XXI Mostra Internazionale del Cinema Libero IL CINEMA RITROVATO Bologna 22-29 novembre 1992 Cinema Lumière (Via Pietralata 55, tel 523539) Domenica 22 Novembre ore 21.15 "Ritrovati e restaurati" DIE ERBSCHAFT (Ger/1936) R. e Sc.: Jacob Geis. Da un'idea di Karl Valentin. In.: Karl Valentin, Liesl Kalstadt, Justus Paris, Hans Kraft, H.B. Benedikt, George Holl. P.: Bavaria Film. D.: 15' (20 v.o.) 35 V.O. Dal Müncher Filmmuseum. Sarà Karl Valentin ad aprire la sesta edizione de Il Cinema Ritrovato, con uno dei cortometraggi comici (una decina circa) che realizzò tra il 1932 e il 1936 a Monaco di Baviera e che Enno Patalas ha riscoperto in Unione Sovietica. In una Germania povera ed affamata, una coppia di derelitti riceve un'eredità insperata: eppure, benchè all'inizio del film non possiedano quasi nulla, al termine del racconto saranno ancora più poveri. Una comicità nera e liberatoria, che lacera le immagini levigate della propaganda Hitleriana. Non a caso il nazismo lo censurò. "Quando Karl Valentin faceva il suo ingresso in una qualunque birreria affollata, tutto serio, tra sedie, bicchieri di birra e cantanti, si aveva immediatamente la sensazione che quel tipo non avrebbe raccontato barzellette. L'uomo stesso è una barzelletta, una delle più complesse e sanguinose barzellette. E' dotato di una comicità molto secca, interiore, che vi permette di bere e fumare mentre una risata dell'anima, che non ha niente di particolare benevolo, comincia a scuotervi senza fine. Poiché qui si tratta della pigrizia della materia e dei piaceri più raffinati tutto a portata di mano. Ci viene qui messa sotto gli occhi l'insufficienza di ogni cosa, noi stessi compresi. Quando quest'uomo, una delle più penetranti figure intellettuali della nostra epoca, presenta di persona alle anime semplici i rapporti esistenti tra paciosità, stupidità e gioia di vivere, i gregge ride e, in fondo al cuore, prende nota. E' impossibile capire perché non si dovrebbe collocare Karl Valentin sul medesimo piano del grande Charlot, con cui ha in comune solamente la rinuncia, quasi completa, ai giochi facciali e dalla psicologia di paccottiglia. A meno che non si attribuisca troppa importanza al fatto che è tedesco" (Il testo si trova incluso nella prima parte del tomo VII delle Gesam-melte Werke di Bertolt Bretch, per le edizioni Shur-Kamp di Francoforte. La traduzione è stata condotta sull'edizione francese, che accoglie il brano in B.Brecht, Ecrits sur le Théâtre, I, Paris, L'Arche, 1972, p.44) A Karl Valentin's film to open Il Cinema Ritrovato. The film is one of the shorts Karl Valentin made between 1932 and 1936 in Munich. Enno Patalas recently found the film in Russia SUMURUN (Germania / 192O) R.: Ernst Lubitsch. Sc.: Hanns Kräli, Emst Lubitsch, dalla pantomima di Friedrich Freksa. F.: Theodor Sparkuhl. Scgf.: Kurt Richter, Emò Metzner. M.:Victor Hollaender. In.: Pola Negri (la danzatrice), Jenny Hasselquist (Zuleika "Sumurun"), Aud Egede Nissen (Haydée), Paul Wegener (il sultano di Bagdad), Carl Clewing (il figlio del sultano), Harry Liedtke (Nur-al-Din), Margarete Kupfer (Baba), Ernst Lubitsch (Abdullah), Jacob Tiedtke (l'eunuco), Paul Biensfeldt (Ahmed), Paul Graetz, Max Kronert. P.: Union-Ufa. D.: 110'. 