Le Origini Della Camorra

Le Origini Della Camorra

1 OSSERVATORIO PER LA LEGALITA’ E LA SICUREZZA CENTRO STUDI E DOCUMENTAZIONE Via Vincenzo Ricchioni, 1 - 70123 Bari LE ORIGINI DELLA CAMORRA a cura di Nisio Palmieri 2 LE ORIGINI DELLA CAMORRA Introduzione Nel settembre 1982 la proposta del defunto onorevole La Torre, diventerà legge con la firma anche del ministro dell’Interno Virginio Rognoni. Nel codice penale sarà introdotto l’articolo 416bis, per una nuova fattispecie di reato: l’associazione a delinquere di stampo mafioso e camorristico. E’ la prima volta che la camorra è riconosciuta ufficialmente quale organizzazione criminale pericolosa come la mafia e la ‘ndrangheta. E per la prima volta la Commissione parlamentare antimafia, vent’anni dopo la sua istituzione, dedicherà una indagine specifica alla criminalità organizzata in Campania. Eppure alla spalle di questa organizzazione criminale vi è una lunga storia che, a volte, si intreccia con quella tormentata che portò all’unità d’Italia. Noi ripercorreremo il suo cammino facendoci aiutare sia da Vittorio Paliotti che dal prof. Francesco Barbagallo che con la loro “Storia della Camorra”, edite la prima nel 2006, la seconda nel 2010, hanno svolto un’opera meritoria, mettendo in grado il lettore di conoscere, fin nelle sue pieghe più intime, questa associazione criminale che nulla può invidiare, sul piano degli obiettivi e dell’efferatezza posta nel raggiungerli, a quelle insediate in Sicilia e Calabria. Sul piano storico abbiamo ritenuto necessario nel capitolo “Dal tempo dei Borbone all’Italia”, di richiamare con più insistenza i fatti politici dell’epoca in quanto, ci è sembrato, più direttamente partecipi alla vita e alle gesta di quei criminali. D’altra parte la trasformazione dei comportamenti delittuosi, inizialmente rivolti soprattutto a danno della plebe, si potevano spiegare soltanto con un’analisi attenta (come quella che fanno Paliotti e Barbagallo) degli avvenimenti che videro loschi personaggi utilizzati nella lotta politica che pure si poneva traguardi ambiziosi ed esaltanti. Nel prosieguo del lavoro abbiamo reso più scorrevole (almeno così ci è sembrato) la narrazione, preferendo mettere l’accento sullo spessore criminale dell’organizzazione camorrista. Non trascurando, naturalmente, di riferire gli intrecci con la politica che pure, ahinoi, sono violentemente presenti. Dai Borbone all’unità d’Italia Intorno al 1860 lo scrittore italo-svizzero Marc Monnier (figlio di un albergatore residente nella capitale borbonica) definiva la Napoli ottocentesca descrivendo una specie di catena di montaggio che colpiva il visitatore ignaro sin da quando toccava terra, nel vedere l’esattore meglio vestito di altri plebei <<spesso coperto di anelli e gioielli>> che divideva, senza proferire parola, con l’umile barcaiolo il prezzo del passaggio. Dopo il barcaiolo toccava al facchino, che portava i bagagli alla locanda, pagare un secondo esattore. Quando poi saliva in carrozza compariva un altro individuo, che riceveva il suo soldo dal cocchiere. E così via: <<ad ogni passo nei quartieri poveri, alle stazioni delle strade ferrate, alle porte della città, sui mercati, nelle taverne incontrava il bravo implacabile……si intrometteva negli affari equivoci e nei piaceri dei poveri, in specie nei piaceri viziosi e negli affari equivoci, e a vicenda agente di cambio, mezzano, intermediario, ispettore di polizia, secondo i casi…>>. 3 L’inchiesta di Monnier, condotta durante il processo unitario, è un documento prezioso perché si giovò delle testimonianze dirette dei maggiori esperti, ministri e dirigenti delle forze di polizia, sia del regime borbonico, che del nuovo governo italiano. Quindi una fonte storica attendibile ben più dei fantasiosi racconti e leggende che si tramandano, in gran numero, sulle origini, le forme organizzative, i riti, i miti della peculiare forma di organizzazione criminale che si sviluppa nel tessuto urbano della Napoli ottocentesca, dentro gli strati sociali plebei. Riti e miti ad ogni modo fortemente intrecciati. Da più parti, ad esempio, si riferisce di un rito iniziatico che vedeva riuniti i camorristi intorno ad un tavolo su cui erano posti un pugnale, una pistola carica e un bicchiere d’acqua o vino avvelenati. L’aspirante bagnava la mano nel sangue che gli veniva estratto e giurava fedeltà alla setta, mostrando di essere pronto a spararsi e a bere il veleno. Il capo della riunione prendeva atto del giuramento di sangue; scaricava l’arma, gettava a terra il bicchiere e consegnava il pugnale al nuovo camorrista. Questo cerimoniale pareva essere di rigore, ma non era indispensabile seguirlo in ogni circostanza. Altre testimonianze indicavano procedure molto semplificate, specie nelle carceri. In ogni caso l’ingresso nell’associazione camorristica veniva festeggiato con grandi banchetti. Le