EFFETTO FARFALLA La Mia Vita Raccontata a Marco Arche�I Effe�O Farfalla

EFFETTO FARFALLA La Mia Vita Raccontata a Marco Arche�I Effe�O Farfalla

Il libro » V F, forgiato dalle ore in palestra, dalla routine agli arezzi, dalle rinunce, dagli infortuni e dalle viorie. Un corpo «Iestenuato dalla ginnastica e dal suo incanto. Una magia che ammalia una bambina di sei anni che vede per la prima volta in televisione un’atleta alla trave e insiste con la madre perché – dopo una prima rovinosa esperienza con la danza – la iscriva a un corso per provare le prime capriole, le rovesciate e le ruote. Un periodo spensierato e divertente, destinato presto a finire perché tui si accorgono che quella bambina è straordinariamente dotata. E questo talento non può essere sprecato, va coltivato, così una Vanessa ancora piccolissima conosce il volto spietato della ginnastica: le scuole serali, l’incubo del peso e l’ossessione della leggerezza, il diktat alimentare e gli allenamenti senza sosta soo la guida di Enrico, l’allenatore, la figura paterna, che plasma quella bambina fino a farle salire il più alto gradino del podio e diventare campionessa mondiale a quindici anni e mezzo. L’oro splende, e sarà la prima di molte medaglie; ma mentre l’atleta siede sul teo del mondo, alla ragazza non verrà concesso nemmeno di assaggiare la torta preparata in suo onore. L’incantesimo della ginnastica e i suoi demoni, il grave infortunio al tendine del 2008 e una carriera che sembrava finita. Il volo della farfalla e la sua caduta. Vanessa è oggi una donna di ventiquaro anni che ha fao pace con la ginnastica, è tornata a vincere contro tui i pronostici, e ha ancora un obieivo da raggiungere, un ultimo baito d’ali, le Olimpiadi di Rio del 2016. Ce la farà? La ginnasta italiana più titolata (e introversa) della storia è tornata finalmente a sorridere. Perché solo chi è felice vince davvero: adesso lei lo sa, e ha avuto voglia di raccontarlo in questo libro. L’autrice Vanessa Ferrari è nata nel 1990. È la ginnasta italiana più famosa, la prima ad aver conquistato, a sedici anni non ancora compiuti, una medaglia d’oro ai Mondiali. Collare d’Oro del Coni, a diciassee anni è stata insignita del titolo di Cavaliere al merito dell’Ordine della Repubblica italiana. Ventun titoli ai campionati nazionali assoluti, dodici scudei in serie A1 con la Brixia, è la ginnasta più medagliata ai Giochi del Mediterraneo (oo ori), ha partecipato a due edizioni dei Giochi olimpici e nella sua carriera ha vinto cinque medaglie mondiali e dieci europee. Marco Archei è nato nel 1976. Ha scrio: Lola motel, Vent’anni che non dormo, Maggio splendeva, Gli asini volano alto, Sabato, addio, See diavoli, I giorni non si scavalcano. Collabora al «Corriere della Sera». Vanessa Ferrari EFFETTO FARFALLA La mia vita raccontata a Marco Archei Effeo farfalla Si dice che il baito d’ali di una farfalla sia in grado di provocare un uragano dall’altra parte del mondo. The Buerfly Effect, 2004 «Diventerai la Nadia Comăneci italiana?» «Diventerò Vanessa Ferrari.» «La Gazzea dello Sport», 20 oobre 2006 Parte prima Da zero a oro Tu pure, o Principessa, nella tua fredda stanza guardi le stelle... Dilegua, o noe! Tramontate, stelle! All’alba vincerò! PUCCINI, Turandot, ao III, quadro I I Cosa mi è saltato in mente? Non ci sono parole. Anzi, una c’è, ed è guaio. Mi sono dea: inutile girarci intorno, questa è la classica cosa che non dovrebbe mai accadere, figuriamoci in un momento come questo, nel bel mezzo dell’appuntamento più importante della mia vita sportiva e davanti agli occhi di tuo il mondo. Così, un momento fa, quando mi sono resa conto che la classica cosa che non dovrebbe mai accadere era invece appena accaduta, ho avuto un soprassalto e mi sono sentita gelare, ho visto il panico negli occhi di coloro che se ne sono accorti subito dopo di me e non ho potuto fare altro che chiedermi: sei impazzita? Dimenticare il numero in albergo? Come si fa? La Federazione internazionale e il Comitato di gara te ne assegnano uno, in doppia copia, e tu devi prendertene cura. Non è difficile, giusto? E invece non ce l’avevo. È stato tremendo, non me lo sarei aspeato da me. A giudicare dalle facce, nemmeno loro. Né il mio allenatore Enrico, né mia madre, né Folco Donati, il presidente della squadra. Tui con gli occhi fuori dalle orbite, esterrefai, terrorizzati, immobili. Per fortuna ci ha pensato mio padre a prendere il toro per le corna: è schizzato via senza pensarci un momento, nemmeno il tempo di contare fino a tre e stava già salendo le scale dell’albergo, una dopo l’altra fino a irrompere nella mia camera, dove effeivamente avevo lasciato il numero. In men che non si dica era già di