35mm. V.O. Dal Münchner Filmmuseum. Accompagnamento musicale per quintetto composto da Aljoscha Zimmerman (Musical accompaniment for quintet composed by Aljoscha Zimmerman.) Giorgio Casadei - Chitarra, Vincenzo Vasi - Basso, Massimo Semprini - Sassofono, Marco Ferri - Clarinetto, Aljoscha Zimmerman - Pianoforte Questa fantasia orientale visionaria, omaggio al genio di Max Reinhardt, è l'ultima interpretazione di Lubitsch; la sua prova attoriale è quantomeno memorabile: deformato dal trucco, impersona il ruolo di un attore girovago, gobbe e lascivo; perdutamente (e teneramente) innamorato della bella Pola Negri, per non perderla si suiciderà (naturalmente salendo sulla scena), per poi rinascere, qualche ora dopo, con una danza scatenata e liberatrice. Al suo fianco una luminosa Pola Negri, così descritta da Helsnut Prinzier: "Capelli neri, occhi scuri, un corpo lascivo, una voce intensa. Un'apparizione esotica, una vamp. Pola Negri, dal 1918- al 1928, è una vera star; molte storie circolano sul suo conto, storie a cui non si è obbligati a credere. Nata nel 1897, in Polonia, frequenta una scuola di balletto; esordisce sulla scena giovanissima, e sullo schermo ad appena diciassette anni, con il nome di Pola Negri. A Varsavia danza nella pantomima Sumurun. Arriva a Berlino nel 1917, viene assunta da Max Reinhardt (che le fa recitare il ruolo della danzatrice in una nuova messinscena di Swnurun), lavora in vari film. Conosce Paul Davidson e Emesi Lubitsch" e, diretta da quest'ultimo, raggiunge un grande notorietà interpretando, tra l'altro, Carmen, Madame Dubarry, Sumurun, Die Bergaize, Die FIamme. Per lungo tempo Sumurun è stato conosciuto attraverso copie largamente incomplete e censurate. Grazie a il a versione ritrovata presso la George Eastman House, Patalas ha potuto reinserire le scene mancanti dalla copia standard, come ad esempio quella straordinaria del ballo. Aljoscha Zimmerman ha preparato per Il Cinema Ritrovato una partitura per quintetto ispirata ai temi musicali della pantomima di Freska. Sumurun, favorita del sultano di Bagdad, è innamorata di Nur-al-Din, il quale, con uno stratagemma, riesce ad incontrarsi con lei, malgrado la sorveglianza degli eunuchi. Anche il figlio del sultano ama la bella Sumurun. In città arriva una troupe di girovaghi, con una danzatrice bellissima. il sultano, incuriosito, invita la danzatrice nel suo harem; ma la donna è amata da un clown gobbe, Abdullah, che non si rassegna a perderla e la segue a palazzo. Intanto Sumurun, con l'aiuto di Haydée, un'altra favorita del sultano, si incontra di nuovo con Nur-alDin. il sultano scopre la danzatrice tra le braccia del figlio e, accecato dall'ira, la strangola, ed altrettanto vorrebbe fare con Sumurun, sorpresa insieme al suo amante. Ma Ahdullah, che ha visto morire la danzatrice, pugnala il sultano. Le donne dell'harem ora sono libere, le porte della prigione si spalancano; e Sumurun può unirsi per la vita a Nur-al-Din. il film avrebbe dovuto essere realizzato da Max Reinhardt, che più volte aveva rappresentato sui palcoscenici tedeschi la celebre pantomima di Freidrich Freska; quando il progetto venne accantonato, fu Pola Negri a proporre a Lubitsch di curarne la realizzazione. Il film non piacque a molti recensori ed anche qualche storico arricciò il naso dinanzi a questa fantasia orientale, riscontrandovi "il più pesante esotismo da melodramma fuso col più esecrabile gusto del lubrico in chiave di buffoneria", mentre Lotte Eisner, mai troppo tenera con Lubitsch, a proposito del film rileva come Sumurum sia fortemente improntato dallo stile del regista: "In Sumurum Lubitsch stesso, nella