La Zenobia Di Don Álvaro Marco Tanzi

La Zenobia Di Don Álvaro Marco Tanzi

la zenobia di don álvaro marco tanzi In copertina Luigi Miradori detto il Genovesino, Cupido che incocca la freccia (particolare), LA ZENOBIA 1650-1655 circa, collezione privata DI DON ÁLVARO e altri studi sul seicento tra la bassa padana e l’europa Progetto grafico Paola Gallerani Redazione Paola Gallerani e Francesca Zaccone Segreteria di redazione Serena Solla Fotolito Eurofotolit, Cernusco sul Naviglio (Milano) Stampa Monotipia Cremonese, Cremona con 51 illustrazioni a colori Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore. isbn: 978-88-97737-56-8 © Officina Libraria, Milano, 2015 www.officinalibraria.com Printed in Italy SommARIO 7 127 SUL filo BARocco nellA BAssA (TRA memoRIAlisticA E SHORteR notices) 19 Testo E immAgine: QUAlcHE incRocio 129 Casalmaggiore primo amore [1999] 156 Aggiornamenti [2014] 21 L’apice rudolfino di Paolo Piazza [2001] 159 I Procaccini 33 Malosso per Giovan Battista Marino [2006] 159 1606: Camillo Procaccini a Cremona [1991] 41 Il primo sonetto per Giulio Cesare Procaccini 161 Da Malosso a Camillo Procaccini, 1 [1993] (e una rifessione sul secondo) [2014] 162 Da Malosso a Camillo Procaccini, 2 [2005] 47 Matterelli in riva al Po. Sulle orme di Orlando: 163 Un fotocolor per Giulio Cesare Procaccini [2014] il firmamento nell’orologio [2014] 173 Giuseppe Caletti 57 Una proposta per Cerano scultore [1995] 173 Un inedito cremonese [1983-1984] 62 Aggiornamenti [2014] 175 Ritorno a Pieve Terzagni [2014] 179 Il Genovesino 64 179 Un ritratto in Palazzo d’Arco a Mantova [1987] TAVole 180 La «Santa Lucia» di Castelponzone [1989] 183 Ancora per la «Santa Lucia» [2001] 105 La Zenobia di don Álvaro [2009] 184 Vanitas [2014] 117 Una scheda per l’amico cremonese di Velázquez [2011-2014] 191 I Nuvolone 191 A proposito di Carlo Francesco Nuvolone [1982] 192 Aggiornamenti [2014] 193 Giuseppe Nuvolone d’après Andrea Mainardi [2012] 196 Un «San Raimondo» per San Domenico a Cremona [2012] 199 bibliografia 217 indice dei nomi SUL filo on mi occupo di Seicento in maniera sistematica: l’ho fatto sporadicamente nel corso del tempo, quasi sempre grazie al ritrovamento o alla rivelazione di una Nparticolare opera d’arte. Ogni intervento nasce sulla scorta della sorpresa e della carica emotiva, seguito da un più serrato corpo a corpo con l’opera, affrontata secondo le sue specificità più singolari: stile e cronologia, contesti e incroci, committenza e iconogra- fia e il rapporto, quando esiste, con testi religiosi, poetici e letterari. In questa occasione ho raccolto una serie di contributi che si scalano nell’arco di un trentennio, dal 1982 al 2012, aggiornando la bibliografia, e in parte riaggiustandoli sul versante della scrittura quando mi sono accorto che il testo non filava con la dovuta scioltezza. Conseguenza diretta del riprendere in mano vecchie carte e vecchie fotografie è stata l’integrazione dei problemi affrontati in passato con alcuni capitoli scritti ex novo tra l’estate e l’autunno del 2014, strettamente vincolati a quelle tematiche. Ciò nonostante confesso che non mi è dispiaciuto lasciare, in certi casi, l’impressione di un testo come semilavorato, con un velo di polvere o un poco di ruggine, bisognoso forse di un’altra limatina, con spiragli ancora aperti per incursioni future. L’ombelico è Cremona con il suo territorio: ancora una volta alle prese con il «crocevia culturale al centro della Valpadana»; un ruolo nodale che però, nel Seicento, la città ha perduto da tempo. Andrebbe spiegato il continuo gioco di specchi tra l’autore e il luogo privilegiato delle sue indagini, ma sono certo che darei al lettore pagine noiose e autore- ferenziali oltre il lecito, coinvolgendo amori e ossessioni fin troppo private. Dopo le pas- sioni, le speranze e gli eccessi, si entra nella stagione in cui il rapporto muta e la città, pur mantenendosi un fertile terreno d’indagine, non costituisce più uno spreco di energie o una fonte di risentimento e si smorza l’impegno sterile in direzione di una sua crescita intellettuale e civile. Così le inquietudini degli anni belli rientrano in un alveo secolare di distacco venato di sarcasmo e di anestetizzata amarezza che vira, per il concorso di geni antichi, verso una percezione più corrosiva e disincantata delle cose. È un sentimen- to, a volte scambiato per albagia, che ha segnato la vita del conte Giambattista Biffi nel Settecento dei lumi e, in anni più vicini, quella di spiriti assai diversi tra loro, della gene- razione di mio padre, che – si parva licet – sento profondamente consentanei: Danilo Montaldi, Giampaolo Dossena e Corrado Stajano sono stati la guida cui affidarmi du- rante questo passaggio non agevole; in patria più celebrati che capiti o, tantomeno, amati per lo sguardo insieme lucido e agro, sferzante e impietoso, grottesco e dolente su «una città sonnolenta che ancora oggi rifiuta il fastidio della memoria».1 Ernesto Fazioli, Funambolo, 1940 1. Nella citazione riunisco arbitrariamente due brani quasi identici di Stajano 2001, p. 75; 2013, p. 7 sul filo sul filo