Atti del XVII Convegno SIA Ex Oriente: Mithra and the others Astronomical contents in the cults of Eastern origin in ancient and Western Mediterranean

a cura di Elio Antonello

VA

ADO P UP PADOVA UNIVERSITY PRESS

Prima edizione 2021, Padova University Press Titolo originale Atti del XVII Convegno SIA Ex Oriente: Mithra and the others. Astronomical contents in the cults of Eastern origin in ancient Italy and Western Mediterranean

© 2021 Padova University Press Università degli Studi di Padova via 8 Febbraio 2, Padova www.padovauniversitypress.it Redazione Padova University Press Progetto grafico Padova University Press

Immagine di copertina: Sguardo nella notte, di Lucilla Labianca.

ISBN 978-88-6938-233-8

This work is licensed under a Creative Commons Attribution International License (CC BY-NC-ND) (https://creativecommons.org/licenses/) Atti del XVII Convegno SIA

Ex Oriente: Mithra and the others. Astronomical contents in the cults of Eastern origin in ancient Italy and Western Mediterranean

a cura di

Elio Antonello

Indice

Prefazione – Preface 9

Relazioni a invito – Invited papers

Krzysztof Jakubiak The Mithraic Cave from Hawarte (Syria) 15

Dragana Mladenović Roman Archaeology and Cultural Astronomy: why do we have a dialogue breakdown? 31

Contributi – Contributions

Paolo Alberi Auber Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria 49

Elio Antonello Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà 73

Riccardo Balestrieri L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria. V. La scheda sintetica 99

Simone Bartolini, Federico di Gesualdo La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane 117 Dietmar Bernardi Il sole diviso del Renon / Ritten 137

Massimo Calabresi La Chiesa di Santa Giuliana in Val di Fassa: misure dell’orientazione e simulazione con Stellarium per la determinazione della dedicazione del Santo 149

Simonetta Castia, Michele Forteleoni, Marcello Ranieri, Marzia Monaco, Flavio Carnevale La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros: un marcatore dei cicli solari e celesti in Sardegna? Misure archeoastronomiche 159

Maurizio Chirri, Michele Ceddia, Isabella Leone, Giorgio Manzi Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo, per una possibile rappresentazione delle Iadi o delle Pleiadi in mitrei di Roma ed Ostia 179

Annamaria Dallaporta, Lucio Marcato L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India) 193

Marina De Franceschini, Giuseppe Veneziano Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at (, Italy) 205

Giangiacomo Gandolfi, Massimo Calabresi Et Summis Surgentia Tecta sub Astris: Villa Farnesina come edificio astrologicamente orientato 223

Domenico Ienna Rotonda come un cielo o come un sole. La pietra incisa del “Museo della Civiltà Contadina” di Moio della Civitella-Pellare (Salerno) 243

Manuela Incerti, Gaia Lavoratti, Sara D’Amico Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale: il caso del Mausoleo di Galla Placidia 273 Isabella Leone, Silvia Gaudenzi, Franco Meddi, Vito Francesco Polcaro The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome: a statistical study 295

Sara Pizzimenti, Andrea Polcaro From Earth to Heaven. The symbol of the scorpion and its astronomical association in Mesopotamia 311

Francesco Porcelli Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger 329

Guido Rosada Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) 343

Lucio Saggese Orientamento delle chiese francescane in Basilicata 369

Michelina di Cesare, Costantino Sigismondi L’orientamento della prima moschea di Gerusalemme sul Monte del Tempio 383

Costantino Sigismondi, Carlo Calore Studi prospettici sulla fascia dell’eclittica dell’Atlante Farnese 389

Maria Luisa Toscano Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù 397

Giuseppe Veneziano L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia (Cuneo): ulteriori conferme e nuova ipotesi 409

Prefazione

Il XVII Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia (SIA) è stato tenuto presso l’Università di Roma “La Sapienza” il 6-8 settembre 2017, e qui colgo l’occasione per ringraziare l’Università per l’ospitalità concessa e tutte le persone che si sono prodigate per la bella riuscita dell’incontro. Il Convegno era stato organizzato da Vito Francesco Polcaro, che l’aveva associato a un International Workshop sul tema: Ex Oriente: Mithra and the Others. Astronomical contents in the cults of Eastern origin in ancient Italy and Western Mediterranean. Lo scopo era di portare all’attenzione degli studiosi il ruolo svolto dai simbolismi astronomici in alcuni dei più importanti culti che si sono diffusi dal Vicino Oriente nel Mediterraneo Occidentale. In merito a questo specifico argomento, e più generalmente all’archeoastronomia di epoca romana, il presente volume contiene gli invited talks di Dragana Mladenović e Krzysztof Jakubiak. Durante il Convegno, Francesco aveva avuto attacchi di tosse e mostrato qualche segno di stanchezza, ma nulla faceva prevedere un’evoluzione rapida del suo male. Fino alle fine, si è adoperato attivamente per la valutazione degli articoli da pubblicare in questi Atti; infatti il suo ultimo messaggio di lavoro è del 10 febbraio 2018. Non è semplice descrivere in poche parole la figura di Francesco, dati i suoi molteplici interessi. Il Giornale di Astronomia della Società Astronomica Italiana (settembre 2018, n. 3, p. 47) ha pubblicato un suo ricordo, scritto giustamente a più mani, con il contributo di alcune persone con le quali egli aveva interagito direttamente. Francesco aveva tre lauree: in Ingegneria Meccanica (1968) con abilitazione all’esercizio della professione di Ingegnere, in Ingegneria Aerospa- ziale (1970) con indirizzo Astronautico, e in Matematica (1974) con indirizzo Meccanico-Relativistico. Aveva lavorato presso l’Istituto di Astrofisica Spaziale di Frascati, dove si era occupato di astrofisica delle alte energie con esperimenti su palloni stratosferici. Si era interessato di stelle binarie interagenti, in cui una delle componenti era una stella compatta sorgente di raggi X. Successivamente aveva studiato le stelle variabili calde di massa molto grande, usando “qualsiasi tecnologia” potesse “essere disponibile, dai satelliti per astronomia gamma ai documenti monastici medievali che descrivono le esplosioni delle supernovae del passato”. Era inevitabile che finisse allora per interessarsi anche alle antiche cronache cinesi, e, di conseguenza, di appassionarsi all’astronomia cinese, e in particolare ai suoi aspetti politico-sociali. Nel nostro campo dell’astronomia culturale e dell’archeoastronomia, Fran- cesco ha svolto un’intensa attività, in Italia e all’estero, e ne fanno testimonian- za le molte pubblicazioni. Qui ricordo il suo lavoro organizzativo per i nostri 10 Prefazione convegni SIA del 2007 a Roma, presso il Museo Nazionale Romano – Terme di Diocleziano, del 2012 ad Albano Laziale presso la Sede Comunale e il Museo Civico, e del 2017 all’Università di Roma “La Sapienza”. In particolare, andava orgoglioso della sua organizzazione del convegno internazionale della SEAC nel 2015, sempre alla “Sapienza”, cui avevano partecipato molti ricercatori. Devo però riconoscere che ciò di cui Francesco andava più orgoglioso era la sua responsabilità scientifica all’interno del Partito dei Comunisti Italiani, e an- cora di più il suo essere stato Vicepresidente della sezione provinciale di Roma dell’ANPI. Queste responsabilità andavano di pari passo con il suo impegno civile, che si concretizzava con l’attività svolta a favore dell’autonomia della ricerca scientifica, ribadendone la rilevanza sociale e l’importanza di agevolare l’ingresso dei giovani nel mondo della ricerca. Infine, come già detto in altre occasioni, penso che avremo modo di ricor- darlo molto spesso nei nostri convegni, dato lo sviluppo positivo dei programmi di ricerca archeoastronomica in Italia meridionale, cui egli aveva dato un forte impulso, e che oggi vedono coinvolto il personale di vari Enti e Istituzioni.

Milano, dicembre 2019 Elio Antonello Presidente della SIA Preface

The 17th Conference of the Italian Society for Archaeoastronomy (SIA) was held at the University of Rome “La Sapienza” on 6-8 September 2017. I thank the University for the hospitality, and I thank all the people that contributed to this successful meeting. The Conference was organized by Vito Francesco Polcaro, who proposed to include an International Workshop with the title: Ex Oriente: Mithra and the Others. Astronomical contents in the cults of Eastern origin in ancient Italy and Western Mediterranean. The aim was to bring to the attention of scholars the role played by astronomical symbolisms in some of the most important cults that spread from the Near East to the Western Mediterranean. With regard to this specific topic, and more generally to Roman archaeoastronomy, this volu- me contains the invited talks by Dragana Mladenović and Krzysztof Jakubiak. During the conference, Francesco had coughing fits and showed some sign of weariness, but nobody suspected the rapid worsening of his disease. Until his last days, he actively collaborated on the evaluation of the papers to be publi- shed in these Proceedings; in fact, his last message was of 10th February 2018. It is not possible to describe the personality of Francesco in few words, since he had many interests. TheGiornale di Astronomia of the Italian Astronomical Society (September 2018, n. 3, p. 47) published an obituary that was properly coauthored by several people with whom he had interacted directly. Francesco had three degrees: in Mechanical Engineering (1968) with quali- fication to practice the profession of Engineer, in Aerospace Engineering (1970) and in Mathematics (1974). He worked at the Institute of Space Astrophysics of Frascati, where he was involved in high energy astrophysics researches with experiments on stratospheric balloons. He was interested in interacting binary , in which one of the components was a compact X-ray source. Subsequent- ly, he studied the hot variable stars of very large mass, using any available “te- chnology” (as he told himself), from satellites for gamma astronomy to medie- val chronicles describing unusual celestial phenomena (such as the explosions of past supernovae). It is not surprise, therefore, that he took interest also in ancient Chinese chronicles, and, consequently, in Chinese astronomy, particu- larly in its political and social aspects. In our field of cultural astronomy and archeoastronomy, Francesco carried out an intense activity, in Italy and abroad, as shown by the many publications. Here I remember his organization of our SIA Conferences in 2007 in Rome, at the National Roman Museum - Terme di Diocleziano, in 2012 in Albano Laziale at the Town Hall and the Civic Museum, and in 2017 at the University of Rome “La Sapienza”. In particular, he was proud of his organization of the SEAC in- 12 Preface ternational Conference in 2015 at “La Sapienza”, which was attended by many researchers. However, I must recognize that Francesco was prouder of his scientific re- sponsibility within the Party of Italian Communists, and even more proud of his being Vice-President of the provincial section of Rome of ANPI (National Asso- ciation of Italian Partisans). These responsibilities went along his civil commit- ment, with the activity carried out in favor of the autonomy of the science, by reaffirming the social relevance of the scientific research and the importance of facilitating the entry of young people into the world of research. Finally, as already said on other occasions, I think we will have the opportu- nity to remember him quite often in our Conferences, given his strong impulse to the positive development of the archaeoastronomical research programs in southern Italy.

Milan, December 2019 Elio Antonello President of SIA Preface 13

Vito Francesco Polcaro (Lauria, PZ, 29 giugno 1945 – Roma, 12 febbraio 2018)

The Mithraic Cave from Hawarte (Syria)

Krzysztof Jakubiak University of Warsaw, Faculty of Archaeology, Poland

Abstract. Hawarte, a small village north from Apamea in north-western Syria is a place where a cave sanctuary devoted to Mithra was brought to light. The shrine was richly decorated with paintings covering almost the whole available space in the cave. The paintings present a very rare version of the Mithraic program; an exceptional mythological circle starting with the world creation until the final confrontation with the evil spirits. The features of the Mirthraic cave – not only the paintings but also the architectural elements survived inside the shrine – gave a chance to correlate the time of the cultic ceremonies with the exact day in the calendar. The archaeo-astronomic observations and calculations allowed to make those estimations more accurate. Moreover, the closer analysis of the paintings led to the hypothesis that the Mithreum was not only repainted but also rearranged several times. Those changes were possibly connected with a process of association, intermingling and forming a new a concept of the Mithra’s cult where the deity was unified with the Roman Sol Invictus.

A small village, Hawarte, situated about 12 kilometres north from one of the most important and splendid ancient cities in Syria, Apamea, was a stage of the most spectacular discoveries, significantly extending our knowledge of Mithraic religion and mysteries. Oppositely to Apamea, Hawarte is located in a little valley among the hills close to the southern limits of Gebel az Ziwiya, a part of Limestone Plateau, dominating over the territory of North Syria (Figure 1). In 2009 the Polish-Syrian team led by Professor Michał Gawlikowski from the Polish Centre of Mediterranean Archaeology (Gawlikowski 1999, 2000, 2001a, 2001b, 2002, 2007) and the author of this article, for the last time undertook the archaeological and conservation works in Hawarte. The excavations (which lasted for several seasons, since 1999) were the results of an unexpected discovery on a site, which had already been a subject of an archaeological 16 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria) investigation in the past. In the 1970s the fieldworks led in Hawarte by Pierre Canivet, brought to light ruins of a church (Canivet et al. 1987). This sacral structure, as the excavations demonstrated, had been devoted by Archbishop Photion in 483. This church replaced a slightly earlier construction, grounded by Bishop Alexandros in 420. In the publication by Canivet some information concerning the remnants of the older church can be found, but unfortunately the excavator did not have a chance to check what was hidden under the floor of the basilica.

Fig. 1. Hawarte, general plan of the archaeological site, drawn S. Maślak.

In late 1990’s a group of looters was stopped and arrested when trying to smuggle fragments of ancient wall paintings to Lebanon. Thanks to the Syrian Police successful intervention the process of robbing the archaeological site has been blocked, and the people engaged in that illegal operations revelled the place they sourced the paintings from. In such a way a secret and sacred cave, located just under the remains of the older church in Hawarte, was discovered again, this time for the academic world. The hints delivered by the fragments of paintings supported the suppositions (and hopes) of scholars: the cave was a hidden sanctuary of Mithras. Krzysztof Jakubiak 17

Fig. 2. Hawarte Mitreum, General Plan, drawn S. Maślak.

During the excavations led by the Polish archaeologists almost the whole space of the original cave was recorded. In some places digging was impossible, due to the risk of destruction of some crucial elements of the church built up directly upon the cave. Even though the recognized layout clearly shows that the Mithras’ sanctuary was divided on at least four, if not five, different chambers (Figure 2). Only three chambers, those located in the eastern sector of the cave, were decorated with paintings. It seems that they were extensively used, and formed the most important part of the Mithras’ sanctuary, but the other, unpainted chambers in the western part of the cave also must have played significant, yet supportive role. Several structures, like benches hewn in the bedrock, or round pits seem to confirm this supposition. Likewise, it is possible that the western sector of the Mithraeum could be accessible to those worshipers of Mithras who did not achieve a position of full members of that mysterious society or maybe even to those who just had aspiration to become the “true believers”. 18 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria)

Yet, it is the eastern part of the cave the one to be called the main part of the sanctuary. The entrance to the Mithraeum was situated in the southern part of the cave: the stairway was cut in rock (later rebuild with stone blocks) and led down to the first of three eastern chambers, marked on a plan as a room C (Gawlikowski 1999, 2000, 2001a, 2001b, 2002, 2007, 2012). Inside the room, a deposit of pottery originally used during the Mithraic mysteries was brought to light, together with remains of so called “Mithraic kitchen” located next to the eastern wall of the chamber. According the osteological analysis the worshipers of Mithras in Hawarte ate mainly chickens, especially wings and legs (Piasecki, 2000). Heading to the room C, the visitors were welcomed by a painting of a huge lion, which decorated the wall of that vestibule-like chamber. It seems that the mighty animal was placed there to protect the sanctuary in a symbolic way and to drive the evil spirits away. Interestingly, the lion was painted among the poppy flowers, such characteristic for the spring time in vicinity of Apamea. Going further ahead the members of the cultic community were stepping to the chamber B. The second room was also richly decorated with paintings. Here the question of completeness of the original decoration should be raised. The part of the cave that includes the room B was badly demolished by latter building activity; some of the paintings were lost without trace. The survived decorations painted on the northern wall of the room represent two lions killing numbers of Negroid-looking people (Figure 3). The eastern wall, which separates chambers B and A, was decorated with representations of white stallions and two male figures, clad in Persian-style clothes. The partly survived paintings were situated on both sides of the entrance leading to another room. The chamber A was the most important of the whole sacral complex. It was the holy space, where the main feast devoted to Mithras took place. (Gawlikowski 2012). Inside that room several freestanding altars were found. Additionally, a large, L-shaped bank, a deep pit hewn in bedrock and a niche situated in the northern wall were elements of the internal space arrangement. Interior of the chamber was richly decorated with paintings. According to careful analysis of those decorations it was possible to establish that the paintings in that chamber were revitalized at least five times. Most likely, same or similar operations were applied to the decorations recorded in two other rooms, C and B. Generally, the paintings were refreshed several times and the last phase can be dated to the 4th century C.E. (Gawlikowski 2012). The survived decorations replaced earlier compositions also in room B and C, yet there were only a few spots where it was possible to recognize that process. Krzysztof Jakubiak 19

Fig. 3. Hawarte, Chamber B, painting decorations; computer rendering D. Zielińska.

Fig. 4. Hawarte, Zeus fighting against angvipedae: computer rendering D. Zielińska. 20 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria)

Fig. 5. Hawarte, reconstruction of the painted decoration of the eastern wall in the chamber A, computer rendering D. Zielińska.

The decorative program of the room A was very important part of the mysteries that were held in the cave, as it complemented their course. Decoding the sequence of the composition should be started from the eastern part of the northern wall of the chamber A, with the scene painted next to the cultic niche: it shows Jupiter/Zeus fighting against snake-legs monsters/ Giants (Figure 4). Next painting, going clockwise, represents a leaf wreath with enthroned Jupiter/Zeus in its centre. On the eastern wall two versions of Mithras’ birth were painted. First showed an episode from the Mithraic myths, when the deity was born from the rock. Beside was a version of divine birth from a cypress tree. Next scene showed frontal representation of Sol/Helios making benediction gesture; the deity is clad in a rich Roman- style dress. Further element of the eastern wall’s decoration survived only fragmentary and most of the original composition unfortunately vanished. However, the survived fragments allow to estimate that the scene imagined Mithras caring a bull on his back. On the central part of the eastern wall, against the entrance to the chamber A, was a scene of tauroctony painted originally on a black background. Unfortunately, that very important fragment of the wall’s decoration was badly damaged, and the paintings survived only in several spots. The importance of the tauroctony scene is emphasized by the decorated panel below the painting, filled with Mithraic attributes and symbols. The southern part of the eastern wall of the chamber was destroyed. The only survived element (unfortunately notin situ) was a very unique scene representing Helios kneeling in front of Mithras and giving him a torch, a symbol of light, Sun, good, and rightness (Figure 5). That scene was closing the linear composition, which was opened next to the cultic niche. There is a question of the missing decorations of the southern, destroyed part of the eastern wall that should be raised here. Luckily, narrative decoration is an element that can be found in numerous other places of Mithras’ cult, and Krzysztof Jakubiak 21 the sequence of events presented by the paintings can be compare to that from Hawarte. According to the comparison results, it can be postulated that on the missing parts of the wall two possible scenes could be painted. One of them might have been Mithras and Helios riding together in a chariot and the second: the two deities banqueting over a skin of the slaughtered bull. Let us now examine the paintings from the southern wall of the room A. Its western part is taken be a composition showing hunting Mithras. Despite the fact the painting is only fragmentarily preserved, the figure of Mithras riding a horse back can be recognized. The pictures if animals (a panther, a dear, a wild boar, a bear) chased by Mithras survived in much better condition on the western wall of the room A, which separated that chamber from the room B (Figure 6). Paintings on both sides of the doorway are preserved in a very poor state; only in the very northern part of the western wall some ornaments and floral motives can be recognized.

Fig. 6. Hawarte, Hunted animals, chamber A, western wall, computer rendering D. Zielińka. 22 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria)

Fig. 7. Hawarte, Stronghold of Darkness Fig. 8. Hawarte, Stronghold of Darkness, re- original painting, photo M. Gawlikowski. construction, computer rendering D. Zielińska.

Finally, there was the northern wall of the chamber A with the greatest element of the whole iconographic program of the Mithraic sanctuary: a representation of the “Stronghold of Darkness” (Gawlikowski 2007) (Figures 7 and 8). The upper part of the wall is crowded with eight heads of demons. Each head is struck by a ray of light coming from above. That horrifying motive was overstrained to the cultic niche, the same one, which was the start-point of the narrative decoration. In other words, that element closed the whole iconographic circle. Despite terrifying character of the last scene, the analysis of the decorations lead to a general conclusion that the believers of Mithras were left with hope in the ultimate triumph of Good over Evil. The demons may eventually never win and the god of light would be victorious. The rays of light, defeating the demons in the last scene, were crucial element of the mysteries performed in the Mithraeum. The sunlight, as it was confirmed on numerous archaeological sites covering the remains of Mithraic sanctuaries, had played a special and very important Krzysztof Jakubiak 23 role in cult of that mysterious deity. The question of illumination of the cave in Hawarte was a subject of separate analysis during the excavations carried on the site. When reconstructing the original position of the wall dividing the chambers A and B our attention was caught by a stone block. Thanks to the painted decoration it was possible to find the original and exact position of that block in the wall. What was so special about that single architectural element? The fact of the matter is that on a top of that block one can notice some traces of a small, triangular slit slanting inward and downward; generally towards the cultic niche. The slit was most probably pierced in the stone block in order to let the sunlight reach the interior of the cave (Gawlikowski 2011). To be more precise, the small opening in the wall allowed the sunrays to touch the cultic niche, the most important place in the whole sanctuary (what will be explained later in the text) That small “Sun window” recognized in Hawarte was a very characteristic element of the Mithraic shrines. In several other sanctuaries devoted to Mithras, known from the Roman World, similar “windows” were discovered, as for instance in Santa Prisca in Rome, Capua Vetere and the Terme del Mitra in Ostia (Gawlikowski 2011). Another important question is the exact time, both of and of day, when the sun illuminated the interior of the sanctuary. Considering the location of the site and other necessary factors it was possible to recognize that time, or rather to distinguish several periods during year, when it could be achievable. All the astronomic calculations were based on the position of the site (35°31’ N and 36°27’57” E), the local astronomical time (GMT +2h25m, or UTC -2,428) and the lapse of time since Antiquity ( +300 was chosen accommodating in practice a quite extended span of time). Not going into details, that have been already published, it has been determined that the Sun was illuminating Mithraeum through the slit between September 24 and November 12 and again between January 29 and March 20, the latitude being always close to the possible maximum at the time of the day between 15.00 and 16.00 hours of the local solar time (Gawlikowski 2011). Yet, at that time the most important fragments of the cave remained unlit (Figure 9). 24 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria)

Fig. 9. Hawarte, plan and calculations, drawn S. Maślak, W. Małkowski. There is another date, however, which was very important for the Mithras’ worshipers. As early as the 3rd century they celebrated the dies natalis of the Sun on the 25th of December, as the time of Sol Invictus, when the length of daylight Krzysztof Jakubiak 25 starts to increase. Also, the maximum altitude at the winter solstice which could have allowed the Sun to be seen from the Mithraeum interior would have had to about 14° and azimuth 225°. The phenomenon when the Sun illuminated the cultic niche inside the chamber A started right after 15.15. That time the edge of the sun disc appeared in the light channel or the slit pierced in the wall. The daylight at winter solstice at that latitude is equal to 9 hours and 46 minutes. Knowing that it can be calculated that the beam of sunlight was dropped on Mithras and the bull at 15.19. The process of the illumination lasted for more than half an hour. Most probably it was the signal for the cultic ceremony to start. The above data was checked and calculated for 350 C.E., about the time when the painted decorations in their most developed phase have been finished. It should be underlined that the above calculations are accurate for the sanctuary functioning during the 4th century C.E. However, according to the analysis of pottery discovered in thebothroi (pits hewn in the cave’s floor) the shrine in Hawarte was in use much earlier. The oldest pottery, which can be certainly associated with the Mithraeum, was dated to the second half of the 1st century C.E. (Majcherek 2012). In other words, the cave from Hawarte belonged to the times when the cult of Mithras rapidly erupted on the territory the Roman Empire. Most probably that shrine was one of the oldest sanctuaries of Mithras ever discovered and at the same time, one of the longest functioning. The Mithraeum in Hawarte was ultimately destroyed at the beginning of the 5th century by Christian fanatics, who were searching for all remains of old “pagan” practices in Syria. As the sacral cave was used by the local community for a very long period, it is not surprising that the internal arrangement of the sanctuary (especially decorations) was changed several times. Generally, what is most striking, one can see that the original system of believes, dated to the late 1st and 2nd century and limited only to Mithras, has been visibly changed in the 3rd century. Then a new “divine component”, Sol/Helios was incorporated into the Mithraic doctrine. It was an “official improvement” of the religious system, formalized in 274 C.E. under the emperor Aurelian (Halsberghe 1972; Pichard 1976; Clauss 2010). At that time, the cult of Sol Invictus was broadly spread, especially among the soldiers and officers, across the whole Empire and very quickly intermingled with the Mithraic canon. In the Sol Invictus’ cult the key day of the religious practices was December 25th. In the Hawarte cave the significance of that day in the religious calendar has been also confirmed. That fact seems to be crucial for understanding why (and when) so many representations of Sol/Helios were included with the decoration of the sanctuary in Hawarte. One of the most intriguing questions concerning the “sacral arrangement” of the cave is the one about the cultic niche. The space in the niche, empty at 26 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria) the moment of discovery, most probably hosted a sculptured representation of tauroctony. Same scene was painted on the wall opposite to the entrance the chamber A. At a glance, such double representation seems to be pointless. However, in that case, the painted decorations can be related with the “older program” of the sanctuary decoration, while the sculpture in the niche represented a new element. If the above supposition is correct, the shrine in Hawarte would be not only one of the longest functioning Mithraea, but also, as already signalized, a unique place, where one can observe how the older cultic traditions were melted with the new ones. The painted scene of tauroctony was most probably as early as the Mithraeum itself; the first paintings can be dated to the second part of the 1st century C.E. The scene showing Mithras killing the bull belongs to the “canonical” pictures, linked with the beginnings of the cult and recognized in most of Mithraea discovered so far. In Hawarte, the five successive layers of painted decorations confirm that the scene remained important through the centuries. The question is, if it was equally significant during that whole time and what was the actual role of tauroctony during the Mithraic mysteries. To try to answer that question it is necessary to take a closer look to the general plan of the Mithraic sanctuary. The interior arrangement and especially a division on the “sacral zones” seem to be a key to understanding the early stage of the Mithraic cult functioning. Let us start with the chamber B which was a kind of antechamber to the most sacred space: the chamber A. Unfortunately, that space (room B) was never fully excavated since some constructions elements of the latter church made it impossible. That is clearly visible especially in the southern part of the chamber B. Even that partly recognised space is large enough to give an impression of its original size in the times when the religious ceremonies were performed. The size of that chamber, as a part of a natural cave, is an effect of the geomorphological conditions of the region. The territories north of Apamea belonged to the southern part of the Gebel az-Ziwiya ridge, known also as the low Shahshabu Hills. These are limestone formations, which were and still are exposed on a karst processes, responsible for the numerous cave formation in that part of Syria (Jakubiak 2012). The limestone is a soft rock and can scratch easily; it also absorbs water readily. The natural caves that occurred in that part of the Gebel az-Ziwiya are exposed on those destruction processes. In their results the numerous caves, which can be found in the Hawarte vicinity, are characterized by deep cracks and fissures. In case of the cave adapted for the Mithraeum there was a large crack along the “ceiling” being a source of natural light. Those could be the reasons the cave in Hawarte had been chosen by the worshipers of Mithras to perform their cult. The place was large enough to make a space for a sanctuary and the crack in the Krzysztof Jakubiak 27 rock (which was originally running north south direction) provided enough daylight to illuminate the interior of the cave. Since the beginnings of the Mithraeum in Hawarte the members of the religious community were trying to “improve” the cave. They constructed several pillars made of stone blocks, dislocated in the crucial points of the cave, in order to prevent collapsing of the “roof”. The pillars efficiently protected the space of the chamber B and C for centuries. The light of the Sun was the crucial element for the Mithraic mysterious; provided by natural fissure must have been later distributed in a required way. Most probably it was the main reason the chamber A and B were divided by the wall. At first the wall was considered as constructed in the rd3 century, when the Mithraic cult had been formally linked with Sol Invictus, yet it seems now it was a much earlier construction. The entrance to the room A, located in the central part of the wall, was at the same time a carefully chosen way for the sunrays. The reconstruction of days of year, when the Sun could reach the chamber A, allowed to correlate the moments of illumination with the certain scenes painted on the walls. The tauroctony, the most important scene of the Mithraic program, painted on the chamber A back (eastern) wall was illuminated exactly in the day of the summer equinox. That observation seems to be crucial in the explanation of the problematic question of proper interpretation of some elements in the Mithraic iconography. If the supposition is right, here in Hawarte it is possible to record and distinguish two phases of the Mithraic cult. The first, represented by the painted scenes of tauroctony (and others) belonged to the “old order”, when the summer equinox and beginning of summer time played fundamental role in the ceremonial calendar (Figure 9). The scene of tauroctony unfortunately did not survived well; many details are missing. From the main scene, that includes Mithras and the bull, only few fragments remained. Yet, the panel located below the scene is filled with symbolic elements (known from the other Mithraea) such as raven, crater or lion, which are complementary for the scene of tauroctony. Those elements are also symbols of the of the summer sky in that part of the Middle East (Back 2006), which confirms the location of the tauroctony scene in the solar calendar. That cultic arrangement was functioning until the moment when the new element, Sol Invictus, was intermingled with Mithras, and new rearrangement of the sanctuary orientation was required. However, the scene of tauroctony was repainted once again on the wall, despite the fact it did not play such significant role anymore according to the solar “liturgical calendar”. To understand that decision of the worshipers of Mithra one must take under consideration the whole iconographic repertoire painted on the eastern wall of the chamber A. Analysing all the possibilities of the sunlight penetration of the chamber 28 The Mithraic Cave from Hawarte (Syria) interior, it was possible to observe that the first element illuminated during the spring equinox was the representation of Mithras birth. In opposition, during the autumnal equinox a possible (that fragment of the wall is missing) scene of Mithras and Helios banqueting on a skin of the slaughtered bull should be illuminated. In other words, several crucial scenes were illuminated step by step by the sunlight, following the Mithras’ life story, from his birth until the moment of Concordia between two Sun deities (Mithras and his coregency with Sol/Helios). Concluding, the tauroctony scene, illumined by sunlight in the solstice time, was a key element of the liturgical calendar of the Hawarte Mithraic congregation from the late 1st century C.E. until (at least) the late 3rd century C.E. In the 3rd century the sacral “centre of gravity” was changed and moved on the festival of Sol Invictus organized each December 25th, but the “old” tauroctony scene remained important and it is essential for the proper understanding of Mithraic narration: the deity’s life and deeds. The last elements, which cannot be omitted in that complicated and relatively good preserved iconographic program of the cave, are representations of Cautes and Cautopates, the two torchbearers. In most of the cases (i.e. the other Mithraea) those two companions of Mithras are depicted as flanking the deity during the bull-slaughtering scene, or, less frequently, in scene if Mithras’ birth. In Hawarte cave the only fragment which can be recognized as Cautopates figure was found south of the entrance to the chamber A, in the interior decoration program inside the chamber A. The figure, situated next to the doorway was badly damaged, and only thanks to fragments of a torch lifted down and so-called Persian trousers can be interpreted as such. Most likely, the Cautes representation (which did not survive) was on the other side of the entrance. Both representations were adequate from the iconographic program perspective. The Cautes’ representation was associated with spring equinox and parallel to the Sun rising over the horizon; he was responsible for illumination of Mithras’s birth, the scene which opened the liturgical story of Mithras (Beck 206-214). On the opposite site was Cautopates, who ended that solar beam penetration during the autumn equinox. Once again, the core of the Mithraic mythology and ceremonial conventions associated with the solar illumination found its confirmation in the cave in Hawarte. The other elements of decorations were linked with the ceremonies performed in the time of year when the sunlight did not reach the Mithraic cave interior. The paintings on the western wall of the room A are very scanty. Except the figures of Cautes and Cautopates (painted on the western wall of the room A), only the scene of hunting Mithras was originally decorated that part of the sanctuary. However, the end of the whole Mithraic program (or cycle) Krzysztof Jakubiak 29 ended in front of the “Stronghold of Darkness” where all the evil spirits shall be eliminated by the power of the Sun, in that case Sol Invictus and Mithras. To sum up, the sanctuary in Hawarte is an example of the long-lasting cult place, where old religious traditions met the new sacral practices. The old customs were sustained and functioned together with new elements of the Roman, “state” religion, represented by the cult of Sol Invictus. The worshipers of Mithras performed their ritual through the ages in a perfect order, undisturbed even by that change “from above” until the time when sanctuary was destroyed by those, who also believed in the “one true god”, in late 4th century C. E.

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Dragana Mladenović1 1University of Southampton, [email protected]

Vito Francesco Polcaro, in memoriam Abstract. The paper explores the relationship between Roman archaeoastronomy and archaeology and the reasons why the former receives very little attention in mainstream Roman studies. A brief outline of the application of archaeoastronomy to the Roman period monuments is first provided, before I offer an archaeologist’s view of the challenges that interdisciplinary research of this kind continues to face.

1. Introduction

When Vito Francesco Polcaro invited me to the workshop, the proceedings of which this volume contains, he asked me to provide an archaeologist’s view of the relationship between Roman archaeology and Cultural astronomy, mainly related, but not limited, to the study of the cult of Mithras. The two fields have studied some of the same monuments, objects and phenomena for , however cross-fertilisation between the two has rarely occurred. The two disciplines have their own conferences, with archaeoastronomy papers being as a rule presented at conferences organised under the auspices of different Cultural Astronomy associations and published in several specialised journals, much of which passes under the radar of archaeology or ancient history scholars; the same is true of mainstream archaeology work and Cultural Astronomy audiences. The separation between archaeoastronomy and archaeology has been discussed a number of times before (for an recent overview see Henty and Silva 32 Roman Archaeology and Cultural Astronomy

2016). Of note is a dialogue conducted in the 1990s through a series of articles in the journal Archaeoastronomy and Ethnoastronomy News. It kicked off in 1992 when an archaeologist Keith Kintigh, aiming to explain why archaeologists pay so little attention to archaeoastronomy in their work, identified a problem with research approaches: for an archaeologist a particular feature of an object (such as e.g. alignment of a structure) is of interest only if it can be used to elucidate something about its makers, their society and culture (Kintigh 1992). If the finding does not inform one of the research issues that archaeologists are working on then it will be largely ignored. An astronomer Anthony Aveni responded, largely agreeing with these points, but also highlighting the existence of successful collaborations, mainly in central and southern American studies, where cultural astronomers and archaeologists frequently work together (Aveni 1992). In 2011, at the Oxford IX conference, Clive Ruggles while looking back over 30 years of work in the field considered the question again, and concluded that such separation issues are a thing of the past, listing numerous fruitful collaborations (Ruggles 2011, p. 8). Most recently, a Forum feature in the Journal of Skyscape Archaeology (Vol. 2, n. 2, 2016), invited several figures in the field to comment on the same topic of the interdisciplinary relationship. Though the authors highlighted progress in the 20+ years since the issue was first raised in the 1990s, they also noted that some of the same problems still plague the field (Aveni 2016; Belmonte 2016; Darvill 2016; Pauketat 2016). Notable successes in the collaboration of archaeologists and archaeoastronomers remain mainly in South and Mesoamerican work, while in the Old World archaeology, this is not as frequent. The Prehistory and Medieval period of Europe, North Africa and the Near East have seen a number of collaborations, but the impact on the Classical world studies has been notably more modest. It is not uncommon for the field of Classical archaeology to be trailing behind the rest of the archaeology when it comes to innovative borrowings from other disciplines. This is probably due to the fact that as Classical archaeologists we are privileged to work with an unprecedented quantity of evidence, crucially including such a wealth of written record that given an entire lifetime one person might not read it all, let alone master it. Such a plentiful evidence supply may have at times lead to complacency and a feeling that we do not need external ‘aids’ and borrowings from other disciplines that for example prehistorians might resolve to in order to make sense of their evidence. The application of anthropological theory is one such example; it was used in the study of prehistory for nearly three decades before it made any significant contribution to the study of the Classical past (Hodder 1993). The usage of computers, geophysical methods, scientific dating techniques and other innovations borrowed from science disciplines also tended to be used first Dragana Mladenović 33 in prehistoric and protohistoric archaeology ahead of their uptake in Classical archaeology. In this paper I will focus on Roman archaeology only, although the situation is not very different across other period specialisms of Classical archaeology cf( . Magli 2016). In order to understand why archaeoastronomy remains peripheral in Roman studies I would like to first explore the main areas of research where archaeoastronomy has been employed in Roman archaeology thus far. Not aiming at the provision of a fully comprehensive review here, this merely sketches the main directions, contributions, and controversies that I believe have done much to shape attitudes. Before I do that, I should clearly reveal my bias: I am a Roman archaeologist, with a sympathy and an understanding of archaeoastronomy, who has in the past presented papers and published in mainstream journals articles that would fall under archaeoastronomy, in collaboration with astronomers (Mladenović 2009). As in every troubled relationship a failure to communicate can only be the fault of both sides, I will try to identify culpability at both ends, although it is entirely possible that my views are skewed by my archaeological perspective, however much I try to avoid it.

2. Search for alignments

With the study of alignments being one of the original preoccupations of archaeoastronomy, it is not surprising that the first place where scholars looked for astronomic symbolism in the Roman world is in temple orientation. At the turn of the 20th century Nissen established that Roman temples do not exhibit any consistent pattern of orientation (Nissen 1873, Nissen 1906), with the majority having at best a symbolic orientation (roughly towards the east), rather than towards an actual celestial body or event. Since then, some regional or cult-related patterns in temple orientation have been tentatively suggested for the Roman world, usually related to pre-Roman traditions (e.g. Esteban et al. 2001 for the North African temples of Saturn, or Aveni and Romano 2000 for Italic and Etruscan temples). Additionally, claims of significant orientation have been occasionally made for individual cult structures, though usually without actual astronomic calculation being provided (cf. Le Bœuffle 1989, pp. 107–9). As a consequence, while the astronomical alignment research has helped shed new light on the religion of a number of other civilizations, including Classical ones (for an overview of archaeoastronomy in see Boutsikas and Ruggles 2011) the approach has made very little contribution to our understanding of Roman cult or belief. The fact remains that actual astronomic orientation of religious structures was not generally common in Roman time. 34 Roman Archaeology and Cultural Astronomy

This is not surprising keeping in mind that astronomic symbolism played almost no part in the Roman public religion. Astral symbolism has been sought in other structures other than temples (e.g. Labianca et al. 2008; De Franceschini and Veneziano 2011), most famously in the cityscape of Rome’s Campus Martius, centring around the interrelationship between the Mausoleum of Augustus, the ‘Horologium’ and the Ara Pacis. In 1976 a German archaeologist E. Buchner postulated that the obelisk that now stands in Piazza de Montecitorio was a part of a giant sundial erected by Augustus and so positioned that on the 23rd September (autumn equinox and Augustus’ birthday) the shadow of the gnomon fell on the altar of Ara Pacis, while also being aligned to the Mausoleum of Augustus, thus linking several monuments of Augustan Principate to key ideas of his ideological programme (Buchner 1976; Buchner 1982). The timing of this research is perhaps not insignificant - the 1970s were a time when archaeoastronomy started making significant headway in academia and Roman archaeology was clearly not immune to its potential. The Horologium theory triggered much excitement, was accepted and widely quoted (e.g. Wallace-Hadrill 1985; Zanker 1988, pp. 144–45). The model reconstruction of the Campus Martius in the Ara Pacis museum in Rome was based upon it, and Bucher’s interpretation found its way into reference books on the monument and topography of Rome (Richardson 1992; Buchner 1996). However, it was not long before significant problems were noted and over the course of the next three decades it became clear that this appealing reconstruction is erroneous (for an overview of the controversy see Maes 2005; Heslin 2007; Haselberger 2014). Buchner was mistaken both in his reconstruction of the original location of the obelisk and in interpretation of the monument’s nature, as we now know that Horologium was a solar meridian rather than a sun dial. While the obelisk, the Ara Pacis and the Mausoleum certainly reference each other, they do so by much more conventional means, through the directions they face, while their astronomical symbolism was likely expressed more widely through the context of Roman religious rituals (cf. Rüpke 2017), rather than physical alignment. The efforts to find astronomic symbolism in different parts of Augustan Campus Martius were not exhausted and continue today (e.g. Rehak 2007; Tiede 2016) with the Pantheon also being included in the equation (e.g. Hannah and Magli 2011; Lanciano and Virgili 2016), although it would seem without an awareness of the new research that suggests a potentially Trajanic date for the monument (Hetland 2015). None of the later works however offered an equally well contextualized theory or made similar impact on Roman scholarship. When Buchner’s theory was debunked, the episode left the Roman mainstream scholarship wary of alluring archaeoastronomical theories, the Dragana Mladenović 35 validity of which was beyond the expertise of an average Roman scholar to investigate. In fact, the first decisive blow came from a physicist (Schütz 1990), with classical scholars joining the debate much later to offer alternative interpretations of newly emerged evidence. The whole affair was not at all a case of bad archaeoastronomy, but of bad archaeology. Buchner, who was also the original excavator of the meridian section floor, repeatedly ignored any evidence that went against his hypothesis, which he had constructed before he set off to look for physical evidence of the sundial pavement. Nonetheless, the damage has been done and never again would mainstream Roman scholarship embrace an archaeoastronomical theory quite so readily. Recently the study of alignments in the Roman world has been expanded to include orientation of city grids and forts, mainly in Italy and Spain (for an overview see González-García and Magli 2015; Rodríguez-Antón et al. forthcoming). The studies have revealed a tendency towards the use of cardinal points to orientate city grids, but also referencing of local topography, important points in the annual solar cycle (such as the solstices), as well as important dates in the Roman calendar. This field has proven the least controversial archaeoastronomical research in Roman archaeology to date, however it is yet to provide significant cultural insight to make it of wider interest to Roman scholars.

3. Archaeoastronomy and Mithraism

The next time archaeoastronomy made waves in mainstream Roman archaeology, it was related to the study of Mithraism, a Roman cult that developed from the early second to the late fourth century AD. Much has been written about the cult (e.g. Clauss 2000; Gordon 2003; Beck 2006b), with the most recent succinct outline highlighting the archaeoastronomical aspect of the cult being Beck (2015b). The central deity was “Mithras, the Unconquered Sun”. The god, but not the cult, was imported from Persia, while material aspects of the cult are purely Roman and without earlier parallels. Mithraism was a private cult and part of the movement that is often referred to as mystery cults, where access to secret knowledge required initiation. As a consequence of its secretive nature, no writings directly related to Mithraic belief survive and instead our knowledge mainly stems from interpretation of the cult’s material remains (sanctuaries, cult sculpture, wall paintings, dedications etc.). Iconography of the cult abounds in symbols from Greco-Roman astronomy and astrology, which forms the core of Mithraic visual identity and language. The main cult image is the tauroctony, which portrays Mithras slaying a bull, with several animals and figures in attendance. A dog, a snake, a raven, a 36 Roman Archaeology and Cultural Astronomy scorpion, Cautes, Cautopates, Sol and Luna are the most common, while other elements, like a crater, a lion, or a , additionally appear in some versions of the image. While other episodes of the Mithras myth are represented at times, it is the tauroctony that we always find in a mithraeum, providing a focal point at the end of the mithraeum’s central aisle. The choice of the figures represented in a tauroctony scene reveals a clear pattern, which is repeated across the empire indicating that their arrangement is systematic. It has been postulated that the elements in the bull-slaying composition correspond to constellations in and below the zodiac from eastward to Scorpio, arranged in the order in which they set. The probability of such an arrangement being accidental has been demonstrated to be statistically negligible (Beck 2006a), which firmly opened up the doors for astronomy to contribute to our understanding of Mithraic belief. The cult’s message concerning the nature of the world and of the human soul was clearly being communicated though the language of contemporary science of astronomy, or more accurately astrology. Yet to this day archaeoastronomy has made a very modest contribution to the study of Mithraism, for the reasons that I would like to explore here. Since the astronomic symbolism of the main cult image has been revealed, one of the first and most enduring concerns has been to decipher the astral identity of Mithras himself. If all of the other figures can be linked to identifiable constellations arranged in a way that reflects their interrelationship in the sky, then what does Mithras represent? Various identities have been suggested over the years (Speidel 1980; Ulansey 1989; Beck 2004), with Orion or Perseus being the most common candidates put forward. While majority of the studies offered well balanced and nuanced views of the cult in their respective reconstructions of astral symbolism, that of Ulansey (1989) cast a long and dark shadow over the field. Ulansey did not merely suggest an astral identity for the image of Mithras (a of Perseus), but went a step further and put forward a new reading for the entire cult image. He proposed that the tauroctony does not reflect constellations as they are on the celestial equator now, but rather as they were between 4000–2000 BC, before the last precession of the equinoxes took place, with Mithras representing the cosmic power controlling this movement. According to Ulansey, the precession of equinoxes was discovered around 128 BC by Hipparchus, that the direction of its movement was also known at that stage, which lead to a realisation that around 2000 BC the spring equinox moved from Taurus into Aries. He then speculates that out of a need to explain the change a divine intervention was introduced, a new god who shifted the universe, and a cult emerged symbolically representing the precession of equinoxes as a death of a bull. Though the theory might sound neat, there is absolutely no proof to Dragana Mladenović 37 support any of the conjectures, which furthermore go against many principles of Roman religion and scientific thought; the proposed chronology of events and dating of the known monuments are equally incompatible. Ulansey’s publication received considerable attention, due both to its sensational claims and the academic credentials of the author (a university professor of religion) and the publisher (OUP), making the mainstream Mithraic scholarship take notice. Negative reviews by leading Mithraic scholars soon started pouring in (cf. J. G. Griffiths inThe Classical Review 41 (1991), 122–4; N. M. Swerdlow in The Classical Philology 86 (1991), 48–63; Beck 1994b; A. Deman in L’Antiquite Classique 64 (1995), 402–3; M. Koeppl in Germania 74 (1996), 291–8; M. Clauss in Klio 83 (2001), 213–8), focusing primarily on the problematic cultural contextualization and the conjectural historical narrative meant to tie the proposed events together. Unfortunately for the Roman period archaeoastronomy, in the process of debunking Ulansey many scholars have also rejected the possibility that there was actual astronomical content in the tauroctony image, or other Mithraic monuments in general, opting instead to view them as highly symbolic. The only scholar who has since engaged with Mithraic images and tried to read them though relation with real astronomic phenomena is Roger Beck. Much as Roman art in general came to be viewed as a semantic system, Beck sees Mithraic images as a language expressed though astronomic symbols, which he calls the ‘-talk’, that needs to be deciphered (Beck 2006b, pp. 153f). Mithraic sanctuaries, their design, astronomic symbolism and orientation have also received some attention in the past. Mithraea were cult spaces consisting of mainly elongated chambers with benches on the sides and a religious image at the back of the central aisle. They were conceived of as caves, alluding to the cave where Mithras has slain the bull. Some were in actual natural caves, while in other cases the cave setting was recreated though low vaulted ceilings. The mithraeum was in most cases a single room within a structure, without any specific exterior facade or design. The interior decoration symbolically reflects the universe that Mithras has created though tauroctony, as well as the cosmic journey of the human soul, the nature and faith of which was one of the main Mithraic concerns (Turcan 1975; Beck 1994b, pp. 29-50). The Mithraists shared the widespread belief of the astral source and destination of the soul, based on Pythagorean and Platonist philosophy, according to which the human soul descended into earthly mortality from a gate at the summer solstice in Cancer and ascended back into immortality through a diametrically opposite gate at the winter solstice in Capricorn. The concept and the way it was physically represented is best exemplified by the Ostian Mithraeum of the Sette Sfere (Seven Spheres, Vermaseren 1956 CIMRM 239). On the floor of the central 38 Roman Archaeology and Cultural Astronomy aisle we find the seven planetary spheres (which correspond to the grades in the cult) represented in mosaic, while the adjoining fronts of the side benches bear the signs of the zodiac. The ordering of the zodiac was such that the aisle represented the equator, with autumn equinox at the entrance and the spring equinox at the opposite end of the aisle. At the midpoint of each of the benches were niches marking the solstice gates though which souls descended and left this world. The mithraeum thus represented a cosmic model of soul’s journey, but we cannot be certain how common this template was, as few shrines have their decoration still extant and much of planetary or zodiacal symbols have since been lost, either through dilapidation of the structure or removal, since much of mithraea inventory was portable. A logical extension of such a design might be a real terrestrial alignment of the structure, but has this been followed through? There have not been any systematic surveys of the mithraea orientation in the Roman world, though based on what we know there does not seem to be any specific pattern in the terrestrial orientation of mithraea. When that was physically possible the mithraea tended to face east, but beyond that their terrestrial orientation is believed to have been insignificant cf( . Campbell 1968, pp. 50f; Beck 1994a, pp. 112–3). A recent survey of Ostian mithraea came to the same conclusion (Sclavi et al. 2016). This is not surprising, bearing in mind that only about 20% of mithraea were purposely built (cf. White 1990, p. 48, and the survey of CIMRM reveals a similar figure). Instead mithraea were generally inserted in pre-existing structures, e.g. into a cellar of a house, while freestanding buildings were very much the exception. Occasions when the constructors could achieve a meaningful alignment in a mithraeum were therefore very rare. Exceptions have been reported though, but I would like to stress that in almost all cases the phenomena were only casually observed, without further evidence or measurements offered. Thus it has been reported that the mithraeum at Angera in Cispadana (Italy) was orientated so that the rising sun at equinox illuminates the main cult picture, while at the Carrawburgh mithraeum in Northumberland (the UK) the same takes place at the winter solstice (both first reported by Campbell 1968, p. 50; the Carrawburgh mithraeum orientation has since been confirmed though examination of satellite imagery by Sparavigna 2017). Furthermore, there is evidence of alteration to original structure that hosted a mithraeum in order to obtain an astronomic effect: at Caesarea Maritima (Israel) a mithraeum was built inside the vault of an existing warehouse; an opening was then made in the vault that allegedly throws light onto the altar at midday on the summer solstice (Bull 1978, p. 79). It should not be forgotten though that other than at Carrawburgh, other reported cases have not been scrutinised in accordance with standards that archaeoastronomy is eager to Dragana Mladenović 39 introduce, and while I am not a priori rejecting the reported observations I feel that they need to be verified before we can continue to use them. If the observed phenomena were indeed by design, they show different approaches and three different solar events being referenced, which might discourage one from seeking further meaning expressed though referencing astronomic events in the mithraea design. Bearing in mind that due to the nature of the cult no empire-wide homogeneity was ever achieved in Mithraism, either on the level of personal religious experience or the system of belief (Clauss 2000, pp. 16–7; Beck 2006b, pp. 50–64), one should in fact not expect great uniformity in any aspect of the cult or ritual. Absence of a doctrine and of a central religious authority that would formulate and enforce it is a feature of Roman religious experience in general (cf. Beard et al. 1998, pp. 248f, 278, 301– 12), with regional interpretations creating dynamic cultic landscapes instead. We should also expect that some and perhaps the majority of mithraea will show no significant archaeoastronomical features, which after all required access to specialised knowledge to achieve. In many cases the actual terrestrial orientation of the mithraeum might have been considered unimportant: as the mithraea were meant to simulate a movement of soul in and out of the celestial sphere, fixing of cardinal points might not have been required for the model to work (cf. Beck 1994a, pp. 112f). While it is thus unlikely that many common archaeoastronomical mithraea models will ever be established, this should not discourage us from looking. Even if non-exclusive, the results obtained would shed new light on the rationale behind observed cult regionalism believed to arise from local interpretations of the god and his sphere of activity. This stands equally for features of mithraea and of the cult imagery, in which figures (Mithras included) likely had more than one correct identity.

4. The stumbling blocks

Through this brief survey of archaeoastronomical work in Roman archaeology I have already hinted at some of the factors limiting archaeoastronomy impact on Roman studies, many of which are clearly interlinked. Here I would like to further underline challenges that the field continues to face, some Roman archaeology specific, but many universal for the relationship between the two disciplines. One factor that has turned scholars away in the past, and quite rightly, was a number archaeoastronomy studies of dubious quality, not restricted to Roman archaeology. Lack of quality control has been a widely recognised problem and the discipline has tried to expose some such cases and establish controls and methodologies that are to be considered a gold standard in good 40 Roman Archaeology and Cultural Astronomy practice (e.g. Schaefer 2006; Ruggles 2015). While sadly sensationalism based on poor scholarship is still not entirely a thing of the past, the mentioned measures have certainly helped increase the quality of output across the field, as far as astronomic premises and calculations are concerned. What is still lacking is the same degree of quality control over the archaeological, cultural and historical aspects of such papers. Although being rooted in the broader cultural context is meant to be a norm for any interpretation in contemporary archaeoastronomy (cf. Ruggles 2011, p. 8), sometimes this part of a paper is almost an afterthought and at times it is missing altogether. Where cultural interpretation of results is present, exploring significance and implications of the findings often betrays insufficient knowledge or engagement with the archaeological and historical context of the monument under study. Lack of a clear exploration of meaning for the proposed findings limits value of such papers, particularly for other disciplines. A reference to a point Keith Kintigh highlighted at the beginning of this debate (1992) seems in order: archaeology is not merely interested in monuments per se, but what they can tell us about the people who created them. Simply adding a new feature to a known object or a structure (e.g. an observation of its alignment) is of very little interest for archaeologists or historians unless the significance of a particular choice or its implications are exposed and it consequently helps us learn something about the monument’s creators. Regrettably, it is precisely this aspect that great many archaeoastronomy papers fail to explore. As long as that element of the archaeoastronomy work remains weak, the discipline will remain peripheral for Roman archaeological enquiry. This observation might make it appear that the only archaeoastronomical research worth doing is that which contributes to archaeological research, however this is not so; archaeologists do not hold a monopoly on the past. Each science, however, has its own paradigms and traditional focuses and if there is little or no overlap between the approaches and interests of two groups of specialists the exchange will not happen. This aspect of the divide seems yet to be bridged in Roman archaeoastronomy and archaeology. The issue at hand is clearly linked to archaeoastronomy being an interdisciplinary field of study. Interdisciplinarity is a word that everybody likes, but accomplishing it can be testing. “Interdisciplinarity, in short, is a way of seeming to be just a little bit adventurous and even transgressive, but not too much” (Mitchell 1995), is how the challenge and reach of Interdisciplinarity was once summed up in relation to visual culture, and perhaps we have been a little bit too adventurous here. Culturally contextualized archaeoastronomy requires expertise of two very different and complex fields. The majority of archaeologists or ancient historians do not have the basic understanding of Dragana Mladenović 41 astronomy required to do or assess the validity of archaeoastronomical work. As a result, the majority do not engage with it and stay away from arguments that they cannot personally verify and test, particularly after cases such as the Horologium where many readily accepted a theory that was later exposed as flawed by a physicist. On the other hand, astronomers are often unable to fully explore the implications of what they are proposing, or provide a convincing reconstruction of underlying social/political/cultural mechanisms and agency behind the observed development. At times astronomers are also insufficiently unaware of developments in the Roman studies that their work has a stake in. Hence at conferences such as the one the proceedings of which are published here, one regularly hears astronomers speak of Persian origins of Mithraism or use Ulansey’s theories, though both have long since been rejected in mainstream Mithraic scholarship. Ideally, one scholar would master both astronomy and archaeology, however in reality that is extremely difficult and there are very few people active in the field who really are archaeoastronomers. In practice astronomers and archaeologists with an interest in the field make up the vast majority of contributors instead. This is partly because the two disciplines are large, dynamic and diverse, and partly because conventional academic education rarely provides opportunities to engage with and receive training in both subjects. Perhaps one day archaeoastronomy will be sufficiently established as a discipline with more specialists who are comfortable in the both fields it comprises, yet today we are far from that situation. The most obvious way forward would be to encourage collaborative work between astronomers and archaeologists. While this might sound too common sense a point to be worth making, we are continuously witnesses to archaeoastronomical research being done with very little contact between the experts, even when working on the same monument. One does not have to search hard to find examples of such failure to engage; e.g. the recent Göbekli Tepe controversy, where a set of specialists proposed an archaeoastronomical interpretation of a Neolithic site, only to be criticised in the next volume of the same journal by the excavators of the site for their handling of evidence, which apparently goes against both dating and archaeological finds context cf( . the ‘Matters Arising’ section of theMediterranean Archaeology and Archaeometry Vol. 17.2 (2017)). Situations like these simply should not be happening, regardless of who is in the wrong, and they also fail to promote the already shaken respectability of the field. I would thus take the matter one step further and suggest that we need to insist on such collaborations, rather than merely encourage them. If there are those still unconvinced of an acute need to work collaboratively, allow me to provide an example of a potentially promising research topic that 42 Roman Archaeology and Cultural Astronomy one simply cannot tackle without harnessing both sets of experts. As Mithras is the main topic of the colloquium, I will provide an example from that sphere. The Caesarea Maritima mithraeum raises a possibility that we might have been approaching the problem of mithraea orientation too narrowly. In cases of alterations being made to facilitate a particular effect, or the effect being achieved by means other than orientation of the structure’s axis, merely looking at alignment on a published plan of a structure is of no use, and an actual visit to the site is required instead. Many mithraea would not be preserved enough for us to be able to examine them in this way, but those that are will require considerable archaeological expertise to make sense of the remains and date construction phases, in order to be certain that any feature of interest indeed belongs to the same phase when the mithraeum was in use. Of course, secure attribution of certain architectural elements will not always be possible, even in a collaborative project. Recently a case of another mithraeum oculus has been put forward, relating to the Tomb of an Elephant in Seville, where the authors argue a window illuminated the main cult room at key solar dates of the year (equinoxes and solstices) at times of the day when relevant constellations were rising (Jiménez Hernández and Carrasco Gómez 2012). The problem is that there is very little evidence to argue that the rooms under consideration were a mithraeum in the first phase, rather than a funerary triclinium, despite one of the authors undertaking a revision of archaeological evidence at the site. Nonetheless, undertaking similar collaborative studies in view of gaining greater understanding of the mithraea and of the way astronomic symbolism enhanced worshiper experience seems to me a highly promising research direction, one that Vito Francesco Polcaro and I often discussed but sadly never got to explore. It would also be very much in line with the current focus of mainstream research into Roman religion that is championing the concept of lived religious experience and materiality of religion and religious spaces (e.g. Rüpke 2016), and would be highly relevant research in this respect. Finally, it would be foolish to deny that attitudes have also had a role to play in archaeoastronomy remaining peripheral for Roman scholarship. Issues with quality, as discussed earlier, have in the past led to the entire field being perceived as not entirely reputable. It is rarely taught to students and as a survey of course books and handbooks on archaeology revealed it is rarely even mentioned (Fisher 2015), though archaeology is generally proud of the interdisciplinarity of its approaches and methods, and numerous other techniques that came to archaeology from other sciences feature prominently. Consequently, there is a preconception about this kind of a work and archaeoastronomy tends to draw scepticism. From my own experience as a reviewer I know how reluctant mainstream journals are to accept archaeoastronomy papers, or how difficult it Dragana Mladenović 43 is to secure funding for any research with an archaeoastronomical component, which can prove to be a career breaker for young researchers in the field. While this is true of all period specialisms, I suspect that scepticism in the Roman study circles might have an additional dimension, one linked to modern preconceptions and attitudes. In the Roman period and the Antiquity in general, astronomy was inseparable from astrology (Beck 2015a). When one considers astrology today, tabloid paper horoscopes come to mind, so astrology is not something that we are inspired to discover and understand as scholars, but rather something that we are familiar with and that is rightfully dismissed as unscientific pop- culture. We ridicule those people who put store in its reflections, and I suspect it also consciously or subconsciously clashes with our own perception of the Romans. Think of the famous Monty Python ‘What have the Romans ever done for us’ sketch from the Life of Bryan (1979): “…but apart from better sanitation and medicine and education and irrigation and public health and roads and a freshwater system and baths and public order. what have the Romans done for us?”. The dialogue exchange was of course written for a comical effect, but in order for it to be funny it requires an audience’s understanding and agreement with the underlying premise - in popular perception the Romans are those whose civilization brought about at least technological progress. The expert’s view of the empire is of course more nuanced and complex, but few would deny its significant achievements, which might be at least partly why we struggle to accept that at times, some Roman communities and groups would choose to put certain weight or express themselves through astrology. What we tend to forget is that astrology in Antiquity was not merely a belief, but the integral part of cosmological understanding. Ptolemy, probably the greatest classical astronomer, saw his discipline as much theological as scientific, and wrote entire volumes on astrology Tetrabiblos;( Robbins 1940), considering it an equal field of enquiry to astronomy, without any clear terminological distinction between the two. That feature of Ptolemy’s work is rarely discussed, as if we are somewhat embarrassed for him. Though it would be impossible to prove, it could be thus argued that modern sensibilities and personal disinclination and distaste for astrology might be posing scholars to dismiss certain fields of Roman archaeoastronomy (a sentiment expressed already in the preface of Beck 1988). As a final point, when trying to understand why there has been so little interaction between archaeoastronomy and Roman archaeology, it would seem that archaeoastronomy might have been partially looking in the wrong places thus far. As noted in the brief survey offered earlier, the terrestrial alignment of structures, which is the usual bread and butter of the discipline, is not the method 44 Roman Archaeology and Cultural Astronomy that the Romans used en masse to add astral symbolism to their structures and objects. Furthermore, due to a lack of standardisation of belief and cult practice across the empire, overarching patterns are unlikely to have existed in almost all aspects of Roman religion; individual monuments might have communicated meaning in this way, but to decipher them a close contextualization of archaeological and historical evidence is required. Mithraism on the other hand provides a very good example of use of astronomic knowledge to construct symbolic meaning. Astronomy was used to create a visual language through which the content of a cult was communicated and is something which we still only partly understand today, with cultural astronomy being the most likely candidate to further that knowledge in the future. Mithraism is not the only cult where such specialised knowledge could contribute greatly; the so-called Danubian Horsemen cult (Tudor 1969) is equally rich in monuments bearing astral symbolism and our understanding of its content is even scantier, so perhaps this is a direction that might prove fruitful in the future. More awareness of the cultural specificity of Roman material evidence would lead us to a stronger understanding to which of the archaeoastronomical methods and approaches would be most appropriate in the further study of Empire’s monuments.

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Paolo Alberi Auber Società di Minerva, Trieste 1810, [email protected]

Abstract. Some well known bas-reliefs and a written text (Porphiry) attest the Mithraic Cosmology regarding Time, Seasons (Zodiac) and Winds. Two antique sundials of the Northern Adria Zone demonstrate, in this Area, a connection of antique Gnomonics with Mithraic Ideology. Other possible examples of a similar connection are here reported. An intriguing example is the Plinthium found in the Circus of Aquileia: it has been moved from a closed room (a Mithraeum?) to the open air (the Circus of Aquileia, end of the 1st century CE - beginning of the 2nd century CE). A Sundial and a Wind Rose were traced on it (Vitruvius’ “Plinthium sive Lacunar”). Its use was almost certainly intended for collecting the blood for Mithraic Taurobolium-Criobolium ceremonies and subsequent sacred meals which may took place on a bull racetrack pre-existing to the Circus. Similar ceremonies possibly took place (Criobolium) later also in the Circus itself.

1. Foreword

“Incidentally we observe that almost all of the sundials have been broken exactly on the upper edge until the gnomonic hole1 . I am wondering why”. So claims Alessandro Gunella2, a well known and appreciated gnomonist, while describing a particular type of antique sundials which have been found in the northern Adriatic region. His curiosity was stimulated by the damages found on practically all sundials belonging to a particular period and geographical zone. The same curiosity inspired my studies on antique sundials in the Northern Adriatic Region. When the Austrian colleagues visited the archaeological Museum of Aquileia in 2013, I invited them to visit the Vitruvian “Plinthium sive

1 Original Italian text: “.incidentalmente si osserva che quasi tutti gli orologi reperiti sono rotti proprio nell’orlo superiore sino al foro gnomonico, chissà perchè.” 2 Gunella (1999). 50 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

Lacunar” (hereinafter PsL; Vitruvius,De Architectura IX.8.1), a very interesting monument3; a colleague4 noted the strange slope of the “horizontal” surface. This observation inspired further studies, herein presented, about a potential connection of the monument with Mithraic (and possibly Magna Mater) ceremonies. The link of Archaeoastronomy and Mithraism has been already treated at the XIV Conference of Società Italiana di Archeoastronomia (SIA) by Hernandez Gomez (2015). The Mithraic calendar and the Christian Calendar have been treated at the same Conference by Chiarini (2015).

2. Measuring time/seasons and observing the winds

1) A Mithraic bas-relief found near Reggio E. and preserved at the Museum of Modena (see Clauss 2012), represents a direct connection of the passing of time with Mithraic ideology: a snake revolves around the quasi-human figure (Figure 1). The zodiacal signs represent the passing of the seasons. The four winds in the corners complete the Mithraic cosmology.

Fig. 1. A well known Mithraic bas-relief found near Reggio E. The snake represents the passing of time. The zodiac signs expli- citly represent the passing of seasons. The four blowing profiles (the winds) complete the Mithraic cosmology.

3 See Alberi Auber (2005, 2006). 4 Ing. Adi Prattes, from Klagenfurt (A). Paolo Alberi Auber 51

2) The text by Porphiry (3rd cent.; Porphiry [1986]) states also a very strict connection of time, seasons and winds with the God Mithras. The text has been recognized as a basic one of the Mithraic religion. The verse n. 24 reads: “Therefore [the Nymphs] assigned as adapt to Mithras the site of the Equinoxes”. The verse n. 28 reads: .“ Cancer and Capricorn.the Sun.move until these extreme limits”. And further: “Boreas comes from Bora, which means nourishment: since this wind blows from a region which is rich of nourishment, called Boreas. the reason is why this wind provides for nourishment”. In the foreword to the Italian translation of the book by Merkelbach (1988) it is written: .“ Mithraic Mysteries have been an astral religion.” This concept is further expanded in the present work. Up to now in many cases it was possible to suggest a relation between Gnomonics (intended as a branch of Astronomy) and Mithraism only indirectly. We think that the present study shows this connection more clearly.

3. Two sundials connected to Mithraism

Every antique sundial, at least in the Northern Adriatic Area, will be regarded under a particular ideological angle, since some of them were strictly connected with Mithraic ideology. We recall here two sundials, both found near the modern Josipdol (Croatia).

Fig. 2. The sundial 1063G (Gibbs) preserved in the garden of the Archaeological Mu- seum of Zagreb, the capital city of Croatia. Here the spherical surface appears flat. 52 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

3.1. The sundial 1063G, in Gibbs catalogue (Gibbs 1976) It is preserved in the archaeological Museum of Zagreb (the capital city of Croatia); see Figure 2. According to Gibbs catalogue it pertains to the group of “spherical sundials”: the lines have been traced on a flattened spherical surface. Nevertheless one can see easily the hour lines and the attachment for the gnomon. The gnomon itself seems to be damaged, as previously described by Gunella (1999). On the horizontal base of marble there is a dedication which reads: I(ovi) O(ptimo) M(aximo) Soli Invict°C°NSER AVGN°. “Deo invicto Mithrae…”, “Soli invicto Mithrae…” are typical dedications of the Mithraic religion (Vermaseren 1956, 1960), and also the simpler expression “Soli Invicto” is Mithraic too. See the inscriptions in Vermaseren (1956) no. 154, 156, 157, 167, 177, 373, 409 a, 409 b, 570, 571, 572, 573, 652, 801, 804, 870, and in Vermaseren (1960) no. 886, 1063, 116, 1353, 1738, 1782, 1802, 1831, 1855, 1886, 1968, 1970, 1980, 2011, 2148, 2312, 23525. So we can conclude that the inscription belongs to a Mithraic koinè; the inscription was made by a follower who demanded gratitude from the deity and prestige in the community.

Fig. 3. Another explicit example of the measure of time in a Mithraic koinè. CIL 3020 (now lost). It was found, as the previous sundial, in the Dal- matian hinterland.

5 Maarten J. Vermaseren has been a very important scholar interested in Mithraism. After 60 years his catalogue is still a fundamental list of Mithraic inscriptions. Paolo Alberi Auber 53

Fig. 4. A possible reconstruction of the N. 3020 CIL sundial.

3.2. The sundial described in C.I.L. N. 3020 found in Munjavae (Croatia) The Corpus Inscriptionum Latinarum (Mommsen) includes a sundial (now lost; Figure 3) with the following inscription: I(ovi) O(ptimo) M(aximo) Soli Invict° C°NST AVRELIAN EX FRV BF CO F COIIT ///// ROL- CIVNI DR POE – MA. Also in this case the words “Soli Invicto” constitute a proof that the sundial pertains to the Mithraic koinè. Unfortunately, the object was lost already at the time of the Mommsen’s Catalogue. The expression “indicatur specus Mithriacus” by the scholar Sabljar means that the site of the finding was a Mithraic cavern. “Cavum magnum concae instar” and “grosse muschelartige Vertiefung” provide the evidence of the type of the sundial (Figure 4), and “in horologio solari” shows that CIL 3020 regards really a sundial.

4. Other possible sundials of a Mithraic koinè

4.1. The sundial of the fluvial harbour in Aquileia It is reported as 2002G in Gibbs catalogue (Figure 5). The gnomonic parameters are: diameter of the sphere 532 mm; diameter of equinoctial line 370 mm; the intended latitude, as calculated from the reported data, is 45,9° (error: 0,2°, 0,4%); summer-equinox linear segment on the sphere Hora VI: 213 mm; 54 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria winter-equinox linear segment on the sphere Hora VI: 213 mm (Alberi Auber 2005)6. In Figure 6 a photograph is shown of the sundial taken in the fifties of the past century (Scrinari 1972). The solar image seems to be much smaller than in the modern photograph (of 2005; Figure 5). This detail unveils a possible repair of the damaged gnomonic hole around the thirties of past century, probably performed under the direction of Mr. Brusin head of the Museum. This renovation was requested by the Roman archaeological authorities for the exhibition of “Roman Science” (the brackets are needed since a “Roman Science” never existed; see Russo 1996), at the “Mostra Augustea della Romanità” in 1937, a fascist event to celebrate the Emperor Augustus, 2000 years after his birth, as a predecessor and inspirer of Mussolini. Other sundials of Aquileia, reported in Alberi Auber (2017), reveal a policy of restoration which could correspond to similar problems as those found on “our” sundial, such as restoration with gypsum and possible subsequent repentance.

Fig. 5. The sundial of the “Mithras” zone near the fluvial harbour of Aquileia. The “roof” was intentionally damaged, in order to avoid its regular use. At the corners of the inclined front plane circle of the sundial there are four blowing hu- man profiles representing four winds, a typical Mithraic secondary icon.

6 See Kenner (1880), Brusin (1934), Cosmi Bracchi (1960). The most important gnomonic data have never been measured until our work (Alberi Auber 2005). In order to obtain reliable data from the measures, we prepared hundreds of millimetric calibrated circles made of semi rigid cardboard; practically no other reliable method of measure for this task does exist. Paolo Alberi Auber 55

Fig. 6. The photograph, which dates Fig. 7. The Mithraic bas-relief of Hedder- back to the fifties of past century, un- nheim with the winds represented at the veils, thanks to the smaller solar image, corners as blowing human profiles. the “restored” roof. The time could be the same of the unnecessary repairs and of the copies made for the “Mostra Augu- stea della Romanità” of 1937. Four human blowing profiles, engraved on the corners of the frontal inclined edge of the sundial, are typically “Mithraic”; indeed, many Mithraic monuments contain similar blowing profiles. As an example, here we report the bas-relief of Heddernheim (Figure 7). Also on the corners of the bas-relief of Figure 1 four human blowing profiles are engraved. 4.2. The sundial with the representation of the moon, found in Concordia Sagittaria The crescent moon (Figure 8) belongs to the Mithraic iconography, often in connection with the sun: both are represented in many Mithraic bas-reliefs. The crescent moon belongs to the Magna Mater iconography too, but, in this context, the representations are rare and in particular the crescent moon is represented over the head of the Goddess and not on the corners of a more complex iconography. The Mithraic bas-reliefs with the crescent moon on a corner are, on the contrary, very numerous. As a typical example we could cite the one found in Aquileia and preserved in Vienna (Figure 9). The crescent moon 56 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria is engraved on the top-left corner of the frontal circular edge of the sundial. The crescent moon, as a single ideological element, can be recognized in the Mitreum of Menandro in Ostia Antica (RM): a hole with the form of a crescent moon allows the light, produced inside a “box” made of stone, to be seen as a bright icon by the initiates, with a very interesting display.

Fig. 8. The fragment of the sundial found Fig. 9. The Mithraic bas-relief (gypsum in Julia Concordia (Concordia Sagittaria). copy) with the images of the moon (top ri- The fragment is very poor but it was pos- ght) and of the carriage of the sun (top left) sible to take some measurements. found in Aquileia. The original is preserved in the Kunsthistorisches Museum, Vienna.

The fragment has been found near the Thermae of Julia Concordia and previously studied by Alberi Auber and Ridolfo (2017). Despite the severe damages it was possible to take regular gnomonic measurements, thanks to the hundreds calibrated circles of cardboard made by us. Diameter of the sphere: 70 mm; diameter of the equinoctial circle: 52 mm; intended latitude: 42°; error: –3,7°, -8%. The intended latitude corresponds to that of Rome. Since the crescent moon is frequently used in the Mithraic iconography, also the sundial-fragment of Julia Concordia could be connected to a Mithraic koinè.

5. The “Plinthium sive Lacunar” found in the Circus of Aquileia

The horizontal sundial-wind rose found in 1878 in the Circus of Aquileia (Figure 10) was analysed by us (Alberi Auber 2005, 2006), and we expressed just a suspect about the ideological source at the origin of the monument. A gnomonic reconstruction was possible thanks to Legnazzi (1887). Paolo Alberi Auber 57

Fig. 10. The “horizontal” sundial-wind rose found in 1878 in the Circus of Aquileia (preserved in the Museum of Aquileia). The elevated edge, northern slope and hole can be seen. The ideological accessories added at that time were: sundial, wind rose, seat, and a southern block supporting some possible elements now missing: 1) an ideologi- cal bas-relief, 2) two brackets on east and west side, with bronze (?) images. His main purpose was to demonstrate the applicability of the Vitruvian expression “Plinthium sive Lacunar quod etiam est positum in Circo Flaminio Scopinas Syracusius (dicitur invenisse)” to the monument (Alberi Auber 2005). Briefly, the reasons were: a)“Plinthium” corresponds to a large flat square stone; b) “Lacunar” means a square architectonical component with an elevated edge, as in our case, in spite of the fact that the “lacunar” is here oriented to the top and not to the bottom or in vertical position7 as in roman decorated roofs; c) the sundial was found in a Circus similarly to the Vitruvian one in the Circus Flaminius; d) the latitude of Syracuse, the birthplace of the inventor of that type of sundial, Scopinas Syracusius, has been identified by us on the asymptotes of the solstice hyperboles. Moreover, the other purpose was to show the topographical subdivision of 360 degrees (Alberi Auber 2006) divided in 8 / 16 parts, as suggested by Vitruvius (22° 30’=360/16); it was identified on the monument because it includes the orientation of the foundation of Aquileia itself. The Vitruvian PsL was identified as a plane sundial by Rayet (1875), and obviously as a horizontal one, since a vertical plane sundial in a Circus would be a nonsense (see also Puteoli vase, Figure 14). We already observed that the Vitruvian wind rose was referred to the PsL with the only exception of “Boreas” in the NE position which substitutes

7 As it happens with a “lacunar” placed at the basis of a cupola. 58 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria the Vitruvius’ italic wind “Aquilo”. The “horizontal” sundial of the Circus of Aquileia disclosed its Mithraic origin/use accidentally, when the Northern slope was measured; an inclination angle that has been ignored during the past 140 years since its finding (Figure 11).

Fig. 11. The technical data of the (double) slope. 1) direction NNW and 2) direction EEN have been accurately measured. A liquid would pour into the hole thanks to both inclines. Paolo Alberi Auber 59

So, 1) the elevated edge, 2) the slope and 3) the vertical hole drilled in the NE corner of the PsL forced us to conclude that the table was necessarily designed in order to facilitate the collection of a fluid under the hole. In fact, there are two slopes, the first in direction NNW and the second in direction EEN, both oriented towards the hole. The ideological accessories may have been added at that time: 1) sundial, 2) wind rose with weather vane, 3) seat at every side but missing under the hole and 4) southern block which supports some elements now missing: a) an ideological bas-relief on the top, b) two brackets on east and west side, with bronze (?) images. When discussing about the possible nature of the liquid, we have to exclude oil, wine8 and water, since each of these fluids have nothing to do with the ideological context of the present case. Indeed, these accessories do not have any relation with pressing oil, wine or collecting water, and we have to look for in other directions. The similarity of the PsL, elevated edge-slope-hole, with modern tables designed for post-mortem examinations (Figure 12; they are similarly equipped with an elevated edge/slope/hole in order to collect the blood), suggests that the fluid could be blood, of young bulls (taurobolium) or of smaller animals (criobolium), for ceremonies of initiation.

