Annali 2015 Def Impag Annali

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ANNALI del CENTRO PANNUNZIO TORINO Anno 2015 A Federico Chabod, Maestro di studi storici e di vita morale e civile Federico Chabod ANNALI del CENTRO PANNUNZIO CENTRO PANNUNZIO TORINO 2015 SOMMARIO Editoriale p 7 La Grande Guerra. Una riflessione storica di Pier Franco Quaglieni Primo piano p. 11 Croce e la Grande Guerra: i pensieri “privati” di Girolamo Cotroneo p. 23 La denuncia di un tradimento: Il “Manifesto degli intellettuali antifascisti” di Giuseppe Giordano p. 35 Guglielmo Ferrero: rivoluzione e conservazione di Hervé A. Cavallera p. 51 Cesare Alfieri di Sostegno di Maria Teresa Pichetto p. 63 Goethe e compagni. La musica, l’opera, la canzone di Piero Mioli p. 73 Metafisica e problema morale in Piero Martinetti di Elettra Bianchi Storia, società, costume p. 81 A proposito del “Dizionario del liberalismo italiano” di Girolamo Cotroneo p. 87 «Il n’y a qu’un bonheur, celui de vivre avec ceux qu’on aime». Le donne di casa Cavour: Filippina, Adele, Giuseppina di Giusi Audiberti p. 97 Italia e Polonia: aneliti di libertà di Liana De Luca p. 105 Benedetto Croce e il concetto di Nazione. L’avventura filosofica e civile di una “passione” di Emilia Scarcella p. 119 Carlo Ludovico Ragghianti di Giuseppe Brescia p. 127 Ricordo di Dante Notaristefano, vittima delle BR di Pier Franco Quaglieni p. 129 Libertà e liberali di Giuseppe Graziani Il giardino delle Muse p. 137 Per Giuseppe Verdi di Loris Maria Marchetti p. 141 I poeti della modernità di Elisabetta Chicco Vitzizzai 5 p. 151 L’inutile solitaria vittoria dell’uomo oltre Dio. Ombre di vita e di pensiero nel “Faust” di Pessoa di Filiberto Ferro p. 167 I Sei di Torino di Claudia De Feo p. 177 La poesia di Liana De Luca: appunti di lettura di Loris Maria Marchetti Scienza p. 181 La stagione del consenso forzato: l’insegnamento della matema- tica nel ventennio fascista di Erika Luciano Archivi (a cura di Dante Giordanengo) p. 203 Per una nuova filosofia dell’età industriale di Ludovico Actis Perinetti Il Centro “Pannunzio” p. 207 Principali attività del Centro “Pannunzio” svolte nel 2014 6 PIER FRANCO QUAGLIENI LA GRANDE GUERRA. UNA RIFLESSIONE STORICA Ci ha sorpresi che in occasione del centenario del XXIV maggio ci siano state manifestazioni celebrative che solo pochi anni fa sarebbero subito state condannate, se non come guerrafondaie, certamente antipacifiste. Paradossalmente i venti di guerra che scuotono l’Europa rendono il pacifi- smo meno presente. Di fronte al centenario della Grande Guerra ci si deve porre in un atteg- giamento storico, cioè distaccato, senza inutili moralismi e senza polemiche obsolete, che, dopo cent’anni, devono lasciare spazio ad una più meditata riflessione storica. E buona parte delle iniziative è andata in questa direzione. In ogni caso, appare chiaro che non si possa festeggiare l’inizio di una guerra, ma semmai si potrà festeggiarne nel 2018 l’anniversario della fine, che significa, comunque, la pace riconquistata: un valore che deve essere superiore ad ogni altro, forse persino a quello della stessa libertà, anche se a volte nella storia è accaduto diversamente. Benedetto Croce, in una delle sue pagine più alte scritta a Viù il 5 novembre 1918, giunse a scrivere che la festa non si addice neppure alla fine di una guerra così sconvolgente e che tutta la nostra attenzione malinconica, rispettosa e silenziosa va rivolta ai Caduti su tutti i fronti e alla presa di coscienza delle difficoltà che avreb- be incontrato l’Italia nell’opera di ricostruzione. *** Nessuno, rispetto a chi ha fatto la guerra, odia di più la guerra e la vio- lenza che essa scatena. Tuttavia, come sosteneva Croce, la guerra è anche «una legge eterna del mondo che si attua di qua e di là da ogni ordinamento giuridico…»1 Croce 1 B. Croce, Scritti e discorsi politici, Napoli, 1993, p. 387. 7 che era stato fermamente neutralista, che aveva sofferto come male fisico le sconfitte di guerra, sapeva tuttavia leggerla nella sua drammaticità reali- stica, rifuggendo dal moralismo delle anime belle incapaci di intendere il senso della storia. Questo tentativo di capire la guerra, le guerre, non significa giustificar- ne i ricorsi da parte dell’umanità nelle diverse epoche storiche, ma cercare di capirne storicamente le cause, al di là delle contingenze storiche. *** Ricordare ciò che accadde cent’anni fa significa fissare alcuni elementi di riflessione: non fu responsabilità della sola Germania la Prima Guerra Mondiale, ma un po’ di tutte le Potenze europee e non solo, come dimostra anche la rin- corsa agli armamenti negli anni precedenti al 1914. il clima culturale verificatosi nel primo decennio del secolo scorso e caratterizzato da inquietanti irrazionalismi più o meno nazionalisti ha pre- parato anche per mezzo dei giornali l’opinione pubblica alla guerra. Pensiamo, ad esempio, a Marinetti e alla folle «guerra sola igiene del mondo» del Manifesto futurista. lo scatenarsi di crescenti rivalità