10 Novembre 2007 Un Grande Amore Francescano.Qxp

10 Novembre 2007 Un Grande Amore Francescano.Qxp

Prologo Primo C’era Una volta...ovvero le favole non esistono C'era una volta….Così cominciava l’ultima versione di que- sto libro, che ha avuto una gestazione curiosa, partecipe sia della favola che della realtà. L’aspetto favolistico era rappresentato dalla promessa, più volte fattami, direttamente, in privato ed in pubblico, di una bene- ficenza “letteraria”; il promittente si era impegnato, ed aveva impegnato me, che avevo impegnato tanti altri, a sostenere il costo del libro. Pensate, aveva detto che sarebbe stata una cosa in grande..parlando, addirittura, di migliaia di copie! Mi sentivo inondato di pagine e di invidia. Non rideteci tanto, ma alcuni individui, avendo appresa la notizia della futura elargizione, mi invidiavano già! Allora è vero che l’invidia alligna facilmente, anche sulle semplici promesse! La ricchezza non ci sarebbe stata, lo sapevo e lo so; il benes- sere nemmeno, ma il libro sarebbe stato regalato a migliaia di persone,consentendo, in conseguenza, di far conoscere un picco- lissimo spicchio del mondo francescano da me conosciuto. Voi sapete bene che nelle favole esistono, paradigma della vita, degli ostacoli da superare, dei mali, spesso; anche in questo caso, si verificò un primo incidente di percorso: il libro non sarebbe stato pubblicato più ad Agosto, per la festa del Perdono, ma..a Natale, come strenna; gradita o meno che fosse (a caval donato non si guarda.. in bocca!). Nel frattempo, proprio per essere anticipatamente ricono- scente nei confronti di chi aveva promesso cosi tanto (dando, tut- tavia, fino ad allora, nulla), e per trovargli spazio, (i limiti della 7 nostra libertà!) avevo deciso di raccontare meno della mia vita e più di lui. Non era stata una decisione spontanea e sentita, ma quasi un sollevamento familiare contro quella che fu definita una irrilevante e tutto sommato mia mania di raccontare di fatti altrui, dinanzi alla necessità di ottenere un contributo vitale. Dinanzi a quella promessa di contributo, avrei dovuto piega- re il libro alle esigenze economiche, sembravano dire i miei con- siglieri. In verità, nonostante io riscrivessi il libro continuamen- te, fino a farne sette bozze, non mi piaceva; non lo sentivo del tutto mio; non era tutto quello che avrei voluto raccontare io; e si sentiva, infine, l’assenza di emotività passionale in quelle forza- ture narrative. Avevo fatto rifare anche le copertine, mutando titolo e colo- re; ma qualcosa non funzionava. Sarà stata, forse, l’assenza di concretezza monetaria e il dubbio, che si faceva sempre più spa- zio, che, forse, quei soldi non sarebbero mai arrivati. Mano a mano che il tempo passava, senza che l’orizzonte portasse sole di primavera , era ormai giunto l’autunno, mese nel quale, da secoli, cadono le foglie. Nel mio caso, cominciarono a cadere le basi, abbastanza fragili, delle speranze. Prima che il ter- reno fosse coperto di speranze morte, accartocciate, mio fratello Cesare, francescano, per il quale il promittente diceva di nutrire anmmirazione, ed io, avevamo deciso di recarci a casa del bene- fattore linguistico (nel senso che tutto, fino ad allora, aveva fatto con la lingua), nella speranza di tornarcene a casa con qualche foglio di filigrana o qualche altro strumento di pagamento accet- tato in tutta Italia. Ma.. nonostante la la celebrazione della Messa, da parte di Padre Cesare,e l’ulteriore promessa di un acconto, che sarebbe stato inviato a breve, erano arrivate solo le prime piogge e i primi freddi. Avendo fretta di pubblicare il libro, snaturato, in verità, nella sua ispirazione originaria, e non avvertendo alcun segnale positivo da parte di chi aveva creato entusiasmi sulla quantità di copia da fare stampare, chiamai quell’entusiasmatore per cono- 8 scerne le intenzioni. E sapete come è andata a finire? Ve lo dico subito, cosi non state in ansia. Il teorico dispensiere, che avrebbe dovuto fare la magia di sostenere il costo del libro, dopo ben otto bozze e varie conversazioni, e dopo che si era già diffusa la voce sulla sua beneficenza, in verità mai quantificata, mi disse, da vici- no (ma c’erano state nuvolaglie telefoniche) che sarebbe stato opportuno fermare tutto, rinviando la pubblicazione a data da destinarsi. L’autunno era in pieno svolgimento; e pioveva, quel giorno. Vi risparmio i particolari sull’ambiente circostante e sull’at- mosfera lugubre che che aveva pervaso le mie orecchie. Cosi vi risparmio sulla ulteriore promessa fatta. Questo aspetto, che, come vi ho detto, attiene alla favola possibile, si è poi intrecciato con la realtà delle rocce, contro le quali non si può combattere, perché si rischia di farsi male. Avevo superato, infatti, la delusione (una leggerissima ferita ad un entusiasmo provocato da altri) della mancata magìa mone- taria. Consegnai, finalmente, l’ultima bozza del libro, convinto della ormai certa pubblicazione. Ma.. (questa la