Fig. 12. A modern post-mortem examination table has similar features and sizes of our PsL (elevated edge - slope - hole in- tended to collect blood)

Figure 13 (photographs outside and inside the Lacunar) shows the hole. No seat has been placed under that corner, so no hindrance prevents from the use of a vase, or the flowing of the blood in a (possible) ditch for blood-shower. The different colour of the sloped stone, much lighter than the rest of the table, suggests that the whole monument was previously protected in a closed room, necessarily illuminated with oil-lamps whose smoke has blackened it (hundreds of lamps have been found in the Mithraeum of Duino, near Aquileia). Despite this surprising singularity there is no contradiction with

8 A research has been done in order to exclude every use of the item for pressing oil or wine: such horning presses are built in a completely different way. 60 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

Fig. 13. The hole drilled in the NE corner collects the blood (taurobo- lium or criobolium) which flows thanks to both inclines. Left: outsi- de, right: inside the Lacunar. the finding site at the Circus. Vitruvius himself claims of another PsL existing (“positum”) in the “Circus Flaminius”. In the Circus Flaminius of Rome the “ludi tauri” took place (Varro). Humphrey (1986) was not able to identify them and he gave up: “.it [the Circus Flaminius] was reserved simply for a very old and mysterious set of games.” Did the “ludi tauri” belong to this “set” of games? Is this a game linked to racing bulls? The “Taurobolium” was an ancient ceremony. According to Rutter (1968) there was a race/run of bulls with a final throat-cutting and a meal offered to the people. Rutter has carefully analysed the inscriptions regarding the “Taurobolium” of pre-antonine epoch: the ceremony, which we would call “archaic”, had its origin in Asia Minor (Western and Southern). For example, an inscription has been found in Pergamon, and another one in Ilion (Rutter 1968). The ceremony was concluded with the throat cutting of one or more masculine cattle and a meal was offered to the people, but previously an exit of the cattle from the corral and a sort of a ritual run took place9. In one of the inscriptions a run with forty bulls is mentioned. Rutter quotes an inscription, dated 134 CE, found in Puteoli (Pozzuoli, NA; “the main Italian harbour about the commerce with East”10): it is the first Taurobolium documented in the Western world. In Latin language, and in Greek too, the words with the root “bol-” refer to something flexible which is used while catching a wild prey11. Another inscription on a glass flask from Puteoli refers to a Circus (Figure 14; see figure 1.2A/B in Talbert 2017). Some didactic expressions explain the meaning of the schematic drawings: “Pilae”, “Stadi” (Stadium), “Ipma” (?), “Theat” (Theatrum), “Solar” (Solarium). Obviously “Solar” could mean “Solarium”

9 A similar race with a run of bulls in competition with humans takes place nowadays every year in Pamplona (Spain). 10 Puteoli was an extremely important “hub” for ships due to its high draught; typically the Obelisks of Augustus were transhipped in Puteoli on their trip to Ostia in 12/13 BC. 11 Such a noose is used in Southern America (Pampa Argentina) to catch cattle; they are called “bolas”. Paolo Alberi Auber 61

Fig. 14. The transcription of the drawings on a glass flask from Puteoli (Talbert 2017).

(sundial) which could be interpreted as the horizontal table at the entrance of a little temple near the “Stadium”. Talbert’s (2017) text: “The self-standing T-shaped feature below the “AR” of STADIUSOLAR seems likely to be a conspicuous (fixed) sundial (solarium), perhaps near a stadium”. Did the games similar to the race of bulls take place in the Circus of Aquileia (archaic Taurobolium) as described in the inscription of Puteoli? The PsL has been found in the middle of the racetrack of the Circus. There is no doubt about this, since Maionica affirmed that the exact site of the finding was immediately recovered and registered by an official engineer (Maionica [1893], p. 63): “.1878. in correspondence with b’’’’ a large horizontal plate. Sundial and Wind Rose.”. Footnote: “. the site has been immediately determined after finding by k.k. Oberingenieur Guido Levi in the most accurate way and thereafter reported on the Fundkarte”12 (see Figure 21, site “Marignane”). Thus, it may be possible that also in Aquileia similar races of bulls (and not of chariots) took place; in Aquileia no evidence of chariot races has been found13. Some Mithraic scenes represent men who ride a bull (archaic Taurobolium); such a tradition dates back to centuries or even millennia in the Mediterranean world (e.g. Crete). Finally, Aquileia, as Puteoli, was certainly an important harbour for commerce with the Eastern regions of the Mediterranean Sea. According to epigraphists the dedication “M. Antistius Euporus Fecit” dates back to an epoch between 1st century - 2nd century CE, while the current

12 “.1878.bei b’’’’ eine grosse horizontale Platte.Sonnenuhr und einer Windrose..“ - “Die Stelle wurde unmittelbar nach der Auffindung aufs genaueste durch den Herrn k. k. Oberingenieur Guido Levi festgestellt und nach dieser Aufnahme in die Fundkarte eingetragen.” (Maionica [1893], pp. 62-63). 13 Besides, Giovanni Primicerio (called Giovanni the Usurpator), before his execution in the Circus of Aquileia (425 CE), was forced to ride an ass, a parody of a bull? 62 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria hypothesis about the Circus epoch is the 3rd century CE. Mithraic ceremonies are generally described as private and exclusive, therefore claiming that the PsL was used for Mithraic ceremonies in the middle of the racetrack of the Circus could arise several doubts. If we think that it was involved in ceremonies similar to the Taurobolium of the first type (Rutter) in a place where a real Circus would have been built only later, the problem could be solved in agreement with Humphrey (1986, p. 623): the PsL probably existed prior the definitive construction of the Circus (“.more likely that the sundial was an earlier structure.”)14. Anyway, the Mithraic “fossa saniguinis” found in Martigny (Switzerland) shows that ceremonies of initiation took place necessarily at the border of the sacred zone so that aspirants entered in the sacred zone only after initiation, while people uninvolved in Mithraism could be present. Similar ceremonies in honour of the Magna Mater with Mithraic Paters supervising them are proved by several inscriptions. The circumstances of the moving the PsL from a closed room into open air in the Circus are still to be investigated; the “closed room” is still the main problem. The so-called “Tempietto di Giove” could be taken into account since Jupiter plays a role. As an example, both sundials from Josipdol (HR) are dedicated to “I[ovi] O[ptimo] M[aximo]” prior than to Mithras himself. The “Tempietto di Giove” (“DIOVEI” on a capital; see letter “f” in Figure 19) is very close to the Circus border and at about twenty meters from the PsL, and has an octagonal plan (Buora 1985). There is another problem: while the Circus was built, the pre-existing PsL was preserved on the racetrack of the Circus itself, therefore going from the PsL to the “Mithraeum” would have not been possible owing to the wall of the Circus, unless we think about a door or a passage. The Mithraeum of the Circus Maximum in Rome is adjacent to the border of the Circus. A slab (known since 1720; the site of the finding is unknown) with the dedicatory expression “.speleum cum omni apparatu fecit.” (.with all the accessories.) (CIL, V, 810), shows that a Mithraeum existed in Aquileia. In the Aquileia topography (Fundkarte 1893), Maionica marked with the word “Mithras” the place where the sundial with the wind-heads was found (Figure 21). The reason is that the Mithraic bas-relief shown in Figure 9 was found there, and two other Mithraic dedicatorial slabs were excavated there too. But this does not necessarily mean that Majonica thought of a Mithraeum in that site.

14 The only difference with respect to Humphreys is the level of the finding, “buried” according to him. He probably did’nt have the opportunity to see Pontini’s drawing (Figure 18) and read the report by Kenner regarding the depth of the finding (see Sect. 7). Paolo Alberi Auber 63

Fig. 15. Equinoxes, solstices and winds, all belonging to Mithraic cosmology (Porphiry), are traced on the sundial-wind rose of the Circus of Aquileia.

6. Mithraic cosmology

Equinoxes and the extreme zodiacal signs, Cancer and Capricorn15, were drawed on the PsL. The vertical rod reported in Legnazzi’s article (Legnazzi 1887) shows the existence of a weather vane as an obvious accessory for the wind rose (Alberi Auber 2005). Porphiry [1986] wrote that the same extreme zodiacal signs pertain to the Mithraic ideology, and that supports our view that the monument had to be involved in Mithraic use/ceremonies. Eight wind names indicate the corresponding directions on the PsL, but that in the NE direction (Boreas, a principal wind in Mithraic ideology according to Porphyry) doesn’t belong to the classical Italic Vitruvian set of eight winds, and it seems to be a specific sign of Mithraism. The Vitruvian wind rose would include Aquilo in the NE direction now occupied by Boreas. In any case Aquilo was not ignored and it was placed in the NW direction; Caurus, which was in this direction in the Vitruvius wind rose, was eliminated. Why? Maybe Aquilo could not be eliminated since it was at the origin of the name itself of Aquileia (Alberi Auber 2006).

15 Antique sundials indicated the seasons and not just the hours. 64 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

Fig. 16. The plate for sacred Mithraic meals shows a table whose contour is represented with short transversal signs instead of simple right lines. These short signs may represent the elevated edge of a similar PsL.

It is important to remark the stone seat around the PsL, and this may suggest that a sort of sacred meal took place. A portion of the seat is missing in the NE corner, where the “liquid” was collected. A plate for Mithraic sacred meals found in Trier (D) represents a table, outlined with short signs, transversal to the missing lines of the edge, which could represent the elevated edge of the table (Figure 16; from Clauss 2012). Such scenes (sacred meals) are often represented in Mithraic icons. One of them represents a raven resting on the edge of a vase under the edge of the table. Is the raven waiting for a liquid? Maybe blood? In both instances the answer could be yes, since the well known Mithraic “tauroctonia” is represented on the other side of the slab. The “corax” (raven) represents the first grade among the levels of initiation in Mithraism. Another example is the slab (Figure 17), found in Prolozac (Bosnia); it would seem to be unknown to Mithraic catalogues. Similar scenes with a slaughtered bull stretched out on a table have been found also in Konijc (Bosnia) and Elleri- Muggia (Trieste).

Fig. 17. One of the sides of the Mithraic double face slab of Prolozac (now pre- served in a Museum of Split, HR) repre- sents somehow a realistic sacred meal. A bull has been slaughtered on a table (Plinthium) and a raven (a “corax”) re- presenting an aspirant member waits for the blood on the edge of the vase. Paolo Alberi Auber 65

7. Discussion of a different hypothesis

We would like to highlight a misinterpretation regarding the site of the finding of the PsL. The circumstances of the finding (see Alberi Auber 2005, Maionica [1893]) are known: the amateur-archeologist Carlo Gregorutti found it in the Fondo Cassis (Circus) and he published his discovery twice (Gregorutti 1879, 1879-80). According to Gregorutti (1879):. “ la pietra trovavasi collocata sul sito coi lati parallelamente al corso delle mura, in modo che gli assi longitudinale e trasversale della medesima segnano la direzione”, or “.the plint.and the stone was placed in the site with the sides parallel to the walls: in such a way the longitudinal and transversal axes of the stone indicated the direction”. “La direzione della pietra è parallela alle mura così come declina come queste per gradi 22°30’ da settentrione verso occidente” (Gregorutti 1879- 80), or “.the direction of the stone is parallel to the walls as it deviates from these 22°30’ from North to West.” “Peccato che la pietra prima di essere stata da me veduta venne inavvertitamente smossa dal primitivo posto al quale venne poscia alla meglio restituita” (Gregorutti 1879), or “It’s a pity that the stone was accidentally moved from the original site and only later on was put back in proximity of its original site in a clumsy way”. He didn’t worry about the exact finding site, but fortunately, in addition to the witness of the “Oberingenieur” Guido Levi (see Maionica [1893]), we have a very faithful drawing made by the artist Antonio Pontini while the monument was being excavated (Figure 18); it provides us with the exact orientation (which is the same as that of the church tower, the Circus and the town itself, the Vitruvian 1/16 of the round angle 360°), and even with the depth of the finding.

Fig. 18. Antonio Pontini’s drawing traced while the PsL was not yet extracted from the ditch. 66 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

Fig. 19. The Kenner’s drawing (1880) with the exact position of the finding, that was indica- ted by the “Oberingenieur” Guido Levi (a public officer of the Austrian State Administration, 1878). The monument is marked by the letter “h”. The angular quotation (added by us to the original drawing) has been derived according to the descriptions by Gregorutti.

Kenner (1880) included Figure 19 in his study about the sundials of Aquileia (his fig. 11, p. 13, and fig. 3 p. 167) ; the monument is labelled with the letter “h”. Kenner also reported the depth of the finding: .“ found 3 feet under the level of the ground” (.wurde 3 Fuss unter der Erdoberfläche gefunden.), that is, about 1 meter, at the level of the Circus. In occasion of the inauguration of the new Archaeological Museum of Aquileia in 1884, a card was published where the sundial played a central role (Figure 20). The director of the Museum, Heinrich Majonica, reported the location of the PsL on the map of the ancient Aquileia (Maionica [1893]). This shows that he had no doubt about the site of finding, the middle of the racing ground of the Circus (p. 63; “b IV” on the map, b’’’’ in the text17; see Figure 21)18. More than a century later, the director of the Museum of Aquileia, Dr. Luisa Bertacchi (1925-2011), published a very accurate map of ancient Aquileia (the whole city map sc. 1:2000, and detailed drawings sc. 1:1000; Bertacchi 2003),

16 The paper is available at www.ingauber-meridiane.it. 17 Unfortunately the sundial has been drawn with a wrong orientation. 18 The topographist who really compiled the map (see the top right description) was the same person who determined the site of the finding, i.e. Guido Levi. Paolo Alberi Auber 67

Fig. 20. The card published for the inau- guration of the newly opened Archaeo- logical Museum of Aquileia in 1884. The image of the sundial plays a central role.

Fig. 21. Maionica’s map of ancient Aquileia (Fundkarte 1893); the sundial had played also here an important role in order to recall the orientation of the city map of Aquileia. Unfortunately, the sundial has been drawn with a wrong orientation. including the important monument. Unfortunately, on the basis of a calculation of the intended latitude of the sundial made by a gnomonist (see Tognin 1993), the value was a couple of degrees lower than that of Aquileia19. Therefore, the conclusion was that the original place of the item was at a latitude of 43°. Bertacchi (2003, p. 43) wrote: “a recent study.confirmed the validity of the sundial for a belt from Pesaro-Ancona to S. Gemignano di Lucca. therefore the

19 We note that the gnomonist used the ecliptical angle for the present epoch; however, the effect on the final result is minor. 68 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria sundial should have been moved from another site and set over there with an angle which is wrong when compared with the town orientation”20. In the last years some scholars were convinced of Bertacchi’s opinion and now even the most accredited maps of ancient Aquileia do not report the PsL at all. Actually, relations with a lower latitude could possibly exist. In some portable roman sundials, the so called “Pros Pan Klima” (Vitruvius, IX, 8, 1), cities and regions of the Roman Empire are usually marked. The sundials have been investigated by Alberi Auber (2014, 2015), Hoet-Van Cauwenberghe (2012a, 2012b) and Talbert (2017). Hoet-Van Cauwenberghe and the author observed that only the town of Ancona was marked in a couple of sundials, while the other names referred to regions. In other sundials, Ancona is marked along with very important towns, Rome, Babilonia; however, Ancona was very little and not important. We reached an agreement about the hypothesis that Ancona could be the site of a gnomonic workshop. If this hypothesis could be accepted, it could be plausible that the latitude of Ancona (43,59°) should be found on the sundial, being it made by the Ancona gnomonist, in charge at that time by the aquileian donor (M. Antistius Euporus), to trace the sundial on the PsL, while it was assigned to be moved from a closed room to the Circus of Aquileia. The gnomonist of Ancona possibly had a tracing calculated at the latitude of his workshop and he simply transferred it to the site of the client, as it was the common practice at that time21. Anyway, the main arguments against Bertacchi’s conclusion are the reports by the archaeologists/technicians that discovered and described the monument (Gregorutti, Pontini, Kenner, Levi, Majonica). Moreover, the monument has been made of Karst (Aurisina) stone; Aurisina is rather near to Aquileia and such a stone is the current first matter for many monuments in Aquileia. One should note that the error of a couple of degrees in the intended latitude of an ancient sundial is very common among the Roman sundial-makers. This conclusion is drawn quite easily; see e.g. Alberi Auber (2005, fig. 26 p. 170). We measured and calculated the intended latitudes of several roofed spherical dials, shown in Figure 22. Finally, we recall once more the angle of the axis of the PsL, 22°30’, which coincides with the orientation of ancient Aquileia (Figure 23; from Grablovitz 1887). Therefore, we think that claiming that the PsL was imported to Aquileia from elsewhere and abandoned on the Circus, and then deleting it from the present maps of ancient Aquileia are not acceptable conclusions.

20 “.Inoltre un recente studio.ha dimostrato la validità della meridiana per la fascia Pesaro- Ancona a S. Gemignano di Lucca .pertanto.deve essere stata portata da fuori e deve essere stata collocata disangolata con la centuriazione”. 21 Alberi Auber (2005) noted on the sundial the latitude of Syracuse, so one could even assume a “gnomonic” route of the whole tracing from Syracuse (Vitruvius: .Scopinas Syracusius..) to the Circus Flaminius (Vitruvius: .quod etiam est positum in Circo Flaminio.), from Rome to Ancona (a clumsy adjustment), and finally to Aquileia. Obviously this is just a speculation. Paolo Alberi Auber 69

Fig. 22. Astronomical data of the antique sundials of Northern Adriatic Area. The intended latitudes have been calculated and compared (in absolute value and percentage) with the latitude of the site of finding. Errors that are similar to or larger than that assumed for the PsL have been obtained.

Fig. 23. Drawing by Grablowitz (1887) Fig. 24. The damages, caused on the with evidenced the angle of 22°30’, that PsL by means of a very hard hit, were coincides with the orientation of Aqui- repaired in ancient times with iron leia (Cardo Maximus). clamps. 70 Gnomonics and Mithraism in the Northern Adria

As a final remark, we note that the Emperor Theodosius issued several decrees forcing pagan people to repudiate their faith. Thus, Mithraic temples, Mithraic images, Mithraic bas-reliefs were destroyed. Theodosius issued one of the decrees right in Aquileia in June 391 CE, and that may correspond to the time of these destructions in the town. The damages suffered by the Adriatic Zone sundials, recognized by the Gnomonist Gunella and quoted in the Foreword, may be a testimony of the ideological climate at the end of the 4th century - beginning of the 5th century. Of course, not all the sundials were of Mithraic affiliates but, in such a climate, it cannot be excluded that sundials could be interpreted as a pagan symbol and intentionally damaged. We have also proposed that a reconstruction of the visible damages (Figure 24) on the PsL may have occurred during the interval of restored pagan power (Flavius Eugenius emperor, 392-394, period? Alberi Auber 2018).

8. Conclusions

We have shown the probable connection of some sundials with Mithraism and proposed a plausible explanation for the unusual damages of the gnomons of the sundials of Northern Adriatic region. In the case here examined, we suggested that the “Plinthium sive Lacunar” had probably two purposes, that is for sacred meals and for collecting blood during the ceremony of Taurobolium (or Criobolium).

Acknowledgments. Thanks are due to Prof. Giovannella Cresci Marrone (UNIVE) and Prof. Attilio Mastrocinque (UNIVR). We are grateful to Renis Ridolfo for his help.

Bibliography

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Elio Antonello INAF-Osservatorio Astronomico di Brera [email protected]

Abstract. There is increasing evidence that abrupt climate changes were responsible for the collapse and/or reorganization of ancient civilizations. In the present paper, we summarize the results of the studies of paleoclimatology and archaeology regarding some of those changes, and mention the discussions about the possible relation of such events with astronomical and astrophysical phenomena. It is very probable that similar climate changes will affect the Earth also in the future, so it would be worth to get a better understanding of the mechanisms behind such events.

1. Introduzione

È assodata l’esistenza di un legame tra la variazione di parametri orbitali della Terra e l’andamento a lungo periodo del clima (orbital forcing). Diversi antropologi legano a queste oscillazioni climatiche anche l’adattamento evolu- tivo degli ominini negli ultimi milioni di anni, con l’estinzione e l’emergere di specie, fino ad arrivare al genereHomo , come abbiamo ricordato in un lavoro recente (Antonello 2016). In precedenza avevamo inoltre ricordato il legame tra astronomia, clima ed evoluzione della società umana, e avevamo concluso che per capire la nostra stessa storia non si può fare a meno dell’astronomia (Anto- nello 2012; Antonello 2013). Tuttavia, se gli effetti climatici dell’orbital forcing a lungo periodo possono essere invocati per giustificare l’emergenza dell’Homo sapiens (e i suoi caratteri sociali), e anche il complesso passaggio dalla fase della civiltà dei cacciatori-raccoglitori a quella agricola, i possibili effetti astronomici sul clima a più breve periodo, e quindi sull’evoluzione delle singole civiltà agri- cole, sono ancora argomento di discussione. Le variazioni climatiche comunque 74 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà sono state prese in considerazione (un po’ alla volta) da vari archeologi come un fattore importante nel collasso e/o riorganizzazione delle civiltà, questo almeno nei casi più acclarati (p.es.: Liverani 2011, p. 251). Cercheremo quindi di riassu- mere i risultati degli studi di preistoria e storia finalizzati a una comprensione delle fasi di crisi attraversate da varie civiltà del passato, e di fare il punto sulle discussioni in corso sul possibile legame tra parametri astronomico-astrofisici e l’andamento del clima responsabile (almeno in parte, se non in tutto) di tali crisi. Nel presente lavoro ci limiteremo, per ragioni di spazio, a trattare dell’evoluzio- ne dal Paleolitico fino al terzo millennio avanti Cristo, circa 5000 anni fa. In un altro lavoro tratteremo degli impatti del clima in epoca successiva fino ad oggi. E’ opportuno ricordare ancora una volta come, allorché si cerca di riassumere in poche pagine la realtà spaziale e temporale estremamente complessa del clima, dedotta dagli innumerevoli indicatori climatici, e di correlarla con i risultati de- gli scavi archeologici, il rischio che si corre è di essere superficiali o semplicisti, e di tendere a privilegiare eventuali preconcetti.

2. Indicazioni climatiche da stratigrafia e proxy

Negli ultimi decenni, dalla stratigrafia geologica e dei paleosuoli, dallo stu- dio dei carotaggi di ghiacci e del fondo marino, delle stalagmiti, ecc., si è ricava- ta una descrizione coerente dell’andamento del paleoclima negli ultimi milioni di anni, per quanto riguarda temperatura e umidità o aridità, e, in base alle periodicità rilevate, si è arrivati a confermare l’esistenza dell’orbital forcing. In questa Sezione riassumiamo i dati relativi all’ultimo ciclo glaciale, compreso tra l’interglaciale (Eemiano) di circa 130 ka (ka = migliaia di anni) fa, e l’attuale interglaciale, Olocene, iniziato circa 11700 anni fa. La Figura 1 rappresenta l’an- damento climatico (essenzialmente, ma non solo, la temperatura media) rilevato nei ghiacci e negli oceani, mentre la Figura 2 rappresenta l’andamento del clima monsonico (essenzialmente l’umidità/aridità), discusso nel precedente lavoro (Antonello 2016). La fase glaciale è stata segnata da episodi di freddo (stadiali) e di caldo (interstadiali), dell’ordine del migliaio di anni, chiamati eventi Dansga- ard-Oescheger (DO.e.), con andamento quasi periodico; sono particolarmente evidenti nell’emisfero nord, essendo stati rilevati nei ghiacci della Groenlan- dia (Figura 1). Alcuni dei DO.e. risultano approssimativamente coincidenti con eventi Heinrich (H.e.), evidenziati da depositi di detriti trasportati da iceberg (IRD, ice rafted debris) nel Nord Atlantico. Successivamente, durante l’Olocene, ci sono stati altri eventi, rilevati dalla stratigrafia nel Nord Atlantico, che hanno mostrato una quasi-periodicità. Possibili differenze, similitudini, simultaneità, periodicità e soprattutto origini di tutti questi eventi sono argomento di molte discussioni in paleoclimatologia, anche per le incertezze nelle scale temporali Elio Antonello 75 relative a dati che sono ottenuti in località diverse e con metodologie diverse. Quest’ultima considerazione spiega anche la molteplicità di denominazioni de- gli eventi riportata in letteratura (v. p.es.: Mogensen 2009).

Fig. 1. Andamento del clima negli ultimi 130 ka. Sono riportati, nell’ordine, dall’alto: LR04, eccesso di isotopo dell’ossigeno dai carotaggi oceanici (LR04 Benthic stack; Lisiecki, Raymo 2005); NGRIP, eccesso di isotopo dell’ossigeno dai ghiacci della Gro- enlandia (NGRIP 2004; si notino le evidenti variazioni dei DO.e.); EPICA, variazione rispetto alla temperatura media ricavata dall’eccesso di deuterio nei ghiacci dell’Antar- tide (Jouzel et al. 2007).

Fig. 2. Andamento del clima monsonico negli ultimi 130 ka; eccesso di isotopo dell’os- sigeno misurato in stalagmiti di caverne cinesi (punti; Cheng et al. 2016). Per semplice confronto, abbiamo sovrapposto l’insolazione estiva (60°N, curva continua; Berger 1992 INSOL91.JUN). 76 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà

2.1. Eventi Dansgaard-Oeschger, Heinrich, e il clima della fase glaciale Dall’eccesso di 18O nei carotaggi in Groenlandia si ricava che i DO.e. sono stati caratterizzati da un riscaldamento molto rapido (20 – 50 anni) di 10 - 15°C rispetto al livello glaciale, ma senza raggiungere i valori di temperatura dell’O- locene. A questo aumento di temperatura ha fatto seguito un lento declino di qualche secolo o millennio, e quindi un rapido abbassamento ai livelli glaciali. Indicazioni di possibili fenomeni legati ai DO.e. sono state rilevate in varie loca- lità nel mondo, e in Antartide appaiono deboli. Ci sono state diverse discussioni su tempi e coincidenze, e alla fine si è generalmente accettata l’esistenza di un effetto ad altalenabipolar ( seesaw), secondo il quale quando in Groenlandia (e Nord Atlantico) si osserva una fase tendente al riscaldamento, in Antartide (e Sud Atlantico) se ne osserva una tendente al raffreddamento, e viceversa. Manca ancora una spiegazione sufficiente, e in particolare una giustificazio- ne dei tempi di transizione molto rapidi, però generalmente i paleoclimatologi concordano sul legame degli eventi con le grandi scariche, relativamente im- provvise, di iceberg (evidenziate da IRD) dalla calotta di Scandinavia, Islanda e Groenlandia. L’acqua dolce, derivante dallo scioglimento degli iceberg, altera o blocca la circolazione oceanica nel Nord Atlantico (thermo-haline circulation, THC; Weaver, Saenko 2009), causando un raffreddamento1. Era stata ipotizzata una periodicità dei DO.e. di 1470 anni, che, secondo un’analisi di Rahmstorf (2003), aveva caratteristiche di regolarità attribuibili a un fattore esterno (p.es. di tipo astronomico); ma un’altra analisi statistica sembrerebbe escludere la si- gnificatività del periodo (Ditlevsen et al. 2007). Nella fase glaciale, mentre si segnalano circa 24 DO.e., si registrano solo sei H.e. della durata di alcuni secoli e intervallati da alcune migliaia di anni. Essi sono caratterizzati da enormi IRD, maggiori che nel caso dei DO.e. (“Heinrich events may in fact be just super Dansgaard-Oeschger events”; Maslin 2009), e derivati da scariche di iceberg nel Nord Atlantico provenienti in particolare dall’enorme calotta della Laurentide che copriva il Canada. Anche in questo caso si sarebbe trattato di una grande quantità di acqua dolce che avrebbe pro- vocato la riorganizzazione della circolazione oceanica, e avrebbe quindi avuto un forte impatto sul clima (Hemming 2009; Mogensen 2009) 2. Tuttavia, secondo uno studio accurato delle fasi degli eventi da parte di Barker et al. (2015), anche

1 La corrente oceanica trasporta calore dalle zone tropicali verso Nord; raffreddandosi, scende in profondità e torna verso Sud. E’ l’AMOC, Atlantic Meridional Overturning Circulation, dove per ‘meridional’ si intende ‘meridiano’. La densità della corrente dipende dalla temperatura e dal grado di salinità, da qui il termine thermo-haline. 2 Gerard Bond (2009) aveva accettato il termine “Bond cycle”, proposto da altri autori, che collegava la fase successiva dell’H.e. osservata nei carotaggi del fondo oceanico, alla contemporanea diminuzione di temperatura di uno (o più) DO.e. osservati nei ghiacci della Groenlandia. Elio Antonello 77 se le scariche di iceberg possono aver fornito un contributo al raffreddamento prolungato, non ne sarebbero però state la causa scatenante. La fase di discesa al massimo glaciale, durata circa 100 ka, oltre a essere stata segnata dalla progressiva estensione delle calotte glaciali, appare quindi carat- terizzata anche da una significativa instabilità climatica su scala del millennio, o di alcuni secoli, e con tempi di transizione anche rapidi3. Al proposito riportia- mo una considerazione di Allen et al. (1999) sui pollini ottenuti da un carotag- gio nel Lago Grande di Monticchio, sul Vulture in Basilicata, che copre questa fase e il successivo Olocene. Gli autori notano “a striking general feature”, cioè la rapida velocità di adeguamento della vegetazione al cambiamento climatico, “with which forest or wooded steppe biomes replace steppe biomes and vice versa” (in circa un secolo); in particolare, la diminuzione dei boschi è più rapida della loro crescita. In generale, le ricostruzioni delle condizioni climatiche sug- geriscono una stagionalità caratterizzata da temperature estive poco inferiori e da temperature invernali molto più basse rispetto a quelle dell’Olocene; p.es. le conclusioni di Buizert et al. (2014) corroborano “the hypothesis that abrupt climate change is mostly a winter phenomenon”. Anche la temperatura dedotta dai pollini in Europa occidentale ha un andamento analogo: progressiva crescita della temperatura invernale nel corso dell’Olocene, a fronte della poca variazio- ne di quella estiva (Davis et al. 2003). I dati più dettagliati relativi alla stessa località durante l’Olocene mostrano una vegetazione e un clima più stabili, con prevalenza di bosco temperato (Allen et al. 2002), ma con variazioni collegabili ad alcuni eventi nel Nord Atlantico, discussi nelle successive sotto-sezioni. 2.2. Younger Dryas Dopo l’ultimo massimo glaciale, quando la temperatura media in Antartide aveva raggiunto i valori più bassi, il livello del mare era sceso oltre 120 m sotto il livello attuale, e l’accresciuta presenza di polveri nei ghiacci in Antartide e Gro- enlandia indicava un clima globalmente arido, è iniziata la rapida fase del disgelo. Tuttavia, circa 12800 anni fa si assiste a un improvviso ritorno del freddo, più evi- dente nell’emisfero nord, una fase durata circa 1200 anni chiamata Younger Dryas (YD)4; essa coincide con un DO.e. (GS-1, rilevato nei ghiacci della Groenlandia), segue i periodi caldi Bølling-Allerød (rilevati in precedenza in Danimarca; Mogen- sen 2009), e coincide con l’ultimo H.e. (che ha il numero 0; Weaver, Saenko 2009).

3 La durata dei DO.e. è maggiore quando la temperatura globale è più alta e l’AMOC è più stabile; è molto breve quando la temperatura globale è inferiore (cosa che si può già intuire dai grafici in Figura 1) e l’AMOC è più instabile (Brook, Buizert 2018). 4 Il nome deriva dalla Dryas octopetala (Camedrio alpino), piantina dei climi freddi (sulle Alpi si trova in media tra i 1500 e 2500 m), e il cui polline è stato trovato in grande quantità in carotaggi di laghi svedesi a questa epoca (chiamata Younger per distinguerla da una precedente, Older). 78 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà

Fig. 3. Passaggio dalla fase glaciale al clima dell’Olocene. Sono riportati nell’ordine, dall’alto: NGRIP, eccesso dell’isotopo dell’ossigeno (in per mille) dai ghiacci della Groen- landia (NGRIP 2004); EPICA, variazione rispetto alla temperatura media (in °C) ricavata dall’eccesso di deuterio nei ghiacci dell’Antartide (Jouzel et al. 2007); Pollini, dal Lago Grande di Monticchio (in %; Allen et al. 1999) distinti per boschi (querce, abeti; curva continua), erbe (piante erbacee; curva tratteggiata) e alberi di alta montagna (pini, betul- le; curva punteggiata). I dati dei pollini negli ultimi 10 ka sono in numero limitato, ma Allen et al. (2002) confermano l’andamento poco variabile durante l’Olocene. Nel grafico sono indicati gli eventi Younger Dryas (YD), il gruppo Bølling-Allerød (B-A), e l’Antarctic cold reversal (ACR). Nota: ci potrebbe essere qualche non uniformità delle scale temporali.

Peteet (2009) ricorda le centinaia di studi di pollini in Europa che concorda- no sulla diminuzione delle foreste (col disgelo avevano iniziato ad espandersi) e sulla nuova presenza della tundra durante questo evento. Molti risultati re- lativi anche ad altre aree geografiche si trovano riassunti nell’articolo di Carl- son (2013). Nella Figura 3 abbiamo cercato di riassumere l’intervallo di alcune migliaia di anni del passaggio dalla glaciazione all’Olocene. È interessante la corrispondenza tra il cambiamento climatico e quello della vegetazione in Eu- ropa meridionale, con l’oscillazione tra 15 ka e 11 ka fa. La preponderanza di Elio Antonello 79 piante erbacee unita ad alberi di alta montagna indica tundra alpina, mentre la preponderanza di bosco ceduo e abeti indica clima temperato. E’ all’epoca di questa oscillazione climatica che avviene la prima forma di cultura organizzata nel Levante, con gli insediamenti natufiani di cacciatori-raccoglitori. All’origine della YD generalmente si pensa ci sia l’alterazione della circo- lazione oceanica nel Nord Atlantico, questa volta a seguito del rilascio di una enorme quantità di acqua dolce nell’oceano dal grande Lago Agassiz, che si trovava al bordo della calotta della Laurentide canadese (Baker 2009; Murton et al. 2010). E’ stato osservato come la YD sia stata preceduta a sud, in An- tartide, da un ritorno al freddo tra circa 14500 a 13000 anni fa (Antartic cold reversal; Morgan 2009)5. Sono state comunque avanzate anche altre ipotesi all’origine dell’evento (Maslin 2009), tra cui le possibili conseguenze della ca- duta di un asteroide o di una cometa o sciame cometario, e ne daremo qualche dettaglio nella Sez. 3.2.

2.3. Rapid climate changes

Per cambiamenti climatici rapidi (rapid climate changes, RCC) si intendono generalmente variazioni climatiche su scala decennale-secolare. In letteratura sono talvolta chiamati in modo improprio Bond events, e generalmente stanno a indicare periodi di freddo e aridità, e, più precisamente, di instabilità climatica, avvenuti durante l’Olocene6. Bond et al. (1997) avevano rilevato in due caro- taggi nel Nord Atlantico una serie di concentrazioni di granuli litici (alternata agli scheletri di foraminiferi) con particolari caratteristiche, che potevano essere spiegate solo con eventi di IRD, pur se molto meno accentuati rispetto a quelli rilevati nei H.e e DO.e. Tali eventi erano associati a raffreddamento climatico indicato dalla presenza di specifiche specie di foraminiferi planctonici; questo mostrava che la relativa stabilità climatica dell’Olocene, fino ad allora general- mente supposta, era in realtà un’idea sbagliata. Gli autori avevano concluso che si trattava di cicli con periodicità di circa 1470 anni, e gli estremi si erano avuti 1400, 2800, 4200, 5900, 8100, 9400, 10300 e 11100 anni fa. Discutendo la possibile origine, avevano escluso un legame con una oscillazione propria, specifica, della calotta glaciale. “Millennial-scale climate cycles may arise from harmonics and combination tones of the orbital periodicities, but cycles currently thought to

5 Un risultato più preciso di WAIS (2015) indica che il riscaldamento (raffreddamento) improvviso in Groenlandia precede il corrispondente raffreddamento (riscaldamento) in Antartide di circa 200 anni; per effetto altalena il trasferimento avverrebbe tramite correnti oceaniche (piuttosto che atmosferiche). 6 Bond (2009) aveva distinto tra “event” e “cycle”, dove ciclo è da intendersi come un processo che si ripete anche senza un periodo preciso. Aveva dichiarato che gli eventi nell’Olocene erano cicli “sometimes incorrectly called Bond cycles”. 80 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà fall within those bands are longer than the cycle we have identified. Forcing of millennial-scale climate variability by changes in solar output has also been suggested, but that mechanism is highly controversial [.] In any case, if we are correct that the 1470-year climate cycle is a pervasive component of Earth’s cli- mate system, it must be present in previous glacial-interglacial intervals. If that turns out to be true, the cycle may well be the pacemaker of rapid climate chan- ge”. Abbiamo riportato in dettaglio le considerazioni di Bond et al. (1997) perché sono argomenti tuttora dibattuti e non chiariti, anche se, a seguito di analisi, il periodo del ciclo non appare statisticamente significativo (Obrochta et al. 2012). Nella serie di date riportate manca la Piccola Era Glaciale7, durata alcuni secoli a partire dalla fine del Medioevo; essa è però segnalata da Bond et al. (2001), nel contesto della discussione della variabilità solare come forcing mechanism della millennial-scale climate variability. In tale lavoro erano stati studiati altri proxy, IRD nel Nord Atlantico, e gli isotopi 14C e 10Be (da raggi cosmici, v. sez. 3.1) in anelli di crescita degli alberi e in ghiacci della Groenlandia. I tempi del massimo di IRD e massimo di raggi cosmici (minimo di attività solare) appaiono corri- spondere a quelli dei cicli sopra elencati, ma a volte solo grossolanamente. Una differenza è l’aggiunta di un possibile evento intorno a 7500 anni fa. Anche Mayewski et al. (2004) parlano di RCC avvenuti durante l’Olocene. Sulla base di un’analisi di dati relativi a molti proxy (ghiacci, speleothem, pol- lini, varve, ecc.) di diverse località del pianeta, hanno identificato sei periodi durante i quali sono avvenuti degli eventi di RCC, 9000-8000, 6000-5000, 4200- 3800, 3500, 2500 1200-1000 e 600-150 anni cal BP8. In questo caso l’interesse degli autori è incentrato sulle modifiche del clima più legate a quelle della circolazione atmosferica, e meno a ciò che avviene nell’oceano Nord Atlanti- co. Riassumono le caratteristiche dei RCC come un raffreddamento di origine polare che scende a influenzare anche le latitudini intermedie (Weninger et al. 2009), e come un’aridità a livello dei tropici (ma con aumento di umidità in alcune zone specifiche). A conclusione di questa Sezione, riportiamo alcune considerazioni dell’ul- timo Gerard Bond (2009). “Records of millennial climate variations have drawn widespread attention because they produced the first convincing evidence that Earth’s climate system is much less stable than once thought and can shift sud- denly on human time scales”. I cicli mostrano una transizione improvvisa con

7 Ciò si può spiegare con il limite osservativo dei carotaggi (“core top ages are less than 1000 years”; Bond et al. 1997). 8 Per ‘cal BP’ si intende anni prima del 1950, stimati con 14C e sua calibrazione. Quando le date sono molto approssimate, noi useremo ‘anni fa’ anche nel senso: prima del 2000 circa. Wolbach et al. (2018b) mostrano che quando si va a risoluzioni temporali molto alte (decadi o addirittura anni), è indispensabile verificare quale sia stata la calibrazione usata per la datazione 14C. In effetti, gli archeologi preferiscono fornire anche le date 14C non calibrate. Elio Antonello 81 cambiamenti di temperatura di diversi gradi in poche decadi, se non pochi anni, soprattutto durante le glaciazioni (DO.e., H.e.), ma i risultati di alcuni modelli implicano che potrebbero essere indotti nel prossimo futuro dal riscaldamento globale. “Even though the likelihood of that happening might be low, the impact on society is potentially so severe that understanding why the climate system is prone to such behavior has become a high priority” (Bond 2009).

3. Ipotesi

Sono state proposte diverse ipotesi astronomiche e astrofisiche per spiegare gli eventi climatici e le loro varie scale temporali. Certamente esiste l’effetto dell’orbital forcing, legato alla variazione di insolazione della superficie terre- stre, con periodi dati dall’eccentricità dell’orbita terrestre (intorno a 100 ka e 400 ka); dall’obliquità dell’eclittica (inclinazione dell’asse di rotazione della Terra, 41 ka) e dalla precessione climatica (circa 19 - 23 ka). Poiché siamo interessati a discutere le ultime decine di migliaia di anni, dovremo tenere presente in par- ticolare l’ultima oscillazione della precessione climatica (attualmente in corso) con i suoi effetti sul regime monsonico. Inoltre, il comportamento del clima, essendo una risposta non lineare, potrebbe mostrare fenomeni con periodi dati dalla combinazione di quelli sopra ricordati; si tratterebbe comunque di diverse migliaia di anni, e quindi non sarebbero in grado di spiegare gli eventi discussi (come già segnalato nella Sez. 2.3), per cui bisognerebbe pensare ad altri fattori oltre a quelli orbitali. Fairbridge, Gornitz (2009) hanno proposto alcune ‘leggi fisiche’ della Ter- ra, concludendo che “the Earth’s paleoclimate history is the consequence of a complex interplay of internal and external forcing through multiple feedback loops”. Anche se abbiamo alcuni dubbi sulla effettiva utilità/validità di tali ‘leg- gi’, ne riportiamo quattro perché ci serviranno come introduzione alla succes- siva discussione di alcune ipotesi. 1) Evoluzione del Sole, con le sue variabilità decennali e secolari dovute all’interazione gravitazionale con i pianeti maggiori, interazione che ha effetto sull’interno della stella, e di conseguenza su campi magnetici, macchie solari (attività solare), flusso di raggi cosmici, e clima terre- stre. 2) Evoluzione del Sistema Solare nella Galassia: sua rivoluzione intorno al centro galattico in circa 250 milioni di anni, con attraversamento delle braccia spirale ricche di polveri, presenza di eventuali supernovae vicine e loro raggi cosmici, perturbazioni orbitali indotte nei corpi esterni del sistema (asteroidi). 3) Evoluzione fisica della Terra (geofisica) e del sistema Terra-Luna con i possi- bili effetti mareali legati ai cicli lunari. 4) Evoluzione biologica della Terra, nel contesto di tettonica, impatti di asteroidi, vulcanesimo. 82 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà

3.1. Isotopi cosmogenici e variabilità solare I raggi cosmici rilevati sulla Terra hanno soprattutto origine esterna al Si- stema Solare (galactic cosmic rays, GCR), e tra i vari effetti della loro interazione con le molecole dei gas atmosferici c’è la produzione di isotopi utili per i pro- blemi di datazione, il 14C (emivita 5.7 ka) e il 10Be (emivita 1.5 Ma) 9. La maggior parte del 14C deriva dal decadimento del 14N, è rapidamente ossidata, e come 14 CO2 è per lo più assorbita dagli oceani, ed entra in piccola quantità nel ciclo della fotosintesi, quindi in piante e animali terrestri (Ervin Taylor 2009). Poiché la quantità o flusso di raggi cosmici che raggiunge la Terra dipende dall’effetto schermante prodotto dal campo magnetico solare (e terrestre), gli isotopi risul- tano “among the best records of solar magnetic activity, as they are available for the entire Holocene at high resolution” (Almasi, Bond 2009). Diversi lavori han- no cercato di evidenziare le periodicità presenti nei records, cioè le variazioni di 14C negli anelli di crescita degli alberi (p.es.: Kocharov et al. 1995) e nei ghiacci, a seguito anche dell’osservazione che il minimo di Maunder dell’attività solare corrispondeva alla Piccola Era Glaciale (e a un massimo di 14C). Sono stati regi- strati due cicli di circa 210 anni (“deVries-Suess”; Wagner et al. 2001) e 88 anni (“Gleissberg”; Peristykh, Damon 2003), e, per esempio, si è cercato di spiegare con la loro combinazione non lineare la periodicità di 1470 anni (Braun et al. 2005). Gupta et al. (2013) hanno dato un certo peso agli effetti dell’attività solare sull’andamento dei monsoni (possibile periodicità di circa 208 anni), e analoga- mente Xu et al. (2014) hanno attribuito al Sole la periodicità di circa 500 anni rilevata analizzando pollini. L’effetto climatico deriverebbe dalla diminuzione di radiazione in assenza di attività solare, perché c’è un ridotto numero di facole solari luminose, che sono legate al campo magnetico. Vieira et al. (2011) hanno cercato di ricostruire l’andamento della radiazione solare durante l’Olocene, ma grandezza e periodicità delle variazioni a lungo termine sono sempre oggetto di discussione (Solanki et al. 2013). Si sono ipotizzati effetti diretti del flusso di GCR, modulato dall’attività so- lare, sul clima, cioè la formazione di nubi a causa dell’interazione con molecole e particelle nell’atmosfera. Che ci possa essere una relazione è suggerito per esempio dall’andamento piuttosto simile di IRD e isotopi rilevato da Bond et al. (2001; loro Figura 3); in questo caso però gli autori considerano i GCR solo come indicatori della variabilità (radiazione) solare, che è supposta essere il vero meccanismo, o solar forcing. Altri autori come Kirkby (2008) hanno sostenuto

9 Il picco maggiore nella produzione di 10Be negli ultimi 60 ka è datato intorno a 40 ka fa, è durato un millennio circa, ed è avvenuto in concomitanza con l’evento Laschamp, cioè l’indebolimento e l’inversione del campo magnetico terrestre. Secondo alcuni autori non pare ci sia associazione col clima dell’epoca (Almasi, Bond, 2009); ma Kirkby (2008) mostra che non si può concludere in modo definitivo pro o contro un possibile collegamento dell’eccesso di GCR con un DO.e. Elio Antonello 83 invece con argomenti plausibili che il raffreddamento del clima potrebbe essere stato indotto proprio dalla copertura nuvolosa prodotta dai GCR, anche perché la diminuzione di radiazione dovuta all’assenza di attività solare sarebbe di per sé molto piccola. I primi risultati ottenuti con l’esperimento CLOUD (Cosmics Leaving Outdoor Droplets), progettato al CERN appositamente per simulare le condizioni atmosferiche, mostrerebbero sì qualche effetto dei raggi cosmici sulla fisica-chimica dell’atmosfera (e quindi sul clima), ma esso è molto debole (Dun- ne et al. 2016; Gordon et al. 2017). Secondo Kirkby (2008): “The key challenge is to establish a physical mechanism that could link solar or cosmic ray variability with the climate”, e la nostra conclusione preliminare è che questo meccanismo non è stato ancora trovato. Secondo Charbonneau (2013), l’ipotesi di un effetto gravitazionale dei pia- neti sul Sole non era stata solitamente presa in considerazione perché essa non produceva risultati quantificabili. Abreu et al. (2013) l’hanno finalmente innal- zata al rango di teoria testabile; in particolare, gli autori ritrovano i periodi di Gleissberg e deVries-Suess, insieme ad altri possibili periodi che sono stati effettivamente identificati neirecords osservati (p.es.: McCracken et al. 2013). Fairbridge, Gornitz (2009) discutono anche i possibili effetti climatici a breve periodo (anni, decadi) che sarebbero legati in qualche modo al ciclo delle mac- chie solari e agli effetti mareali del Sole e della Luna. In generale, l’impressione è che in questi casi le incertezze statistiche precludano conclusioni affidabili. A supporto di questa conclusione si può citare il lavoro di Turner et al. (2016) in cui, mediante test statistici, gli autori mostrano come comportamenti ciclici a breve periodo (decadi) attribuiti asolar forcing si possano spiegare semplice- mente come variazioni random.

3.2. Vulcanesimo, asteroidi e comete, cicli mareali

Eruzioni o esplosioni di (super)vulcani possono avere un impatto sul clima; nei casi storicamente noti si tratta però di effetti con durata limitata di pochi anni; inoltre non sembrano essere fenomeni periodici, anche se in passato si è suggerito un qualche effetto mareale della Luna sulla crosta terrestre. Possiamo ricordare per esempio come nel 1816, l’anno successivo all’eruzione del Tambo- ra, si ebbero difficoltà (carestie) in Europa a seguito dell’estate piuttosto fredda, e che oggi questa è ritenuta essere stata conseguenza delle polveri vulcaniche in sospensione nella stratosfera, che limitavano la radiazione solare. Un’esplosione maggiore per vari ordini di grandezza è avvenuta sempre in Indonesia a Toba, circa 74 ka fa, forse in corrispondenza di un minimo di temperatura preceden- te un DO.e. Si è supposto che essa possa avere avuto effetti anche per quanto riguarda la stessa evoluzione della specie umana; ma questi sono stati messi in 84 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà dubbio per esempio da Oppenheimer (2002)10. Un’altra forte eruzione si ebbe con l’Ignimbrite Campana circa 40 mila anni fa, in concomitanza con un H.e. (Giaccio et al. 2017). La caduta di asteroidi e comete è stata a volte invocata per spiegare eventi climatici devastanti. E’ ben noto il caso della transizione Cretacico-Paleogene di circa 66 Ma fa, popolarmente nota per l’estinzione dei dinosauri; è generalmente attribuita alle conseguenze climatiche successive alla caduta di un corpo celeste, e il cratere derivato dall’esplosione si troverebbe nello Yucatan (Chicxulub). Molti dati (raccolti in varie località del pianeta) sono stati discussi recen- temente in dettaglio da Wolbach et al. (2018a) e Wolbach et al. (2018b); essi confermerebbero un impatto cosmico avvenuto circa 12800 anni fa, all’inizio della YD, come già proposto da Firestone et al. (2007). Gli autori hanno verifica- to con cura le scale dei tempi, e hanno potuto così verificare la compresenza di fenomeni che nel complesso si potrebbero spiegare come conseguenze dell’im- patto11. Si pensa alla caduta di uno sciame cometario, dato dalla disintegrazione di un corpo con diametro maggiore di 100 km; i detriti sarebbero esplosi in aria e/o caduti su terreno, calotte glaciali, oceani, in entrambi gli emisferi nord e sud. Questo spiegherebbe la presenza di elementi chimici specifici, nanodiamanti e microsferule nei ghiacci della Groenlandia (si escludono contributi di eruzioni vulcaniche). L’energia termica dalle esplosioni avrebbe innescato una serie di incendi coinvolgendo circa il 10% della biomassa; un eccesso di prodotti della combustione è stato trovato in strati di suoli, fondi marini e lacustri (carbone), e nei ghiacci (particolato carbonioso, concentrazioni di aerosol e molecole spe- cifiche). Gli impatti avrebbero destabilizzato le calotte, prodotto il riversamento di acqua dolce nell’oceano con conseguente alterazione della THC, mentre la persistenza nell’atmosfera delle polveri avrebbe bloccato la radiazione solare contribuendo al clima freddo (impact winter). Tutto il complesso dei dati rac- colti appare difficilmente spiegabile in altro modo. Se l’impatto cosmico fosse confermato, resterebbe da capire se si è trattato solo di una concomitanza (coin- cidenza) di eventi che ha prodotto una variazione climatica (durata più di un millennio) particolarmente intensa, o se l’impatto cosmico ne è stato il fattore determinante. Keeling, Whorf (2000) hanno avanzato l’ipotesi che la variazione della forza delle maree oceaniche causi il raffreddamento periodico delle acque di superfi- cie dell’oceano, modulando l’intensità del mescolamento verticale che porta in superficie le acque più fredde sottostanti. Questo avrebbe potuto contribuire,

10 Un lavoro molto recente di Smith et al. (2018) mostra che una popolazione di Homo sapiens ha continuato a prosperare in Sud Africa pur durante l’ipotetico volcanic winter di Toba. 11 Non è chiaro però se gli autori hanno risposto in modo sufficiente alle critiche circostanziate, avanzate da Meltzer et al. (2014), e che riguardavano appunto la precisione delle scale temporali e la distribuzione delle conseguenze dell’impatto. Elio Antonello 85 almeno in parte, alle fluttuazioni del clima su scala del millennio. Gli autori individuano un ciclo di 1800 anni legato alla variazione di intensità delle maree, tenendo conto che essa è massima quando la Luna è al perigeo, la Terra al pe- rielio, e i tre corpi Sole-Terra-Luna sono allineati (al novilunio o al plenilunio).

4. Dal Paleolitico alla nascita dell’agricoltura

I nostri antenati del Paleolitico superiore (dopo 40 ka fa) hanno vissuto di caccia, pesca e raccolta, e hanno dimostrato una certa creatività, espressa nelle incisioni e nei dipinti, anche splendidi, e nelle piccole sculture, trovati nelle grotte e nei ripari, in Francia, Spagna e altrove, e con i primi strumenti musicali. Molti antropologi ritengono che avessero le nostre stesse capacità intellettive. Ci si può allora meravigliare, e chiedersi, come ha fatto Renfrew (2007) parlan- do di paradosso del sapiens, perché i nostri antenati abbiano atteso così tanto tempo, fino a poche migliaia di anni fa, per creare le prime civiltà complesse. La spiegazione in apparenza più ovvia è che han dovuto aspettare un clima suf- ficientemente caldo e umido e, soprattutto, stabile, per inventare l’agricoltura (Antonello 2012). Se questo fosse vero, come mai gli umani anatomicamente moderni già presenti da 300 ka non hanno sfruttato gli interglaciali con clima mite in parte simili all’Olocene, o più caldi, come l’Eemiano? Uno studio molto recente di Neubauer et al. (2018) suggerisce una possibile risposta. Gli umani moderni hanno “large and globular brains” che li distin- guono dagli Homo estinti. La ‘globularità’ o ‘globosità’ è una caratteristica che si forma durante la rapida crescita del cervello nel periodo immediatamente prenatale e primo post-natale, un periodo critico per lo sviluppo delle connes- sioni neurali e cognitivo. Sulla base di uno studio dei crani fossili di H. sapiens di varie epoche, gli autori concludono che, mentre le dimensioni del cervello 300 ka fa erano già simili a quelle moderne, la forma ‘globosa’ invece è evoluta gra- dualmente fino a raggiungere le caratteristiche attuali solo tra 100 ka e 35 ka fa. Inoltre, gli autori, citando i lavori di genetica sugli Homo, ricordano che alcuni dei geni specifici per lo sviluppo delle funzionalità del cervello “were selected and fixed at different times since the origin of our species and before the transi- tion to the Upper Palaeolithic”. La variazione di forma è andata di pari passo con l’emergere delle caratteristiche comportamentali moderne durante il Paleolitico superiore, rilevate dagli archeologi. In altre parole, l’H. sapiens avrebbe acquisi- to queste ultime caratteristiche evolutive durante la fase del massimo glaciale, e poi, quando il clima lo ha permesso, avrebbe messo a frutto le sue nuove capacità. Come vedremo, in base alle conclusioni che stanno derivando vari an- tropologi, le varie forme di civiltà sarebbero prima di tutto (ma non solamente) una reazione o resilienza all’andamento del clima e delle condizioni ambientali. 86 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà

4.1. La cultura natufiana La cultura natufiana dell’Epipaleolitico finale è il primo esempio di stan- zialità complessa avvenuta intorno a 13000 anni fa nella zona del Levante, che include Israele, Palestina, e Siria (ma è assente nell’Anatolia meridionale). Dai dati paleoclimatologici si deduce che in quell’area le precipitazioni avevano cominciato ad aumentare rapidamente circa 13500 anni fa (Bar-Yosef 1998). I cacciatori-raccoglitori erano diventati stanziali, dando origine a insediamenti relativamente grandi, con elaborate sepolture di gruppo e forme artistiche (Bal- ter 2010; Bar-Yosef 1998). Le precipitazioni erano poi diminuite durante la YD, e in questa seconda fase più arida si notano insediamenti più piccoli e sepolture singole senza ornamenti. Le precipitazioni erano poi tornate alte dopo la fine della YD (circa 11600 anni fa), almeno nelle zone a nord del Levante12. In al- tre parole, all’inizio del disgelo la regione era stata essenzialmente una steppa, senza alberi e punteggiata di arbusti e praterie; con il rapido riscaldamento e le precipitazioni (fase B-A) c’era stata l’espansione di nuovi boschi e foreste che avevano fornito nuove risorse alimentari, favorendo così la stanzialità (Balter 2010). Secondo alcuni archeologi (p.es. Bar-Yosef 1998), è in questo ambito che ci sarebbero state le prime forme (esperimenti) di agricoltura con cereali selvatici; questa sarebbe diventata un’attività essenziale durante la fase arida della YD al fine di poter superare le difficoltà climatiche. Tuttavia molti archeologi lo esclu- dono, e tendono a posticipare tale rivoluzione economica a quando le condizioni caldo-umide furono ristabilite, dopo circa 11600 anni fa (Balter 2010). 4.2. Nascita dell’agricoltura La coltivazione di cereali selvatici è iniziata più o meno simultaneamente tra 11500 e 11000 anni fa (Willcox 2013) nella Mezzaluna Fertile, che include il Levante, la zona collinare-montagnosa dell’Anatolia meridionale, del nord Iraq, fino ai monti Zagros in Iran (Riehl et al. 2013); per qualche millennio sarà evitata la piana alluvionale del Tigri e dell’Eufrate perché paludosa. E’ la fase epipaleolitica del Khiamiano (Cauvin 2000), successiva al Natufiano. A questo inizio delle coltivazioni ha fatto seguito ladomesticazione dei cereali, un pro- cesso avvenuto tra 11000 e 10000 anni fa (si veda Willcox 2014, in particolare la Fig. 9 con il passaggio da cereali di climi freddi, come la segale, a quelli di clima più caldo). E’ con la coltivazione delle varietà domestiche, selezionate un po’ alla volta in base alla resa, alla facilità di semina, e soprattutto di raccolta e conser-

12 Un’indicazione temporale è fornita dall’andamento in sincronia del metano rilevato nei ghiacci in Antartide e in Groenlandia. Il gas si forma da attività biologica, in particolare ai tropici, nei periodi caldo-umidi, e si diffonde in tempi brevi. I dati mostrano la diminuzione ‘rapida’ verso la fase arida tra 12900 e 12600 anni fa, e la risalita alla fase umida tra 11800 e 11600 anni fa (EPICA 2006). Elio Antonello 87 vazione, che si può parlare di agricoltura, ed è quindi a quest’epoca che se ne fa generalmente risalire la nascita13. Secondo Weninger et al. (2009) “the earliest use of genetically changed cereals coincides” (entro ±100 anni) “everywhere in these regions”, che coincide con l’aumento delle precipitazioni. Si tratta del Neolitico preceramico (pre-pottery, PPN), in particolare della transizione dalla fase A alla fase B (v. sez. 5.1). Secondo Cauvin (2000, p. 3) è realmente “in the Neolithic Revolution that we find the roots of the present state of the human race, not only in its domination and exploitation of the environment, but also […] in the very foundations of our culture and mentality”. Weninger et al. (2009) affermano: “There are good (ethnographically docu- mented) reasons to link (archaeologists seldom say: correlate) the beginning of farming and herding in the Early Holocene in the Near East with major changes in social organisation”. Tuttavia “researchers have been reluctant to add the next link, i.e. that between social organisation, based on domesticated animals and plants, and the supporting climate conditions”. Liverani (2011, p. 57) inve- ce precisa che i mutamenti climatici “costituiscono lo scenario del mutamento tecnologico ed economico, più che la sua causa. Infatti ad uno stesso problema, varie comunità possono dare risposte diverse, e proprio in questa diversità di scelte e strategie consiste la storia umana”. I primi millenni del Neolitico sono un intervallo di tempo relativamente fe- lice per quanto riguarda il clima, un optimum climatico caldo-umido (a parte le interruzioni discusse nella Sez. 5), almeno nelle aree dove si assisterà al progres- sivo instaurarsi di civiltà sempre più complesse. Perfino in quello che oggi è pie- no deserto del Sahara allora c’erano fiumi (Skonieczny et al. 2015) e grandi laghi (Drake, Bristow 2006), e deMenocal (2011) riassume la situazione affermando che tra 15 ka e 5 ka fa il ciclo precessionale aveva rinvigorito il monsone, con il risultato di avere più piogge in Africa, e un Sahara quasi completamente verde14. Si tratta della fase del ciclo precessionale di 23 kyr caratterizzata dal massimo di insolazione, cui corrisponde la fase climatica umida segnalata dal tipo di sedi- menti marini (fangosi, sapropels) scaricati nel Mediterraneo, come discusso nel precedente lavoro (Antonello 2016). Superato il massimo, il clima globale ha poi iniziato a inaridire15; in particolare c’è il progressivo indebolimento del mon-

13 Tanno, Willcox (2006) precisano che “indehiscence [cariossidi che non si aprono a maturazione, e quindi il seme non si perde] took over one millennium to become established. We argue that wild cereals could have been cultivated for over one millennium before the emergence of domestic varieties. Domestication was a series of events occurring at different places over thousands of years, during which wild wheat persisted in cultivated fields (it still occurs today as a weed in Turkey)”. 14 Nella fase di massimo glaciale di alcuni millenni prima, il Sahara era stato invece un deserto anche più arido di oggi, e più esteso verso sud di circa 500 km (Cremaschi, di Lernia, 1998). 15 Per esempio, Joannin et al. (2012), sulla base di uno studio dei pollini in Italia meridionale, concludono che “on a millennial scale, the records suggest increasing moisture from ca. 11000 88 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà sone: le piogge diminuiscono finché si raggiungono condizioni simili a quelle attuali, con aridità estrema nelle aree oggi occupate dai deserti (Brooks 2006).

5. Eventi climatici e archeologia

Sono le instabilità durate qualche secolo, spesso legate in qualche modo ai cambiamenti climatici che hanno punteggiato l’Olocene, ad aver creato i mag- giori problemi alle società umane e/o le hanno costrette a riorganizzarsi. Ripor- teremo adesso i casi più evidenti avvenuti fino a circa 5000 anni fa, e nel prossi- mo lavoro discuteremo quelli successivi. Gli eventi climatici non hanno neces- sariamente avuto sempre la stessa intensità e lo stesso impatto a livello globale o locale. Si noti inoltre che ci possono essere discordanze di data a seconda del proxy utilizzato, legate alla natura del dato e alla calibrazione temporale usata. Due review approfondite su questi argomenti sono state presentate da Brooks (2006, 2013). L’autore aveva considerato diverse aree del pianeta, particolarmente per il periodo del medio Olocene, e aveva concluso: “The archaeological and pa- laeoenvironmental evidence is consistent with the notion that the development of complex societies in the Middle Holocene was largely the consequence of the responses of the precursor societies to deteriorating environmental conditions” (Brooks 2006). Aveva messo in rilievo anche gli “environmental and societal chan- ges that accommodate a variety of responses and outcomes, and that are much more nuanced than narratives of the proposed climate-induced collapse of indivi- dual societies” (Brooks 2013). In generale, cioè, le situazioni sono complesse e non sono riducibili a semplici collassi delle società. 5.1. 10300 anni fa Gli archeologi distinguono due fasi del Neolitico pre-ceramico nel contesto dell’optimum climatico, PPNA e PPNB. Nel Levante, rispetto alla fase A (cir- ca 12000 – 10000 anni fa), la fase B (circa 10000-8000 anni fa) è caratterizzata dall’emergenza di villaggi più complessi, è associata a una accresciuta attività agricola e di allevamento, e a una espansione demografica. Weninger et al. (2009), nel loro studio paleoclimatico delle aree adiacenti il Mediterraneo orientale (Sud-Est Europa, Mar Egeo, Turchia, Levante) avevano dedotto l’esistenza di un RCC con inverni estremamente freddi da 10200 a cir- ca 10000 anni fa, e poi di una fase umida (Levantine Moist Period, LMP) durata circa 1400 anni, rilevata in particolare nella Valle del Giordano. Avevano anche to ca. 9400 cal BP, a maximum of humidity from ca. 9400 to ca. 6200 cal BP, before a general trend towards drier climate conditions that prevail up to the present.” I limiti temporali della fase sapropel vanno da 9920 a 6806 cal BP (Weninger et al. 2009). Elio Antonello 89 sottolineato che a Gerico (in Cisgiordania) la transizione PPNA-PPNB avvenuta 10200 cal BP aveva forse coinciso con l’abbandono del sito (“Jericho deserted”), seguito dalla sua rioccupazione molti decenni dopo. In base a uno studio archeologico e paleoclimatico relativo a diversi siti nel nord Levante16, Borrell et al. (2015) hanno suggerito un progressivo abbandono, e successiva / progressiva occupazione in località generalmente diverse, asso- ciati all’evento climatico caratterizzato da freddo e aridità. I nuovi insediamenti sono appunto quelli della fase PPNB. Gli autori concludono: “the temporal cor- respondence between global and regional climatic events and the archaeologi- cal signal indicates that environmental factors influenced cultural changes and had a regional impact resulting in the near abandonment of the region during the 11th to 10th millennium transition”. Rilevano inoltre come finora il potenziale impatto di questo RCC (e anche di uno successivo 9100 anni fa; Boch et al. 2009), sulle popolazioni umane all’alba dei sistemi agricoli sia stato poco esplorato17. 5.2. 8200 anni fa Le temperature stimate dai ghiacci in Groenlandia e altri dati ricavati da stalagmiti, anelli di crescita degli alberi, pollini, nell’emisfero nord mostrano una diminuzione (associata ad aridità) durata qualche secolo, con un minimo netto intorno a 8200 anni fa (Rohling, Pälike 2005). Dall’analisi di una stalag- mite, Boch et al. (2009) confermano il solo minimo tra 8196 e 8100 anni fa (anni prima del 2000). Una stima ancora più puntuale di Kobashi et al. (2007), basata sul metano e azoto intrappolato nei ghiacci in Groenlandia, indica l’inizio dell’e- vento 8175 (±30) anni cal BP, e una durata di circa 150 anni. Ci sono molti studi in proposito, e Morrill, Jacobsen (2005) ne hanno effettuato un’analisi statistica omogenea per capire quanto diffusi siano stati gli effetti sul clima. Le anoma- lie associate all’evento 8.2 ka si osservano in molte zone dell’emisfero nord a latitudini medio-alte (raffreddamento), e solo in parte anche a livello tropicale (aridità), ma ciò sarebbe dovuto a una mancanza di rilievi (dati), rilievi necessari anche per l’emisfero Sud. Ricordiamo che il monsone asiatico (Figura 2) aveva raggiunto un massimo (precipitazioni) intorno a 9 ka fa, e poi aveva cominciato gradualmente a indebolirsi, cosa interpretata come effetto della diminuzione di insolazione, che sposta verso sud la zona di convergenza intertropicale, ITCZ18

16 Si tratta di un’area che include Siria e Anatolia meridionale. 17 Weninger et al. (2009) notano che il sito di Ain Ghazal (Giordania) intorno al 9000 cal BP si riduce drasticamente, continuando poi a diminuire di dimensioni. L’evento climatico è stato segnalato da Boch et al. (2009) intorno al 9100; Yu et al. (2010), in base ai dati, suggeriscono che intorno a 9300 anni fa ci fu il riversarsi di una grande quantità di acqua dolce dal Lago Superiore (anch’esso localizzato al bordo della Laurentide). 18 L’ITCZ è la zona dove convergono gli alisei da nord e quelli da sud, in direzione dell’equatore. Essa varia stagionalmente, e sui continenti varia con la posizione del Sole allo zenit. Essa 90 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà

(Wang et al. 2005). Sovrapposti a tale andamento ci sono appunto degli interval- li di aridità (e raffreddamento) di qualche secolo legati ad un ulteriore indeboli- mento monsonico, e alcuni sono stati messi in relazione con gli eventi in discus- sione, in particolare quello di 8.2 ka fa (Wang et al 2005; Mohtadi et al. 2014)19. La scomparsa dei grandi villaggi PPNB nel Levante meridionale e, talvolta, la rioccupazione più tardi ma solo come piccoli villaggi, è la dimostrazione del collasso di numerosi siti PPNB intorno all’epoca dell’evento di 8200 anni fa. Taylor, Bar-Yosef (2014; p. 212) concludono che “the phenomenon of Neolithic ‘mega-sites’ in the southern Levant was gone”. I rilievi archeologici non mo- strano in quest’epoca una presenza continuata in Anatolia, dove è segnalato un significativo cambiamento di sito nella località di Çatalhöyük. Inoltre si riscon- tra l’abbandono totale (per 1500 anni) dell’isola di Cipro, e la diffusione dell’a- gricoltura dall’Anatolia verso il Sud-Est Europa: infatti per la prima volta sono presenti siti neolitici nella penisola balcanica (Weninger et al. 2006). Weninger et al. (2009) discutono gli effetti dovuti a instabilità climatiche che hanno comportato il collasso del Levante meridionale in un intervallo più ampio, 8600 – 8000 cal BP. Per spiegare la presenza di notevoli frane (detriti e fango) in diversi siti della Giordania, gli autori suggeriscono che nel periodo inverno-pri- mavera i venti siberiani, mentre portavano gelo e siccità nella penisola balcanica e nel Mar Egeo, alle basse latitudini, interagivano con l’aria caldo-umida della ITCZ, producendo improvvise e violente precipitazioni. L’ambiente forse già de- gradato dall’attività umana non poteva quindi resistere a tali piogge torrenziali20. Ci sono comunque siti del Nord Levante che non mostrano una significativa discontinuità in quest’epoca. Sabi Abyad (Nord Siria) è stato studiato con cura da archeologi olandesi (p.es.: van der Plicht 2011; van der Horn et al. 2015). Gli indubbi cambiamenti sociali ed economici che sono stati osservati potrebbero essere semplicemente di origine culturale, umana, e non necessariamente legati a fattori ambientali come quelli indotti da instabilità climatica. L’impatto cli- matico a livello locale dovrà essere verificato allora in altro modo, per esempio rilevando i possibili effetti su flora e fauna selvatiche. Il sito suggerisce quindi che forti cambiamenti climatici non implicano necessariamente un collasso di civiltà, e ci può essere capacità di adattamento resilience( ). 5.3. 5900 anni fa determina in modo fondamentale il clima umido o arido delle zone tropicali, in quanto definisce i limiti della circolazione monsonica. 19 Da analisi di indicatori lacustri del Sahara del periodo ‘umido’, e di depositi lacustri e paleosuoli in Cina, Guo et al. (2000) segnalano, oltre a questo evento intorno a 8 ka fa, caratterizzato da aridità, anche un lungo periodo arido tra 7000 e 5700 anni fa. 20 Gli autori non escludono altre possibili cause, come terremoti o degradazione ambientale (deforestazione, pascoli eccessivi), o una loro combinazione. Elio Antonello 91

Brooks (2006) menziona l’evento di aridità centrato attorno a 6 ka BP, se- guito poi da un parziale recupero in alcune regioni, ma che segna lo stabilirsi di un periodo di siccità discontinua culminante nella creazione dell’attuale fascia desertica globale, dal Sahara al Gobi (si veda p.es. Lioubimtseva et al. 1998) e alla parte meridionale del Nord America21. In diverse regioni del Sahara le condizioni di iper-aridità si erano imposte molto rapidamente, mentre in altre era possibile trovare ancora acqua pur molto dopo la cessazione delle piogge (Cremaschi, di Lernia 1998). Di conseguenza, parte della popolazione sahariana si era adattata a vivere di pastorizia (ove possibile), mentre un’altra parte si era spostata verso la Valle del Nilo, abbandonando la pastorizia per l’agricoltura. Diversi autori hanno messo in rilievo infatti che la civiltà dinastica dell’Egitto compare quando c’è stata la crescente aridità (Brooks 2006). Weninger et al. (2009) rilevano nell’intervallo 6000 – 5200 cal BP nel Sud-Est Europa un diffuso cambiamento sociale con il collasso dell’Età del Rame, e, alla fine del RCC, lo stabilirsi dell’Età del Bronzo. In Mesopotamia, in questo inter- vallo di tempo si assiste alla transizione dalla cultura di Ubaid a quella di Uruk; si passa cioè dai molti villaggi sparsi dal Golfo Persico fino al Mediterraneo, e caratterizzati da una certa uniformità culturale, alle prime città (urbanizzazione; Lawler 2012). Tale transizione è associata tra l’altro con lo sviluppo di un siste- ma di contabilità, l’introduzione della scrittura, e con rappresentazioni esplicite di violenza (Brooks 2006)22. Come discusso in dettaglio da Brooks (2013) diversi autori parlano di migrazioni, o almeno spostamenti di popolazioni, legati ad im- poverimento dei territori, di abbandono di siti, cosa in qualche modo dipendente dall’impossibilità di far fronte all’aridità. Per tali popolazioni, le alternative per sopravvivere erano cercare una nuova forma di economia, o una nuova organiz- zazione sociale, o siti e strutture urbanistiche già esistenti che le permettessero. E’ questo un quadro che si ripresenterà in modo drammaticamente evidente con la grande crisi globale che avverrà meno di 2000 anni dopo.

6. Conclusione

Gli studi paleoclimatologici e archeologici continuano ad aggiungere nuovi dati che precisano sempre meglio la connessione tra i cambiamenti climatici e l’evoluzione delle società umane. E poiché le variazioni climatiche più forti

21 Baker et al. (2001) da pollini nel Midwest USA trovano un cambiamento rapido di vegetazione da arborea a non arborea circa 6000 anni fa, che è stato collegato a un clima improvvisamente arido, originato dalla scomparsa della calotta della Laurentide, con conseguente modificazione della circolazione atmosferica. 22 Brooks (2013) citando Pollock (2001) afferma che: “the social context in which southern Mesopotamian urbanism developed has been characterised as one of violence and repression”. 92 Astronomia, mutamenti climatici ed evoluzione delle civiltà appaiono seguire un andamento quasi periodico su scala del millennio, gene- ralmente (o almeno, abbastanza spesso) si presume che a dare il via a tali cam- biamenti sia un fattore esterno alla Terra, come la variabilità solare. Infatti, un meccanismo solo interno, legato al sistema oceano-atmosfera-calotte glaciali, non appare sufficientemente plausibile, perché esso non sarebbe in grado di spiegare la possibile periodicità. Come ricordato nel nostro precedente lavoro, le ricostruzioni del passato non sono di interesse semplicemente culturale, scientifico e storico. Poiché gli eventi si ripresentano nel tempo, lo studio degli episodi di cambiamenti clima- tici rapidi e significativi avvenuti in passato può aiutarci a identificare gli esiti “to which we might be alert from a policy perspective”. Infatti, le conseguenze dei cambiamenti includono: “out migration, in migration, population agglome- ration in refugia, the emergence of new social forms as people adapt to new si- tuations with respect to resource availability, and increased social stratification and inequality” (Brooks 2013). Un’ulteriore difficoltà è capire gli effetti di origine antropica sul clima, che si aggiungono a quelli imposti dalla “natura”. Nel prossimo lavoro cercheremo di inquadrare almeno in parte anche la complessità di questo problema.

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Riccardo Balestrieri Ricercatore indipendente [email protected]

Abstract. In previous works for the 2010 (Trinitapoli), 2011 (Bologna), 2013 (Sassari) and 2014 (Padua) SIA conferences we presented the Urania Ligustica section devoted to the orientation of ancient Ligurian buildings1, the method followed to determine the main azimuthal alignments of Romanesque churches, its validation with cases where field measures were available, the results for the 73 churches so far studied, some hypotheses emerged from already possible comparisons. Detailed results for individual churches have not been published to date, but all the preliminary drafts have been shared on the web since 2010. Here we introduce a synthetic sheet, which shows, in about 1318 x 623 pixels: the site of the church in Liguria, an animation of black and white photographs, planimetry with the main orientations, two animations with sunrise or sunset at the epoch of construction (visible from the inside through portals or windows), a brief summary of the results. The ambition is to contribute to the definition of a standard, that would be used for all Italian medieval churches.

1. Introduzione

La prima ricognizione sistematica dell’orientamento di chiese medievali in Italia è stata effettuata da Gerola (1936) a Ravenna. A partire dagli anni No- vanta, sono iniziati lavori sul campo di estensione più vasta: Romano (Veneto), Codebò, De Santis et alii (Liguria), Incerti (Emilia), Gaspani (arco alpino), Vlora, Falagario et alii (Puglia), Spinazzè (Veneto), Zedda (Sardegna, Corsica e Tosca- na). I risultati sono stati pubblicati sia in forma aggregata (es. Romano), sia con

1 http://uranialigustica.altervista.org/index-edifici.htm 100 L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria articoli e monografie (es. Incerti). Le analisi di singole chiese sono state edite in forma sintetica o più approfondita, ma senza perseguire standard unificati – peraltro difficili da definire. Codebò e De Santis hanno condiviso subito in rete tutti i loro risultati, monografie a parte. L’utilità di riunire alcuni dati essenziali in una base dati , consultabile via web, è evidente: Incerti (2013) ha pro- posto quale esempio il record di San Miniato al Monte. Dal 2010, l’autore ha iniziato a studiare un vasto campione di chiese roma- niche liguri utilizzando risorse web (es. Google Earth), dopo aver verificato la validità di misure dell’orientamento dell’asse longitudinale della chiesa tramite, ad esempio, il colmo della copertura a capanna della navata principale. Sia gli appunti relativi al progetto, che le schede delle chiese e ipreprint di quanto pubblicato sono stati condivisi sul web, fin dall’inizio, nell’ipertestoUrania Li- gustica2. Le singole schede sono state via via strutturate per raccogliere dati e analisi sempre più precise e attendibili. Il livello di approfondimento raggiunto consiglia lo sviluppo di uno strumento più sintetico, che permetta di fornire a colpo d’occhio alcuni risultati ottenuti.