economiche delle grandi potenze euro- pee in rapporto alla II Rivoluzione industriale di fine Ottocento ha deter- minato l’idea che un conflitto potesse rispondere alle esigenze espansive delle nazioni europee e creare una nuova stabilità di cui la diplomazia non era in condizioni di essere garante. la situazione dei Balcani, al di là dell’episodio di Sarajevo, è un ele- mento scatenante, anche se la loro instabilità conflittuale ha un carattere bisecolare nella storia europea precedente. la guerra si caratterizzò, da un punto di vista militare, per l’uso di armi micidiali mai adoperate prima, armi che non crearono però le condizioni di una guerra lampo, come si pensava da parte di molti: essa infatti diven- ne prestissimo guerra di trincea e di logoramento con un costo altissimo di vite umane. gli stati maggiori erano formati da ufficiali preparati alla guerra tradizio- nale ottocentesca (un esempio clamoroso è Cadorna, inadeguato alla guer- ra moderna ed autentico macellaio che vide i soldati come oggetti da man- dare al massacro), forse solo gli americani si rivelarono preparati ad un tipo di guerra che non aveva precedenti, ma ebbero modo di vedere cos’e- ra la Grande Guerra quasi per tre anni prima di intervenire. è il 1917 l’anno nel quale le potenze belligeranti si rendono conto che la guerra ha svoltato verso prospettive storiche impensabili, cambiando gli stessi obiettivi per cui essa era scoppiata nel 1914: la Rivoluzione russa e l’intervento americano vennero a modificare la natura e la dimensione stes- sa della guerra e del suo esito. Basti pensare all’Unione Sovietica nata dalla 8 Rivoluzione d’ottobre per capire l’incidenza storica della I Guerra Mondiale. In quello stesso anno Benedetto XV definisce il conflitto una «inutile strage», un giudizio che anche oggi viene ripreso, mentre l’interpretazione leninista della guerra come fase estrema del capitalismo appare oggi del tutto ideologica ed anche fuorviante. Infatti sarebbe un grave errore che tutto il capitalismo europeo fosse per la guerra perché c’erano settori signi- ficativi di esso che abbisognavano della pace per implementare il proprio sviluppo. L’Italia entrò nel conflitto nel 1915 contro l’Austria e nel 1916 contro la Germania. Ci fu un lungo e lacerante conflitto fra neutralisti capeggiati da Giolitti e Croce, socialisti e cattolici ed interventisti capeggiati da d’Annunzio, Mussolini, ma anche da uomini di orientamento democratico come Salvemini. Per molti italiani la guerra era anche la IV guerra di indi- pendenza per completare il Risorgimento con Trento e Trieste, l’Istria, la Dalmazia e Fiume. *** Ma valeva la pena al costo di 650mila Caduti? C’è da dubitarne. In ogni caso, l’Italia nel maggio 1915, entrando in guerra, era ben con- sapevole che non sarebbe stato un conflitto breve e soprattutto aveva visto le stragi di soldati sul fronte occidentale francese. Non poteva valere per l’Italia l’inconsapevolezza che potevano avere le potenze entrate in guerra nell’estate 1914. D’Azeglio aveva scritto che bisognava «fare gli italiani». Il post Risorgimento non era riuscito a formare un’identità nazionale condivisa. La strada da percorrere sarebbe stata l’educazione e la scuola, come vide il grande De Sanctis e il piccolo De Amicis con il suo bistrattato libro Cuore. A creare un po’ di amalgama nazionale fu solo il servizio militare in caser- ma: soldati del Nord mandati al Sud e viceversa. Nelle trincee del Piave e del Carso si formò nel sangue quello spirito ita- liano che mancava. La Nazione italiana nacque negli anni di guerra, soprattutto dopo la dis- fatta di Caporetto. Fu un modo affrettato e violento di «fare gli italiani» che peserà grave- mente su tutta la nostra storia successiva. Sicuramente la Grande Guerra è stata una grande strage, ma essa non fu «inutile» (nella storia mai nulla è inutile) perché ha cambiato il mondo. Certo, peggiorandolo. Non fosse altro perché a Versailles non si posero le condizioni di una pace duratura, ma della II Guerra Mondiale. È oggi divenuta persino una frase fatta quella in cui si sintetizza la vicen- da storica dal 1914 al 1945: la seconda guerra dei trent’anni; una storia caratterizzata da tre dittature sanguinarie e da due guerre mondiali che hanno provocato il massacro di milioni di uomini. Rosario Romeo in un saggio del 1968, l’anno della dissacrazione di ogni 9 valore tradizionale che rappresentava anche il cinquantenario della fine della Grande Guerra, scrisse in un saggio parole che restano una chiave interpretativa importante: la guerra non fu mera sopraffazione o discono- scimento dei valori altrui, ma fu anche il contributo di un popolo alla civil- tà realizzato a partire dal secolo precedente attraverso la lotta e la compe- tizione per l’affermazione di valori. Nella grande produzione storica sollecitata dagli anniversari difficilmen- te si trovano testi di valore, se si eccettuano quelli di Gian Enrico Rusconi e di Emilio Gentile.

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