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DELLA VITA PRIVATA DEI GENOVESI DISSERTAZIONE DEL SOCIO LUIGI TOMMASO BELGRÀNO Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 -I aluni fra gli storici dei secoli X III e XIV, i quali ci hanno lasciata una dipintura a larghi tratti de’ tempi cui seguitarono a breve distanza, descrivono i costumi degli italiani tutti spi­ ranti sem plicità, e quasi diremmo ancora selvatichezza. A ’ giorni dell’ imperadore Federigo II, cosi diceva Ricobaldo Ferrarese, rozzi erano in Italia riti e costumi. Gli uomini portavano mitre di ferree squame ; a cena marito e moglie mangiavano a un solo piatto, nè usavan legni da tagliare ; uno o due bicchieri bastavano ad una famiglia. Di notte illuminavan le mense con lucerne o faci, cui sosteneva un donzello; ma non vedeansi candele. G li uomini vestivano rozze lane o pelliccie; le donne stavansi paghe a tuniche di pignolato, anco allora che anda­ vano a marito ; poco o nessun uso faceasi d’ oro o d’ argento; e si era parchissimi nel mangiare. I plebei tre di per settimana pascevano carni fresche. Allora desinavano erbaggi cotti colle carni; e fornivasi la cena co’ resti delle medesime fredde e riposte; nè tutti beveano vino all’ estate. Di poca somma sti- mavansi ricchi. Picciole eran le canove, non ampli i granai. Lieve dote bastava a collocar le fanciulle; nè zitelle, nè spose 6 Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 ( M ) costumavano fregi preziosi intorno il capo; e le donne legavan le tempia e le guancie di larghe bende, cui annodavano sotto il mento. Gli uomini faceano loro gloria di cavalli e d’ armi ; i nobili poneanla nel noverare di molte torri fra i loro ster­ minati possessi ('). Se non che, il raccontalo da siffatti lodatori de’ tempi tra­ scorsi trovasi contraddetto da parecchi altri scrittori, non meno de’ primi gravi ed attendibili ; e però, anzicché pigliare alla lettera l’ esposizione loro, conviene ammettere con Cesare Cantù, che Ricobaldo Ferrarese e i suoi compagni voleano, esagerando il confronto, far rimprovero al fasto dei loro tempi, « come noi sentiamo tuttodì esaltare dai vecchi i costumi sobrii e schietti che correvano in loro gioventù, e che pure forma­ vano soggetto di beffe e rimproveri ai poeti, ai comici, ai predicatori d’ allora. Se mai 1’esiglio nostro sarà prolungato, anche noi ne’ tardi anni rimpiangeremo la beata semplicità e 1 ingenua fede che correva ne’ tempi di nostra giovinezza » (2). D' altra parte , è necessario strettamente il distinguere da’ Co­ muni e dalle Signorie di dentro terra le città marittime, come quelle che sorsero prima delle altre a libertà, e colle conquiste e i commerci, di che ebbero anzi l’indirizzo che il maneggio, di buon ora entrarono nella via delle ricchezze e dello incivilimento. Per procedere con ordine nello svolgimento del lavoro propo­ stomi intorno la vita privata de’ genovesi, occorrerà ch’io tocchi anzitutto di ciò che si attiene alle loro abitazioni ; dica poscia del mangiare e del vestire ; e infine mi soffermi a ritrarne il costume. Le mie ricerche si drizzano specialmente all’ età di mezzo; tuttavia mi è occorso di dovere più d’ una volta varcare il confine, allo scopo di meglio completare le notizie fornite; (') Hicobaldi Ferrariensis Compilatio Clironologica, apud Muratori Script Rer- Ita l. IX , 247. (2; C antò, Storia Univ.; vol. XI. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 ( 83 ) non senza fiducia che 1’ importanza e novità delle stesse mi valga di scudo appo i benevoli. I. \ Lungo il secolo X II le case de’ cittadini erano per la mag­ gior parte costrutte in legno. Ciò spiega perchè tra gli obblighi del C intraco, o banditore del Comune, fosse quello di dovere ne’ giorni in cui spirava il vento d’ aquilone andare intorno pel castello, la città ed il borgo ammonendo ciascuno che in­ vigilasse al fuoco (*); e ne fa accorti del perchè in breve ora un incendio distruggesse la contradadi sant’ Ambrogio (1122), ,e quasi tutto il quartiere di Palazzolo (1179); ed in Mercato vecchio, ne’ banchi de’ cambiatori (1213), divampassero oltre a cinquantaquattro edifizii. Anche nel secolo successivo trovansi ricordate le case di legno, ma probabilmente per la sola ragione che ne esistevano ancora di quelle innalzate negli anteriori. Il Fogliazzo de’ Notari ha memoria della casa di legname dei figliuoli di Nicola Embrone, sotto l’ anno 1227 (2). Nel 1251 tre fratelli Di Negro cedono i diritti che loro competono su alcune case di legno poste in Sosìglia (3); e nel 1253 Giovanni Bisaccia dà in locazione un edificio ligneo sito sulla piazza de’ Lercari (4). Ma, quel che è p iù , lo stesso Comune teneva in siffatte case i proprii ufficii, come si apprende da un atto del 1.