13.12.2017 Toy Story (J. Lasseter - USA 1995) - Opinione - Il pianeta dei balocchi Opinioni Shopping Il Mio Ciao Ok ! Pubblicita Home > Cultura e Spettacolo > Cinema > Tutti i film > T > Toy Story (J. Lasseter ­ USA 1995) > Opinioni Opinione su Pubblicita Toy Story (J. Lasseter ­ USA 1995) Valutazione complessiva (2): Tutte le opinioni su Toy Story (J. Lasseter ­ USA 1995) Modifica la tua opinione Opinione Leggi tutta l'Opinione Il pianeta dei balocchi brest 22.08.2011 Vantaggi: Regia, sceneggiatura, epocale novità del 'tratto ­ Azione per questa opinione Pixar' . Modifica la tua opinione Svantaggi: Su di me: Recensioni di TUTTI i film Scrivi un commento Solo per quei poveretti che sono allergici al Aggiungi brest agli Autori preferiti cinema d'animazione . che ho visto al cinema nella mia vita, dal passato al presente (ad oggi: ... Richiedi le Opinioni di brest Continua... Consiglio il prodotto: Sì Iscritto da: 07.02.2001 Opinioni: 981 Fiducie ricevute: 533 Leggi di più su questo prodotto Altre Opinioni Migliore/Peggiore In media l'opinione è' stata valutata Eccellente da 20 utenti Ciao Toy Story, assolutamente vedere e rivedere!! A casa Davis c’è fibrillazione, specialmente nella colorata stanzetta di Andy, pargolo privilegiato da una molto moderna sovrabbondanza di giocattoli molto utile vecchi e nuovi. Il più nuovo di essi, appunto, è un eroico pupazzo fantascientifico, Buzz Lightyear (voce italiana: Massimo Dapporto), capace di scatenare da subito la curiosità morbosa dei giocattoli già residenti, e in particolare la gelosia del cowboy­sceriffo Woody (voce italiana: Fabrizio Frizzi), che sino ad allora era stato il leader incontrastato di tutti i suoi colleghi, dotati di vita propria quando nessun umano è nella cameretta. La rivalità tra i due sfocia in un incidente che metterà a rischio l’intera famiglia allargata dei giocattoli di Andy, ora che lui si sta trasferendo in un’altra Le valutazioni dell'Opinione città: come se non bastasse, occorre anche battere le mire distruttrici del sanguinario serial killer di giocattoli Sid Phillips, coetaneo di Andy e suo vicino di casa. Questa Opinione su Toy Story (J. Lasseter ­ Verso l’infinito, e oltre: così la Pixar Animation Studios fece breccia negli occhi e nel cuore di diverse centinaia di milioni di spettatori occidentali, non 1995) è stata letta 912 volte ed è stata così certo solo bambini. dagli iscritti: Tra i quali debbo a giusta ragione annoverarmi anch’io, visto che mi recai al cinema, quel 3 aprile 1996 (cinema Astra di Verona, ora estinto), non "Eccellente" per (100%): ancora perfettamente consapevole di quale sarebbe stato l’impatto del tratto­Pixar (non solo grafico) su di me, e fresco solo dell’ultimo capolavoro Disney visto l’anno prima, “Il re leone”, del quale ancora per poco non sapevo in quanti sensi diversi sarebbe davvero stato l’ultimo . 1. delfinabizantina Ebbene, quando uscii dalla sala fui però certo che avevo assistito all’inizio di un’epopea estetica di fenomenale originalità e di prorompente vitalità 2. fabgirl cinetica, destinata a dominare i nostri sensi di spettatori per molti anni a venire: a pensarci adesso, con tutte le novità tecnologiche succedutesi da 3. apo1971 allora (il 3D essendo solo la più eclatante ma non certo l’unica) e con la proliferazione (qualitativamente medio­alta) di opere animate sempre più e ancora altri 18 iscritti sfiziose e impattanti, ma soprattutto con la massiccia industrializzazione del modello­Pixar conseguente ai suoi troppi e troppo danarosi successi, forse devo ammettere che l’assuefazione alla bellezza visuale e/o tridimensionale e la proliferazione di saghe, sequel e cloni ha un po’ attutito il mio La valutazione generale di questa Opinione entusiasmo di 15 anni fa (e la conferma l’ho avuta da pochissimo con il delizioso ma superfluo “Cars 2”), tuttavia nessuno può negare che in meno di basa solo sulla media delle singole valutazio tre lustri lo studio di Emeryville, California, abbia prodotto alcuni dei prodotti artistici di massa più indovinati del cinema contemporaneo, Fotografie per Toy Story (J. Lasseter ­ USA 1995) cambiando per sempre gli standard di percezione e valutazione del genere che un tempo si designava con la meravigliosamente Risultati simili a Toy Story (J. Lasseter ­ ingenua e materica locuzione di ‘cartoni animati’. 