MIMESIS / CINEMA N

MIMESIS / CINEMA N

MIMESIS / CINEMA n. 50 Comitato Scientifico: Raffaele De Berti, Università degli Studi di Milano Massimo Donà, Università Vita-Salute San Raffaele Roy Menarini, Alma Mater Studiorum Università di Bologna Pietro Montani, Università “La Sapienza” di Roma Elena Mosconi, Università Cattolica di Milano Pierre Sorlin, Università Paris-Sorbonne Franco Prono, Università degli studi di Torino Andrea Mariani GLI ANNI DEL CINEGUF Il cinema sperimentale italiano dai cine-club al Neorealismo MIMESIS Dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale - DIUM dell’U- niversità degli Studi di Udine. MIMESIS EDIZIONI (Milano – Udine) www.mimesisedizioni.it [email protected] Collana: Cinema, n. 50 Issn 2420-9570 Isbn: 9788857540443 © 2017 – MIM EDIZIONI SRL Via Monfalcone, 17/19 – 20099 Sesto San Giovanni (MI) Phone: +39 02 24861657 / 24416383 INDICE Introduzione 9 Paralipomeni a Cinema Sperimentale (1937) 23 La Politicizzazione del cinema sperimentale 67 L’estetica del cinema sperimentale 139 Mappare il cinema sperimentale: Circuiti, littoriali, mostre ed esposizioni 199 I film individuati e recuperati 223 Cinema sperimentale 1930-1943 229 Indice degli articoli citati (per anno) 247 Bibliografia di riferimento 255 A mio padre, instancabile sperimentatore INTRODUZIONE Questo libro è dedicato a una pratica cinematografica giovanile che emerge e si definisce nel corso di poco più di un decennio, in Ita- lia durante il fascismo: il cosiddetto “cinema sperimentale”. Tuttavia quella che seguirà non sarà semplicemente, né esclusivamente, una storia del cinema sperimentale italiano “dai cine-club al Neorea- lismo”, piuttosto una proposta metodologica, teorica e critica, che prenderà le mosse dagli oggetti sopravvissuti di tale esperienza: ov- verossia i film sperimentali. Parlando cautamente di un “cosiddetto” cinema sperimentale, riconosciamo implicitamente un imbarazzo legato a una definizione che in termini storico-critici può creare fraintendimenti o confusione. D’altra parte già Dominique Noguez nel suo classico Eloge du cinéma expérimental esprimeva tutta la dif- ficoltà nel collocare criticamente e storicamente una tale categoria, tanto da negarla paradossalmente o “derridianamente”. Tuttavia nel nostro caso non restiamo in quel ordine di difficoltà, imbarazzo o paradosso. Il cinema sperimentale che tratteremo è un cinema che si è definito chiaramente e ripetutamente e forse non ha mai smesso di riqualificarsi, a partire dall’istituzionalizzazione del cinema ama- toriale all’interno delle strutture dei Gruppi Universitaria Fascisti. Nel corso del volume dettaglieremo variamente la definizione di “sperimentale” che andava formandosi in seno alle Sezioni ci- nematografiche dei Gruppi Universitari Fascisti: va da sé che il ci- nema sperimentale di cui stiamo parlando è precipuamente quello prodotto dai Cineguf. La storiografia dei Guf e poi in particolare dei Cineguf può dir- si finora caratterizzata da due sostanziali schieramenti, non così netti ed esplicitamente contrapposti, ma certamente carichi di un approccio storiografico prima e ideologico poi, che contribuiscono a caratterizzarli differentemente. Tra i più recenti e sistematici studi in questo ambito vanno cer- tamente nella direzione di un’ipotesi “critica” gli studi di Luca La 10 Gli anni del Cineguf Rovere, prima sull’intero sistema dei Gruppi Universitari Fascisti, poi brevemente sui Cineguf1; sulla stessa linea possiamo collocare l’ipotesi di Silvio Celli2. Entrambi forti di un potente e rigoroso apparato documentale, insistono sull’importanza di un approccio orientato prima di tutto all’esegesi dei documenti: ridimensionando il peso della memoria- listica, sembrano sostenere una lettura critica del fenomeno, an- che se non esplicitamente revisionista, dove l’adesione ideologica è discussa e distanziata a partire dalla fitta rete discorsiva evocata dall’imponente ricostruzione documentale3. L’ipotesi non vuole affatto essere definitiva o perentoria: gli sto- rici in questo caso insistono piuttosto sull’importanza di un diver- so e più scrupoloso approccio metodologico nella lettura ideologi- ca che si vuole dare al fenomeno. L’uscita del libro di Luca La Rovere sulla storia dei Guf nel 2003, provocò la reazione piuttosto risentita di un cinegufino d’eccezio- ne: Mario Verdone. Ne prese spunto per un saggio programmatico dal titolo “Per una storia dei Teatriguf e dei Cineguf”, basato per lo più sulla sua esperienza personale e degli altri aderenti al Guf. Senza mezzi ter- mini Mario Verdone scrive: Il libro di Luca La Rovere Storia dei Guf (Bollati Boringhieri, Torino 2003) di recente uscito, si occupa di organizzazione, politica e miti della gioventù universitaria nel periodo 1919-1943. È molto cauto nell’esaminare il frondismo dei Guf nell’epoca che pre- cedette la guerra e nella quale si verificò – per imitazione del nazismo hitleriano – la campagna antiebraica. L’autore pare avere l’opinione che nei Guf ci fu in generale adesione completa alle politiche del regime e alla campagna razzista, mentre, documentato sulle adesioni, non offre prove sufficienti su atteggiamenti del tutto contrari4. 