2. A chi può servire una scheda sintetica?

L’archeoastronomia è, almeno in potenza, una disciplina o è una tecnica che, avendo definito e condiviso una metodologia rigorosa, si pone al servizio di arche- ologia e storia dell’architettura? Qui si sostiene che occorra perseguire la seconda tesi e che sia essenziale coinvolgere chiunque operi sul territorio per professione o passione: archeologi, filologi, medievalisti, storici locali, storici dell’arte e dell’ar- chitettura, conservatori e così via. D’altra parte, la necessità di conoscere le basi dell’astronomia sferica può disincentivare l’approccio da parte di studiosi di for- mazione umanistica, soprattutto in Italia dove, rispetto ad esempio al Regno Unito, gli studi archeoastronomici sono più recenti e meno noti nel mondo accademico. Consideriamo un campo specifico come l’archeoastronomia medievale cri- stiana nell’era del web. Si può assumere che lo studioso che voglia approfondire lo studio di un determinato edificio esegua una ricerca in rete. Da questo smisu- rato pagliaio potrebbero emergere anche dati di natura archeoastronomica. Se le informazioni sono presentate in un modo comprensibile (e se è possibile veri- ficarne a priori l’attendibilità, ad esempio tramite riferimenti a pubblicazioni di livello adeguato), il loro contenitore potrebbe costituire il primo passe-partout per un approccio inaspettato. Servirebbe quindi uno strumento privo di specia- lismi, atto a stimolare chiavi di lettura originali e interessanti dell’edificio e della sua collocazione spaziale.

2 La pagina iniziale specifica è: http://uranialigustica.altervista.org/index-edifici.htm Riccardo Balestrieri 101

Questo contributo non vuole entrare nel merito delle informazioni sintetiz- zate nella scheda di cui si propone il prototipo, né di approfondire le modalità con cui costruire le singole parti che la compongono. La scheda, in primo luogo, non dovrebbe essere valutata per i dati specifici che fornisce, bensì per il modo in cui essi sono presentati: sono comprensibili, essenziali, stimolanti, soprattut- to per non specialisti?

3. Cosa può contenere la scheda?

Esaminiamo il prototipo sulla base delle Figure 1 e 23. Una cornice riporta varie informazioni di carattere generali comuni all’intero ipertestoUrania Ligu- stica; nello specifico: dopo il titolo del progetto generale,L’orientamento degli edifici in Liguria, sono indicati il nome della chiesa e il comune in cui si trova. La scheda vera e propria è contenuta in un largo riquadro a sfondo bianco. In alto a sinistra, la Liguria è suddivisa nelle sue provincie: sono indicati i capoluoghi ed evidenziato, in rosso, il sito della chiesa. Per inciso: raggrup- pare gli edifici per provincie rimane un utile metodo di lavoro; in prospettiva sarebbe più significativo suddividere il territorio nelle diocesi dell’epoca – il che farebbe travalicare gli attuali confini regionali. Sùbito a destra, una lente di ingrandimento è il bottone che collega a una scheda più completa, corredata di bibliografia. Al di sotto, un’immagine animata a ciclo continuo permette di visualizzare nove fotografie originali della chiesa, sia all’esterno che all’interno; l’intervallo tra un fotogramma e il successivo è pari a 4 secondi. Grazie ad una rappresenta- zione in toni di grigio, il peso dell’immagine è pari a 2 MB, ma potrebbe essere ulteriormente ridotto, tenendo conto che l’animazione, ridimensionata a 304 x 304 pixel, è ampia in realtà 410 x 410 pixel. A destra, in posizione centrale e dominante grazie a effettivi 410 x 410 pixel, si trova l’immaginefissa della mi- gliore pianta edita della chiesa. Nel caso genovese, si tratta di quanto pubblicato nel 1954 dalla Soprintendenza ai Monumenti, dato che recenti rilievi univer- sitari non risultano ancora condivisi. I colori delle principali direzioni esami- nate dovrebbero rimanere costanti, di scheda in scheda, per evidenziare l’asse portale-altare maggiore, l’equinoziale, la meridiana, gli interassi delle monofore absidali, ecc. Ogni direzione è indicata con una lettera maiuscola dello stesso colore. In basso a sinistra è riportata la scala metrica; in alto a destra l’orienta- mento. Per massimizzare la nitidezza delle linee, è stato scelto il formato png: nel caso specifico l’immagine pesa 27 kB. Si noti che nell’interaUrania Ligustica

3 La scheda è online dal 14/11/2016: http://uranialigustica.altervista.org/edifici/schede/ge_s- agostino-cella.htm 102 L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria

Fig. 1. Il prototipo online (http://uranialigustica.altervista.org/edifici/schede/ge_s-agostino-cella.htm). Riccardo Balestrieri 103

Fig. 2. Struttura della sche- da di cui alla figura prece- dente. 104 L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria le piante hanno sempre il nord in alto e l’est a destra: lo stesso orientamento delle foto satellitari. Ancora più a destra, due immagini animate hanno dimensioni 200 x 200 pixel, per un peso di circa 200-300 kB. Anche in questo caso, alcune informazio- ni utili a spiegare l’immagine sono poste all’interno di essa: in primo luogo una lettera maiuscola, che corrisponde per stile, dimensione e colore a una direzio- ne indicata nella pianta. Sono immagini originali, come le precedenti. Il disco solare si leva o tramonta, di fotogramma in fotogramma, rispetto all’orizzonte fisico, che potrebbe ancora apparire dall’apertura specifica. L’orizzonte fisico può essere generato con un simulatore di panorama, basato sui dati NASA della Shuttle Radar Topography Mission (SRTM), con risoluzione pari a circa 1 secondo d’arco - ca. 30 m - di latitudine e longitudine. La levata o il tramonto dell’astro può essere generato con un planetario, tenendo conto della rifrazione atmo- sferica e della depressione dell’orizzonte, per gli anni a cui corrisponde la fase romanica della costruzione o della ricostruzione dell’edificio. Ogni immagine presenta due o tre simulazioni lungo lo stesso profilo montuoso – o marino – in feste importanti: ciò vuole mostrare che a direzioni simili possono corrispon- dere eventi ben diversi. Nelle spiegazioni all’estrema destra sono utilizzate, di nuovo, le maiuscole e i colori di cui alle immagini precedenti, per favorire col- legamenti immediati. È sottolineato che le due animazioni di levata e tramonto “illustrano solo alcune delle soluzioni possibili”. Tutte le immagini animate,gif , sono state realizzate con il software GIMP 2.8. Il refresh della pagina le fa ripartire dalla prima della sequenza. L’intera pa- gina può essere visualizzata in una sola videata di un monitor 1360 x 768 pixel. Nel suo design si è lavorato per sottrazione, eliminando via via ciò che risultava ripetitivo o che poteva fuorviare l’attenzione dal tema dominante: l’orientamen- to dell’edificio. Per riassumere. Chiunque acceda alla scheda trova, a sinistra, immagini im- mediatamente comprensibili: una regione, una sequenza fotografica, una pian- ta. Al centro, nella pianta, ci sono elementi originali a colori, che suggeriscono il significato di alcuni assi. A destra, le animazioni con il Sole che sorge o tra- monta evidenziano cosa si può (o si poteva, se l’orizzonte è ora coperto da edi- fici) vedere dalle finestre. Infine, un testo molto sintetico – e quindi facilmente traducibile in altre lingue – esplicita alcune chiavi di lettura.

4. Conclusioni

Tutti gli studiosi che si sono dedicati all’archeoastronomia si sono posti il problema di come sintetizzare i risultati ottenuti. Gli esiti sono sicuramente ade- guati in un singolo lavoro o una serie omogenea di articoli, ma simboli di com- Riccardo Balestrieri 105 prensione non immediata e una standardizzazione ancora incompiuta possono ostacolare la fruizione di tali sintesi da parte di chi non ha basi di astronomia sferica, teoria degli errori, ecc. Il prototipo di scheda qui proposto può stimolare una discussione su come condividere e divulgare i risultati dell’archeoastronomia medievale cristiana. Ciò non esclude l’opportunità di un dibattito sulla standardizzazione di schede più tecniche ed efficaci nel presentare l’analisi dell’orientamento astronomico dell’edificio sacro: dalla fase di fondazione ai varchi murari (portali, monofo- re, oculi, ecc.) presumibilmente previsti in fase di progetto ed effettivamente realizzati. È ovvio che le schede sintetiche non dovrebbero essere realizzate solo per le chiese romaniche liguri, ma in primo luogo per gli edifici italiani più conosciuti, preferibilmente ad opera di chi li ha studiati. La scelta di privilegiare immagi- ni di comprensione immediata dovrebbe rendere, a priori, più interdisciplinare questo tipo di strumento, ma la maggiore efficacia sarebbe raggiunta da una scheda collegata al record di una base dati consultabile online o, meglio, generata da una query.

Ringraziamento. La presentazione in forma di poster di questo contributo è stata resa possibile dall’entusiasmo e dalla disponibilità dell’amico Vito Fran- cesco Polcaro (1945-2018).

Bibliografia

Sono elencate le precedenti pubblicazioni di questa serie di articoli, con i collegamenti ai preprint, nell’ordine di presentazione ai convegni annuali della Società Italiana di Archeoastronomia. I riferimenti completi a tutti i lavori citati sono in appendice.

Balestrieri R. (2017) L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria. I. Metodi –http://www.academia.edu/11780117/Lorientamento_delle_chiese_ romaniche_in_Liguria._I._Metodi Balestrieri R. (2013) L’orientamento... II. Le finestre del mezzogiorno – http:// www.academia.edu/11780333/Lorientamento_delle_chiese_romaniche_in_ Liguria._II._Le_finestre_del_mezzogiorno Balestrieri R. (2016) L’orientamento... III. Chiese e assetto stradale del nucleo urbano genovese – https://www.academia.edu/13267506/Lorientamento_ delle_chiese_romaniche_in_Liguria._III._Chiese_e_assetto_stradale_del_ nucleo_urbano_genovese Balestrieri R. (2015) L’orientamento... IV. Strade e cattedrali – https://www. 106 L’orientamento delle chiese romaniche in Liguria

academia.edu/11807816/Lorientamento_delle_chiese_romaniche_in_ Liguria._IV._Strade_e_cattedrali

Appendice. Bibliografia archeoastronomica delle chiese medievali italiane

Questo elenco originale, in ordine cronologico, è stato realizzato con la col- laborazione di alcuni autori e anticipato in: http://uranialigustica.altervista.org/ edifici/fonti.htm; tale pagina contiene inoltre i collegamenti a varipreprint e sarà integrata anche grazie a future, auspicate segnalazioni. Una lista integrati- va sarà pubblicata in appendice a un articolo successivo.

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La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Simone Bartolini1, Federico Di Gesualdo2 1Italian Military Geographic Institute (Florence), [email protected] 2University of Florence

Abstract. Romanesque architecture is permeated of solar symbols, and churches are often oriented in such a fashion that sunlight creates a peculiar illumination inside the church. In a previous paper, we reported the study on the orientation of 383 Romanesque churches located in Tuscany, highlighting the fact that a considerable number of them are directed towards the sunrise. Here we focus on the 41 out of 383 churches which orientation is correlated with the solstices: there, the sunlight creates many intriguing effects that have symbolic implications. For example, in some churches the sunlight filtering from the openings creates a path of light in the middle of the nave. In others, the altar and the apse or the crypt are illuminated during the solstices. The solstitial light symbolizes a connection between the Earth and the Sky. In fact, the ancient philosophers Plato, Porphyry and Macrobius considered the solstices to be the heaven’s gates: in particular the winter solstice was considered to be the gate of Gods whereas the summer solstice was thought to be the gate of Man. This also recalls the dream of the Biblic Patriarch Jacob (Jacob’s Ladder) as described in the Book of Genesis, where the souls descend from the stars of the celestial sphere to Earth and the ascend to the heaven. Our investigation aims at shedding a new light on something ancient and profound that in these days and ages appears to be forgotten. The Sun symbolizes Jesus Christ, the True Light, and the symbolism connected to the sunlight was essential in the Early Christianity for the building and the orientation of a church.

1. I simboli solari

L’analogia simbolica della luce e del sole al divino ha origini antichissime; dalla cultura babilonese a quella romana, il sole veniva sempre associato alla principale divinità. Per gli antichi egizi Ra era la divinità del sole e il Faraone era la sua immagine: il tema della luce è ricorrente nei Testi delle Piramidi: «il 118 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Faraone si arrampica e scala la luce; essendo egli stesso la luce che è sulla porta del cielo, egli pone come scala sotto i propri piedi la luce di Ra… il faraone brilla a oriente come la luce divina, quando Ra sorge a oriente vi trova il Faraone» (Jacq 1988, pp. 42-43). Nella tarda antichità greca Apollo venne identificato come dio del sole, e in molti casi soppiantò Helios, l’originario dio solare, quale portatore di luce. Nel giorno del solstizio d’inverno ricorreva il festeggiamento della nascita del dio Horus in Egitto, la festa delSol Invictus ad Emesa e del dio sole Dusares nel Re- gno di Palmira, in Siria, delle divinità solari Shamas e poi Yule a Babilonia. Tra il II e III secolo d.C. nel pantheon romano Helios venne sostituito dal culto del Sol Invictus, la venerazione del sole, praticato ad Emesa e il cui omologo sulla terra era l’Imperatore divinizzato, che aveva finito con l’assorbire i culti tradizionali delle varie province in un nuovo sincretismo monoteista finalizzato a divenire la religione comune dell’impero stesso (Manetti 2009, pp. 22-23). Nel 274 l’impe- ratore Aureliano ufficializzò il culto solare di Emesa edificando un tempio sulle pendici del Quirinale (Salles 1997): consacrandolo fece del dio-sole la principale divinità del suo impero ed indossò egli stesso una corona a raggi. In tal modo la festa del Dies Natalis Solis Invicti (giorno di nascita del Sole Invitto) divenne sempre più importante in quanto si innestava, concludendola, sulla festa roma- na più antica, i Saturnali. «Adorato in un tempio splendido da pontefici parificati agli antichi pontefici di Roma, festeggiato ogni quattro anni con giochi magnifici,Sol Invictus era, an- ch’esso, elevato al posto supremo della gerarchia divina e diveniva il protettore speciale degli imperatori e dell’impero» (Cumont 1967, p. 143). Il culto del Sol Invictus, favorito dall’imperatore Aureliano, probabilmente influenzò anche la costruzione e le rappresentazioni musive del mausoleo di Galla Placidia in Ra- venna (Incerti et al. 2018). La data del solstizio d’inverno veniva inoltre celebra- ta come giorno della nascita di Mithra e del profeta Zarathustra. Anche se il Sol Invictus non venne ufficialmente identificato con il dio Mithra, richiama molte caratteristiche del mitraismo, culto che si diffuse ampiamente per tutto l’impero romano fra il II e III secolo d.C. (Sclavi et al. 2016). Nel culto mitraico, tre volte al giorno si innalzava una preghiera al sole, dirigendosi verso oriente al mattino, verso sud a mezzogiorno e verso occidente alla sera (Tertulliano 1984). Il culto di Mithra nel mondo romano diviene una religione cosmica poiché unisce la Terra al Cielo: infatti, nei Mitrei spesso venivano rappresentati i sette pianeti ed i segni zodiacali (Gordon 1976). L’accezione cosmologica del culto di Mithra è connessa all’influenza della dottrina platonica che aveva molti seguaci nell’im- pero romano: il mitreo è assimilato al luogo di ascesa e discesa delle anime dal Cielo, diventando così una sorta di scala verticale tra la Terra e il Cielo, il punto di contatto che gli iniziati potevano sperimentare (Ries 2013). Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 119

Alla fine del II secolo la religione mitraica e quella cristiana si diffusero rapi- damente, difatti entrambe avevano adepti in molte regioni dell’impero romano (Cumont 1913, p. 199). I primi cristiani dovevano in qualche modo dimostrare il ruolo messianico di Gesù nei confronti dei seguaci del dio Mithra e quindi far confluire nella persona di Gesù il ricco simbolismo cosmico e solare di cui era in- trisa buona parte della religiosità del mondo romano tardo imperiale. In questo contesto, fra il 330 e il 335, i cristiani cercarono di sacralizzare alcune pratiche pagane e pertanto stabilirono la nascita di Gesù il 25 dicembre, data pressoché coincidente con l’avvento del solstizio d’inverno in quel periodo, sostituendola alla festa del dio Mithra e del Sol Invictus (Ries 2013, p. 297). Di conseguenza, venne fissata la data del concepimento di Gesù il 25 marzo – l’Annunciazione – corrispondente con il momento dell’equinozio di primavera. Analogamente anche la festa dedicata alla nascita di San Giovanni venne stabilita al 24 giugno, in corrispondenza del solstizio d’estate, poiché Maria, subito dopo l’Annuncia- zione, visitò Elisabetta, incinta di sei mesi. I cristiani poi, soprattutto in Siria, usavano porre una croce in direzione est nelle loro case che aveva lo scopo di precisare la direzione dell’oriente e richiamava nello stesso tempo il segno glo- rioso che stava per precedere l’arrivo finale di Cristo (Tertulliano 1984). Le ragioni che giustificano l’orientazione rituale nella preghiera sono così riassunte da San Tommaso d’Aquino: «È preferibile che noi adoriamo con il viso rivolto ad Oriente: primariamente, per mostrare la maestà di Dio che ci viene manifestata attraverso il movimento del cielo che inizia ad Oriente; secondaria- mente, perché il Paradiso terrestre si trovava ad Oriente e noi cerchiamo di tor- narvi; in terzo luogo, perché il Cristo, che è luce del mondo, è chiamato Oriente dal profeta Zaccaria e perché, secondo Daniele, “è salito al cielo, all’Oriente”; infine perché è da Oriente che egli tornerà, come dicono le parole del Vangelo di San Matteo: “Come la folgore viene da oriente e brilla fino a occidente, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo”» (Hani 1996, pp. 50-51). Come il fuoco e il sole si ritrovano nel culto iranico di Mithra (Ries 2013, p. 180), così nel pensiero e nell’arte romanica si incontra costantemente il sole e tutto ciò che vi è accomu- nato, come l’aureola e l’aura simbolo di regalità, oppure ciò che simbolicamente vi è associato: l’oro, il rosone, la ruota, lo zodiaco. In definitiva i grandi miti solari sono ripresi ed adattati a Cristo (Davy 1988).

2. I solstizi come porte celesti

Per i popoli antichi di tutte le culture i solstizi sono sempre stati momenti astronomici particolari che venivano osservati con attenzione, sia per motivi rituali che per motivi pratici di determinazione del calendario e delle stagioni. In antichità i solstizi (dal latino sol sistere – il sole che si arresta) venivano consi- 120 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane derati come punti estremi del cielo, verso nord e verso sud, che il sole raggiunge nel suo percorso annuale. Nel momento dei solstizi il cielo sembra fermarsi: essi sono quindi dei “punti di arresto”, come due porte attraverso cui il sole può entrare con due tendenze diverse, ascendente (solstizio d’inverno) e discendente (solstizio d’estate). A questi due momenti astronomici veniva associata da Macrobio (filosofo e scrittore romano del IV-V secolo d.C.) la discesa delle anime dalle stelle della sfera celeste alla terra e la loro risalita come anime ritenute giuste e quindi im- mortali: «Il Circolo Galattico, con la sua lunga corsa lungo un’orbita obliqua, gira attorno e abbraccia lo zodiaco, in modo da intersecare i due cosiddetti segni del Tropico, cioè il Capricorno e il Cancro. I fisici li hanno chiamati Porte del Sole perché, all’arrivo del solstizio nell’uno o nell’altro, viene impedito l’ulte- riore cammino del sole e si produce il suo ritorno alla via dell’eclittica, i cui confini il sole non lascia mai. Attraverso queste porte, si crede, le anime vanno dal cielo alla terra e dalla terra al cielo. Perciò una è chiamata Porta degli Uo- mini e l’altra Porta degli Dei: quella degli Uomini è il Cancro, perché attraverso di essa avviene la discesa alle regioni inferiori; quella degli dei è il Capricorno, perché attraverso di essa le anime ritornano nella sede della propria immortalità e alla dimora degli dei. Questo intende dire la divina sapienza di Omero con la descrizione della spelonca di Itaca» (Macrobio 1981, p. 157). Macrobio, scriven- do della spelonca di Itaca, si riferisce all’interpretazione che il filosofo Porfirio (233-305 d.C.) dà nel suo testo De antro di un passo del XIII libro dell’Odissea, dove Omero descrive la grotta sacra delle ninfe. Tale grotta aveva due aperture, una settentrionale per gli uomini e l’altra meridionale per gli immortali. Secon- do Porfirio le anime scenderebbero dalla sfera delle stelle fisse verso la sfera dei pianeti attraverso la porta settentrionale, ovvero la porta del Cancro, nel giorno del solstizio d’estate, e risalirebbero alle stelle come immortali tramite la porta meridionale, ovvero la porta del Capricorno, nel giorno del solstizio d’inverno, punto più basso e più meridionale dello zodiaco. Porfirio attribuisce a Numenio la determinazione dei punti estremi del cielo, il tropico d’inverno, sotto il segno del Capricorno, e il tropico d’estate, sotto quello del Cancro, definendoli come due porte del cielo: sia per discendere nella generazione, sia per risalire a Dio, le anime dovevano varcare una di esse (René 1977). Nel Timeo di Platone ha origine la credenza della discesa delle anime che perennemente si incarnano sulla terra discendendo attraverso le sfere planeta- rie, alla morte del corpo le anime che avranno vissuto una vita giusta potranno risalire le sfere celesti fino a raggiungere la propria stella. I solstizi sono chiamati porte, in latino januae, e a tal proposito «ricordia- mo il simbolismo di Giano, il dio protettore deicollegia fabrorum, la cui eredità sembra sia passata alle corporazioni artigianali del Medioevo. Nel cristianesimo Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 121 i due volti di Giano sono divenuti i due San Giovanni, mentre il terzo volto, la faccia atemporale del dio, si è rivelato nella persona di Cristo» (Burckhardt 1976, p. 93). Il cristianesimo pone i due San Giovanni, il precursore e l’evangeli- sta, proprio in prossimità dei solstizi per evidenziare tutto il ciclo temporale del Cristo, dall’annuncio del Battista al ritorno profetizzato nell’Apocalisse di San Giovanni Evangelista, la cui festa è in prossimità del solstizio d’inverno. San Bernardo si riferisce al solstizio d’inverno chiamandolo solstizio eterno, ovvero qualcosa di immutabile dove non esiste né passato né futuro ma solo presente: il solstizio eterno è l’annullamento del tempo. Inoltre i primi cristiani hanno fortemente legato il Natale del Signore al solstizio d’inverno e il segno del Ca- pricorno è diventato il segno della nascita di Gesù e della nuova Luce venuta ad illuminare il mondo. Nel XII secolo il teologo Giovanni Beleth sosteneva l’importanza di edificare le chiese verso il sole dell’equinozio e non verso il punto di levata del sole al sol- stizio estivo: «quoque necessarium est ut aedificetur versus orientem, hoc est ver- sus solis ortum aequinoctialem; nec verso contra aestivum solstitium, ut nonnulli et volunt et faciunt»1 (Belethus 1559, p. 5). Ancora nel XIII secolo anche il vesco- vo Guglielmo Dorando da Mende scrive di orientare gli edifici sacri verso est (il sole dell’equinozio) e non verso i solstizi: «Debet quoque (ecclesia) sic fundari, ut caput inspiciat versus Orientem... videlicet versum ortum solis, ad denotandum, quod ecclesia quae in terris militat, temperare se debet aequanimiter in prosperis, et in adversis, et not versus solstitialem, ut faciunt quidam»2 (Durand 1672, p. 5). Da quanto riportato in questi due brani si evince che nel periodo romanico era praticata pure l’orientazione delle chiese verso i solstizi, anche se sconsigliata, probabilmente per non seguire più le antiche credenze platoniche. In tal modo veniva ribadita una delle principali regole costruttive delle chiese medievali, ovvero di posizionare l’asse dell’edificio in direzione est-ovest.

3. L’altare e la scala di Giacobbe

Nella Bibbia, in particolare nel libro della Genesi, vi è una descrizione della scala celeste, ovvero della scala che Giacobbe vede in sogno: «Giacobbe partì da Bersabea e si diresse verso Carran. Capitò così in un luogo, dove passò la notte, perché il sole era tramontato; prese una pietra, se la pose come guanciale e si coricò in quel luogo. Fece un sogno: una scala poggiava sulla terra, mentre la

1 “È pure necessario che si costruisca verso oriente, cioè verso il sorgere del sole all’equinozio, né mai verso il solstizio d’estate come alcuni sostengono e fanno”. 2 “La chiesa deve anche essere costruita cosicché la facciata guardi verso oriente. cioè verso il sorgere del sole, per rimarcare che la chiesa, militante sulla Terra, si deve moderare serenamente nelle prosperità e nelle avversità e non verso il solstizio come sono costruite alcune”. 122 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane sua cima raggiungeva il cielo; ed ecco gli angeli di Dio salivano e scendevano su di essa … Allora Giacobbe si svegliò dal sonno e disse: “Quanto è terribile questo luogo! Questa è proprio la casa di Dio, questa è la porta del cielo”. Alla mattina presto Giacobbe si alzò, prese la pietra che si era posta come guanciale, la eresse come una stele e versò l’olio sulla sua sommità. E chiamò quel luogo Betel … Giacobbe fece questo voto … “Questa pietra che io ho eretta come stele, sarà una casa di Dio”» (La Bibbia di Gerusalemme 1982). I Padri della Chiesa hanno intravisto nel sogno della scala o scalinata che conduce al cielo l’immagine della Provvidenza che Dio esercita sulla terra attraverso gli angeli. Altri invece interpretano la scala di Giacobbe come sim- bolo dell’incarnazione del Cristo, autentica porta celeste. L’ascesa delle anime al cielo viene più volte esposta nei manoscritti riportanti la dottrina dei Padri della Chiesa. «Nell’epoca romanica, il tema dell’ascesa ha mantenuto tutto il suo vigore; vedremo che l’iconografia lo illustra spesso, sia nei manoscritti, sia nelle pietre delle chiese. E continuerà in seguito, Guglielmo di Saint-Thierry descri- verà l’anabathmon (ascensione) dell’anima che, attraverso sette gradi, s’innalza fino alla vita celeste, gradi messi in rapporto con le sette porte del cielo» (Cham- peaux, Sterckx 1992, p. 187). Ancora oggi, attraverso il rito di consacrazione, l’altare cristiano realizza l’asse terra-cielo e il suo vertice simboleggia la porta del cielo che apre il collegamento in ascesa e discesa delle anime con il cielo, ciò che lo rende atto a diventare il luogo di una teofania (Hani 1966).

4. Le chiese in relazione alle porte solstiziali

Durante il Concilio di Nicea nel 325 d.C., fra le varie questioni prese in esame, venne anche ribadito che la preghiera doveva essere effettuata rivolti verso il sole nascente, simbolo di Cristo che è sole di giustizia e luce del mondo. Pertanto gli edifici religiosi dovevano essere orientati in modo da stabilire un rapporto ben preciso fra l’ordine cosmico e l’ordine terrestre e, quindi, fra l’or- dine stabilito da Dio e quello stabilito dall’uomo (Incerti 1999). Al fine di effettuare una statistica dell’orientazione degli edifici religiosi, sono state prese in esame 383 chiese romaniche, fra le migliaia presenti sul terri- torio toscano, rilevando che tra queste ben 344 (il 90% circa) hanno correlazioni solari (Bartolini 2017). Inoltre è stato constatato che sono stati impiegati gli stessi canoni di orientazione sia per la costruzione delle più importanti chiese di città che per le piccole chiese di campagna. Riprendendo i risultati di una nostra pubblicazione (Bartolini, Di Gesualdo 2019), e considerando i simbolismi solari e cosmologici propri dei cristiani del Medioevo, emergono alcune moda- lità orientative, di seguito elencate, che hanno condizionato la costruzione delle chiese romaniche toscane oggetto di studio: Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 123

25 chiese romaniche sono orientate in correlazione ai solstizi (Figura 1), e in particolare 15 di queste sono direzionate verso l’alba del solstizio d’inverno, il Sol Invictus (Figure 2 e 3); 122 chiese romaniche sono orientate verso un’alba del periodo Pasquale e verso il Sol Aequinoctialis; 163 chiese romaniche sono orientate a est-sudest e est-nordest, secondo il generico orientamento Versus Solem Orientem; 16 chiese romaniche sono orientate con azimut dell’asse compreso tra 130° e 139°: pertanto al solstizio d’inverno il sole assume un’altezza – da 3° a 11° – tale da illuminare la porta di accesso alla chiesa attraverso la monofora dell’abside (Figura 4); 18 chiese romaniche hanno l’ingresso ad est e l’abside ad ovest, orientazione ribaltata rispetto al canone costruttivo predominante del periodo X-XIII secolo, ovvero con azimut compreso tra 237° e 304°. Oltre all’evidenza della correlazione tra edificio religioso e alba solare, ap- pare molto peculiare la ricerca di orientare la chiesa verso i punti di levata del sole ai solstizi. Ricordiamo che nell’XI-XII secolo lo sfalsamento di circa 6 giorni tra sol-

Fig. 1. All’alba del solstizio estivo il sole illumina la navata della cattedrale di Sovana (Sorano – GR). Foto di A. Carrucoli del 20 giugno ore 5.00 (ora solare). 124 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Fig. 2. Sezione dell’abbazia dei Santi Salvatore e Cirino ad Abbadia Isola (Monteriggioni –SI) con i raggi solari che illuminano la controfacciata all’alba del solstizio d’inverno e quelli che dalla bifora di facciata illuminano la zona absidale al tramonto del solstizio estivo. Particolare della luce dell’alba del solstizio d’inverno tra le due monofore di facciata. Foto del 21 dicembre ore 8.20.

Fig. 3. Planimetria della pieve di San Pietro a Gropina (Loro Ciuffenna – AR) la correlazione delle finestre e dei fori presenti con i momenti di alba e tramonto dei solstizi. stizio astronomico e solstizio di calendario, errore dovuto all’imprecisione del calendario giuliano, non influenzava in modo tangibile l’osservazione visiva dell’alba solare ai solstizi. Infatti la differenza tra il punto di levata del 15 giugno e del 15 dicembre (solstizi astronomici dell’XI secolo) e i solstizi del calenda- rio giuliano è di circa 7’ di arco, appena percettibili con l’osservazione diretta dell’alba. Quando è stato possibile effettuare le misure interne della chiesa, è stato Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 125 eseguito anche il rilievo plano-altimetrico dell’edificio religioso; in seguito sono stati effettuati i calcoli per individuare altri possibili fenomeni luminosi signifi- cativi. Pertanto, in aggiunta al diretto rapporto dell’asse della chiesa con il sole, sono state riscontrate altre correlazioni con il cielo. Queste si concretizzano con i molteplici fasci luminosi che, attraverso le monofore laterali del lato sud della navata principale e di quella laterale, illuminano l’abside, l’altare e la cripta nei giorni dei solstizi. A causa delle riforme liturgiche avvenute nel corso dei secoli e dei differen- ti stili architettonici succeduti nel tempo, va ricordato che gli altari non sono originali ma nella maggioranza dei casi sono stati realizzati congruenti con la posizione originaria, ovvero all’inizio dello spazio delimitato dall’abside, dove abbiamo verificato le illuminazioni nei giorni dei solstizi. Pertanto l’illumina- zione dell’altare che vediamo oggi probabilmente non è quella che vedevano nel periodo romanico, ma rende sicuramente l’effetto di ciò che gli ideatori voleva- no trasmettere, ovvero evidenziare l’altare come punto di contatto tra Terra e Cielo. Alcuni fenomeni luminosi significativi sono stati riscontrati nella chiesa di San Cristoforo a Lammari – LU (Figura 5), nella pieve di Santa Maria Assunta a Diecimo – LU (Figura 6), nell’abbazia di San Savino a Cascina - PI (Figura 7), nella pieve dei Santi Ansano e Tommaso in Castelvecchio Valleriana – PT (Fi- gura 8), nella pieve di San Giovanni Evangelista in Valdibure – PT (Figura 9), nella chiesa di Sant’Andrea a Mosciano – FI (Figura 10), nella pieve di Sant’A- lessandro a Giogoli – FI, nella pieve di San Pancrazio a Cavriglia – AR (Figura 11), nell’Eremo di San Galgano a Montesiepi – SI (Figura 12), la pieve di Santo Stefano a Cennano – SI e nella pieve dei Santi Vito e Modesto a Corsignano – SI (Figura 13). Un altro evento luminoso è rappresentato dal sentiero di luce che si genera al centro della navata di alcune chiese per il solstizio estivo: una sequenza di luci appare dalla porta d’ingresso fino all’altare. In questi casi risulta evidente che l’altezza delle monofore dal pavimento della chiesa è stata calcolata in relazione all’altezza solare del solstizio estivo e alla semi-larghezza della navata principa- le. I sentieri di luce sono stati documentati per la Pieve di San Paolo a Vendaso – MS, la pieve di Santa Maria Assunta a Diecimo – LU, la pieve di Santa Maria Assunta a Villa Basilica - LU (Figura 14), la basilica di San Miniato al Monte – FI, figura 15 (Bartolini, Pierozzi 2016) e la pieve di Sant’Alessandro a Giogoli – FI (Figura 16). In altri casi sono stati calcolati come possibili, ma non verificabili a causa del rifacimento del tetto che ora mette in ombra le monofore della navata principale, come accade per la pieve di San Giorgio a Brancoli – LU e per la pie- ve di Santa Felicita a Faltona – FI. Infine sono state individuate le illuminazioni: 126 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

– della botola dell’ossario della pieve di Santo Stefano a Sorano – MS, per il solstizio estivo (Figura 17); – della tomba incassata della badia di San Pietro a Camaiore – LU, per il solstizio estivo (Figura 18); – delle tombe presenti nella cripta dell’abbazia di San Salvatore in Agna – PT, per il solstizio invernale (Figura 19).

Fig. 4. La navata principale della pieve di Cellole (San Gimi- gnano – SI) è percor- sa dal fascio di luce del solstizio d’inverno che illumina la porta d’ingresso. Foto del 20 dicembre ore 8.54.

Fig. 5. L’altare della chiesa di San Cristoforo a Lammari (Capannori – LU) viene illuminato al solstizio estivo dal foro più grande di facciata e dalla monofora laterale al solstizio invernale. Foto del 22 giugno ore 17.50 (ora solare). Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 127

Fig. 6. Nella pieve di S. Maria Assunta a Diecimo (Borgo a Mozzano – LU), l’altare viene illuminato dalle monofore prossime all’abside nei giorni dei solstizi, simbolo della scala di Giacobbe. Foto del 24 giugno ore 13.35 (ora solare).

Fig. 7. Nell’abbazia di San Savino a Montione (Cascina – PI), i raggi solari dei solstizi illuminano l’altare e l’abside al tramonto e la monofora sinistra dell’abside è orientata verso l’alba locale del solstizio estivo. Foto del 21 giugno ore 19.05 (ora solare). 128 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Fig. 8. Nella pieve di Castelvecchio in Valleriana (Pescia – PT), i raggi solari illuminano la cripta al mezzodì del solstizio d’inverno e al tramonto locale del solstizio d’estate. Foto del 22 giugno ore 17.45 (ora solare).

Fig. 9. Nella pieve di San Giovanni Evangelista in Valdibure (PT), dalla bifora di facciata i raggi solari illuminano l’altare nel giorno del solstizio estivo. Foto del 20 giugno ore 19.00 (ora solare). Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 129

Fig. 10. Nella chiesa di Sant’Andrea a Mosciano (Scandicci – FI), la monofora della cripta è decentrata in modo da ricevere i primi raggi solari del solstizio invernale; in tal modo la luce del Sol Invictus illuminava il pavimento della cripta e le tombe dei canonici ivi sepolti. Dalla monofora absidale, la luce dell’alba del solstizio d’inverno colora la parete nord della chiesa di Mosciano. Foto del 20 dicembre ore 8.05.

Fig. 11. Nella pieve di San Pancrazio (Cavriglia – AR), dalla finestra di facciata il sole illumina la cripta e la nicchia nel muro nel giorno del solstizio d’estate. Foto del 20 giugno ore 16.55 (ora solare). 130 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Fig. 12. Nell’eremo di San Galgano a Montesiepi (Chiusdino – SI), i fori nella cupola, ora chiusi, sono direzionati verso l’alba e il tramonto dei solstizi, inoltre la porta principale d’ingresso è verso ovest e l’altra porta è verso l’alba del solstizio invernale. Dalla piccola monofora dell’abside, la luce illumina l’interno dell’eremo all’alba del solstizio estivo. Foto del 21 giugno ore 4.50 (ora solare).

Fig. 13. Nella pieve dei Santi Vito e Modesto a Corsignano (Pienza - SI), attraverso la piccola apertura praticata nel muro laterale destro, il sole inonda di luce la cripta solo per pochi giorni a cavallo del solstizio d’inverno. Foto del 20 dicembre ore 14.30. Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 131

Fig. 14. Nella pieve di Santa Maria Assunta a Villa Basilica (LU), attraverso le mono- fore alte, i raggi luminosi generano un sentiero di luce al centro della navata per il solstizio estivo. Foto del 21 giugno ore 13.20 (ora solare). La foto è stata scattata circa 45 minuti dopo il momento della centralità del sentiero di luce.

Fig. 15. Il sentiero di luce che viene generato dal sole al solstizio d’estate nella basilica di San Miniato al Monte a Firenze. Foto del 22 giugno ore 13.04. La foto è stata scattata 10 minuti dopo il momento della centralità del sentiero di luce. 132 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

Fig. 16. Nella pieve di Sant’Alessandro a Giogoli (Scandicci – FI), le sei monofore generano un sentiero di luce sul pavimento della navata centrale, nel giorno del solstizio estivo; dall’ultima monofora i raggi solari arrivano sull’altare, simbolo del contatto tra terra e cielo. Foto del 20 giugno ore 12.40 (ora solare).

Fig. 17. Nella pieve di Santo Stefano a Sorano (Filattiera – MS), dalla monofora absidale al mattino del solstizio estivo e dall’occhio di facciata un’ora prima del tramonto del solstizio estivo, il sole illumina la botola utilizzata come ossario. Foto del 19 giugno ore 9.20 (ora solare). Simone Bartolini - Federico Di Gesualdo 133

Fig. 18. Nella badia di San Pietro a Camaiore (LU), orientata verso l’alba del solstizio d’inverno, il sole attraverso le monofore alte genera un sentiero di luce per il solstizio estivo, in tale occasione viene illuminata anche la tomba sul pavimento, probabilmente posizionata non sull’asse della chiesa proprio per ricevere la luce. Foto del 26 giugno ore 14.00 (ora solare).

Fig. 19. Nell’abbazia di San Salvatore in Agna (Montale - PT), la prima luce del solstizio invernale illumina la chiesa. Inoltre dalle monofore della cripta vengono illuminate le tombe ivi presenti. Foto del 20 dicembre ore 8.04. 134 La luce dei solstizi nelle chiese romaniche toscane

5. Conclusione

Precedenti pubblicazioni (Gaspani 2000; Incerti 2015; Spinazzè 2015) han- no evidenziato che molte chiese romaniche italiane sono orientate con l’abside verso la levata del sole (Versus Solem Orientem). Allo stesso canone sottostanno anche le chiese romaniche toscane oggetto di studio, che però presentano un considerevole numero di edifici orientati verso il sorgere del sole al solstizio d’inverno e d’estate. Su 383 chiese romaniche toscane 41 sono orientate in cor- relazione all’alba solstiziale; di queste, 15 sono esattamente orientate verso l’al- ba del solstizio invernale e 16 verso una direzione che permetta l’illuminazione della porta di accesso nella prima ora mattutina del solstizio d’inverno: tutto ciò a ricordare la venuta della luce sulla terra, l’incarnazione di Gesù. Inoltre, tra- mite i rilievi plano-altimetrici degli edifici religiosi, è stato possibile individuare altri particolari effetti luminosi che si verificano in numerose chiese ai solstizi: – il sole crea un sentiero di luce al centro della navata nel giorno del solsti- zio d’estate; – l’abside e l’altare vengono illuminati nei giorni dei solstizi; – la cripta viene illuminata al solstizio d’inverno e in alcuni casi anche al solstizio d’estate. I risultati dimostrano che i canoni di orientazione delle chiese erano anco- ra influenzati da antichi simboli cosmologici precedenti al cristianesimo. Pro- babilmente le chiese orientate verso i solstizi si rifanno alle antiche credenze platoniche e pitagoriche che consideravano i momenti dei solstizi come “porte del cielo”. Inoltre la luce dei solstizi evoca il brano biblico della scala di Giacob- be, che rappresenta la discesa e l’ascesa delle anime al cielo attraverso le porte solstiziali. I solstizi sono dunque due “punti di arresto” assimilabili a due porte poiché attraverso di essi il sole entra con due tendenze diverse: – discendente per il solstizio d’estate, detto porta degli uomini perché le anime scendono dal Cielo e si incarnano nel Mondo; – ascendente per il solstizio d’inverno, detto porta degli dei, ovvero degli uomini meritevoli la cui anima è degna di tornare al Cielo. Infine l’illuminazione della cripta e delle tombe ivi presenti, per il solstizio d’inverno, ricorda l’attesa della Luce (Gesù Cristo) da parte dei defunti per tor- nare al Cielo: è uno dei simbolismi più profondi che i primi cristiani attribuiva- no alla luce, in particolare alla luce solstiziale.

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Dietmar Bernardi Gruppo astrofili “Amateurastronomen Max Valier”1 [email protected]

Abstract. A split sun is a solar phenomenon where the sun appears simultaneously on either side of a very steep mountain. The astronomical regularity and recurrence of this phenomenon in particular, together with the suitable natural geological formation and the possibility of its use as an annual sun dial to establish an annual calendar, were probably important for people in prehistoric times. It could be seen, in prehistoric times, approximately one minute after sunrise in the deep notch on the horizon between the rocky peaks of the Santner and Euringer (Mount Sciliar, Dolomites), and it can still be seen today, lasting just about one minute. It is very rare and makes for a spectacular light phenomenon. This is a possible astronomical explanation for the cluster of prehistoric finds on the east and south-east slopes of the Renon / Ritten. Klaus Oeggl, botanist at the University of Innsbruck, analysed the results of the archaeological excavations by Werner Holzner in Zwingenstein. It could be proven by C14 dating of a pollen grain that the earliest settlement on the Renon / Ritten was at a calibrated date of 4730-4530 B.C. The archaeologist Holzner thus dates the earliest settlement on the low mountain level at 4630 B.C.

1. Introduzione

Per “sole diviso” si intende l’immagine solare che appare come separata in due parti da un picco montagnoso (si veda per esempio la Figura 3). La spettaco- larità di questo fenomeno dovrebbe essere stata già rilevata in epoca preistorica, e, poiché essa avviene solo in certi momenti dell’anno, potrebbe essere stata uti- lizzata per scopi calendariali. Nel presente lavoro si discute il sole diviso del Re- non; in questo caso è stato possibile aggiungere anche dei riscontri archeologici per gli insediamenti preistorici e i possibili usi cultuali loro connessi.

1 http://www.maxvalier.org/front_content.php?idcat=1&changelang=2&lang=1 138 Il sole diviso del Renon / Ritten

In occasione del convegno annuale della società di archeoastronomia te- desca2 del 2014, tenutosi a Kassel in Germania, Burkhard Steinrücken, di- rettore dell’osservatorio pubblico di Recklinghausen, ha trattato per Georg Coray-Lauer, impossibilitato a partecipare al convegno, il tema di un sole diviso nella valle del Reno Anteriore a Valendas (CH). In base a questo sug- gerimento, ho lievemente rivisto la mia interpretazione del levar del sole, fino a quel momento limitata all’osservazione di una profonda intaccatura all’orizzonte tra le vette Punta Santner e Punta Euringer del monte Sciliar nelle Dolomiti altoatesine. I dati precisi dei siti per l’osservazione del “sole diviso” sono indicati nelle Tabelle 1 – 4. Altre informazioni si possono trovare in Bernardi (2013, 2015, 2017).

Fig. 1. Il comune di Re- non, in provincia di Bolza- no nell’Alto Adige, a nor- dest di Bolzano, fra la valle d’Isarco e della Talvera.

2. Primo sito: Monte Valnera / Wallnereck

Gli uomini preistorici potevano osservare il sole diviso dalla cima del Monte Valnera / Wallnereck; era un sito cultuale perché vi sono state trovate alcune tombe. Dalla frazione Stella / Lichtenstern del Renon oggi è possibile raggiun- gere il belvedere del Monte Valnera, e una faticosa arrampicata sulla cima del monte boscoso non è necessaria, perché il belvedere si trova sulla linea visuale della Punta Euringer. Per ora esistono poche buone immagini del sole diviso visto dal Renon (Figure 2, 3 e 10). Il belvedere del Monte Valnera è una radura dalla quale è possibile osservare l’arco di oscillazione complessivo del sole nel corso annuale. Il punto di rilevamento (Figura 4) è da dove oggi, all’ora data, è possibile vedere il sole diviso attraverso la cima della Punta Euringer.

2 http://www.archaeoastronomie.org Dietmar Bernardi 139

Fig. 2. Dal belvedere del Monte Valnera; marzo. Fig. 3. Dal belvedere del Monte Val- nera; settembre.

Fig. 4. Arco di oscillazione dell’alba visto dal belvedere del Monte Valnera.

L’azimut dell’alba in occasione dell’equinozio, in altre parole il punto dove il sole sorge all’orizzonte all’equinozio osservando dal sito preistorico “Roarer Windspiel”, è contrassegnato con un cerchietto chiaro. Il sito preistorico cultua- le sul Monte Sciliar è contrassegnato con un cerchietto scuro. Osservando il sole dal belvedere del Monte Valnera esso sorge all’orizzonte all’equinozio nel punto contrassegnato col cerchietto scuro.

3. Secondo sito: “Roarer Windspiel”

La grande pietra che si trova oggi sul menhir (Figura 5) si trovava origina- riamente, e fino al 1986,davanti al menhir; essa non combacia esattamente con 140 Il sole diviso del Renon / Ritten l’intaglio e non dovrebbe quindi trovarsi sul menhir. La distanza del menhir dall’insediamento preistorico “Roarer Windspiel” è pari a 64 m; il terreno in quel luogo sale leggermente e si trova nel fitto del bosco. Sui resti dell’insedia- mento preistorico (Figura 6) si è riusciti a determinare un solo punto di osserva- zione dal quale, nonostante i molti alberi, è possibile osservare ancora oggi, da un lato, il grande menhir ME01, e, dall’altro, le vette dello Sciliar.

Fig. 5. Il grande menhir ME01 oggi. Fig. 6. Resti dell’insediamento preistorico “Roarer Windspiel” (maggio 2015).

Fig. 7. Il menhir ME01, contrassegnato con Fig. 8. Vista dal punto di osservazione un giubbotto catarifrangente. verso il menhir ME01 contrassegnato dal giubbotto (ingrandimento).

1) In direzione del menhir ME01 (Figure 7 e 8). Ricorrendo all’espediente del giubbotto catarifrangente è stato possibile identificare il grande menhir, tra gli alberi, nella rispettiva direzione di osservazione. 2) In direzione opposta, verso le vette dello Sciliar. L’insediamento preistorico si trova esattamente sulla linea che va dal grande menhir ME01 alle vette dello Sciliar Punta Santner e Punta Euringer. Lungo questa stessa linea di rilevamen- to, nel mezzo del bosco, si trovano altri menhir, ME08, ME13, ME19, ME23. Dietmar Bernardi 141

Fig. 9. Dal Roarer Windspiel, in direzione Fig. 10. Il sole diviso visto dal Roarer della Punta Santner (spuntone sinistro) e Windspiel in data 01/04/2012 ore 07:28 Punta Euringer (spuntone destro). locali.

Fig. 11. Posizione del punto di osservazione entro il complesso dei menhir nelle immediate vicinanze del menhir ME19, gettato oltre il dirupo.

4. Astronomia

La Figura 12 mostra il percorso del sole in declinazione durante l’anno, da destra verso sinistra, partendo dall’equinozio di primavera. Se un “sole diviso” con una declinazione δ = Y è visibile alcuni giorni X dopo l’equinozio di pri- mavera, allora il fenomeno sarà visibile anche X giorni prima dell’equinozio d’autunno, a parità di declinazione δ = Y. 142 Il sole diviso del Renon / Ritten

Fig. 12. La declinazione δ del sole nel corso dell’anno, dal punto vernale a destra nella figura, dove δ = 0. (Adattamento da un disegno di Georg Zotti).

5. Archeologia

Le aree archeologiche protette si distinguono a seconda che siano già stati fatti importanti rinvenimenti archeologici o se vi sia solamente la presunzione della presenza di reperti. La messa sotto tutela delle particelle è presente nel registro catastale dei diversi proprietari, ma si tratta solo di classificazioni degli archeologi; manca il giudizio degli archeoastronomi. Gli oggetti parte del pa- trimonio culturale astronomico, menhir e loro posizione reciproca, non sono cartografati o contrassegnati. Purtroppo, tutto ciò che non è ufficialmente regi- strato è conseguentemente inesistente e considerato privo di significato. Gli og- getti parte del patrimonio culturale, aventi o aventi avuto finalità astronomiche, devono quindi a loro volta essere cartografati, e formare una categoria a parte in questo catalogo ufficiale. L’UNESCO, con la sua salvaguardia del patrimonio dell’umanità, prevede proprio nell’ambito del World Heritage la conservazione dei siti di importanza astronomica. K. Oeggl, botanico presso l’università di Innsbruck, ha analizzato i risulta- ti degli scavi archeologici di W. Holzner a Zwingenstein. Il più antico insedia- mento sul Renon è databile mediante C14 (grano di polline di cereale) al 4730- 4530 BC. L’insediamento più antico a livello di mezza montagna è indicato da Holzner con il valore medio di 4630 BC. Oeggl ha pubblicato vari lavori relativi ad altri rinvenimenti archeologici, come sul Monte Valnera, e dedicati alla storia della vegetazione e dell’insediamento del Renon. I siti archeologici che abbiamo citato, Monte Valnera, “Roarer Windspiel” e anche Zwingen- stein, non distano moto gli uni dagli altri. È possibile quindi che l’epoca degli insediamenti sia la stessa. Dietmar Bernardi 143

Fig. 13. Le aree archeologiche protette Fig. 14. L’area protetta “Roarer Wind- con diversi livelli di protezione delle au- spiel”; mappa dell’Ufficio di Cartografia torità in Alto Adige (Ufficio di Cartografia provinciale dell’Alto Adige. L’area è visi- provinciale dell’Alto Adige). bile, ad esempio, con Google Earth.

6. Le tabelle

Sono state realizzate quattro tabelle, due per il belvedere del Monte Valne- ra e due per l’insediamento preistorico “Roarer Windspiel”, suddivise secondo le possibilità di osservazione del sole diviso in primavera e autunno. Le date sono state calcolate per gli anni dal 2010 al 2021 con il generatore di effeme- ridi del Jet Propulsion Laboratory della NASA – JPL Horizons3. Le coordinate astronomiche calcolate si riferiscono al centro del sole. Per gli utenti che in- tendono limitarsi all’osservazione del sole diviso sono importanti solo la data e l’ora locale. Gli altri valori nelle tabelle rappresentano informazioni aggiun- tive, come: giorni di differenza rispetto al giorno esatto dell’equinozio, giorno dell’equinozio in marzo o in settembre, ora legale estiva (CEST) o ancora ora legale invernale (CET) (ricordarsi che 2012, 2016 e 2020 sono bisestili). Gli altri campi sono parametri astronomici per la definizione della posizione degli og- getti astronomici in cielo. Gli astronomi che vogliono puntare manualmente il proprio telescopio sul sole diviso possono impiegare questi valori: ascensione retta e declinazione in un sistema di coordinate equatoriali, azimut e elevazio- ne/altezza in un sistema di coordinate orizzontali.

3 http://ssd.jpl.nasa.gov/horizons.cgi#results. 144 Il sole diviso del Renon / Ritten

Tab. 1. Belvedere Monte Valnera / Wallnereck. Primavera. Coordinate (WGS84): N 46° 31’ 38.5’’, E 11° 26’ 19.7’’, N 46.5273729°, E 11.4388094°, Alt. 1264 m. Visibilità del sole diviso dal 2010 al 2021*. Giorni Data Data Ora locale Ascensione Declin. Az. Alt. post- (a m d) equin. retta (h m s) (° ‘ ‘’ ) (°) (°) equin. 7 2010/3/27 3/20 6:47 CET 00 23 43.01 +02 33 41.8 93.1927 6.5485 7 2011/3/28 3/21 7:47 CEST 00 26 28.44 +02 51 29.1 93.0289 6.8028 6 2012/3/26 3/20 7:47 CEST 00 21 56.98 +02 22 17,1 93.2966 6.3843 7 2013/3/27 3/20 6:47 CET 00 24 41.75 +02 40 00.2 93.1378 6.6416 7 2014/3/27 3/20 6:47 CET 00 23 48.42 +02 34 16.5 93.1834 6.5539 7 2015/3/27 3/20 6:47 CET 00 22 56.03 +02 28 36.8 93.2382 6.4746 6 2016/3/26 3/20 6:47 CET 00 22 02.81 +02 22 53.7 93.2907 6.3927 7 2017/3/27 3/20 7:47 CEST 00 24 47.67 +02 40 37.3 93.1290 6.6475 7 2018/3/27 3/20 7:47 CEST 00 23 54.83 +02 34 57.0 93.1801 6.5654 7 2019/3/27 3/20 6:47 CET 00 23 02.34 +02 29 19.1 93.2298 6.4829 6 2020/3/26 3/20 6:47 CET 00 22 09.93 +02 23 40.1 93.2799 6.4003 7 2021/3/27 3/20 6:47 CET 00 24 54.89 +02 41 26.5 93.1186 6.6565 * Sono bisestili gli anni 2012, 2016 e 2020.

Tab. 2. Belvedere Monte Valnera / Wallnereck. Autunno. Coordinate (WGS84): N 46° 31’ 38.5’’, E 11° 26’ 19.7’’, N 46.5273729°, E 11.4388094°, Alt. 1264 m. Visibilità del sole diviso dal 2010 al 2021*. Giorni Data Data Ora locale Ascensione Declin. Az. Alt. ante- (a m d) equin. retta (h m s) (° ‘ ‘’ ) (°) (°) equin. 7 2010/9/16 9/23 7:31 CEST 11 35 15.41 +02 40 25.2 92.1097 5.6820 7 2011/9/16 9/23 7:31 CEST 11 34 21.98 +02 46 09.4 92.0310 5.7395 6 2012/9/16 9/22 7:31 CEST 11 37 05.19 +02 28 34.7 92.2841 5.5747 7 2013/9/15 9/22 7:31 CEST 11 32 37.96 +02 57 18.5 91.8703 5.8441 7 2014/9/16 9/23 7:31 CEST 11 35 20.71 +02 39 48.5 92.1202 5.6779 7 2015/9/16 9/23 7:31 CEST 11 34 28.35 +02 45 27.3 92.0384 5.6779 6 2016/9/16 9/22 7:31 CEST 11 37 10.14 +02 28 03.1 92.2909 5.5690 7 2017/9/15 9/22 7:31 CEST 11 32 43.14 +02 56 44.5 91.8778 5.8381 7 2018/9/16 9/23 7:31 CEST 11 35 26.53 +02 39 12.4 92.1274 5.5655 7 2019/9/16 9/23 7:31 CEST 11 34 33.39 +02 44 53.8 92.0487 5.7274 6 2020/9/16 9/22 7:31 CEST 11 37 16.97 +02 27 19.9 92.2988 5.5599 7 2021/9/15 9/22 7:31 CEST 11 32 50.43 +02 55 58.5 91.8860 5.8283 * Sono bisestili gli anni 2012, 2016 e 2020.

Le ore della visibilità ricorrente del sole diviso sono valori approssimativi e possono variare leggermente in termini di minuti di anno in anno, dato che le apparecchiature fotografiche spesso non sono esattamente sincronizzate. Dietmar Bernardi 145

Tab. 3. Insediamento preistorico “Roarer Windspiel”. Primavera. Coordinate: (WGS84): N 46° 31’ 18.8’’, E 11° 25’ 50.3’’, N 46.5219425°, E 11.4305028°, Alt. 1240 m. Visibi- lità del sole diviso dal 2010 al 2021*. Giorni Data Data Ora locale Ascensione Declin. Az. Alt. post- (a m d) equin. retta (h m s) (° ‘ ‘’ ) (°) (°) equin. 13 2010/4/2 3/20 7:28 CEST 00 45 30.95 +04 53 10.8 88.4507 5.2704 13 2011/4/3 3/21 7:28 CEST 00 48 17.62 +05 10 44.2 88.2852 5.5176 12 2012/4/1 3/20 7:28 CEST 00 43 45.42 +04 42 00.9 88.5508 5.1083 13 2013/4/2 3/20 7:28 CEST 00 46 29.84 +04 59 22.4 88.3965 5.3615 13 2014/4/2 3/20 7:28 CEST 00 45 37.38 +04 53 49.2 88.4441 5.8028 13 2015/4/2 3/20 7:28 CEST 00 44 44.22 +04 48 12.2 88.4945 5.1974 12 2016/4/1 3/20 7:28 CEST 00 43 50.93 +04 42 34.8 88.5463 5.1171 13 2017/4/2 3/20 7:28 CEST 00 46 36.70 +05 00 03.1 88.3841 5.3654 13 2018/4/2 3/20 7:28 CEST 00 45 42.84 +04 54 24.4 88.4381 5.2867 13 2019/4/2 3/20 7:28 CEST 00 44 50.99 +04 48 55.9 88.4845 5.2046 12 2020/4/1 3/20 7:28 CEST 00 43 58.56 +04 43 24.9 88.5333 5.1239 13 2021/4/2 3/20 7:28 CEST 00 46 43.09 +05 00 46.8 88.3772 5.3772 * Sono bisestili gli anni 2012, 2016 e 2020.

Tab. 4. Insediamento preistorico “Roarer Windspiel”. Autunno. Coordinate: (WGS84): N 46° 31’ 18.8’’, E 11° 25’ 50.3’’, N 46.5219425°, E 11.4305028°, Alt. 1240 m. Visibi- lità del sole diviso dal 2010 al 2021*. Giorni Data Data Ora locale Ascensione Declin. Az. Alt. ante- (a m d) equin. retta (h m s) (° ‘ ‘’ ) (°) (°) equin. 13 2010/9/10 9/23 7:21 CEST 11 13 41.75 +04 58 15.4 88.3121 5.2556 13 2011/9/10 9/23 7:21 CEST 11 12 49.02 +05 03 48.4 88.2335 5.3088 12 2012/9/10 9/22 7:21 CEST 11 15 31.64 +04 46 37.7 88.4839 5.1510 13 2013/9/09 9/22 7:21 CEST 11 11 04.11 +05 14 47.9 88.0772 5.4135 13 2014/9/10 9/23 7:21 CEST 11 13 47.69 +04 57 35.3 88.3213 5.2490 13 2015/9/10 9/23 7:21 CEST 11 12 54.42 +05 03 11.4 88.2428 5.3035 12 2016/9/10 9/22 7:21 CEST 11 15 37.33 +04 46 01.9 88.4892 5.1424 13 2017/9/09 9/22 7:21 CEST 11 11 09.46 +05 14 13.5 88.0841 5.4069 13 2018/9/10 9/23 7:21 CEST 11 13 52.89 +04 57 03.2 88.3297 5.2446 13 2019/9/10 9/23 7:21 CEST 11 13 00.56 +05 02 33.4 88.2507 5.2964 12 2020/9/10 9/23 7:21 CEST 11 15 43.62 +04 45 22.5 88.4980 5.3494 13 2021/9/09 9/22 7:21 CEST 11 11 16.63 +05 13 31.5 88.3983 5.1355 * Sono bisestili gli anni 2012, 2016 e 2020.

7. Conclusione

Per il Monte Valnera la differenza X prima del giorno esatto dell’equinozio in autunno corrisponde al valore dopo l’equinozio di primavera. In anni nor- 146 Il sole diviso del Renon / Ritten mali si tratta di 7 giorni, ma diventano però 6 giorni negli anni bisestili. Per il “Roarer Windspiel” si tratta invece di 13 giorni, che diventano 12 giorni negli anni bisestili. La possibilità di visibilità del sole diviso avviene sempre alla stessa ora locale. Come già ricordato, è importante prestare attenzione all’anno se sia bisestile o no. Per esempio, un fotografo si era informato in merito a un nuovo punto di osservazione presso il quale la visuale era in pratica libera dagli alberi (Figura 15). Il sito si trova sulla linea che va dal grande menhir ME01 alle vet- te Santner e Euringer attraversando l’insediamento preistorico “Roarer Wind- spiel” (Figura 11).

Fig. 15. L’alba da un altro punto di osser- Fig. 16. Confronto del disco solare e del- vazione sulla linea dal grande menhir alle la Punta Euringer. Alba osservata del 1° vette dello Sciliar e attraverso l’insedia- aprile 2014 e alba calcolata (vedere tabel- mento “Roarer Windspiel” con azimut da la) del 2 aprile 2014, giorno del sole diviso 89° a 90°. di Renon nell’anno 2014.

Il fotografo purtroppo aveva sbagliato giorno, perché l’informazione si rife- riva al 2012 (bisestile) mentre l’osservazione era stata fatta nel 2014. Nella Figu- ra 17 è possibile confrontare le dimensioni del disco solare e con le vette dello Sciliar. Lo spuntone di roccia della Punta Euringer ha le dimensioni e forma giuste per vedere un sole diviso all’alba del giorno 02.04.2014. Questa posizione del sole dietro la Punta Euringer è unica in un panorama montano naturale, e quindi possiamo presumere che il fenomeno sia stato utilizzato nella preistoria per la determinazione del tempo.

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Massimo Calabresi Associazione Romana Astrofili, [email protected]

Abstract. The church of Santa Giuliana virgin and martyr, in Val di Fassa, is located on a hill called “Ciaslir” in a panoramic position. It is the most ancient of the valley; and it is already mentioned in a document of 1237; archaeological digs carried out in 1988 allowed to discover remains of a previous church probably from Ottonian or older age. The cult of the Saint is deeply felt in the valley, and documents of the 16th and 17th centuries witness the great attention of the Vallegians for their patron Saint. Father F. Ghetta, a Valley history’s great scholar, pointed out that in ancient times there were two festivals dedicated to the Saint: one on 16rd February according to the Roman martyrology, and one on 3rd June, according to the martyrology of San Girolamo, spread in the diocese of Sabiona-Bressanone belonging to Aquileia in the 7th and 8th centuries. The valley then passed from Aquileia to Salzburg in 798, where the Roman martyrology was in use. Since the research on the orientation of the church carried out by other scholars was in disagreement with some data collected during the archaeological excavations, it was decided to carry out a further measurement campaign using a theodolite. The church is oriented according to an azimuth 64.3 - 64.6° north and this orientation is in accordance with the direction of the rising Sun from the mountains profile at the date of 3rd June. This result seems to confirm the argument that the church was built in a period when the Val di Fassa was under the diocese of Aquileia and that the first church building was older than 798. This would also imply that the valley was permanently inhabited during the early Middle Ages.

1. Introduzione

La chiesa di Santa Giuliana si trova sulla sommità di un piccolo colle deno- minato “Ciaslir”, vicino al paese di Vigo, nella valle di Fassa in Trentino. Nelle 150 La Chiesa di Santa Giuliana in Val di Fassa forme attuali è gotica tardo quattrocentesca, costituita da un’unica aula con due accessi: un ampio portale ed un piccolo ingresso laterale servito da tre gradini. Il luogo è dominante e particolarmente panoramico: da lì è possibile ammirare buona parte della valle da Pera a Moena e si ha inoltre uno splendido scorcio sulla catena dei Monzoni. La chiesa ha un ruolo particolare nella religiosità e nelle tradizioni fassane ed il posto è anche citato in numerose leggende a testi- monianza di una particolare “sacralità” attribuita al luogo. In effetti la chiesa, la più antica della valle, sorge probabilmente su un luogo anticamente abitato o dedito ad attività di culto. Scavi condotti nel 1953 da Leonardi (1954) hanno messo in luce tracce di manufatti preistorici o protostorici ed in particolare un cerchio di pietre sovrapposte a secco costituito da tre/quattro corsi di pietre chiaramente intenzionale. Il manufatto, del diametro di circa due metri, è loca- lizzato sulla sommità del colle di Tzela , un piccolo rilievo del terreno a forma di cono, a poche decine di metri dalla spianata della chiesa di Santa Giuliana.

Fig. 1. La chiesa di S. Giuliana.

2. La chiesa

Le prime notizie certe dell’esistenza della chiesa sono riportate in un docu- mento del 22 agosto 1237 (Ghetta 1974, p. 339, n.8) in cui ne viene menzionato il sacrestano; seguono poi citazioni in documenti del 1288 e del 1297 (Ghetta 1974, p. 345, n. 23; p. 347, n. 28). La chiesa e la Santa Patrona hanno sempre Massimo Calabresi 151 avuto grande importanza per i fassani: ne sono prova i numerosi lasciti indicati in svariati documenti. A questo proposito Padre Frumenzio Ghetta scrive: “La devozione era così rilevante da far si che i fassani provvedessero al culto di Santa Giuliana con un cappellano detto Primissario” (Ghetta 1974, p. 273). Il documento di approvazione vescovile dell’istituzione del cappellano è del 1682, ma si ha notizia della sua esistenza fin dal 1552. Nel sedime di Santa Giuliana insistono più edifici sacri a testimonianza del valore sacrale del luogo: oltre la chiesa, alle spalle del campanile, sorge la cap- pella di San Maurizio, consacrata nel 1489 ma probabilmente esistente già da prima; nelle sue vicinanze è posizionato El Capitel un probabile ex voto contro la peste consacrato nel 1519. Inoltre le prospezioni condotte nel 1953 hanno individuato, a pochi metri dal perimetro della chiesa, i resti di un romitorio uti- lizzato tra il 1661 ed il 1681 ed oggi completamente demolito. Gli scavi archeologici effettuati nel 1988, hanno consentito di identificare, all’interno della chiesa, varie unità stratigrafiche corrispondenti a diverse fasi1: 1) un primo deposito di età protostorica (V-III secolo A.C.), indipendente dai successivi, in cui sono stati rinvenuti frammenti di vasellame e manufatti in bronzo e pasta vitrea; 2) un’abside preromanica con probabile aula in legno a testimonianza di una chiesa di età ottoniana o precedente; 3) un’abside di età romanica, alcuni allineamenti di pietre perimetrali ed altri elementi architettonici che purtroppo non rendono possibile determinare le dimensioni della costruzione. Alcune monete rinvenute in questo piano stra- tigrafico hanno permesso di datare la ristrutturazione della chiesa in un periodo successivo al 11832; 4) la chiesa nella forma attuale, la cui consacrazione dell’altare maggiore, del presbiterio e dei due altari laterali avvenne il 23 luglio del 1452 ad opera del vescovo di Bressanone Nicolò Cusano. Nel 1509 venne realizzato il pavimento in calce e nel 1517 fu terminato il rivestimento ligneo dell’altare maggiore. Bisognerà poi attendere il 1519 per la consacrazione della navata ad opera del Vescovo ausiliario di Bressanone Gio- vanni Kneufl e probabilmente questa è la data del termine dei lavori. La chiesa odierna ha quindi lo stesso impianto del 1452; per le considerazioni successive è interessante notare che dalla planimetria degli scavi archeologici si evince che l’orientamento dell’abside attuale e quello della chiesa romanica sono pratica- mente coincidenti a meno di 1-2 gradi verso Est (v. Cavada 1991).

1 Per una completa ed accurata descrizione degli scavi si rimanda alla consultazione di Cavada (1991). 2 E’ stato rinvenuto un denaro scodellato veronese di Federico I/II di Svevia (1183-1250). 152 La Chiesa di Santa Giuliana in Val di Fassa

3. Santa Giuliana Vecchia e Santa Giuliana Nuova

Anticamente due erano le feste dedicate a Santa Giuliana vergine e martire ce- lebrate dalla Comunità di Fassa: una il 16 febbraio (Santa Giuliana nuova) e l’altra il 3 giugno (Santa Giuliana vecchia). In un ampio ed approfondito studio, Ghetta (1987b) ha evidenziato che mentre la festa del 16 febbraio è prevista dal martirologio Romano, quella del 3 giugno è riportata nel martirologio di San Girolamo, diffuso in alcune diocesi italiane prima del secolo VIII. Inoltre il martirologio di San Girolamo era in uso nella diocesi di Aquileia. Solo nel 798 la diocesi di Sabiona-Bressanone, alla quale apparteneva la Valle di Fassa, transitò da Aquileia a Salisburgo, ove era in uso il martirologio Romano. È quindi ipotizzabile che la festa di Santa Giuliana ‘vecchia’ sia stata introdotta in val di Fassa antecedentemente al 798. La festa celebrata il 3 giugno è ben documentata: in un verbale di una riunione datata 15 luglio 1602 è riportato che i rappresentanti della Comunità di Fassa ave- vano predisposto un documento per il Vicario Generale della Diocesi di Bressano- ne riguardante le feste votive della Comunità; nell’elenco compare 3 zugno santa Juliana vecchia3. Inoltre in un atto di compravendita di un terreno e di un fienile datato 1353 veniva indicato, da parte del notaio, come luogo e data della rogazione il 3 giugno dinanzi alla chiesa di Santa Giuliana (Ghetta 1974, p. 364). Il 3 giugno del 1353 era un lunedì; si trattava quindi di un giorno di festa “particolare” (pro- babilmente una sagra e/o una fiera) alla quale partecipavano molte persone. Non avrebbe avuto senso altrimenti salire sino alla chiesa di Santa Giuliana per redige- re un documento di compravendita che riguardava un terreno nella zona di Falca- de. La questione è storicamente rilevante poiché se fosse provata una indiscussa attribuzione della chiesa a S. Giuliana Vergine secondo il martirologio di San Gi- rolamo, significherebbe che il culto della Santa sarebbe stato introdotto nella valle dal patriarcato di Aquileia. Inoltre l’edificazione della chiesa sarebbe antecedente al 798, anno in cui la diocesi di Sabiona-Bressanone (a cui apparteneva la Val di Fassa) transitò da Aquileia a Salisburgo; ciò testimonierebbe che la Valle di Fassa potrebbe essere stata abitata per tutto l’anno da una popolazione stanziale sin da prima del 798, in contraddizione con quanti sostengono la tesi che, sino all’anno 1000, la valle fosse oggetto solo di saltuarie presenze per lo più nel periodo estivo.

3. Le misure dell’orientazione della chiesa

Alcuni ricercatori hanno già effettuato misure dell’orientazione della chiesa ipotizzando anche che, considerato il luogo ‘particolare’ sia per la vista del pano-

3 Documenti per la storia della Comunità di Fassa. Sedute e delibere dei rappresentanti della Comunità di Di Fassa 1550-1780, Famiglia Cooperativa Val di Fassa /ICL 1997. Massimo Calabresi 153 rama che per le tradizioni e la sacralità, potesse essere stato usato anche come os- servatorio per la determinazione del calendario e dell’ora dalle popolazioni della valle sin dal periodo retico4. Esistono comunque discrepanze tra i dati forniti dai diversi autori e tra questi e quelli deducibili dalle planimetrie della chiesa realiz- zate durante le campagne di scavi. È stato quindi deciso di effettuare una nuova serie di misure per determinare l’orientazione della chiesa ed il profilo dello ‘skyline’ delle montagne in direzione della linea dell’abside, impiegando un teodolite. È stato da prima rilevato l’azi- mut del Sole ad un certo istante5 disponendo di un segnale campione di tempo6 ed essendo note le effemeridi per la località di Santa Giuliana tratte dal sito del JPL (Jet Propulsion Laboratory)7. Sono poi stati misurati gli angoli degli spigoli della facciata Est della chiesa rispetto al Nord geografico, la cui direzione è stata determinata tramite l’azimut del Sole. Per mezzo di una rotella metrica sono state acquisite le distanze tra l’asse verticale del teodolite e le distanze degli spigoli del- la facciata; con semplici calcoli di trigonometria, applicando il teorema di Carnot, sono poi stati definite l’orientazione della facciata Est della chiesa e di quella Est dell’abside (v. Figura 2). Sono state inoltre misurate le lunghezze di tutti i lati del- la chiesa per verificarne la pianta e confermare che ci fosse un buon parallelismo tra la linea dell’abside e la facciata est della chiesa. Per quanto riguarda gli errori di misura da attribuire ai dati acquisiti, il problema più rilevante è stato quello di collimare con accuratezza il centro del Sole con il reticolo del teodolite, non disponendo di un apposito accessorio. Sono state eseguite varie misure e la direzione as- sunta è stata la risultante della media delle misure effettuate.

Fig. 2. Schema di misura seguito per la deter- minazione dell’orientazione della chiesa. 1) OA, OB, OC: distanze piede del teodolite – spigoli della facciata Est della chiesa. 2) AB, BD, DC, BC: lunghezze dei lati della chiesa utilizzati per il calcolo dell’orientazione tramite il teorema di Carnot. 3) α1, α2, α3: angoli rilevati con il teodo- lite rispetto al Nord geografico.

4 Si veda il lavoro di Codebò (2005) per un’ampia analisi dell’orientamento di Santa Giuliana e di altre chiese e per le considerazioni sul sito del “Ciaslir” come possibile osservatorio. 5 Sul teodolite era stato montato un filtro solare. 6 È stato impiegato il segnale campione di tempo irradiato dall’Istituto Nazionale di Ricerca Metrologica. 7 https://ssd.jpl.nasa.gov/horizons.cgi 154 La Chiesa di Santa Giuliana in Val di Fassa

Tabella 1: effemeridi del Sole per la località di Santa Giuliana il 3 giugno 1452. Data Ora (T.U) Azimut Elevazione 03/06/1452 04:17 64.3164° 7.7693° 03/06/1452 04:18 64.4872° 7.9247° 03/06/1452 04:19 64.6578° 8.0804° 03/06/1452 04:20 64.8283° 8.2362° 03/06/1452 04:21 64.9987° 8.3923° La qualità dei dati per ogni ‘run’ è stata verificata rilevando gli azimut di alcune cime; gli scostamenti ottenuti durante i diversi cicli di misura non hanno mai supe- rato i 2 primi d’arco8. L’orientazione della chiesa è risultata essere: azimut dell’alli- neamento della facciata est della chiesa 64.3° ± 0.1°; azimut dell’allineamento della facciata est dell’abside 64.6° ± 0.1°. Tali direzioni sono in ottimo accordo con il sor- gere del Sole dal profilo delle montagne dell’orizzonte visibile alla data del 3 giugno. In tabella 1 sono riportati i valori di altezza ed azimut del Sole tratti dal sito del JPL per la località di Santa Giuliana calcolati per la data del 3 giugno 14529. Con il teodolite sono stati rilevati le elevazioni e gli azimut di alcuni punti del profilo dell’orizzonte intorno a 64 gradi di azimut; come si evince dalla Figura 3 le altezze delle cime sono in ottimo accordo con il sorgere del Sole dal profilo delle montagne dell’orizzonte visibile alla data del 3 giugno. In particolare il profilo tra i punti 3 e 4 è perfettamente in accordo con le effemeridi del Sole alle ore 04:17- 04:20 TU e con l’orientamento della chiesa a meno di pochi primi d’arco.

azimut elevazione 1 60° 07’ 8° 50’ 2 62° 13’ 8° 40’ 3 63° 58’ 8° 17’ 4 66° 35’ 8° 30’ 5 68°16’ 7° 41’

Fig. 3: Azimut ed elevazione di alcune cime in direzione dell’orientamento dell’abside della Chiesa di santa Giuliana. Gli errori sti- mati sono ± 1’ dovuti alla difficoltà di indivi- duare, nei punti di interesse sui profili delle montagne, elementi inequivocabilmente collimabili con il reticolo del teodolite.

8 Non sono stati impiegati metodi più laboriosi anche se più accurati per l’azzeramento del cerchio di azimut, perché i risultati ottenuti con il metodo speditivo descritto in precedenza e gli errori di misura ottenuti sono risultati essere più che adeguati allo scopo. 9 Le effemeridi sono state calcolate per il 1452 data della consacrazione della chiesa ristrutturata. Massimo Calabresi 155

È inoltre da notare che nelle planimetrie degli scavi del 1988 l’orientazione dell’originale chiesa preromanica sembra spostata di 1-2 gradi verso Est rispetto alla direzione della navata della chiesa attuale. Si deve considerare che se raf- frontiamo gli azimut del Sole per una stessa altezza (esempio: 8°) per due date relative alla chiesa preromanica (798) ed alla chiesa attuale (1452) lo scarto è di circa 0.6° verso Est10 in favore della costruzione più antica. Non si hanno dati accurati sull’orientazione della chiesa preromanica, ma il fatto che la direzione dell’abside sembri più spostata, anche se di poco, verso Est potrebbe avvalo- rare la tesi secondo la quale i costruttori hanno sempre cercato di orientare la Chiesa verso il sorgere del Sole dall’orizzonte visibile nella data di dedicazione alla Santa. La ristrutturazione del 1452 potrebbe aver compensato la variazione dell’azimut del sorgere del Sole nelle due date, e corretto eventuali piccoli errori di orientazione.