1995) notebook j3 hp envy 15­j batteria as “A Bug’s Life­Megaminimondo” (1998), “Monsters & Co.” (2001), “Alla ricerca di Nemo” (2003), “Gli Incredibili” (2004), “Ratatouille” j batteria nokia 5230 nokia bl­5j j'ad (2007), “Wall­E” (2008), “Up” (2009): sono queste a mio avviso le pietre miliari del CGI­Cinema (Computer Generated Imaginery) targate Pixar, che oltre a vantare la qualifica di capolavori di per sé, hanno fatto anche da apripista a numerose altre operazioni consimili, le più importanti delle quali messe a segno dall’azienda rivale Dreamworks Animation (“Z La formica” nel 1998, “Shrek” nel 2001, “Bee movie” nel 2007, “Dragon trainer” nel 2010) in un crescendo di sofisticazione tecnica e finezza narrativa che molto ha giovato al genere e alle sterminate masse dei suoi adoratori, che hanno così potuto fruire di altri titoli non necessariamente appartenenti ad alcuna di queste due ‘scuderie’ leader, e valga per tutti l’esempio del favoloso “L’era glaciale” (2002). Nel 1996 però tutto questo era ancora di là da venire, e “T oy Story”, al momento del mio ingresso in sala, era per me solo una nuova release di casa Disney, fabbrica dei miei sogni di bambino e adolescente di cui da sempre tentavo di catturare su grande schermo le nuove creazioni, col rischio anche di rimanere deluso come nel caso di “Pochaontas” (1995). Avevo 29 anni all’epoca, e se l’unica sostanziale novità del cartone fosse stata la sua grafica, per quanto eccelsa, certo non ne avrei ricavato l’impressione profonda e gioiosa il cui ricordo ancora mi accompagna: no, quello che mi colpì forte fu la non comune Teaser originale personalità della scrittura filmica. Pirandello e Lucignolo entrano insieme, quasi di nascosto, nella fiera che ipnotizzò Pinocchio: bambole, bambolotti, animali, pupazzi, guerrieri, robot eccetera possiedono ­ in assenza degli umani ­ una personalità individuale che è l’evoluzione della loro identità di ruolo lungo l’esperienza della convivenza forzata e della pratica ludica con il loro padrone, nonché di quella esistenziale tra loro. Quando il bimbo o i suoi genitori sono nella stanza, essi giacciono inanimati sul pavimento, o penzolano da cassettiere e bauli come inanimati assemblaggi utili solo a essere manipolati e non di rado distrutti dai loro incauti padroncini: quando la stanza è deserta, come nel set di un film in cui il regista abbia urlato «CUT!», tutti i soggetti inquadrati si ripigliano lentamente, si spolverano una manica, si ricompongono tornando tranquillamente alle loro occupazioni e prendendosi un meritato break dallo spossante lavoro quotidiano di semplici giocattoli. In questa premessa abitano una grande idea e una pratica furbizia: l’idea è quella di donare ai giocattoli non tanto una vita propria, quanto una specifica identità e psicologia, del tutto assimilabili a quelle dei loro costruttori, gli umani; la furbizia, invece, è quella di scegliere come protagonisti dei ‘personaggi’ che potessero essere realisticamente resi e al tempo stesso di per sé stilizzati, così da ‘mascherare’ lo stato, ancora primitivo (perlomeno http://www.ciao.it/Toy_Story__Opinione_1319526 1/2 13.12.2017 Toy Story (J. Lasseter - USA 1995) - Opinione - Il pianeta dei balocchi rispetto agli sviluppi successivi), dell’arte dell’animazione computerizzata. Piccoli oggetti plastificati, cigolanti o fluidi nelle mosse a seconda della loro modernità tecnica; piccoli volumi solidi da assemblare, rendere ammiccanti e giocattolosi; vecchi giochi di legno e stoffa, nuove diavolerie a pile, leggeri gusci colorati a incastro; tappi pneumatici, gancetti metallici, bulloni di gomma. Tutti questi elementi fisici sono riprodotti come necessarie parti anatomiche di manufatti per forza semplificati (ti credo, sarebbero giocattoli) ma invece resi complessi e doppiogiochisti dall’assunto narrativo di partenza, molto più semplice da accettare in quanto posizionato nell’incipit di una storia disegnata. La regia (orchestrata a otto mani da coloro che sarebbero poi divenuti gli ‘dei ex machina’ della divisione animata della Disney, prima di rendersene indipendenti pochi anni dopo, anche al termine di vertenze legali di non poco peso, ovvero John Lasseter, Pete Docter, Andrew Stanton e Joe Ranft) ha il merito di far entrare il pubblico nel microcosmo in cui i giocattoli a nostra insaputa vivono, e di inventare in esso un vero dramma le cui più minute banalità divengono ostacoli insormontabili e situazioni ad altissimo rischio: in pari tempo, la letterale ‘giocosità’ del ritmo e del tono del racconto conferisce alla storia la leggerezza di un’avventura onirica, sin troppo esplicitamente destinata a moltiplicarsi nelle vere stanzette dei piccoli spettatori sotto forma di esatte riproduzioni dei giocattoli viventi del film. Il design dell’opera ghermisce i sensi e il loro promanarsi nei territori dell’immaginazione tattile ed emotiva, ma la ‘struttura’ del film è del tutto degna di una commedia brillantissima, e solo i dialoghi che scaturiscono da uno script ispirato come pochi basterebbero a collocare “Toy Story” tra le migliori realizzazioni di quell’anno in assoluto, non solo tra i cartoons. La pellicola ora è già un classico, e quasi tutti voi l’avrete nel frattempo già vista, al cinema o più probabilmente
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