° febbraio 1251, nel quale Nicolò Conte ed Ansaldo Di Negro affermano che Bonifazio Fo rn ari e i suoi consorti aveano locato al Comune e al Po­ destà domum, , sive astricum cum domibus lignaminis, per 1’ annuo censo di lire 70, ed alle condizioni con cui 1’ aveva (*) Lib. Jurium Reipub. Genuen. I. 78. (3) ld. I. 452. (J ) Foliatium Notariorum, Ms. della Civico-Beriana; vol. I, car. 85. («) Id. I. 520. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 ( 84 ) tenuta Guido di Corrigia podestà dell’ anno precedente (')• Tuttavia i nobili e gli agiati cittadini non tardarono ad edificarsi più comode e solide abitazioni; che anzi parecchi documenti se ne hanno spettanti allo stesso secolo XII. Queste si alza­ vano per Io più a quattro o cinque palchi, compreso il terreno; ed erano comunemente costrutte in pietre fino al secondo piano, e ([tiindi di mattoni insino al tetto; poiché le cave di pietre prima della invenzione della polvere furono troppo costose (2). Il tetto poi si copriva con ardesie di Lavagna ; e le finestre venivano decorate e spartite da agili colonnette, sulle quali non di rado giravansi archi di sesto acuto, ovvero di tutto sesto. La tradizione ci insegna poi, che quei branchi di ferro che ne più antichi edifizi veggiamo ancora al di d’ oggi murati lateralmente al di fuori delle finestre medesime, non erano vani ornamenti, ma necessari ordigni per adagiarvi i lunghi remi, allorché i navili guerreschi o mercantili entravano in riposo. ( ') Fol. Ao£. vol. 11, par. I, car. 6 . Infatti un instrumento del 18 aprile 1250 dicesi actum ianue in palatio fomarionum in quo potestas habitat. (Ibid. 37). (2) Le cave di pietra erano allora, come al presente, a Capo di Faro, nel colle di Carignano ed in Albaro. Per atto del 29 ottobre 1225 Oberto abate di san Be­ nigno a Capo di Faro concede a maestro Alberto Strurigozzo la facoltà di far pie­ tre nel monte ove sorge il detto monastero, cioè in quella parte che confina tra il coltivato, 1’ Ospedale ed il mare (Fol. Not. I. 171). Vedansi pure nel Liber Jurium (I. 1254 e seguenti) le concessioni di simil genere per Carignano ed Al­ baro fatte a frate Oliverio monaco cisterciense, architetto del nostro Molo assai prima di Marino Boccanegra, e del Palazzo che fu poi di S. Giorgio ed è ora della Dogana. Y. B elg r a n o , Documenti genovesi suite Crociate di Luigi IX di Francia, pag. 334 e seguenti. Giovanni d’Auton, cronista del re Luigi X II, che nel 1o02 accompagnò a Genova quel monarca, così parla delle case d’allora: « Les maisons sont toutes à quatre ou à cinq etage de hauteur, fermées et clo­ ses de grosses portes de fer et voûtées de pierre, pour obvier au danger du feu, et dessus toutes pavées, de manière que l’on peut aller et cheminer par amont, jusques au bout de la rue, aussi à l’aise comme par la nef d’une église bien car­ relée de grosses pierres de faix et de cailloux; de barres de fer, de lances et de dards , et de louis harnois sont celles maisons garnies ù suffire > (V. Chro­ niques de Jean d'Auton publiées par Paull. Jacob, Paris 1835, vol. H. p. 209. Società Ligure di Storia Patria - biblioteca digitale - 2011 ( 85 ) Le navi genovesi, al paro di quelle delle altre repubbliche d’ Italia, e segnatamente di Venezia, Amalfi e Pisa, veleg­ giando del continuo verso 1’ Oriente, e mantenendo relazioni e commerci coi paesi de’ Califfi, appresero alla patria la moda e P amore delle maraviglie ammirate colà; e cosi furono cagione che gli italiani, allontanandosi poco a poco dal gusto bisantino e longobardo, che regnava dapprima nelle loro città, predili­ gessero quello degli arabi, e il mantenessero per lungo volgere di tempi in singolare onoranza. Incapaci per altro ad elevare di per se stessi ornate fabbriche in quella rinascenza delle arti, bene spesso guastarono gli antichi monumenti per crearne de’ nuovi; e quindi avvenne che frutto delle loro navigazioni, o trofeo di segnalate vittorie, fossero talfìata colonne di diaspro, di porfido o d’ altre preziose materie, le quali, tolte a’ più venerandi od insigni edificii, seco traevano per crescere decoro, imponenza e bellezza alle porte ovvero al peristilio delle loro cattedrali. Racconta Caffaro che i genovesi, reduci dall’ impresa di Cesarea (1101), aveano levate dal tempio di Giuda Maccabeo dodici colonne di marmo venato di rosso, giallo e verde, e della circonferenza di ben 13 palmi, e quelle caricate su di una nave, la quale avea diretta la prora verso la patria, quando, cedendo forse all’ enorme peso, miseramente s’ infranse nel golfo di Satalia (1). Ma dalla magnificenza onde allora si fece pompa non più veduta nella casa di Dio, a quella delle abitazioni degli uomini ( ') P e r t z , Monumenta Germaniae Historica; X V III.

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