4. Simulazione con Stellarium

La simulazione del cielo e del relativo orizzonte ‘reale’ consente di apprez- zare l’intera distribuzione dei corpi celesti visibili e di effettuare prove per qualsiasi data (Brown 2015). In questo caso è stato scelto di implementare in Stellarium11 l’orizzonte visibile dal “Ciaslir”, per avere uno strumento flessibile per analizzare le varie ipotesi di dedicazione della chiesa in funzione degli alli- neamenti trovati e/o supposti. La tecnica impiegata è quella descritta da Zotti (2015) e riassunta di seguito: con una macchina digitale è stato rilevato il profilo dell’orizzonte e tramite alcuni software è stata elaborata l’immagine a 360° del panorama. Questa, calibrata tramite i dati di elevazione ed azimut relativi ad al- cune cime distribuite in un angolo di vista ampio12, è stata inserita in Stellarium in modo da avere lo skyline visibile. Successivamente sono state effettuate delle simulazioni per verificare la vi- sibilità del sorgere del Sole dalla chiesa di Santa Giuliana alla data del 3 giugno in vari anni (1452, 900, 750) in direzione dell’orientamento della chiesa (64° Nor- d)13. L’accordo si è dimostrato eccellente a conferma che la tesi di un orienta-

10 Per effettuare una comparazione dell’azimut del Sole in due date significative per la storia della chiesa si è paragonato l’azimut raggiunto dal Sole per un’altezza di 8.0° (altezza delle montagne dello ‘skyline’ – vedi Figura 3). Le effemeridi del Sole tratte dal sito JPL per la località di S. Giuliana sono: 3 giugno 798, altezza 8.0034°, azimut 65.2000; 3 giugno 1452, altezza 8.0020°, azimut 64.5726°. 11 Stellarium è un planetario digitale open source. 12 Con il teodolite sono state effettuate misure di elevazione ed azimut di alcune cime visibili per la successiva calibrazione dello skyline da inserire in Stellarium. 13 L’accuratezza di Stellarium relativa alla posizione del Sole è piuttosto elevata; utilizza VSOP87 (Variations Séculaires des Orbites Planétaires). e comparazioni tra le coordinate all’equinozio J2000 effettuate con le effemeridi del JPL hanno evidenziato sino al 2000 A.C. un errore inferiore 156 La Chiesa di Santa Giuliana in Val di Fassa mento voluto della chiesa in direzione del sorgere del Sole alla data della festa di Santa Giuliana Vecchia è altamente probabile.

Fig. 4. Simulazione con Stellarium del sorgere del Sole visto da Santa Giuliana per la data del 3 giugno 1452.

Alcuni ricercatori hanno anche evidenziato che al tramonto del Sole il gior- no di Santa Giuliana nuova, 16 febbraio, il Sole illumina l’abside della chiesa sino all’altare maggiore ipotizzando anche in questo caso un allineamento in- tenzionale. Con Stellarium è stato verificato che l’allineamento abside - tramon- to del Sole il 16 febbraio, pur essendo consistente, è meno accurato di 1°-1° 30’ rispetto a quello relativo al sorgere del Sole il giorno di Santa Giuliana vecchia.

5. Conclusione

Le misure effettuate e l’orientamento trovato della chiesa verso il sorgere del Sole dal profilo dell’orizzonte il 3 giugno, pur non dirimendo definitivamen- te la questione, aggiungono un ulteriore elemento alla tesi di una più che proba- bile dedicazione della chiesa a Santa Giuliana Vecchia secondo il martirologio di San Girolamo. Quindi è ipotizzabile presupporre che la chiesa sia stata fondata antecedentemente al 798 e che la necessità di edificare una chiesa sia sorta dal desiderio di una comunità stabile in val di Fassa. Ciò comporta che la valle di Fassa sarebbe stata abitata in maniera permanente anche nell’alto medioevo. a 1 secondo in ascensione retta e 8 secondi d’arco in declinazione. Massimo Calabresi 157

Ringraziamenti. Si desidera ringraziare: il Direttore dell’Istituto Culturale Ladino di Vigo di Fassa, Dott. Fabio Chiocchetti per i preziosi suggerimenti e la disponibilità nel fornire alcuni documenti; il carissimo amico Dott. Ing. Vito Francesco Polcaro dell’INAF, consigliere SIA, recentemente scomparso, che mi ha sempre incoraggiato durante l’attività di ricerca e con il quale mi sono con- frontato su alcuni aspetti salienti del presente lavoro; mia moglie Michela che ha sacrificato alcuni giorni di vacanza in Val di Fassa permettendomi di effet- tuare le varie attività di ricerca e aiutandomi durante le misure; l’amico Raniero Albanesi che ha partecipato ad una prima attività di survey e mi ha aiutato durante la stesura dell’articolo.

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La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros: un marcatore dei cicli solari e celesti in Sardegna? Misure archeoastronomiche

Simonetta Castia1, Michele Forteleoni2, Marcello Ranieri3, Marzia Monaco4, Flavio Carnevale4 1Circolo Culturale Aristeo 2Società Astronomica Turritana 3INAF-IAPS Roma 4Università degli Studi di Roma “La Sapienza”

Abstract. Nel presente lavoro sono riportati i risultati delle analisi condotte sulle strutture di carattere cultuale del complesso archeologico di S’Arcu ’e is Forros, sito nel territorio di Villagrande Strisaili (OG). Dalle fasi iniziali del Bronzo finale sino all’età del Ferro si evidenzia in Sardegna, lungo il trascorrere del Nuragico, la costruzione e l’utilizzo di edifici funzionali alla raccolta di acque sorgive e contemporaneamente la realizzazione di strutture cultuali amegaron . L’area in esame è rappresentativa di questa tipologia di edifici, con la presenza di tre strutture megarona realizzate in un sito ad architettura complessa, caratterizzato dai resti di un esteso villaggio, di un’officina fusoria, di due nuraghi posti in posizione dominante e di una tomba di giganti. Le evidenze archeologiche documentano una frequentazione ininterrotta nei secoli, con la prima fase di insediamento attribuibile al Bronzo medio (1500-1400 a.C.) e con le ultime strutture, i templi amegaron , costruiti intorno al 1200 a.C. sopra le capanne preesistenti e in parte inglobate in essi. La metodologia di analisi è basata su rilievi da GPS differenziale e da drone. Le evidenze mostrano, oltre all’orientamento solstiziale del megaron 1 (alba del solstizio d’inverno), anche l’orientamento solstiziale (alba del solstizio d’estate) della grande capanna che si affaccia nel cortile per la “sosta dei pellegrini” nel temenos antecedente il tempio. Ciò mostra un’attenzione per il moto apparente del sole, a testimonianza di un profondo legame cultuale tra architettura e cielo. Tuttavia, le misure degli azimut degli ingressi per ilmegaron 2 e il megaron 3, restituiscono rispettivamente i valori di 143° e 217°. Questi valori sono simmetrici al meridiano e orientati a una declinazione celeste di -38° circa, compatibile con la levata e il tramonto degli asterismi della Croce del Sud e di alfa e beta Centauri, allora osservabili alle latitudini della Sardegna. Gli orientamenti simmetrici rispetto al meridiano dei megaron 2 e 3, indicherebbe la volontà di allineare le strutture, oltre che verso fenomeni solari come per il megaron 1 e la “Grande Capanna”, anche verso l’ascesa e il tramonto 160 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros delle stelle. Non abbiamo elementi che giustifichino eventuali funzioni pratiche o di calendario ma appare certa la consapevolezza della conoscenza di eventi astronomici complessi e del loro legame ad aspetti culturali. In conclusione, le corrispondenze astronomiche a S’Arcu ’e is Forros appaiono molteplici, ma a quali ritualità e a quali scopi siano esse associate non è a noi noto. Cionondimeno, la loro presenza suggerisce uno scenario culturale fortemente legato alla sfera celeste.

Premessa

La ricerca, condotta dalle associazioni “Aristeo” e “Società Astronomica Tur- ritana” nell’ambito del progetto scientificoLa misura del tempo, ha portato nel corso degli anni a consolidare la raccolta dati sui siti e sui monumenti del Neoli- tico e dei primordi dell’età del Rame; nel proseguo logico e ideale della sequenza temporale che caratterizza il progetto è stato spostato il piano di lavoro alle fasi iniziali dell’Eneolitico, mantenendone una stretta relazione, per quel che riguarda gli usi funerari, con le emergenze monumentali del Neolitico. Nel 2017 le attività hanno considerato il medesimo arco temporale di indagine del 2016, comprendendo attestazioni megalitiche, di natura funeraria, cultuale e non, di epoca prenuragica e nuragica. Attraverso questo lavoro assume forma ufficiale la collaborazione con il team della Università La Sapienza di Roma coordinato dal professor Marcello Ranieri, che si è impegnato e prodotto nelle misurazioni archeometriche, utili per riconoscere le evidenze legate all’uso delle unità di misura utilizzate nell’antichità per l’edificazione dei monumenti. Il complesso archeologico di S’Arcu ’e is Forros, coordinate 40,002052° N e 9,400454° E1, altitudine circa 900 m slm, è ubicato su una collina che si affaccia in un’ampia vallata posta a breve distanza da due affluenti del fiume Flumendosa, in località Interabbas (tra le acque), e a sud del passo di Correboi, che richiama l’antica pratica della transumanza. L’area, localizzata al confine tra le due regio- ni della Barbagia e dell’Ogliastra, è caratterizzata dalla presenza di un villaggio santuario edificato e frequentato a partire dal Bronzo medio, il nuraghe mono- torre Lotzoracesa e il nuraghe a corridoio Inter Abbas, con annessa tomba di giganti. L’intero areale, esteso 18 ettari, si sviluppa ai piedi della cima Allue in Fogu (1300 m), in una regione ricca di corsi d’acqua e vicina a importanti diret- trici viarie di collegamento con le vicine valli del Lago del Flumedosa e la piana di Lotzorai e di Tortolì. Il sito, interessato da numerose campagne di scavo a partire dal 1987, è ancora oggetto di indagine. I tre templi qui presi in esame, hanno perso, a causa delle diverse fasi edili-

1 Le coordinate del sito indicate sono riferite all’ingresso del tempio a megaron 1. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 161 zie, il caratteristico schemain antis cui si deve la loro definizione, per via delle assonanze istituibili con gli schemi planimetrici e l’alzato dell’architettura di ambito miceneo. Costituiscono un unicum in Sardegna, per la concentrazione di tre edifici di questa tipologia all’interno di uno stesso sito. Le strutture, edifi- cate con notevole maestria dagli artigiani del tempo e soggette a diverse fasi di ristrutturazione, ampliamento e ridefinizione degli spazi interni, sembrano aver mantenuto inalterata, nell’intero arco di frequentazione, la connotazione rituale e di culto, intimamente correlata all’acqua e a pratiche di abluzione sacra; in un villaggio le cui genti si dedicavano, all’interno di aree specializzate, nella produ- zione di una notevole quantità di metalli in bronzo e, in epoche più recenti, in ferro: ex-voto destinati al mercato di ceti abbienti così come alla massa di pelle- grini che in gran numero dovettero frequentare questo importante santuario fe- derale, dal XII al X secolo a.C dalle fasi finali del Bronzo recente sino alla prima età del Ferro. A testimonianza di una fiorente attività di scambio, distribuzione e anche tesaurizzazione del metallo vi sono i bronzi e i metalli restituiti dagli scavi, i depositi votivi rinvenuti, i tre ripostigli e la grande quantità di strumenti da lavoro individuati nelle insulae e nell’officina fusoria.

1. Il rilevamento dati nel complesso archeologico di S’Arcu ’e is Forros

Questo lavoro riprende la metodologia operativa adottata nelle campagne di rilevamento sui monumenti antichi della Sardegna ed è basata su dati rilevati con GPS differenziale e foto aerea da drone riportate su CAD. Nell’area in esame sono presenti numerose strutture proprie di diverse fasi edilizie; lo stato attuale quindi risente delle numerose sovrapposizioni dovute alla mano dell’uomo nel corso dei secoli. Partendo dalla lettura planimetrica e architettonica dell’inse- diamento, confortati dai risultati delle ricerche archeologiche, si è potuta raffor- zare l’ipotesi dell’esistenza delle singole fasi costruttive che hanno consentito alla Fadda l’inquadramento cronologico e tipologico dei monumenti. Assumono quindi maggiore validità gli esiti degli studi relativi agli orientamenti astro- nomici e alle misure archeometriche delle strutture presenti, e degli eventuali allineamenti fra le diverse tipologie di monumento. 1.1. Misure astronomiche Le misure astronomiche effettuate sono quelle relative a: - Coordinate geografiche: misura della latitudine e longitudine del sito; - Azimut (a)2: misura dell’angolo di orientamento (da 0° a 360°) misurato in senso orario partendo dal Nord geografico;

2 Le misure di azimut, altezza e declinazione sono sempre indicate in gradi decimali (DD). 162 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

- Altezza (h): misura dell’angolo formato tra piano costituito dall’orizzonte teorico e il piano di orientamento dell’orizzonte reale. Nel caso di allineamenti sono state rilevate le due misure di altezza nelle due direzioni definite dalla retta di interpolazione. Dalla conoscenza di questi tre valori è possibile derivare la Declinazione (d) astronomica degli astri in levata o tramonto in direzione dell’orientamento. In presenza di strutture così complesse non è pensabile effettuare misure di preci- sione col solo ausilio della bussola che, se impiegata in modo corretto, presenta un errore superiore a 1°3; questo valore rilevato deve essere inoltre corretto a causa della deriva sistematica generata dalla declinazione magnetica4. Inoltre la posizione GPS misurata con la normale strumentazione da campo è sempre affetta da un errore medio di circa 1-3 metri. La scelta per lo strumento da utiliz- zare per il rilievo complessivo dell’area è perciò caduta sul GPS topografico5, pre- feribile alla Stazione totale in quanto fornisce dati di posizionamento più precisi e la geolocalizzazione di ogni punto rilevato senza necessità di punti fiduciari. Nelle normali situazioni di campo la precisione in latitudine e longitudine è inferiore a 1 centimetro e gli orientamenti che si possono stimare dagli allinea- menti hanno un errore inferiore al secondo d’arco. Lo strumento fornisce anche la misura dell’altitudine sul livello del mare con una precisione migliore di 2 centimetri. Per il valore della altezza (h) dell’orizzonte si è preferito avvalersi della funzione specifica “profilo elevazione” del software Google Earth6 che con- sente di estrapolare il profilo di un territorio e stimare il valore (h) con migliore affidabilità e precisione delClinometro visuale analogico, che presenta un errore di misura di circa ±0,5°.7 Per una più completa analisi sono state effettuate anche le tradizionali misure con la bussola magnetica, elettronica e il GPS portatile8.

3 Per le misure sono state utilizzate bussole Suunto KB14 e Suunto tandem, che garantiscono nelle condizioni ottimali di utilizzo una precisione di 1/4 di grado. 4 Grazie al magnetismo terrestre le bussole indicano il Nord (o il Sud) magnetico; questo però non coincide (attualmente si trova sull’Oceano Artico in prossimità delle coste nord-occidentali del Canada) con il polo geografico e causa un errore sistematico nella misura rilevata che varia in funzione del punto e del momento in cui viene effettuata. Apposite carte sono disponibili per la correzione del dato in base all’epoca e alla localizzazione geografica. 5 La campagna di rilievo è stata condotta con l’ausilio di un GPS differenziale Stonex s9, in modalità RTK. Si tratta di un rilevamento GPS di tipo “cinematico in tempo reale” che restituisce le coordinate georeferenziate dell’oggetto da campionare. Nello specifico, un ricevitore singolo posto sul Rover stima le proprie coordinate in posizionamento assoluto, ma queste vengono corrette da una correzione differenziale calcolata da una stazione base (Master), posta su un punto di coordinate note, ed inviate al Rover. In questo caso si possono ottenere buone precisioni in un raggio di distanza tra Master e Rover che non superi i 25 km. La precisione dello strumento sul piano orizzontale è di 0.008 m e 0.015 m su quello verticale. 6 https://www.google.it/intl/it/earth/ 7 In ogni caso la misura sul campo è stata effettuata con il Suunto tandem, che garantisce una precisione di 1/2 di grado 8 Per la misura è stato utilizzato il device Garmin “Monterra”, multifunzione con capacità di Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 163

Con il GPS topografico nell’intera area del sito sono stati battuti oltre 2000 punti che consentono di delimitare le strutture presenti, misurarne gli ingombri e le distanze reciproche. Tutti i valori misurati sono stati gestiti in autocad e sono tabulati in foglio elettronico sia nelle coordinate spaziali che in altitudine m slm9 per il calcolo dei valori derivati di orientamento. I dati grezzi riportano le coordinate WGS84 UTM 32N10 con la quota riferita al geoide EGM9611. Tramite le funzioni del CAD e del foglio elettronico di calcolo possono essere misurati gli azimut presenti. Questo sistema, unito alla foto aerea con drone, ci permette di avere una planimetria generale dei luoghi molto più precisa e affidabile. Per determinare gli orientamenti è stata eseguita l’analisi dei dati prenden- do in esame i monumenti sia per gruppi omogenei che nei rapporti tra essi: Megaron e Temenos; Insulae; Capanne.

Fig 1. Pianta GPS complessiva del sito, con le relative strutture analizzate. determinare la posizione GPS e l’orientamento elettronico. 9 Metri sul livello medio del mare. 10 World Geodetic System - 1984 (WGS-84) Manual – International Civil Aviation Organization (ICAO). 11 EGM96 (Earth Geopotential Model 1996) - NASA GSFC and NIMA Joint Geopotential Model - http://cddis.nasa.gov/926/egm96/egm96.html. 164 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

Come già affermato in precedenza, ci troviamo di fronte a un sito archeolo- gico complesso. Nel presente studio sarà analizzata una singola tipologia monu- mentale complessa e di carattere cultuale, data dai tre edifici, presumibilmente coevi, afferibili a un tempio amegaron , ai suoi annessi e ai rispettivi recinti murari di natura sacra che ne delimitavano l’area, i cosiddettitemenos .

2. Analisi archeoastronomiche

Per l’analisi dei dati, i monumenti presenti sono stati presi in esame sin- golarmente e solo in seguito sono stati valutati i loro eventuali rapporti. In via preliminare nella successiva tabella si stimano gli azimut dell’orizzonte astrono- mico di levata e tramonto del sole ai solstizi: Tabella 1 Solstizio azimut levata azimut tramonto estate 58,43° 302,57° inverno 117,50° 242,50°

a) Megaron 1 Nell’area a sud-ovest del sito è presente il megaron 1, una struttura templare realizzata in granito e scisto, a pianta rettangolare, articolata in quattro vani (II fase = durante il Bronzo finale) e originaria ipotetica copertura a doppio spiovente, che ha mantenuto un orientamento astronomico univoco nel tempo. L’edificio oggi osservabile misura ai lati circa 18 m di lunghezza x 6 m di lar- ghezza; il lato maggiore è orientato in direzione NO-SE. In corrispondenza della facciata del tempio è situato il temenos, cui si accede attraverso un varco laterale del paramento murario, che racchiude il megaron. Il recinto sacro presenta uno schema ellittico, tendenzialmente a forma di 8, al cui interno si apre l’ingresso di una struttura a pianta circolare, che sembra funzionalmente connessa alla strut- tura sacra. Da un punto di vista archeoastronomico l’orientamento dell’ingresso è volto verso l’alba del solstizio d’inverno.

Tabella 2 a σa h12 δ 120,89° 0,14° 1,67° -22,16°

12 L’altezza h è stata misurata anche tramite inclinometro ma si è ritenuto preferibile stimarla tramite la funzione - Percorso - misura elevazione - del software di pubblico dominio Google Earth scaricabile all’indirizzo: https://www.google.it/intl/it/earth/, in quanto non sono presenti significativi ostacoli antropici (muri o fabbricati) per la misura del dato. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 165

La coincidenza dell’orientamento è stata verificata fotograficamente13 e con- ferma anche oggi i dati ricavati dalle misure. Il Temenos del megaron 1 è di forma tendenzialmente ellittica, con asse mag- giore in direzione SO-NE e, come già detto, ingresso a NE, non coincidente a quello del Megaron.

Tabella 3 a σa h δ 29,79° 0,14° 4,51° 45,94°

L’azimut non è compatibile con l’arco di levata solare o lunare; è comunque significativo come l’asse delTemenos sia pressoché perpendicolare a quello del Megaron (delta a = 91,1°).

Fig. 2. Pianta del megaron 1: orientamento solstiziale dell’ingresso perpendicolare all’ingresso del temenos.

Come già detto, a ovest delmegaron è presente una grande struttura circo- lare (C nell’immagine e Capanna 1 in pianta) del diametro di circa 6,60 m, con

13 Durante un sopralluogo svoltosi il 21/12/2014 l'équipe di studio ha verificato che il sole alla levata del solstizio d’inverno si proietta nella parete di fondo del monumento. 166 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros un breve vano di ingresso a pianta trapezoidale che si affaccia neltemenos . La lettura planimetrica di questo ambiente richiama analoghi schemi di edifici cul- tuali di età nuragica, di più recente individuazione. Gli studiosi ritengono che la sua edificazione sia coeva altemenos e alla ultima fase costruttiva della struttura templare e a essa funzionalmente legata, riconducibile quindi alla prima età del Ferro. L’ingresso è orientato con buona precisione all’alba del solstizio estivo:

Tabella 4 a σa h δ 58,33° 0,14° 4,88° 26,88°

Fig. 3. Pianta del megaron 1: orientamenti solstiziali dell’ingresso e dell’edificio C con ingresso neltemenos.

Nonostante la visuale sia in parte condizionata dalla presenza di una colli- na, anche in questo caso un sopralluogo svolto il 21 giugno14 ha confermato il fenomeno astronomico, con il sole che entra dall’ingresso e illumina il fondo del vano circolare.

14 In un successivo sopralluogo (21 giugno 2016) l'équipe di studio ha documentato anche fotograficamente, il fenomeno. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 167

b) Megaron 2 L’edificio, messo in luce da nuovi scavi negli anni 2009-2011, ha una pianta rettangolare con lato di fondo absidato, lunga circa 15,0 m e larga 5,6 m, con ingresso e orientamento dell’asse maggiore a S–E. Anche questa struttura ha subito diverse fasi costruttive le quali, pur mutando l’articolazione e configu- razione dei tre vani interni e del fronte anteriore, non ne hanno però modi- ficato l’asse, consentendoci di effettuare attendibili studi archeoastronomici. L’edificio presenta uno schema planimetrico ricollegabile a tre interventi di- stinti nel tempo, a partire, secondo la Fadda, dalle fasi finali del Bronzo recen- te, quando venne edificato il tempio rettangolarein antis e absidato. Ad una seconda fase, inquadrabile nel Bronzo finale, è ascrivibile la costruzione del temenos, che ingloba l’ingresso ora tamponato con un muro, e la realizzazione dell’altare situato nel vano posteriore: una composizione piuttosto elaborata e ottenuta dall’impiego di distinti materiali litici (basalto bolloso e vulcanite tenera) disposti a filari alternati, sovrapposti e curvilinei, di blocchi squadra- ti, con terminazione superiore data da un focolare rituale centrale di forma circolare, richiamante nell’insieme il coronamento di una torre nuragica. Il terzo e quinto filare, entrambi in basalto bolloso, sono caratterizzati, al centro della parete curvilinea, da una protome di ariete «con corna e occhi a globetto in alto rilievo» (terzo filare dal basso) e da una seconda protome di ariete in asse con la prima (quinto filare dall’alto). Durante la terza fase edilizia furono addossati al temenos due vani sussidiari aperti sul suo fianco destro. Questo, posizionato anteriormente al tempio, aveva originalmente una forma quadrangolare con assi di circa 10,00 m e angoli arrotondanti. Per ef- fetto della successiva costruzione al suo interno, lungo il lato Nord-est, si è prodotto un ridimensionamento dell’area del recinto, che ha comunque man- tenuto l’originario orientamento, coincidente con quello del megaron.

Tabella 5 a σa h δ 142,89° 0,14° 0,5° -37,75°

Da un punto di vista astronomico l’orientamento, a differenza delmegaron 1, non corrisponde a punti di levata solare o lunare. 168 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

Fig. 4. megaron 2: ingresso con azimut coincidente a quello del temenos.

c) Megaron 3 La terza struttura templare, a pianta rettangolare di circa 10,7 m di lunghez- za e 5,4 m di larghezza, è la minore del sito ed è quella che ha subito le maggiori modifiche dopo la sua costruzione. Anche la sua localizzazione è anomala, in quanto è stata realizzata nell’area NO di una delle cosiddetteInsulae abitative del sito, utilizzandone parte del paramento esterno. Sia l’ingresso che l’interno del monumento sono stati profondamente modificati e oggi è presente solo un singolo vano, nel quale è stata ricavata una piccola fornace nella zona absidale. Non si rilevano apparenti tracce di un temenos. L’orientamento degli assi del tempio risulta però ancora ben definito e possiamo misurare l’azimut della aper- tura, orientata a S–O:

Tabella 6 a σa h δ 215,54° 0,86° 0,29° -38,50°

L’azimut anche in questo caso non corrisponde a punti di tramonto di sole e luna. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 169

Fig. 5. megaron 3: ingresso con indicazione dell’azimut.

d) Confronto Megaron 2 vs Megaron 3 Le due strutture ci appaiono oggi alquanto differenti, sia nelle dimensioni che sotto l’aspetto architettonico. Dalla sua posizione sopraelevata megaronil 2 domina l’intera area, e rappresenta uno dei monumenti più importanti del sito. Il megaron 3 è posto in posizione defilata, quasi secondaria, edificato al lato di una delle Insulae abitative; non sembra che i due monumenti abbiano alcuna affinità. Studiando gli azimut e le relative declinazioni di levata dobbiamo però osservare come siano simmetrici al meridiano e orientati verso i punti di levata (megaron 2) e tramonto (megaron 3) di un medesimo ipotetico astro dell’emisfe- ro celeste meridionale.

Tabella 7 Megaron a h δ Δ a ⇒ S 2 142,89° 0,15° -37,75° -37,11° 3 215,54° 0,29° -38,50° +35,54° 170 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

Fig. 6. megaron 2 e megaron 3: orientamenti degli ingressi simmetrici rispetto al meridiano. Quali siano gli astri o stelle che erano visibili in levata dalmegaron 2 e in tramonto al megaron 3 non è certo. A causa della precessione degli equinozi il cielo visibile oggi è differente da quello che si poteva osservare in età nuragi- ca. È comunque possibile riprodurre il cielo visibile all’epoca della prima fase costruttiva del megaron 2 (circa 1200 a.C.). Con l’ausilio dei moderni Planetari digitali15 è possibile formulare una ipotesi relativa a quale siano gli astri o asteri- smi coincidenti con l’orientamento misurato; nella successiva tabella sono indica- ti nella prima colonna i possibili target astronomici, nella seconda la declinazione dell’astro, nella terza la D d pari al modulo della differenza tra declinazione della stella e declinazione calcolata sull’orientamento dell’ingresso del megaron 2, infi- ne nella quarta colonna la D d calcolata come per la colonna precedente ma riferi- ta al tramonto della medesima stella e all’orientamento del megaron 3:

Tabella 8 Stella δ Δ δ levata Δ δ tramonto g Cru -39,37° -1,62° -0,87° d Cru -41,42° -3,67° -2,92° b Cru -42,16° -4,41° -3,66° b Cen -43,01° -5,26° -4,51°

15 Sono numerosi i software oggi disponibili in rete o a pagamento che hanno le funzioni necessarie per correggere sia la precessione degli equinozi che gli spostamenti delle stelle dovuti al loro moto proprio; tra tutti ricordiamo Stellarium, prodotto dal team di sviluppo www.stellarium.org. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 171

Come si può osservare la differenza tra orientamento dei monumenti e astri proposti non ci permette di individuare un obiettivo certo; anche se la stellag Cru può rappresentare un target, l’asterismo (Crux) di cui fa parte si trova in posizione più meridionale. Un ulteriore legame astronomico tra i monumenti è rappresentato dalla posizione reciproca rispetto al meridiano dei duemegaron ; l’asse che congiunge l’ingresso del megaron 2 all’ingresso del megaron 3 ha un orientamento solstiziale:

Tabella 9 a h δ 119,59° 0,67° -21,77°

Fig. 7. megaron 2 e megaron 3: ingressi legati da un orientamento solstiziale (alba del solstizio d’inverno).

3. Analisi Archeometriche

La ricerca dell’unità di misura e delle geometrie ha portato a evidenze im- portanti, soprattutto per quanto riguarda l’obiettivo principale di questa indagi- ne, ovvero la differenziazione delle fasi costruttive. Per ottenere le unità di lunghezza si procede nel modo proposto da Ranieri in numerosi studi16, dopo aver effettuato le necessarie operazioni di best fit delle

16 Ranieri (1997, 2003, 2005, 2008, 2011, 2013 2014, 2015). 172 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros strutture utilizzando i punti campionati col GPS differenziale. Nello specifico si sono ottenuti i seguenti risultati, raggruppati per tipologia di struttura e unità di misura stimata e nelle tabelle si riportano: le unità di misura ottenute per ogni struttura analizzata e il loro relativo errore; le terne pitagoriche o quasi pitagoriche che regolano lo squadro nelle strutture rettangolari e i rapporti tra le circonferenze esterne nel caso di strutture circolari; gli eventuali poligoni in- scritti in queste. In via preliminare sono state analizzate una parte delle struttu- re presenti, in particolare i megaron 1 e 2 con il suo temenos, l’insula principale, i due forni fusori e alcune capanne. Le strutture sono state analizzate nella loro fase finale e mostrano la presenza di almeno quattro unità metriche differenti che consentono una loro prima suddivisione in gruppi omogenei.

Fig. 8. Strutture suddivise in gruppi in funzione delle unità metriche costruttive utilizzate.

Gruppo 1 Il primo gruppo è costituito dal megaron 1, Capanna 1 (struttura circolare che si affaccia sultemenos ) del megaron 1 e Capanna 3 del megaron 1, esterna alla struttura templare, e dalmegaron 2. Queste presentano un’unità compatibile con il piede di Egina o di Pergamo (0,333 m), grandezza utilizzata in epoche successive nella Grecia classica, riconducibile a ¾ del cubito attico di 0,444 17m .

17 Hornblower (2012). Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 173

Tabella 10 Struttura Unità (m) σ (m) Rapporti/Terne Poligono inscritto Megaron 1 0.332 0.001 (6-18-19) X 3 Capanna 1 Megaron 1 0.331 0.001 10-7 Quadrato Capanna 3 Megaron 1 0.329 0.001 20-13 (sui diametri) Megaron 2 0.336 0.001 (12-33-35) X 4/3

Gruppo 2 Nel secondo gruppo sono presenti il temenos del megaron 2 e la Capanna 1 dei Forni di fusione con un’unità molto simile al piede attico di 0,296 m. Questa unità di misura, riconducibile al “sistema metrico greco”, porta a ipotizzare una probabile differenza di epoca costruttiva delmegaron 2 e del suo temenos.

Tabella 11 Struttura Unità (m) σ (m) Rapporti/Terne Poligono inscritto Capanna 1 Forni 0.304 0.001 11-8 Temenos Megaron 2 0.295 0.002 (3-4-5) X 11

Gruppo 3 Nel terzo gruppo sono presenti i Forni di fusione, l’Insula e la Capanna 2 Forni. L’unità metrica calcolata è pari a circa 0,255 m, che può essere avvicinata, per similitudine, al valore del mezzo cubito punico (0,257 m)18.

Tabella 12 Struttura Unità (m) σ (m) Rapporti/Terne Poligono inscritto Insula 0.255 0.001 38-34, 38-14, 34-14 Ettagono Forni 0.254 0.001 13-12 Capanna 2 Forni 0.255 0.001 14-9

Gruppo 4 L’ultimo gruppo è composto dalla sola Capanna 2 del megaron 1 che è sicu- ramente antecedente alla struttura templare in quanto iltemenos ne ha ingloba- to una parte ed è stato costruito sopra di essa. L’unità metrica stimata (0,367 m) conferma la realizzazione da maestranze diverse rispetto altemenos , e il valore non sembra avere corrispondenze con altre unità note.

18 Montali (2015). 174 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

Tabella 13 Struttura Unità (m) σ (m) Rapporti/Terne Poligono inscritto Capanna 2 Megaron 1 0.367 0.001 10-7 Quadrato

Dalla disamina di questi valori si può proporre che i singoli gruppi presen- tino al loro interno strutture coeve. I dati confermano una possibile contem- poraneità delle fasi costruttive finali deimegaron 1 e 2 e della grande struttura circolare che si affaccia sultemenos del megaron 1. Tra le altre strutture misu- rate la Capanna 1 prossima ai forni fusori, parrebbe avere la medesima unità metrica del temenos del megaron 2, differente e non coeva a quella utilizzata per la costruzione degli adiacenti forni che invece sembrano contemporanei alla Insula abitativa.

Conclusioni

Gli orientamenti simmetrici rispetto al meridiano deimegaron 2 e 3, indi- cherebbero la volontà di allineare le strutture, oltre che verso fenomeni solari come per il megaron 1 e la Grande Capanna, anche verso l’ascesa e il tramonto delle stelle. Non abbiamo elementi che giustifichino eventuali funzioni pra- tiche o di calendario ma appare certa la consapevolezza della conoscenza di eventi astronomici complessi e del loro legame ad aspetti culturali. In conclu- sione, le corrispondenze astronomiche a S’Arcu ’e is Forros appaiono molte- plici, ma a quali ritualità e a quali scopi siano esse associate non è a noi noto. Cionondimeno, la loro presenza suggerisce uno scenario culturale fortemente legato alla sfera celeste. Le misurazioni archeometriche, ancora da approfondire e sviluppare in un quadro comparativo di carattere tipologico e per insiemi, evidenziano l’appli- cazione di distinte unità di misura per dati raggruppamenti, quasi a sottoli- neare che tali differenze rimandino a fasi edilizie temporalmente distanti da parte di maestranze artigiane portatrici di know how propri. Nel proseguo delle indagini e delle ricerche si studieranno e si verificheranno in modo più approfondito e sistematico, alla luce dei dati archeologici, le relazioni e i rap- porti di causa e effetto eventualmente istituibili tra questi insiemi di dati. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 175

Fig. 9. Circonferenze restituite dal fit e la direzione delle entrate nelle strutture circolari analizzate. A) Capanna 1 Forni, B) Capanna 1 megaron A, C) Capanna 2 Forni, D) Capanna 2 megaron A, E) Capanna 4 megaron A, Forni. 176 La misura del tempo. S’Arcu ’e is Forros

Fig. 10. Insula: le tre circonferenze concentriche restituite dal best fit.

Fig. 11. In alto lo squadro quasi pitagorico (12-33-35) x 4/3 del megaron 2 e quello pitagorico (3-4-5) x 11 del suo temenos. In basso la terna quasi pitagorica (6-18-19) x 3 del megaron 1. Simonetta Castia - Michele Forteleoni - Marcello Ranieri 177

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Maurizio Chirri1, Michele Ceddia2, Isabella Leone2, Giorgio Manzi3 1Dipartimento di Scienze, Università Roma Tre, [email protected] 2Università La Sapienza 3Dipartimento di Scienze Ambientali, Università La Sapienza

Riassunto. Il culto mitraico presentava rilevanti contenuti astrologici e astronomici, e, in alcuni casi specifici, riferimenti a osservazioni di particolari fenomeni celesti. In questo lavoro si esaminano le rappresentazioni astrali, contenute negli affreschi del mitreo Barberini in Roma, e nel bassorilievo e nel gruppo scultoreo, rinvenuti rispettivamente nei mitrei Petrini e Fagan in Ostia. I tre mitrei sono concordemente ritenuti risalire al periodo compreso fra la seconda metà e inizio del terzo secolo. Il catalogo di Tolomeo riporta i dati astrometrici di 1064 stelle, comprendenti i gruppi delle Pleiadi e delle Iadi, riporta inoltre numerose osservazioni di congiunzioni e occultazioni della Luna, con stelle e con gli ammassi stellari delle Iadi e delle Pleiadi, effettuate in un arco temporale di oltre quattro secoli. In questo lavoro si avanza l’ipotesi che il campo stellare dipinto nel mantello del dio al mitreo Barberini, come il crescente lunare sullo sfondo di sette stelle, sempre nel mantello di Mithra, nel bassorilievo e nel gruppo scultoreo dei mitrei Petrini e Fagan, siano possibili rappresentazioni di eventi celesti realmente osservati, quali congiunzioni con gli ammassi stellari precitati, che il nostro satellite compie ciclicamente, per effetto della rapida precessione dei suoi nodi orbitali.

1. Introduzione

Questo lavoro è stato realizzato nell’ambito dell’insegnamento di Muse- ologia del Prof. Giorgio Manzi, per il Corso di laurea di Scienze e Tecnologie Applicate ai BB.CC. dell’Università La Sapienza di Roma. Da tale ambito nel 180 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo

2014 è scaturito il progetto S.T.A.R, acronimo per “Siti di Turismo Astronomi- co in Roma”. La Capitale ha un tessuto urbano ricco di monumenti e luoghi che vengono visitati per il loro elevatissimo valore storico e artistico. Alcuni di questi siti sono anche caratterizzati da un simbolismo astronomico, legato a originali finalità, in molti casi del tutto ignorato nelle guide e informazioni disponibili. L’intento è divulgare quest’insolito aspetto del territorio, valo- rizzando anche percorsi turistici minori, attraverso un supporto tecnologico innovativo, ovvero un’applicazione per smartphone e tablet (Android e IOS) disponibile in italiano e in inglese, la APP STAR. Tutti i materiali utilizzati nell’APP STAR, o per sue future implementazioni, testi informativi, prodotti grafici e multimediali, interpretazioni iconografiche e simboliche, misure e rilievi, sono il risultato del lavoro annuale degli studenti di Museologia. L’o- biettivo di questo lavoro è verificare se, in ragione dello specifico contenuto astronomico e astrologico del culto, alcune rappresentazioni di tipo astrale in gruppi scultorei, bassorilievi, affreschi, in mitrei di Roma e Ostia, possano riferirsi a fenomeni astronomici occorsi, oppure a particolari regioni celesti. E’ opinione condivisa da differenti autori che il culto riservasse una cura par- ticolare, oltre che per la rappresentazione di aspetti cosmologici e planetari simbolici, anche per l’osservazione di rilevanti eventi celesti.

2. Mitrei con rappresentazioni astrali in Roma e in Ostia del periodo Antoniniano

2.1. I mitrei Fagan e Petrini Durante la prima fase degli scavi in Ostia, tra la fine del XVIII e inizio XIX secolo, furono portati alla luce i due primi mitrei. Gli scavi furono con- dotti rispettivamente da R. Fagan (1765-1816) fra il 1798-1802, e da G. Petri- ni fra il 1802-1804. I due antiquari scavarono rispettivamente presso l’area del Palazzo imperiale e nelle adiacenze del Teatro. Successivamente gli scavi furono ripresi da C.L. Visconti (1864), da R. Lanciani (1886) e da G. Becatti (1950-1955). Mentre il mitreo Petrini è stato prevalentemente identificato con l’attuale mitreo delle Sette Sfere (insula II, regio VIII), i riferimenti al mitreo Fagan non hanno finora trovato una corrispondenza con i mitrei e siti rico- nosciuti. All’interno dei due mitrei furono rinvenute un’ampia collezione di dedicazioni, suppellettili, e due rappresentazioni della tauroctonia. In partico- lare Petrini rinvenne una lastra a bassorilievo in marmo pavonazzetto (dimen- sioni m 1,17 x 1,1) la cui replica è visibile oggi sul fondo del mitreo, e il Fagan rinvenne un gruppo scultoreo sempre in marmo pavonazzetto (dimensioni m Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 181

Fig. 1. La Galleria Lapidaria (Musei Vatica- Fig. 2. Il bassorilievo in marmo pa- ni), foto gentilmente concessa dal dott. Piero vonazzetto (dimensioni m 1,17 x 1,1), Musilli. CIMRM 245, rinvenuto nel cosiddetto mitreo Petrini (1802-1804), attualmente mitreo delle Sette Sfere, con crescente lunare e sette stelle, incise nel mantello del dio. Galleria Lapidaria pos. XXXIII n.1, foto da G. Becatti op.cit..

1,42 x 0,84). Ambedue gli originali sono attualmente conservati nella Galleria Lapidaria dei Musei Vaticani (Figura 1). Il primo bassorilievo (Figura 2; CIMRM 245), con un corredo epigrafico cir- colare (CIMRM 248, C.I.L. XIV 60), è attribuito al periodo Antoniniano (inizio seconda metà del II secolo), indicando un’età di poco inferiore a quello Fagan (Galleria Lapidaria pos. XXXIII n. 1). Il bassorilievo rinvenuto dal Petrini era collocato nel mitreo delle Sette Sfere, la cui data fondativa è ricondotta da vari autori a un evento astronomico. Il rilievo presenta la consueta tipologia della tauroctonia, il dio è vestito di un chitone, con un ampio mantello spiegato al vento. Fra le pieghe del mantello sono rappresentate, come nel mitreo Bar- berini, sette stelle e nell’area stellata è presente un crescente lunare. Anche il gruppo scultoreo del mitreo Fagan (Figura 3), con un’estesa iscrizione de- dicatoria al “indeprehensibilis dei”, al dio inafferrabile, attribuita alla fine del II secolo (C.I.L. XIV 64), presenta gli elementi tradizionali della tauroctonia, e nel mantello spiegato del dio sono egualmente rappresentate sette stelle con il crescente lunare (Galleria Lapidaria pos. XXXIII n.10). In ambedue gli oggetti, il crescente lunare è rappresentato con un diametro comparabile a quello dello sfondo stellato circostante. 182 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo

Fig. 3. Gruppo scultoreo in marmo pavonazzetto, scoperto da R. Fagan (1798-99); il mantello del dio presenta il crescente lunare e sette stelle (mitreo non identificato, Ostia). Galleria Lapidaria pos. XXXIII n.10, foto da G. Becatti op.cit.

Fig. 4. Affresco della nicchia absidale del mitreo Barberini, CIMRM 389, via delle Quattro Fontane 11, Roma; foto degli autori. 2.2 Il mitreo Barberini Entrando nel mitreo Barberini, il visitatore rimane particolarmente colpito dallo stato di conservazione dei freschi nella nicchia absidale (Figura 4). Una serie di dieci quadretti (pinakes), illustranti la vita di Mithra, incornicia la scena centrale della Tauroctonia, a sua volta sovrastata da una rappresentazione dello zodiaco, recante in posizione centrale Kronos, il dio leontocefalo, avvolto in spire serpentiformi e assiso su un globo terrestre. La data di realizzazione delle pitture è stata variamente assegnata dai diversi autori tra la fine del II secolo e la prima metà del III; la più probabile risulta quest’ultima (Coarelli, 1974). Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 183

Fig. 5. Dettaglio del mantello del dio, al mitreo Barberini, mo- strante i sette astri, rappresentati con otto raggi convergenti, sullo sfondo di altri astri rappresentati da cerchietti e raggi.

Il dio Mithra, sovrastante il dorso del toro, nell’atto del sacrificio rivolge lo sguardo all’indietro verso il Sole; le vesti sono di foggia orientalizzante, di colore celeste, il mantello di colore variegato dall’arancio al rosso è dispiegato, come se esposto a un vento teso. All’interno del mantello è rappresentato un asterismo di sette stelle, costituito da un quadrilatero sovrastato da altri tre astri non allineati di colore giallo-dorato, sullo sfondo circostante sono sparse altre quindici stelle. La simbologia degli astri è differenziata: quelli nel mantello sono disegnati con otto raggi convergenti, le altre stelle disperse nell’affresco sono rappresentate da cerchietti con otto punte (Figura 5). Inoltre le sette stelle prin- cipali sono all’interno di una doppia area concentrica di forma nebulare, con intensità di colore crescente.

3. Le occultazioni lunari e dati astrometrici nel catalogo di Tolomeo

3.1. Alcune considerazioni per un’ipotesi astronomica L’interpretazione diffusa della rappresentazione di sette astri nell’iconogra- fia mitraica è prevalentemente riferita ai cinque pianeti noti nell’antichità, alla luna e al Sole, ed è evidentemente connessa ai gradi iniziatici, e altri simbolismi riferibili al numero sette. Nel caso delle tauroctonie presenti nei mitrei Fagan e Petrini, la Luna è all’interno di un’area comprendente altri sette astri (non sei), rappresentati piuttosto come uno sfondo celeste. Alcune testimonianze ar- cheologiche del culto sono state rapportate a eventi astronomici particolari, a partire dalla prima rappresentazione di Mitra, nota in età classica, nel mausoleo 184 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo di Antioco di Commagene sulla cima del Nemrut Dag, costruito in occasione di una congiunzione planetaria verificatasi nell’agosto del 62 a.C. Nel caso dei mitrei in Ostia, proprio per quello delle Sette Sfere è stata proposta l’ipotesi di R. Gordon (1976), variamente modificata e integrata da R. Beck (1979), e da F. Coarelli (1989), per un’interpretazione astronomica della data di costruzione, identificata nel 21 marzo del 172/173(?) d.C., anche in questo caso in occasione di una congiunzione planetaria. Nel caso del mitreo Barberini, la posizione dei sette astri rappresentati, traslata su una griglia eclitticale, mostra una discreta coincidenza con i dati astrometrici delle Pleiadi contenuti nel libro VIII dell’Al- magesto (vedi Tabella A).

Tabella A. La tabella riporta in otto colonne, descrizioni e dati astrometrici comparati delle quattro stelle delle Pleiadi, presenti nel catalogo di Tolomeo, integrando anche le due stelle di quello copernicano, in quanto rilevati con lo stesso metodo pre-strumentale delle occultazioni, e quindi teoricamente disponibili anche in epoca classica. Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 185

Sulla base di queste considerazioni, si rileva che l’osservazione visuale della Luna consente di riconoscere uno sfondo stellato circostante esclusivamente durante particolari eventi astronomici: una congiunzione stretta o un’occulta- zione di due ammassi aperti, le Iadi e le Pleiadi. 3.2 Il moto della Luna e gli ammassi aperti delle Iadi e Pleiadi La Luna descrive un’orbita il cui piano è inclinato di 5,1° rispetto all’eclit- tica, quindi il satellite occulta oggetti celesti presenti in una fascia di circa 10°, estesa a Nord e Sud dell’eclittica. La linea dei nodi compie una retrogradazione in 18,6 anni; con tale periodicità, alternativamente i nodi ascendente e discen- dente coincidono con il primo d’Ariete. In quello che è comunemente definito il “sentiero della luna” (Figura 6), sono compresi due ammassi aperti chiaramente osservabili: le Iadi e le Pleiadi.

Fig. 6. Diagramma dell’orbita lunare rispetto all’eclittica.

Le Pleiadi si trovano a circa 4°N dall’eclittica, hanno dimensioni angolari di circa 1°N-S x 1°20’E-W, e sono immerse in una debole luminosità percepibile solo vagamente a occhio nudo con cielo limpidissimo. Le dimensioni angolari visuali del campo sono 120’x 60’, oltre il triplo dell’ampiezza angolare della Luna piena. Le sette stelle visibili a occhio nudo, hanno magnitudini comprese fra 3,85 di e 5,1 di Taigete (vedi Tabella B). 186 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo

Tabella B. Dati astrometrici delle Pleiadi e delle Iadi, contenuti nel catalogo di Tolomeo, tratta da “Ptolomy’s catalogue of stars”, C.H.F. Peters, op.cit. Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 187

Le Iadi si estendono, in forma circa triangolare, su un’area di 5°x2°, la stella più brillante dell’ammasso è (la cui contiguità al gruppo è solo prospet- tica). Le Iadi hanno latitudine eclitticale compresa fra 2°-5° S, pertanto risultano occultabili con maggiore frequenza rispetto alle Pleiadi. Per effetto del moto an- tiorario della Luna (mediamente circa 0,5° ora), della posizione del satellite lungo l’orbita e minore o maggiore prossimità alla linea degli apsidi, i tempi dell’occul- tazione delle diverse stelle nei due ammassi sono variabili fra 2-4 ore. Come esem- pio abbiamo riprodotto, conStellarium , l’occultazione di Aldebaran verificatasi il 29/10/2015 (Figura 7), e l’occultazione delle Pleiadi del 20/04/2006 (Figura 8).

Fig. 7. Simulazione dell’occultazione lunare di Aldebaran del 29/10/2015, con programma Stellarium.

Fig. 8. Simulazione dell’occultazione lunare centrale delle Pleiadi del 02-04-2006. Inizio dell’occultazione alle ore 0.08, occultazione di Elettra e alle ore 0.40, e fine occultazione di Elettra ed inizio occultazione di Alcyone alle ore 1.55. 188 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo

L’osservazione del fenomeno in età classica poteva avvalersi solo di stru- menti non ottici, quali astrolabi sferici, anche di diametro rilevante, e cerchi meridiani con mira (Almagesto L.V). La misura dei tempi di vari fenomeni astro- nomici avveniva per mezzo di orologi ad acqua, piuttosto precisi, dotati anche di parti meccaniche (Ctesibio).

3.3 Misure astronomiche di ammassi stellari disponibili in epoca tolemaica: le Iadi e le Pleiadi Il catalogo di Tolomeo (Almagesto L.VII-VIII) riporta le coordinate eclitti- cali di oltre 1060 stelle delle 48 costellazioni visibili fra i due emisferi, con la peculiarità che le longitudini eclitticali sono riferite a dodici stelle minori, non catalogate, ma osservabili, collocate lungo l’eclittica o in sua prossimità, per altrettante costellazioni zodiacali. Nel caso del Toro, la stella di riferimento è identificabile verosimilmente nella 13 Tau (mag 5.45), giacente sull’eclittica, e sono elencate 33 stelle, in- cluse sette stelle delle Iadi, compresa la splendente Aldebaran, e quattro del- le Pleiadi (tre dell’ammasso, più una adiacente; vedi Tabella B, da Ptolomy’s catalogue of stars, C.H.F. Peters). Per le Pleiadi, gli astri sono tutti del settore orientale dell’asterismo, mancano quindi quelle distinguibili a occhio nudo del lato occidentale, Elettra e . Queste ultime sono invece riportate nel catalogo di Copernico (1473-1543), realizzato circa 1300 anni dopo, ma sempre con tecnica pre-strumentale, e per tale motivo inserite nella Tabella A. Cinque delle stelle (tre del catalogo di Tolomeo e due di Copernico), sono di mag 5, con la notevole eccezione della stella identificata come “la piccola stella settentrionale fuori delle Pleiadi”, mentre effettivamente variano fra la mag 2,85 di Alcyone e 3,6 di -Atlante (le due stelle sono verosimilmen- te indistinguibili per contiguità) e la mag 5,65 di 18Tau; forse un indice della difficoltà a discernere fra interdistanze angolari modeste. Per le Iadi il catalogo riporta la stella di magnitudine 1, Aldebaran, e cinque stelle di magnitudine 3-4: la gamma, delta, epsilon, teta, e iota Tauri. Le coordinate astronomiche erano espresse nel sistema eclitticale, e la misura della longitudine avveniva riferendosi a punti fissi dello zodiaco, coincidenti con meridiani passanti per stelle minori, generalmente non riportate nel catalogo (Al- magesto L.VII-VIII), per esempio per la costellazione del Leone, la n Leonis. Tolo- meo (100-178 d.C.), le cui registrazioni astronomiche al Museo di Alessandria sono comprese fra il 127-151, potrebbe avere osservato, egli stesso, la favorevole occul- tazione lunare delle Pleiadi del 148 d.C., o meno verosimilmente quella del 167 d.C. Anche il globo dell’Atlante Farnese, con le sue quarantuno costellazioni, evidenzia l’uso di dati astronomici precisi per i cerchi celesti e in particolare per Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 189 l’intersezione dell’equatore celeste con i coluri equinoziali, dati probabilmente riferibili al catalogo perduto di Hipparcos. 3.4 Misure astrometriche pre-strumentali e il metodo delle occultazioni Alcune misure angolari riportate nell’Almagesto, particolarmente se riferite a ammassi stellari quali appunto, le Pleiadi e le Iadi, o altri dati presenti in Ipotesi Planetarie, difficili da misurare con tecnologia pre-strumentale, sono descritte nel L.VII par. 3 dell’Almagesto. Tolomeo riferisce che tali misure furono effettuate da autori diversi, utilizzando il metodo delle occultazioni lunari, e confrontate, tenendo conto dei periodi intercorsi, per ottenere il valore medio della preces- sione equinoziale. Le misure descritte si riferiscono a diverse stelle, osservate col metodo delle occultazioni, a partire da Timochari (Alessandria 320-260 a.C.). L’a- stronomo alessandrino registrò nel febbraio del 283 a.C. (mese di Athyr giorno 29, del 47 anno del I Ciclo Callipico) l’occultazione lunare del lato orientale delle Pleiadi, misurando le coordinate eclitticali di long. E 29° 30’, lat N 3° 40’. L’astro- nomo Agrippa (fl. I-II sec d.C.) osservò in Bitinia (Nicomedia-Izmit?) nel 92 d.C., l’occultazione, registrando per il lato orientale delle Pleiadi long. E 33° 15’, lat N 3° 40’. La differenza in longitudine di 3° 45’ e la latitudine coincidente, nei 375 anni intercorsi, consentì a Tolomeo di confermare che il moto precessionale avveniva rispetto al polo dell’eclittica, e di stabilire in circa 1° per secolo il valore della precessione (verosimilmente aggiornando così i valori del catalogo di Hipparcos). Sia le Pleiadi che le Iadi sono state oggetto di misure di precisione, anche per determinare la variazione secolare in coordinate equatoriali delle rispettive la- titudini. Specificamente Tolomeo riporta che, per la stella centrale delle Pleiadi (Merope?), Timocharis misurò lat N 14° 30’, Ipparco lat N 15° 10’, egli stesso lat N 16° 15’. Complessivamente nell’Almagesto sono riportate le occultazioni lunari di altre tre stelle, Spica, g e d Scorpii, effettuate rispettivamente da Timocharis nel 295 a.C., in Alessandria, e da Menelao (Alessandria 70-140 d.C.), a Roma nel 96 d.C. Tolomeo riferì anche di occultazioni planetarie (L.X, par. 3), Timocharis aveva osservato nel 268 a.C. Venere, che aveva occultato (o era in congiunzione strettissima, a meno di 15” d’arco)h Virginis. Questi fenomeni sono stati osser- vati in un periodo esteso fra il 283 a.C e il 160 d.C., consentendo di verificare po- sitivamente, per almeno 450 anni, l’utilizzazione del metodo delle occultazioni per la determinazione di misure astrometriche. 3.5 Altre rappresentazioni pittoriche astronomiche in età classica e tardo classica Sono sopravvissute rare testimonianze di rappresentazioni pittoriche astro- nomiche, di età classica. Tra questi reperti, alcuni come il cielo stellato nel man- tello del dio, al mitreo di Marino, sono di tipo qualitativo. Il mitreo di Ponza rap- 190 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo

Fig. 9. La volta affrescata del mitreo di Ponza, con il piano delle dodici costellazioni zodiacali, il cielo delle Orse e il Drago.

Fig. 10. La cupola del calidarium delle terme annesse al “palazzo celeste” di Qusayr Amra, inizio VIII secolo, periodo Omayyade (regione di Amman, Giordania). presenta le costellazioni sulla volta ipogea, con il circolo zodiacale come piano di riferimento (Figura 9). Le costellazioni sono raffigurate con disegni ispirati alla tradizione classica, ma non vi sono rappresentate stelle. Un caso particolare è costituito dalla cupola di Qusayr Amra (Giordania), del periodo Omayyade, inizio dell’VIII secolo, ma chiaramente ispirata a mo- delli greco romani (Figura 10). La cupola rappresenta la volta celeste con le Maurizio Chirri - Michele Ceddia - Isabella Leone - Giorgio Manzi 191 costellazioni tolemaiche, lo zenit corrisponde al polo celeste nord, con nove cerchi orizzontali, dalla latitudine 67° a -40° in coordinate equatoriali. Sono inoltre rappresentati 12 archi longitudinali che si originano dal polo dell’e- clittica, nella costellazione del Drago, intersecanti la fascia zodiacale (Figura 11). L’analisi delle figure zodiacali, la cui rappresentazione appare invertita, evidenzia che il modello a cui si è ispirato l’autore doveva essere un globo celeste con le costellazioni viste dall’esterno. Le misure angolari risultano so- stanzialmente corrette (Saxl e Beer, 1932).

Fig. 11. Schema grafico illustrante la complessità della realizzazione pittorica della volta celeste in Qusayr Amra (Saxl e Beer 1932).

4. Conclusione

L’insieme delle considerazioni svolte, secondo gli autori, consente di pro- porre l’ipotesi di una non casuale raffigurazione degli asterismi nel mantello del dio, rappresentato nelle opere dei mitrei Petrini, Fagan e Barberini, riferibile all’esito di osservazioni dirette o di resoconti di occultazioni lunari, degli am- massi stellari delle Iadi o delle Pleiadi (p.e. quelle avvenute nel 148, o 167, o 185 d.C.), e anche ai dati astrometrici relativi, nel catalogo dell’Almagesto. L’Alma- gesto era verosimilmente disponibile all’epoca, nella sezione greca delle mag- giori Biblioteche pubbliche o private in Roma, o in attendibili resoconti dello 192 Testimonianze archeologiche e dati astronomici del catalogo di Tolomeo stesso. Per esempio si vedano nel catalogo delle fonti dell’Historia Naturalis (L. I) i ventisette astronomi e geografi greci le cui opere furono consultate da Plinio per la stesura del libro II sull’Astronomia.

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Annamaria Dallaporta, Lucio Marcato SIA, ISMEO, Indian Archaeological Society

“Una città dotata dei tre elementi di base, erba, acqua e terra fertile, fondata in occasione di una vittoria, con la funzione principale di proteggere la frontiera, è chiamata dai saggi vijaya” (Mayamata 29, 106). Abstract. There are many good reasons to assume that the parallel directions of the colonnaded streets pertained to the Vijayanagar main temples, already connected with Sirius, were joint with the king Krishnadeva victory at Udayagiri, against the king of Orissa. Really the direction of the streets would be in accordance with that of Udayagiri fort, taking on thus important symbolic meanings.

Premessa

Vijayanagar (lett.: città della vittoria), 15°20’N - 76°30’E, fu fondata (1336 o 1346) come capitale di un vasto regno hindu dell’India del sud (Figura 1). Dopo la rovinosa sconfitta nella battaglia di Talikota del 1565, inflitta dai sultani del Deccan, ciò che rimase del regno ebbe un rapido declino e la capitale si trasfor- mò ben presto in una desolata distesa di rovine1. Negli ultimi trent’anni Vijaya- nagar è stata oggetto di numerose campagne disurvey e di rilievo2 del Vijaya- nagar Research Project, coordinato da G. Michell, J.M. Fritz e D.V. Devaraj, che hanno avuto il merito di aver documentato con accuratezza il sito stimolando intorno ad esso un rinnovato interesse degli studiosi. Come si può vedere nella

1 I resti suggestivi della città, sparsi oggi su un’area di almeno 25 km quadrati, dal 1987 sono tutelati dall’UNESCO senza che per questo ne sia derivato qualcosa di diverso dall’abituale incuria di cui ancora oggi patiscono. 2 Oltre a qualche campagna di scavo e restauro dell’Archaeological Survey of India. 194 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India) planimetria di Figura 2, le strade cerimoniali dei tre templi più importanti della città risultano pressoché parallele3. Il nostro articolo propone, di questo partico- lare aspetto della morfologia urbana, un significato alternativo a quello fin qui accettato, avanzato dall’astronomo J. McKim Malville (2000, p. 113).

Fig. 1. India del sud. Estensione del regno di Vijayanagar verso la metà del XVI sec. (da costa a costa, all’altezza della città di Vijayanagar, corrono circa 700 km).

Le strade cerimoniali

Questo particolare tipo di strade, lastricate e rettilinee, aveva generalmente una larghezza maggiore di tutte le altre e i lati, di solito porticati, venivano de- stinati a mercati più o meno occasionali e a ricovero dei pellegrini. La lunghezza

3 La strada del quarto grande tempio, quello di Tiruvengalanatha (o di Achyutaraya) forse del 1534, corre di poco discosta dalla direzione nord/sud per congiungere l’ingresso nord del tempio con una piattaforma cerimoniale distante m 370 ca. Annamaria Dallaporta - Lucio Marcato 195 di ogni strada cerimoniale era stabilita in base a considerazioni numerologiche e astrologiche combinate alle esigenze delle fastose, ricorrenti celebrazioni che vi sarebbero state effettuate in onore delle divinità maggiori della città, dai cui templi le strade cerimoniali avevano inizio. In quelle occasioni sfilavano, con grande par- tecipazione di folla, appositi carri trionfali che trasportavano il simulacro proces- sionale della divinità dal proprio tempio fino a un padiglione, all’altra estremità della strada, dove si ricongiungeva alla raffigurazione del suo ‘veicolo’ o a quella della personificazione della sua potenza. La sosta poteva durare anche qualche giorno e quindi il simulacro faceva ritorno al tempio pomposamente come nell’an- data. Il tragitto, in un senso o nell’altro, poteva prevedere una solenne abluzione lustrale presso una vasca o un bacino (Verghese 1995, p. 102).

Fig. 2. Planimetria di massima del sito di Vijayanagar: 1, complesso del tempio di Krishna; 2, complesso del tempio di Virupaksha; 3, complesso del tempio di Vitthala (rielab. da Verghese 1995, fig. 1). 196 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India)

La strada cerimoniale costituiva un attributo dei templi di fondazione reale perciò le più importanti festività religiose vi si svolgevano alla presenza del re e della corte. Era lo stesso sovrano a decidere, in particolari occasioni, la costruzione di una strada cerimoniale assumendosene gli oneri. Intervenendo nel disegno urbano con un’opera di grande visibilità, aveva lo scopo dichiarato di onorare una delle divinità tutelari della dinastia e della città, facendone in qualche modo partecipi i cittadini che con lui ne avrebbero beneficiato. Scopi intrinseci erano la sua omologazione alla divinità, l’attestazione del suo potere, uno scontato ritorno di immagine e il rafforzamento del consenso che ne poteva derivare. Per questo il re non solo promuoveva la costruzione di strade cerimo- niali nella capitale ma ne donava, in alcune circostanze, ai templi maggiori di altre città fedeli. È il caso del re Krishnadeva (1471-1529; inglobando il titolo al nome: Krishnadevaraya), testimoniato da una iscrizione (Annual Report of Indian Epigraphy, 1919, n. 641) in cui si legge di un suo intervento nel 1517 per assicurare una strada cerimoniale a ciascuno dei templi di Ekamranatha e di Va- radaraja a Kanchipuram (Verghese 1995, p. 77), uno shivaita e l’altro vishnuita. Bisogna ricordare che i sovrani di Vijayanagar cercarono di favorire (ma con scarso successo) lo sviluppo del culto di Hari-hara, figura divina sintesi di Shiva e di Vishnu (Basham 1954, p. 311) attribuendo così di riflesso, almeno formal- mente e ufficialmente, la stessa considerazione alle potenti sette che facevano riferimento alle due divinità4. A proposito di questo, Krishnadevaraya portava il nome di Krishna (incarnazione di Vishnu) mentre aveva eletto a sua divinità tutelare, non certo a caso, Venkateshvara, una forma di Hari-hara, che in un tempio a Tirumalai5 periodicamente onorava con vistosa quanto strategica ge- nerosità (Verghese 1995, p. 71). Proprio a questo intraprendente e celebre sovrano si deve il patrocinio della costruzione di almeno due delle tre strade cerimoniali che ci interessano, quella del tempio di Krishna (forma di Vishnu), del 1515, e quella, molto probabilmente contemporanea, del tempio di Virupaksha (uno degli epiteti di Shiva) (Michell, Wagoner 2001, p. xix). La terza strada relativa al tempio di Vitthala (o Vithoba, una forma di Krishna/Vishnu) nelle sue fattezze attuali viene datata appros- simativamente a una trentina di anni dopo le altre due, quando regnava il re Sadashiva (1543-1565). Ci sono però buoni motivi per ritenere che le tre strade fossero tutte in qualche modo legate a Krishnadevaraya e che la prima in ordine di tempo e di importanza, quella del tempio di Krishna, sia stata il modello delle altre due.

4 Ogni sovrano cercava con il suo operato di riscuotere l’approvazione sia delle sette shivaite che di quelle vishnuite, ben sapendo che i loro umori potevano avere importanti ripercussioni. 5 Cittadina situata 380 km a S-E di Vijayanagar, 120 a NO di Chennai. Annamaria Dallaporta - Lucio Marcato 197

Fig. 3. Strada cerimoniale e tempio di Krishna (planimetria; rielab. da Michell et al., 2001). La strada era inclinata di circa 13° da est verso sud; aveva una larghezza di m 51 e una lunghezza di m 606 circa; terminava con un padiglione di intitolazione ignota nei pressi di un bacino artificiale.

La strada cerimoniale del tempio di Krishna (Vishnu) (Figura 3)

Krishnadevaraya nel 1513, pochi anni dopo essere stato insediato sul tro- no (1510), intraprese una spedizione militare per risolvere alcune rivolte di go- vernanti locali già sottomessi, puntando in special modo a ridimensionare le aggressive velleità di Prataparudra, sovrano dell’Orissa, che costituiva di fatto il maggior pericolo per Vijayanagar. Con la faticosa conquista della fortezza, ritenuta inespugnabile, di Udayagiri, 300 km a est (distretto di Nellore, Andhra Pradesh), riuscì nell’intento e la vittoria venne celebrata con grande enfasi (Da- vis 2015, pp. 65-67) poiché ottenuta a conclusione di una sequenza di altre im- prese vittoriose nonostante che, all’inizio della campagna, si fosse verificata una eclisse di sole (7 marzo 1513) ‘pericolosa’ ed infausta in sé ma resa inoffensiva, secondo la versione ufficiale dei fatti, dai sacrifici, dalle offerte e dai doni propi- ziatori fatti da Krishnadevaraya e dalle sue consorti (Verghese 1995, p. 64). Dop- pia vittoria quindi: una sul piano militare di Krishnadevaraya come condottiero e una sul piano divino del dio Krishna, che il re impersonava, sul demone delle eclissi Rahu. La parte più significativa delle celebrazioni fu l’installazione della statua di Krishna fanciullo, che si trovava in un tempio di Udayagiri, nel nuovo tempio reale che Krishnadevaraya stava facendo erigere nella capitale (Sastri 1912, pp. 164-200). Da sempre in India i simulacri delle divinità onorate in ter- ritorio nemico erano considerati alla stregua di ambìti trofei di guerra (Eaton 2000, pp. 254-59) e anche a Udayagiri la prassi venne rispettata. Un’iscrizione informa che il tempio fu consacrato il 16 febbraio 1515 e nella cella la statua di Krishna fanciullo trovò la sua definitiva sistemazione (Verghese 1995, p. 58). 198 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India)

Non sfuggano le correlazioni: quel tempio, che nelle intenzioni del re doveva essere il più importante della capitale e del regno, era dedicato a Krishna, divinità con cui il sovrano si identificava; le celebrazioni della grande vittoria di Udayagiri, svolte nella ‘città della vittoria’ (Vijayanagar), ebbero il loro culmine nel tempio di Krishna con l’installazione del frutto-simbolo di quella vittoria, la ‘conquistata’ statua di Krishna: qui il cerchio si chiude con la costruzione della strada cerimo- niale (Verghese 1995, p. 57; Michell, Wagoner 2001, p. 104). Ci si aspetterebbe che la strada fosse stata costruita secondo l’asse del tempio, da ovest a est, invece, non casualmente, deviava da quell’asse, verso sud (13° ca)6, e le ragioni che indussero Krishnadevaraya a volerla così evidentemente sghemba dovevano essere perciò consistenti.

La strada cerimoniale del tempio di Virupaksha (Shiva) (Figura 4)

La costruzione del tempio di Virupaksha, meta di pellegrinaggi da tempi non precisati, precede forse di secoli la fondazione della città. Una volta che la capitale prese forma nel XIV sec., tutti i sovrani che si succedettero vollero con- tribuire, chi più chi meno, ad arricchire le sostanze e l’architettura del comples- so sacro sottolineando così la grande importanza cultuale e il ruolo di protettore del regno che veniva riconosciuto a quella divinità.

Fig. 4. Strada cerimoniale e tempio di Virupaksha (planimetria; rielab. da Michell et al., 2001). La strada era inclinata di circa 13° da est verso sud; aveva una larghezza di m 40 e una lunghezza di m 732 circa; terminava con un padiglione di due piani dedicato a Nandi, ‘veicolo’ di Shiva.

6 Valori rilevati con la bussola nel 2016. Annamaria Dallaporta - Lucio Marcato 199

Krishnadevaraya nell’anno della sua incoronazione fece restaurare il tem- pio e dispose che nei suoi pressi fossero costruiti dei padiglioni e degli altri annessi (Verghese 1995, p. 19; Michell, Wagoner 2001, p. 115), lavori questi che ovviamente si protrassero per qualche tempo. E’ molto probabile che la strada cerimoniale sia stata costruita in concomitanza con quei lavori, pochi anni dopo il 1515: deporrebbe a favore di questa ipotesi una breve descrizione che ne fa nel 1520 il viaggiatore portoghese Domingo Paes esaltandone l’aspetto e la fun- zione (Sewell 1924, p. 260). Anche in questo caso la strada non è allineata con l’asse longitudinale del tempio di cui è propaggine e ha una inclinazione simile a quella del tempio di Krishna (13° ca).

La strada cerimoniale del tempio di Vitthala (Vishnu) (Figura 5)

Il tempio venne costruito forse dal re Vira Narasimha nel 1505 in occasione del suo insediamento (Michell, Wagoner 2001, p. 217), ma non ci sono documen- ti che lo confermino. Come gli altri due templi, ebbe aggiunti dei padiglioni e beneficiò di doni, assegnazioni di terreni e villaggi da parte di Krishnadevaraya e di due regine, in concomitanza all’eclisse del 1513. Tre anni dopo il re fece co- struire il sontuoso ‘padiglione delle cento colonne’ ed è probabilmente intorno a quel tempo che si potrebbe far risalire la strada cerimoniale, negli stessi anni cioè in cui vennero costruite o stavano per essere ultimate le altre due. Così si spiegherebbe il loro parallelismo, dato un unico committente, Krishnadevaraya, che avrebbe in questo modo equiparato l’importanza delle divinità a cui erano dedicati i tre templi (ossia Vishnu e Shiva) affermando però nel contempo, mol- to velatamente, una sorta di preminenza del ‘proprio’ tempio, quello di Krish- na (Vishnu), e della sua strada cerimoniale alla cui orientazione le altre due si sarebbero adeguate. L’attribuzione della costruzione della strada del tempio di Vitthala (Vishnu) al re Sadashiva (come accennato sopra) potrebbe riguardare l’ultimo rifacimento della strada, quello giunto fino a noi, che giustificherebbe la piccola differenza di inclinazione (3° in più) rispetto all’originale (e a quella delle altre due strade), di cui forse si era in parte perso il significato.

Il significato dell’inclinazione

Al recupero di quel significato pensò esplicitamente chi di recente fece il rilievo topografico e architettonico di ciò che resta di Vijayanagar, proponen- done uno molto generico, di tipo astronomico: “Le strade dei bazar, associate ai complessi di Virupaksha, Balakrishna (…) e Vitthala sono state tracciate tutte secondo un angolo che devia dall’asse del monumento di circa 15° verso sud 200 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India) dell’asse est-ovest dei templi (…). Tale deviazione potrebbe essere deliberata: se così fosse si tratterebbe forse di un allineamento con un particolare corpo celeste” (Michell, Wagoner 2001, p. xvi).

Fig. 5. Strada cerimoniale e tempio di Vitthala (planimetria; rielab. da Michellet al., 2001). La strada era inclinata di circa 16° da est verso sud; aveva una larghezza di m 40 e una lunghezza di m 1028; terminava con un padiglione dedicato a Kalyana (secondo altra fonte a Parankusha).

Quasi nello stesso tempo John McKim Malville avanzava l’ipotesi che nella strada cerimoniale del tempio di Vitthala fosse espresso il rapporto che lega- va questa divinità, in quanto Hanuman (divinità ‘minore’, popolare in città)7, a Sirio verso cui la strada sarebbe stata orientata. Hanuman andava considerato come incarnazione di Rudra/Shiva ed essendo Sirio l’equivalente astronomico di Rudra, tutto quadrava soddisfacentemente. A tale orientazione si sarebbero adattate anche le altre due strade (Malville 2000, p. 113). Occorre prima di tutto rilevare che l’anomala identificazione di Vitthala con Hanuman non veniva giustificata o sostenuta da alcuna argomentazione. Probabilmente ne era all’origine la notizia epigrafica (di dubbia attendibilità) dell’installazione di una statua di Vitthala in un sacello di Hanuman a Tirupati nel 1546 (Vergese 1995, p. 61), interpretata come una assimilazione invece che una sostituzione. Sull’identità decisamente vishnuita di Vitthala, Verghese si pronuncia in modo categorico: “The Vittalasvami temple during the last hal- f-century of the city’s existence undoubtedly became the pre-eminent Vaish- nava temple” (ib., p. 59; il concetto viene ribadito con altre parole a p. 63). Già

7 Il culto di Hanuman poteva essere officiato da persone che non appartenevano alla casta superiore dei sacerdoti (brahmana) perché considerato di secondo ordine. Sebbene diffuso a livello popolare nella capitale, non disponeva di templi ma di semplici sacelli, privi di qualsiasi supporto o patrocinio reale. Annamaria Dallaporta - Lucio Marcato 201 questa prima osservazione vanificherebbe l’intera ‘ipotesi Sirio’. E’ inoltre opi- nione comune, fondata sul Ramayana di Valmiki (VI a.C.-III d.C.), che il culto di Hanuman si sia sviluppato nell’ambito di quello di Vishnu (Stutley 2003, p. 53). Riconoscere Hanuman quindi come incarnazione parziale o amsha di Ru- dra/Shiva era una operazione (citata in Lutgendorf 1994 e ripresa da Malville) inusuale, di ambito esclusivamente tamil e si riferiva al più tardo Ramayana di Kamban (IX-X sec.). Sebbene possibile nel complesso pantheon indiano (in cui quasi tutto è possibile), contrastava decisamente con il carattere vishnuita di Vitthala. Sfugge poi il motivo per cui tutta l’‘ipotesi Sirio’ non sia stata costruita intorno alla strada cerimoniale del tempio di Virupaksha (Shiva) per cui non sarebbero state necessarie le funamboliche identificazioni invece proposte. Co- munque se poteva esserci un rapporto tra Sirio e Virupaksha (Shiva) è difficile sostenere (come si è detto per Vitthala) che ci fosse anche con Krishna (Vishnu). Occorrerebbe soprattutto rispondere a un quesito di fondo: perché mai Krishna- devaraya, che aveva ricevuto una formazione vishnuita e che si identificava con una incarnazione di Vishnu, avrebbe voluto una strada cerimoniale (forse addi- rittura tre) vistosamente legata a Shiva? Non ci risulta che questa divinità abbia avuto qualche parte negli accadimenti che caratterizzarono la vita e il regno del re né che fosse in qualche modo legata alla sua persona, alla sua famiglia o alla sua stirpe. Malville attribuisce all’inclinazione della strada il valore di 13°, ma non precisa la posizione di Sirio sull’orizzonte di Vijayanagar. Le strade dei tre templi, lunghe qualche centinaio di metri, finiscono pra- ticamente a ridosso delle colline, sulla cresta delle quali correva un alto muro di cinta: verso est il frastagliato orizzonte visibile dall’imboccatura delle stra- de aveva un’altezza che variava da 1° a 2° circa, per cui la direzione di Sirio, nel periodo di visibilità, poteva essere intorno a 107°. Dando per scontato che l’orientazione fosse un’operazione più magica che astronomica, limitata all’in- dividuazione di una direzione generica e approssimata, senza troppe pretese di precisione, abbiamo comunque qualche difficoltà a assimilare la direzione di Sirio a quelle, forse inizialmente coincidenti, delle tre strade. Siamo invece in- clini a considerare le attuali differenze tra le orientazioni di queste ultime, come conseguenza delle sistemazioni e delle ricostruzioni avvenute nel tempo. Se non è Sirio dunque l’astro a cui sono state deliberatamente rivolte le strade, che cosa potrebbe aver determinato la scelta delle loro direzioni? Ab- biamo proceduto allora a verificare un possibile coinvolgimento della Luna analizzando la sua posizione tra il 1510 e il 1520 con risultati però di nessun rilievo. Si è preso quindi in esame il Sole, constatando che per qualche gior- no, intorno al 8 ottobre, si sarebbe trovato all’alba nella stessa direzione di Udayagiri (Figura 6). La coincidenza, stimolante se si pensa al Sole come al dio Surya, identificabile con l’idea di vittoria in modo particolare, è forse solo do- 202 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India) vuta al caso e comunque per ora a quella data non siamo in grado di attribuire un significato utile. E’ comprensibile che una orientazione si cerchi di riferirla in prima battuta al campo dell’astronomia ma è pur vero che a determinare una orientazione possono essere le ragioni più diverse.

Fig. 6. Localizzazione di Udayagiri, rispetto a Vijayanagar, in una carta geografica moderna.

