SCUOLA DOTTORALE / DOTTORATO DI RICERCA IN SCIENZE POLITICHE CICLO DEL CORSO DI DOTTORATO XXIV Titolo della tesi I PRIGIONIERI DI GUERRA ITALIANI NEGLI STATI UNITI, 1942-1946 Nome e Cognome del dottorando FLAVIO GIOVANNI CONTI A.A. 2010/2011 Docente Guida/Tutor: Prof. Fortunato Minniti Coordinatore: Prof. Leopoldo Nuti INDICE Introduzione…………………………………………………… pag. 3 Cap. I Dalla cattura all’arrivo negli Stati Uniti…….. pag. 5 Cap. II I negoziati……………………………………… pag. 33 Cap. III L’utilizzazione……………………………........ pag. 45 Cap. IV Il trattamento………………………………….. pag. 70 Cap. V Le fughe………………………………………… pag. 104 Cap. VI I prigionieri deceduti………………………….. pag. 116 Cap. VII L’opinione pubblica americana…………......... pag. 133 Cap. VIII I campi di detenzione………………………….. pag. 157 -I campi di New York e del New Jersey……. pag. 164 -I campi del Massachusetts…………………. pag. 180 -Letterkenny Ordnance Depot…………… pag. 188 -I campi della Virginia………………………. pag. 192 -I campi della Georgia………………………. pag. 194 -Camp Clark………………….……………... pag. 201 -Camp Como………………………………… pag. 209 -Camp Hereford…………………………….. pag. 217 -I campi dello Utah………………………….. pag. 263 Cap. IX Il rimpatrio…………………………………… pag. 274 Conclusioni…………………………………………………….. pag. 289 Appendici………………………………………………………. pag. 292 Bibliografia…………………………………………………….. pag. 314 2 Introduzione La disgrazia più grave per un soldato in guerra è certamente quella di essere ucciso. La seconda è quella di rimanere gravemente ferito. La terza è quella di cadere prigioniero, tanto più grave quest’ultima se il paese del prigioniero non è tra quelli vincitori. Ciò purtroppo è quello che accadde a centinaia di migliaia di soldati italiani nella seconda guerra mondiale. Circa 600.000 militari italiani furono fatti prigionieri dagli Alleati. Altri 600.000 furono catturati dai tedeschi e classificati come internati da Hitler, che in questo modo intendeva eludere le norme della Convenzione di Ginevra del 27 luglio 1929 sui prigionieri di guerra. I prigionieri di guerra italiani in mano americana furono 125.000, di questi oltre 51.000 furono inviati negli Stati Uniti1. Si trattava in larga parte di soldati catturati dagli Alleati nella primavera-estate del 1943, durante la fase finale della campagna in Africa settentrionale e l’invasione della Sicilia. In molti casi erano militari catturati dagli inglesi e assegnati poi agli americani, cosa contraria alle norme della Convenzione di Ginevra che vietavano lo scambio di prigionieri tra paesi detentori. La decisione di inviarli negli Stati Uniti fu presa dal generale Eisenhower per evitare di dover custodire e mantenere una massa enorme di soldati nemici da parte dell’Esercito alleato, impegnato nella campagna d’Italia. I primi contingenti di prigionieri arrivarono negli Stati Uniti nel dicembre 1942, e gli ultimi lasciarono il paese nel febbraio 1946. La storiografia ha trascurato a lungo la questione dei prigionieri di guerra italiani, solo negli ultimi trent’anni si è manifestato un maggiore interesse, soprattutto riguardo alla prigionia degli italiani in Germania e in Russia, sulla quale sono stati pubblicati diversi saggi2. Sulla vicenda dei prigionieri italiani negli Stati Uniti non esistono fino ad oggi studi specifici. Il tema è stato studiato solo in modo parziale o sintetico nell’ambito di ricerche più ampie. Negli ultimi anni è inoltre andato aumentando il numero delle memorie pubblicate da reduci della prigionia in America. Come è noto, la sorte dei prigionieri in Germania e in URSS fu particolarmente drammatica, ma anche quelli in mano alleata subirono trattamenti molti differenziati: molto duro da parte della Francia e alquanto rigido da parte degli inglesi, che comunque nel complesso rispettarono le norme della Convenzione, mentre la prigionia negli Stati Uniti si configurò senza dubbio la migliore. In generale, i reduci diedero un giudizio piuttosto positivo sulla loro detenzione negli Stati Uniti, e ciò a causa delle buone condizioni economiche, degli alti standard di vita americani e di altri fattori politici e sociali. Questa ricerca ha affrontato il tema della prigionia negli Stati Uniti nei suoi molteplici aspetti. Ha analizzato il trattamento riservato dagli americani ai prigionieri italiani, a partire dal momento della cattura, fino a quello del rimpatrio, prendendo in considerazione tutte le componenti della detenzione, le condizioni materiali, le attività ricreative e culturali, l’assistenza religiosa. Ha inoltre 1 Min. della Guerra, Ufficio Autonomo Reduci da Prigionia di Guerra e Rimpatriati, Relazione sull’attività svolta per il rimpatrio dei prigionieri di guerra ed internati 1944-1947, Roma, Istituto Poligrafico dello Stato, 1947, allegato 1. 2 Per i prigionieri in Russia e per quelli in Germania, basti ricordare rispettivamente gli studi di M.T. Giusti, I prigionieri italiani in Russia, Il Mulino, 2009 e G. Hammermann, Gli internati militari italiani in Germania, Il Mulino, 2004. 