9. Livio Antonielli (A Cura Di), Le Polizie Informali (2010)

9. Livio Antonielli (A Cura Di), Le Polizie Informali (2010)

STATO, ESERCITO E CONTROLLO DEL TERRITORIO Studi a cura di Livio Antonielli 9 Le polizie informali [Seminario di Studi, Messina, 28-29 novembre 2003] a cura di Livio Antonielli Rubbettino © 2010 - Rubbettino Editore 88049 Soveria Mannelli - Viale Rosario Rubbettino, 10 - Tel. (0968) 6664201 www.rubbettino.it Livio Antonielli Introduzione e… altro Riesco solo ora, con grave ritardo, a dare alle stampe gli Atti dell’in- contro di studi tenutosi a Messina, nello splendido scenario di Villa Pa- ce, il 28 e 29 novembre 2003, sotto il titolo Le polizie informali. Ragioni di finanziamento, ma non solo, hanno frenato la pubblicazione: ma non è su questo che merita soffermarsi. Quello delle polizie informali era il sesto di una serie di incontri scien- tifici da me organizzati su temi relativi al controllo del territorio, declina- to da diverse prospettive, dal militare alle carceri, dai corpi paramilitari alle polizie d’antico regime. In quella occasione io stesso avevo presentato un mio contributo, dal titolo Nuove vesti per antichi contenuti: ambiguità nel controllo dell’ordine pubblico (il caso dello Stato di Milano), e a questo intervento fanno riferimento, nelle pagine del volume dedicate alla di- scussione, coloro che mi citano. In quell’occasione avevo cercato, attra- verso l’analisi di alcuni casi particolari, di chiarire cosa intendessi con la dizione, davvero piuttosto ambigua, di «polizia in formale». Rileggendo però ora, a distanza di tempo, i contributi dei partecipanti all’incontro, nonché i testi della discussione, mi sono reso conto che il problema di co- sa si dovesse intendere per «polizia informale» se lo sono posti, in manie- ra esplicita, gran parte dei partecipanti all’incontro. Per questo mi è sem- brato inutile inserire qui due diversi interventi, cioè una Introduzione e un saggio sul tema della mia comunicazione al convegno. La scelta è dunque stata di condensare in un solo contributo, cioè nella presente Introduzio- ne e… altro, questo doppio livello. Certo, va detto, si tratta di un’opera- zione che accorpa all’intervento pensato per il convegno alcune valutazio- ni ex post, frutto delle sollecitazioni provenienti dai testi consegnati dagli autori per le stampe. Avendo chiarito questa circostanza non credo, tutta- via, che si possano ingenerare equivoci. Vincent Milliot, nel suo intervento al presente volume, ha posto co- me elemento cardine per definire le polizie informali il livello di regola- rità formale o meno degli incarichi affidati a singoli operatori o a corpi armati. Partendo dall’assunto che le attività di polizia, dovendo rispon- 5 dere in modo concreto a bisogni reali di sicurezza e di lotta alla crimina- lità, presentano necessariamente un alto grado di flessibilità, così da po- tersi adeguare alle diverse sollecitazioni di volta in volta provenienti dal- la società, Milliot tende a individuare come «informali» determinati ap- parati di polizia nel momento in cui si trovano a esercitare incarichi affi- dati e svolti secondo modalità inadeguate dal punto di vista formale: «[…] les modalités d’exécution sont peu claires, et nombre d’ambiguïtés sub- sistent entre ce que disent les édits et ce que disent les arrêts du conseil royal qui ne sont pas soumis à l’enregistrement du parlement», scrive ap- punto a proposito degli incarichi attribuiti dalla Luogotenenza generale al corpo dei quaranta ispettori creato a Parigi nel 17081. Proseguendo sulla medesima linea, Catherine Denys pone ulterior- mente l’accento sugli aspetti indicati da Milliot. L’elemento dell’«infor - ma lità» o meno della polizia non viene infatti individuato sulla base del- l’autorità, statale piuttosto che locale, che conferisce l’incarico («Pour- tant les pouvoirs communaux d’Ancien Régime participent de la puis- sance publique, même si elles ne dépendent pas directement de l’État royal. Les autorités communales, échevins, consuls et autres jurats des grandes villes françaises ne peuvent être présentés comme exerçant un pouvoir informel», scrive appunto Catherine Denys2), bensì sulla base delle modalità secondo le quali la funzione di polizia viene attribuita. Muovendo da qui, cioè dalla «question des pratiques policières extra-lé- gales émanant de polices par ailleurs parfaitement légales et même étati- ques»3, Denys compie un ulteriore passo, affermando, sulla scorta di Milliot, che «l’on pourrait aussi englober, dans les polices informelles, certaines polices considé rées comme “secondaires”, parce qu’elles sont attachées à une institution dont le but premier n’est pas la police, mais qui a néanmoins un personnel et une pratique policière, comme l’Eglise ou les corporations urbaines, ou encore, de nos jours, les polices privées des entreprises»4. Nell’intervento introduttivo alla discussione, svoltasi nella seconda seduta del convegno, Franco Angiolini si è soffermato su questo aspetto, sostenendo «che tra la polizia formalizzata, di Stato o municipale, che è dotata di un preciso regolamento, di una sua precisa visibilità, di un qua- dro definito in cui operare, e le forme di polizia più lontane dalla forma- lizzazione, composte di uomini della comunità o che per incarico della 1 V. Milliot, Despotisme policier ou réduction de l’arbitraire? Quelques réflexions sur la formalisation des pratiques policières à Paris, XVIIIe siècle, nel presente volume, p. 153. 