La direzione della vittoria

Non ci sembra molto azzardato, in base a quanto sappiamo, formulare allora l’ipotesi che la direzione assegnata alla strada cerimoniale del tempio di Krishna fosse direttamente collegata alla vittoria di Krishnadevaraya a Udayagiri. Il tem- pio stesso potrebbe essere visto come un monumento alla vittoria e per questo essere stato considerato come simbolo della città (…della vittoria). La direzione della strada punterebbe perciò non tanto o non solo a un corpo celeste ma a un luogo oltremodo significativo, Udayagiri, segnando la provenienza del simula- cro di Krishna ed esaltando l’idea di vittoria che sarebbe stata così connaturata al sovrano, alla capitale e al regno. La strada cerimoniale avrebbe coinciso per- ciò con l’idea di strada che porta alla vittoria o meglio con l’idea di vittoriatout court. A ribadire il concetto, anche le altre due strade cerimoniali di cui il re volle la costruzione avrebbero adottato l’orientazione di quella del tempio di Krishna (Vishnu): la strada del tempio di Vitthala (Vishnu) perché di fatto equiparata alla prima e la strada del tempio di Virupaksha (Shiva) per una sorta di uniformità di trattamento (tra Shiva e Vishnu) ma in realtà come omaggio dovuto. Resta da verificare se l’orientazione della strada del tempio di Krishna verso Udayagiri Annamaria Dallaporta - Lucio Marcato 203 fosse stata un’operazione possibile. A questo proposito occorre tener presente che sulla costa occidentale, a Goa, si erano acquartierati i commercianti e i na- vigatori portoghesi già nei primi anni del XVI sec. e con loro Krishnadevaraya, fin dall’inizio del suo regno, aveva stabilito ottimi rapporti. I portoghesi erano arrivati a Goa con l’aiuto di strumenti e conoscenze ge- ografiche non ancora diffuse in India dove alla raffigurazione del mondo prov- vedeva ‘esaurientemente’ la cosmologia tradizionale vedica e l’immaginazione. E’ molto probabile quindi che per una inevitabile osmosi culturale e forse anche con il contributo diretto o indiretto portoghese, glisthapati (responsabili delle costruzioni) di corte fossero stati in grado di definire con sufficiente approssi- mazione la direzione di Udayagiri rispetto a Vijayanagar. E’ curioso notare che i portoghesi, una volta in India, ebbero subito a che fare con il regno di Vija- yanagar e con il suo potente sovrano Vira Narashima (1505-1509): nei rapporti segreti inviati al loro re, identificarono Narashima, riportato come Narasinga o Narsinga, con il suo regno che con tale nome venne contrassegnato nelle carte dell’India del XVI sec. (Gole 1983, p. 45)8. Poteva anche accadere che non venis- sero interpretate correttamente le informazioni dei rapporti di viaggio, come si può vedere in Figura 7, dove il territorio di Narasinga venne ubicato erronea- mente subito a ovest del delta del Gange (nella cartina in alto a destra)9.

Conclusioni

Anche se non si conosce nessun documento di mano indiana, anteriore al XVII sec., che convalidi alcuni cenni letterari riguardanti possibili raffigurazioni più o meno geografiche (Gole 1989, pp. 17-19) in cui fossero implicate misure di distanza e di direzione, è nota tuttavia una spiccata capacità indiana di osserva- zione e di descrizione dell’ambiente e del territorio10 che a quelle raffigurazioni potrebbe aver condotto rapidamente, sulla spinta di qualche necessità contin- gente. I concetti di direzione e di orientazione erano comunque acquisiti da tempo immemore, per cui tutto porta a supporre, come assodata, la capacità di definire la direzione della strada cerimoniale del tempio di Krishna. Gli aspetti più importanti del potere a Vijayanagar, si sarebbero così conformati all’idea di vittoria, sottesa da quella direzione, almeno durante il regno di Krishnadevaraya alla cui figura sarebbe stata per forza di cose (volutamente) assimilata.

8 La forma dell’India venne raffigurata per la prima volta in modo geograficamente accettabile in una carta pubblicata nel 1508 a Roma dall’olandese Johan Ruysch, su informazioni portoghesi, avventurosamente carpite (Gole 1983, p. 42). 9 Sul retro della cartina di Figura 7 la descrizione del Sud dell’India pone invece abbastanza correttamente il regno di Narsinga nella “provincia del Calecut”. La cartina potrebbe perciò essere stata derivata da uno stereotipo precedente. 10 A tal proposito vedere Nuvolo messaggero di Kalidasa e Kim di Kipling, pur distanti nel tempo. 204 L’orientazione di tre strade cerimoniali parallele a Vijayanagar (Karnataka, India)

Fig. 7. Cartina tolemaica dell’India (Gastaldi 1548) con il regno di Narsinga indicato erroneamente a nord-est. Riferimenti bibliografici

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Marina De Franceschini1, Giuseppe Veneziano2 1Progetto Accademia, [email protected] 2Osservatorio Astronomico di Genova and ALSSA, [email protected]

Abstract. This paper is about the astronomical orientation of the ancient Hermitage of Saint Elias at Curinga (in the Italian province of Catanzaro) which has been hypothesized by the local scholars Salvatore Mongiardo, Cesare and Maria Cesareo, Felice Campora; they asked the authors of this article to test and confirm their theory. The authors took care of the different aspects of the question: Giuseppe Veneziano made astronomical calculations, Marina De Franceschini studied the architecture of the building and its symbolic meaning. The Hermitage has an equinoctial orientation, but its luminous phenomena take place on Summer solstice; this is similar to what we discovered few years ago in the Mausoleum of Hadrian at Rome (today’s Castel Sant’Angelo). The cult and iconography of Saint Elias show a continuity and a connection with ancient pagan cults, proving that the language of images and signs evolved throughout the centuries, but kept its primary and ancestral significance, linked to the symbolic dualisms of all times: Life & Death, Light & Darkness, Water & Fire.

1. Foreword

Reading our studies about the Arc of Light in the Pantheon of Rome (on the internet and in articles published on the website Academia.edu https:// independent.academia.edu/MDeFranceschini), in May 2016 Salvatore Mongiardo got in touch with us, to ask if the Hermitage of Saint Elias in Curinga (in the Italian province of Catanzaro) could have an astronomical orientation. The theory started from the presence of a dome with a central oculus: Mongiardo asked if it could create luminous phenomena such as the Arc of Light. Another question concerned the date of the Hermitage, variously set in the year one 206 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy) thousand, in the fifteenth or in the seventeenth centuries; could the building be an ancient ‘precursor’ of the Pantheon, dating back to the times of the ?

2. Multidisciplinary research: archaeoastronomy and archaeology

2.1. Archaeoastronomy

The authors of this article shared the tasks to answer the different questions. Giuseppe Veneziano dealt with astronomical calculations, based on the geographic coordinates (Latitude: 38° 49’ 29” north; Longitude: 16° 19’ 54” east. Height above sea level: 534 m) and on the Google Earth satellite images of the site (Figure 1).

Fig. 1. Google Earth: the satellite images showing the equinoctial orientation of the Her- mitage of Saint Elias.

Veneziano found out a rather accurate orientation towards the four cardinal points, with a gap of about 1°. In detail, the entrance door is oriented towards the south, with an azimuth of 178.70°, while four other windows have an equinoctial orientation, respectively of 91.63° (towards the east) and 268.37° (towards the west). Veneziano then calculated the local azimuths of the Sun at dawn, at midday and at sunset of the Winter Solstice, of the Summer Solstice Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 207 and of the Equinox, in order to answer the archaeo-astronomical questions (sunrise and sunset are theoretical) (Figure 2). First of all he ruled out that the oculus of the dome could create an Arc of Light (as the one of the Pantheon) on the arch above the door of the Hermitage, because that door opens in the south wall of the building, and it is oriented in a diametrically opposite way compared to the Pantheon. The light enters from theoculus and illuminates instead the center of the north inner wall: it happens every day at noon, with different heights depending on the seasons (as in the Pantheon, where a circle of light hits the main door on the north side).

Fig. 2. Theazimuths of the Sun at Curinga during the Winter Solstice, the Equinox, and the Summer Solstice, and the azimuths of the windows of the Hermitage of Saint Elias, as calculated by Giuseppe Veneziano.

The windows on the east and west sides of the Hermitage are set in a very high position, to remedy the fact that the local horizon is partially hidden by the surrounding hills. Therefore, on the Equinox there are no luminous phenomena at dawn, nor at sunset, because the rays of the Sun can not enter from those windows. However, we know that the windows with equinoctial orientation located in a very high position can produce luminous phenomena during the Summer Solstice, as we discovered a few years ago in the Mausoleum of Hadrian in Rome, today’s Castel Sant’Angelo, where the equinoctial windows of the burial chamber create rectangles of light in the niches for the sarcophagi during the Summer Solstice (De Franceschini, Veneziano 2015). This is why we suggested Salvatore Mongiardo and his colleagues to make observations on the spot during the days of the Summer Solstice, in order to test our hypothesis, which otherwise could only be supported by theoretical calculations. Their cooperation was essential to make this ‘remote’ verification. 208 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

2.2. Archaeology

Marina De Franceschini took care instead of the historical, architectural and archaeological part of the research, thanks to the help and cooperation of Salvatore Mongiardo, of Cesare and Maria Cesareo, and of Felice Campora, who provided the essential bibliography and first hand information on the site. The hypothesis of a dome built at the times of Magna Graecia was discarded for the simple reason that the Greeks did not know how to build domes made of cement, which were invented by the Romans. The oldest preserved domes made of cement, with central oculus, date back to the first century B.C., like the one of the Stabian Baths at Pompeii. In Curinga there are the remains of the ancient Roman baths called Terme di Ellene, which were built in the first century A.D. They were in use until the fourth century AD, while later phases of spoliation and abandonment lasted until the seventh century A.D. Their walls are made of bricks, and prove that Roman building techniques, in particular barrel vaults made of cement, were known in that region (Arslan 1966; Relazione 2013). The Hermitage of Saint Elias, instead, was built with local stone blocks, a medieval technique (Figure 3), and therefore it can not be dated in Roman times.

Fig. 3. On the left, the Roman baths of Ellene at Curinga, built in the 1st century AD, with walls made of bricks. On the right, the Hermitage of Saint Elias, built with local stone (from Relazione 2013 and Cuteri 2009).

According to local tradition, the Hermitage was founded in the Byzantine period, because a document of the twelfth century of the Abbey of Sant’Eufemia names an ‘imperial monastery of Saint Elias’. Actually, there is no evidence that the document was referring precisely to this building, and not to another one with the same name, located in the area of Palmi (Cuteri 2009, p. 35). Near the Hermitage of Curinga there is a gigantic oriental plane tree, about one thousand Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 209 years old, which could have been imported by the Basilian monks in the year one thousand: it supports the hypothesis that the Hermitage was built at that time (see below Figure 20). The oldest written document concerning the Basilian monastery of Saint Elias is a bull issued by Pope Alexander VI Borgia on May 31st, 1493, assigning it in commendam to Lodovico Serra (Cuteri 2009, pp. 34-35). From other documents we know that in the seventeenth century a Carmelite monastery was built on the site, which was active from 1632 to 1662 (Cuteri 2009, pp. 36-37).

Fig. 4. Plan of the Hermitage of Saint Elias with the different building phases. In black the walls of the presbytery n. 1 and of church n. 2; in gray the chapel of Saint Elias n. 6; in white, the walls of the Carmelite monastery of the XVII century (elaboration from Cuteri 2009). The most significant evidence to date the Hermitage is a medieval Greek inscription of the fifteenth century, found in room n. 6, called the chapel of Saint Elias, during the excavations of 1991 (see plan in Figure 4) (Cuteri 1993; Mosino 1996). Therefore, the construction of the chapel n. 6 can be dated between the end of the fourteenth and the beginning of the fifteenth century. Inside it, the remains of an altar were found, and a small well with a channel for the outflow of water: probably it was a lustral spring, which could have been inspired by the first Carmel oratory. Other evidence for a date is the emblem of the Loffredo and Caracciolo families visible outside, above the entrance door, and a limestone molding with braid decoration visible inside, at the base of the drum of the dome (see below, Figure 12). According to Cuteri, the emblem and the molding were made in the seventeenth century, and prove that the square-domed presbytery of the church (n. 1 in the plan of Figure 4) was built together with the Carmelite 210 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy) monastery (1632 ca.), while the rest of the church n. 2 (which today is razed to the ground) was never completed (Cuteri 2009, p. 38). We also know that the monastery was abandoned in 1662, probably because it was damaged by an earthquake in 1659 (Cuteri 2009, p. 36). Looking at the plan (Figure 4) we can see that only rooms 1 and 2 (highlighted in black) have straight and orthogonal walls, while both the chapel n. 6 (in gray) and the other rooms of the monastery (in white) have irregularly oblique walls. To understand the stratigraphic sequence of the walls and the different building phases, an on-site survey and perhaps an excavation of the building are required, since most of the walls are razed to the ground. However, the pictures allow some remarks to be made, which lead to a different interpretation. On the main façade (Figure 5) there is an arch made of stones, which once connected the domed room n. 1 – the presbytery – with the rest of the church n. 2; the arch was closed with a wall, where the entrance door opens today. Therefore, the Hermitage had two different building phases, with different dates. During the first phase, the church was built, consisting of presbytery n. 1 and church n. 2 that were connected by the masonry arch. Since the church was the fulcrum of the monastic complex, it should have been built first, and it is not likely that part of it – church n. 2 – was left unfinished, as Cuteri believed. Church and presbytery were presumably built during the fifteenth century, after the construction of the chapel of Saint Elias, and before the papal Bull of 1493. It is possible that an earthquake destroyed the church n. 2, and only the presbytery n. 1 remained standing: its walls were thicker and more resistant, in order to support the dome, and did not collapse. The second phase may date back to the seventeenth century, when the Carmelite monastery was built: the presbytery n. 1 was included in the new building, closing the surviving arch with a new wall and abandoning the collapsed rests of the church n. 2. The seventeenth century emblem and the limestone molding belong to this second phase, which transformed and reused the old presbytery.

Fig. 5. The dotted lines indicate the mason- ry arch which originally linked presbytery n. 1 and the church n. 2 (see plan in the in- set). The arch was closed in the XVII cen- tury with a wall, where today’s entrance door opens (photo Mongiardo). Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 211

3. Description

Presbytery n. 1 is a square room (5.18 x 5,18 m) with robust outer walls (0,80-1,00 m thick), supporting a circular drum covered by a dome with a central oculus (see below Figure 12). On the east and west sides there are two windows each: the lower one is larger and rectangular; the upper one is squared and opens into the curved wall of the dome’s drum. The windows are sort of “window tunnels”, with oblique splayed walls, which are narrower on their outer side (Figure 6). According to the pictures, they do not seem to have been reworked or modified, neither inside nor outside (Figures 6, 7 and 8). On the west outer wall of the presbytery n. 1 the link to the outer wall of church n. 2 is partly visible, and nothing else was built later: therefore, both west windows were illuminated by the Sun (Figure 7). On the east side, instead, several multi-storey rooms were built in the seventeenth century, leaning on the outer wall (Figure 8); therefore, the lower window was ‘blinded’, while the upper window in the dome’s drum was left free.

Fig. 6. Windows of the east side with splayed walls. Fig. 7. West side of the presbytery n. 1: on the right is the attachment of the outer wall of church n. 2, now razed to the ground.Fig. 8. The rooms of the Carmelite monastery built on the west side of the presbytery n. 1 and leaning on it (photos of Salvatore Mongiardo).

4. Direct on-site observations

In the days of the Summer Solstice, June 19th, 2016, the scholars of Curinga, Salvatore Mongiardo, Cesare and Maria Cesareo and Felice Campora with other people went to the Hermitage of Saint Elias, to test on the spot our hypothesis that the windows with equinoctial orientation would create luminous phenomena in those days. Our expectations were fully confirmed. 212 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

The luminous phenomena, documented by a series of pictures taken from 9:30 am, are created both by the windows and the oculus, and can be divided into three phases: - 1st phase: the light enters from the windows of the east side, in the morning, until 10:00 am. - 2nd phase: the light enters from the oculus, at midday, from 10:16 am to 3:16 pm. - 3rd phase: the light enters from the west windows, in the afternoon, from 3:30 to 7:45 pm. First phase (until 10 am): the Sun enters from the windows of the east side, creating two rectangles of light on the opposite west side. The rectangle originated by the lower window illuminates the floor, the other hits the center of the wall (Figure 9).

Fig. 9. Summer Solstice, June 19th, 2016. On the left, the rectangles of light of phase 1, when the Sun enters from the east windows. On the right, the symmetrical rectangles of light of phase 3, created from the west windows (photos of Salvatore Mongiardo).

Second phase (from 10:16 am to 3:16 pm): the Sun enters from the oculus creating different light phenomena (Figure 10). A small circle of light appears near the upper window of the west side, and when the sun moves up, the spot of light becomes oval. At first, it appears near the lower window, and then it takes the shape of a heart when reaches the corner between the west and north walls. Then the oval moves on the north wall, illuminating its center at midday (1:00 pm, daylight saving time), and continues towards the east wall, repeating the previous sequence in a mirror-like manner: a heart in the corner, an oval near Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 213 the lower window, and finally a circle near the upper window. Third phase (from 3:56 pm) (see above Figure 9): the Sun enters from the west windows, creating the same rectangles of light on the wall and on the floor seen during the first phase. At sunset, the light hits the corner between the east and south walls (Figure 11).

Fig. 10. Summer Solstice, June 19th, 2016. Clockwise sequence of the spots of light created by the oculus inside the presbytery n. 1 (Hermitage): circles, hearts and ovals on the west, northern and east walls (photos of Salvatore Mongiardo).

Fig. 11. Summer Solstice, June 19th, 2016. Final moments of phase 3, with rectangles of light on the east wall, and in the corner between the east and the south walls (photos of Salvatore Mongiardo). 214 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

Fig. 12. Spring Equinox, March 21st, 2017: the Sun enters at noon from the oculus, creating a circle of light in the center of the dome’s drum (black arrow), indicating the north. At the base of the drum is a molding with a braid decoration dating back to the seventeenth century (photo Salvatore Mongiardo). Another on-spot observation, at noon of the 2017 Spring Equinox, March 21st, confirmed that the Sun entering from theoculus projects a round spot of light in the center of the north side of the dome’s drum (Figure 12).

5. Interpretation of the iconography of Saint Elias and its relationship with the Roman iconography

The Hermitage of Saint Elias is dedicated to the prophet Elias (Elijah), who lived under the reign of Ahab (875-852 BC). According to the biblical tradition, since the people of Israel worshiped the pagan god Baal, he foretold three years of drought as a divine punishment; then he hid in the valley of the Cherit stream, where a black crow brought him food twice a day (Zago 2009, pp. 23-27) (Figure 13). During the drought, Elias challenged the priests of Baal on Mount Carmel: he built an altar with twelve stones, placed the wood and the victim above it, and poured water for three times. Then he prayed God to send him a sign. Suddenly, a whirlwind of fire came down from the sky, burning the victim (Figure 14), and after that the rain finally arrived. Stunned by the prodigy, the people of Israel abandoned the pagan cults, killing 450 priests of Baal, and went back to the True Faith (Holy Bible, I Book of the Kings – or III Book of the Kings Septuagint – XVIII, 36-38; Ricciotti 1930; Zago 2009, pp. 19-30; Ferraris 2015, pp. 297 and 301; Ferraris 2016, p. 48). Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 215

Fig. 13. Iconography of Saint Elias: the prophet is hiding in the valley of the Cherit stream, and a black crow brings him food twice a day (from Internet).

Fig. 14. Iconography of Saint Elias: a whirlwind of fire burns the victim on Mount Carmel, the sign of God the prophet asked for (from Internet). 216 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

The symbolism of prophet Saint Elias is linked to Water and Fire, two of the main natural elements. Water: Saint Elias is invoked in times of drought. He was the first devotee of Virgin Mary: she is symbolized by the clouds that he saw from the top of Mount Carmel, while the rain represents Jesus Christ, who made the earth fertile again after the drought. Fire: Saint Elias is considered the heavenly guardian of fire, and protects from lightning. He is depicted with a flaming sword in his hand (Figure 15), which “demonstrates his ardent passion for the absolute of God”. In year 850 BC a Chariot of Fire came down from the sky and abducted Saint Elias, taking him to the empyrean; he did not die, he was assumpted into Heavens like the Virgin Mary. His disciple Eliseus witnessed the scene on the ground (see below Figure 17).

Fig. 15. Every year at Curinga, on July 15th, a procession starts from the church of the Madonna del Carmelo, carrying the statues of the Virgin Mary with the Child and of Saint Elias with the sword of fire in his hand (from Internet). Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 217

Fig. 16. The procession of July 15th reaches the Hermitage of Saint Elias at night, with the light of torches (from Internet). Now we can draw a parallel between the Christian symbols of Saint Elias and the pagan symbols of ancient cults, showing that there is a continuity in the iconography and in the symbolic meaning. The symbols of Saint Elias belong to one of the great dualisms of the ancient world: Water & Fire. Together with Light & Darkness and Life & Death, they are linked to the cyclical flowing of Time and to the Seasons. Water has always been a symbol of Life and fertility. The small lustral spring in the chapel n. 6 finds a parallel in the Egyptian world and in the cult of Isis: in her shrines the sacred water of the Nile played a very important role, and there was a room with a water cistern or a Nilometer. As far as Fire is concerned, the connection is even closer: Saint Elias was the heavenly guardian of fire, protected fromlightning , his words burned like a torch and he held in his hand a sword of fire(Zago 2009, p. 27). He was abducted to the heavens by a Chariot of Fire pulled by winged horses (Ferraris 2015; Ferraris 2016). Moreover, the luminous phenomena of the Hermitage take place during the Summer Solstice, the most ‘fiery’ days of the year. The same symbolism of Fire is found in ancient pagan cults, where Fire was associated to the Sun. It is interesting to note that the Phoenician god Baal – whose pagan cult was defeated by the prophet Elias – was considered “a solar deity who controlled natural phenomena: he threw lightning, his voice was thunder, he rode the clouds and he fell the rain” (Ricciotti 1930; Ferraris 218 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

2015, p. 306 note 1). His cult was later associated to Jupiter Heliopolitan, and in fact the lightning was one of the attributes of Zeus / Jupiter. In practice, the symbols of St. Elias “heavenly guardian of the fire who protects from lightning” are the same ones of the pagan god Baal. And not only that: the place of origin of the cult of Saint Elias can be considered Mount Carmel in Palestine, where the archaeological excavations have found a sanctuary dedicated to Baal: he was probably worshiped with the name of Zeus of Carmel, as attested by an inscription found there (Ferraris 2016, p. 49 note 5). According to Suetonius, the emperor Vespasian offered a sacrifice in that place to the god (Suetonius, The Lives of the Caesars, VII, 5.6). It is interesting to note that in the Slavic world the cult of Saint Elias overlapped with the local cult of Perun, who was the god of lightning, thunder and storm (Ferraris 2016, p. 56). Saint Elias also became the patron of Bosnia Herzegovina, invoked both to obtain rain and to end the drought (Ferraris 2016, p. 60 note 41). This confirms that also outside the Mediterranean world the cult of Saint Elias overlapped with pre-existing pagan cults, borrowing their iconography and symbols. Most of all, it is remarkable the similarity between the Chariot of Fire that abducts the prophet (Figure 17) and the Chariot of the Sun (Sol invictus), led by the Roman emperors (Figure 18). In both cases immortality was involved: Saint Elias did not die because he was assumpted into the Heavens (like the Virgin Mary); Roman emperors became immortal, because they were divinized after their death, becoming gods. A Chariot of the Sun was set on top the Mausoleum of Halicarnassus (the tomb of Mausolus, one of the Seven Wonders of the world). According to ancient sources, Emperor Hadrian was portrayed leading a Chariot of the Sun in a bronze group that was on top of his Mausoleum, today’s Castel Sant’Angelo at Rome (De Franceschini, Veneziano 2015). As we said, St. Elias was the first devotee of Virgin Mary, who is depicted as a mother goddess, holding the Child in her arms and has the crescent moon; her foot is crushing the head of a snake. The same iconography can be seen in the cult of the Egyptian goddess Isis, who also was portrayed as a mother goddess holding her son Horus in her arms; among her attributes, the snake and the crescent. Isis was very powerful, ruled the planets and the seasons, and commanded the destiny of men (Figure 19). Her cult was one of the most popular and mysterious of the ancient world. To Isis was assimilated Astarte, the Phoenician goddess of the Moon, who was associated with the cult of Baal as Sun god (Ferraris 2015). Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 219

Fig. 17. Spoleto (Italy), Cappella dell’Assunta, fresco by Jacopo Siciliano (1540-1550). The Chariot of Fire abducts the prophet Saint Elias to the heavens: he is assumpted, as the Virgin Mary to whom the chapel is dedicated. His disciple Eliseus observes the scene (photo of Marina De Franceschini).

Fig. 18. The Chariot of the Sun in a metope of the Fig. 19. Isis portrayed as Moth- fourth century BC found at Troy, now in the Perga- er goddess with her son Horus mon Museum of Berlin, Germany (from Internet). (from Internet). 220 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

The black crow bringing food to the prophet Elias (Holy Bible, I Book of the Kings – or III Book of the Kings Septuagint – XVII, 2-6; Zago 2009, p. 28; Ferraris 2015, p. 303; Ferraris 2016, p. 62) (see before Figure 13) is similar to the black crow that in ancient Greece was sacred to Apollo (the god of the Sun). The statue of Saint Elias at Curinga (see before Figure 15) wears a black robe, as did an order of oracular priests in ancient Greece, who were dressed in black. The feast of Saint Elias on July 20th – which for the Orthodox church was the date of his assumption into Heavens (Ferraris 2015, p. 307 note 4) – corresponds to the Roman feast of the Lucaria, which was dedicated to the sacred woods; also today the Hermitage is surrounded by a small wood. Every year, on July 15th, in Curinga there is a procession which starts from the church of the Madonna del Carmelo. The statues of the Virgin Mary and Saint Elias (Figure 15) are carried on the shoulders by the faithful, who walk several kilometres towards the Hermitage, reaching it at night, holding torches in their hands (Figure 16). Other processions similarly take place in southern Italy, where the cult of Elias is attested: in Nuragus and Cagliari (Sardinia), Sperone and Postiglione (Campania), Peschici (Puglia) and Palmi (Calabria), some of them at night. Also in the ancient world (Egypt, Greece and Rome) the deities were celebrated with solemn processions, like those in honour of goddess Isis which are described in the Metamorphoses of Apuleius. They could take place also at night, and the light of torches made them very evocative and magic. The torch was one of the symbols of Isis. A final coincidence, which can not be casual: in Cagliari (Sardinia) a church dedicated to Saint Elias was built on top of a promontory overlooking the Gulf of Cagliari, where an inscription of dedication to the Phoenician goddess Astarte was found; probably there was a temple dedicated to her in that site (Ibba et al. 2017, p. 357). The goddess Astarte was a Phoenician mother goddess, later assimilated to Isis or Cybele, who also had the crescent as a symbol. As we said, she was associated with the cult of Baal and therefore we return once again to the origins of the cult of Saint Elias on Mount Carmel, which overlapped that of Baal.

6. Conclusions

The name Elias by itself recallsHelios , the Sun of ancient Greece; it is another link between christian and pagan iconographies (Ferraris 2016, p. 59 note 38). In both cases, the Sun was chosen as a symbol of Life and immortality: the Chariot of Fire of the prophet is like the Chariot of the Sun of the Roman emperors. Also, the Hermitage is oriented towards the Summer solstice, which has always been a key-date for the astronomical orientation since Prehistory, in Egyptian, Greek and Roman times, and later on. This continuity in symbols and iconography is due to the simple fact that – in a largely illiterate world – Marina De Franceschini - Giuseppe Veneziano 221 the symbolic language of signs and images was the only one understood by everybody. Worship and faith always were very conservative: therefore, when pagan cults were cancelled and prohibited, it was not advisable nor easy to cancel the old symbols, replacing them abruptly with something different and new. It was better and more effective to take possession of those symbols, albeit giving them an (apparently) different meaning, linked to the Christian religion. The great universal dualisms – Life & Death, Light & Darkness, Water & Fire – are attested in all cultures and at all latitudes. They represent the ancestral fear of Death. On Winter Solstice there is the apparent death of Nature, when the Sun becomes lower and paler day after day, it almost stops and it seems to struggle to rise again: Death and Darkness. Men feared that this could be the end of the world, and since Prehistory those fears were exorcised with sacrifices, penitence, processions and ritual ceremonies, aimed at pleasing the gods and propitiating a good harvest. On Summer Solstice, instead, Nature is in its ripest moment: the triumph of Life and Light, celebrations to thank for the harvest and the good weather. Heavens and virtue are symbolized by the sacred Water. The cult of Saint Elias is part of this tradition. Similarly, there is an ancient poem about the struggle of Baal against Mot, which hinted to the alternation between the dead season and the fertility season, which in an agro-pastoral society was extremely important (Ferraris 2015, p. 306 note 1).

Fig. 20. The millenary oriental plane tree near the Hermitage of Saint Elias at Curinga (from Internet). 222 Archaeoastronomy in the Hermitage of Saint Elias at Curinga (Catanzaro, Italy)

The link between pagan and christian symbology also suggests a continuity in the worship location. The Hermitage of Saint Elias could have been built in the same spot of a sacred wood, dating back to Prehistory, or above the ruins of an ancient temple built by the Phoenicians, the Greeks or the Romans. In both cases, it could have been astronomically oriented, since there is a continuity in astronomical alignments from Prehistory on. This can be the subject of a new archaeological survey and exploration at Curinga.

Acknowledgements. Thanks are due to Salvatore Mongiardo, Cesare and Maria Cesareo, Felice Campora.

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Giangiacomo Gandolfi1, Massimo Calabresi2 1Planetario di Roma Capitale, INAF-Osservatorio Astronomico di Roma, [email protected] 2Associazione Romana Astrofili

Abstract. The celebrated Villa Farnesina in Rome, the elegant XVIth century retreat of the the sienese banker Agostino Chigi built along the Tiber by Peruzzi and frescoed by Raphael and Sebastiano del Piombo, is a masterpiece of Renaissance art renowned for its paradig- matic astrological vault. The astral decorations of the Sala di Galatea have been studied during the XXth century by iconologists of the calibre of Aby Warburg and Fritz Saxl, and in 1984 their horoscopic nature has been proven conclusively by Ingrid Rowland on the ba- sis of the discovery of the baptistry register of Chigi in the Archivio di Stato of Siena. And yet no consensus has emerged among the scholars about the exact time of the birth: while the date and the represented planetary positions are certain and confirmed, many possi- ble and equally consistent scenarios have been proposed for the time of the horoscope, choosing Italic hours (counting from the sunset: Lippincott 1990, 1991; and Schiller 1993), french or astronomical hours (counting from midnight: Quinlan McGrath 1984, 1995) or using sidereal time (a very technical notation that would imply the presence of a profes- sional astrologer at the moment of birth: Esteban Lorente 2014). We will try to assess this complex situation analyzing the role of the hitherto ambiguous extra-zodiacal pendentives and constraining the celestial configuration also through the central panels of the vault. In the end the best model appears to be the one proposed by Lippincott, and the key to inter- preting the whole representation seems to be connected to the orientation of the hall and of the building along the horizon according to the parameters of Chigi’s horoscope. Such a disposition appears as a voluntary harmonization of the fictive starry vault with the outer roman sky, transforming the villa in a cosmic building with the Sala di Galatea (formerly an open loggia) oriented to the north-eastern azimuth of Chigi’s Taurus ascendant, as ver- ified on site with compass and theodolite. This elegant architectural solution implying an astrological alignment has never been proposed by scholars, but we will show that it can be considered consistent with the astral doctrines of the time and highly plausible because it was adopted for a number of other more or less coeval buildings (e.g. the medicean Villa of Poggio a Caiano and the church of San Jacopo in Acquaviva in Livorno). 224 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

1. Introduzione

La Villa Farnesina a Roma, che diverrà all’inizio del Cinquecento il pro- totipo della residenza di campagna rinascimentale, è particolarmente celebre per la straordinaria qualità artistica della sua cosiddetta Sala di Galatea, una loggia che ospita uno dei più celebri cicli pittorici astrologici del Rinascimento italiano. Nonostante i numerosi e importanti studi al riguardo, l’interpretazio- ne dell’oroscopo, che è senza ombra di dubbio rappresentato sulla sua volta, del committente, quello del ricco banchiere Agostino Chigi, presenta ancora molti elementi di incertezza. Nel presente saggio tenteremo un’analisi che dis- sipi il più possibile i dubbi più tecnici finora avanzati, soprattutto sulla reale ora del giorno in cui avvenne la nascita di Chigi, un parametro che lascia no- tevoli margini di indeterminazione all’interpretazione complessiva dell’opera. Sorprendentemente, la chiave per selezionare uno dei molti valori proposti in letteratura si rivela essere non solo l’affresco stesso, ma anche la disposizione della struttura architettonica: la sala di Galatea e al contempo l’intera Villa Farnesina. Come dimostreremo, il “suburbanum” del ricco banchiere è infatti un vero e proprio tempio cosmico laico, che riflette nei suoi stessi assi l’alli- neamento ai punti dell’orizzonte che determinano l’esatto Ascendente (Asc) e Medio Cielo (MC) del tema di nascita del suo proprietario, cioè i due valori cardinali del suo oroscopo.

2. Il Viridarium del Magnifico Agostino Chigi

I lavori della villa suburbana di Agostino Chigi1, luogo di svago e cultura a pochi passi dalle sedi degli affari e della vita sociale cittadina, iniziano nel 1506 sotto la direzione di Baldassarre Peruzzi e culminano nel 1511, al suo ri- torno da una missione diplomatica a Venezia per conto di Giulio II. Nel corso degli anni parteciperanno alla decorazione degli interni alcuni tra i massi- mi artisti dell’epoca, tra cui Peruzzi stesso, Raffaello, Sebastiano del Piombo, Giovanni da Udine e Giovanni Antonio Bazzi detto il Sodoma. L’impatto sul mondo culturale romano che orbita intorno alla Curia è enorme: in autunno Egidio Gallo pubblica il poema celebrativo De Viridario Augustinii Chigii e nella primavera del 1512 il prestigioso letterato Palladio Blosio contribuisce con il suo Suburbanum Augustini Chisii.

1 Esistono molti studi sull’edificio e i suoi giardini, ma per una sintesi efficace, completa ed aggiornata ci si può rivolgere all’ampio lavoro di Frommel (2003). Per una panoramica sulle ville rinascimentali a Roma e sulla loro evoluzione sociale e architettonica resta eccellente il sia pur datato Coffin (1979). Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 225

Fig. 1. L’ingresso sul lato settentrionale della Villa Farnesina, con la Loggia di Raffaello.

La Sala di Galatea era inizialmente una loggia aperta sui giardini, al piano terra del lato orientale dell’edificio, quello verso il fiume Tevere. Il lavoro pit- torico sulla volta ad opera del Peruzzi, con i suoi riferimenti astrologici che ci riguardano da vicino, inizia nei primi mesi del 1511 e termina entro l’anno. Se- guono nell’autunno le lunette sui lati ovest, nord e sud dedicate ai miti dell’aria e il Polifemo della parete occidentale di Sebastiano dal Piombo, mentre Raffaello dipinge la Galatea probabilmente nel 1512. La volta è suddivisa in uno scomparto centrale con due pannelli che rappresentano il mito di Perseo e la Gorgone e una ninfa su un carro trainato da buoi, con tutta probabilità Elice, circondato da 10 esagoni contenenti le costellazioni zodiacali e 14 vele triangolari con personaggi classicheggianti che esibiscono attributi tipici delle costellazioni extrazodiacali.

3. Storia di un Oroscopo

L’interpretazione complessiva del programma iconografico della Sala, che non è mai stato completato ed è stato affiancato da incongrui affreschi seicen- teschi di paesaggi ad opera di Gaspard Dughet, è tuttora materia di dibattito tra gli studiosi. L’invenzione del tema astrologico della volta, invece, sarebbe dovuta secondo gli storici allo stesso Baldassarre Peruzzi e/o al segretario umanista e grecista di Chigi, il viterbese Cornelio Benigni. Il primo tentativo di decifrare quello che fin dall’inizio degli studi approfonditi sugli affreschi apparve come un oroscopo2 lo si deve al pioneristico Aus der Farnesi-

2 Per una rassegna di dettaglio delle varie interpretazioni proposte (ad eccezione di quella di 226 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris na di Ernst Maass (1902). Le intuizioni dell’autore tedesco vengono riprese e appro- fondite al tempo del celebre X congresso internazionale di Storia dell’Arte a Roma (1912) dal grande Aby Warburg, che giunge a proporre la data del dicembre 1465 sulla base della disposizione del Sole, della Luna e dei Pianeti tra le costellazioni.

Fig. 2. La volta della Sala di Galatea. Due decenni dopo, nel 1932, è la volta di Fritz Saxl e Arthur Beer a cercare di leggere la carta allegorica. Il grande storico e collaboratore di Warburg e l’a- stronomo calcolano accuratamente le effemeridi e si attestano questa volta su una data posteriore: il primo dicembre del 1466 alle 19:00. A sciogliere ogni dub- bio sull’anno e il mese è però la storica Ingrid D. Rowland: nel 1984 individua nell’Archivio di Siena la registrazione del battesimo di Chigi con l’indicazione dell’ora di nascita, che risulta essere il 29 Novembre 1466 alle ore 21:30 di tempo locale. Questo il testo trascritto“Agostino Andrea di Mariano Chigi si batezò a dì 30 di novembre 1466 e naque a dì 29 di detto mese a ore 21 ½ e fu compare Giovanni Salvani”. (ASS, Pieve di San Giovanni 2, fol. 69r). Mary Quinlan McGrath (1984), interpreta quelle 21:30 TML come ora ol- tremontana (calcolata dalla mezzanotte) e ne deduce ai fini dell’oroscopo un ascendente al 21° grado del Leone e un Medio Cielo al 12° del Toro. Nel 1995 ribadisce la sua lettura e la difende da altre proposte intervenute nel frattempo, ma l’assenza nell’affresco di chiari e incontrovertibili marcatori dell’intersezio- ne tra eclittica e orizzonte (l’Ascendente) e di quella tra eclittica e meridiano (il Medio Cielo) rende questi parametri non univoci e dipendenti dalla scelta del sistema orario utilizzato nel documento di nascita del banchiere senese, che non è dato conoscere con certezza.

Esteban Lorente che è sfuggita all’autrice), si può consultare Manzari (2001). Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 227

A contrapporsi a Quinlan McGrath è in particolare Kristen Lippincott, in due lavori rispettivamente del 1990 e del 1991. La studiosa interpreta l’ora desunta dal certificato di battesimo in termini di ore Italiche (calcolate dalla Compieta che segue al tramonto del giorno precedente): in notazione moderna questo cor- risponde per Siena a un intervallo ampio di orari, che Lippincott tentativamente riconduce al valore singolo delle ore 15:01 TMEC, con un Ascendente a 48° del Toro e un Medio Cielo a 26° del Capricorno, con l’aiuto di una tabella senese di computo del tempo risalente a due secoli dopo3. Come vedremo, questo valore è rilevante (nonostante sia piuttosto estremo perché molto lontano dall’istante del tramonto vero) proprio perché corrisponde per la città natia di Chigi (Siena) a un ascendente corrispondente alla longitudine eclittica di Algol, l’evidente protagonista del pannello centrale di sinistra. Peter Schiller, d’altronde, inter- preta legittimamente nel 1992 il valore come ora Italica ma calcolata dall’istante del tramonto precedente, giungendo così alle 13:58 TML corrispondenti a un Ascendente al 27° grado dell’Ariete e un Medio Cielo al 14° del Capricorno. Juan Francisco Esteban Lorente, infine, introduce nel 1991 e poi nel 2014 una nuova ingegnosa possibilità, interpretando l’orario come tempo siderale (il “Tempus a Meridie” delle effemeridi del tempo): la nuova versione dell’oroscopo si riferi- rebbe in questo caso alle 16:32 TMEC del 29 Novembre 1466 (Ascendente 15° dei Gemelli e Medio Cielo in 19° dell’Acquario). Una scelta così tecnica del sistema di misura del tempo implicherebbe la presenza al momento della nascita di un astrologo professionista.

4. Vele ed Esagoni

Se, come mostrato già da Warburg, gli esagoni contengono senza ombra di dubbio le costellazioni dello Zodiaco e i pianeti rappresentati come divinità nella loro corretta disposizione per il 29 novembre 1466 (sfruttando i celebri miti raccontati da Igino, fonte assai probabile dell’iconografia), nessuna delle inter- pretazioni proposte finora per la scelta delle costellazioni extrazodiacali nelle Vele è completamente soddisfacente: né quella basata sui contenuti dei miti4 (Saxl, 1932), né quella che le considera paranatellonta della Vergine (Quinlan McGrath, 1984), né l’idea che quelle a sud dell’eclittica siano collocate nel lato settentrionale della Sala e quelle a nord nel lato opposto (Forster, 1880).

3 Il riferimento è importante perché garantisce una base documentata a quello che Quinlan McGrath tratta invece sprezzantemente come un orario arbitrario: la schedula della campana della Compieta al termine del crepuscolo veniva aggiornata solo ogni 10 giorni secondo lo scienziato locale Pirro Maria Gabbrielli. Si veda Barbieri (1984). 4 Saxl propone che un criterio di selezione tra le varie costellazioni compatibili con un dato segno zodiacale sia stato la scelta di miti che illustrano una storia d’amore, ma Quinlan McGrath ha buon agio nel mostrarne l’inconsistenza. 228 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Fig. 3. I tre possibili oroscopi più significativi di Agostino Chigi. A sinistra la versione Quinlan McGrath (21:45 TMEC), al centro quella Lippincott (15:01 TMEC) e a destra quella Esteban Lorente (16:32 TMEC). S/W:Galiastro Free 5.1-00.

Il modello planisferico proposto da Saxl e ribadito da Lippincott è senza dubbio il più semplice e convincente, ma non c’è modo di spiegare univoca- mente la scelta di ogni figura, magari sulla base dei confini delle case (calco- late secondo i vari sistemi di domificazione in uso all’epoca), o dei confini dei segni zodiacali, sia secondo lo zodiaco tropicale che sidereo. In ogni caso c’è sempre qualche elemento che sfugge al criterio. Inoltre ci sono un paio di casi di imbarazzanti inversioni nell’ordine delle costellazioni extrazodiacali, tra di loro e soprattutto rispetto a quelle zodiacali. Le tre interpretazioni comples- sive più sofisticate e significative che tengono conto anche dei due parametri oroscopici chiave Ascendente e Medio Cielo sono quelle di Quinlan Mc Grath, Esteban Lorente e Lippincott (Figura 3).

Tab. 1. Punti di forza e di debolezza dell’interpretazione di Lippincott (1991).

Lippincott Punti di forza Punti deboli Asc 18° Tau: giustifica la centralità di Algol nel - pannello di sinistra. MC 26° Cap: è orientato secondo la diagonale - maggiore della Sala. Vele ed Giustifica la presenza di due esagoni con La distribuzione esagoni coppia di segni zodiacali: individuano secondo il planisfero l’azimut a cui l’orizzonte taglia l’eclittica in coordinate eclittiche in Asc e Desc (un segno sopra e un segno (già proposta da sotto). La collocazione della Pars Fortuna è Saxl) presenta delle congruente con l’oroscopo. irregolarità e delle inversioni longitudinali. Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 229

Tab. 2. Punti di forza e debolezze dell’interpretazione di Quinlan-McGrath (1984).

Quinlan McGrath Punti di forza Punti deboli Asc 21° Leo: non apporta alcun 21° Leo: non apporta contributo geometrico o alcun contributo simbolico alla lettura della geometrico o volta, quindi non ha alcun simbolico alla lettura punto di forza. della volta, quindi non ha alcun punto debole.

MC 12° Tau: giustifica la centralità Attraversa l’Orsa di Perseo e di Algol nel Minore e non l’Orsa pannello di sinistra. I due Maggiore con pannelli illustrano ambedue il maggior probabilità Medio Cielo della sala. rappresentata nel pannello di destra.

Vele ed Le irregolarità e le inversioni Alcune extrazodiacali esagoni sono sanate considerando le non rientrano negli costellazioni extrazodiacali elenchi canonici esclusivamente come a. Le fonti (Iginio, paranatellonta della Vergine Manilio, ecc.) sono (in senso esteso: costellazioni troppo numerose al sorgere, al tramonto e e incongruenti. La alla culminazione mentre il sovrapposizione di due segno dello zodiaco sorge). diversi temi (nascita L’Ara vista come indicatore e concepimento) è della longitudine del Sole è ipotesi eccessivamente una intuizione di estrema involuta anche se rilevanza. possibile. Non si giustifica la presenza di due esagoni con coppia di segni zodiacali. La Pars Fortuna non risulta nell’Acquario.

a Si tratterebbe di Auriga e Triangolo, scelte da Peruzzi per la loro contiguità celeste ai paranatellonta in letteratura, e dell’Ara, che ha funzione di indicatore della longitudine solare. 230 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Tab. 3. Punti di forza e debolezze dell’interpretazione di Esteban Lorente (2014).

Esteban Punti di forza Punti deboli Lorente Asc Perpendicolare all’asse Gli esagoni doppi rappresenterebbero principale della Sala: ora la 12° casa subito sopra l’orizzonte l’Eridano segna e la 6° casa subito sotto, ma in nessun correttamente la longitudine sistema di domificazione la 12° casa dell’Asc (15° Gem) e l’Ara comprende in questo oroscopo sia quella del Desc (15° Sge) e Toro che Ariete. contemporaneamente quella del Sole al tramonto. MC 19° Aqr: giustifica la Perseo non sarebbe una costellazione presenza della testa di ma il decano con testa mozzata cavallo nel pannello di relativo al grado del Medio Cielo a, sinistra (Equus-Cavallino) mentre al posto di Pegaso ci sarebbe e il Carro della Ninfa Elice il Cavallino, confondendo così nella come Orsa Maggiore. stessa rappresentazione costellazioni Sullo stesso asse giacciono e decani. correttamente l’Acquario e il Leone all’Imo Cielo. Vele ed Propone il Cratere come La distribuzione secondo il esagoni indicatore della posizione planisfero in coord. eclittiche della Luna. La Pars Fortuna continua a presentare irregolarità e è ancora compatibile con inversioni. Lorente se ne disinteressa la rappresentazione pur completamente, attribuendole a scelte essendo scivolata nei Pesci. artistico-narrative. a Secondo l’Astrolabium Planum di Johannes Angelus (1494) sarebbe la figura che presiede al 19° grado dell’Acquario. A quest’ultimo modello si possono ricondurre anche i contributi di Schiller (1993), Cox-Rearick (1984) e Weil-Garris Brandt (1986), anche se presentano dif- ferenti orari di genitura che oscillano tra le 14:12 e le 15:08. Le Tabelle 1, 2 e 3 ne illustrano punti di forza e di debolezza.

5. Pannelli centrali

I pannelli centrali offrono una possibile chiave interpretativa ibrida più soddi- sfacente di quelle avanzate finora. Accettando il paradigma Lippincott dell’orien- tamento geografico della Sala e l’interpretazione planisferica delle costellazioni della volta, essi forniscono informazioni di dettaglio sull’Ascendente (pannello di Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 231 sinistra) e un vincolo per il Medio Cielo (pannello di destra). In particolare il pan- nello che rappresenta la leggenda di Perseo e della Gorgone risulta, ad una analisi più attenta di quelle condotte finora, la rappresentazione della porzione di cielo parallela all’eclittica tra la costellazione dell’Auriga e quella di Pegaso (Figura 4). La stessa distribuzione delle stelle smaltate d’oro che circondano i vari personag- gi imita con distorsioni necessarie ma contenute la collocazione celeste delle co- stellazioni a cui si allude. Nel dettaglio, si va da Menkalinan b( Aur, rappresentata oltre che dalla stella, anche dal giovane pietrificato all’estrema sinistra) a Capella (a Aur, rappresentata dal busto di satiro che richiama Pan, il dio capra che rie- cheggia l’astro-capretta), a Mirfak e Misam a( e k Per, in prossimità delle braccia incrociate dell’eroe greco e della Medusa) alle tre stelle di Andromeda Almach, Mirach e Sadiradra (g, b e d And, ciascuna simbolizzata da uno dei tre individui pietrificati alla destra della Medusa) e infine ad Alpheratza ( And o d Peg, la cui evidente personificazione è la testa di cavallo all’estrema destra).

Fig. 4. Il pannello centrale di sinistra della volta della Sala di Galatea confrontato con la fascia di costellazioni extrazodiacali parallela all’eclittica tra Alpheratz e Menkalinan.

Il punto centrale della sequenza è proprio Algol, stella extrazodiacale la cui longitudine eclittica segnala l’Ascendente di Agostino Chigi. Questo astro era con- siderato tra le più rilevanti stelle fisse che possano contribuire ad un oroscopo, con un ruolo talvolta inquietante e legato alla morte per decapitazione, talvolta invece benefico, come attestato da questo passo dell’astrologo ellenistico Retorio, che sem- 232 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Fig. 5. Il Pannello centrale di destra, con Elice alla guida del carro di buoi. bra proprio celebrare il banchiere e il suo nuovo Viridarium: “[Algol, sorgendo all’o- roscopo o culminando, fa] i ricchi e coloro che hanno molte sostanze e possedimenti in diverse regioni e città, amanti della campagna e delle costruzioni. E se la Luna osserva una di queste stelle (della natura di Giove e Saturno) al suo sorgere o al suo culminare, i nativi sono di ottimi costumi e rispettosi degli anziani, di nobili sentimenti, generosi, tolleranti, assennati, amanti dei familiari” (Retorio, C.C.A.G. 8,4, c.58). La stella, la cui longitudine eclittica era nel 1466 di 48°44’ (Stellarium 0.15.0) e viene citata in molti cataloghi stellari dell’epoca come appartenente al 48° o al 49° grado del Toro, sarebbe dunque il radioso astro all’ascendente, insieme al pianeta Giove, mentre la Fama (che riproduce con le sue braccia incrociate e il suo sovrastare le stelle di An- dromeda e di Pegaso la regina Cassiopea sul suo trono celeste) annuncia la gloria del Magnifico Chigi. Il Medio Cielo che corrisponde a questo Ascendente (e quindi il cerchio massimo ortogonale all’eclittica che congiunge i due poli eclittici e non il meridiano in coordinate equatoriali che quasi tutti gli studiosi che considerano l’orientamento della sala suppongono erroneamente!) attraversa effettivamente il Capricorno, passa tra la Sagitta e il Delfino, e scende attraverso il Cancro, il Cane Minore e la Nave Argo, proprio le costellazioni che circondano gli spigoli della diagonale maggiore della volta (Figura 7). Lo stesso cerchio passa inoltre per l’Orsa Maggiore come testimoniato dal pannello di destra che risulta pertanto il ritratto del Medio Cielo del proprietario della casa, proprio come quello di sinistra rappre- senta l’Ascendente. La tesi di Quinlan McGrath, che vede nella ninfa col suo carro la costellazione dell’Orsa Minore attraversata dal Meridiano delle 21:30 è molto de- bole vista la rarità di menzioni di una ninfa e di un carro quando si parla dell’Orsa Minore. In questa nuova configurazione celeste, invece, si torna alla più consueta Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 233 figura del Grande Carro: è dunque Elice che corre sulla volta della Sala di Galatea, e non Cinosura (Figura 5).

6. Leggere il giusto Oroscopo sulla Volta

Che la volta sia uno straordinario oroscopo illustrato, concepito per affabulare gli ospiti magari durante i banchetti (e lo stesso ruolo biografico lo hanno proba- bilmente i miti d’aria dipinti nelle lunette da Sebastiano del Piombo con allusioni alla vita di Chigi5), lo dimostra anche la celebre testa in grisaille nell’angolo di Nord Est (peruzziana e non michelangiolesca come vuole una vecchia leggenda). Essa segnala il punto di vista settentrionale dell’Osservatore nei pressi dell’asse del Medio Cielo: è da questa posizione che si legge correttamente il tema con i suoi due assi principali (Esteban Lorente, 2014). Ai fini di una completa esegesi del dipinto, rimane però il problema dell’identificazione del criterio di scelta delle figure nelle vele: nessuna interpretazione è completamente soddisfacente e/o ri- solve le inversioni problematiche a cui si è già accennato in precedenza. Tuttavia se si prescinde dalla collocazione degli esagoni zodiacali e se si ordinano le costel- lazioni extrazodiacali sulla base delle longitudini di una tra le tre stelle principali di ogni costellazione (a, b e g), scompare ogni incongruenza dal modello a plani- sfero6. Inoltre molte costellazioni hanno probabilmente il ruolo di indicatori del- la longitudine dei pianeti nell’oroscopo come evidenziato in Tabella 4 (calcolata secondo le Tavole Alfonsine attraverso il software Devplot11).

Tab. 4. Posizione dei pianeti al momento della nascita di Chigi paragonata alla longi- tudine eclittica di alcune tra le stelle più brillanti nelle costellazioni rappresentate nelle vele della volta della Sala di Galatea. Sole 256°31’ a Ara 257°30’ Luna 161°17’ a Crt 166°21’ Mercurio 234°19’ - - Venere 298°18’ g Sge 299°37’ Marte 214°51’ a CrB 214°47’ Giove 48°32’ g Eri 46°24’ Saturno 356°47’ b Peg 351°56’ Pars Fortuna 313°30’ g Del 312°00’

5 Vedi in particolare Rijser (2012) che contestualizza magistralmente la Sala di Galatea nella vita di Chigi e nella cultura del tempo. 6 Ad es. α ArNav precede effettivamente in longitudine α CMi e α Cma, una delle quali deve essere ritratta nella vela del Cane, così come α Hya precede α Crt. 234 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Fig. 6. Baldassarre Peruzzi: la dea Fortuna in una delle illustrazioni del Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti (1523) e in una vela della volta della Sala di Galatea (1511).

Un discorso a parte merita la vela con la figura di quella che tutti ad ec- cezione di Quinlan McGrath (1984) interpretano come la dea Fortuna, la cui controparte matematica in un oroscopo è la cosiddetta Pars Fortuna. La stu- diosa dissenziente propone sulle orme di Saxl una più ambigua identificazione con la dea Nemesi, associata alla costellazione del Cigno (la forma assunta da Giove per possederla), negando qualunque allusione al parametro astrologico. Tuttavia l’accento è evidentemente sulla Fortuna più che su un’oscura dea che ricorda alla lontana la costellazione del Cigno: nel celebre testo Triompho di Fortuna di Sigismondo Fanti (1526), illustrato dallo stesso Peruzzi qualche anno dopo, la dea Fortuna è estremamente simile alla rappresentazione della Farnesina. Non solo china leggermente il capo con gli stessi capelli fluenti, ma ha tra le mani un timone che è identico a quello della Sala di Galatea. La Pars Fortuna nell’Acquario esclude con certezza un orario di nascita alle 21:30 di tempo locale, che invece prevedrebbe una sua collocazione al Medio Cielo nella costellazione del Toro. Più in generale si nota che con tutta probabilità la scelta delle figure celesti disposte con logica planisferica è stata fatta ad oc- chio sulla base di un globo celeste, tenendo conto dei possibili valori allegorici nel contesto della biografia chigiana e della posizione dei pianeti, senza vinco- larsi ad un criterio univoco. Con tutti questi parametri liberi che concorrono alla configurazione finale, il risultato è inevitabilmente soggetto a notevoli imprecisioni ma assolve perfettamente al suo ruolo di suggestione cifrata e di ispirazione biografico-astrologica. Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 235

Fig. 7. Gli assi dell’Oroscopo di Agostino Chigi sul Planisfero di Durer in coordinate eclittiche (1515). Sono indicati gli assi dell’Orizzonte (con l’Ascendente) e quello del Medio Cielo.

7. Il possibile orientamento astronomico della Sala e della Villa

L’importanza dell’orientamento della Sala è stata messa in luce per la prima volta da Kristen Lippincott (1991) e ribadita da Peter Schiller (1992) e Esteban Lorente (2014), mentre Quinlan McGrath (1995) rifiuta recisamente l’argomento, sostenendo che non c’è ragione per assumere che le volte astro- logiche del Rinascimento siano orientate. A titolo dimostrativo la studiosa cita due casi negativi a sostegno: la volta della Sala del Mappamondo nel Palazzo Farnese di Caprarola e quella della Camera dello Zodiaco nel Palazzo Ducale di Mantova, ambedue non orientate. Questa tesi però può essere facilmente smentita, portando come controesempio un “case study” perfetto, quello dei due più celebri esempi di cartografia celeste del Quattrocento: la cupolina della Sagrestia vecchia di San Lorenzo e quella della Cappella Pazzi a Firenze (Gandolfi, 2018). Il cielo rappresentato è lo stesso, orientato secondo il corretto azimut locale in ambedue i casi, ma diversamente collocato rispetto all’os- servatore posto al di fuori delle scarselle che lo ospitano. Tale semplice con- statazione ci ha spinto ad approfondire la questione con misure dirette della diagonale della Sala (che come già noto non è disposta esattamente Nord-Sud) e della facciata est della Villa, in modo da determinare sperimentalmente se esiste un collegamento tra l’orientamento azimutale e l’oroscopo rappresen- tato sulla volta. 236 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Fig. 8. L’asse del Medio Cielo e la linea dell’Orizzonte nella volta astrologica della Sala di Galatea.

8. La Misura della Diagonale della Sala

L’orientamento della diagonale della sala è stato misurato con una bussola; il valore rilevato è stato di 172°+/-0.5° (in direzione Sud). Il valore finale invece, corretto con la declinazione magnetica misurata in loco grazie a un teodolite calibrato sulla posizione del Sole (pari a 3.5° +/- 0.5° in accordo con il valore for- nito in data dalle tabelle del NOAA Statunitense), è pari a 175.5°+/-1°. Il Medio Cielo del Tema di Agostino Chigi delle 15:01 TMEC (corrispondente a 26.5° Cap, sia sulle mappe di Stellarium sia nelle coeve tavole dell’Astrolabium Planum di Johannes Angelus) incontra l’orizzonte di Roma nel 1506 (data dell’inizio dei la- vori di fondazione della Villa) esattamente a 175.5° di azimut (Stellarium 0.15.0). La diagonale della Sala è dunque orientata coerentemente con l’intersezione tra orizzonte locale e Medio Cielo (anziché Meridiano) proprio nel caso della lettura dell’oroscopo proposta da Lippincott. Che questa corrispondenza sia espressa in coordinate eclitticali è perfettamente consistente con le convenzioni congeniali ai calcoli astrologici usualmente adottate dalla cartografia rinascimentale, atte- state dalla gran parte dei globi celesti dell’epoca, il cui asse privilegiato è quasi sempre la fascia zodiacale piuttosto che l’equatore celeste.

9. La Misura dell’Orientamento del Lato Orientale della Villa

La misura dell’orientamento della facciata est di Villa Farnesina è stata effet- tuata con un teodolite. Dal sito JPL-Nasa sono state acquisite le coordinate altazi- mutali del Sole per il luogo e con esse, ad un certo istante di tempo determinato con cronometro Suunto sincronizzato con il segnale di tempo GPS, è stato posto in stazione il teodolite ed azzerato il cerchio di azimut collimando il centro del Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 237 disco solare. A questo punto sono stati misurati gli angoli degli spigoli della fac- ciata orientale della villa e con una rotella metrica sono state rilevate le distanze tra il piede del teodolite e gli spigoli della stessa facciata e poi la lunghezza del lato della facciata (errore +/-0.2 m). Queste misure sono state verificate anche con l’impiego di un laser ranger balistico (errore +/- 0.4 m). Infine, è stato calcolato l’orientamento della facciata della villa, come da schema in Figura 9.

Fig. 9. A sinistra: schema della misura dell’orientamento della facciata orientale di Villa Farnesina. A destra: uno degli autori durante la misurazione con il teodolite.

Tramite il teorema di Carnot si è determinato prima il lato AB e poi l’angolo

δ. Conoscendo β (azimut Sole + ω1 - 180°) e δ, è immediato calcolare l’azimut di AB. L’azimut della facciata risulta essere g = 336.4°+/-0.1, e quello della normale alla facciata è quindi f = g + 90° = 66.4°+/-0.1 La normale alla facciata è orientata proprio verso l’Azimut di 66.5° in corrispondenza del quale nel 1506 sorgeva a Roma 48.5° Tau (Stellarium 0.15.0). Se insomma la diagonale della Sala di Galatea risulta allineata al Medio Cielo dell’Oroscopo, contemporaneamente la facciata orientale dell’intera Villa, quella rivolta al Tevere (evidentemente omaggiato nella vela della costellazione extrazodiacale di Eridano posta in quella direzio- ne), appare orientata in direzione del punto in cui l’eclittica incontra l’orizzonte al momento della nascita di Chigi, cioè verso l’Ascendente. La probabilità che questa coppia di valori indipendenti sia derivata da un orientamento casuale della Farnesina è di 1/360 x 1/360 = 7.7 x 10-6, ampiamente oltre i 4s di una di- stribuzione gaussiana. Se ne può dunque concludere che il geniale Peruzzi ha congegnato fin dall’inizio l’edificio in modo da rispecchiare fin dalla struttura il tema di nascita del suo committente, quasi fosse una sorta di DNA numerico/ar- chitettonico che riecheggia in versione astrologica l’approccio pitagorico delle proporzioni vitruviane allora tanto in voga7.

7 Per un’affascinante trattazione del pitagorismo nel Rinascimento (anche dal punto di vista architettonico) si può consultare Joost-Gaugier (2009) 238 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris

Fig. 10. Villa Farnesina in una immagine da Google Earth: sono segnati il perimetro della Sala di Galatea, la diagonale orientata secondo il Medio Cielo e la normale alla facciata est, diretta verso l’azimut dell’Ascendente di nascita di Chigi.

Visto che l’orizzonte doveva essere già all’epoca ostruito all’altezza della Loggia dagli edifici che si innalzavano sull’altro lato del Tevere, l’orientamento alle coordinate azimutali rilevanti va inteso come puramente teorico, anche se non può essere escluso che la vista dall’altana del secondo piano fosse assai più sgombra consentendo l’osservazione del sorgere delle stelle del Toro e che in conseguenza di questa disposizione topografica il Sole creasse magari ierofanie all’interno della sala in date rilevanti.

10. Un orientamento “ad horoscopon”?

Questa sorta di orientamento ad“ horoscopon” è una configurazione credi- bile? Il concetto risulta attestato altrove in epoca Rinascimentale o è un vero e proprio unicum? Si tratta di domande importanti e delicate, necessarie se si vuole davvero sgombrare il campo dall’eventualità di un doppio allineamento casuale, per quanto improbabile esso appaia. Quel che sappiamo per certo è che gli orientamenti astronomici di edifici di culto cristiani erano fin dall’alto Me- dioevo tutt’altro che infrequenti, ma che essi vedevano quasi invariabilmente Giangiacomo Gandolfi - Massimo Calabresi 239 protagonista il Sole nei momenti di levata e di tramonto. A nostra conoscen- za non esiste alcuno studio sistematico che dimostri un’attenzione a parametri astrologico-topografici come l’Ascendente e il Medio Cielo di un tema celeste, anche se è noto che nell’architettura pubblica e privata, sia religiosa che civile, il momento della posa della prima pietra veniva spessissimo calcolato sulla base della cosiddetta teoria astrologica delle Elezioni8. Esaminando però i casi più importanti indagati singolarmente e approfonditamente in letteratura, si trova che soprattutto in Toscana, terra di provenienza della famiglia Chigi senese, vi è un gran numero di testimonianze della crucialità dell’orientamento, e in almeno un caso anche in un edificio civile rurale, proprio il capostipite dei “suburbana”. Esaminiamo brevemente queste importanti testimonianze. La situazione più si- mile a quella di Villa Farnesina la troviamo nella Villa di Poggio a Caiano, pro- babilmente ideata dallo stesso Lorenzo de Medici, il primo proprietario (Forster 1992). L’edificio ha numerose connotazioni astrali, tra cui il celebre fregio nel portico che, secondo Albury (2014), è diretto verso sud-est, con Apollo che sem- bra dunque viaggiare in direzione opposta al consueto arco diurno segnalando il ritorno ad una mitica età dell’oro sotto il dominio mediceo. La facciata con la celebre lunetta astrologica di Vertumno e Pomona del Pontormo, nella sala di Leone X, è d’altronde rivolta verso un azimut di 129° (lo stesso del fregio). Secondo Claudia Rousseau (1983) il 1° gennaio poco dopo l’alba, all’istante della nascita di Lorenzo, il sole entrerebbe nella sala attraverso le finestre e l’oculo, indicando un orientamento almeno parzialmente “ad horoscopon”9. Anche la celebre chiesa di Santa Maria delle Carceri a Prato, progettata probabilmente dallo stesso Lorenzo de Medici e realizzata da Giuliano da San- gallo, è orientata in modo da giocare non casualmente con il Sole e ospitare sull’altare una ierofania nel giorno della ricorrenza dell’apparizione mariana che indusse ad erigere il tempio, il 6 luglio 1484 (Lapi Ballerini, 2009). Anco- ra più significativo è il caso della Cappella Chigi a Santa Maria del Popolo a Roma: il Pantheon in miniatura realizzato al suo interno è un esempio partico- larmente calzante perché illustra anch’esso come la Sala di Galatea la fede cri- stiana e al contempo astrologica dello stesso committente. Ebbene anche qui il simbolismo cosmico della cupola con la sua sequenza di pianeti e segni zo- diacali è orientato geograficamente. Secondo Weil Garris-Brandt (1986) questa forte attenzione all’orientamento è confermata peraltro dall’allineamento al

8 Per i rapporti tra urbanistica, architettura e Astrologia ci si può utilmente riferire a Castelli (1977). 9 Queste considerazioni di Rousseau – peraltro citate esclusivamente in nota e mai approfondite in una successiva pubblicazione come promesso - dovrebbero essere verificate con misure in loco. L’“almeno parzialmente” si riferisce all’evidente discrepanza tra l’azimut del sole nascente nel primo giorno dell’anno e l’orientamento della sala: se confermati, la ierofania e l’allineamento non riguardano la generica alba del giorno del compleanno di Lorenzo, ma l’ora esatta del suo oroscopo. 240 Et Summis Surgentia Tecta sub Astris nord vero della piramide nella cripta, discrepante di circa 9° rispetto al nord della cappella superiore, imposto dalla struttura architettonica preesistente e segnalato dalle due stelle allineate nella volta d’ingresso. La chiesa di San Jacopo in Acquaviva a Livorno è invece l’unico caso in cui abbiamo testimonianza scritta (ma non fisica, perché la vecchia chiesa è stata pesantemente rimaneggiata nel corso dei secoli) di un vero e proprio orienta- mento “ad horoscopon”. Come riporta Francesca Funis (2006) citando una lettera dell’Archivio (ASF Mediceo del Principato 539): “[La] prima pietra della Torre di San Jacopo (8 novembre 1568) [viene] deposta […] esattamente nel punto dove <>”.

11. Conclusione

La Loggia di Galatea realizzata dal Peruzzi appare orientata volontaria- mente “ad horoscopon”, riflettendo su scala architettonica il contenuto del- la genitura rappresentata nei celebri affreschi della sua volta, dettaglio che consente di confermare l’orario esatto di nascita di Agostino Chigi proposto da Kristen Lippincott. Al momento, a parte la possibile eccezione della Villa di Poggio a Caiano e quella più solida della chiesa medicea di San Jacopo in Acquaviva a Livorno, un edificio così mirabilmente progettato risulta un af- fascinante unicum, un tempio cosmico all’esterno come all’interno, con i suoi “summis surgentia tecta sub astris” per citare il poema di Egidio Gallo. Resta da indagare se altri edifici civili privati o pubblici del Rinascimento possano svelare la stessa affascinante matrice topografico-astrologica.

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Domenico Ienna Società Italiana di Archeoastronomia-S.I.A; Società Italiana di Antropologia Culturale-S.I.A.C. ([email protected])

Abstract. round like a sky or like a sun. the engraved stone of the “museo della civiltà contadina” of moio della civitella-pellare (Salerno). The interest of the contribution is directed - obviously considered the archaeological and cultural material vestiges represented by this artefact - especially to the numerous engraving (culture longobard/ norman, 1050 A. D. approximately) made on the surfaces of the archaeological find, where the universe seems to be present in a soft way but, with a close reading, in a coherent and efficient manner.

1. Documentazione su reperto e struttura museale relativa

Il reperto è ospitato attualmente nella nuova sede del ‘Museo della Civiltà Contadina’1 di Moio della Civitella a Pellare (p.zza degli Eroi 2), frazione di tale località del Cilento in provincia di Salerno. Il nostro primo incontro ‘diretto’ con la pietra incisa è del 6 Aprile 2017. Prima di dar corso alla ricerca, è opportuno riepilogare qui alcune notizie pubblicate fino a oggi sul reperto, nonché sulle strutture che di volta in volta l’hanno ospitato. Le prime citazioni sono dovu- te, ovviamente, al promotore/direttore dell’iniziativa museale Giuseppe Stifano (1929-2016): “Di sommo interesse […] è la sezione vinicola, essendo il territorio interessato, per il passato e il presente, alla coltura della vite […]. Interessanti […] arcaici torchi in pietra e legno di epoche remotissime”2,“Il Museo della Ci-

1 Sito divulgativo: http://www.cilentocultura.it/cultura/museo/moioa.htm . 2 Stifano (1987, 143). 244 Rotonda come un cielo o come un sole viltà Contadina di Moio è nato come Mostra Didattica, ossia come esposizio- ne etnografica, nell’ambito della Scuola Elementare, durante l’anno scolastico 1979-80 [inaugurata il 18.5.19803]. “La sezione vinicola è interessantissima […]. Presenti importantissimi torchi […] quello di fattura greco-romana”4 . Essenziale evidentemente quella in cui è riportato il ritrovamento del manu- fatto, con disegno della superficie superiore dello stesso: “A confermare questa antica vocazione dei pellaresi [nonché degli abitanti di Moio d. C.], nel campo enologico […] un ritrovamento archeologico fatto, nel 1978, da Giuseppe Puglia. Nel rimettere a nuovo la sua cantina, posta in un vecchio quartiere di Pellare, rinvenne la base di un arcaico strettoio in pietra arenaria, su cui sono scalpellati molti segni mitologici della cultura greco-romana”5. Una diversa interpretazio- ne storico-culturale della “pietra” propone invece La Greca, a corredo d’una foto del reperto“Base di torchio, forse di epoca longobarda, con su incisi i simboli magico-rituali del sole e della fertilità, da notare la svastica, segno propiziatorio diffusissimo presso quasi tutte le civiltà antiche”6, motivando così in seguito la scelta relativa “La vecchia didascalia di ‘Torchio greco-romano’, che per un certo periodo vi era stata apposta, nella sua troppa genericità, è […] fuorviante in quanto non riesco […] a leggere in quei segni alcun che di greco o romano” 7.

Fig. 1. Il reperto, superficie Fig. 2. Vista laterale dalla parte dello sbocco. superiore.

2. Il supporto litico. Descrizione

Si tratta d’un reperto approssimativamente rotondo8 d’arenaria, danneggiato in più punti e consunto per traversie di utilizzo/trasporto evidentemente patite nel corso del tempo. La forma geometrica è inficiata soprattutto da una vistosa

3 La Greca (2013, 17). 4 Stifano (1993, 31). 5 Stifano (1994, 233 e 234). 6 La Greca (1997, 131; 2001, 141). 7 La Greca (2013, 177). 8 Diametro: massimo cm 125, minimo (a causa della parte mancante) cm 102; solco interno: tra cm 7 e 8; spessore lato parte mancante: cm 11. Domenico Ienna 245 parte mancante, il cui bordo appare comunque piuttosto regolare nel taglio, e uniforme per levigatezza di consumo e colore del supporto litico. Tipologia strut- turale e modalità di scoperta simili sono riscontrabili, ad esempio, in un’altra base di torchio – anche se utilizzata per la spremitura delle olive – rinvenuta in una cantina a S. Severo (Foggia)9: proprio su una direttrice di ricerca (Cilento-Puglia) che si dimostrerà poi feconda nella comparazione dei simboli incisi. Superficie superiore. La superficie superiore presenta un solco interno sca- vato intorno a un foro centrale – giunto a noi quest’ultimo comunque occluso – diversamente da due piccole cavità poste ai lati di esso; e poi uno sbocco – pre- ceduto/indicato da uno stretto canale – aperto su un punto della circonferenza lontano dalla parte mancante. Superficie inferiore. La superficie inferiore invece - tormentata e grezza – mostra una lieve convessità se opportunamente mirata da viste laterali.

3. Le incisioni sulle superfici

L’interesse del contributo è rivolto – tenute ovviamente in conto le testi- monianze archeologiche e di cultura materiale rilevabili nel reperto – soprat- tutto alle numerose incisioni tracciate10 sulle superfici, in parte riassorbite e confuse però – per collasso dei bordi – nel granulare composto della materia rocciosa. Ciò rende così riproponibile in questo caso – grazie anche a oppor- tuna tecnica tattile di valutazione11 – quel giudizio di vetustà già precedente- mente espresso sopra il supporto litico. I segni più evidenti – che interessano quasi tutti la superficie superiore – mo- strano su di essa questa distribuzione: 3 all’interno del solco circolare centrale, e 5 (di cui uno ‘raddoppiato’) all’esterno di questo. Su quella inferiore invece, piuttosto corrosa, s’evidenza solamente una formazione complessa sicuramente ‘tracciata’. 3.1. Superficie superiore Quando (dopo esami fotografici al riguardo) abbiamo osservato per la prima volta direttamente il reperto, siamo rimasti colpiti dalle incisioni presenti sulla

9 http://labottegadeldisordine.blogspot.it/p/torchi-oleari.html 10 Per tipologia di materiali incisi, tecniche e strumenti relativi - in ambito medievale – vedi: http://www.comune.pisa.it/museo/Iplug-in/DOC/adu-010/paragrafo3.html). 11 Questa la modalità d’indagine: “Toccando le superfici da poco incise, la mano riscontra una scabrosità che non è di quelle antiche. I segni incisi in tempi remoti raramente conservano la freschezza del tratto, poiché il dilavare delle piogge e l’abrasione della polvere hanno smerigliato il solco e ne hanno uniformato il colore e la compattezza al resto della superficie del concio di pietra” (Giacomini 2001, 127). Riguardo poi a tecniche fotografiche e informatiche d’aiuto per “distinguere porzione di pietra graffita da quella semplicemente graffiata, logorata, sgretolata, tagliata” (Pellegrini-Trovato 2009, 376), vedi il contributo – appunto - di questi autori. 246 Rotonda come un cielo o come un sole superficie superiore (ad eccezione del canale circolare interno): sia per varietà e numero delle stesse, sia perché i tratti grafici relativi risultavano ben marcati con gesso bianco, venendo a costituire così ‘una’ ricostruzione di caratteri o figure di varia tipologia.

Fig. 3. Superficie superiore, incisioni Fig. 4. Superficie superiore, incisioni ripulite rimarcate col gesso12. dal gesso.

Tale operazione – effettuata successivamente al ritrovamento della ‘pie- tra’ – ha contribuito molto probabilmente a sottrarre il reperto dall’anoni- mato, o dalla mancata ‘conservazione’ addirittura dello stesso. Ma essendo già esposti evidentemente i simboli a due tipi di polisemicità/ ambiguità – quella cioè strutturale insita nella natura proprio d’ogni segno e quella invece accidentale dovuta a eventuale non corretta leggibilità dei ‘grafi’ in esame – concreta la possibilità anche d’un terzo rischio in tali ‘aggiunte’, quale suggerire/ falsare figure o interpretazioni collegando tratti pur se a volte evidenti. Se l’ambiguità strutturale per essere risolta richiede tecniche di comparazione e ricerca interdisciplinare, queste – dipendenti ovviamente dalla più completa/ corretta visualizzazione possibile del materiale in esame – hanno reso necessaria la rimozione delle tracce in gesso, effettuata (in ac- cordo con l’Amministrazione comunale) il 27.6.17 mediante tecniche rispet- tose delle caratteristiche del reperto. Dopo tale operazione è stata realizzata una nuova documentazione fotografica – con definizioni/contrasti/distanze sostenibili, e diverse angolature di illuminazione – per ottenere migliori ‘let- ture’ della superficie interessata.

12 Immagine da A. La Greca. Domenico Ienna 247

Tale nuova analisi della superficie superiore ‘ripulita’ ha rivelato (come in parte già quella effettuata a ’gessi’ ancora tracciati) – oltre ai segni di maggiore evidenza – un sistema grafico più ‘discreto’ e ramificato, probabilmente dovuto a interventi più antichi o integrazioni con tecniche meno invasive: da ‘leggere’ comunque tutto insieme al meglio, per guadagnare possibili utilizzi del manufatto e senso delle incisioni rilevate. Le immagini della superficie superiore ottenute – sia precedenti sia susseguenti la ‘pulitura’ – costituiscono corredo evidentemente molto duttile per il contributo, per utilizzo di volta in volta nella versione più op- portuna a seconda della leggibilità necessaria delle incisioni in esame.

Fig. 5. Superficie superiore, Fig. 6. Luogo di ritrovamento reperto su carta Ducato incisioni ripulite dal gesso longobardo di Benevento. evidenziate13.

Per quanto riguarda le misure dei segni tracciati su questa superficie, val- gano come metro di comparazione quelle riguardanti il cosiddetto ‘Quadrato’ (vedi § 6.2.5.2.2): cm 5x5, data la forma. 3.2. Superficie inferiore Le foto relative a quella inferiore – cortesemente fornite dall’Amministra- zione comunale per non facile manovrabilità del reperto – sembrano mostrare invece scarsità di segni volontariamente apportati. Appare al riguardo infatti – nei pressi dell’arco incompleto della ‘pietra’ – un’incisione non evidenziata in passato col gesso.