ritorno. Allenatore, fisioterapista, compagne, tui a dirmi: «A posto, stiamo calmi. Non importa, non importa». Respiro profondo, ed ecco che finalmente il numero si trova al suo posto: sulla mia schiena. p E importa. Eccome se importa. Perché in questo preciso momento, prima della gara più significativa della mia vita e davanti agli occhi di tuo il mondo, io ci devo lavorare un momento. Tre, sei, tre. Me lo ripeto un’altra volta, lentamente. Va a finire che quasi mi convinco. Tre. Sei. Tre. C’è il solito problema che sembra un dispari, ma non mi perdo d’animo, ho imparato come si fa. Con calma, senza saltare alle conclusioni: trecentosessantatré. È un pari? Non lo è. Ma io posso vederlo come un pari. Infai tre più tre fa sei, dunque è una specie di sei sei. E sei sei va benissimo, non è perfeo? È perfeo, nessuna paura. Tuo andrà come deve andare. Lo so, sono una pazza che odia la matematica ma non fa altro che invischiarsi nella matematica. Una matematica del tuo mia, ossessiva e scaramantica, priva di regole fisse, che riscrivo ogni volta. Il fao è che io non sopporto il quaro, da sempre. È proprio odio, dunque per me l’importante è che non sia mai quaro. Con l’oo va anche peggio. Quando me l’hanno affibbiato non ho perso un secondo e sono partita come una forsennata con la mia missione mentale. Ho passato una vita così, facendo tuo, tuo, tuo, per cambiare certi numeri e scomporli e trasformarli. In Spagna, l’anno scorso, mi hanno dato un sei. Ovviamente ero felice, perché un sei è il massimo. E infai è andata a meraviglia. Ma adesso è adesso, e sono qui: NRGi Arena, Århus, Danimarca, Campionati mondiali individuali femminili. Io e un palazzeo pieno. Io e il mio trecentosessantatré – io e il mio numero pari. Pronti al decollo? Ci sono. Il solito sguardo a mio padre, seduto drio sugli spalti – annuisce, mi dà coraggio – e la solita certezza: non devo sbagliare. Non devo deludere nessuno, ma soprauo non devo deludere me stessa. Sono caduta dalla trave ma non mi sono lasciata scoraggiare. Enrico mi ha deo: «Ferrari, è il momento di fare sul serio, di meere la freccia!». E io ho pensato che sono la prima al mondo che nel corpo libero porta ben cinque diagonali. Il tappeto è lucido e per un momento mi sembra sterminato, poi quando lo toccherò col piede non mi sembrerà più niente e sarò sintesi e consistenza. Sarò raccolta e potenziale, feroce e lieve, pronta a far deflagrare la bomba della forza e a suonare il violino dell’equilibrio. La mia mente si vuota all’improvviso, come un bicchiere che qualcuno ha bevuto d’un fiato. Sono soltanto il mio corpo, predisposto a detonare perfeo e controllato, fuori da se stesso e secondo geometria. Devo solo respirare, immobile, col naso. Enrico me lo dice sempre: «Cosa ti cambia? Respiri con le spalle?». Be’, a essere sinceri sì, io respiro con le spalle. Invento la matematica e prendo aria dal muscolo sooscapolare: le alzo e le abbasso. Faccio scorta. Mi stringo la coda di cavallo afferrandola con le mani e separando i capelli con forza. L’elastico s’incolla alla testa. E parto. Prima diagonale. Tsukahara avvitato: salto doppio con due avvitamenti. Aerro bene – passo indietro. Altro tsukahara, perfeo. Coreografia e salto artistico. Guardo i giudici, ma non li vedo. Tre avvitamenti e arrivo leggera. Rondata, salto indietro teso con un avvitamento e mezzo. Non bao bene tra un salto e l’altro, quindi cambio. Sento che potrei cadere e tolgo il secondo avvitamento, dunque: un avanti teso senza g q avvitamento. Poi un enjambée cambio ad anello e un enjambée cambio drio. Dovrei fare tre giri ma ne faccio due e mezzo, finisco sbandando imperceibilmente. Mi preparo a un doppio carpio, l’ultimo. E oplà: aerraggio perfeo. È finita? Torno al centro, sorrido, il pubblico esplode. L’ho fao così bene? Non penso di averlo fao da Dio, ma mi sembra di essermi difesa. Saluto e corro via. Enrico mi viene incontro, mi abbraccia e mi solleva. Quindi la mia compagna Monica Bergamelli, e anche Salvatore il fisioterapista, deo Salva, mi brulicano addosso come formiche impazzite, sento l’elericità che emanano. Devo totalizzare almeno 15,225 per oenere il primo posto, ma secondo tui ho preso di più. Questo cambia le cose, e mi dico: sta’ a vedere che hai delle possibilità. Mi dico: sta’ a vedere che questa la porti a casa. Ci credo e non ci credo. Il mio corpo è caldo, stanco, ustionato. Le gambe vibrano come corde di chitarra. Mi aggiro, faccio su e giù, non riesco proprio a stare ferma. L’aesa – quest’aesa – è infinita. Il punteggio non esce. Per quanto dovrò starmene qui ad aendere che il mio destino sia tradoo in una cifra? Ancora la matematica.

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