2 C. Denys, La police municipale entre les polices informelles traditionnelles et la poli- ce d’État moderne en France au XVIIIe siècle: obstacle ou transition?, nel presente volume, p. 168. 3 Ivi, p. 169. 4 Ivi, pp. 169-170. 6 comunità fanno sì che l’ordine sia meno disordinato, ci siano tutta una se- rie di figure intermedie che finiscono per costituire un sistema complessi- vo, quello che ha consentito alla società di antico regime di funzionare e soprattutto di modificarsi»5. Portato sul tema dell’«informale», Angiolini tende dunque a collocare l’oggetto nell’ambito della cosiddetta politica pattizia; osserva infatti come, in antico regime, «l’ordine, anche a livello di obiettivo, è pur sempre contrattato. Vi è una continua negoziazione per arrivare a stabilire delle forme di equilibrio tra le varie forze politi- che e sociali. L’ordine è contrattato proprio perché si declina al plurale, è un termine collettivo che nasconde una pluralità di ordini, che a sua vol- ta deriva dalla pluralità dei centri autoritativi»6. Resta peraltro viva, naturalmente, la possibilità di utilizzare la distin- zione tra formale e informale riagganciandosi alla considerazione che la polizia vera e propria, dunque formale, è per eccellenza quella che ri- manda allo Stato. Andrea Romano nella discussione ha puntualizzato che «la polizia informale si definisce così in opposizione alla polizia for- malizzata, in opposizione allo Stato e alle forme di controllo che lo Stato esercita; oppure possiamo considerarla appaiata, parallela alla polizia formale. Vi è stato dunque, come è chiaramente emerso in questa sede, un momento in cui lo Stato ancora era assente o era ancora poco presen- te, in cui l’ambito privato ha fatto le veci dello Stato nel controllo del ter- ritorio, nella garanzia dell’ordine, nella organizzazione delle varie funzio- ni. In seguito vi è stato un momento in cui lo Stato era ancora fortemente contrastato e in cui vi furono forme di polizia che si posero in maniera alternativa all’ambito pubblico: le corporazioni che assumono compiti di polizia nell’interesse di specifici gruppi e fazioni. Coll’avvento del cosid- detto Stato moderno – espressione che a me non piace perché di per sé poco significativa – le polizie informali assumono invece compiti integra- tivi, via via sempre più importanti, come sta accadendo oggi: lo Stato ce- de tutta una serie di prerogative di controllo e organizzazione all’ambito privato per non doversene assumere i costi»7. I possibili spunti interpretativi per individuare le polizie informali sono stati poi ripresi in modo sistematico da Elena Brambilla. Riassu- mendo il suo intervento, si sarebbero dunque delineate, come ipotesi, quelle di una «informalità… come “non statale”, cioè come una polizia demandata, delegata ai corpi», situazione propria di una condizione «a Stato leggero», con continua opera di mediazione tra Stato e corpi; op- pure un informale «in senso procedurale. Un tipo di informalità che equivale quindi ad arbitrario, parallelo, segreto e che corrisponde a una 5 F. Angiolini, Intervento alla discussione, nel presente volume, p. 203. 6 Ivi, p. 200. 7 A. Romano, Intervento alla discussione, nel presente volume, p. 214. 7 possibilità di scontro frontale dello Stato con le antiche polizie ordinarie, locali»8; infine, aggiungo io, alla base dell’informalità si sarebbero potuti trovare compiti di polizia prodotti da istituti ai quali non competono or- dinariamente tali affari, ma che li esprimano come attribuzioni accesso- rie, anche se per questo non necessariamente meno importanti. Si tratta in ogni caso, in queste distinzioni tra formale e informale, di ipotesi non sempre tra loro alternative, che possono in alcune situazioni convivere senza escludersi. Per quanto mi riguarda non intendo però né inoltrarmi ulteriormente in questi aspetti teorici né operare scelte nette a favore di una ipotesi piuttosto che di un’altra. Piuttosto mi sembra op- portuno svelare rapidamente quale sia stata la ragione all’origine della scelta di questo tema: perché dunque abbia proposto di discutere di «polizie informali». La sensazione che a lungo mi ha accompagnato negli studi sulla poli- zia è stata di confrontarmi con un tema a più facce, che a seconda

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