche di inserire “una breve presentazione di un critico teatrale qualificato” oppure “un brevissimo scritto” informativo sulle opere. Nel caso in cui ci si orientasse per la prima soluzione, conclude Peppino, “non invito te a scrivere la presentazione, perché so, che in coscienza, tu non sei troppo d’accordo sul mio genere di teatro ‘italiano.’” Nella lettera in risposta, datata Napoli, 23 giugno 1964, Ricci dà infor- mazioni sulla programmazione dell’editore, che nel frattempo ha già “spedito il contratto” (o almeno così crede Ricci). Egli prevede la pubblicazione di “due volumi” (e non più di uno), che avranno “un carattere semplice e chiaro,” come voleva anche Peppino, con una raccolta complessiva di “una ventina di comme- die.” I disegni di Peppino avranno una funzione di “integrazione e commento al testo” e “renderanno l’opera unitaria e criticamente precisa.” Per quanto riguarda l’inserimento di uno “scritto introduttivo” firmato da un critico, Ricci mostra il suo disaccordo, “perché ciò non è corretto, trattandosi di un repertorio attivo e per di più interpretato direttamente dall’autore,” e spinge per una “avvertenza” dell’autore, in cui esibire in modo essenziale notizie “sulle varie commedie, data di esecuzione, qualche ricordo.” Nel chiudere la lettera, Ricci interviene sul genere di teatro italiano di Peppino, precisando che il suo non è tanto un disaccordo, come ipotizza Peppino, ma una “riserva” — e qui Ricci fu profeta — su quello che la scelta del teatro italiano comporta, come l’esclusione dal repertorio di opere “scritte in dialetto,” da Peppino stesso o da altri. E infatti così avvenne. La riserva nasce dalla convinzione di Ricci “che in Italia, il teatro più vivo è proprio quello dialettale (Ruzzante, Goldoni, Viviani e… i De Filippo).” E ag- giunge: “Dialetto, d’altra parte, non significa limitazione di contenuto, né signifi- ca modestia e angustia di linguaggio (basterebbero grandi poeti come Belli, Porta, Di Giacomo, Viviani a dimostrare esattamente il contrario).” Nella lettera di Peppino (Roma, 27 giugno 1964), il ruolo di Ricci in que- sta prima edizione delle opere teatrali viene delineato senza mezzi termini come “guida” che dà sicurezza lungo il cammino editoriale e sull’esito finale, una “ef- ficacissima” pubblicazione, che potrebbe apparire entro Natale come strenna. La diversità di opinioni, infine, sulla scelta del teatro italiano fatta da Peppino e sulla vitalità del teatro dialettale sostenuta da Ricci, non graffia minimamente “l’amici- zia,” sia perché sono opinioni “tutte e due rispettabili,” sia perché “in un modo o in un altro” si fa sempre “del ‘buon teatro.’” Infine, il 5 settembre 1964, Peppino informa Ricci di aver inviato “da tempo” all’editore “tutto il materiale occorrente” per la stampa dei due volumi. — 195 — Pasquale Sabbatino Nella Nota editoriale, che accompagna la I ed. di Farse e Commedie, la selezio- ne dei testi viene raccordata alla necessità di fornire “i titoli dei lavori che l’Autore ha più frequentemente riproposto al pubblico; e per i quali, quindi, si sentiva più forte l’esigenza di avere il copione a stampa.”4 Non ci si trova, dunque, di fronte all’arca di Noè ovvero all’arca di Peppino, contenente tutto quello che l’autore vuole salvare dal diluvio universale dell’oblio, ma solo di fronte a una prima tappa, cui seguirà auspicabilmente una seconda tappa, “un prossimo futuro volume,” nel quale saranno raccolte, si legge, “le altre commedie, che hanno peraltro tutte una loro ragion d’essere e sono state accolte dal vivo gradimento del pubblico e della critica.”5 La prima ed. di Farse e Commedie, allora, nasce come un’opera aperta e in crescita, nella quale potranno trovare collocazione e sistemazione, lungo l’asse cronologico, anche altri testi teatrali di Peppino, in parte elencati nella Nota edito- riale, e suddivisi tra dispersi (ben quattro copioni)6 e inediti (articolati in quattro gruppi: rappresentati, non rappresentati, scritti in collaborazione e atti unici tele- visivi in collaborazione).7 All’altezza cronologica del 1964, dunque, il corpus delle opere teatrali è costituito da cinquantasei copioni firmati solo da Peppino (ventitré raccolti in Farse e Commedie, ventinove inediti, quattro dati per dispersi) e undici cofirmati (cinque in collaborazione e sei atti unici televisivi in collaborazione). Con il senno di poi, la Nota editoriale, che costituisce un primo e provvisorio catalogo della produzione teatrale, appare una nota programmatica. Non a caso nella II ed. “riveduta e ampliata” di Farse e Commedie, in quattro volumi, si compie un decisivo passo in avanti, con l’aggiunta (nei primi tre volumi) di ventuno testi, che la Nota editoriale del 1964 aveva segnalato nel gruppo degli inediti, e con l’ul- teriore aggiunta (nel vol. 4) di sette opere scritte in collaborazione, di cui quattro erano indicate nella stessa Nota. La III ed., postuma, che sembra segnare il passo, invero retrocede con l’esclusione di alcune opere scritte in collaborazione.
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