stesse spiegazioni etimologiche del termine ‘camorra’ sono numerosissime e molto divergenti. Del resto la parola ‘camorra’ è entrata nella lingua italiana dal gergo, non scritto, usato tra Settecento e Ottocento dai malviventi napoletani. Tra questi due secoli il termine ‘camorristi’ viene usato ripetutamente – accanto a ‘oziosi’, ‘vagabondi’, ‘rissosi’, ‘giocatori di professione’ – nei documenti della polizia borbonica e del ministero della Guerra. Tra le interpretazioni più recenti ce ne sono un paio di carattere storico, notevolmente differenti. L’uno associa ‘gamorra’ alla città biblica di Gomorra, come traslato di vizio e di malaffare. L’altra afferma una sorta di solidarietà lessicale tra i nomi delle tre organizzazioni criminali dell’Italia meridionale – camorra, mafia, ‘ndrangheta – e li fa risalire alla terminologia pastorale della cultura preromana. Secondo questa spiegazione si sottolinea l’originario fine protettivo e non criminale di queste ‘fratellanze’ segrete, ‘morra’ significherebbe ‘madre di tutte le greggi’. C’è da aggiungere che ci sono poi le possibili derivazioni dalla lingua castigliana: i termini ‘camorra’, ‘camora’, ‘gamurra’ rinviano sia a una corta giacca di tela, sia alla rissa, alla lite. La connessione tra camorra e gioco d’azzardo si è fatta risalire al termine arabo ‘kumar’; e si ritrova di frequente nei vocabolari dialettali napoletani dell’Ottocento. Proprio al gioco d’azzardo si connette l’interpretazione più diffusa nel corso dell’Ottocento, per questo camorra diventa sinonimo di estorsione, di riscossione di una tangente, una mazzetta, un pizzo su qualsiasi tipo di attività. Poi, anche per l’influenza delle sette segrete – la massoneria, la carboneria, l’”unità italiana”, i calderari del reazionario principe di Canosa – la camorra diverrà sempre più organizzazione, strutturandosi specie dopo l’unificazione nazionale, in associazione di delinquenti specializzati anzitutto nelle estorsioni su ampia scala, ma diffuse soprattutto nelle carceri e negli eserciti, dove spesso venivano arruolati i criminali già detenuti. La camorra, come attività e organizzazione distinta dalla criminalità comune, si diffuse nella città di Napoli presumibilmente nel secondo quarto dell’Ottocento. Diciamo non a caso presumibilmente, perché non si è finora ritrovata alcuna traccia archivistica degli atti della polizia borbonica, né si sono rinvenuti altri documenti di rilievo storico: Le prime notizie ufficiali si ritrovano nella documentazione approntata dalla neonata amministrazione italiana. Ci sono, è vero, testimonianze storiche e letterarie di notevole spessore, come quella citata all’inizio: l’inchiesta di Monnier. Altra cosa sono i tentativi di cercare antecedenti di questo specifico fenomeno criminale nella storia moderna di Napoli, tra Cinquecento e Settecento, tra viceregno spagnolo e primo periodo borbonico. La ricerca, però, si sfilaccia lungo improbabili fili criminali che si immaginano dipanarsi nei secoli tra la Spagna, Napoli e la Sicilia. Questa si addensò in centinaia di miglia di persone nella città-capitale, tra Cinquecento e primo Ottocento, richiamata dalle elargizioni sovrane e 4 aristocratiche, dall’esenzione fiscale e dal clima mite, che consentiva di sopravvivere in grotte e caverne a queste masse di diseredati. Già i primi decenni dell’Ottocento è quasi impossibile tracciare un profilo di questa realtà criminale. Ricorrendo alle fonti storiche attualmente disponibili, si può dire che la camorra, come associazione di delinquenti, si sviluppa tra Napoli, Caserta e altre aree della regione Campania lungo tutto l’Ottocento, fino ai primi decenni del Novecento. Poi si determinerà una rottura nella continuità del fenomeno criminale, che assumerà caratteri innovativi ed espansivi, e manterrà il vecchio nome solo in ordine alla collocazione territoriale. Negli anni della restaurazione borbonica, dopo il congresso di Vienna, la camorra si dà un’organizzazione, che prevede tre livelli da percorrere: picciotto d’onore, picciotto di sgarro, camorrista. Prima di iniziare questa specie di carriera, il giovane aspirante è chiamato tamurro. Viene eletto un capo per ognuno dei dodici quartieri di Napoli, che sono a loro volta suddivisi in paranze. Lo stesso avviene per alcuni capoluoghi provinciali, oltre che nei luoghi di detenzione e nei corpi militari. Questi caposocietà eleggono un capintesta generale della camorra napoletana, che per un lungo periodo corrisponde al caposocietà della Vicaria: per molto tempo il comando dell’organizzazione resta nelle mani della famiglia Cappuccio. I capi della camorra avevano il titolo di Masto, che significa maestro, ma anche padrone. Oltre che nella capitale, la camorra si era affermata già in epoca borbonica nella Terra di Lavoro, in particolare

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