13 Evidenziati qui gli 8 segni analizzati sulla superficie superiore. Di ognuno, indicata l’immagine in dettaglio, o comunque la prima ad esso relativa: 12, 17, 24, 27, 28, 31, 37, 41. 248 Rotonda come un cielo o come un sole

4. Fonti e metodologie per datazione e interpretazione del reperto

Per formulare ipotesi proponibili sui riferimenti storico-culturali del reperto e delle incisioni relative, in assenza di specifica documentazione a supporto il contributo è tenuto a praticare due percorsi tra loro dialettici e complementari: due ‘itinera’ esplorativi fatti di comparazioni, inclusioni/esclusioni di possibili rapporti logici e fattuali, da far convergere poi in una ricostruzione interpreta- tiva (simbolico-funzionale) del manufatto. 4.1. Primo iter, storico-culturale Come accennato, il manufatto in esame si pone in modo molto pretenzio- so – per essere in qualche modo raccontato – verso uno strumento di corredo fondamentale per l’Antropologia interpretativa: la conoscenza il più possibile accurata dell’ambito storico-culturale-linguistico che si va a esaminare. Primo percorso, dunque, è la ricerca di possibili influenze ‘mediate’ o ‘immediate’ esercitate da notevoli contesti storici e culturali che appaiono ‘limitrofi’ (in senso non solo ‘spaziale’) all’oggetto/vicenda di cui fare narrazione: cioè – nella provincia – i siti villanoviano/etrusco di Pontecagnano (dal IX e dal VI sec. a.C.) 14, greco-romano di Paestum (da VII/VI a. C.), greco (-lucano?)15 della Civitella di Moio (da fine IV a. C.)16, la presenza cristiana in generale nel Ci- lento (documentata da inizi IV sec.17) e specificamente nella Badia di Patta-

14 “Le recenti acquisizioni hanno in primo luogo rivelato la precoce attestazione della scrittura etrusca a Pontecagnano, documentata nella prima metà del VII sec. [a. C.] da lettere isolate e, nel terzo quarto del secolo, da un alfabetario di seconda fase […] – il più antico finora attestato – e da una complessa iscrizione di dono”(Pellegrino 2010, 1). Del resto, “‘La Campania’ […] spiega Luca Cerchiai, docente di Etruscologia e archeologia dell’Italia all’Università di Salerno, ‘fu più etrusca che greca. Greche erano Cuma, Paestum, Velia. Ma gli Etruschi controllavano l’entroterra oltre alla costa salernitana. Si può dire che in fondo anche Capua e Pompei fossero etrusche, come altri insediamenti indigeni che accettarono d’essere etruschizzati’. Pontecagnano è il limite meridionale dell’espansione etrusca. Nata come insediamento villanoviano, copre un arco di tempo che dall’inizio del IX secolo avanti Cristo arriva alla conquista romana, avvenuta nel III secolo” (Durante 2011). 15 Il collegamento con il sito greco di Elea - e non con la cultura lucana – è ritenuto argomento consolidato nell’ambito degli studi. Vedi ad esempio Greco-Schnapp (1983, 385) e Munzi Santoriello (2010). Eppure emergenze e considerazioni da altri ambiti di studio tendono a riproporre attenzione per componenti non greche nella storia di questo sito archeologico (ad es., La Greca 2013, 177-178). 16 Per La Greca (2013, 177) “sulla Civitella va cercata la prima e più interessante radice culturale del manufatto”. In effetti, ipotizzabile la provenienza del reperto proprio da tale area archeologica, dove potrebbe aver avuto - al tempo – un diverso utilizzo. Molto diffuso del resto nel nostro Paese – ricco di siti antichi anche a cielo aperto - effettuare nei secoli spoliazioni pure sistematiche di materiali pregiati o lavorati, per rifornire cantieri architettonici pubblici e privati. Da ricordare, in proposito, ”i lavori di recupero dei marmi dalla città abbandonata [di Paestum], ordinati da Roberto il Guiscardo per […] la magnificenza del nuovo tempio […] di S. Matteo che […] dal 1077 si andava costruendo in Salerno” (La Greca 2001, 168). 17 Al riguardo menzioni di comunità cristiane, e reperti di testimonianza tra le rovine di Ercula (attuale S. Marco di Agropoli) e di Paestum (La Greca 2001, 114-115; La Greca 2017, 116-117). Domenico Ienna 249 no bizantina (dall’VIII-X d.C.)18. Particolarmente significative, infine, vestigia longobarde e normanne (causa inserimento dall’VIII al XIII sec. – compreso il periodo svevo – del territorio di nostro interesse nei rispettivi domini dell’I- talia meridionale19) tra cui quelle di Olevano sul Tusciano (IX-X)20 e Caselle in Pittari (XI-XII)21. Fuori della provincia invece, essenziale per comparazioni di ricerca il crogiuolo di culture longobarda /normanna /bizantina, sveva e angioina di Monte S. Angelo (Foggia) (dal V d.C.); poi – per doverosi confronti ‘fuori piazza’ – in Francia quelli capetingi di Aigues mortes (XIII)22 e Domme (XIII-XIV)23, e ‘templare’ di Ydes (XIII). Proprio l’inserimento di questi ultimi tre siti fuori del nostro Paese e d’epoca posteriore a quella proposta per le incisioni del reperto, cioè l’anno 1050 ca. – necessita però di precisazione: non li si vuole accreditare certo d’influenza diretta a tanta distanza geogra- fico/culturale e (addirittura retroattiva!) di tempo, bensì alludere a modalità espressive probabilmente più antiche, di cui essi potrebbero conservare me- moria relativa.

18 Per La Greca (2013, 177) sono appunto da seguire - per la ricerca sul reperto - “due filoni facenti riferimento […] all’insediamento pre-greco della Civitella e al monastero bizantino di Pattano”. In quest’ultimo caso, proprio per la “vicinanza del sito di rinvenimento alla badia greca di Santa Maria di Pattano. Questa almeno dal IX secolo (se non si vuol considerare la sua culla: gli insediamenti delle Grottelle ascendenti al VI secolo), rappresentò per l’ampia valle di Nobe un indiscusso punto di riferimento di tradizioni agricole, sia tecniche che culturali, le quali, verosimilmente conservavano tutto il loro contenuto di rimandi a segni e simboli collegati alla meteorologia [.] per [.] una possibile difesa preventiva dei raccolti” (La Greca 2013,181). 19 “La lotta apertasi nel 1053 tra Longobardi e Normanni portò quest’ultimi in poco più di un ventennio a soppiantare i primi nel dominio della regione ma gli episodi bellici furono relativamente pochi […] condotti principalmente contro obiettivi strategici, tali comunque da non sconvolgere il grosso del sistema produttivo del territorio, sicché l’ultima fase longobarda trapassò in quella normanna apparentemente senza traumi” (Cantalupo 1994, 72). 20 Qui il santuario longobardo della grotta di S. Michele. All’interno della grande cavità, ospitate varie strutture. 21 Nel Santuario del Monte Pittari (Caselle in Pittari), lastra di pietra con scolpito a bassorilievo S. Michele che trafigge il drago. “Lo scudo crociato [a goccia] che l’Arcangelo regge con la sinistra, ci rimanda all’epoca della prima crociata a cui i Normanni parteciparono […]. Ѐ probabile […] che l’opera sia stata scolpita agli inizi del XII secolo, in ambiente ancora dominato dalla cultura longobarda (culto di S. Michele) ma già aperto al nuovo fatto, le crociate” (La Greca 2001, 163 e 167; La Greca 2013, 170). 22 Città-fortezza di Aigues Mortes, Linguadoca-Rossiglione, Francia. Erezione delle mura: 1269-inizio 1300 (da Luigi IX il Santo, attraversoFilippo III l’Ardito, fino aFilippo IV il Bello). Opportuno uno sguardo qui ai numerosi segni di ‘firma’ dei lapicidi (più volte ripetuti sui blocchi ‘lavorati’ in varie zone della struttura, a computo del compenso dovuto) per guadagnare alcuni tratti espressivi frequenti nell’incisione su pietra, pur se in ambiti geografico e culturale diversi [(vedi Fig. 11: Marchi di lapicidi, Aigues Mortes (Francia)]. 23 La “Porte des Tours”, parte della fortezza di Domme in Dordogna. Voluta da Filippo L’Ardito e costruita dal 1283 al 1310, tra il 1307 e il 1318 vi furono rinchiusi 70 cavalieri Templari che vi lasciarono testimonianze grafiche della loro permanenza. 250 Rotonda come un cielo o come un sole

4.2. Secondo iter, grafico-simbolico L’altro iter di ricerca consiste invece – per evitare opportunamente d’incor- rere nell’insidiosa pareidolìa di segni, simboli e contesti relativi - nell’attento esame grafico e semantico di ciò che può essere vergato su pietra (marchi di lapicidi/tagliapietre, segni devozionali, iniziatici o propiziatori), esprimenti mo- tivazioni e logiche individuali/collettive ovviamente compatibili con gli ambiti storico-culturali di riferimento sopra considerati. Le difficoltà interpretative sono venute – come accade sovente nella ricer- ca – dopo alcune apparentemente facili letture, che andavano ancorate però ad argomenti che le rendessero ipotesi scientificamente proponibili (anche se ov- viamente non certezze assolute): ché non bastava tentar d’interpretare soltanto – in modo più o meno convincente – i singoli segni; occorreva che i significati così rilevati sembrassero tendere – senza sforzo e di concerto – a un progetto non vago, di senso unico più generale.

5. Interpretazioni di struttura e funzioni del reperto

5.1. Manufatto parte di macchina Le caratteristiche strutturali della superficie superiore già rilevate (solco interno; foro centrale con due cavità laterali, possibili sedi di parti perdute; e soprattutto lo sbocco aperto sulla circonferenza, tipico di raccolta e scarico liquidi) – che qualificherebbero genericamente il reperto come parte di ma- nufatto adibito a spremitura di frutti – combinate con la presenza d’oggetti simili fino ai nostri giorni in un’area interessata da secoli in modo precipuo al processo di vinificazione24, tendono a identificare più precisamente la pietra

24 “Tra la fine dell’epoca longobarda ed i principi di quella normanna, cioè nella seconda metà dell’XI sec., oltre alle aree collinari e alle zone montane, anche le pianure conobbero dopo il lungo abbandono una certa ripresa delle attività agricole” (Cantalupo 1994, 73).“La documentazione relativa all’ambito geografico di cui ci occupiamo, in cui […] restano scarse e frammentarie le testimonianze anteriori al X secolo, indica che la cultura della vite, secondo una pratica che affondava le sue radici in epoca protostorica, si svolgeva di preferenza su terreni collinari esposti a solatio, senza disdegnare le aree montane meno inclementi. Il primo esplicito documento ad attestarci l’esistenza di vigneti nella zona cilentana risale al 774, alla prima età longobarda, ma che si deve attendere il IX e il X secolo per presumere che essi abbiano raggiunto qui una capillare diffusione” (Cantalupo 1994, 87). Conferma più specifica, l’attestazione (anche se molto più tarda) di consumo dello stimato prodotto di Pellare alla corte vicereale di Napoli nel 1571 (Ebner 1973, 602). Tracce di tale tradizione produttiva rinvenibili comunque anche nell’attuale toponomastica del paese, con il ricordo ‘in loco’ d’un antico molino detto però “Lo Palimiento” (Touring Club Italiano 2006, 78) [“Palmento: Vasca larga e poco profonda, con pareti di mattoni o di calcestruzzo, o anche scavate nella roccia impermeabile, usata per la pigiatura e la fermentazione dei mosti nell’Italia merid.” (Vocabolario Treccani.it)]. Tecnica e manufatto ancora presenti, infine, anche Domenico Ienna 251 come base di torchio per spremitura delle ‘vinacce’. Se non – come vedre- mo – l’ambito culturale delle incisioni, la prima didascalia apposta nel Museo al reperto poteva riguardare comunque la tipologia di struttura del manufatto. Tale scritta indicativa recitava infatti “Torchio greco-romano”, sulla scorta forse proprio d’un manufatto di struttura simile (romano d’epoca imperiale, I-II sec. d. C.) situato nell’area archeologica di Paestum25, di cui si mostra pure il possibile funzionamento.

Fig. 7. Torchio romano, Paestum 26. Fig. 8. Ricostruzione tor- chio di Paestum.

Certo, menzione e illustrazione di tale reperto romano non intendono affer- mare necessariamente filiazioni di tipo diretto, ma solo testimoniare la secolare presenza in zona di manufatti27 simili. Opportuno mostrare, poi, il probabile meccanismo deputato invece del tor- chio di Pellare, riproposto dopo un’altra versione di quello ‘tipo Paestum’ per le opportune differenze28. in diverso utilizzo di basi di torchio simili, con funzioni cioè architettonico-decorative di piazze e strade del paese. 25 Vedi: Brun (1998, 419-472); Brun-Monteix (2009, 128 fig. 13, 131 fig. 16); Cantalupo (2002, 7, didascalia fig. 2, 8: “Paestum, zona del Foro. Torchio per olii e profumi”; “in una ‘taberna’ del Foro [.] ancora oggi è presente, ben conservata, una base di torchio per olio”). 26 ‘Taberna’ sul lato nord-ovest del Foro romano a Paestum. Torchio posto verso 340°, con sbocco orientato dunque a 160° quasi sulla linea meridiana; sullo sfondo infatti, verso Nord, il Tempio di Cerere. 27 Per la ricostruzione relativa al torchio di Paestum, vedi Fig. 8: “Paestum: proposition de restitution d’un pressoir à vis (dessin J.-P. Brun)” (Brun-Monteix, 2009, fig 16, 131). Per il il torchio di Pellare, vedi Fig. 9 (da La Greca A.) e Fig. 10 (Stifano 1994, 236). 28 “La pietra [il reperto qui esaminato] costituiva la base sulla quale erano accatastati i ’fiscoli’ [dischi di spremitura, come nella Fig. 9] ma non aveva la vite senza fine al centro bensì un semplice palo fissato al centro della base [Fig. 10]; la pressione avveniva operando con una lunga leva 252 Rotonda come un cielo o come un sole

Fig. 9. Ricostruzione torchio di Fig. 10. Ricostruzione torchio di Pellare, con palo Pellare, con vite senza fine. e peso.

5.2. Le vite funzionali del manufatto Così ipotizza La Greca le vicende della ‘pietra’ incisa: “il disco di pietra fu visto […] perfetto per un utilizzo del tutto diverso, per cui fu adottato per qual- cosa di pratico e allestito all’uopo con l’incisione del canaletto di deflusso del mosto, per cui la struttura, nel suo insieme, oggi presenta tre cerchi concentrici. Al centro il foro nel quale era infissa la vite senza fine o un semplice palo di sostegno dei fiscoli; con una leva era possibile esercitare una forte pressione sui ‘fiscoli’ poggiati sulla fascia che costituisce il secondo cerchio, detto’ rusiéddo’; il mosto che fuoriusciva scorreva nel solco inciso all’esterno di questo ed aveva la funzione di raccogliere e lasciare fluire il prezioso liquido in un recipiente sottostante; è ben definito dal terzo cerchio, una fascia alquanto larga che assi- curava la consistenza della pietra e la necessaria resistenza” (La Greca 2013,182). Proviamo a formulare anche noi ipotesi su possibili ‘passaggi di vita’ del re- perto, per delineare una storia plausibile dello stesso come manufatto riguardo alle culture sia materiale, sia simbolica in esso rappresentate. Ecco un possibile riepilogo al riguardo.

direttamente sui ‘fiscoli’, aiutandosi con una grossa pietra sospesa all’estremità; questa pietra veniva poi lasciata in sospensione per molto tempo (anche alcuni giorni) per far scorrere il mosto; durante questo tempo a più riprese si ripeteva l’operazione (A. La Greca, 1.9.17). Il palo citato era “corredato da un blocco in legno alloggiato negli incavi vicini al foro occluso centrale” (A. La Greca, 21.8.17), di cui sono ben visibili le tracce nella Fig. 1 e in altre. Domenico Ienna 253

Riepilogo possibili fasi d’utilizzo A nostro avviso – date le utilizzazioni (A) e (B) come comunque certe [in quanto testimoniate (A) dalla struttura stessa del manufatto e (B) dalle incisioni presenti] – ipotizziamo che esse possano essere state precedute la prima da un momento pre-produttivo (X), e l’altra da uno produttivo-rituale integrato (Y). (X) Possibile momento pre-‘produttivo’ Manufatto utilizzato esclusivamente per funzioni architettoniche nel luo- go di provenienza o di utilizzo [argomento a favore dell’impiego originario non produttivo: non preciso ricavo (mancanza di ‘centratura’) della base di torchio dal supporto litico, effettuato dunque successivamente a una diversa funzione iniziale], manufatto utilizzato esclusivamente per funzioni rituali nel luogo di provenienza o di utilizzo (argomento a sfavore dell’impiego ‘ri- tuale’ ‘ab initio’: le incisioni appaiono – per tipologia di segno – come lavo- razioni non coeve alla creazione del manufatto). (A) Momento ‘produttivo’ certo Utilizzato come base di torchio per funzioni produttive (vinicoltura) dopo modifiche al riguardo. (Y) Possibile momento ‘produttivo-rituale’ integrato Utilizzato per entrambe le funzioni (incisioni effettuate sulle superfici in questo momento senza occlusione del foro centrale, o in quello successivo). (B) Momento ‘rituale’ certo Utilizzato per funzioni solo rituali [l’occlusione del foro centrale argo- mento indiretto a favore di tale impiego esclusivo; incisioni apportate in tale fase, o già presenti sulle superfici se attivata la precedente fase (Y)]. Questa l’interpretazione, a nostro avviso, più lineare e credibile: manufat- to probabilmente proveniente dalla Civita [(X), vita ‘architettonica’], modifi- cato per spremitura vinacce [(A) vita ‘produttiva’ di borgo] e poi utilizzato ‘in loco’ per funzioni cerimoniali [(Y), vita ‘rituale’].

6. Analisi delle incisioni

6.1. Datazione Pur nella difficoltà – come abbiamo visto – di stabilire i periodi storici di riferimento del reperto, la datazione delle incisioni sembra collocarsi verso un periodo centro-medioevale, qualificandosi dunque come possibile documento sincretistico tra Cristianesimo locale e cultura nordeuropea/germanica (collo- cazione cronologica ben motivabile coll’inserimento del territorio interessato 254 Rotonda come un cielo o come un sole in formazioni statuali d’ambito relativo). Riguardo all’opportuna comparazio- ne tra segni incisi e sistemi di riferimento più congruenti con le coordinate spazio-temporali e culturali in cui si è ritenuto collocare il reperto, l’esame va orientato su possibili marcatori d’identità iniziatici, devozionali e simboli propi- ziatori tracciati da costruttori/fruitori del manufatto.

Fig. 11. Marchi dei lapicidi, Aigues Mortes (Francia). E questo, consapevoli della consuetudine medioevale di lasciare su pietre – da parte non solo di lapicidi impegnati in grandi costruzioni29 ma anche di pelle- grini, mercanti e pure analfabeti desiderosi di comunicare30 – segni preferenzial- mente d’appartenenza a collettività partecipate; pur senza escludere l’’utilizzo di identificativi individuali o di vere e proprie firme come i siti di Aigues Mortes e Monte S. Angelo possono rispettivamente, tra l’altro, mostrare. Per quanto ri- guarda invece lo specifico utilizzo rituale-simbolico del reperto, a nostro avviso se non proprio ‘privato’ doveva configurarsi comunque non ‘pubblico’.

29 “I marchi dei tagliatori di pietra […]. La loro pressoché totale assenza nel periodo alto-medievale è facilmente spiegabile con la contrazione di committenza e la drastica riduzione del numero di cantieri, con la conseguente minore circolazione di manodopera specializzata. Non a caso, in seguito, ritroviamo una quantità numerosa di segni solo dal XII secolo, in pieno fermento edilizio quando le scuole lapicide si ripopolarono e gruppi di artigiani attraversavano l’Europa da un cantiere all’altro” (Bianchi 2002, 2). 30 Frutiger (1998, sez.18 e 20); Giacomini (2001, 15). Domenico Ienna 255

6.2. Interpretazione: un Cosmo Pur nell’incertezza di provenienza del reperto, dei vari utilizzi possibili e del periodo storico di riferimento, i segni incisi sulla superficie della pietra sembra- no collegare un microcosmo produttivo con un macrocosmo sincretisticamente culturalizzato. Tra le numerose incisioni rilevate ‘un’ Cosmo sembra farsi presente infatti in modo sommesso, essenzialmente però per complessità di lettura. Appaiono ruotare – leggeri come asterismi intorno a un polo – una circonferenza-mon- do inglobante (e sormontata da) una Croce; solarità ‘forti’ quali svastiche, e caratteri probabilmente runici come un simbolo divino di fertilità propiziato- rio, in sintonia con l’ambito agro-alimentare d’impiego del manufatto; tanto da richiamare alla mente questa sommaria ma suggestiva descrizione d’un cielo tipicamente ‘barbarico’: “i Germani […] miti cosmogonici tramandati dalle ‘Ed- dur’ scandinave. La ‘Terra di Mezzo’ è lo spazio abitato dagli uomini: un disco piatto circondato da un oceano […] sorretto da un albero primordiale […] Sole e Luna fuggono inseguiti da forze malefiche […] decorano una calotta che so- miglia a uno scudo”. Situazione ideale per farsi tentare da sogno narrativo più che ‘celeste’: provare a ricostruire cioè – dai segni incisi e significati relativi – una mappa di firmamento addirittura ‘realistico’: prodigo cioè d’orientamenti, asterismi e momenti astronomici compatibili con localizzazione geografica ed epoca storica interessate. Essenziali per la realizzazione di simulazioni astronomiche sono ovviamen- te i dati spazio-temporali di riferimento (luogo; anno, mese e ora), che devo- no proporsi come ‘utili’ alla situazione che s’intende indagare. Per le modalità interpretative dei simboli qui interessati, date plausibili da combinare con le coordinate (senza alternative) di Moio della Civitella/Pellare non sembrano evi- denziarsi però, purtroppo, al riguardo. Una proposta comunque interessante riguarda “l’equinozio di primavera […] nel medioevo anche l’inizio del calendario, sia civile che religioso, e il Ca- podanno cadeva appunto il 25 marzo, giorno in cui la Chiesa cattolica celebra la ricorrenza liturgica dell’Annunciazione e che […] a Pellare coincide con il Gior- no delle Croci, il piccolo pellegrinaggio che si tiene sulla Civitella”31, supportata dal fatto che “Gran parte dei documenti […] del periodo longobardo, conservati presso l’Archivio della Badia di Cava de’ Tirreni, ha come inizio dell’anno pro- prio il 25 marzo”32. Con un grande salto nel tempo, rileviamo ‘en passant’ che una permanenza di ritualità in ambito “new Age” relativa a un simbolo propiziatorio individuato

31 La Greca (2013, 183-184). 32 La Greca (2013; nota 153, 184). 256 Rotonda come un cielo o come un sole sulla pietra (vedi § 6.2.5.2.2) privilegia (ovviamente) proprio l’Equinozio pri- maverile33, trattandosi di cerimonia propiziatoria agricola di messa in coltura. Abbinando allora alba o sera proprio del 25 Marzo (riferimento esemplificativo: anno 1050) alle coordinate di Pellare34 con l’ausilio del software astronomico Perseus35, abbiamo esaminato tre ‘teatri’ potenzialmente significativi, al fine di verificare se configurazioni d’asterismi nel cielo reale possano aver ispirato la disposizione dei simboli sulla pietra del torchio. Riprodotte le posizioni degli astri circumpolari (quelli che non tramontano mai all’orizzonte del sito interes- sato), di quelli in levata eliaca (al mattino poco prima del sole) e della fascia poi dello Zodiaco (cammino d’interesse ‘calendariale’ di ‘luminari’ e pianeti nel cor- so dell’anno), con ‘rilettura’ infine della carta del cielo anche senza riferimenti a parametri spazio-temporali. Non avendo prodotto queste analisi – a nostro avviso – riscontri in qualche modo positivi (emersione cioè di senso ‘evidente’ senza forzature: pur consape- voli che una ricerca vera rimane sempre aperta per definizione), abbiamo pro- seguito l’interpretazione ‘celeste’ a un livello solo simbolico, trovando in esso invece risultati piuttosto coerenti. Andiamo finalmente a esaminare allora uno per uno i ‘magnifici 9’ simboli incisi, quelli più rilevanti cioè sulle superfici su- periore e inferiore del manufatto: cercando d’interpretarli prima come elementi ‘indipendenti’, e inseriti poi in una trama ‘narrativa’ che possa legarli in qual- che modo tra loro. I simboli sembrano collegare un microcosmo culturale pro- duttivo a un macrocosmo certo cristianizzato, in qualche modo però ‘aperto’ a suggestioni precedenti ed esterne: ben comprensibile questo in ambito ‘privato’ in cui riteniamo sia stato utilizzato materialmente e ritualmente il manufatto, visto che persino a livello ‘pubblico’ nei secoli iniziali (ma probabilmente pure in seguito) “i primi vescovi avevano ampi margini di autonomia, entro cui non impedivano, senza tradire il loro mandato, la convivenza di abitudini pagane con quelle cristiane” 36. Sulla superficie superiore del supporto litico le principali incisioni sono disposte con questa frequenza rispetto ai 3 cerchi concentrici in- torno al foro centrale: 5 su quello esterno, nessuno su quello più stretto centrale, 3 su quello interno; 1 rilevabile invece su quella inferiore. Andiamo a esaminare adesso simbolo per simbolo secondo famiglie di contenuti o di provenienza, per cercare poi – chiarite appunto le varie peculiarità relative – eventuali significati traibili dalle loro posizioni reciproche sul reperto.

33 L’Equinozio primaverile oscilla nei secoli tra il 19 e il 21 di Marzo. Nel 2018 è caduto il giorno 20. 34 Coordinate di Pellare: alt. 503 m slm; lat. 40° 14’ 39” N, lon. 15° 16’ 18” E. 35 “Perseus”, software di simulazione astronomica per Windows, ideato e realizzato da Luigi Fontana e Filippo Riccio. Copyright ELItalia 2001-2007, poi Filippo Riccio. Livello e versione da noi utilizzati: III, 1.12. Dalla Guida del programma: “Perseus utilizza il calendario Gregoriano per le date dal 15 ottobre 1582 in poi, quello Giuliano per le date precedenti”. 36 La Greca (2001, 117). Domenico Ienna 257

Fig. 12. Incisioni ‘Circonferenza crucigera’. Fig. 13. Incisione ‘Circonferenza crucige- ra’ ‘nascosta’, evidenziata. 6.2.1. La circonferenza ‘crucigera’ Sul bordo sinistro (guardando la parte mancante) del reperto compare una circonferenza con un segno di croce inserito e un altro simile posto sopra, in linea con la verticale del primo. La tipologia della ‘croce filiforme’ “punto di partenza per ogni tentativo di decrittazione degli antichi graffiti”37, compare spesso come integrazione “inse- rita all’interno di una circonferenza”38: venendo così a rappresentare – in varie culture – la terra/mondo connotata da 4 direzioni spaziali e divisioni temporali; una tipologia di ruota riproducente – come dinamizzazione della circonferenza – il movimento del Sole nel cielo e la ciclicità del Cosmo; la comunicazione tra cielo e terra, tra divino e profano; e infine l’irraggiamento da un centro, sia esso solare oppure divino. Nel segno complessivo qui in esame, tale elemento-base viene cristianamen- te sublimato in regno di Cristo/sorgente di luce spirituale, mediante ‘la’ (vera) Croce posta a sormontare appunto la circonferenza: la quale - da mero ‘mondo’ - guadagna così il senso di ‘Città terrena’ temporaneamente da abitare. Per comparazione con un altro sito di cultura longobarda meridionale, op- portuna la visita al Santuario di S. Michele Arcangelo a Monte S. Angelo sul Gargano (Foggia), che vanta come ulteriore collegamento col Cilento la presen- za appunto del culto dell’Arcangelo.

37 Giacomini (2001, 43). 38 Giacomini (2001, 43). 258 Rotonda come un cielo o come un sole

6.2.1.1. Monte S. Angelo e altri siti, la circonferenza crucigera “La grotta dal culto micaelico e la relativa cittadina [Monte S. Angelo] in epoca medievale divennero un crocevia per pellegrinaggi […], luogo di floridi scambi commerciali e culturali. In particolare […] suscitò attrazione nei […] Longobardi che videro nella figura dell’arcangelo Michele una trasposizione del loro dio della guerra Wotan, che l’iconografia classica definiva dotato di spada e scudo, simile a un guerriero” 39. Tale popolo appunto “in Puglia, dove i duchi beneventani, nell’VIII secolo, istituirono i gastaldati di Siponto (740), Canosa (747) e Lucera (774)”40 “ne fecero […] tappa importante della famosa Via sacra Longobardorum che si snodava da Benevento lungo l’antica Via Traiana, fino a San Severo di Puglia e, infine, a Monte Sant’Angelo”41 . “Agli inizi dell’XI seco- lo si affacciarono sulla ribalta politica dell’Italia meridionale i Normanni, per i quali il centro religioso garganico rappresentava un legame ideale con la patria lontana, dove, già da più di tre secoli, era attivo il Santuario di Mont Saint Mi- chel, le cui origini erano connesse proprio col santuario pugliese” 42. In seguito (XIII secolo) si interessarono al sito anche gli Svevi e soprattutto gli Angioini, sotto i quali il santuario subì rilevanti interventi di ristrutturazione43 . “La presenza dei pellegrini nel santuario tra la fine del VI e la metà del IX secolo è attestata da quasi 200 iscrizioni, incise o tracciate a graffio sulle strutture all’interno della grotta e sulla facciata d’ingresso della cosiddetta galleria longo- barda che portava alla grotta stessa. Si tratta di un vero e proprio ‘corpus’ epigra- fico altomedioevale longobardo […] che presenta brevi espressioni, nomi e una ricca serie di linee, segmenti, nodi, stelle, figure geometriche e diversi simboli tra i quali prevale il ‘signum crucis’”44. Inoltre – vere e proprie personalizzazioni di transito – “vi compaiono almeno 97 nomi di sicura origine germanica: […] antro- ponimi goti, franchi, sassoni, alemanni e, in particolare, longobardi”45. A conferma della validità di comparazione per comunanza storico-culturale tra questo sito garganico e l’area cilentana interessata, proficuo il ‘rinvenimen- to’ da noi effettuato – su una parete della cosiddetta “Scala Angioina”46 nel San- tuario – di due circonferenze ‘crucigere’ del tutto simili a quella sulla superficie superiore della ‘pietra’ (le immagini relative riportano il senso alto/basso con cui sono state incise). In alcune rappresentazioni artistiche nei secoli è stato poi

39 http://www.antikitera.net/articoli.asp?ID=67 . 40 Otranto-Aulisa (2012, 42). 41 http://www.antikitera.net/articoli.asp?ID=67 . 42 Otranto-Aulisa (2012, 49). 43 Otranto-Aulisa (2012, 50). 44 Otranto-Aulisa (2012, 40). 45 Otranto-Aulisa (2012, 40). 46 Come riferimento, quasi di fronte alla “quattrocentesca edicola sepolcrale di Rinaldo Cantelmo” contrassegnata nella struttura con il numero 7). Domenico Ienna 259

Fig. 14. ‘Circonferenza crucigera’ I, Mon- Fig. 15. ‘Circonferenza crucigera’ II, Mon- te S. Angelo (Foggia). te S. Angelo (Foggia). lo stesso S. Michele (il cui culto è stato rilevato in ambiti storico-culturali simili proprio di Monte S. Angelo – come appena visto – e del Cilento) a farsi porta- tore di globo ‘crucigero’, in qualità d’interprete ed espressione del dominio di Cristo sulla Terra e su tutto l’Universo47. Pur se in ambito diverso, tale simbolo compare ad esempio anche all’esterno del Battistero di S. Giovanni48 a Volterra, a testimonianza che è possibile rile- vare “rapporti stilistici in luoghi l’un dall’altro lontani ma collegati tra di loro

47 Ponzalino s. d. 48 “Battistero di Volterra (PI): L’edificio, costruito nella seconda metà del XIII secolo, presenta, alla sinistra di una porta d’ingresso secondaria, numerosi segni lapidari. Si tratta di circonferenze di piccole e medio-grandi dimensioni, con all’interno incise le due diagonali [sic] […] (Tav. 5a, b,c), mentre un […] cerchio più piccolo […] è inciso in prossimità dello stipite della porta (Tav. 5e). Due circonferenze tangenti […] si trovano sempre vicino all’ingresso e dal punto di tangenza parte una croce, con il braccio verticale più lungo dell’orizzontale (Tav. 5d). Simile forma e dimensioni […] presenta anche l’altra croce sormontante, come prolungamento di una diagonale [sic], una delle circonferenze più grandi” (Bianchi 2002, 7-8). In realtà le “diagonali” (come indicato dall’autore) contenute nella circonferenza A (vedi Fig. 16), si configurano come due meri diametri posti perpendicolarmente a croce, di cui quello verticale si prolunga nell’altra croce posta invece all’esterno (proprio come il segno inciso sul reperto di Pellare): “nella parete esterna del battistero di Volterra […] un cerchio con inserita una croce, e una seconda posizionata sopra, segno molto frequente in chiese situate nelle principali vie di pellegrinaggio (Barbon 2011). 260 Rotonda come un cielo o come un sole attraverso […] fili conduttori che sono le vie di pellegrinaggio”49. Tale frequenza specifica del segno potrebbe porsi a favore della provenienza/utilizzazione della ‘pietra’ di Pellare da/presso un luogo di pratica relativa: come ad esempio pro- prio la Civitella di Moio, caratterizzata da antica, probabile vasca lustrale per pellegrini sulla cima50.

Fig. 16. ‘Circonferenze crucigere’, Battistero di Volterra (Pisa)51 .

Per i §§ 6.2.2 (Da ‘Reticolo’ a ‘Casa’), 6.2.3 (Un ‘Diamante’ sulla superficie inferiore) e 6.2.4 (La ‘Svastika’) - concernenti la descrizione d’alcune incisioni con relative immagini dettagliate (da n. 17 a n. 27), qui non riportati per ragioni editoriali – vedi Ienna, 2018 b; p. 169-206; oppure - con illustrazioni in bianco e nero – Ienna 2018 a, p. 5-62.

6.2.5. Le Rune Dell’alfabeto runico detto “fuþark”52 – oltre al proto-nordico da 24 segni (norreno sing. ‘rún’, pl. ‘rúnar’53) che possiamo definire “il sistema più antico comune alle popolazioni germaniche dell’età delle migrazioni”54 – fiorirono suc-

49 Rapporti evidenziati da Arthur Kinsley Porter (Barbon 2011). 50 La Greca (2013, 18 immagine in alto, 178). 51 Bianchi (2002; tav, 5, 10). 52 Giliberto (2009, 20). Pronuncia del segno dell’alfabeto gotico (https://it.wikipedia.org/wiki/ Alfabeto_gotico) þ (þiuþ/thiuth/thyth): come ‘th’ dell’inglese think. 53 Meli (2009, 1). 54 Cucina (2009, 206).“Runa […] Ciascuno dei caratteri e segni grafici, alfabetici e insieme simbolici, del mondo germanico antico […] che raggiungono la massima diffusione nei paesi scandinavi tra la fine dell’antichità e l’inizio del medioevo (400-1100), documentata, in origine, da testi religiosi, di carattere cultuale e magico” (http://www.treccani.it/vocabolario/runa/ ). “Runa. Segno grafico del primo alfabeto in uso nei paesi nordici (dalla penisola scandinava fino alle coste baltiche della Germania e alle zone occupate dagli Anglosassoni), dal periodo che viene, appunto, definito runico (inizio 4°- fine 9° sec. ca.) fino a quello vichingo (fino al 1000 ca.), durante il quale le r. cominciarono a essere gradualmente sostituite dai segni dell’alfabeto latino. L’origine delle r. rimane controversa: tra le ipotesi più accreditate è che le vede modellate sugli analoghi segni Domenico Ienna 261 cessivamente altre versioni in varie regioni dell’Europa continentale o insulare, con 2855, da 29 a 3356, e fino a 19 o 16 caratteri in periodi successivi (VII-VIII secolo)57; considerando al riguardo che, dal punto di vista storico, “[le]Moyen Ȃge […] pour le runologue, commence vers 1050 et se termine vers la fin du XIVe siècle”58. Non potendo dilungarci qui su caratteristiche e problemi di tale strumento di comunicazione, riportiamo solo aspetti essenziali alla ‘lettura’/in- terpretazione di caratteri e simboli ad esso relativi. Ecco allora un essenziale ‘exursus’ informativo riguardo all’aspetto grafico e all’utilizzo (orale o scritto, ‘letterale’ o simbolico, pubblico o privato) di tali alfabeti. “[Le Rune] Appaiono senza alcuna curva, sotto forma di segni angolari e spigolosi, per essere tracciate su supporti di materiale diverso, quali le pietre, il legno o altri elementi della natura” 59. ”dobbiamo intendere […] con ‘rúnar’ […] un discorso privato e non pubblico. Questo corrisponde bene all’uso epigrafico dei segni runici, in cui si registrano iscrizioni relative alla sfera dei singoli e non della collettività” 60. “si può spesso tradurre ‘rúnar’ con ‘narrazione tradi- zionale’, ‘messaggio’, ‘comunicazione cifrata’, preservando […] il fatto che la comunicazione avvenga in maniera riservata tra due interlocutori o, comun- que, all’interno di una cerchia ristretta”61. “Le Moyen Âge ne signifie […] pas la disparition des ‘lettres runiques’ qui vont se réfugier dans un secteur inattendu et très minoritaire jusqu’alors, celui des inscriptions de nature magique” 62. A conferma di questa tendenza, il ‘FuÞark’da 24 lettere raggruppa in 3 serie (‘ættir’, pr: éttir) da 8 caratteri/simboli ciascuna aspetti d’esistenza di Uomo e Natura63: la prima, relativi a proprietà e attività materiali; la terza, a spiritualità dell’essere umano. La seconda serie – riguardante in modo specifico il ciclo vitale d’Uomo e Natura – riveste qui particolare interesse in quanto sembra presenziare la su- perficie superiore del manufatto con le lettere d’apertura n. 9 ‘Haglaz’/’Haglan’ (§ 6.2.5.2.3) e di chiusura n. 16 ‘Sōwilō’ (§ 6.2.5.2.1), ed eventualmente pure con la n. 12‘Jēran’ (§ 6.2.5.2.1). degli alfabeti etrusco-italici, che potevano aver raggiunto l’Europa settentrionale seguendo le vie dei frequenti scambi commerciali. I più antichi esempi conservati datano a partire dal 3° sec.; si tratta per lo più di testi magici o privati, incisi su osso e metallo, su pietre e pareti rocciose” (http:// www.treccani.it/enciclopedia/runa/). 55 Giliberto (2009, 20-21). 56 Giliberto (2009, 22); Marez (2009 a, 118). 57 Marez (2009 a; 117-118, 148). 58 Cucina (2009, 202); Marez (2009 b, 271). 59 http://www.antikitera.net/articoli.asp?ID=67. 60 Meli (2009, 7). 61 Meli (2009, 2). 62 Marez (2009 b, 272). 63 https://norlit.wordpress.com/2012/01/03/alfabeto-runico-letterario-definizione-dei-simboli/. 262 Rotonda come un cielo o come un sole

“Nel modo della comunicazione cifrata rientra l’uso dei segni alfabetici. Deve, tuttavia, sussistere un rapporto privilegiato fra rúnar’ e scrittura, se, con procedimento metonimico, il termine che indicava un modo della comunicazio- ne orale passa a indicare un diverso strumento della comunicazione, vale a dire il segno o un insieme di segni grafici”64 . “Esistono nondimeno una serie di testimonianze in cui si parla chiaramente di ‘rísta rúnar’ incidere rúnar’65, “le rune venivano […] incise (rísta) o tracciate con un liquido (fá)” 66 ovviamente su un supporto. “Se, dunque, il messaggio orale è registrato nella scrittura […], occorre essere in grado di decifrarlo. […] Per questo […] ‘io interpreto le rúnar’ “67.

6.2.5.1. Le rune a Monte S. Angelo (Foggia) Il Santuario di S. Michele Arcangelo a Monte S. Angelo – di cui abbiamo in precedenza citato il ‘corpus’ di graffiti (vedi § 6.2.1.1) – è uno dei pochi siti in Italia in cui siano conservate lettere o iscrizioni runiche/incisioni di rune su pie- tra68. In esso infatti – nello specifico – “hanno una posizione di assoluto risalto almeno cinque iscrizioni in alfabeto runico (una è frammentaria) […] quattro antroponimi di pellegrini anglosassoni […] che, tra la fine del VII e la prima metà dell’VIII secolo, si recarono […] nel Santuario garganico”69.

6.2.5.2. Sulla possibile presenza di rune sul reperto Il nostro ‘rinvenimento’ prima descritto di ‘Circonferenza crucigera’ a Mon- te S. Angelo ci conforta a proseguire ed ampliare l’utilizzo di tale ‘pendant’ interpretativo. Se per Pellare e il Comune garganico è documentato infatti70 l’inserimento per secoli in ambiti longobardo-normanni, e se il ritrovamento in entrambi i siti appunto d’un simbolo così ‘forte’ tende ad accomunarli pure come mete di sincretistici pellegrinaggi di fede/culture (senza dubbi evidentemente per M. S. Angelo, con buone probabilità come visto per la Civitella presso Pellare71), la ‘lettura’ di alcune altre incisioni del reperto da noi esaminato come caratteri runici trova possibile sostegno nella presenza di alcune iscrizioni in tale alfabeto proprio nel sacro luogo pugliese (vedi § 6.2.5.1).

64 Meli (2009, 15). 65 Meli (2009, 3). 66 Meli (2009, 5). 67 Meli (2009, 5). 68 Vedi Schwab (2009: soprattutto 3-53, 5-59 per Monte S. Angelo; 55-56, 61-62, 63-67 per le catacombe romane). 69 Otranto-Aulisa (2012, 44-45). 70 Vedi § 4.1 (Cilento) e § 6.2.1.1 (Monte S. Angelo). 71 Per M. S. Angelo, vedi nota 52; per la Civitella: La Greca (2013, 18 immagine in alto, 178). Domenico Ienna 263

Quali incisioni sono identificabili come Rune? Nei paragrafi seguenti, di vol- ta in volta le difficili analisi al riguardo. In possibili ‘legature’ o ‘formazioni’ di segni, si potrebbe ad esempio considerare alcuni caratteri pure“come le prime lettere di parole che possono adattarsi al contesto” 72: tecnica complessa di cui sperimentare – insieme ad altre eventuali – applicabilità e proficuità nel corso di future ricerche.

6.2.5.2.1. ‘Runa del Sole’ o ‘della Prosperità’? Primo utilizzo del ‘pendant’ interpretativo appena citato è quello relativo all’incisione – rilevabile con una certa difficoltà – nei pressi dello sbocco aperto verso l’esterno del reperto.

Fig. 28. Incisione ‘Runa del Sole’. Fig. 29. Incisione ‘Runa del Sole’, eviden- ziata.

72 Giliberto (2009, 57). 264 Rotonda come un cielo o come un sole

Una più attendibile interpretazione del grafo è quella della Runa 16 det- ta ‘Sōwilō’, che rappresenta dal punto di vista alfabetico la lettera S ‘sifflante( sourde’) e da quello simbolico il Sole nell’ambito del “‘fuþark’ germanique à 24 signes”73. Tale carattere va a chiudere la seconda serie di rune prima citata (§ 6.2.5), che simbolicamente riassume aspetti del ciclo vitale di Uomo e Natura. Solo per doverosa comparazione grafica ’territoriale’, ricordiamo che un se- gno simile – ugualmente identificato con una possibile variazione sonora della ‘S’ – è riscontrabile nell’alfabeto etrusco anche di quell’area cosiddetta ‘centra- le’ (Orvieto, Vulci, Tarquinia fino alla costa), accreditata di scambi e collega- menti via mare proprio con Pontecagnano74. Testimonianza al riguardo, uno di due buccheri esposti al Museo etrusco di Trevignano romano, sui quali risulta ‘graffiata’, appunto, la lettera interessata.

Fig. 30. Bucchero. Museo etrusco, Trevignano Romano (Roma)75.

Possibile variante interpretativa sarebbe quella di ‘leggere’ l’incisione come Runa n. 12 ‘Jēran, facente parte anch’essa della seconda serie dei caratteri allu- denti al ciclo vitale (§ 6.2.5). Se dai punti di vista alfabetico e grafico tale lettera ‘J’ “qui note la glissée prépalatale étirée, c’est […]celle dont l’instabilité formel- le[…] est la plus grande” 76, storia e simbologia relativa “Un accord unanime des

73 Marez (2009 a, 118). 74 Vedi al riguardo: Cristofani (1991 cartina fig. 4, p. 24; riepilogo alfabeti fig. 6, p. 26; da Pallottino fig. 7, p. 29) e Facchetti (2000, 20; gli alfabeti etruschi da Romolo A. Staccioli, p. 23). 75 Museo etrusco, Trevignano Romano (Roma). Corredo funebre della tomba Annesi-Piacentini (650-550 a. C.). Teca 1, n. 10, inv. 70204. 76 Può presentarsi cioè con molte variazioni grafiche (allografi), di cui una appunto in linea con l’incisione interessata, abbastanza simile cioè a R 16 (Marez 2009 a, 125). Domenico Ienna 265 sources (got. Jēr, pronor. jāra) […] permet de remonter à une forme protogerma- nique de type Jēra […] année prospère, fertile”77 porrebbero comunque anch’es- sa in linea col progetto ‘propiziatorio’ generale che le singole analisi vengono sempre più a confermare.

6.2.5.2.2. Il ‘Quadrato’ Quella che si mostra come un ‘quadrato’ quasi regolare è l’ultima incisione esaminata prima delle due che - opportunamente - andremo a definire come segni ‘fantasmi’. Tale ‘posizionamento’ nel processo interpretativo è dovuto al fatto che – risultando il segno applicabile a più contesti per l’estrema semplicità della sua struttura grafica –non può non tener conto evidentemente la sua ‘let- tura’ degli ambiti storico-culturali, e di significato, in cui sono venute a collo- carsi le altre incisioni del reperto. Vista l’opportunità offerta dalla comparazione instaurata con Monte S. Angelo che – dopo il proficuo ‘riconoscimento’ della ‘Circonferenza crucigera’ – ha supportato indirettamente poi la rilevazione del- le Rune n. 16 e n. 12, riteniamo congruo ‘leggere’ allora pure questo ‘quadrato’ come parte della sequenza alfabetica interessata, cioè come Runa 22.

Fig. 31. Incisione Runa ‘Quadrato’.

Questi i connotati del segno per quanto riguarda forma grafica, storia, nome, funzione alfabetica; nonché – quello che ci interessa qui maggiormente – il sim- bolismo pure rituale ad esso relativo: “R22 […] connaît une certaine instabilité formelle: le signe a la forme d’un carré, voire d’un cercle irrégulier dans deux des inscriptions parmi le plus anciennes, mais se stabilise ensuite sous la forme d’un carré traversé par une haste verticale unissant deux angles. Cette dernière

77 Marez (2009 a, 125). 266 Rotonda come un cielo o come un sole forme aparaît comme une ligature de R11[…]‘i’ nasal et R22 […] ‘ŋ’ occlusive nasale sonore qui rend compte ainsi du nom probable de la rune en germani- que reconstruit à partir de la parenté entre la forme gotique ‘enguz’ e celle du vieil anglais ‘ing’, soit pour le protogermanique ‘ing-w-az’“ 78. “Sa création […] remonte peut-être a celle du ‘fuþark’ lui-même” 79. “R22 ‘ŋ’occlusive vélaire na- salisée, ‘ingwaz’ [simbolo del] ‘dieu présidant aux années fertiles’”80.

Fig. 32. Incisione Runa ‘Quadrato’, con Fig. 33. Incisione Runa ‘Quadrato’, con ‘Croci’ o ‘Svastiche’ esterne. ‘Croci’ o ‘Svastiche’ esterne evidenziate.

Fig. 34. Incisione’ Runa ‘Quadrato’, con bi- Fig. 35. Incisione Runa ‘Quadrato’, con bi- settrice e Croce esterna. settrice e Croce esterna evidenziate.

La figura in questione potrebbe identificarsi con uno dei tre figli del mitico (alla latina) ‘Mannus’ germanico, già citata dallo storico romano Tacito: il suo nome sarebbe estrapolabile infatti – insieme a quelli dei fratelli – dagli appellativi delle popolazioni di cui sono detti rispettivamente capostipiti. La gente germani- ca interessata, nella fattispecie, sarebbe evidentemente quella degli “Ingaevones”,

78 Marez (2009 a, 121). 79 Marez (2009 a, 121). 80 Marez (2009 a, 119). Domenico Ienna 267 abitanti nei pressi del mare: “Manno tris filios adsignant, e quorum nominibus proximi Oceano Ingaevones, medii Herminones, ceteri Istaevones vocentur”81. Complesse le filiazioni/corrispondenze dall’antico teonimo ‘Ing’/proto-ger- manico’ Inguz’ ad altre forme linguistiche d’area, probabili appellativi originari del dio Freyr (Signore)82 prima d’assumere appunto tale designazione”83. Riprese maggiormente definite rivelano poi alcuni notevoli particolari ester- ni e interni al ‘Quadrato’. In particolare, il grafo viene sorprendentemente ad ac- quistare i connotati più complessi della versione meno antica della Runa 22 (con ‘asta’ passante tra 2 angoli, a conferma della descrizione in nota 78), sembrando sottoporsi pure a ‘correzione’ cristiana (Croce su un vertice) in fase probabil- mente successiva alla prima incisione. A conferma di simbolismo e ritualità della Runa 22, le tracce che perman- gono ancora oggi in ambiti culturali tipo “New Age”: presenti infatti sul web immagini di vari oggetti celebranti la runa ‘Ingwaz’, e la descrizione d’una ceri- monia propiziatoria per l’agricoltura rivolta a Freyr84, dio della fecondità85.

Fig. 36. Ventiquattro lettere runiche -di sposte ritualmente in quadrato, “with dedication plant in the center” 86.

81 Publio Cornelio Tacito (54-120 d.C.), ‘De origine et situ Germanorum’ cap. 2 (del 98 ca.). 82 Vedi nota 86, per ritualità della Runa 22 dedicata appunto a tale figura. 83 https://it.wikipedia.org/wiki/Yngvi. 84 Freyr “Divinità tra le principali della mitologia nordica. […] Nei monumenti letterari del settentrione Freyr è detto il più eccellente fra gli dei; governa il sole, la pioggia e la crescenza delle piante […] altri attributi guerreschi, che certamente sono aggiunte di epoca posteriore.[…] il suo simulacro veniva portato sopra un carro per la campagna per invocare un abbondante raccolto.[…] Benché F. e Freyja [sorella di Freyr] siano documentati soltanto per il settentrione, il culto di essi, o almeno del primo, non fu forse estraneo alle popolazioni germaniche meridionali” (Bruno Vignola - Enciclopedia Italiana 1932; http://www.treccani.it/enciclopedia/freyr-e-freyja_%28Enciclopedia-Italiana%29/ ). 85 Vedi: Runes 401 - Rune Rituals - Freyr’s Fertility. Posted by Karen P. Foster, Monday, May 26, 2014 (http://ireadrunes.blogspot.it/2014/05/runes-401-rune-rituals-freyrsfertility.html ). 86 Dal sito in nota 85. 268 Rotonda come un cielo o come un sole

6.2.5.2.3 L’ ‘H’ fantasma Chiudiamo l’analisi con due segni che definiremmo ‘fantasma’, per la ca- pacità mostrata di mutare anche sensibilmente aspetto – e conseguentemente interpretazione – col variare di inquadrature, giochi di luce e ingrandimenti con cui (soprattutto dopo la ‘pulitura’ della superficie litica) sono stati di volta in volta ripresi ed esaminati. Quello collocato, ad esempio, nel cerchio più interno tra parte mancante del reperto e canale di sbocco – ben definito come ‘H’ dall’evidenziatura in gesso – è capace sorprendentemente di proporsi in determinate inquadrature anche come una semplice linea (I), o una linea + Tau tracciati in scala diversa (I T). Volendo attingere comunque un senso anche attraverso tanti mascheramenti, opteremmo per leggere nella fantomatica incisione un’altra Runa, opposta (per posizione sul reperto e per significato) sia alla ‘lontana’ n. 22 del ‘Quadrato’, sia alla ‘vicina’ (perché separata solo dal solco interno) n. 16 del ‘Sole’87 prima esaminate (vedi i §§ 6.2.5.2.2 e 6.2.5.2.1). Si tratta della “n. 9 ‘h’ ‘spirante vèlaire sourde ’Haglaz ou Haglan”88, dal significato simbolico di “grêle, perte brutale” (grandine; contra- rietà della natura soprattutto meteorologica; forte perdita; evento rovinoso)89.

Fig. 37. Incisione ‘H’ apparente. Fig. 38. Incisione ‘Linea’ ‘apparente’ (in- vece di ‘H’).

87 Interpretabile eventualmente, questa, pure come n. 12 della ‘Rugiada’. 88 Marez (2009 a, 118). 89 Marez (2009 a, 118). Domenico Ienna 269

Fig. 39. Incisioni ‘Linea’+’tau’ ‘apparenti’ Fig. 40. ‘Controllo’ Rune ‘della Fertilità’ e (invece di ‘H’). ‘del Sole’ su quella della ‘Grandine’.

Il segno – così ‘letto’ come carattere d’apertura della seconda serie del ‘fuþark’ ‘antico’ (alludente questa, simbolicamente, al processo naturale “vita-morte”: vedi § 6.2.5) – trova possibile conferma interpretativa anche nella posizione occupata sul reperto, proprio di fronte cioè (separato dal canale centrale) al carattere che allo stesso gruppo fa da chiusura: la Runa 16 ‘del Sole’ appunto già sopra citata. Ѐ come se la possibilità d’eventi naturali/meteorologici rovinosi per la produzione agricola – nel cui ambito si colloca appunto l’utilizzo del manufatto – venisse depotenziata dal simbolo solare vicino; e comunque ‘controllata’ opportunamente da lontano (come fa l’Alfiere in diagonale nel gioco degli Scacchi) con la forza propiziatoria dalla Runa del ‘quadrato’, sul bordo opposto del reperto. Anche per il § 6.2.6 (Ombre sul segno: ‘Ypsilon’, Croce oppure ‘Tau’?) e relative immagini (da n. 41 a n. 43), vale il rimando precedentemente indicato riguardo ai §§ 6.2.2, 6.2.3 e 6.2.4.

7. Conclusioni

Negli studi storico-antropologici e d’archeologia (come in quelli d’altre di- scipline), occorre spesso accontentarsi d’acquisire per la tematica esaminata una verità solo ‘processuale’, quella che è possibile ricavare cioè dai documen- ti che si trovano appunto, al momento, nella disponibilità della ricerca (fermo restando che un’indagine scientifica deve risultare comunque, come già detto, sempre riapribile!).Le incisioni sulla ‘pietra’ di Pellare si pongono a nostro av- viso, come illustrato, quali tracce d’un proficuo incontro tra Cristianesimo e cultura longobardo-normanna ‘meridionalizzata’: ritualmente e simbolicamen- 270 Rotonda come un cielo o come un sole te attivato sopra un manufatto produttivo con fini propiziatori se non ‘privati’, comunque non del tutto ‘pubblici’. In questa coabitazione d‘uomini e culture – dove sincretisticamente sem- bra abbracciare il ‘Cosmo’ un ‘Campanile’ per secoli perduto tra colline me- ridionali – il titolo del contributo vuole figurare l’oscillazione tra categorie opposte a cui l’apparentemente dimessa, ma fascinosa ‘pietra’ incisa di Pellare in modo enigmatico va alludendo: sovrannaturale-naturale, cielo-terra, propi- ziazione ‘celeste’-progettualità umana…

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Manuela Incerti1, Gaia Lavoratti2, Sara D’Amico3 1 Department of Architecture, University of Ferrara, [email protected] 2University of Florence, [email protected] 3 Department of Architecture, University of Ferrara, [email protected]

Abstract. The interesting results of the research conducted on the Mausoleum of Teodorico (Incerti, Lavoratti, Iurilli 2017), have fuelled the desire to investigate the Mausoleum of Galla Placidia in depth, uncovering the reasons for its form, its measurements, its proportions and possible archaeoastronomic characteristics through surveys and drawing. In the past, the building has been object of a great number of studies analysing its historical, artistic and technological characteristics through different survey and restauration campaigns over time. Today, we have elaborated 3D models for the visualization of the native morphology and the astronomic events, but also for the multimedia communication of the scientific content.

1. Introduzione (M.I.)

Il piccolo e splendido monumento ravennate, attribuito all’imperatrice romana Galla Placidia (390 circa - Roma 450), figlia di Teodosio I, originaria- mente era parte del complesso sacro di Santa Croce (417 - 425 ca.): si tratta, molto probabilmente, di uno dei due sacelli posti alle estremità del nartece della basilica (David 2013), costruita a testimonianza della fervente devozione dell’Augusta per la reliquia della Vera Croce, scoperta da Flavia Giulia Elena, madre dell’imperatore Costantino I. Il Mausoleo si presenta oggi come un piccolo edificio isolato a croce latina, i cui bracci sono coperti da volte a botte, mentre all’incrocio di questi è una pseu- do-cupola. Nel presente studio sono stati oggetto di riflessione alcuni aspetti che caratterizzano l’edificio a partire dai dati di rilievo appositamente elaborati. 274 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

2. I cieli stellati (M.I.)

I due cieli stellati che decorano l’intradosso delle volte del Mausoleo sono molto diversi tra loro per aspetto e significati: la pseudo-cupola posta all’incro- cio del transetto è ornata da 567 astri dorati, mentre le volte a botte della navata principale e dell’abside sono caratterizzate da un cielo stellato più geometrico ed astratto (Figura 1).

Fig. 1. Pianta del Mausoleo (dal basso verso l’alto), restituzione grafica G. Lavoratti, fotogrammetria digitale M. Incerti. Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 275

La rappresentazione del cielo, nella sua doppia valenza spirituale e fisica, non è affatto rara nella storia dell’architettura: le superfici voltate, già di per sé evocative dello spazio celeste, insieme a questo peculiare tema decorativo, ri- mandano palesemente alla dimensione cosmologica con cui gli spazi sacri senza dubbio vogliono relazionarsi. Le stelle di Galla Placidia, capaci di coinvolgere ed emozionare profonda- mente i visitatori, sono state analizzate e descritte nel loro significato di cielo tangibile, oltre che mistico e simbolico, anche attraverso confronti con la tradi- zione iconografica dell’epoca non solamente di ambito paleocristiano (Ranaldi 2011; Rizzardi 2005; Swift, Alwis 2010). A questo proposito ci è parso interes- sante proseguire il raffronto evidenziando le regole geometriche che hanno gui- dato la morfologia degli astri e la loro distribuzione nello spartito decorativo, in relazione alla morfologia delle coperture: le volte a botte e la pseudo-cupola.

Fig. 2. Particolare dell’ortofoto della volta a botte (dalla fotogrammetria digitale).

Le volte a botte che coprono la navata principale e l’abside sono decorate con un fitto motivo musivo su base geometrica (Figura 2): il pattern è impostato sulla reiterazione di due figure ottagonali alternate che alludono a due differenti tipi di stella-fiore policromi. La prima tipologia (S1) ha una corolla compatta intorno ad un cerchio centrale con colori caldi, mentre la seconda (S2) ha 8 lunghe e sottili foglie dorate tripartite e colori freddi al centro. I due elementi decorativi si ripeto- no sfalsati a file alternate, seguendo l’andamento dell’arco generatore della volta, con il risultato di sottolineare il tema delle 8 direzioni dello spazio: ad una fila di 8 stelle del primo tipo (S1) segue una fila di 9 del secondo tipo (S2). Piccole mar- gherite con petali bianchi e centro giallo-dorato (S3) si alternano alle stelle grandi. Nella composizione del pattern, attraverso questi tre elementi, è evidente la scelta di evidenziare anche le direzioni inclinate di 45° rispetto alle pareti, unitamente alla volontà di evocare la preziosità di sete e tessuti orientali (Ranaldi 2011, p. 23). 276 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

Ad un disegno di stoffe riccamente ordite possono essere assimilati anche i mosaici su volta a botte del monastero di Kartmin (oggi Turchia) caratte- rizzati da un motivo a tralci geometrico (Hawkins, Mundell, Mango 1973), similare a quello della copertura del transetto del Mausoleo. Il complesso di Kartmin fu fondato nel 397 d.C., mentre il suo apparato musivo fu posto in opera all’inizio del VI secolo. Tra i reperti presenti sono da segnalare tre croci greche di cui quella centrale, circoscritta da un cerchio, è gemmata e sovrap- posta a una “x” di colore chiaro che evoca quattro grandi raggi di luce. In ciascuno degli otto spicchi che ripartiscono lo sfondo del cerchio è presente un cielo stellato composto da sei stelle, realizzate con cinque sole tessere, ciascuna con quattro raggi. Nel Mausoleo di Galla Placidia i filari delle stelle-fiore sono rigorosamente disposti secondo la direzione ortogonale alle pareti della navata e, per questa ragione, il motivo si interrompe in modo asimmetrico, bruscamente, in corri- spondenza degli archi di raccordo con la pseudo-cupola e della controfaccia- ta, a causa della morfologia del vano riconducibile ad un parallelogramma. Nell’abside, invece, l’andamento delle file alternate di stelle segue quello della parete di fondo (Figura 1). Tra le volte a botte decorate con un motivo similare è possibile ricordare quella del Battistero di Dura Europos, datato prima metà III sec (Figura 3a). Realizzato con tecniche pittoriche, presenta un pattern a maglia quadrangola- re ottenuta da file sfalsate secondo la stessa regola geometrica del Mausoleo: n stelle Sb1 alternate a n-1 stelle Sb2. Le stelle con dimensioni maggiori (Sb1) hanno otto raggi, staccati dal cerchio centrale, tracciati a partire da un piccolo punto circolare (delle medesime dimensioni di quello centrale) seguito da una linea che si assottiglia progressivamente. Tra raggio e raggio un piccolo segno evoca lo splendore dell’astro. Le stelle minori (Sb2), più simili ad un fiore, hanno invece otto raggi puntiformi posizionati intorno ad un cerchio delle stesse dimensioni. Gli astri sono di colore chiaro su fondo azzurro, come si può supporre dalla ricostruzione realizzata dalla Yale University. Un ulteriore elemento di legame tra i due reperti è dato dalla presenza, sulla parete di fon- do, dell’episodio del Buon Pastore. Il racconto rimanda in chiave simbolica a Gesù-Salvatore come porta per il regno dei cieli: «[…] io sono la porta delle pecore. […] Io sono la porta; se uno entra per mezzo di me, sarà salvato; en- trerà, uscirà e troverà pascolo» (Gv, 10, 7-9). Sempre a Dura Europus, nel Mitreo, era presente un cielo stellato le cui caratteristiche sono deducibili da alcune immagini della ricostruzione realiz- zata negli anni ’40 dalla Yale University Art Gallery, oggi non più esistente perché sostituita da una nuova ricomposizione filologicamente più rigorosa (http://media.artgallery.yale.edu/duraeuropos/dura.html). Dalle fotografie Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 277 storiche della ricostruzione (Figura 2 in Swift, Alwis 2010) sembrerebbe fos- sero presenti due tipi di astri (Sm1 e Sm2) con otto raggi simili alla prima tipologia del battistero sopra citato (Sb1), diversi tra loro solo per dimensioni visto che Sm2 è leggermente più piccolo di Sm1. Nell’immagine (Figura 3.c) è possibile contare una fila di diciotto stelle Sm1 alternata ad una di stelle Sm2; l’andamento non è sfalsato come a Galla Placidia o nel battistero del medesimo luogo, ma allineato alle direzioni della volta. Tuttavia, dalle fotografie di scavo disponibili sul sito www.sscommons.org, è oggi possibile cogliere la presenza di una sola tipologia di stelle di forma più grossolana e compatta (Figura 3b), in realtà più simile alla tipologia Sb2 del battistero che non alla Sb1. La distri- buzione degli astri parrebbe comunque coerente con quanto ipotizzato nella ricostruzione del secolo scorso.

Fig. 3. Dura Europus: a. foto di scavo del Battistero; b. foto di scavo del Mitreo; c. Mitreo, foto della ricostruzione degli anni ’40 (www.sscommons.org).

In uno dei sepolcri della necropoli di Canosa, denominato Ipogeo A, è pre- sente un arcosolio (A I) coperto da una voltina con cielo stellato (prima metà V secolo). Da una descrizione testuale e da una fotografia (Campese Simone 1993, fig. 10, p. 105) è possibile dedurre che qui gli astri spiccano su uno sfondo celeste intenso «con clipeo centrale bordato da sottile banda rossa. Le stelle bianche e gialle di varie dimensioni sono ad otto punte con perline alle estremità, che fan- no da raggiera ad una perla centrale. Esse non ruotano intorno al clipeo, ma si appuntano sulle intersezioni di un reticolo a larghe maglie quadrangolari, pro- babilmente pretracciato a sgraffio, il cui leggerissimo ordito sembra propagare oltre le punte la luminosità in un gioco di raggi geometricamente rispondenti sia in diagonale che perpendicolarmente». Il pattern è dunque qui ottenuto con un reticolo a maglia quadrangolare a 45° ottenuta da file sfalsate:n stelle Sc1 alternate a n-1 stelle Sc2. 278 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

Fig. 4. Restituzione del mosaico del Battistero di Albenga mediante fotogrammetria digitale (M. Incerti).

L’ultimo esempio che si vuole proporre per questa tipologia è quello del Battistero di Albenga (Savona) le cui superfici interne erano anticamente ri- vestite da mosaici di età paleocristiana (450 ca.). Nella piccola abside, coperta da una volta a botte, è sopravvissuto un singolare cielo stellato (Figura 4). Su uno fondo blu intenso spiccano dieci stelle allineate su più file per ciascuna imposta. La texture del cielo stellato, che conta 92 astri di colore bianco, è in- terrotta irregolarmente dal disegno della specchiatura centrale e dalla cornice perimetrale. I raggi, di forma lineare, sono composti ciascuno da quattro tessere: tre più piccole, che partono da un elemento centrale di dimensioni maggiori, e l’ultima più grande, quasi una “perla” finale. Il reticolo compositivo, dunque, è qui a maglia rettangolare e segue le direzioni principali dello spazio. Al centro è una figura circolare ripetuta tre volte con dimensioni sempre più piccole: un Cristogramma affiancato dalle lettere alfa e omega, con sfondo digradante che dal blu intenso arriva sino all’azzurro chiaro. Dodici colombe, simbolo dei do- dici Apostoli, circondano il simbolo sacro. Nella lunetta, ben conservata, è una croce gemmata adorata da due agnelli, scena che richiama quella presente nel catino mosaicato di Sant’Apollinare Nuovo in Ravenna. Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 279

Fig. 5. Grafici di sintesi dei pattern stellati per le volte a botte.

Il motivo decorativo della pseudo-cupola di Galla Placidia, solo apparen- temente più semplice, testimonia un’eccezionale perizia tecnica e geometrica degli antichi costruttori e delle maestranze artistiche. Questo cielo stellato, noto in tutto il mondo per la sua straordinaria capacità di coinvolgere ed emo- zionare profondamente l’osservatore, è composto da 567 stelle dorate ad otto punte le cui dimensioni si riducono dall’imposta alla chiave, espediente figu- rativo probabilmente utile ad amplificare percettivamente l’effetto prospettico, cioè a far sembrare più alto lo spazio. Ogni singola stella è formata da un nucleo dorato circolare da cui partono otto raggi con profilo curvilineo. La brillante- fi gura spicca su un intenso fondo blu composto da tessere disposte secondo cerchi concentrici che, pur se non visibili ad occhio nudo, sono comunque in grado di evocare il movimento espansivo della luce (Figura 6). Le stelle, molto vicine tra di loro, sembrano quasi intrecciare i loro raggi anche se in realtà non si toccano mai. Dal confronto con i riferimenti iconografici coevi emergono immediatamente le caratteristiche di unicità e di innovazione di questa decorazione. Pur appog- giandosi alla geometria del quadrato ruotato (otto raggi), come quasi tutte quelle precedentemente illustrate, le stelle della cupola hanno una forma continua, sen- za interruzioni tra i vari elementi (centro, raggio e puntini esterni) generalmente “separati” negli altri reperti per suggerire probabilmente la luminosità degli astri e il movimento espansivo della luce. Tale effetto visivo è invece qui perseguito attra- verso l’utilizzo delle infinite e preziose tessere d’oro disposte in modo da formare una figura compatta e pulita. Tra i reperti più antichi con cui è possibile fare un raffronto troviamo i mo- saici della cupola del Battistero di San Giovanni in Fonte (Napoli, datati inizio V sec. e dunque precedenti al Mausoleo di Galla Placidia): qui le stelle contano otto raggi con forma a petalo e cerchio centrale di colore non sempre uguale (Fi- gura 7). Le cromie, finemente sfumate, variano dal bianco all’azzurro, al giallo, al rosso (per il solo cerchio centrale): sulla punta estrema del raggio è un piccolo cerchio a sottolineare la luminosità del corpo celeste. La distribuzione degli astri non pare obbedire ad una regola geometrica rigorosa se non per le sole due o 280 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

Fig. 6. Ortofoto dei mosaici della cupola di Galla Placidia (M. Incerti) tre file esterne disposte circolarmente e sfalsate tra loro. La regolarità della tes- situra è interrotta dalla croce-monogramma affiancata dai simbolialfa e omega. Sui quattro angoli i quattro esseri dell’Apocalisse (attribuiti all’età del Vescovo Sotere, dopo l’edificazione di Galla Placidia). La volta all’incrocio del transetto della chiesa di Santa Maria di Casaranello (Lecce, V-VI secolo) presenta un cielo stellato (Figura 7) in mosaico. Gli astri contano sei raggi a forma di petalo, staccati dal cerchio centrale di colore identi- co, mentre sul loro estremo più esterno è un piccolo punto: le cromie sono quelle del bianco alternato ad un colore più scuro (forse oro). Le stelle sono disposte su quattro cerchi concentrici tra loro sfalsati, lo sfondo del cielo è ripartito in 3 aree cromaticamente digradanti: al centro è una croce latina il cui orientamento segue l’asse della chiesa.

Fig. 7. A sinistra le stelle del Battistero di Napoli, a destra le stelle di Casaranello. Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 281

Il Martyrum della basilica dei Santi Felice e Fortunato in Vicenza (V sec.) presenta una singolare cupola in otto spicchi su pennacchi a cuffia decorata da un cielo stellato. Anticamente le superfici erano ricoperte da mosaici, come attestano i lacerti sopravvissuti su uno dei pennacchi e sul fianco di una delle fi- nestre. Le attuali decorazioni pittoriche, sicuramente di età medioevale, secondo gli storici potrebbero però ricalcare un disegno più antico di cui si scelse di te- nere memoria (Barbieri 1980). Qui a rosette con sei raggi bianche su fondo rosso (e viceversa), si affiancano stelle canoniche ad otto punte di colore giallo. Un grande cerchio rosso centrale potrebbe alludere al sole, mentre una sottile falce rimanda indubbiamente alla luna. Data la limitata leggibilità delle immagini al momento disponibili, risulta impossibile dare una descrizione rigorosa della geometria del cielo stellato che, almeno a prima vista, si dispiega secondo cerchi concentrici. Sui quattro angoli erano probabilmente i simboli dei quattro Evan- gelisti, come attesta la figura di un leone riconducibile all’Evangelista Marco. Infine, anche se posteriore, non è possibile omettere nell’esposizione dei casi studio il cielo stellato del catino absidale di Sant’Apollinare in Classe (Ra- venna, 549). Qui gli astri, chiari e dorati, hanno sei raggi di forma lineare che si dipartono da un cerchio centrale mentre sul loro estremo esterno è un piccolo punto più grande che simula lo splendore del corpo celeste. La distribuzione, apparentemente non rigorosa, andrà approfondita sulla base di un adeguato rilievo fotogrammetrico. Al centro è la famosa croce gemmata, con il viso di Cristo all’incrocio dei bracci, accompagnata dalle lettere alfa e omega. Alla base della scena tre agnelli volgono lo sguardo verso il simbolo salvifico. Tornando ora alla pseudo-cupola di Galla Placidia, dall’ortofoto ottenuta con fotogrammetria digitale è stato possibile dedurre che la struttura geometri- ca del cielo stellato è formata da cinque circonferenze concentriche da cui par- tono delle curve sferiche. Si tratta senza dubbio di una disposizione geometrica molto complessa, riconducibile ad una proiezione centrale, così come recente- mente evidenziato da S. Giannetti (Incerti, Lavoratti, D’Amico, Giannetti 2018). Dalla lettura geometrica dei cieli stellati sopra descritti, è facile dedurre che i motivi che decorano le volte a botte con complicati reticoli a maglia quadran- golare a 45° sono in realtà tracciabili direttamente sulla superficie attraverso la ripartizione in parti uguali dell’arco generatore. Altrettanto semplice è il trac- ciamento di righe orizzontali (Albenga e Dura Europos, Figura 5) oppure di alcune circonferenze concentriche (Napoli e Casaranello) solitamente confinate nella parte alta della cupola e mai nei pennacchi o nelle parti di raccordo tra la cupola semisferica e il volume quadrangolare sottostante. Gli autori della celebre volta stellata del piccolo Mausoleo, si posero l’ar- dito obiettivo di creare un disegno geometricamente continuo, percettivamen- te simile ad una volta a vela, decorando con stelle ordinate l’intera superficie 282 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale sino alle superfici di raccordo (pennacchi). Tale realizzazione fu necessariamen- te supportata da conoscenze geometriche e proiettive molto rigorose (Incerti, Giannetti 2020). In alto, all’interno del primo cerchio, sono 7 stelle distribuite intorno ad una croce latina di cui 3 sono in basso a destra, 3 in basso a sinistra e 1 in alto a sini- stra. La grande e preziosa croce è singolarmente ruotata di 90° rispetto all’asse: tale figura dorata è indubbiamente riconducibile al culto della Vera Croce (Baert B. 2004) a cui era dedicata la chiesa, ma anche al simbolo di Cristo Vincitore, ha infatti il braccio maggiore orientato nella direzione Est-Ovest in modo tale da costringere l’osservatore a volgere le spalle ad Ovest e lo sguardo verso Est per averne una visione correttamente orientata. La disposizione di questo simbolo supporta e potenzia fortemente il suo pos- sibile significato solare rintracciabile già nelle rappresentazioni di Cristo-sole della Cappella di Sant’Aquilino della basilica di san Lorenzo in Milano (attribuito a Galla Placidia) e del Mausoleo dei Giulii (Roma) (Ranaldi 2011). Nella Cappella di Sant’Aquilino, a questo proposito, sono state evidenziate alcune implicazioni archeoastronomiche oltre che importanti iconografie astrali: sul portale romano, partendo da sinistra, sono infatti Sole, Giove, Marte, Vittoria o Nemesi, Venere, Luna. Al Mausoleo dei Giulii risale invece il frammento musivo di Cristo nelle vesti del dio-sole Helios/Sol Invictus alla guida del suo carro, mosaico del III secolo conservato nelle grotte Vaticane sotto la basilica di San Pietro, sul pavimento della tomba di papa Giulio I. Entrambe le rappresentazioni appena citate sono proprio riconducibili al culto del Sol Invictus, celebrato nel Solstizio invernale (Dies Natalis Invicti), promosso dall’imperatore Aureliano che nel 274 consacrò a questa divini- tà un tempio a Roma (Salles 1997). Tra le numerose immagini simboliche presenti nel Mausoleo occorre infi- ne ricordare le rappresentazioni dei quattro esseri dell’Apocalisse (sui quattro “pennacchi”), e dei cristogrammi circondati da una ghirlanda nelle due volte a botte del transetto (lati Est ed Ovest). Il simbolo cristiano del chi-rho, formato dalle lettere X e P, si diffuse in concomitanza alla vicenda del “sogno di Co- stantino” (Eusebius 2009, pp. 119-123), imperatore a cui apparve proprio questa figura sovrapposta al sole di mezzogiorno In( hoc signo vinces): tale emblema si ritrova, tra l’altro, in diverse monete di Galla Placidia (cristogramma all’interno di una ghirlanda d’alloro, come segno di vittoria). Altra simbologia ricorrente nella monetazione a lei riferibile è una grande croce latina a volte sormontata da una stella (Gerke 1966). In merito a ciò è interessante riportare un evento astronomico legato alla scomparsa dell’Imperatrice, narrato nel Liber Pontifica- lis Ecclesiae Ravennatis da Andrea Agnello (IX sec.), secondo cui una stella stra- ordinariamente luminosa risplendette nel cielo per trenta giorni dopo la morte di Galla Placidia: ancora una simbologia astrale associata alla donna che fece Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 283 costruire questo piccolo scrigno stellato (Liber Pontificalis Ecclesiae Ravennatis, Vita Johannis, 42).