parte di un goffo buffone tragico, si lancia in una danza bizzarra, tutta a balzi, automatica, in cui braccia e gambe sembrano animate da una vita indipendente; l'ispirazione gli deriva da quell'aspetto caleidoscopico da commedia dell'arte cui minava nella scena la celebre pantomima. Qualche passaggio di Sumurum fa già prevedere l'eleganza del futuro Lubitsch americanizzato: nella bottega di un mercante, per esempio, dei commessi-clown (sempre in connivenza con il pubblico, come il loro regista) spiegano e sciorinano ricche stoffe, con gesti da prestigiatori. Derivano parimenti dal "Lubitsch-touch" quelle riprese dall'alto di qualche cuscino disposto su un tappeto, dal quale bruscamente fugge disperdendosi in leggiadri cerchi il nugolo delle graziose cameriere affaccendate. Il film di music-hall americano si ispirerà a questi delicati arabeschi". Francesco Savio lo definisce il film forse più enigmatico del regista berlinese, con i suoi décors di una violenza quasi visionaria, la recitazione di canone espressionistico e la tetra ferocia del libretto. E' indubbio che il film sta a metà strada tra il capriccio esotico e il grand-guignol adattato alle Mille e una notte. Una nota curiosa: quando il film arrivò in Italia, nel marzo del 1922, il titolo divenne Sumurum , con la "m" finale al posto della "n". La critica italiana lo accolse con sufficienza ("Una stupenda tessitura di lavoro, magnificamente inquadrato ed inscenato, nonché indiscutibilmente curato anche fotograficamente, ma che ci ha un pochino stuccati per la sua prolissità"); il Consorzio Utenti Cinematografia Educativa, ovverossia la prima versione del Centro Cattolico Cinematografico, lo ritenne escluso per tutti, trattandosi di un grottesco romanzo erotico. (Vittorio Martinelli) Of the great film directed by Ernst Lubitsch we are able to show the finally restored version. Until now, the film was known only through bad quality and incomplete copies. Thanks of another print found by the George Eastman House, Enno Patalas at the Münchner Filmuseum could make the reconstruction and the restoralion. For the film, Aljoscha Zimmermann composed a score that will be premiered at Il Cinema Ritrovato. Dietrich in tedesco significa grimaldello. Non é una chiave magica ma un oggetto reale; per fabbricarlo occorre una grande abilita'. (Da Marlene Dietrich's ABC) GEFAHREN DER BRAUTZEIT (Germania/ 1929) R.: Fred Sauer. Sc.: Walter Wassermann, Walter Schlee. F.: Laszlo Schaffer. Scgf.: Max Heilbronner. i In.: Marlene Dietrich (Evelyne), Willi Forst (Barone von Geldem), Lotte Lorring (Yvette), Elza Temary (Florence), Ernst Stahl- Nachbaur (Mc-Clure), Bruno Ziener (Miller). P.: Strauss-Film. D.: 75(2183 m.). 35 mm. Versione italiana. Dal Nederlands Filmmuseum. E' impressionante rivedere oggi Gefahren der Brautzeit, melodramma soffuso di erotismo, diciassettesima prova attoriale di una Dietrich molto diversa dai clichés che l'hanno resa nota: il personaggio di Marlene era ancora da costruire. Realizzato tra Das Schiffder verlorenen Menschen e Der blaue Engel, il film è ricordato nelle filmografie della Dietrich soltanto penché durante le riprese tentò inutilmente di ottenere il ruolo di lolù che sarebbe poi stato assegnato a Louise Brooks. Del film il Nederlands Filmmuseum ha ritrovato la versione italiana, distribuita nel 1932 e quindi sonorizzata, con musiche molto banali.
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