realtà) l’editore mi comunicò, con chiarez- za, che alcuni passi su Padre Bergamaschi non erano stati visti bene, in positivo, cioé, da due suoi consiglieri; secondo costoro, la valenza del Padre sarebbe stata sminuita, addirittura, dal mio racconto. E, quindi, non mi avrebbe dato il marchio della sua casa editrice. Un sorriso invase la mia mente; un sorriso che andò a posar- si sulla prima ferita, che si era, per fortuna, rimarginata, aiutata dai dubbi che sin dall’inizio avevo avuto, sulla necessità di modi- ficare la struttura del libro per fare spazio ad una persona che non conoscevo a fondo. Quanto è vero il detto che non tutti i mali vengono per nuo- cere! Libero dalle restrizioni alla libertà, sono tornato alla primi- genia stesura del libro, che aveva lo scopo accennato in esso. Questo libro, cioé, voleva e vuole raccontare del mio amore verso 9 il mondo francescano; e di alcuni frati che ho avuto la fortuna di incontrare nel mio percorso di vita. Non vi sono, nè si ha prete- sa che le abbia, mire commerciali. Ho voluto strutturare il libro secondo uno stile quasi cinematografico, corredando il testo di alcune foto, perchè la lettura risulti leggera e i luoghi appaiano animati. So bene che non si usa dotare i testi di foto, ma il mio è un racconto particolare, un atto di amore verso alcune persone, frati, che si sono sedimentati nella mia anima, consentendomi di resi- stere agli uragani della vita. Infine, per cercare di rendere più piacevole l’insieme, ripub- blico, integrati e arricchiti, alcuni racconti, in qualche modo lega- ti al mondo francescano. La vera favola, se mai se ne possa par- lare, sarebbe quella di un avvicinamento di persone alla umiltà ed alla concezionedivita francescana 10 Secondo Prologo Non avrebbe senso raccontarvi dei frati se non vi raccontas- si anche di me, e del mio amore francescano; se non vi dicessi dove e come li ho conosciuti, i frati che mi hanno fatto crescere, e maturare, e dei quali conservo, a distanza di anni, l’impronta francescana. E quindi, dovete per forza seguirmi per un buon trat- to di strada, che va dalla mia entrata in Collegio a Reggio Emilia. Ho strutturato il libro, come dicevo, illustrandolo in alcune parti, per farvi respirare e farvi capire dove si svolgevano i fatti di cui scrivo: nessuna pretesa di originalità, ci mancherebbe, ma non sarebbe male che anche i romanzi venissero, a volte, illustra- ti, come dei fotoromanzi. Orbene, nonostante il dispiacere di una conferma, di come, cioé, la realtà sia molto diversa dalle parole e da qualsiasi procla- mazione sulle libertà di cui tutti godono, e penso che sia davvero ora di cominciare il racconto di questo cammino lungo il quale ho conosciuto i miei Frati. 11 12 Capitolo I I Miei anni in collegio: da Pietrafitta a Tropea Allora, anche se la notizia non è di vostro interesse, sono stato in collegio per cinque anni, nel collegio di Pietrafitta, che si trova in provincia di Cosenza; avevo dieci anni quando arrivai, dopo quasi tre ore di viaggio, nel piazzale del collegio. Ero stato accompagnato da mio padre, ed eravamo stati accolti dal rettore e dal Maestro di disciplina; in collegio c'era già mio fratello, Cesare, entrato due anni prima, che faceva parte della categoria dei grandi, cioè quelli dai tredici ai quindici anni. Dopo la visita degli spazi destinati ai fratini, il Maestro di Disciplina aveva illu- strato a tutti coloro che erano arrivati, raccolti in gruppo, nel salone dello studio, le regole del collegio: ore sei, sveglia; pulizia perso- nale (in silenzio); subi- to dopo, rifare il proprio letto; quindi, preghiera e messa; cola- zione, e via.. a.. scuola! Alle 15, dopo il pranzo e la ricreazione, tutti nella stanza dedicata allo studio per circa due ore; intervallo per la merenda e ricreazione per una mezzora; poi ancora studio, fino a circa le diciannove; breve preghiera e cena. Brevissima ricreazione.. e.. a letto! Sotto la sorveglianza dei prefetti e dei frati. 13 I locali del convento erano vietati allo sguardo dei fratini; così come i locali destinati alle suore; i fratini non avrebbero dovuto avere contatti con altri esterni; vi era una rigida separazio- ne (che allora io non comprendevo) tra ragazzi piccoli e ragazzi grandi, per evitare promiscuità "pericolose". Nel corso delle passeggiate settimanali (quasi sempre lungo la strada, non frequentata, che porta al cimitero di Pietrafitta) non avrebbero dovuto guardare, ovviamente, le ragazze; insomma non avrebbero dovuto "distrarsi", per non cadere in tentazione. Quell'anno erano approdati, in Collegio, quasi settanta ragazzi, provenienti da tutte le province della Calabria. I collegi e i seminari supplivano, a quei tempi, alle carenze dello Stato.. si entrava in collegio per studiare, più che per diven- tare sacerdoti. Il collegio era un luogo di crescita, culturale, e di discipli- na; nei collegi, anche i poveri avrebbero potuto avere il respiro della dignità.

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