3. La documentazione del monumento (G.L.)

Il rilevamento di un manufatto architettonico ne costituisce la prima e ne- cessaria forma di conoscenza, sulla base della quale possono essere svolte tutte le successive analisi e valutazioni metriche, geometriche e proporzionali. L’ac- curatezza delle operazioni di prelevamento delle misure ed il rigore scientifico in fase di restituzione rappresentano la cifra distintiva di un processo di acquisizione valido e coerente, in grado di documentare con ragionevole esattezza l’esistente. Ma se l’esigenza di un dato certo e conforme è insita in ciascuna cam- pagna di rilievo, la massima aderenza al manufatto architettonico diventa imprescindibile nel momento in cui si vogliano valutare aspetti formali legati all’allineamento e all’orientamento archeoastronomico, per i quali anche una piccola imprecisione può modificare sensibilmente il risultato finale. Per tale ragione l’impiego delle più moderne tecnologie di acquisizione del dato mor- fometrico divengono un’opzione obbligata, alla quale si ricorre ormai comu- nemente nei processi di documentazione dei monumenti. L’utilizzo diffuso di scanner laser in grado di acquisire nuvole di punti estremamente dense con un’accuratezza fino a qualche anno fa inimmaginabile consente, infatti, di descrivere col necessario rigore anche gli edifici più antichi, per i quali vicissitudini storiche, eventi sismici, fenomeni di degrado e usura del tempo hanno dato luogo a modifiche significative rispetto all’impianto iniziale. Per la documentazione del Mausoleo di Galla Placidia l’impiego di uno scan- ner Faro focus3D X330 ha permesso l’acquisizione di 23 nuvole di punti che, opportunamente messe a registro, hanno dato luogo ad una pointcloud den- sa (300.000.000 di punti) in grado di descrivere dettagliatamente l’intero ma- nufatto. Il successivo allineamento di 459 fotogrammi da fotocamera digitale SLR su tripode ha permesso, grazie a consolidate procedure di fotogrammetria digitale, di trasferire alla nuvola di punti anche il dato cromatico, generando in tal modo un modello tridimensionale geometricamente, dimensionalmente e cromaticamente affidabile, dal quale sono state estratte sezioni orizzontali e verticali passanti da punti particolarmente significativi dell’edificio e sul quale sono state operate le successive analisi metriche e geometriche della fabrica e del suo impianto decorativo. La corretta texturizzazione del modello, inoltre, è risultata essere una con- dizione imprescindibile nella valutazione degli effetti luminosi all’interno del Mausoleo, consentendo in tempo reale l’analisi e la verifica della direzione e del punto di incidenza dei raggi in date particolarmente significative. 284 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

4. Misura, forma e archeoastronomia (M.I.)

Le irregolarità della forma di questa architettura, evidenti in particolar modo nella pianta, non possono essere imputabili ad una mancanza di cura nella sua realizzazione, ma devono essere ricondotte ad una precisa volontà compositiva nel tracciamento degli assi principali che, palesemente, non sono ortogonali tra di loro. Dall’analisi delle misure della pianta dell’edificio è possibile dedurre che per il progetto e la sua realizzazione fu utilizzato il piede romano (0,2956 m., in Docci e Maestri, 2009). La pianta risulta composta dalla combinazione di paral- lelogrammi che, se pur di dimensioni piccole, sono decisamente molto più com- plicati da gestire dalle maestranze rispetto a dei semplici rettangoli: si pensi per esempio ai problemi di realizzazione delle volte e della pseudo-cupola. Sovrap- ponendo il profilo esterno dell’edificio ad una quadrettatura 43x50 di passo pari a 1 piede è possibile verificare che i vertici della croce cadono, con approssima- zione molto buona, sugli incroci della griglia e, in alcuni casi, sulla sotto-griglia di ½ piede (Incerti, Lavoratti, D’Amico, et al. 2018). Questi dati geometrici e metrologici, insieme ai risultati dell’analisi ar- cheoastronomica, possono supportare l’ipotesi che la rotazione dell’asse Est-Ovest rispetto a quello Nord-Sud sia stata voluta. L’edificio è stato oggetto di ricerche archeoastronomiche da parte di Giu- liano Romano che ne ha misurato l’orientazione: a partire dai dati contenu- ti nel suo scritto sull’architettura sacra ravennate (Romano 1995), sono state formulate e, in seguito, vagliate alcune ipotesi inerenti possibili intenzionalità astronomiche. La misura dell’Azimut principale, pari a 180,2°, porta alla nostra attenzione un andamento Nord-Sud insolito rispetto ad altri edifici sacri di età bizantina ravennati. L’Azimut del transetto, non ortogonale alla navata, è invece di 94,3°: questo valore corrisponde ad un allineamento con il tramonto del sole nei giorni del 26-27 marzo e del 13-14 settembre al momento della sua costru- zione (prima del 450). La prima data è molto vicina al 25 marzo, celebrazione dell’Annunciazione di Maria, una festività già documentata nel Martirologio Gerominiano, risalente al IV-V secolo. Il 14 settembre è celebrata invece la festa dell’Esaltazione della Croce, ricorrenza alla quale è dedicata la chiesa principale del complesso sacro. Un ulteriore elemento di indagine riguarda l’esistenza di effetti luminosi intenzionalmente creati dagli antichi costruttori in date significative dell’anno astronomico o liturgico. Il piccolo e prezioso edificio è stato oggetto di nume- rose trasformazioni causate, in particolar modo, dagli importanti fenomeni di subsidenza che caratterizzano il sottosuolo ravennate. I documenti di cantiere dei restauri (Iannucci 1995; Ricci 1914) ci consentono tuttavia di risalire al livello Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 285

Fig. 8. Pianta del Mausoleo di Galla Placidia (restituzione G. Lavoratti). originale della pavimentazione posta ad una quota di -1,4 m. rispetto a quella at- tuale. A causa del sollevamento della falda, nonostante le opere idrauliche mes- se in atto (Ricceri 1992), non è stato più possibile ripristinare le altezze iniziali e, per questa ragione, come si può notare dalle viste del modello 3D ricostruttivo, le proporzioni dello spazio attuale sono profondamente mutate rispetto alle an- tiche intenzionalità progettuali. 286 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

Una particolare attenzione è stata data, inoltre, alle finestre dell’edificio ai fini di valutarne l’autenticità e l’integrità necessarie per l’analisi archeastro- nomica. Nell’ambiente sono presenti 14 aperture, alcune delle quali rimesse in funzione con i restauri del secolo scorso (Iannucci 1995), ripartite su 3 ordini: 7 finestre nel livello più basso (2 Est, 3 Sud, 2 Ovest), 3 sulle lunette (1 Est, 1 Sud, 1 Ovest), 4 sul tamburo (1 Est, 1 Sud, 1 Ovest, 1 Nord). La luce che penetra all’in- terno attraverso queste finestre è oggi fortemente filtrata dalle splendide lastre in alabastro, donate dal Re Vittorio Emanuele III e messe in opera nel 1911: per questa ragione non sono più leggibili le “macchie di luce” che anticamente potevano stagliarsi nettamente sulle superfici in particolari date del calendario astronomico e liturgico. Gli elaborati grafici, bidimensionali e tridimensionali, divengono in que- sto caso indispensabili per poter fare delle ipotesi ricostruttive sui fenome- ni luminosi eventualmente esistenti. L’analisi da noi realizzata ha messo in evidenza che le tre finestre poste sul lato Sud del sacello potrebbero effetti- vamente essere state coinvolte in singolari effetti luminosi: in particolare, al mezzogiorno del Solstizio Invernale (cioè al passaggio del sole in meridia-

Fig. 9. Sezione longitudinale: simulazione dell’inclinazione dei raggi solari al Solstizio invernale (H = 22°), Equinozi (H = 45.20°), Solstizio estivo (H = 69.20°). La massima inclinazione dei raggi per la finestra della pseudo-cupola è H = 61.03°. Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 287 no) due fasci di luce, provenienti dalle finestre del secondo ordine e della pseudo-cupola, illuminano la porta dell’antico sacello considerando l’antica quota di -1,4 m. A causa della morfologia di queste aperture, la luce del sole in meridiano entra solamente per sei mesi freddi (autunno-inverno) a partire all’incirca dalle date equinoziali (Figura 9). Durante la primavera e l’estate invece, in ragione dell’inclinazione dei raggi solari, la luce diretta non riesce quasi a penetrare all’interno nel momento del passaggio in meridiano.

Fig. 10. Render di simulazione dei raggi solari al passaggio in meridiano del Sole nel Solstizio invernale (a cura di Stefano Giannetti).

La scelta del Solstizio invernale per la creazione di un effetto lumino- so ierofanico è indubbiamente coerente con l’architettura e il suo apparato iconografico, si ricorda a questo proposito che l’episodio della lunetta sovra- stante la porta coinvolta illustra la parabola del Buon Pastore nel cui testo, esplicitamente, è narrato il tema Gesù-porta («Io sono la porta […].»). Le testimonianze iconografiche della Cappella di Sant’Aquilino in san Lorenzo (Milano) e del Mausoleo dei Giulii (Roma) ci attestano inoltre l’assimilazio- ne, da parte della chiesa dei primi secoli, del culto del Sol Invictus la cui natura astronomica è innegabile. E’ importante inoltre mettere in evidenza le relazioni di questo culto romano (promosso, come è stato sopra ricordato, dall’imperatore Aureliano) con il tema delle “porte del cielo solstiziali”: nella tradizione romana, infatti, il custode delle porte ianuae( ) e ai passaggi (iani) era il dio bifronte Ianus (Giano) (Salles 1997). Attraverso il modello digitale è stato non solo possibile visualizzare l’o- riginaria morfologia dell’edificio (il cui pavimento era più in basso di ben 1.4 metri), ma anche la correttezza dei fenomeni astronomici precedentemen- te descritti (Figura 10). I vari modelli prodotti sono inoltre divenuti la base di partenza per comunicare, con strumenti contemporanei, i contenuti dello studio prodotto. 288 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

5. Il primo modello di analisi della morfologia (S. D.)

L’analisi della struttura architettonica del Mausoleo di Galla Placidia è stata condotta anche attraverso la realizzazione di un modello digitale, predisposto utilizzando in particolare il softwareRhinoceros . La scelta di quest’ultimo è stata motivata sostanzialmente da alcune necessità: se infatti il primo evidente obiet- tivo è stato quello di poter “formalizzare” il complesso di dati – dimensionali, geometrici e ambientali – provenienti dal rilievo archeoastronomico, nondime- no è occorso verificarne contemporaneamente la plausibilità: come dire, in altre parole, che il modello digitale doveva generare una rappresentazione coerente ed esaustiva dell’assetto, dimensionale e morfologico, del Mausoleo. L’operazio- ne di modellazione, dal canto suo, ha significato tradurre i caratteri geometrici e mensori del manufatto in una forma discretizzata, sì da poter disporre di uno strumento d’indagine il più possibile agile, senza d’altronde comprometterne la capacità descrittiva. La restituzione tridimensionale così ottenuta, per quanto alleggerita di tutta una serie di elementi accessori, è comunque apparsa efficien- te anche nella lettura dei dettagli formali più specifici dell’edificio, permetten- doci così di supportare le varie fasi della ricerca condotta su questo monumento. Con l’intento di rendere almeno l’idea di quanto appena accennato, può es- sere utile richiamare le peculiarità dello schema planimetrico, già debitamente descritte, in particolare quel caratteristico slittamento tra le due porzioni longi- tudinali del fabbricato, quella orientale e quella occidentale. Questa apparente irregolarità planimetrica, leggibile appunto rispetto all’asse longitudinale, com- porta una serie di adattamenti delle geometrie delle coperture interne: tutte le quattro volte a botte dei bracci della croce latina, infatti, ne restano condi- zionate, cosicché l’uso del modellatore ha permesso di condurre un’azione di controllo proprio di queste difformità. A tal riguardo, l’elemento certamente più indicativo resta la cupola centrale, il cui rilievo ha in effetti riprodotto una base d’imposta tendenzialmente rombica, nonché profili verticali piuttosto variabili. Grazie allora alla ricostruzione tridimensionale digitale si è potuto accertare, in tempi relativamente brevi, la credibilità di varie ipotesi restitutive dell’organi- smo cupolare, tutte evidentemente affini ai dati materiali rilevati, risolvendo pe- raltro tali riscontri durante la contemporanea riconfigurazione virtuale dell’in- tero manufatto. In altre parole, si sono ipotizzate, per quanto attiene la cupola, forme geometriche generative che ne attestassero la singolarità, anche grazie al sistematico raffronto tra le rappresentazioni bidimensionali delle risultanze metriche e la loro trasposizione nel modello tridimensionale. Un altro passaggio degno di nota, nella ricostruzione volumetrica del Mau- soleo di Galla Placidia, è stato risolvere la conformazione degli innesti tra i due differenti livelli di murature, quelle inferiori dei bracci e quelle superiori del cor- Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 289 po centrale contenente la cupola. La rotazione relativa tra questi due livelli pa- rietali – seppur minima e derivante dalle rammentate connotazioni planimetri- che – crea soluzioni di raccordo tra i piani di copertura tutt’altro che elementari: ecco dunque che la conseguente definizione tridimensionale del fabbricato ha dovuto ricercare, necessariamente, i rapporti di planarità che presumibilmente si instaurano tra i tetti a falde dei quattro bracci della croce. Per quanto succinte, queste note sulla ricerca in oggetto ci suggeriscono che la modellazione tridimensionale assistita assume oramai un valore non solo strumentale ma parimenti investigativo. Gli studi condotti sul Mausoleo di Galla Placidia hanno di fatto chiarificato tutte le utilità proprie della rappresentazione digitale, a cominciare dalla possibilità di affrontare le sequenze analitiche di un’indagine gestendone simultaneamente le complessità in una visione globale. Ed in effetti, a conferma, va ammesso che la scelta dei vari software, per il rilievo e la restituzione, è stata guidata anche dalla volontà di raccogliere e ordinare si- stematicamente le articolate informazioni raccolte che, fatte le dovute verifiche, dovevano pur essere visualizzate. Non va dimenticato infatti che una qualunque indagine non può prescindere dalla necessità di comunicare gli esiti conseguiti pertanto, nel nostro caso, il modello digitale diventa rappresentazione nonché forma di comunicazione interattiva, narrazione dei contenuti tecnici, culturali e simbolici che oggi riconosciamo al patrimonio storico e architettonico.

Fig. 11. Vista del modello di studio (S. D’Amico). 290 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

6. Conclusioni

I risultati di questa ricerca ci consentono di evidenziare la singolarità e la rilevanza delle iconografie astrali del Mausoleo in rapporto alle tradizioni coeve. I valori delle due orientazioni (navata e transetto) consentono di ipotizzare che la forma geometrica della pianta, apparentemente irregolare, sia stata voluta an- che per ragioni archeoastronomiche. L’insieme delle caratteristiche formali del piccolo edificio rende possibile inoltre la creazione di un singolare effetto di luce nel periodo del Solstizio invernale. Ricerche di questo tipo rendono evidente, infine, come gli strumenti digitali (IT) possano realmente innovare sia le moda- lità di indagine e di rappresentazione dell’architettura, sia della comunicazione e della divulgazione di contenuti stratificati e complessi (per questo di difficile appropriazione) come quelli archeoastronomici.

Denominazione attuale Galla Placidia Santa Croce Denominazioni precedenti nessuna nessuna Tipologia edificio mausoleo-sacello basilica Secolo V V Limite ex-ante 425 d.C. 400 d.C. Limite ex-quo 450 d.C. 450 d.C. Ordine monastico / Committente Galla Placidia Galla Placidia 14 settembre, Festività del patrono/dedicazione - Esaltazione della Croce Rotazione corpo di fabbrica - - successivo alla fond. Regione Emilia Romagna Emilia Romagna Diocesi Ravenna Ravenna Latitudine 44°25’15.38”N_44.420940° 44°25’16.09”N_44.421136° Longitudine 12°11’49.67”E_12.197117° 12°11’50.98”E_12.197494° Altezza s.l.m. 4 m s.l.m. circa 4 m s.l.m. circa Rilievo architettonico Incerti, Lavoratti 2017 solo esterno, Laser scanner per confronto dalla nuvola Rilievo orientamento Teodolite di punti Data di rilievo dell’orientamento 1995 1995 Elemento di riferimento parete parete sud Autore rilievo archeoastronomico Romano Incerti Azimut abside (da Nord) 180,2° 91,4° Azimut abside da Sud -0,2° 88,6° Manuela Incerti - Gaia Lavoratti - Sara D’Amico 291

Azimut transetto lato levata (da Nord) 94,3 (transetto) - Azimut transetto lato tramonto (da 274,3° - Nord) Lettura azimut abside da Google 180,03° 90,3° Earth (2018) Azimut tessuto urbano o territoriale città romana: 127,4° / 37,0° città romana: 127,4° / 37,0° Coerenza con il tessuto urbano o no no territoriale Analisi orizzonte Libero (mare) Libero (mare) Azimut Sole 21 marzo Levata (epoca 88,6° 88,6° fond.) Azimut Sole 21 giugno Levata 54,9° 54,9° (epoca fond.) Azimut Sole 23 settembre Levata 89,8° 89,8° (epoca fond.) Azimut Sole 21 dicembre Levata 123,3° 123,3° (epoca fond.) 84,4 Esaltazione della Azimut Sole Levata altri giorni ASL 84,4 Esaltazione della Croce Croce Azimut Sole Tramonto altri giorni 275,1° Esaltazione della 275,1 Esaltazione della AST Croce Croce Azimut Sole Tramonto altri giorni) 274,2° Annunciazione 274,2° Annunciazione AST Metodi e strumenti di calcolo/ GEffemerid/Autocad/ GEffemerid visualizzazione Rhino Significatività orientamento si si astronomico Tipologia solare solare Annunciazione (25 marzo) Annunciazione (25 marzo) / Significatività liturgica / Esaltazione della Croce Esaltazione della Croce orientamento (14 settembre) (14 settembre) Effetti luminosi sull’architettura si non analizzati Finestre del lato Sud Elenco effetti - sull’asse dell’edificio Effetti luminosi apparato decorativo - - Date calendario effetti luminosi 21 dicembre - Simboli astronomici/astrologici si -

Fig. 12. Tabella riassuntiva dei dati archeoastronomici analizzati 292 Gli strumenti della rappresentazione per l’astronomia culturale

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The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome: a statistical study

Isabella Leone1, S. Gaudenzi2, F. Meddi3, V.F. Polcaro2,4,5 1Corso di laurea in Scienze per i beni culturali, Università di Roma “La Sapienza”, 2 INAF – IAPS, Roma, 3 Dipartimento di Fisica, Università di Roma “La Sapienza”, 4ACHe, Università di Ferrara, 5CESAR, Roma

Abstract. The purpose of this study is to evaluate whether the choice of the axis directions of the early Christian and medieval churches of Rome was determined by random reasons only or, instead, by the intention of obtaining a specific direction, as the studies related to the churches of this period, in other geographical contexts, seem to indicate. A first phase of the survey consisted in compiling a list of all the churches still existing in Rome and built between the beginning of the 4th century and the end of the 13th century. Our research produced a total of 92 churches: geographic coordinates and azimuth were measured using satellite images from Google Earth. In cases where the original arrangement of the parts was not evident, inspections in situ and checks from the plants reported in the literature concerning the considered church were carried out. From this analysis, two distinct distributions of the azimuth of the ancient churches of Rome are clearly distinguished: one with azimuth from 30° to 150°, the other from 210° to 360°. Seven churches only, which is the 8% of the population, have in fact an azimuth value consistent with the meridian. Furthermore, statistically significant peaks are observed around 90°, 120°, 240°, 270°, which are directions with an evident astronomical significance. Obviously, the existence of two populations with a substantially opposite orientation, suggested by the statistics, must find its justification in hypotheses based on other objective elements: the first hypothesis that can be advanced is a paradigm shift with the passing of the centuries. Wanting to verify if this hypothesis has a foundation, the considered churches were analyzed by subdividing them by century of construction. From this analysis, it is clear that in the construction of the oldest churches the most established tendency is to orient the axis with the entrance towards East and the apse towards West, even if the opposite orientation is noticeably frequent. In the following centuries there is a settling phase in which all the orientations have more or less the same importance. From the ninth century onwards the habit of orientating the buildings of worship 296 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome with the apse towards East and the entrance towards West was definitively affirmed. This work will present the possible historical motivations of this evolution.

1. Introduction

Since the dawn of Christianity, the eastern direction was considered privileged for praying. Already Tertullian, in his Apologeticum (Chapter XVI), reports that Christians “pray in the direction in which the Sun rises”. Even Origen of Alexandria (185-254 AD), in his Treatise on Prayer, explains to the Christian that it is important to turn itself towards East during a prayer. With the Edict of Milan of 313 AD, the Christian religion definitively succeeded. In 375-380 AD the Apostolic Constitutions were written, a very important manual for the Clergy. In the second book, paragraph 7, it is specified to orient the building “head” to the East: “the head” of the building is only interpretable as the apse; therefore a church must be oriented with the apse towards East and the entrance towards West. If, thanks to the Apostolic Constitutions, a specific position for the building was reached, the orientation of the latter is still vague. The first who indicate a more specific direction was Gerbert d’Aurillac (940 / 950-1003 AD), who rose to the papal throne in 999 AD, like Pope Sylvester II. In a bull, this astronomer Pope reiterates the criterion of the Versus Solem Orientem and, in particular, refers to the Sol Equinotialis, as the preferential direction to orient the sacred buildings. Finally, St. Thomas Aquinas (1225-1274 AD) takes up the theme of the orientation of prayer, identifying, once again, the preferential direction in the East, stating :«It is preferable that we adore with the face turned to the East: primarily, to show the majesty of God that is manifested to us through the movement of the heavens beginning in the East; secondly, because the Earthly Paradise was in the East and we try to return there; thirdly, because Christ, who is the Light of the world, is called the East by the prophet Zechariah and because, according to Daniel, “he ascended into heaven to the East”; finally, because it is from the East that He will return, as the words of the Gospel of St. Matthew say (Mt 24:27): “as the lightning comes from the east and shines to the west, so will the coming of the Son of Man”» (Marazzi and Casolari, 2014, 107). Numerous authors studied the orientation of the early Christian and medieval churches, to verify on one hand how much the canonical indication of orienting the churches with the apse towards East was really followed, and on the other to investigate what interpretation of this norm has been given in various historical and geographical contexts. McCluskey (2004) examined all Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 297 the 130 churches of the medieval diocese of Dorchester on the Thames, finding that all of them have an azimuth included in the solar arch, but only those dedicated to St. John and All Saints seem to be oriented towards the sunrise on related celebrations. Hoare and Sweet (2000) studied a sample of 183 English churches built between the 7th and 12th centuries, finding that the buildings have axes with azimuth between 42° and 128°. From this distribution these authors concluded that the ideal of the early Middle Ages was to build sacred buildings oriented towards East, although the range of values ​​suggests that this indication has sometimes been superseded by other considerations or neglected for various reasons. Liritzis and Vassiliou (2006) studied a sample of 21 Greek churches built between the 6th and the 18th century, with the aim of verifying if the Greek churches are oriented coherently with the date of the feast of the Saint to whom they are dedicated: according to these authors, 13 churches are aligned with the equinox sunrise, 3 have a correlation with the feast of their patron saint, 4 have a correlation with important festivals of the Orthodox Church: Annunciation, Conception of St. John the Baptist, Assumption, Feast of the Archangels. In Galicia, the study on the orientation of the Churches was conducted by Gonzalez-Garcia (2015): from the obtained data it is clear that the guidelines of the churches of Galicia are concentrated in the solar arc and in particular around the equinoctial value. Other authors considered the orientation of early Christian and medieval churches: Caval (2015) studied the churches in Slovenia, and Sparavigna (2012) examined a sample of 33 gothic cathedrals in France. Also in Italy a lot of authors studied the orientation of churches, beginning with Romano (1997) and Incerti (2001); for example, Balestrieri (2016) studied medieval churches in Liguria, Spinazzè (2016) medieval churches in Northen and Middle Italy, and Motta and Gaspani (2018) templar churches. The purpose of this study is to evaluate how the rule of orientation of the church axis versus Solem orientem was also followed in Rome and how this norm evolved from the Late Antiquity to the Middle Ages.

2. Measurement methodology

A first phase of the study consisted in compiling a list of all the churches still existing in Rome and built between the beginning of the 4th century and the end of the 13th century. To this purpose, the classic Krautheimer study (1937) was used in its 1970 update (Krautheimer et al. 1970), as well as the text of Ghizzi (1998) and that of Brandenburg and Vescovo (2013). This research produced a total of 92 churches. The geographic coordinates and azimuth of these churches were measured using satellite images available through Google 298 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome

Earth. For further confirmation, the data of Google Earth have been verified through direct measurements in situ for the Roman churches of Santa Prassede, the Santi Quattro Coronati, Santa Maria in Trastevere and San Clemente, using a GPS Magellan Model Explorist 100 and a precision optical tacheometric compass model DQL-6. The measured azimuth has been corrected for the magnetic by comparison with the position of the Sun utilizing the Solex V11.0 code (Vitagliano 2017), based on the JPL ephemerides. In conclusion, the uncertainty associated to the individual azimuth measurements was 0.1° in the most favourable cases (buildings of simple form, high definition images with favourable lighting, etc.), while on average it was equal to 0.5°. The measurements were then repeated for each image available on Google Earth, from the most recent back in time up to a maximum of 10 years. Once the measurements have been obtained, excluding photos that are not particularly legible, the arithmetic mean of the measured azimuths and the relative standard deviation has been calculated.

3. Data analysis

The purpose of this study is to evaluate whether the choice of the azimuth of the building axis has been intentionally chosen for one or more particular directions or if the choice of this value has been determined only by random reasons. It is obvious that, in this case (null hypothesis), a substantially isotropic azimuth distribution is expected, otherwise a statistically significant concentration will be detected around the sought value (or values). However, it is evident that, in order to quantitatively evaluate the statistical significance of any deviations from the null hypothesis, one must operate on a sample that can be considered random. In this type of archaeoastronomical studies, it is usually assumed that time has randomly acted on the conservation of the original population of the buildings in question (see e.g. Polcaro and Polcaro, 2009). However, this hypothesis should not be valid in the case in examination, given that the nature of the city of Rome as a center of Christianity could have acted in a non-random way on the conservation of the sacred buildings present in it. Therefore, in order to carry out a statistical analysis, a random sample was generated from the total population of early Christian and medieval churches in Rome, selecting a random sample of 50 elements from among these 92 churches. Figure 1 represents the histogram of the azimuth of the churches of this sample. Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 299

Fig. 1. Histogram of the frequencies of the mean values of the azimuth of the 50 churches of the sample (random sampling) of early Christian and medieval churches of Rome.

Two distinct distributions of azimuths are evident: one from 30° to 150°, the other from 210° to 360°. The distribution of the obtained data suggests a preference for azimuth values around 90° (geographic East, sunrise at the equinoxes), 120° (sunrise of the winter solstice at the latitude of Rome in the last millennia) and 270° (geographic West, sunset at the equinoxes). The first distribution consists of 30 elements, while the second one consists of 20 elements. It is evident that even the subset of the churches discarded in the draw is a random sample of the universe of the 92 early Christian and medieval churches still existing in Rome. For a check of the results previously exposed, this group of 42 churches was analyzed with the same methodology. This second group of data has a more irregular distribution than the previous one. However, it is possible to state that, as in the first case, two distinct populations and peaks of frequencies can be identified in astronomically significant azimuthal directions: 90° (East), 240° (sunset at the winter solstice), 270° (West). Since the results obtained from the two random samplings previously exposed are consistent between each other, we can consider the entire population of the 92 churches, i.e. the azimuth distribution of all the churches still existing in Rome, built between the beginning of the 4th century and the end of the 13th century (Figure 2). 300 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome

Fig. 2. Histogram of the frequencies of the mean values of the azimuth of the 92 early Christian and medieval churches in Rome.

Fig. 3. Gaussian best-fit of the azimuth distribution of the early Christian and medieval churches of Rome with apse towards East (theta = Azimuth).

The two separate distributions are again clearly distinguished. Only seven churches, 8% of the population, have an azimuth close to the meridian. Peaks are observed at around 90°, 120°, 240°, 270°, i.e. in all astronomically significant directions as previously specified. The first distribution consists of 49 elements, Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 301 of which 24 (49%) are found within the rising solar arch. The second distribution consists of 43 elements, of which 21 (49%) are found within the setting solar arc. 47 churches have azimuths outside the solar arc. The first distribution (churches with apse towards East) can be represented by a best-fit Gaussian, with an average of 96° ± 2° and σ of 13° with a χ2 probability of 39% (see Figure 3). These obtained data therefore seem to indicate that the distribution corresponds to an intentional azimuth consistent with the geographical East, with deviations from this due to random reasons. On the contrary, the distribution of the azimuth of the churches with the apse towards West has a very low probability (6%) of being represented by a Gaussian. Naturally, the existence of two populations with a substantially opposite orientation, suggested by the statistics, must find its justification in hypotheses based on other objective elements. In this regard, the first hypothesis that can be proposed is that of a paradigm shift with the passing of centuries. Let thus examine how the main orientation of the churches has changed over the centuries, subdividing into three groups of similar numerical consistence those built in the 4th and 5th centuries, between the beginning of the 6th and the end of the 8th century and from the 9th to the 13th century. In the first group (Fig. 4) the two distributions are clearly distinct as in the graphs of the total population, with a predominance, however, of the churches oriented towards West, while in previous cases the churches oriented towards East have always been more numerous.

Fig. 4. Histogram of the frequencies of the mean values of azimuth related to churches built between the beginning of the 4th and the end of the 5th century. 302 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome

Concerning the following centuries, the situation is completely different. The azimuth distribution of churches built between the beginning of the sixth and the end of the eighth century is homogeneous, but with a pronounced peak for the azimuth which corresponds to 90°, and two other less significant peaks at 120° and 240°. The histogram of the azimuth frequencies of the churches built between the beginning of the 9th and the end of the 13th century shows (Figure 5) finally a clear predominance of the churches oriented with the apse facing East compared to those with the apse facing West.

Fig. 5. Histogram of the frequencies of the mean values of the azimuth of the churches built between the beginning of the 9th and the end of the 13th century.

Since Rome is a particularly stratified city and it is known that many Roman churches are actually built on pre-Christian buildings or exploiting their structure, it is worth to select, among the 92 churches in question, only those that certainly were not built with the practice of re-use. In cases of doubt, on the pre-existence of a pre-Christian building, the church in question has been excluded from the sample. Instead, in cases where the reuse has been operated on pre-existing Christian places of worship, the church has been included in the sample. There are 54 churches built ex novo in the period under review, i.e. the 59% of the total population. Comparing the histogram of the azimuths of these 54 churches (see Figure 6) with that relative to the total population, we find that the two distributions concerning the sacred buildings with apse facing East and facing West continue to be separated: the first distribution is composed of 30 elements (55%) and the second of 24 elements (44%) of the total population. The significant peaks at 90°, 120°, 240° are still preserved, while the 270° peaks are no longer present. Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 303

Fig. 6. Histogram of the frequencies of the mean values of the azimuth of the churches built ex novo between the beginning of the 4th and the end of the 13th century.

Fig. 7. Distribution of azimuth orientations for churches with apse at East, built ex novo between the beginning of the 4th and the end of the 7th century.

A more specific indication about the evolution of the orientation of the early Christian and medieval churches of Rome can be obtained by restricting the binning to 15°. The distribution of the azimuth orientations of the churches with the apse towards East, built ex novo between the beginning of the 4th and the end of the 7th century, is shown in Figure 7. 304 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome

Fig. 8. Distribution of azimuth orientations between the beginning of the 8th and the end of the 13th century with the apse at East (a) and West (b).

In the case of an isotropic (and therefore unintentional) distribution, having a total of 12 occurrences on 12 bins of 15°, the expected average value should be 1 occurrence in each bin. Compared to this hypothesis, the standard deviation is 0.4. Two bins deviate more than 3σ from the expected average: the bin relating to the azimuths between 60° and 75° (which includes the sunrise of the summer solstice), at 7.4σ, and the bin between 120° and 135° (which includes the sunset Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 305 of the winter solstice), at 4.9σ. On the contrary, in the distribution of churches with the apse towards West, no point is found to be more than 3σ. The distribution of azimuths of the churches builtex novo between the beginning of the 8th and the end of the 13th century is shown in Figure 8. In the first of these two distributions, it is noted that the only intervals in which the occurrences deviate more than 3σ from the expected value in the case of isotropic distribution, are those corresponding to azimuths values between 75° and 90° and between 90° and 105°. The average azimuths in these intervals are mutually consistent (84.4° and 91.6° respectively). The compound standard deviation is 18.4σ: therefore, with reasonable certainty, the obtained azimuths suggest an intentional orientation of the axis of the church towards the geographical East. Concerning the second distribution, two intervals (corresponding to the azimuths between 240° and 255° and between 285° and 300°) can be pointed out, which deviate more than 3σ from the expected average in the isotropic case.

Fig. 9. Distribution of azimuth orientations related to the early Christian and medieval churches of Rome deriving from re-use of pre-Christian buildings.

Finally, it is interesting to consider the distribution of azimuths, still grouped in 15° bins, in the case of churches created by re-using pre-existing buildings (Figure 9). In this case we do not consider the century of construction, since all but one was consecrated before the end of the seventh century. Moreover, we do not analyze separately the churches with entrance towards East and those with entrance towards West because, as we have seen above, in this case these two distributions are not distinct. In this case the vast majority of the intervals presents a number of occurrences that do not deviate more than 3σ from the expected value in the case of isotropic distribution. However, 306 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome this happens at the intervals in which the azimuths are grouped between 90° and 105° (which average azimuth value is 96.5°), between 270° and 285° and between 315° and 330°.

4. Discussion and Conclusion

The presented data and the obtained results allow us to propose an interpretation of how the choice of the orientation of the churches in Rome evolved between the Edict of Milan and the end of the 13th century. First of all, it can be observed that the prescription about the orientation of the sacred building versus Solem orientem has always been substantially respected, even if it was applied in a non-homogeneous way over the centuries. Very few (8%) are the axis of the churches coherently oriented according to the meridian direction. These rare exceptions are largely reused buildings, often domus of the martyrs to whom the sacred place was dedicated: the opportunity to venerate the Saint in the place where he lived was considered primary compared to the directives of the canonical prescription. These results are in agreement with what emerged from the studies carried out in other European contexts. However, if in other European contexts (see introduction) the axis azimuths of the churches are concentrated around the geographical East, in the Roman context two populations can be distinguished: one is concentrated around the geographical East (90°), the other around the geographical West (270°). Indeed, still in the 13th century, had to exist a line of thought that believed that it was the entrance of the church, not the apse, that had to be oriented versus Solem orientem. This is demonstrated by the passage of St. Thomas mentioned in the introduction: if, in fact, the tradition of orienting the apse towards East had been a norm accepted by all, the Saint would have no reason to reiterate that “It is preferable that we adore with the face turned to the East”. The extremely large number of early Christian and medieval churches still preserved in the city of Rome, and therefore in a homogeneous territorial context, has also allowed us to carry out a diachronic analysis much deeper than it was possible in other studies. We can thus note how, in Rome, between the beginning of the 4th and the end of the 7th century, the norm concerning the orientation of the apse (or of the back wall) versus Solem orientem was not considered really binding. If, in fact, all the churches consecrated in this period are considered, either built ex novo, or using existing buildings, one observes that the number of those oriented with the apse towards East is lower with respect to the number of the others. The presence of this second population of churches, facing the apse towards the geographical West, is justified by the fact that the pagan cult in the Urbe was certainly more present and felt than in other parts of Isabella Leone - S. Gaudenzi - F. Meddi - V.F. Polcaro 307 the Empire, so that the early Christians still had a mentality strongly influenced by classical pagan culture. The religion ofSol Invictus, which considered the Sun to be a deity, was still practiced throughout the 4th century until the edict of Theodosius of 380 AD. An edict, however, does not really convert a believer: even later, the mentality often remained partially pagan and the cult of the Sun was not totally abandoned, but only Christianized, identifying Christ with the Sun and waiting for Him to “enter” into his church. “De talibus institutis etiam illa generatur impietas, ut sol in inchontione diurne lucis exsurgens a quibusdam insipietioribus de locis eminentioribus adoretur; quod nonnulli etiam Christiani adeo se religiose facere putant, ut priusquam ad B.Petri apostoli basilicam, quae uni Deo vivo et vero dedicata, perveniant. Superatis gradibus quibus ad suggestum areae superioris ascenditur, converso corpore ad nascentem se solem reflectant, et curvatis cervici bus, in honorem se splendidi orbis inclinent. Quod fieri partim ignorantiae vitio, partim paganitas spiritu, multum tabescimus et dolemus: quia etsi quidam forte Creatorem potius pulchri luminis quam ipsum lumen, quod est creatura, venerantus, abstinendum tamen est ab ipsa specie hujus officii, quam cum in nostris invenit, qui deorum cultum reliquit, nonne hanc secum partem opinionis vetustae tamquam probabile retentabit, quam Christian et impiis viderit esse comunem?” (Patrologia Latina, Vol. 54, Sermone 27,4). For this reason, the buildings were often built with the entrance, and not the apse, facing East. On the other hand, the same canonical precept, even if more refined, leads back to the same principle, because ideally the apse is a door and through decoration or through the opening of light it is from the apse that the Messiah-Sun enters in his church-city. Furthermore, it must be considered that, in Rome, the practice of reuse is very widespread: in fact, there are a large number of sacred buildings built in this period on pre-existing buildings, in the majority, as we have seen, randomly oriented. However, a prevalence of azimuths with values around 90° and 270° can be noticed, suggesting a preference for respecting the canonical norm. The significant excess, corresponding to a value of the azimuth between 315° and 330°, can be explained considering that the civil Roman habitation were oriented in this way, when it was possible, to be able to make the most of the refreshing effect of the breeze (the famous “ponentino”) during the summer. The more detailed analysis carried out on churches built from the 4th to the 7th century shows that, among the churches with the apse (or the back wall) generally oriented towards the solar arch, the dominant directions are those corresponding to the rising of the Sun at the summer solstice and, to a lesser extent, to that corresponding to the winter solstice: evidently a persistence of the classical tradition was superimposed to the canonical prescription, giving a 308 The orientation of the early Christian and medieval churches of Rome high significance to these specific days. Really the summer solstice was associated with the birth of John the Baptist and the winter solstice with that of Christ. Even among the churches with the entrance towards the solar setting arch, a certain preference (even if not very marked) for the solstice directions can be noted. The situation completely changes considering the churches builtex novo between the 8th and the 13th century: it is evident, in fact, not only a clear prevalence of the churches oriented with the apse towards the solar arch, but an intentionality aimed at orienting the axis in the direction of the geographical East. It is therefore clear that the canonical prescription, in this period, is understood in a more binding way. In addition, the number of consecrated churches by reusing pre-existing buildings collapsed, while the use of demolishing old buildings, to reuse their precious materials for new buildings, is becoming increasingly widespread. In fact, until the 8th century, the political referent of the Papacy remained essentially the Emperor of Byzantium: the Church and the Empire are considered two sides of the same coin, while the continuity between the imperial past of Rome and the Christian present of the City had an important role. During the 8th century, this relationship broke and the Papacy found new alliances, first with the Franks, then with other European powers. Century after century, the Papacy acquired its independence and an ever greater political power, while the continuity relationship with the Roman Empire lost importance. Successively, this relationship was recovered with completely different modalities and for a short period, thanks to the relationship between Sylvester II and the Holy Roman Empire. The internal rules of the Church therefore become more and more the only ones that must be respected, even in architecture.

Acknowledgments: We thank Dr. Jean Paul Hernandez S. J. for his valuable suggestions at the beginning of this research and for the revision of this text.

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From Earth to Heaven. The symbol of the scorpion and its astronomical association in Mesopotamia

Sara Pizzimenti1, Andrea Polcaro2 1 Università di Pisa, [email protected] 2Università degli Studi di Perugia, [email protected]

Abstract. Symbolic representations of the scorpion are attested in Mesopotamia since the Neolithic Period on several artifacts, such as pottery, cylinder seals and stele. From the 6th to the 1st millennium BC a constant connection of this symbol with the fertility and its related goddesses - such as Ishkhara and Ishtar -, all identified with Venus, is attested. Furthermore, in the first known religious cuneiform texts, e.g. the Poem of Gilgamesh, the scorpion presents celestial attributes as well as in the later astronomical compendia it is clearly associated with the actual Scorpio constellation. Thanks to the analysis of both iconographical and philological sources dated from the Neolithic to the Iron Age, this paper aims to analyse the persistence of the symbol of the scorpion and its meaning in the Mesopotamian culture and religion, identifying the particular char- acteristic inherited by the Classical Age.

1. Introduction1

Predatory arachnids of the order Scorpiones, the scorpions are very com- mon animals in the entire Near East, where nowadays it is possible to identify 27 species of Scorpion, with 75 (sub-)species (Gilbert 2002, p. 41), mostly of the Buthidae family (dangerous for humans), as well as some species of Scorpionidae (Pietka-Hinz 2009, pp. 576–577)2. A sort of classification of the Scorpion can be found at the end of the 14th tablet of the series ḪAR.RA = ḫubullu, where the scorpion is placed in the midst of the insects (particularly ants) and lizards (Landsberger 1934, pp. 28-29, 136-137; 1962, pp. 39-40; Pietka-Hinz 2009, p. 577):

1 Sara Pizzimenti wrote §2.2; Andrea Polcaro wrote §2.1; §1 and §3 have been written jointly. 2 For further data about the scorpion in the Near East see Farzanpay - Pretzmann 1974; Kinzelbach 1985; Schmidt 2000. 312 From Earth to Heaven

360 (me-ir)mir zuqaqīpu scorpion 361 ([pi-r]iga)gìr zuqaqīpu scorpion 362 (gi-ir)gír zuqaqīpu scorpion 363 gír-tab zuqaqīpu scorpion 364 gír-tab-kur-ra zuqaqīpu šadî mountain scorpion 365 gír-tab-babbar zuqaqīpu peṣû white scorpion

366 gír-tab-ge6 zuqaqīpu ṣalmu black scorpion

367 gír-tab-sa5 zuqaqīpu sāmu red scorpion 368 gír-tab-gùn-gùn-nu zuqaqīpu burrumu multicolored scorpion

369 gír-tab-sig7-sig7 zuqaqīpu arqu yellow scorpion 370 gír-tab-ri-ri-ga zuqaqīpu muttaprišu flying scorpion 371 um-me-da-gír-tab tārītu zuqaqīpi keeper of the scorpions ummi zuqaqīpi mother of the scorpions3

Nonetheless, this distinction in different species seems to be completely ab- sent in ancient Mesopotamian art. Although stylistic variation occurs, in fact, the scorpion is always depicted from above, with an emphasis on the pincer and the tail, which are its important visual identifiers. The Sumerian word for scorpion, in fact, seems to be linked to the dangerous and poisonous characteristic of its tail. The Sumerian name for scorpion is ĝír, or ĝìr - since the Old Babylonian period ĝír-tab - whose meaning is “dagger (and) spike” (Krebernik 1984, p. 44.), “double edged sword”, or “burning sword”, while the Akkadian name is zuqaqīpu4. The scorpion is one of the most represented animals in Mesopotamian art, as one of the so-called filling motives. It makes one of its first apparition on the 6th millennium BC Samarra pottery5, and in several fragments of Ubaid pottery found at Eridu (Herzfeld 1930, figs 2, 5, 31, pls I: 2, 3, III, IV, V: 4, 5).

2. The Scorpion as a Symbol and its meanings

As pointed out by Michael Herles (2006, p. 9), symbol is an emblem, an interaction between two halves unbound but intrinsically connected. The sym- bols are the visualization of a meaning, whose essence has been allegorically raised to a higher level (Pizzimenti 2017, p. 3)6. Furthermore, they are intrin- sically related to the social life, having played a significant role in modelling

3 Galter (2007, p. 654). 4 For an analysis of the Mesopotamian terminology for “scorpion” see Pietka-Hinz (2009, p. 577). 5 See for example the Samarran pottery with radiating designs combining long-haired women and scorpions (Oates / Oates 1976, p. 148). 6 For an analysis of the significances and differences between symbols, signs, emblems and attributes see Herles (82006, p. 9 ss.) and Pizzimenti (2017, pp. 3-7). Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 313 the experience of the humankind (Womack 2005, p. 15). They are a particular way to communicate, being multivocal, polisemantic, and multivalue. Thanks to the use of the images, the symbols evoke an emotion response through a multileveled communication, aiming to “make visible” what cannot be reached with the ordinary perception. According to Victor Turner in fact the symbol is “something that connects the unknown with the known” (Turner 1967, p. 48). Being the scorpion a visual element that can be considered a filling motif and a symbol, it presents the polisemantic value typical of the symbolic elements. Analyzing in fact its presence on the Mesopotamian art two main value can be identified, depending on the position assumed by the scorpion in the scene.

2.1 The Scorpion as Symbol of Fertility

In the Near East, the first appearance of the scorpion in figurative art is tes- tified at Göbekli Tepe, a large site dated between the end of the Paleolithic and the beginning of the Pre-Pottery Neolithic periods, around 10000 BC. The site is characterized by the presence of a huge monumental sacred architectonical complex, based on circular megalithic stone structures with two T-shaped fron- tal standing flat stones pillars located in the center. These pillars are often carved with human features like arms and belts. Both the centre standing stones pillars and the others included in the circular walls are decorated with carved figures of animals and symbols, sometimes possibly related to narrative meanings con- nected to the religious thinking of the time7. One of the best representations of a scorpion is on Pillar 43 (Figure 1), together with birds, quadrupeds, snakes, a headless man with a clear erected penis and others geometrical symbols8. The ithyphallic headless man suggests religious values connected to death and life, fertility and rebirth and similar aspects of this religious sphere. The connection with the several animals depicted on the same pillar is almost speculative, but the scorpion figure is clearly in a main position of the scene, perhaps indicating the link between this animal and fertility in the religious ideology of the first Neolithic communities. Moreover, the scorpion on Pillar 43 of Göbekli Tepe has been tentatively interpreted as the Scorpion constellation9. This could testify the first attestation in the Near East of the double value of the symbol, chthonic on one side and astral on the other, even if this hypothesis is still matter of strong debate in the scientific community10.

7 Schmidt (2007). 8 Schmidt (2007, fig. 109). 9 Sweatman and Tsikritsis (2017). 10 See on this topic: Notroff et al. (2017); Burley (2017). 314 From Earth to Heaven

Fig. 1. Pillar 43 of Göbekli Tepe (Schmidt 2007, fig. 109).

Fig. 2. Examples of Samarra painted pottery with scorpion designs (Invernizzi 2007, fig. 92). In Mesopotamia, during the following Pottery Neolithic Period, the scorpi- on can be identified on the pottery from Samarra11, in association with female figures, apparently naked, frontally represented, the arms raised and the long hair lifted by the wind or the movement12. Here, for the first time, the feminine

11 The Hasuna and Samarra cultures (7th Millennium BC) are Mesopotamian societies of the Pottery Neolithic Period, characterized by peculiar painted pottery typologies. The Samarra culture, discovered first by the German excavation in the site Samarra in central Iraq at the beginning of the 19th Century and then widely documented in the Level 3-5 of Tell Es-Sawwan, is characterized also by the tripartite house plan (Oates 2012, pp. 471-476). 12 This association between the scorpion and the feminine is thus a link that will continue in the following period until the last association between the scorpion and the goddess Ishkhara, the Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 315 and the scorpion are together (Figure 2), suggesting that one of the main values of the scorpion, that will accompany it during millennia, is the fertility and the sexuality. This strong link between scorpion and fertility could be explained by an empiric observation of the animal’s life: both by its complex courtship and mating ritual for sexual reproduction and by the number of scorplings born after, that can range from a number of two to over a hundred13.

Fig. 3. Seal impression from Uruk, Eanna sacred area, Late Uruk Period (Rova 1994, tav. 43: 739). In the following Late Uruk period the presence of the scorpion increases. It is represented together with no more frontal or naked female characters but kneel down and with the arms raised towards the tail (Collon 1987, pp. 17, no. 14, 20 n. 627). At the same time animal theories start to be depicted, with the scorpion alone or together with spiders, usually on cylinder seals that are important tools for the administration of the first cities of Mesopotamia. Very interesting is one seal impression with a scorpion in the upper part of the scene on the right corner (Figure 3). In this seal the scene is clearly related to a sacred ritual: outside a temple on the left, several naked male figures with evident sexual attributes hold snakes in the typical “master of animals” gesture. Althou- gh it is very difficult to reconstruct the ritual depicted on this seal, due to the lack of contemporary texts, it seems very probable that fertility was once again the main topic of the narrative. In fact, the snake is an animal always linked to the fertility in the Near Eastern cultures no matter by the historical periods and the changes in the religious thinking14. However, it is important to notice female goddess related to the fertility. 13 However, the average litter consists of around eight scorplings. 14 It is the serpent who still the plant of life in the Myth of Gilgamesh (see about the snakes in the Mesopotamian religion: Black-Green 1992, 166-168; for the serpent as a healer: McDonald 1994, Polcaro in press). 316 From Earth to Heaven the position of the scorpion in the upper part of the scene, because usually in the Near Eastern art, the “up” of the narrative scene is considered the heavenly vault, the place of gods and stars15. This consideration allows the interpretation of the scorpion as a symbol of an astral value, corresponding to the Scorpio con- stellation. This means that this could be one of the first representations of the scorpion as the correspondent constellation mulGÍR.TAB/zuqaqīpu16. In the Early Dynastic Period, the scorpion is commonly present on the cylinder seals, in particular in the “theories of animals” scenes. In some exam- ples (Figure 4a-b), the scorpion appears together with vegetal elements, such as the rosette17, the spike, and with farm animals, related in some way to the importance of fertility18. The chthonic aspect of the scorpion, related also to the human fertility and sexuality, is clearly stressed in other seals, where usually it is represented aside of a sexual intercourse between two figures (Figure 4d), or under the bed where the couple lies (Figure 4c).

Fig. 4. Examples of Early Dynastic seal impressions with scorpions, in particular: c) form Frankfort (1955, pl. 53, no. 559); d) from Invernizzi (2007, fig. 481).

15 See on this topic Pizzimenti (2017). 16 This is the Sumerian name of theScorpio Constellation in one of the older known Mesopotamian astronomical compendia, the MUL-APIN (see Hunger and Pingree 1989; Schaefer 2007). For the astral value of the scorpion see §2.2. 17 The rosette is the symbol related to the fertility goddess Inanna, Lady of the city of Uruk (see Black-Green 1992, pp. 156-157), very common in the Near Eastern art and in the female royal jewelry, as it is attested since the early Dynastic Period from the Royal Cemetery of Ur (see Wolley 1934). 18 From the Early Dynastic Period, the scorpion is clearly linked to the fertility goddess Ishkara (Frankfort 1955, p. 16). Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 317

Despite of the growth of the astral value of the symbol of the scorpion in the following periods (see the next paragraph), the chthonic aspect of the animal linked to the fertility of the ground and of the women continues to be very important in the Near Eastern art and religion. This is shown in parti- cular in the Neo Sumerian Period, when the scorpion appears in the scenes depicted on the cylinder seals in relation with female deities, such as Ishka- ra, Ishtar or Nanshe19, in presentation scenes in front of deified kings20, or connected with other symbols of reborn and fertility, like the sacred plant of life21. The same trend can be noticed in the Old Babylonian seals, where the scorpion is mostly represented together with the nude frontal female figure of Ishtar as goddess of love and sexuality22. 2.2 The Scorpion as an Astral Symbol First representations of the scorpion as an astral symbol date back to the Late Uruk period (end of the 4th millennium BC), in the upper part of cylinder seals23. A Scorpion constellation (mulGÍR.TAB/zuqaqīpu) is present in the MUL. APIN (Hunger/Pingree 1989, p. 138), the first astronomical compendium24, corresponding to the actual constellation of Scorpio with part of the Libra and Ophiuchus constellations (Weidner 1957-58; Koch 1995-96, pp. 158-162; Galter 2007, p. 656; CAD Z: 165). Two main exemplifying cases of the Mesopotamian art will be discussed, where the astral value of the scorpion is clear and of some importance.

2.2.1 The Scorpion in the Akkadian Plough Scenes The ploughing scene appears on nine Akkadian cylinder seals (Boehmer 1965, p. 191, no.cat. 1678-1684a), six of which come from the antiquarian mar- ket, while the remaining three have been recovered in the site of Susa (Figure 5c) and Tell Asmar (Boehmer 1965, pl. LX: 713-714). In five of those seals (Fi- gures 5 and 6), the ploughing scene is topped by symbols, among which the scorpion. The analysis of the ploughing scene on the Akkadian seals allows the identification of two types:

19 See for example Collon (1982, pls. XLI: 334, XLV: 384, XLVI: 400). 20 See for example Collon (1982, pl. LI: 454). 21 See for example Collon (1982, pl. XLII: 353). 22 See for example Collon (1986, pl. XXII: 276). 23 Because the Mesopotamians always started from a ‘direct view’ in their representation, the upper part of the seal can be considered the visual correspondent of the ‘up’ par excellence: the heavenly vault. 24 The main core of the MUL.APIN seems to belong to the end of the 3rd millennium BC, about 2048 BC as suggested by Weidner (1915) and Tuman (1992), though B.E. Shaefer (2007) now suggests that the epoch for the observation is 1370 +/- 100 BC. 318 From Earth to Heaven

Type 1 - Ploughing scene with human characters (Figure 5). This scene can be identified on three seals, and it is characterized by the ploughing activity. On the seal BN 7 (Figure 5b) two male figures control the plough, dragged by two oxen, while two other figures control the previous ones. All the human beings are facing right and wear a short skirt. Two stars, a crescent and a scorpion are represented in the upper part of the seal. In addition, on NBC 5990 (Figu- re 5a) three naked male characters, all facing right, are involved in ploughing activities: two of them control the plough, while the third one commands the oxen which drags it. In the upper part, three birds fly above the animal, while a crescent and a scorpion are on the left. Finally, the seal S.405 (Louvre mu- seum) from Susa (Figure 5c) has a simplified plough scene: only one ox, facing right, and a male character, facing right, standing behind it. Although there is no plough, the position of the arms of the male character allow us to assume that he is using a tool, probably a plough. Two trees frame the scene, while a scorpion is in the upper part of the seal, immediately above the back of the ox.

Fig. 5. The scorpion in ploughing scenes with human characters (a) Boehmer (1965, pl. LX: 712); b) Boehmer (1965, pl. LX: 711); c) Delaporte (1920, pl. 30: 1[S.405]). Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 319

Fig. 6. The scorpion in ploughing scenes with deities and semi-deities (a) Boehmer (1965, pl. LX: 714); b) Boehmer (1965, pl. LX: 715a).

Type 2 - Ploughing scene with deities and semi-deities controlling the plough (Figure 6). This type of scene is represented on two seals. In Diyala 654, from Tell Asmar (Figure 6a), there are two bearded deities, both facing right, dres- sed in flounced robe, with a single-horn tiara. The first deity on the left con- trols the plough - dragged by a ox - while a second one, whose right arm ends as a scorpion, helps him. Being the “scorpion-arm” raised, the scorpion also appears to be in the sky - the upper part of the scene -, where a crescent and a eight-pointed star took place. A seal from the Erlenmeyer Collection (Figure 6b) is the most complex ploughing scene on Akkadian glyptic. Two deities - male and female - are involved in a ploughing activity. While the male deity is controlling the plough, the female one is helping him, with the action of seeding, as well as controlling the animal that is dragging the plough: the lion. While no sure hypothesis can be done regarding the male deity25, the female one can be identified with Ishtar, as indicated by the long loose hair as well as by the rays coming out from her shoulders26. Furthermore, the lion is symbol

25 It is possible to suppose that the male deity could be Anu, considered the partner of Ishtar during the Akkadian period (Nigro 1997, p. 360). 26 The representation of Ishtar involved in ploughing activity is directly related to the Akkadian program of identifying the Sumerian Inanna with the Akkadian Ishtar. The Akkadian iconography of Ishtar, in fact, is the figurative expression of the syncretism with Inanna, in which Ishtar, usually depicted as a warrior goddess, shares features and activities of the Sumerian Inanna (Nigro 1997, 320 From Earth to Heaven and attribute of Ishtar27. A bull, on whose back a lightening is represented, symbol of the storm-god28, is above the lion, together wit a flying bird. A male attendant, involved in a libation, is in front of the divine couple, while a female attendant, smaller in size, is depicted above the plough. A scorpion is depicted in the upper part of the seal, behind the male god. All the ploughing scenes of the Akkadian glyptic have some elements in common. With the exception of S.405 (Figure 6c), where the scene can be con- sidered an ‘abbreviated’ one, there are always at least two people involved: the first one controlling the plough and the second controlling the animals. When the seeding-plough is represented, the figure controlling the animals also controls the seeding-part of the plough. Therefore, the ploughing activity is always represented in a realistic way. Another element is the presence of astral symbols in the upper part of the scene, where stars and crescent are qui- te constantly depicted, and the scorpion is always represented. While the stars or the crescent, because of their features, as well as because of their placement in the upper part of the scene29, can be immediately considered as represen- tation of astral bodies30, the scorpion is, on the other hand, the representation of an animal. However, the scorpion itself can have an astral value, as a visual representation of the Scorpion constellation (mulGÍR.TAB/zuqaqīpu), here rein- forced by its constant position in the upper part of the scene: the sky. pp. 357-361). At this regard, the seal BM129479 (British Museum) carries in its decoration both the deities (Collon 1982, pl. XXXI: 213). 27 Inanna, Sumerian correspondent of Ishtar, is called “lion of heaven”: “Inanna, the great storm, the lion of heaven” (Heimpel 1968, pp. 315, 36:55); “Inanna , the lion of heaven, shining, your power are exalted” (Heimpel 1968, pp. 315-316, 36:56). 28 For an analysis of the symbol of the lightning see van Buren (1945, p. 67) and Pizzimenti (2017, pp. 13-14). 29 Symbols with a clear astronomical value, such as the star and the crescent, occupy a quite constant position in the upper part of the scene, which should correspond to the sky, the real place the correspondent heavenly bodies occupy in the real world, considering that the Mesopotamians always started, in their artistic representation, from a “direct view” (Pizzimenti 2014, pp. 152-153). 30 The crescent can be considered the Moon, as well as the astral correspondent of the god Nanna/ Sin. It appears in Mesopotamian visual imagery from the prehistoric times onward (Black - Green 1992, 54). Its first appearance on glyptic can be found in seals from Fara: see for example the seals VA 8605 (Heinrich 1931: pl. 58:c) and VA 8725 (Heinrich 1931, pl. 47:b). For an analysis of the symbol of the crescent see van Buren (1945: 60-64; Seidl 1989, pp. 97-98; Collon 1992, pp. 19-37; Black - Green 1992, p. 54; Stop 1992, pp. 245-247; Pizzimenti 2013, pp. 267-268; 2017, pp. 9-10). The eight-pointed star is the planet Venus, the astral correspondent of the goddess Inanna/Ishtar, a correspondence dating back at least to the 3rd millennium BC (Brown 2000, p. 55). In the cylinder A of Gudea, in fact, is written “the (star-)disk, symbol of Ininna, he set up” (Thureau Dangin 1907, pp. 104 ss.), while clear textual evidence of the connection between Inanna/Ishtar and the planet Venus (ddili- bat) dates back to the Ur III period (Brown 2000, p. 67), when she is called “Lady of the Morning” and “Lady of the Evening” (Kramer and Wolkstein 1983, p. 103). One of the main characteristics of Venus is its cyclic nature in being periodically the first star visible in the nocturnal sky or the last visible star in the morning. For an analysis of the cycle of Venus see Pizzimenti (2014). Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 321

On the other hand, considering agriculture and all related activities, such as the ploughing, it is possible to notice that they depend on the seasons: the year began in late summer, when the field which has lain fallow the previous year31 needed to be prepared by breaking up the soil and irrigating it to soften the ground; then follows the sowing (Postgate 1992, pp. 167 ss.). The stars and the orientation to them is thus one of the ways used to regulate the agricul- tural activities, as testified by the so-called “Farmer’s Instruction”, a didactic text about the grain cultivations: 1 38 u4 mul an-na šu im-ma-ab-du7-a -ta 39 10-àm1 á gud a-šà zi-zi-i-da-šè2 igi-zu3 nam-ba-e-gíd-i3 Once the sky constellations are right, do not be reluctant to take the oxen force to the field many times32. Comparing the ploughing scenes and this short instruction regarding the ploughing activities, it is possible to assume a connection between the mulGÍR. TAB/zuqaqīpu constellation and the “right constellation time”. However, in order to better understand this connection, it is necessary to individuate the time during which the mulGÍR.TAB/zuqaqīpu constellation was visible at the Mesopotamia latitude during the Akkadian period and its relationship with the agricultural cycle. In the mid-3rd millennium BC, the so-called “Early Semitic Calendar”, at- tested in Northern and Central Mesopotamia, has several names of the months related to agricultural activities. The Equinoxes were extremely important33. The spring equinox, in fact, identified the beginning of the spring season, and so the beginning of the year, while the autumn equinox indicated the end of the summer and the beginning of the raining season. Because of the so-called precession of the equinoxes, during centuries the precise date of the equinox- es changed. During the Akkadian period the Spring equinox, according to the Julian calendar, occurred on the 9th April, while the Autumn equinox on the 12th October. With a reconstruction of the sky of central Mesopotamia from

31 A system of alternate-year fallowing of winter crops is attested at least since the Early Dynastic period in Southern Mesopotamia (Yamamoto 1980; Jacobsen 1982, p. 72). However, Maekawa argued that this practice can be attested at Girsu during the Shulgi and Amar-Suen periods (Maekawa 1984, p. 74). 32 Civil (1994, pp. 1-5, 30-31). 33 The calendars used in Mesopotamia were a combination of lunar and solar calendar, where the Moon achieved dominance over the Sun as a determiner of the year. The months were based on the lunar cycle, with a length that could vary between 29 and 30 days, composing a year of around 354 days. The solar part of the calendar can, on the other hand, be perceived in the religious festivals, during which seasonal phenomenon were celebrated. Finally, in addition to the lunar cycle and the seasonal cycle the equinoxes cycles have to be added, together with the concept of two six months periods defined by the equinoxes. The rainy season started around September, with sporadic flooding of the Tigris and Euphrates river from November, and main flooding during April and May. 322 From Earth to Heaven ca. 2350 to 2200 BC, it is possible to notice the heliacal setting of the mulGÍR. TAB/zuqaqīpu constellation in the middle of the month of September. More precisely in 2250 BC, the heliacal setting34 of the brightest star of the constel- lation, Antares (α Scorpii), occurred on the 1st of September. The heliacal rising of the constellation occurred at the end of October/beginning of November. More precisely, in 2250 BC the heliacal rising35 of Antares (α Scorpii), hap- pened on the 28th of October, just 16 days after the equinox, indicating the end of the summer and the consequent beginning of the raining season. In the 3rd millennium BC the agricultural cycle in Mesopotamia was com- posed by four main phases: 1) acquisition and retooling of the equipment; 2) preparation of the fields in advance for the seeding; 3) seeding; 4) harvest. Looking at the agricultural activities related to the name of the months, it is possible to notice that the 4th month - corresponding to July -, named itišu-nu- num, which means “seed-sowing” (Cohen 1993, p. 96), was the time to start preparing the fields for seeding, and the plow was used in this process. On the th iti giš other hand, the 8 month - October - was named apin-du8-a, “the month the seed-plow is let go”, indicating the end of ploughing and seeding activ- ities before the beginning of the raining season. The Sumerian composition “Disputation between the Plow and the Hoe” gives new hints about the plow- ing activities, proving in a certain way this range of time. In this disputation between hoe and plow, the hoe reproaches to the plow: “My full term is 12 months. Your period of service is but 4 months. The time you’re hidden away is 8 months” (Vanstiphout 1984, vv.104-108). This line seems thus to reflect ag- ricultural practices in which the plow is used 4 months - probably from the 4th to the 7th - with the 8th month during which the plow was hung from a beam and stored away until next year36. One of the most important moments in the observation of the stars is their first apparition in the sky, the heliacal rising, just before the sunrise, after a period of darkness. mulGÍR.TAB/zuqaqīpu was not visible at end the summer season, and its heliacal rising occurred just after the autumn equinox, at the beginning of the raining season, marking the end of the ploughing activities. In a certain way, it is possible to suppose a strong relationship between the Scorpion constellation and the agricultural activities. The preparation of the fields, that is the first part of the ploughing activity, started on the 4th month (July) during which the Scorpion constellation was yet well visible in the

34 The heliacal setting is the last visible setting of a star in the evening twilight; the star will be no more visible during the until the heliacal rising. 35 The heliacal rising of a star is the moment of its first visibility above the eastern horizon just before the sunrise. 36 “Once you have taken down your sacred plow, which was hanging from a beam, your master carpenter must tighten (its) bonds (The Song of the Plowing Ox [Civil 1976, vv. 124-125]). Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 323 sky. However, its heliacal setting on the 7th month (September) should let the farmers aware that the raining season was approaching and that it was nec- essary to hurry up. The heliacal rising ofAntares (α Scorpii; corresponding to Lisi-star37) on the 8th month, announcing the beginning of the raining season, should be the last possible time for the farmers to perform the ploughing of the fields. In the MUL.APIN II iii 35-37 it is in fact written: d DIŠ u4-um Li9-si4 IGI.LÁ 3 u4-me mu-ši-ta LÚ NIGIN É-šú

NAM.LÚ.U18.LU GU4 UDU.NITÁ ANŠE li-de-ek-ki d NU ina-al u ana Li9-si4 lik-ru-ub KI NIGÍN É-šú uš-tak-lal “On the day the Lisi-star becomes visible, a man should wake up at night all that is around his house, people, cattle, sheep, donkeys, and he must not sleep; he should pray to the Lisi-god, then he and all that is around his house will experience success”. It is thus possible to assume that the representation of the symbol of the scorpion in the ploughing scenes on Akkadian glyptic is the representation of the Mesopotamian Scorpion constellation at its heliacal setting, when, after having crossed the entire nocturnal sky during its visible period, it has ac- complished its mission to fertilize the fields before completely disappearing below the horizon.

2.2.2 The Scorpion in the Late Bronze Age Mesopotamian glyptic In Late Bronze Age Mesopotamian glyptic, the scorpion is represented only on 61 Mitannian seals, while it is completely absent on the Kassite and Middle-Assyrian seals (Pizzimenti 2017, p. 21). Frequently represented along with other animals, such as the caprid38 and the bull39, or composite beings, such as the griffin40, noteworthy is its association with astral symbols, par- ticularly with stars (Stein 1993, p. 169, no. 117; 171, no. 120; 339, no. 389 and 459, no. 592; 2001, p. 322, no. 78 and 345, no. 160). When represented together (Figure 7a), the scorpion and the star are always in the upper part of the scene and seems to have not only a divinatory value, but also a value linked to the economy and to the sustenance of the territory. The reconstruction of the sky of the 1600 BC in northern Mesopotamia (with the program Solex v.10) showed in fact a possible link of this pattern with the conjunction of Venus and the Scorpio constellation (Figure 7b), conjunction that occurred in these years between the months of September and October: the

37 The identification of Antares with the Lisi-star can be found in the MUL.APIN I ii30: “The breast of the scorpion: Lisi, Nabû (Hunger and Pingree 1989, p. 38). 38 See for example Stein (1993, p. 191 no.120 and 176-177, no. 131). 39 See for example Stein (1993, pp. 371-372, no. 432 and 509, no. 677). 40 See for example Stein (1993, p. 122, no. 40 and 222-223, no. 193). 324 From Earth to Heaven

Fig. 7. Correspondence between the star-scorpion pattern (a) Stein (1993, p. 171, no. 120) and the conjunction between Venus and Scorpio constellation (b), reconstruction of the sky: September-October 1600 BC (Solex v.10.0). beginning of the rainy season, vital for an economy based on agriculture and breeding. Moreover, to give a stronger value to this connection the later neo-as- sirian omen RMA 112 says: “.If Venus comes close to Scorpio: winds which are not good will blow towards the land; Adad will give his rain, and Ea his springs, to the Gutian land” (Hunger 1992, no. 55).

3. Conclusions

The analysis of the Near Eastern art and literature has shown the great im- portance of the scorpion in the Mesopotamian cultures. Its wide presence seems clearly connected with two main values of the animal and the related symbol: chthonic and astral. The former seems to be older, at least in Mesopotamia, being linked to the religious spheres of death and life, reborn and fertility, while the latter is related to the Scorpio constellation, its presence in the sky and the relative divinatory meanings. These two aspects of the scorpion overlap over Sara Pizzimenti - Andrea Polcaro 325 time, perhaps since the beginning of the Neolithic Period, but the first secure attestations of both the values come from the proto-urban and urban societies, between the 4th and the 3rd Millennium BC. From the Akkadian Period onwards, at the end of the 3rd Millennium BC, with the rising of the importance of the astral deities in the Mesopotamian pantheon, the astral aspect of the scorpion seems to prevail in the Near Eastern art, where its connection with the divi- nation activities reaches its maximum presence during the 1st Millennium BC. This double value of the scorpion is exemplified by the most famous Mesopo- tamian literature text, the Myth of Gilgamesh (Pettinato 1992, pp. 196-198). In the myth, the long and hard journey of the Sumerian hero is motivated by the research of the immortality, a characteristic of the gods, precluded to mankind. After the death of his friend Enkidu, Gilgamesh starts to fight and talk with heroes and any sort of divine being, crossing the earth and the sky to achieve the eternal life. It is a place between earth and sky, that the hero encounters the scorpion-men, guards of the Mashu Mountains, at the doors of the house of the gods, protecting the Sun in its rising an setting (Tav. IX, vv.37-129).

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Francesco Porcelli Department of Applied Science and Engineering Polytechnic University of Turin, Italy

Abstract. Since Howard Carter’s discovery in 19251, the meteoritic origin of the iron dagger blade from the sarcophagus of the ancient Egyptian King Tutankhamun (14th Century BC), part of the King’s funerary collection now at the Egyptian Museum of Cairo, has been the subject of debate. In this presentation, we report on the work carried out by the author in collaboration with Comelli et al. (2016). It is shown that the composition of Tutankhamun’s iron dagger blade (Fe plus 10.8 wt% Ni and 0.58 wt% Co), accurately determined through portable x-ray fluorescence spectrometry, strongly supports its meteoritic origin. This study confirms that ancient Egyptians attributed great value to precious objects made by meteoritic iron. However, it is as yet unclear if such dagger blade made of meteoritic iron was manufactured in Egypt or imported from Anatolia.

1. Iron in Ancient Egypt: Metal from the Sky?

There is little doubt that ancient Egyptians knew iron in its metallic form at least as far back as five millennia ago. And yet, iron metallurgy, i.e., the technol- ogy of separating metals from their ores and preparing them for use by smelt- ing, refining etc., developed in Egypt only around 1000 BC, i.e., at least three centuries after Tutankhamun’s death. Did Ancient Egyptian at the time of the Boy-King Tutankhamun (XIV Dynasty, approx 1341 BC) imported iron artifacts from their neighboring countries? After all, the Iron Age in the Ancient Near East is believed to have begun with the discovery of iron smelting and smiting

1 Carter and Mace (1923-1927-1933). 330 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger techniques in Anatolia or the Caucasus and Balkans just around that right time in the late 2nd millennium BC (c. 1300 BC; Waldbaum 1978). The earliest-known iron artifacts from Ancient Egypt, shaped by care- fully hammering, are nine small beads dating 3200 BC, one of which is shown in Figure 1. These beads were found in burials at Gerzeh, in Lower Egypt about 70 km South of Modern Cairo (Stevenson 2009). Their meteoritic origin was established by Rehren et al. (2013) and by Johnson et al. (2013). Meteoritic iron, a characteristic iron–nickel alloy, was used by various ancient peoples thou- sands of years before the Iron Age. Such iron, being in its native metallic state, required no smelting of ores. Other example of iron objects belonging to periods prior to Tutankhamun’s reign that have been found in Egypt include: - iron tools from the Great Pyramid at Gizah (IV Dynasty, 2900 BC); - fragments of iron picks from the Black Pyramid at Abusir (V Dynasty, 2700 BC); - mass of iron rust from Abydos (VI Dynasty, 2500 BC); - iron spear head from Nubia (XIII Dynasty, 1750 BC); - iron sickle from beneath a sphinx of Horemheb near Karnak (XIII Dynasty, 1450 BC).

Fig. 1. Prehistoric iron bead excavated at the Gerzeh cemetery made from meteorite iron, The Manchester Museum. Francesco Porcelli 331

Nineteen iron objects were discovered in the tomb of Tutankhamun. Among these, a set of blades, which appear very similar to those used in the opening of the mouth ceremony. Other iron objects were wrapped with Tutankhamun’s mummy (Figure 2), which confirms that iron was considered as very precious and appropriate for a king at the time of Tutankhamun’s death in approx. 1327 BC. Particularly noteworthy among these iron artifacts are a miniature headrest contained inside the golden death mask and an amulet attached to a golden bracelet, both of which manufactured by relatively crude methods (Johnson 2015). But then, of course, is the famous iron dagger blade with gold haft, shown in Figure 3. The iron blade appears magnificent and is clearly expertly produced, although it also appears to have been attached to the golden handle in a rather imperfect way. Could it be that the dagger was imported to Egypt, perhaps as a royal gift from a neighboring territory?

Fig. 2. Black and white picture of Tutankhamun mummy showing the iron dagger (34.2 cm long) placed on the right thigh (arrowed). Copyright: Griffith Institute, University of Oxford. 332 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger

We now know, with a very high degree of confidence, that Tutankhamun’s iron dagger blade was made of meteoritic iron. It appears that ancient Egyptians were well aware of iron falling from the sky. Quoting from George Frederik Zimmer, The Antiquity of Iron (1915): “The most ancient name for iron was ‘Met- al from Heaven’. In the hieroglyphic language, it was pronounced BA-EN-PET, meaning either stone or metal from Heaven. A basic Egyptian idea, expressed in ancient Egyptian texts, was that the firmament of Heaven was made of iron. This belief probably arose from iron’s blue color and from the occasional fall of meteoritic iron from the sky”. But the importance of iron in ancient Egypt was not only limited to references in religious texts. Referring again to Zimmer (1915), one of the Pharaoh’s of the I Dynasty was known by the name MER- BA-PEN, literally, Lover of this iron. A Pharaoh would not bear that name if the Egyptians of the I Dynasty had not known iron.

Fig. 3. Tutankhamun’s iron dagger blade and sheath. Cairo Egyptian Museum.

This article tells the story of how conclusive evidence was reached on the meteoritic origin of Tutankhamun’s dagger blade. It took a multidisciplinary team including physicists, astronomers, Egyptologists and meteorite experts, as well as some degree of good luck, to reach that conclusion. And yet, a question remains open: could the meteorite which made up Tut’s dagger blade have fallen and expertly manufactured in Anatolia, before being offered as a royal gift the Boy-King? We shall begin our story from an antefact: the discovery of Gebel Kamil meteorite crater in Egypt in 2010. Francesco Porcelli 333

2. The antefact: the discovery of Gebel Kamil meteorite impact crater

Meteors, or, as they are known in every-day language, shooting stars, are caused by debris and small interplanetary rocks from space that cross the Earth atmosphere. According to estimates, between 35 and 80 thousand tons of space debris enter the atmosphere every year. Technically speaking, meteors and mete- orites are different things. Ameteor is the flash of light caused by the debris, not the debris itself. The debris is called ameteoroid . Most meteoroids that enter the Earth’s atmosphere are so small that they vaporize completely and never reach the planet’s surface. If any part of a meteoroid survives the fall through the at- mosphere and lands on Earth, then it becomes a meteorite. The fact is that very few falling meteoroids ever become meteorites. The dust and rocks from space rarely reach the ground. Earth’s atmosphere does a good job of protecting us from this incoming debris. If the size of the meteorite as it approaches the surface of the Earth is sufficiently large (let’s say, at least a few meters in diameter), a meteorite impact crater is likely to form. Clearly, through the eons, thousands, if not millions, of impact craters must have formed on planet Earth. Yet, as the Earth is geologically and botanically active, these impact craters tend to become invisible over time. As surprising as it might be, there are only 190 known me- teorite craters on Earth to date2, and only one of them has been found in Egypt: this is the one known as the Gebel Kamil impact crater, discovered in 2010 by an Italian-Egyptian scientific team in the Egyptian desert near the border with Sudan (Folco et al. 2010). The way this discovery was made is a fascinating story to tell. At the time, I was serving as Scientific Attaché at the Embassy of Italy in Cairo. In early 2009, Mario Di Martino, an Astronomer from the Osservatorio Astronom- ico di Torino, contacted my office to inform me that a suspicious impact crater was noted by Vincenzo De Michele, former curator of the Civico Museo di Storia Naturale in Milan, by inspection of Google Earth satellite images (Figure 4). An expedition to the suspected crater location was necessary in order to ascertain the crater’s meteoritic origin. Since the crater’s location was in very deep desert and in a sensitive area from the military point of view, it was immediately clear that such an expedition would be possible only with the full support of the Egyptian author- ities and within the framework of a joint Egyptian-Italian scientific project. It was perhaps a piece of luck that 2009 was officially nominated asThe Egyptian-Italian Year of Science and that therefore scientific and technologically cooperation be- tween the two countries was at its peak. A bilateral Agreement could therefore be negotiated and was signed on 31 July 2009 by Mario Di Martino (on behalf of the National Institute for Astrophysics, INAF) and by Tarek Hussein, at that time President of the Egyptian Academy for Science and Technology (Figure 5).

2 Earth Impact Database, http://www.passc.net/EarthImpactDatabase/index.html 334 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger

Fig. 4. Gebel Kamil meteorite impact crater as first observed by Vincenzo De Michele on Google Earth.

Fig. 5. Cover and signed page of the bilateral Egyptian-Italian Agreement that allowed setting up a joint expedition to the Gebel Kamil crater impact site. Francesco Porcelli 335

Fig. 6. Images from the Gebel Kamil impact craters, with meteorite fragment resting on Paleolithic paths (bottom left). Photos courtesy of Mario Di Martino.