1 Luca La Rovere, I Cineguf e i Littoriali del cinema, in Orio Caldiron (a cura di), Storia del cinema italiano, vol. 5, 1934-1939, Venezia-Roma, Marsilio- Edizioni di Bianco e Nero, 2006, pp. 85-95 e Luca La Rovere, Un aspetto della politica culturale giovanile del regime fascista: i Cineguf, “Giornale di Storia Contemporanea”, a. XI, n. 1, giugno 2008, pp. 68-100. 2 Silvio Celli, Piccoli cineasti crescono: a passo ridotto con i Cineguf, in Alessandro Faccioli (a cura di), Schermi di Regime. Cinema italiano degli anni trenta: la produzione e i generi, Venezia, Marsilio, 2010, pp. 190-200. 3 Luca La Rovere, I Cineguf e i Littoriali del Cinema, op. cit., p. 85; Luca La Rovere, “Un aspetto della politica culturale giovanile del regime fascista”, op. cit., p. 72. 4 Mario Verdone, “Per una storia dei Teatriguf e dei Cineguf”, in Carte di Introduzione 11 La difesa di Verdone, tuttavia, è quasi interamente fondata sulla memorialistica, dunque su una tipologia di fonti che nella propo- sta di La Rovere e Celli è ridimensionata e letta criticamente. Va anche detto che la difesa di Verdone si fondava solo sul rac- conto dell’esperienza senese. Ma la reazione di Verdone è certa- mente sintomatica di una certa reticenza a rivedere con serenità quel periodo e a considerarne tutte le implicazioni. Una retorica che ha visto a volte sovrastimare il ruolo del co- siddetto “frondismo” nell’esperienza gufina, affonda le sue radici nell’epica del “lungo viaggio attraverso il fascismo”, raccontata da Ruggero Zangrandi in forma semi-romanzata, ma con ricchezza di dettagli e informazioni storiche, provenienti da ricordi ancora nitidi nella memoria (la prima stesura del libro risale al 1949)5. Una tale ricostruzione – certamente suggestiva e tuttora impres- sionante – ha alimentato un atteggiamento che, se non esplicita- mente, spesso surrettiziamente o talvolta inconsciamente, ha letto gli spazi di creazione artistica nei Guf come spazi di libertà cospi- rativa, dove alla “sperimentazione” corrispondeva un’indipendenza e una distanza ideologica rispetto alle linee culturali del fascismo. Così in contributi che non vogliono dare letture definitive del fenomeno, si tende comunque a sottolineare la presenza di “sog- getti che niente avevano a che fare con la politica o con l’ideologia di regime”, oppure esplicitamente lo scarto tra i temi trattati e il linguaggio usato per il loro trattamento che aprì nel tessuto del testo filmico delle smagliature dalle quali poté filtrare una spontanea, quasi inconsapevole, critica all’immaginario e all’iconografia con i quali il committente si identificava6. Vi si ravvisa a volte un esplicito scarto tra ideologia e piano for- Cinema, n. 11, 2003, pp. 43-46. 5 Su questo punto si veda l’efficace sintesi di Vito Zagarrio. Cfr. Vito Za- garrio, Primato: arte, cultura, cinema del fascismo attraverso una rivista esemplare, Edizioni di storia e letteratura, Roma 2007. Sulla questione si è espresso tra i primi e con grande chiarezza, durante le giornate della Mo- stra internazionale del nuovo cinema di Pesaro, Gian Piero Brunetta in Id., Padri “buoni” e verità scomode, in Riccardo Redi (a cura di), Cinema italiano sotto il fascismo, Marsiglio, Venezia 1979, pp. 261-263. 6 Questo e il virgolettato appena precedente sono tratti da: Clara Mancini, Il cinema dei giovani. Dal CineGUF al Cine Club, in Lorenzo Cuccu (a cura di), Il cinema nelle città. Livorno e Pisa nei 100 Anni del Cinematografo, Edizioni ETS, Pisa 1996, p. 231. 12 Gli anni del Cineguf male oppure si ipotizza nel trattamento sperimentale della ma- teria filmica, l’apertura di uno spazio di critica dell’immaginario. Elena Banfi, nel rigorosissimo lavoro sul Cineguf di Milano – che forse sconta soltanto in qualche punto il disagio di un lavoro dav- vero pionieristico –, ammette “il disinteresse del regime per gli esiti concreti di questa iniziativa”, e sottolinea comunque “gli esi- ti modesti dei film realizzati”, e ancora “un certo distacco venato di diffidenza tra responsabili e aderenti della sezione”, oppure che la struttura del Cineguf si limitò a iscrivere sotto la propria insegna le iniziative spontanee e autogestite dei giovani aderenti; […] Ma raramente si interessò al contenuto dei film realizzati o al genere delle opere programmate e offerte al pubblico”, e infine “la mancanza all’interno dei Cineguf di una funzionale struttura gerarchica, con un vertice che davvero ideasse e coordinasse le iniziative”7.

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