3 evidenziato l’importante contributo di lavoro fornito dai prigionieri all’economia americana, in compiti anche vietati dalle Convenzioni internazionali, in un periodo di forte carenza di manodopera civile. Ha anche inquadrato la questione dei prigionieri nell’ambito dei rapporti politico-diplomatico-militari tra Italia e Stati Uniti. L’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti dei prigionieri italiani è, infatti, più facilmente comprensibile se considerato alla luce della politica americana di “indottrinamento” alle idee democratiche dei militari italiani, nella prospettiva della collocazione dell’Italia nel blocco occidentale della futura Europa libera. Per il raggiungimento di questo obiettivo lavorarono le autorità politiche e militari americane, ma anche la Chiesa cattolica e gli italo-americani. Importante fu anche il ruolo dell’opinione pubblica nel condizionare l’atteggiamento delle autorità politiche e militari, spesso considerato troppo benevolo verso gli italiani. Parte della ricerca è dedicata alla descrizione delle vicende di alcuni campi di detenzione, scelti in modo da fornire un quadro rappresentativo delle diverse realtà della prigionia. Si è tenuto conto della distinzione tra prigionieri cooperatori e non cooperatori, che in alcuni casi furono detenuti in campi distinti. I campi ebbero caratteristiche diverse anche a causa della collocazione geografica, della vicinanza a grandi centri urbani, della presenza o meno di comunità italo- americane. Nel ricostruire la vita nei campi si è considerato il fenomeno delle fughe, e si è delineato il quadro dei prigionieri deceduti per diverse cause, tra cui quelle di lavoro. La ricerca si è basata in larga parte su documentazione inedita, tratta da archivi italiani e statunitensi. In Italia sono stati consultati l’Archivio Centrale dello Stato, l’Archivio Storico-Diplomatico del Ministero degli Affari Esteri, l’Archivio dell’Ufficio Storico dello Stato Maggiore dell’Esercito, l’Archivio dell’Ufficio Storico della Marina Militare, l’Archivio Segreto Vaticano, l’Archivio Storico della Croce Rossa Italiana, l’Archivio Storico dell’Istituto Luigi Sturzo, l’Archivio della Direzione Generale della Previdenza Militare, della Leva e del Collocamento al lavoro dei volontari congedati, III Reparto, 10^ Div., 5^ Sez., Albo d’Oro. I quotidiani e le riviste americani sono stati consultati presso il Centro Studi Americani di Roma e la Loyola University of Chicago, Rome Center. Per quanto riguarda gli Stati Uniti, la principale fonte archivistica è rappresentata dai National Archives di Washington. Sono state considerate le pubblicazioni ufficiali, le monografie, i saggi, e la memorialistica degli ultimi venti anni, oltre ad alcune recenti tesi di laurea italiane e americane sul tema. Sono stati consultati i principali quotidiani e riviste statunitensi e numerosi siti internet specializzati. In alcuni casi si è potuto utilizzare la documentazione e la testimonianza di reduci o di loro familiari. 4 Cap. I. Dalla cattura all’arrivo negli Stati Uniti Africa Settentrionale L’8 novembre 1942 gli anglo-americani davano il via all’operazione Torch. Le truppe americane al comando del generale George Patton sbarcarono contemporaneamente a Casablanca, Orano e Algeri, e già il giorno successivo le operazioni militari in Algeria avevano termine con un accordo tra l’ammiraglio francese Darlan e le autorità militari americane. L’11 si arrendevano le forze francesi in Marocco e il 16 dello stesso mese le truppe anglo-americane entravano in territorio tunisino. Alla fine di dicembre l’8a armata inglese del generale Montgomery avanzò verso Tripoli e il comando italiano il 23 gennaio 1943 ordinò di sgombrare la città e di organizzare la difesa in Tunisia insieme ai tedeschi1. Le unità dell’Asse furono riorganizzate a metà febbraio nella Ia armata italiana, al comando del generale Messe, che comprendeva le divisioni Giovani Fascisti, Trieste, Spezia, Pistoia e le tedesche 90a, 164a e 15a corazzata2. A metà del mese di marzo l’8a armata inglese sferrò un poderoso attacco sorretto da mezzi corazzati e dall’aviazione. La battaglia si svolse tra il 16 e il 29 marzo a Mareth-el-Hamma, e costrinse gli italo-tedeschi ad arretrare sulla linea dell’Akarit, con perdite valutabili in circa due divisioni e 7.000 prigionieri3. Il 6 aprile gli Alleati attaccarono la parte centro-orientale dello schieramento italo-tedesco sfondando in prossimità della divisione La Spezia e costringendo il nemico a ripiegare su Enfidaville. La battaglia dell’Akarit e il successivo ripiegamento costarono perdite pari ad altre due divisioni4. Montgomery calcolava in 7.000
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