Torniamo al XVII secolo. Non ho mai avuto in mente di scrivere qualcosa tipo L’arte locali (Giovan Battista Natali, Giuseppe Natali di Casalmaggiore, Francesco Boccacci- del Seicento a Cremona; ho soltanto trovato delle opere quasi sempre senza cercarle – anzi, no, Angelo Massarotti) o legati alla città, come il fiammingo Robert De Longe; mentre con l’idea che fossero loro a cercare me – e le ho illustrate secondo gli estri e le inclinazio- rinnovate tracce milanesi si incontrano in alcune opere perdute di Carlo Preda, in un ni del momento. L’unico sintetico tentativo di mettere un po’ d’ordine risale al 1987, in Daniele nella fossa dei leoni di uno dei due Montalto – i fratelli Danedi di Treviglio –, e anni in cui avvertivo un’esigenza di chiarezza sugli snodi e le gerarchie artistiche: «Man- in un Giudizio di Salomone di Agostino Santagostino. Da questo sintetico repertorio, cano ancora […] trattazioni organiche relative alla cultura figurativa cremonese del Sei- integrato da notizie delle altre guide cremonesi, si possono trarre brevi spunti di riflessio- cento che pure meriterebbe maggiori attenzioni da parte della critica. Dopo la stanca ne: la città, a causa anche della notevole decadenza economica, non mostra la vivacità schiera degli epigoni malosseschi che, sfruttando fino alla noia le fortunate quanto ormai culturale di alcuni centri vicini, e anche le aperture verso l’esterno appaiono in definitiva anacronistiche formule del manierismo “cristianizzato” di Bernardino Campi, riescono a piuttosto limitate. Milano rappresenta il più forte polo d’attrazione, mentre le presenze inoltrarsi per alcuni decenni nel nuovo secolo, la committenza locale sembra rivolgersi emiliane contemporanee al Tiarini, quella del modenese Gavasseti, attivo in San Sigi- con rinnovata insistenza ad artisti provenienti da altri centri; mentre il più promettente smondo e San Luca, e quella significativa di Giuseppe Caletti, appaiono quasi esclusiva- degli allievi del Malosso, Panfilo Nuvolone, trasferendosi a Milano inaugura una stagio- mente legate alla committenza di ecclesiastici modenesi della famiglia Campori; gli sboc- ne di grande fervore, in cui i suoi due figli Carlo Francesco e Giuseppe si segnalano, non chi verso il Veneto, infine, sono rari, testimoniati da opere perdute di Palma il Giovane e solo in area lombarda, fra i pittori più ricercati. Se quindi quello dei Nuvolone va consi- del vicentino Maganza. Sembra inoltre che Cremona non possegga, in questa fase della derato un fenomeno più milanese, nonostante alcune significative opere lasciate nella sua storia, una scuola pittorica locale degna di questo nome, dotata di reale omogeneità e città d’origine, è di un certo interesse esaminare l’arrivo di pittori forestieri, partendo di peso effettivo nelle vicende artistiche dell’Italia settentrionale come nel secolo prece- dalla descrizione di una delle più importanti chiese cremonesi, la demolita basilica di San dente; in certi momenti della sua discontinua carriera si distingue Pietro Martire Neri, Domenico, nella prima delle guide a stampa della città lombarda, quella di Antonio Ma- ma per rialzare il tono della produzione figurativa cittadina bisogna attendere l’arrivo del ria Panni, pubblicata nel 1762. Da questa analisi senza nessuna pretesa di completezza ci genovese Luigi Miradori».2 accorgiamo dell’assoluta preponderanza numerica di dipinti seicenteschi: distrutti gli af- Con tutti i limiti, questo schematico tentativo di ricostruzione sembra tenere il tempo freschi, ci sono invece rimaste in discreta percentuale le opere da cavalletto, confluite senza soverchi acciacchi, soprattutto grazie al ritrovamento, negli anni immediatamente nelle collezioni pubbliche e in altre chiese cremonesi, mentre le notizie del Panni ci soc- successivi, di diverse opere a partire dalla grande tela domenicana di Camillo Procaccini, corrono per quanto riguarda il “perduto”. Dopo l’orgia di dipinti malosseschi, le scelte ora a Isola Dovarese.3 È poi toccato a tre pale eseguite per il rinnovamento tardocinque- della committenza domenicana sono rivolte in direzione di due aree figurative ben defi- centesco degli altari nel tempio dei canonici lateranensi di San Pietro al Po, un affollato nite: l’Emilia e, soprattutto, Milano. Anche l’artista individuato come tramite tra le due incrocio di pittura moderna di eterogenea estrazione, che ora apprezziamo meglio grazie scuole, il bolognese Camillo Procaccini, è presente in San Domenico con una Madonna al riconoscimento dei responsabili delle principali imprese a fresco nel coro e nella cupo- con il Bambino, ora perduta, nella cappella del Rosario. La decorazione di questo ambien- la, il marchigiano Giorgio Picchi e il centese Orazio Lamberti.4 Le pale recuperate sono te è senza dubbio la più prestigiosa nel tempio domenicano, con un preciso programma il Martirio degli abitanti di Ippona di Palma il Giovane, ora al Musée Fabre di Montpellier iconografico realizzato in un breve spazio di anni, a testimonianza del peso economico (inv.

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