Fig. 7. Gebel Kamil impact crater visited by the author in 2012. 336 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger

The expedition members, theKamillers , actually reached the site in Spring 2010. The results of this expedition were published in Science on 22 July 2010 (Folco et al. 2010). Figures 6 and 7 show images from the first expedition and from a later visit to the impact crater in 2012. What is especially interesting about Gebel Kamil impact crater is that it is very young on geological times. It has been estimated to have been formed between 1600 and 400 BC. The event occurred a few hundred kilometers from the Nile Valley, but most likely it was such a dramatic event to be quite visible by the Ancient Egyptians from places like Aswan. On the other hand, the ancient Egyptians do not seem to have ever reached the impact site. Indeed, the scene that was presented to the Kamillers is that of a place never visited by human beings since the crater formation. Me- teorite fragments, estimated at around 2000 kg (nearly half of which collected by the Kamillers and brought to the Geological Museum in Cairo) were every- where to be seen. Many of these fragments rested on Paleolithic paths (bottom left in Figure 6), which suggested at once the relatively young age of the crater (the actual dating was made after a careful study of the meteorite ejecta and other technical considerations beyond the scope of the present article). As I already pointed out, Gebel Kamil impact crater is the only known im- pact crater in Egypt to date and the evidence is that the ancient Egyptians did not visit it. Therefore, I am tempted to conclude that, in all likelihood, the an- cient Egyptians never found a site rich of meteoritic iron fragments such as the one discovered in 2010. Thus, finding meteoritic iron must have been a very rare, occasional and sporadic event – very small meteorites that do not form impact crater can occasionally be found, but this event is indeed very rare and the amount of recovered meteoritic material is then very limited.

3. The debate around the origin of Tut’s iron dagger blade

It was at the time of the Kamillers’ expedition that I learnt about the heated debate surrounding the origin of Tut’s iron dagger blade. Egyptologists were more or less equally divided in two camps. One camp supported the idea that Tut’s iron dagger blade was likely made of meteoritic iron. Their argument was based on the fact that iron artifacts were indeed very rare in Ancient Egypt at the time of the XIV Dynasty, and the ones that had been found were most like- ly of meteoritic iron, such as the beads found at Gerzeh as mentioned before. Furthermore, iron metallurgy in Egypt developed at least three centuries after Tuankhamun’s reign. People in the other camp, however, were convinced that Tutankhmun’s iron dagger blade (if not the complete dagger, handle and knob included) could have been imported from Anatolia. Indeed, diplomatic documents from the Egyptian Francesco Porcelli 337 royal archives from the 14th C. B.C. - the Amarna letters - mention royal gifts made of iron in the period immediately before Tutankhamun’s reign. In particu- lar, it is reported that Tushratta, King of the Mitanni nation, sent precious iron objects to Amenhotep III, who may have been the grandfather of Tutankhamun. Daggers with iron blades and a gilded iron hand bracelet are mentioned in the gift list (Rainey 2014). In the 14th century BC, the Mitanni occupied an area in Eastern Anatolia between Assyria and the Hittite Empire. Mario Di Martino and two other Kamillers, Luigi Folco and Massimo D’Orazio, now both at the University of Pisa, suggested to me in 2010 that the best way to settle the dispute was to perform X-Ray Fluorescence (XRF) spec- trometry on the iron dagger blade. A proposal was put forward to the Egyptian authorities – the Ministry of Antiquities and the Direction of the Egyptian Mu- seum in Cairo. This proposal, however, was initially refused, in spite of gentle insistence and several attempts on my part. Indeed, between 2010 and 2014, sev- eral Italian researchers approached the Scientific Office at the Italian Embassy of Italy in Egypt, expressing an interest in carrying out this type of XRF analysis on Tut’s dagger. And every time this happened, I raised the issue once again with the Egyptian authorities, but to no avail. Until circumstances changed in 2014: a new Museum Director was nominated in 2014 - Dr. Mahmoud El-Hal- wagy – and, equally important, a team of physicists led by Prof. Daniela Comelli of the Polytechnic University of Milan came to the Cairo Egyptian Museum with just the right instrument: a last-generation tripod-supported XRF spectrometer developed by XGLab s.r.l., a Milan-based spin-off company set up by former students of the polytechnic university. They actually came to the Cairo Museum to analyze other objects not connected with Tutankhamun’s funerary treasure, within the framework of a joint Egyptian-Italian cooperation project partially financed by the Italian Ministry of Foreign Affairs. The Embassy Scientific Of- fice, therefore, was supposed to monitor the project. When they called me to let me know that they had arrived in Cairo with the XRF spectrometer and that they were about to start their work at the Egyptian Museum, I almost fell off my chair. I immediately went to the Museum, met with them and asked wheth- er they would be interested in performing the analysis of Tut’s dagger blade’s elemental concentration using their XRF spectrometer. They were not aware of the debate surrounding the origin of the dagger iron blade. Nevertheless, they enthusiastically agreed. The next move was to convince the new Museum Director, who, however, was much more motivated by scientific research then his predecessors. The special XRF survey on Tut’s was granted! Instrumental to this decision was also Prof. Abdelrazek Elnaggar from El-Fayoum University, partner to the joint Egyptian-Italian cooperation project together with Daniela Comelli and co-workers. 338 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger

It was immediately clear to all that, in order to be able to carry out first- class scientific work, it was necessary to involve in the analysis of XRF data also meteorite experts, as they would help with the search of the specific elements of which meteorites are made of and would be able to help reach a conclu- sion on whether Tut’s iron dagger blade was indeed of meteoritic origin once its elemental concentration had been determined. I decided to involve the two Kamillers Folco and D’Orazio, mentioned above. I also suggested to invite to our collaboration an Italian Egyptologist, Dr. Giuseppina Capriotti, who, together with the Director of the Cairo Egyptian Museum and his curators, could advise us on the Egyptological impact of our work.

4. XRF spectrometry of king Tut’s iron blade

The results of the XRF spectrometric analysis of King Tut’s iron dagger blade are reported in Comelli et al. (2016) and so I refer the interested reader to that article for details. Here, I limit myself to a summary of the main results. Iron meteorites are mostly made of Fe and Ni, with minor quantities of Co, P, S and C, and trace amounts of other siderophile and chalcophile elements. The chemical composition of iron meteorites is typically determined by means of sensitive, yet destructive, analytical methods – e.g., neutron activation analy- sis and inductively coupled mass spectrometry. Conversely, X-ray fluorescence spectrometry offers a rapid, low cost and non-destructive method for the anal- ysis of bulk iron meteorites and the quick identification of the extraterrestrial origin of archaeological metallic artifacts. Bjorkman (1973) referred to a meteoritic origin of the iron dagger on the basis of its high nickel content; however, to the best of our knowledge, this study had not been published and the analytic technique was not specified. A few years later, in 1994, Helmi and Barakat reported that, on the basis of XFR fluorescence analysis, the dagger blade had a Ni content of 2.8 wt%, too low to be consistent with a meteoritic origin (Helmi and Barakat 1995). For some time, this result appeared to lend support to those who believed that Tut’s iron dagger was imported from Anatolia, were iron metallurgy was being developed at that time. However, the analysis carried out in 1994 was per- formed on the basis of a primitive hand-held XRF spectrometer, which was not as accurate as today’s devices. Indeed, in the last twenty years, a dramat- ic improvement in solid-state detectors technology has allowed new, more accurate analytic applications. Modern energy-dispersive XRF spectrometers exhibit typical energy resolutions below 135 eV for the Mn-K line, allowing the deconvolution of close peaks in the diffused energy spectrum, as required for correctly estimating minor amounts of cobalt in meteoritic iron. The XRF Francesco Porcelli 339 spectrometer ELIO, developed by XGLab, is based on a 25 mm2 active area drift detector and on a 50 kV-4W X-ray tube generator, which employs a Rh anode. The excitation X-ray beam is collimated to a 1.2 mm spot diameter on the sample surface. The typical energy resolution of the spectrometer is good enough to detect the asymmetry of the Fe K-beta peak due to the presence of the underlying low-intensity Co K-alfa peak, as is often the case in iron meteoritic samples. Quantitative determination of the Ni and Co contents in Tut’s dagger blade was carried out by external calibration methods using XRF data from 11 steel metal standards and 11 iron meteorites of well-known composition. Af- ter careful calibration and statistical data analysis (see Comelli et al. 2016, for details), we were able to conclude that Tut’s iron dagger blade includes Nickel with a concentration of 10.8 +/- 0.3 wt% and Cobalt with a concentration of 0.58 +/- 0.04 wt% Co, within a 95% fitting confidence interval. The blade’s high Ni content, along with the minor amount of Co and a Ni/Co ratio of about 20, strongly suggests an extraterrestrial origin. The conclusion is based on the following considerations: 1. The Ni content in the bulk metal of most iron meteorites ranges from 5 wt% to 35 wt%, whereas it never exceeds 4 wt% in historical iron artifacts from terrestrial ores produced before the 19th C. 2. The Ni/Co ratio in the Tut’s dagger blade is consistent with that of iron meteorites, average Ni/Co = 18 +/- 2, which have preserved the primitive chondritic ratio during planetary differentiation in the early solar system. Remarkably, a representative set of 76 iron meteorites with a moderately high Ni content (10–12 wt%), i.e., with composition similar to Tutankhamun’s blade, have average Co content of 0.57 +/- 0.08 wt%. Meteorites in this group have fine (mm scale) or very fine (micron scale) homogeneous structures. Smiting is expected to produce a homogeneous, structure-less iron artifact like Tut’s iron dagger blade. We sorted all the known iron meteorites found in the region from the MetBase3, within an area 2000 km in radius arbitrarily centered in the Red Sea off the coasts of Egypt. Twenty iron meteorite finds are present in the database. Only one known meteorite, named Kharga (Egypt, 31007’57’’N, 25002’50’’E) (Grossman and Zipfel 2001), found on 8 May 2000, has Ni and Co contents within 10% of the Tut dagger blade’s composition. By contrast, Ge- bel Kamil meteorite has a Ni concentration that is about twice that of Tut’s iron dagger blade.

3 http://www.metbase.org 340 Iron from the Sky. The meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger

5. Conclusions

We have documented the meteoritic origin of the iron of the dagger blade belonging to the ancient Egyptian King Tutankhamun (14th C B.C.). This solves a longstanding heated debate among scholars since the discovery of the dagger in the wrapping of the king’s mummy in 1925, by archaeologist Howard Carter. By employing non-invasive X-ray fluorescence spectrometry, we have revealed that the iron dagger blade, today on display at the Egyptian Museum in Cairo, contains nickel (11 wt%) and cobalt (0.6 wt%) in concentrations characteristical- ly observed in iron meteorites (Comelli et al. 2016). The study confirms that ancient Egyptians attributed great value to mete- oritic iron for the production of precious objects, and the high manufacturing quality of Tutankhamun’s dagger blade is evidence of significant mastery of ironworking already in Tutankhamun’s time. Among all the known meteorites within a within an area 2000 km in radius arbitrarily centered in the Red Sea, that are part of the MetBase data base, the Kharga meteorite, discovered in Egypt in 2000, has the elemental concentration that comes closest to that in Tut’s iron dagger blade. However, not sufficiently close to allow for a positive identification of Tut’s iron with that meteorite. Even though the meteoritic origin of Tutankhamun’s iron dagger has been established with a very high degree of confidence, we still cannot exclude that the dagger was imported as a gift manufactured in Anatolia. Even though iron metallurgy was being developed in Anatolia at the time of the Egyptian XIV Dynasty, it is nevertheless possible that nations like the Mitanni were capable of working with meteoritic iron. Could one of the daggers with iron blades mentioned in the Amarna letters as part of the royal gift by the Mitanni to Amenhotep III be the one found wrapped with Tutankhamun’s mummy? More work is needed to answer this question. It would be important, in this respect, to find any evidence showing that the Mitanni or other nations in Anatolia were manufacturing objects out of meteoritic iron in the second half of the second millennium BC.

Acknowledgements. The author would like to thank Giuseppina Capriot- ti, Daniela Comelli and Mario Di Martino for useful discussions.

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Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)*

Guido Rosada Università degli Studi di Padova [email protected]

Riassunto. La nota tratta del caso della chiesa episcopale orientata e del suo battistero che i nostri scavi a Tyana in Cappadocia (Anatolia, Turchia) hanno riportato alla luce a partire dal 2004. Il rapporto dialettico tra ideologia di fede enatura loci appare evidente nelle scelte degli impianti architettonici tyanensi databili tra V e XI secolo d.C. Ancor più interesse riveste questo aspetto, se consideriamo cheTyana è una sorta di città di frontiera tra mondo occidentale e mondo orientale, come forse sta a testimoniare anche la tipologia delle due fasi della chiesa stessa.

Abstract. This paper deals with the oriented episcopal church and its baptistry, which have been discovered by our excavations at Tyana in Cappadocia (Anatolia, Turkey), starting from 2004. The dialectic relation between faith’s ideology and thenatura loci appears evident within the choices of the religious structures of Tyana, which can be dated between the 5th and the 11th centuries AD. This aspect is even more interesting, if we consider that Tyana is a sort of border city between the western and the eastern world, as can maybe be suggested also by the typology of the two different phases of the church itself.

Circolava in ambito archeologico, almeno fino ai tempi della mia formazio- ne, la storiella che raccontava la perplessità ricorrente degli archeologi davanti a strutture architettoniche che una volta portate alla luce rivelavano spesso la mancanza delle pietre angolari. Talora la conclusione era che probabilmente la causa di quella mancanza doveva essere stata un evento tellurico che aveva interessato la zona e fatto crollare quella parte costruita. Naturalmente una tale soluzione più o meno facillima era nella maggior parte, se non in tutti i casi, sba- gliata, dal momento che non teneva in conto che dalle strutture in abbandono o/e in rovina di solito vengono successivamente asportati proprio quei materiali 344 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) e in particolare, nel caso, quelle pietre d’angolo che sono anche le più grandi e più squadrate e che quindi sono meglio riutilizzabili in altre costruzioni. Questo per dire che le proiezioni interpretative di aspetti che riguardino l’antichità o comunque il non contemporaneo sono sempre da sottoporre a ve- rifiche attente che possono anche passare per una banalità quotidiana. E in pro- posito, per avvicinarci alla nostra area di ricerca, dirò che nel medesimo tempo in cui noi a Tyana di Cappadocia abbattevamo delle vecchie case in rovina che insistevano nell’area archeologica, i nostri stessi operai, se non altri del luo- go, subito intervenivano per recuperare i conci ben squadrati, ma soprattutto, in quella circostanza, le travature e altri elementi lignei che potevano essere comunque utilmente reimpiegati (questi ultimi anche come semplice combu- stibile). Si può dunque spiegare così, ovvero con una tale pratica (e a più forte ragione in tempi risalenti e in aree non ricche di legname), la rarefatta presenza negli scavi, se non addirittura l’assenza, di strutture lignee anche laddove per clima e qualità del terreno queste si sarebbero potute conservare1. Veniamo ora ai nostri lavori a Tyana (oggi Kemerhisar), che diventò una co- lonia romana nel 213 d.C. (con precedenti forse già ittiti, ma non accertati), ma fu pure una stazione di tappa posta lungo la grande strada che da Burdigala (Borde- aux) portava a Hierusalem (Gerusalemme)2 e in un sito segnatamente strategico della Cappadocia sud orientale, sulla direttrice delle Porte Cilicie (Figura 1). Sul versante settentrionale dell’höyük tyanense (a continuità di vita), nel suo settore a quota più alta (circa m 1100/1115 slm) dove, non a caso, arrivava l’acquedotto romano (del primo quarto del III sec. d.C.)3, nei pressi delle mura e

* Nel tempo in cui terminavo questa nota non è più con noi Vito Francesco Polcaro. L’ultimo suo impegno è stato l’organizzazione nel settembre 2017 del convegno nei cui atti si inserisce il mio contributo e in quell’occasione romana, presso l’Università “Sapienza”, siamo stati insieme per l’ultima volta. L’avevo conosciuto ormai molti anni fa con il mio arrivo alla SIA e mi colpì subito la sua figura di brava persona che affiancava naturalmente la sua intelligenza del sapere e delle cose: è per questo suo essere che ci mancherà. Lo sperimentai nel concreto in un seminario che insieme a Elio Antonello tenne, su mio invito, al corso di Dottorato di Ricerca in Archeologia all’Università di Padova. Rivolgendosi a “non addetti ai lavori” fu di una chiarezza e di una suggestione esemplari: fu seguito da tutti con attenzione e, soprattutto, fu capito. Ci restano la sua memoria, il suo entusiasmo e il suo esempio e saranno nostri sempre. 1 Naturalmente queste pratiche di riutilizzazione sono del tutto rarefatte, se non del tutto scomparse dalle nostre città industrializzate, produttive e consumistiche, ma continuano a essere presenti tuttavia, come la nostra esperienza anatolica insegna, in aree povere o comunque carenti di possibilità alternative. 2 Per il transito in Cappadocia, cfr. ItBurdig, 576, 3-579, 1, Cuntz e ora Turchetto (2018). 3 Dalla presenza di questo acquedotto prende il nome l’attuale cittadina di Kemerhisar (“Villaggio degli archi”), come volle la politica laica di Mustafa Kemal Paşa detto Atatürk (Turco Padre) sostituendo il precedente toponimo di Kilisehisar (“Villaggio della/e chiesa/e”). Nel settore meridionale dell’antico centro, nell’area a quota più bassa, si trovano le terme, coeve dell’opera di approvvigionamento idraulico e portate alla luce tra il 2002 e il 2004 dalla missione da me diretta. Guido Rosada 345 poco a meridione di un’area di mercato cronologicamente coeva4, sorsero su un terrazzamento edifici di culto cristiano che a partire dal 325 d.C. furono sede di diocesi e poi dal 371/372 della diocesi metropolitana della Cappadocia Secunda5. Un ruolo importante che confermava la valenza economica e logistica acquisita dall’antico centro. Il complesso, nei limiti di quanto si è potuto scavare nel corso della nostra indagine (2001-2015, comprendendo altre aree del sito), era costitui- to da una chiesa e da un battistero, oltre all’area “commerciale”.

Fig. 1. Tyana in Cappadocia (Anatolia centrale-Turchia).

Occupiamoci ora della chiesa che è la struttura importante, insieme al vicino battistero, di tale complesso6. Questa fu costruita su un livellamento del terreno che ha fornito poco materiale datante e che comunque non risale a prima della fine del IV secolo d.C. L’edificio di culto che si impostò su tale piano regolarizzato mostra due fasi cronologiche successive con caratteristiche architettoniche com- pletamente diverse. Quella iniziale ha infatti una pianta ottagonale con una lar- ghezza massima di m 25 con alzati in blocchi di pietra locale (salmanlı) e di mar-

4 Cfr. Lachin, Rosada (2016a); Lachin, Rosada (2016b) e bibl. precedente ivi. 5 La scoperta, tanto per ritornare alle considerazioni iniziali, fu casuale, dal momento che la proiezione di lavoro aveva pensato in quell’area la presenza del castellum aquae (in relazione alle ultime arcate dell’acquedotto), che ragionevolmente oggi possiamo invece ipotizzare posto un centinaio di metri più a occidente, in una posizione ancora più elevata. 6 Segnatamente sulla chiesa è stata prodotta recentemente una tesi di Dottorato di Ricerca (Rossi 2016). Sulla “frühbyzantinische Architektur” cappadoce in genere, valido ancora è il lavoro di Restle (1979). 346 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) mo: vi era un ambulacro interno definito da pilastri o colonne e disposto attorno a uno spazio centrale ugualmente ottagonale. Il lato orientale del poligono era occupato dal presbiterio che aveva una profondità circa pari a quella dell’ambula- cro e che terminava con un’abside poligonale (a cinque lati, riproponendo quindi parzialmente la planimetria della chiesa), perfettamente orientata (Figure 2-4). La pavimentazione, documentata in termini frammentari per le pesanti manomissio- ni posteriori, è costituita da due livelli, il primo dei quali (più antico) è dato da un tessellato policromo con tessere prevalentemente lapidee, il secondo (successivo) da tarsie marmoree che formano motivi geometrici. Sia il tipo di decoro pavimen- tale, sia taluni materiali di arredo sacro o liturgico, sia la tipologia dei lampadari (riconducibili al tipo dei polykandela o polyankistra) sembrerebbero portare per questa fase a una datazione tra V e VII secolo. Per quanto riguarda l’orientamento a est, marcato dalla presenza di presbiterio-abside senza i quali, nel caso, la pla- nimetria ottagonale risulterebbe “disorientata”, ho già rilevato altre volte la ben nota attrazione dell’Oriente e del Levante, attrazione che nasce sin dall’antichità più remota (pensiamo al nome stesso di Anatolia, che significa “terra dove sorge il sole” -dal greco anatolē, anatellō-, pensiamo alle norme per la definizione degli as- setti agrari romani, per citare solo due casi conosciuti tra i tantissimi) e che trova un’ulteriore e forte definizione ideologica nel mondo cristiano con la nascita del Cristo e con la città santa di Gerusalemme7. Nel quadro brevemente delineato vale considerare con qualche attenzione proprio la prima fase della nostra chiesa tyanense che in sostanza si presenta, pur orientata, a pianta centrale8. La planimetria ottagonale è infatti una forma certamente particolare la cui origine è messa in relazione dagli studiosi con un’iscrizione che si ritiene di Ambrogio riferita al battistero di Santo Stefano delle Fonti a Milano9: Octachorum sanctos templum surrexit/ in usus octagonus

7 Ispirato alla tradizione delle opere di Isidoro è, come ho già ricordato altrove (anche in sede SIA), il cosiddetto mappamondo T-O che ebbe molta fortuna in epoca altomedioevale. Questo consisteva in un cerchio circondato dalle acque dell’oceano all’interno del quale si disponevano le terre abitate: in alto (dove era posto l’Oriente) la metà del cerchio era occupata dal grande continente asiatico; al di sotto un braccio orizzontale in senso nord-sud (ovvero rispettivamente i corsi del Tanais/Don e del Nilus uniti insieme) separava l’Asia dai due quarti di cerchio, Europa e Africa, a loro volta separati verticalmente dalle acque del Mediterraneo. Il Mediterraneo, oltre a formare con Don e Nilo una T che è all’origine del nome del mappamondo (unione dunque di una T e di un cerchio, perciò T-O, che poteva pure significareTerrarum Orbis/“globo terrestre”), individuava anche nell’intersezione con il braccio trasversale il sito di Gerusalemme, che diventava così l’umbilicus mundi/“l’ombelico del mondo”. 8 Shalev Hurvitz giustamente considera in proposito che “the concentric building…is closed, restricted, and self contained…Because of its determinate shape and technical difficulties with the type of roofing (vaults and domes), it is far more difficult to expand. It is, therefore, not suitable for a church expecting to increase its congregation. It would however, create an intimate, communal, non-hierarchical gathering” (2015, p. 21). 9 Cfr. Falla Castelfranchi, Bianchi (1992, p. 215); Navoni (1999, p. 43 s). Il battistero (IV sec. d.C.), i cui resti di fondazione con vasca ottagonale si conservano a circa 4 m dal piano di calpestio, Guido Rosada 347

Fig. 2. Tyana. L’area della cattedrale, del battistero e del settore commerciale (Rossi 2016). fons est munere dignus eo./ Hoc numero decuit sacri baptismatis aulam/ surgere, quo populis vera salus rediit/ luce resurgentis Christi qui claustra resolvit/mortis et e tumulis suscitat exanimes (“Il tempio a pianta ottagonale fu costruito per fini sacri e il fonte ottagono è degno di quel dono/impegno costruttivo. Fu giusto che su questo numero sorgesse l’aula del sacro battesimo, con il quale ai popoli fu restituita la vera salvezza con la luce del Cristo che risorge, scioglie le catene della morte e dalle tombe ridesta i morti”)10. Ora, l’importanza di questa iscrizione sta nel fatto che essa sembrerebbe at- testare, nel IV secolo d.C., una già conformata simbologia dottrinale riguardante forse uno dei più antichi, se non il più antico battistero a pianta ottagonale, una planimetria che poi si diffuse come modello del tutto prevalente per tali edifici nell’Italia centro settentrionale e in Occidente in genere per merito, come “sem- bra accettato”, proprio di Ambrogio11. In realtà l’ottagono, che in architettura è una forma geometrica il cui uti- lizzo dall’antichità continua nel medioevo e ancora oltre, rimanda per lo più sorgeva dove oggi si trova la sacrestia settentrionale del Duomo, posto allora tra la cattedrale invernale di Santa Maria Maggiore e la cattedrale estiva di Santa Tecla. 10 Ambr., in SAEMO, 22, 1994, pp. 96-99. 11 Scordato (1984, p. 265 s.); Navoni (1999, p. 42 ss.). 348 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

Fig. 3. Tyana. Planimetria del- Fig. 4. Tyana. Ricostruzione dell’alzato della catte- la cattedrale ottagona di I fase drale e del battistero (S. Tinazzo). (Rossi 2016).

Fig. 5. Gerusalemme. Planimetria del- Fig. 6. Gerusalemme. Dome of the Rock (Sha- la cosiddetta Tomba di Maria (Shalev lev Hurvitz 2015). Hurvitz 2015). a planimetrie riferibili a mausolei funerari, mentre per altro verso, in sede se- gnatamente cristiana, il mausoleo per antonomasia ovvero il Santo Sepolcro di Gerusalemme era più propriamente una rotonda12.

12 Pianta ottagonale ha la cosiddetta Tomba della Vergine a Gerusalemme (Figura 5) e ugualmente, non a caso, anche la ben nota Dome of the Rock (Figura 6) sempre a Gerusalemme, costruita in periodo Omayyade alla fine del VII secolo e nata come una sorta dimartyrion ovvero una Guido Rosada 349

Per tali casi d’uso sembra si ricalchi di fatto la tradizione pitagorica che vede nel numero otto e nelle sue, diciamo così, “applicazioni” il simbolo13 dell’e- ternità (Ogdoade)14, un simbolo che diventa in ambito imperiale romano anche il segno dell’apoteosi del sovrano post mortem15. Basti ricordare in proposito il grandioso mausoleo ottagono nel Palazzo di Diocleziano a Spalato (Figura 7) o la cosiddetta Cappella di Sant’Aquilino a Milano (Figura 8)16, significativamente trasformati poi entrambi in chiesa; ma uguali planimetrie si ritrovano anche in molte altre architetture pubbliche antiche, come, ad esempio tra le tante, la cosiddetta Torre dell’Orologio nell’agorà romana di Atene, la Tour Magna di Nemausus (oggi Nîmes), la sala ottagona dellaDomus Aurea a Roma. L’ottagono inoltre, che da una parte può essere l’esito di due quadrati che si intersecano17, dall’altra diventa anche con i suoi vertici lo spunto originario per la cosiddetta Croce delle Beatitudini18, che è poi alla base della Croce di Malta o Croce di S. struttura destinata alla conservazione e alla venerazione delle reliquie. Sugli impianti a pianta centrale di Gerusalemme, qui e in seguito, cfr. Lassus (1947, pp. 105-108); Shalev Hurvitz (2015); sui martyria in generale, cfr. l’ancora valido Grabar (1946). 13 To symbolon in origine in Grecia aveva il valore di “segno di riconoscimento”; era un oggetto di vario materiale utilizzato per denotare il legame di ospitalità: si spezzava in due e ogni parte in causa se ne prendeva metà. 14 Scordato (1984 e bibl. precedente ivi). Si consideri che il numero 8, girato in senso orizzontale, venne a rappresentare, dopo l’introduzione della numerazione araba e forse non casualmente, il simbolo dell’infinito. 15 Cfr. Leclerck (1936); Navoni (1999, p. 43, nota 5). Sul rapporto tra potestà imperiale e cristianesimo, cfr. Di Cosmo (2009). 16 Erroneamente ritenuto un tempo un battistero, è invece da intendersi come un mausoleo imperiale, secondo la tradizione voluto da Galla Placidia, figlia dell’imperatore Teodosio I. 17 Se il cerchio è, come è noto, immagine di Dio che è trascendenza, l’ottagono è appunto un doppio quadrato o meglio, si potrebbe dire, la cosiddetta “quadratura del cerchio”. Il cerchio è quindi simbolo dell’eternità, che è la pienezza di Dio, e per questo non ha inizio, né fine; è da intendersi anche come sfera celeste ovvero il cielo, il paradiso, il sole. Il quadrato, invece, per contrappunto, rappresenta il mondo o la terra che erano creduti piatti. Se poi si iscrive il cerchio nel quadrato, si ha il divino che entra nell’umano e si ottiene appunto la stella ad otto punte: l’ottagono (Figura 9). E’quindi la figura intermedia tra cielo e terra e tra il cielo e la terra rappresenta la sintesi (o appunto la congiunzione del Divino con la terra). Ricordiamo una volta ancora che la geografia cristiana (in particolare Cosma Indicopleuste) gerarchizzava “stratigraficamente” l’universo: pertanto la terra abitata non è più sferica, ma di forma rettangolare, pianeggiante ed è circondata dall’oceano, oltre cui sta un altro continente (anch’esso rettangolare), ora inaccessibile, sede un tempo degli uomini vissuti prima del diluvio universale (gli antipodi naturalmente sono esclusi). Le due “terre” inoltre sono delimitate da quattro alte muraglie su cui poggia la volta del cielo visibile agli uomini (regno terreno, che così diventa un volume chiuso, reso graficamente come una sorta di tabernacolo o cofano), oltre la quale vi sono un altro cielo e un’altra volta, questi però invisibili agli uomini (regno celeste), costituendo così una bipolarità separata che trova riscontro nelle Scritture (cfr.Apoc ., XXI,1-3; Prontera 1992, pp. 314-316). In questo senso è da considerare assimilabile a figure geometriche e simboliche anche la planimetria del presbiterio che in effetti associa o meglio giustappone un semicerchio che è la conca absidale a un quadrato o a un rettangolo, suggerendo così l’intersezione del cielo nella terra secondo quanto si è appena detto. 18 Le otto Beatitudini secondo Matteo (V, 1-12) riguardano i poveri in ispirito, i miti, gli afflitti, coloro che hanno fame e sete di giustizia, i misericordiosi, i puri di cuore, gli operatori di pace, i perseguitati; 350 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

Giovanni e pure del simbolo della repubblica marinara di Amalfi (Figura 10). Ma l’ottagono è la figura che sta anche a indicare i quattro punti cardinali e insieme tutti i punti di orientamento che sono intermedi a essi, così da unire in una sola figura direzioni cardinali e direzioni minori frapposte; sta a significare quindi una globalità continua, che comprende tutto19.

Fig. 7. Split/Spalato. Mausoleo di Diocle- Fig. 8. Milano. Cappella di S. Aquilino, ziano (Autore). presso San Lorenzo Maggiore (Biscottini 2000). Ma, seguendo qui un puntuale contributo di Scordato, c’è da dire che in am- bito cristiano il dato numerico dell’otto è da intendersi non tanto come “valore quantificatore”, quanto invece come “valore qualificatore”, aspetto che appare presente già nell’Antico Testamento dove si trova l’espressione omnia in mensura et numero et pondere disposuisti (Sap., 11, 20). Tuttavia il valorequantificatore non è affatto escluso e lo si ritrova, per esempio, nella descrizione del nuovo tempio e delle sue parti in Ezechiele (40, 9, 31, 34, 41: cfr. la misura di otto cubiti del vestibolo del portico, gli otto gradini che portavano al portico meridionale o a quello che “guarda a oriente”, le “otto tavole sulle quali si sgozzavano le vit- time”) o nella consuetudine di spezzare il pane in sette o otto parti che si trova oltre a ciò le otto punte possono rappresentare altre virtù cristiane o anche le otto nazionalità dei Cavalieri di S. Giovanni o ancora i princípi che dovevano essere rispettati dai Cavalieri. 19 Sugli scudi dei soldati di Costantino, nel decisivo scontro con Massenzio, secondo Eusebio (Vita Const., I, 31), era dipinto il simbolo cristologico (chrismon) costituito dalle lettere greche intersecate chi e rho (a indicare il nome di Cristo) e lateralmente da un’alfa e omega a indicare l’inizio e la fine di tutto (Apoc. 1,8; 21,6; 22,13). Guido Rosada 351

Fig. 9. Cerchio e ottagono iscritto (Autore). Fig. 10. La Croce delle Beatitudini. nell’Ecclesiaste (11, 1-2). Sempre sulla linea del “contare” si possono ricordare gli otto giorni che devono intercorrere dalla nascita per la circoncisione Gen( ., 17, 12)20 ovvero i sette giorni previsti per la “festa delle Capanne in onore del Signore”, mentre “nel giorno ottavo si svolge la sacra adunanza e l’offerta di sa- crifici al Signore” Lev( ., 23, 34-36)21. E’ con il Nuovo Testamento però che “l’alba del primo giorno della settimana, il primo giorno dopo il sabato”, coincide con la resurrezione del Cristo22. È nell’Apocalisse (1, 10) che compare “il giorno del Signore” e da qui Scordato argomenta che “il primo giorno della settimana non va inteso nel senso ordinale…ma nel senso qualificativo di primo che precede in importanza tutti gli altri…Il primo giorno dopo il sabato era il termine tecnico con il quale gli ebrei iniziavano la conta della settimana…Nei vangeli il primo giorno è compitato rispetto al settimo degli ebrei”, ma da ciò i cristiani pren- deranno sempre più le distanze. “Il giorno del Signore allora resta veramente il primo nel senso simbolico dell’assolutamente nuovo ed originante”; diventa “l’ottavo che compie il settimo dell’economia veterotestamentaria e annunzia proletticamente l’economia definitiva dell’eschaton”. In sostanza, con un lento processo di sviluppo nella comunità cristiana si incontrano e fondono il primo e l’ultimo ovvero il primo e l’ottavo acquisendo insieme una duplice valenza23.

20 Cfr. Scordato (1984, pp. 257-258). 21 Ancora nell’Antico Testamento, nei Numeri (6,10), si legge che l’uomo consacrato al Signore, se contaminato, “dovrà radersi la testa; se la rada il settimo giorno. Il giorno ottavo porti due tortore o due colombi al sacerdote, all’ingresso del Tabernacolo di convegno”. 22 Cfr. Marc., 16, 2; Matth., 28,1; Luc., 24, 1; Iohan., 20,1. 23 Scordato (1984, pp. 245-251, 254): “Il numero sette caratterizza l’economia veterotestamentaria nella sua apertura verso il compimento, il numero otto caratterizza la novità neotestamentaria realizzazione dell’antica economia”. Cfr. Ambr., Epist., 44, 6 (PL, 16, 1137): Hebdomas Veteris 352 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

L’ottavo giorno corrisponde quindi allaresurrectio Christi24 e alla domenica, giorno del Signore, ma che può essere anche considerato il primo e nuovo gior- no della settimana ovvero la resurrezione come nuova creazione, come nuova umanità. Nello stesso tempo è anche il settimo giorno il vero e nuovo giorno del Signore, volto a sostituire il sabato ebraico, e insieme è ancora l’ottavo gior- no, “quello che sta oltre lo scorrere del tempo perché anticipa l’eternità in cui si entrerà definitivamente dopo la resurrezione”. L’otto è pertanto un numero escatologico25 e l’autore della Lettera dello Pseudo-Barnaba, nel commento alle Scritture, fa dire a Dio “Non mi sono ora accetti i sabati, ma quello che ho stabili- to, nel quale, ponendo fine a tutte le cose, farò il principio dell’ottavo giorno che è l’inizio del nuovo mondo. Per questo passiamo nella gioia l’ottavo giorno in cui Gesù risorse dai morti e manifestatosi salì ai cieli”26. Quindi sembra conse- guente che l’ottagono, per il suo stesso significato di eternità globale e di nuova era, venga assunto nella forma predominante del battistero e/o del fonte come “rappresentazione simbolico-numerica della Pasqua del Signore”. Per ritornare ancora ad Ambrogio27, sono sue le parole che confermano quanto si è finora andati considerando: in octavo numero resurrectionis est plenitudo28.

Testamenti est Octava Novi. È comunque interessante per la nuova vita la memoria che ancora Scordato fa (p. 255 s.) in relazione all’arca di Noè “con cui tanto pochi, solo otto vite, si salvarono attraverso l’acqua”. 24 E otto giorni dopo si pone l’episodio di Tommaso (cfr. Iohan., 20, 26:Et post dies octo iterum erant discipuli eius intus, et Thomas cum eis. Venit Iesus...). 25 “L’ogdoade è figura cristiana della resurrezione e perciò stesso del segreto e incalzante compiersi escatologico della creazione dell’uomo e della storia attraverso il Risorto…Attraverso l’ogdoade si sviluppa lentamente anche una teologia del tempo e della storia salvifica” (Scordato 1984, pp. 267-268). Sempre sul numero otto, cfr. anche de Lubac (1938, in particolare p. 102 ss.=1978, pp. 103-110). Da non trascurare, richiamato proprio da de Lubac, è il passo del De re publica di Cicerone all’inizio del cosiddetto Somnium Scipionis (VI, 12) dove si legge: Nam cum aetas tua septenos octiens solis anfractus reditusque converterit, duoque hi numeri, quorum uterque plenus alter altera de causa habetur, circuitu naturali summam tibi fatalem confecerint, in te unum atque in tuum nomen se tota convertet civitas... (“Infatti quando la tua vita avrà finito il ciclo di otto volte sette di andata e ritorno del sole sulla sua curva e questi due numeri, considerati perfetti l’uno e l’altro per ragioni differenti, avranno marcato, per la rivoluzione naturale del mondo, la fine della somma degli anni che il destino ha fissato per te, allora la città intera si girerà verso di te e verso il nome che tu porti…”). 26 Epist. Barn., Il Sabato, parte 15. 27 Ambr., In Luc., PL, 15, 1745. 28 Cfr. anche Agostino: ...Post hanc tanquam in die septimo requiescet Deus, cum eundem septimum diem, quod nos erimus, in se ipso faciet requiescere...Haec tamen septima erit sabbatum nostrum, cuius finis non erit vespera, sed dominicus dies velut octavus aeternus, qui Christi resurrectione sacratus est, aeternam non solum spiritus, verum etiam corporis requiem praefigurans (De civ. Dei, 22, 30, 5; PL 41, 804). Scordato (1984, p. 260 s.) ricorda anche un passo di Tommaso d’Aquino (In psalmum 6, Index Thomasticus, a cura di R. Busa, Stuttgart 1974):Sexta a Christo usque ad finem mundi, currunt simul sexta et septima aetas, scilicet quiescientium et laborantium; post has erit octava aetas resurgentium. Lo stesso autore (p. 262) mette in relazione con questa cadenza temporale la Commedia di Dante e il suo percorso in Deum che sembra svilupparsi in una Guido Rosada 353

In questo contesto dottrinale e simbolico, non appare per nulla strano pertan- to che, come si è detto, l’ottagono abbia avuto una ben precisa utilizzazione archi- tettonica segnatamente negli edifici dove si impartiva l’acqua della nuova vita e della resurrezione ovvero nei battisteri29, sebbene una analoga planimetria fu uti- lizzata anche presso la chiesa di Maria Theotokos alle Blacherne a Costantinopoli, dove nel V secolo fu costruito un parakklesion (un reliquiario sacro) di pianta appunto ottagonale destinato a conservare le vesti della Vergine (Figura 11)30. In ogni caso, tra i tanti, si possono ricordare i battisteri degli Ortodossi o Neoniano e degli Ariani a Ravenna, quello di San Giovanni in Laterano a Roma, il battistero ambrosiano a Marsiglia e poi, più avanti nel tempo, quelli di Albenga (Savona, con alzato ottagonale su un basamento decagonale), di Ventimiglia e infine quelli assai più noti a Firenze (di San Giovanni), a Cremona, Parma e ancora a Pistoia e Ascoli Piceno (Figura 12)31 e, come si è detto, molti altri ancora. Naturalmente anche nelle architetture civili talora si ripresenta l’ottagono: l’esempio più noto e famoso credo sia indubbiamente, nei pressi di Andria in Puglia, il federiciano Castel del Monte, dove pure ottagonali sono le torri poste a ogni vertice. Se, come abbiamo visto, la relazione con il battesimo e con i suoi rimandi alla rinascita a nuova vita nell’ottavo giorno giustifica ampiamente una plani- metria centrale e segnatamente ottagonale, ben attestata e diffusa in area oc- cidentale, al contrario rarefatti sono nello stesso ambito territoriale gli esempi di chiese che sono costruite con una pianta analoga. Si possono ricordare in proposito le chiese ottagone di Aachen (Aquisgrana) in Germania e di San Vitale a Ravenna. Anche in ambito orientale chiese a pianta centrale non sono molto comuni e comunque attestate in relazione a edifici di grande prestigio e con planimetrie per lo più iscritte e particolari (mistilinee): si pensi solo all’e- sempio magniloquente dei SS. Sergio e Bacco (Küçük Aya Sofya)32 e in qualche settimana fino al Paradiso TerrestrePurg ( ., XXVII, 91 ss.-XXVIII, 1 ss.), oltre il quale, nell’ottavo giorno e nei cieli verso Dio, “non c’è più il tempo”, perché “è l’ottava età della resurrezione eterna, ottavo giorno della beatitudine perfetta”. 29 Nella fonte battesimale l’otto diventa in realtà anche “lo spazio simbolico in cui si celebra la partecipazione alla morte e resurrezione del Signore” come si può cogliere negli stessi atti dell’immersione ed emersione (Scordato 1984, pp. 252, 265). Cfr. Paul., Epist. Rom., 6, 3-5; Coloss., 2, 12: “…con lui mediante il battesimo siete stati sepolti e con lui siete pure risorti per la fede nella potenza di Dio, che lo ha resuscitato dai morti”. Sui battisteri, cfr. anche Chavarria Arnau (2009, pp. 75-81). In alcune rappresentazioni musive (per esempio a S. Maria Maggiore a Roma, a S. Apollinare Nuovo a Ravenna), anche la Gerusalemme Celeste ha una planimetria ottagonale, sebbene in Apoc., XXI, 16 si dica chiaramente che “la città era a forma quadrangolare”. Talora anche particolari spazi aperti assumono pianta ottagonale, come quello al cui centro è posto il pilastro nel convento di S. Simeone Stilita a Telanissos in Siria settentrionale (Butler 1929, p. 97 ss., fig. 100). 30 Cfr. Janin (1969, pp. 161-171); Müller Wiener (1977, pp. 223-224, 301 ss.); Salev Hurvitz (2015, fig. 37). 31 Per questi e altri casi, anche in seguito, cfr. Falla Castelfranchi, Bianchi (1992). A Salona è da ricordare anche l’impianto del battistero della Basilica entro le mura (Dyggve 1957). 32 Müller Wiener (1977, pp. 177-183). 354 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

Fig. 11. Istanbul/Costantinopoli. Chiesa di Ma- Fig. 12. Ascoli Piceno. Battistero ria alle Blacherne (Shalev Hurvitz 2015). (Autore). misura anche a quello della stessa Santa Sofia (Aya Sofya) a Costantinopoli di epoca giustinianea. Si potrebbe tuttavia, risalendo nel tempo all’epoca costan- tiniana, considerare un caso molto importante e suggestivo testimoniatoci solo dalle fonti scritte e probabilmente da un lacerto del tessellato conosciuto come Megalopsychia che ornava il pavimento di una grande villa nell’antica Daphne (Yakto) presso Antiochia (oggi Hatay/Antakya; V sec. d.C.) (Figura 13). Si tratta del cosiddetto (e discusso) Ottagono d’Oro ovvero la chiesa voluta dall’imperatore nel contesto del suo palazzo antiochieno costruito sull’isola tra i rami dell’Oronte. Cominciato nel 327 d.C. da Costantino e dedicato nel 341 dal figlio Costanzo II, il complesso fu gravemente danneggiato da un ter- remoto nel 526, che si ripetè ancor più rovinoso nel 588 distruggendo quanto restava delle strutture che non furono più ricostruite. Così Eusebio di Cesarea descrive questa chiesa, che appunto troverebbe anche conferma nella citata raffigurazione musiva: “(Costantino in Antiochia), quasi fosse stata la capitale di tutte le province del luogo, consacrò una chiesa unica nel suo genere per le proporzioni e la bellezza. All’esterno fece costruire intorno all’intero tempio una grande cinta muraria ed all’interno fece innalzare l’edificio vero e proprio, di altezza notevole, costruito su pianta ottagonale, circondato tutt’intorno da edicole, poste su due ordini, superiore e inferiore, che fece generosamente rivestire con ornamenti d’oro massiccio, bronzo ed altri materiali preziosi”33.

33 Eus., Vita Constant., III, 50. Cfr. Birnbaum (1914); Antioch (1934, in particolare pp. 143-147); Deichman (1972); Carile (2013, in particolare pp. 312-314 e bibliografia ivi riportata). Guido Rosada 355

Fig. 13a. Antiochia. Mosaico da Daphne (Yakto) detto dellaMagalopsychia : parti- colare con la raffigurazione del Palazzo Costantiniano (Autore).

Fig. 13b. Antiochia. Mosaico da Daphne (Yakto) detto della Magalopsychia: parti- colare con la raffigurazione dell’Ottagono (Autore).

Come ho detto, la planimetria ottagonale che non sia utilizzata per battisteri o al più nei martyria, dove evidentemente richiama il mistero della resurrectio e quindi ancora dell’ottavo giorno (un esempio anatolico ben noto è ilmartyrion di Filippo a Hierapolis/Pamukkale di Frigia) (Figura 14)34, risulta piuttosto ra- refatta negli esempi a noi noti. Insieme alla chiesa del palazzo costantiniano di Antiochia, un altro caso, privo tuttavia anch’esso di un qualche riscontro con- creto, sempre di IV secolo d.C., potrebbe essere testimoniato da un’orazione di Gregorio di Nazianzo, dove egli dice che il padre suo “poiché era necessario che venisse lasciato agli uomini un monumento della sua generosità, cosa sarebbe

34 Nel caso l’ottagono è iscritto in un quadrato. Cfr.Atlante Hierapolis (2008, pp. 94-95); D’Andria et alii (2011-2012). 356 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

Fig. 14. Hierapolis. Martyrion di San Filippo (Atlante Hierapolis 2008). stato più conveniente di questo tempio, che egli fece innalzare in onore di Dio e per il nostro bene…? L’opera non è degna di silenzio, è un’opera superiore a molte per grandezza, pressoché a tutte per bellezza. Si presenta formata da otto quadrilateri che si incontrano fra loro ad angolo rettooktṑ ( men isopleúrois eutheíais eis eautòn apantōnta); si innalza con belle colonnette e portici, disposti su due piani e ornati, al di sopra, di statue che in nulla sono inferiori alla natura; è rischiarata in alto dal cielo ed inonda di luce gli occhi grazie a numerose fonti di illuminazione, come se fosse davvero la dimora della luce…”. La descrizione continua poi minuziosa: “È attorniata da corridoi costruiti con il materiale più splendido, disposti da una parte e dall’altra in modo che si incontrino a formare angoli perfetti e che lascino in mezzo uno spazio percorribile assai largo. Il tem- pio riluce per lo splendore di porte e di vestiboli, visibile a distanza da coloro che verso di esso si dirigono. E non parlo dell’ornamento esterno, della bellezza e della grandezza della pietra, squadrata e connessa al millimetro, pietra mar- morea nelle basi e nei capitelli che separano gli angoli, pietra locale che non Guido Rosada 357

è affatto inferiore a quella straniera. E non parlo delle fasce, varie per forma e colore, che si sovrappongono e si intrecciano come un ricamo, dalle fondamenta alla cima, a danno dello spettatore cui limitano la vista…basterà dire che, seb- bene molte opere, sia private sia pubbliche, abbelliscano le altre città questa da sola fu in grado di renderci famosi ovunque…”35. Dice Sani (in Moreschini 2000, p. LXII): “Secondo il Bernardi la costruzione (di cui non è rimasto nulla) doveva sorgere o a Nazianzo come secondo luogo di culto dopo la chiesa già esistente o (forse meglio) nel borgo di Arianzo, sui terreni di proprietà della famiglia del vescovo (cioè il padre di Gregorio -ndr)…Il monumento doveva essere bello, anche se di dimensioni non grandiose: si trattava di una costruzione ottagonale, che si innalzava verso il cielo grazie ad ordini sovrapposti di colonne, ricoperta da una cupola invasa di luce…All’esterno appariva come un’opera costruita in opus quadratum, con colonne e fasce di pietre diverse, locali e straniere…”. Come si è detto, nulla conforta una tale notizia e la descrizione correlata, ma è comunque da credere che, pur considerando le ben possibili esagerazioni oratorie di Gregorio, la base di quanto ci viene detto sia certamente vera, dal momento che l’edificio poteva essere in qualche modo verificato nella realtà dai fedeli contemporanei del vescovo cappadoce. E ciò assume un valore importan- te in quanto Nazianzo (oggi Nenezigözü-Bekarlar, da preferire alla più tradizio- nale ubicazione a Güzelyurt) o comunque quel comprensorio territoriale dista non molti chilometri da Tyana (oltre tutto vi era una direttrice che collegava i due centri)36 e una costruzione così importante e “reclamizzata” da un Padre della Chiesa poteva bene far da modello ad altre esperienze. C’è da dire poi che anche Gregorio di Nyssa (oggi il sito, ugualmente nel comprensorio cappadoce, potrebbe essere riconosciuto in uno dei due höyük a nord di Harmadalı -distretto di Ortaköy/Aksaray-, circa 28 km a sud-sud ovest di Kirşehir)37, almeno per quanto si legge in una sua lettera Ep.( , 25) ad Anfilo- chio, vescovo di Iconium (Konya), fa riferimento a un edificio a planimetria ot- tagonale (un martyrion) che è “sulla buona strada per la sua realizzazione”. Del passo, dove Gregorio descrive come sarà la struttura nyssena, riporto di seguito la traduzione di Pierre Maraval che ha curato l’edizione 1990 delle Epistole38: “…La forme de l’oratoire est celle d’une croix, constituée dans toutes ses direc- tions, comme il convient, par quatre salles, mais les jointures de ces salles ne se touchent pas, comme nous les voyons partout dans un plan cruciforme. A l’inté- rieur de la croix, il y a un cercle réparti en huit angles (oktṑ goníais) -j’ai appelé cercle cette forme octagonale to( oktagōnon schema) parce qu’elle est arrondie-,

35 Greg.Naz., Orat., XVIII, 39 (ed. Moreschini 2000, p. 473, trad. C. Sani e M. Vincelli). 36 Sul sistema stradale che caratterizza la Cappadocia, cfr. Turchetto (2018). 37 Cfr. Hild, Restle (1981, pp. 246-248). 38 Grégoire de Nysse, Lettres, éd. P. Maraval, Paris 1990, in particolare, nel caso, 25, 1-9, pp. 288-295. 358 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) de sorte que les quatre côtés de l’octagone (tas tessaras tou oktagṓnou pleuras) qui sont diamétralement opposés les uns aux autres unissent par leurs arcs le cercle du milieu et les salles disposées sur quatre côtés. Les quatre autres côtés de l’octagone situés entre les salles rectangulaires ne se prolongeront pas, eux, pour constituer des salles, mais à chacun de ceux-ci sera adjointe une absidiole qui, en forme de conque, s’achève vers le haut par un arc. A l’interieur des piliers d’angle se dresseront des colonnes en nombre égal, pour l’ornement et la solidi- té. Et celles-ci à leur tour supporteront au-dessus d’elles des arcs construits de la même manière que les extérieurs, et adossés à eux. Au-dessus de ces huit arcs, en raison des proportions des fenètres qui les surmontent, l’édifice octagonal o( oktagōnos oikos) s’élèvera de quatre coudées. Ce qui s’élèvera au-dessus sera de forme conique (to de ap’ekeinou strobilos estai konoeides), la voûte contraignant la forme du toit à passer d’une large ouverture à un coin pointu…”. Di seguito ancora Gregorio si dilunga non solo sulla tecnica di costruzione, ma anche sulle capacità dei technitoi e sulla qualità dei materiali da utilizzare; infine cita “les colonnes du péristyle, qui ne sont pas moins de quarante”39. Non si sa se que- sto edificio fu poi costruito veramente, sebbene qualcuno lo creda sulla scorta di una lettera40, dove però Gregorio ricorda solo di essere entrato a Nyssa nel peristilio di una chiesa. Come giustamente sottolinea Maraval in proposito, non è affatto sicuro, anzi a mio avviso è dato incertissimo, che il labile riferimento alla chiesa e al peristilio sia da mettere in relazione con ilmartyrion ottagonale sopra descritto dallo stesso Gregorio41. Un’altra notizia che è da considerare con la dovuta cautela e prudenza ri- guarda una chiesa a pianta ottagonale, ora non più riscontrabile sul terreno, che sarebbe stata presente a Sivasa nei pressi di Gökçetoprak (Gülşehir, distretto di Nevşehir), particolarmente importante perché attestata, pur in un contesto del tutto rarefatto di casi, ancora una volta in Cappadocia e a non grande distanza da Tyana e assai minore da Nazianzo e Nyssa. Per essa ci si basa sostanzialmente su una foto e una planimetria pubblicate dapprima nel 1908 da Rott e successi- vamente nel 1979 da Restle che data la struttura alla prima metà-metà del VII secolo (Figura 15)42. La restituzione mostra una pianta molto simile alla nostra (quindi a perimetro libero), con l’abside poligonale sporgente e perfettamente orientata. La caratteristica della presenza di presbiterio e abside confermerebbe la funzione di chiesa, come d’altra parte altri esempi in ambito siriano che mo- strano più o meno marcate analogie (piante però soprattutto a pianta centrale,

39 Ep., 25, 11-14, pp. 295-299 (Marav.). 40 Ep., 6, pp. 164-171, in part. 10, p. 169 (Marav.). 41 Ep., 25, p. 288 s., nota 1 (Marav.). Sui casi di Nazianzo e Nyssa, cfr. anche Birnbaum (1914). 42 Si vedano Rott (1908, pp. 249-253, figg. 89-91); Restle (1979, pp. 74-82, in part. 80-82, e 132 s., 171, figg. 143-144, tav. 46); cfr. Thierry (2002, p. 85 s., figg. 14-15). Guido Rosada 359

Fig. 15. Sivasa (Turchia). Chiesa Fig. 16. Mir ‘âyeh e Zorava (Siria). Chiese ottago- ottagonale (Restle 1979). ne (Butler 1929; Lassus 1947). mistilinee o anche ottagonali iscritte)43. Due casi siriaci in particolare sembre- rebbero però mostrare spunti di confronto che, sebbene in maniera diversa, si possono comunque avvicinare al nostro: si tratta di una chiesa a Mir ‘âyeh e di un’altra a Zorava (Figura 16). Segnatamente la prima ha un impianto ottagonale libero e pilastri a definire tutt’attorno l’ambulacro interno; tuttavia, l’abside (in- ternamente curvilinea), che sporge dal perimetro poligonale, è affiancata da due vani (prothesis e diakonikon?) che così la rendono non visibile dall’esterno. Nella seconda, l’ottagono è iscritto in un quadrato e ha quattro nicchie curvilinee che si aprono su quattro lati contrapposti; pur con la presenza dei due vani laterali al presbiterio, l’abside poligonale è visibile dall’esterno44. Conta infine ricordare anche che un’indagine archeologica, datata ancora agli inizi degli anni Venti del secolo scorso, a Cafarnao in Galilea, portò alla luce una chiesa bizantina (V sec. d.C.) ottagonale, con piccola abside orientata (Figura 17), sorta su una preceden- te costruzione interpretata come “la casa di Pietro”45. Risulta in qualche modo interessante che questi ultimi esempi, tenendo in conto anche quello costantiniano, si trovino segnatamente in un contesto siria- co o comunque medio orientale, fatto che, insieme ad altri “segni”, mi sembre- rebbe confermare la dipendenza del tipo di chiesa presente a Tyana e comunque in ambito cappadoce da quel mondo culturale46, dove forse si elabora la sim-

43 In generale Butler (1929 e in particolare p. 122 ss., figg. 122, 124, 194). 44 Butler (1929, p. 170, fig. 195); Lassus (1947, p. 142 s.). 45 Per le notizie sugli scavi di Cafarnao (dal semitico Kfar Nahum ovvero “Villaggio di Nahum”), cfr. la collana Cafarnao I-IX, Jerusalem 1975-2007 e la bibliografia ivi riportata. 46 Come sembrano confermare anche le analogie di molti materiali ritrovati negli scavi di 360 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia)

Fig. 17. Cafarnao (Galilea). Chiesa ottagonale Cafarnao( 1975-2007).

Fig. 18. Tyana. Planimetria della cattedrale di II fase (Rossi 2016). Guido Rosada 361 bologia dell’ottagono applicandolo in qualche misura anche agli edifici di culto, diversamente che nell’ambito occidentale dove la stessa simbologia viene assai largamente adottata (quasi in maniera esclusiva), per i motivi che ho spiegato, nei battisteri. Successivamente, in un momento non precisabile, ma ragionevolmente com- preso tra IX e X secolo, a questo primo edificio di culto aTyana ne subentrò un altro che sulla quasi totale rasatura delle strutture più antiche (non è chiaro se a causa di eventi in relazione alle iniziali incursioni arabe, come sembra, o per al- tro motivo) imposta una planimetria del tutto differente e più canonica, a pianta basilicale (di larghezza complessiva uguale a quella dell’edificio precedente)47. Presenta infatti tre navate divise da grossi pilastri quadrangolari archivoltati e tre ingressi che si aprivano sulla fronte rivolta a occidente, forse dotata anche di

Tyana e insieme pure alcune tradizioni martirologiche. A riguardo di queste ultime, ricordo quella (formatasi pare tra IV e VI sec. d.C.) che identifica il milite che ferì con la lancia Cristo in croce o la guardia che fu posta a presidiare il suo sepolcro con Longino; questi in seguito si sarebbe convertito e sarebbe poi stato il primo a portare il messaggio cristiano in Cappadocia, divenendone addirittura il primo vescovo e infine anche martire. A una tale tradizione potrebbero rifarsi le testimonianze onomastiche di Longino nell’area tyanense relative a un vescovo, a un comes, nonché a un fedele che incide una invocazione a Dio sulla cornice di una lastra marmorea rinvenuta negli scavi della chiesa a Tyana (cfr. Lachin, Rosada 2014; Rosada, Lachin 2015 e bibl. di riferimento ivi). Sembrerebbe quindi che la suggestiva proiezione circa i rapporti della Cappadocia centro meridionale con le aree del cosiddetto Vicino/Medio Oriente possa avere un qualche ulteriore conforto valido. L’ipotesi di origine orientale della pianta ottagonale viene tuttavia definita da de Angelis d’Ossat come diffusa, ma derivata da un “principio errato” ovvero dal pensare che “tutti gli edifici ottagoni dell’occidente derivino dal mausoleo di Spalato (considerato orientaleggiante)…”. Di seguito cita una serie nutrita di casi di epoca romana (come la sala ottagona della Domus Aurea, la Torre dei Venti ad Atene “elevata da Andronikos nel I sec. a.C.”, le sale gemelle domizianee della Domus Augustana con nicchie semicircolari su sette lati, una sala delle terme di Bosra del II sec. d.C., la sala ora adibita a Planetario nelle Terme di Diocleziano a Roma, il padiglione d’ingresso alla Piazza d’Oro di Villa Adriana con nicchie su sette lati alternate semicircolari e rettilinee etc.) e ancora altri esempi più tardi in Italia, in Anatolia e nel Vicino Oriente (alcuni ricordati anche in questo mio contributo), per concludere infine che l’origine del tipo non è orientale, ma romana: “gli esempi elencati, che non risalgono oltre il IV sec., mostrano chiaramente che i costruttori degli antichi edifici ottagonali dell’Oriente, lungi dall’aver costituito l’archetipo per tale forma…non hanno che ripreso e diffuso -facilitati dall’espandersi del Cristianesimo- gli schemi romani…”(Angeli d’Ossat 1938, in part. pp. 14-21). Si deve tuttavia tenere in conto che lo studioso scriveva nel clima magniloquente della retorica fascista e la Roma antica era il riferimento archetipale sempre obbligato: questo senza contraddire gli esempi citati. 47 Ancora Shalev Hurvitz annota in proposito che “basilicas were rectangular structures and were relatively simple to build. They were usually roofed with wooden beams resting on straight walls or on internal colonnades, which were added to enlarge the internal space of the building, with known measurements and precise distances of spans…, whose calculations had been frequently tested. The basilica had long served for public gatherings, and was also a flexible structure for developing religion. An apse might be put at the end facing the entrance (usually the narrow side), thus emphasizing its longitudinal axis and the distance from God. It could be divided and re- divided into segments of different hierarchies, easily enlarged by lengthening the existing wings or adding side ones” (2015, p. 21). 362 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) un nartece (Figura 18). Pur in un contesto architettonico del tutto nuovo e diver- so, l’orientamento del presbiterio e dell’abside rimane uguale come nella chiesa ottagona (solo si operò un piccolo avanzamento verso la navata del presbiterio del cui limite più antico restano le tracce dei plutei e dei pilastrini impostati su cornicioni antichi di reimpiego che fungevano da base), anzi, probabilmente per economia di lavoro e di tempo, si scelse di riutilizzare, in parte almeno, quelle stesse fondazioni e fors’anche quel che restava degli alzati. Si mantennero in ogni caso in opera e in evidenza i muri obliqui dell’ottagono che si raccordavano a quelli del presbiterio e dell’abside: dovevano perciò ancora sussistere e appa- rire in buona misura riutilizzabili i resti visibili della più antica costruzione48. Si intervenne sui muri perimetrali unicamente laddove era indispensabile ovvero nel settore mediano e della facciata che fu allungato verso occidente in ragione della creazione delle navate e probabilmente, come si è detto, di un nartece. Non mi fermo sulla forma basilicale che naturalmente è ben nota e che bene viene riassunta nel XIII secolo nell’espressione itinerarium mentis in Deum di Bonaventura (che la desume dal pensiero di Agostino), rimarcando quella dire- zionalità spirituale che portava il fedele a proseguire dall’ingresso in chiesa fino alla sacralità dell’altare, dove stava il tabernacolo ovvero il sacro protetto da una tenda o da un velo49. Tra l’area che potremmo definire commerciale e quella segnatamente di cul- to, venne a collocarsi il battistero a cui abbiamo fatto cenno in principio (Figure 2, 4, 18). Questo, a differenza di quanto avvenne per la chiesa, non fu ricostru- ito e quindi mostra un’unica fase edilizia risalente al V-VI sec. d.C. (cronologia confermata anche dal ritrovamento di frammenti di iscrizioni che ricordano due vescovi tyanensi, di cui si conosce il periodo di attività)50. La struttura presenta una rasatura uniforme dei muri, segno di una spolia- zione sistematica già antica, ma questo non impedisce di vedere la buona fattura e il buon taglio degli elementi (in parte tuttavia anche di reimpiego) che doveva- no costituire gli alzati del complesso, soprattutto guardando alla zoccolatura in blocchi di marmo elegantemente modanati. Una tecnica che non sembra molto diversa, anzi piuttosto affine a quella della vicina chiesa ottagonale, ribadendo così anche la cronologia omogenea tra i due edifici. Al battistero si doveva accedere da una sorta di nartece, in origine ornato da un tessellato pavimentale figurato, oltre il quale, scendendo alcuni gradini, si entrava in un’aula rettangolare che probabilmente era nell’ordine della larghez-

48 Così i muri obliqui di raccordo tra navate laterali e presbiterio/abside connotano la nuova chiesa in termini del tutto peculiari, che non sembrano trovare riscontri. 49 Una separazione che sembra corrispondere al velo del Tempio di Salomone, che distingueva il Santo dal Santissimo, il luogo dove una volta all’anno entrava il Sommo Sacerdote. Cfr. Paul., Ebr., VI, 19. 50 Cfr. Rosada, Lachin (2010, p. 120). Guido Rosada 363 za divisa in tre vani di ampiezza pressoché uguale. Quello centrale ospitava in posizione eccentrica una vasca battesimale tetraconca e si prolungava in un’ab- side poligonale libera, del tutto simile planimetricamente a quella della chiesa, aggettante rispetto al corpo dell’edificio. Ora c’è da dire che nel contesto per così dire “orientale” siro-palestinese51 di V e soprattutto VI secolo il battistero si presenta per lo più come un edificio cubico isolato dalla chiesa o talora anche a pianta quadrangolare indipendente o accostato con abside sporgente (che può ricordare il caso tyanense), collocato in particolare, se il terreno lo consente, nel settore sud orientale dell’area cul- tuale. Anche nei casi di strutture connesse alla chiesa il corpo di fabbrica è so- litamente in sé autonomo, spesso con ambienti accessori a quello caratterizzato dalla vasca, la funzionalità dei quali è difficile da definire (come nel nostro caso), sebbene con buona ragione si possano pensare legati comunque alla ritualità precedente o seguente il battesimo52.

Fig. 19. Hierapolis. Cattedrale e battistero (Ciotta, Palmucci Quaglino 2002).

Segnatamente per quanto riguarda la planimetria, il battistero diTyana può trovare un qualche confronto con quello di Hierapolis/Pamukkale per la triparti- zione e la presenza dell’abside (curvilinea); tuttavia in questo caso l’edificio si ad- dossa lateralmente e perpendicolarmente all’altezza del nartece della chiesa (dal quale vi si accedeva) (Figura 19). Questa poi è orientata a nord est, mentre il bat-

51 Cfr. Butler (1929, passim, ma in particolare pp. 50-56, 64); Lassus (1947); Bagatti (1957, in part. pp. 217-219) e Dufaÿ (1988, tavv. III, XI-XII). 52 Cfr. Chavarria Arnau (2009, p. 79). 364 Disorientare la fede. Distonia nel complesso episcopale di Tyana (Cappadocia) tistero, a motivo della sua collocazione, ha l’abside volta a sud est; tuttavia c’è da dire che tali orientamenti sono conseguenti all’adeguarsi del complesso cristiano all’assetto urbano della città, alla vicina, grande piazza dell’agorá, ma soprattutto alla principale direttrice viaria (la cosiddetta via di Frontino) sulla quale la chie- sa si affacciava con il suo ingresso53. Tra altri esempi confrontabili con qualche ragione, uno, più interessante, ci porta a Gerasa in Giordania, dove l’edificio è tripartito, è dotato di nartece, ma ha l’abside iscritta e il medesimo orientamento sud est della chiesa a cui si addossa in parallelo (Figura 20)54.

Fig. 20. Gerasa (Giordania). Chiesa e battistero (Piccirillo 1989).

Nel nostro caso, il battistero diTyana è del tutto isolato dalla chiesa e questo probabilmente si deve alla morfologia in pendenza del terreno sul versante set- tentrionale dell’höyük, cosa che rendeva necessari più terrazzamenti per ospita- re il complesso ecclesiale al fine di meglio distribuire i carichi sul terreno stesso. Conferma del problema è il fatto che in un periodo successivo alla costruzione del battistero si rese necessario un intervento che grazie a setti murari a nord e a sud dell’edificio frazionò ancor più il terrapieno garantendo una maggiore “tenuta” del suolo. Ma se queste considerazioni spiegano la creazione di una struttura isolata rispetto alla chiesa, resta la questione circa l’orientamento del battistero che volge l’abside a nord est, differentemente da quella della chiesa perfettamente orientata. In realtà anche per questo “disorientamento” si po- trebbe trovare la spiegazione, dal momento che così disposto l’edificio meglio

53 Ciotta, Palmucci Quaglino (2002); Atlante Hierapolis (2008, pp. 100-101). 54 Kraeling (1938, pp. 201-219); Bagatti (1957, fig. 4.5); Piccirillo (1989, pp.487-491, fig. 20). Guido Rosada 365 si poneva sulla linea di pendenza del rilievo e meglio sfruttava la solidità delle sue fondazioni. Se questo è probabilmente vero ed è all’origine della costruzione non orientata, tuttavia da non trascurare è anche il fatto che se si guarda alla planimetria complessiva battistero-chiesa ottagona si può notare come il primo si trovi pressoché isoorientato con quel lato del poligono che va a innestarsi nell’abside della seconda, creando pertanto in questa fase edilizia una corri- spondenza che, insieme alla morfologia, faceva derogare da un orientamento omogeneo dei due edifici. Si veniva così a creare nel concreto uno spazio inter- posto tra battistero e chiesa funzionale non all’itinerarium mentis in Deum, ben- sì a un più razionale rapporto con la “forma” del terreno e con una circolazione dei fedeli che così meglio potevano accedere all’area cimiteriale posta a ridosso dell’abside della chiesa con sepolture per lo più perfettamente orientate.

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Orientamento delle chiese francescane in Basilicata

Lucio Saggese SIA, [email protected]

Abstract. In this work we investigate the orientation of the churches built by Franciscan friars in Basilicata. The homogeneous sample allows us to identify the possible orientations preferred by Saint Francis’s followers. The analysis highlights how the ancient indication – given by the Church – to build the places of worship with the apse eastward had been followed during the first centuries of Christianity, and then it was gradually abandoned. Other orientations were preferred, coinciding with the rise or the set of the Sun on specific dates. The archaeoastronomical data alone can’t allow us to get definitive conclusions, but they are a useful track for further multidisciplinary investigations.

Riassunto. Il presente lavoro indaga l’orientamento delle chiese costruite dai frati francescani in Basilicata. Si tratta di un campione di indagine abbastanza omogeneo, che permette di ricercare eventuali orientamenti privilegiati dai seguaci di San Francesco. L’analisi mette in evidenza come l’antica indicazione della Chiesa di costruire gli edifici di culto con l’abside rivolto ad est sia stata seguita nei primi secoli del cristianesimo e poi progressivamente abbandonata, soppiantata da altri orientamenti, coincidenti con il sorgere o il tramontare del sole in date particolari. I soli dati archeoastronomici qui discussi non permettono ovviamente di giungere a conclusioni, ma costituiscono un’utile traccia per ulteriori puntuali indagini multidisciplinari.

1. Introduzione

La comunità francescana ha avuto in Basilicata un’importante presenza, con conventi distribuiti uniformemente su tutto il territorio regionale. Nei secoli ci sono stati ben 135 insediamenti, che hanno toccato 73 degli attuali 146 comuni 370 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata e interessato tutte le famiglie dell’ordine1, con una prevalenza degli Osservanti. Nel complesso i conventi censiti dalla Soprintendenza ai Beni Artistici e Mo- numentali sono 117 perché alcuni hanno visto la presenza, in tempi diversi, di varie famiglie francescane2.

Fig. 1. Distribuzione delle famiglie francescane nei secoli in Basilicata.

I seguaci di san Francesco sono stati presenti in Basilicata sin dalla fonda- zione dell’ordine, ma è tra la fine del 1500 e l’inizio del 1600 che hanno avuto un notevole sviluppo. Il numero elevato degli edifici di culto attribuibili allo stesso ordine monastico e la distribuzione temporale ne fanno un buon campione per indagare eventuali criteri di orientamento degli stessi edifici.

2. Il campione esaminato

Per avere un campione statistico il più possibile omogeneo si è proceduto ad un’attenta analisi storica, che ha portato all’esclusione di alcune strutture. In particolare sono stati esclusi 8 conventi3 perché appartenuti precedentemente

1 Il primo ceppo francescano, nato quando san Francesco (1182-1226) era ancora in vita, è indicato con il nome Conventuali; nel 1334 con Giovanni della Valle e nel 1351 con Gentile da Spoleto, comincia il movimento detto dell’Osservanza da cui, agli inizi del secolo XVI, si staccano frati di più stretta osservanza della regola chiamatiRiformati, e nel 1525 i frati che prendono l’appellativo Cappuccini. Dal 1897 gli Osservanti e i Riformati sono riuniti nella famiglia dei Frati Minori. La famiglia femminile comprende invece le monache Clarisse. 2 Considerando la famiglia francescana che ha occupato per prima il convento si hanno 25 strutture dei Conventuali, 39 degli Osservanti, 14 dei Riformati, 29 dei Cappuccini e 10 delle Clarisse. 3 Acerenza, Sant’Antonio (1583); Banzi, Santa Maria (1667); Calvello, Santa Maria del Piano (1587); Lucio Saggese 371 ad altri ordini monastici (soprattutto benedettini e ordini di rito greco, comune- mente denominati basiliani), come pure non sono stati presi in considerazione quelli sorti intorno a chiese già esistenti, in tutto 184. In questo caso, infatti, l’orientamento era predefinito e non è possibile attribuirlo ai francescani. Sei strutture5 sono state escluse perché nate per altri scopi e poi adattate per ospi- tare i frati o le suore clarisse. Dal conteggio sono state escluse altre 20 strutture6 perché attualmente non sono ben identificabili, in quanto inglobate nel tessuto urbano o fortemente manomesse, o perché nel tempo è stata accertata la loro variazione di orientamento. Considerando infine le 13 strutture7 che risultano inesistenti perché distrutte da incendi e terremoti o demolite, rimangono 52 conventi con annessa chiesa, che costituiscono il campione dell’indagine.

3. Orientamento delle chiese

Per la determinazione dell’azimut delle chiese sono state utilizzate le immagini satellitari, in particolare quelle di Google Earth (si veda Balestrieri 2017; Militi et al. 2014); si tenga presente che si tratta di uno studio di massima, propedeutico ad un futuro rilievo sul campo. Per ogni edificio studiato sono state acquisite cinque misure di azimut riferite al colmo del tetto e ai muri perimetrali. Tale operazione

Episcopia, Santa Maria di Loreto o del Piano (1601); Grassano, Santa Maria del Carmine (1704); Lagonegro, Santa Maria degli Angioli (1560); Marsicovetere, Santa Maria di Costantinopoli (1566) e Monticchio, nel comune di Rionero, San Michele Arcangelo (1608). 4 Baragiano, Conventuali (1583); Castelluccio Inferiore, Sant’Antonio (1573); Colobraro, Sant’Antonio (1601); Forenza, SS. Crocifisso (1684); Genzano di Lucania, Santa Chiara (sec. XIV); Grottole, San Francesco (1601); Laurenzana, Santa Maria della Neve (1511); Lavello, Sant’Antonio (1504); Marsicovetere, Santa Maria dell’Aspro (Sec. XIII); Matera, San Rocco (1604); Moliterno, Santa Croce (1613); Montalbano Jonico, Sant’Antonio (1598); Pignola, San Rocco (1595); Potenza, Santa Maria del Sepolcro (1488); Ripacandida, San Donato (1605); Rotondella, Sant’Antonio (1646); Tricarico, Sant’Antonio (1479) e Santa Maria delle Grazie (1534). 5 Irsina, San Francesco (sec. XIII); Marsiconuovo, San Francesco (sec. XIII); Matera, Santa Chiara (1708), nato come ospedale, oggi ospita il Musero Ridola; Miglionico, San Francesco (1439); Muro Lucano, Santa Maria del Carmine (1608); Pietrapertosa, San Francesco (1474). 6 Abriola, San Giovanni Battista (1610); Accettura,San Francesco (1585); Barnalda, San Francesco (1601); Forenza, Santa Caterina (1516); Grumento Nova, Conventuali (1343); Irsina, Cappuccini (1570) e Santa Chiara (1655); Matera, San Francesco (sec, XIII); Melfi,Ognisanti (1441) e chiesa della Trasfigurazione (1582); Missanello, Santa Maria delle Grazie (1622); Muro Lucano, Sant’Antonio (1608); Noepoli, Conventuali (1586); Pignola, San Michele Arcangelo (1535); Potenza, monastero delle clarisse (1466) oggi trasformato in caserma dei Carabinieri; Ruvo del Monte, San Tommaso del Piano (1560); Stigliano, Santa Maria Lo Nova (1619); Tricarico, San Francesco (prima del 1343) Venosa, San Sebastiano (1591) e Santa Maria della Pace (1400). 7 Anzi, SS. Trinità (1585); Avigliano, San Giuseppe (1705); Genzano di Lucania, San Francesco (1630); Melfi,clarisse (1574); Potenza, Sant’Antonio La Macchia (1533), San Carlo (1602); Rapolla, Santa Maria in Fonteovino (1581); San Fele, convento di Sant’Antonio (1652); Sant’Angelo Le Fratte, convento di Santa Maria dell’Alleluja (1686); Tramutola, Santa Maria del Carmine (1615); Tricarico, Santa Chiara (sec. XVII); Tursi, conventuali (1567) e Venosa, San Francesco (1222). 372 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata

è stata ripetuta anche utilizzando le foto d’archivio, permettendo l’acquisizione di venti misure nella stragrande maggioranza dei casi studiati. Su tali dati è stata calcolata la deviazione standard (si veda l’esempio in Figura 2)8.

Data foto Azimut 1 Azimut 2 Azimut 3 Azimut 4 Azimut 5 media DV 01/08/15 231,01 231,20 231,05 231,69 231,08 231,21 0,28

18/07/11 230,68 230,49 230,67 230,14 230,80 230,56 0,26

07/08/06 231,24 231,09 231,28 231,39 231,73 231,35 0,24

24/06/05 230,50 231,48 230,27 231,39 231,61 231,05 0,62

Media delle medie e relativa incertezza direzione ingresso 231,04 0,76

Fig. 2. Convento della SS. Annunciazione a Brienza (PZ): esempio di misura di azimut.

Poiché solo in pochi casi il profilo dell’orizzonte è libero da ostacoli natu- rali, rappresentati fondamentalmente dai monti dell’Appennino lucano, è stato necessario misurare l’altezza dell’orizzonte naturale nella direzione dell’azimut per ricavare le date in cui è possibile vedere il sole sorgere o tramontare nella stessa direzione dell’asse della chiesa. Per le misure dell’altezza dell’orizzonte si è utilizzato ancora Google Earth e precisamente la funzione “Mostra profilo” che fornisce l’elevazione del rilievo e la distanza in linea d’aria (esempio in Fi- gura 3). Disponendo dell’azimut e dell’altezza si è ricavata la declinazione del sole nelle due direzioni dell’asse delle chiese9. Per associare poi le declinazioni del sole così ricavate alle date è stata utilizzata in prima battuta la formula di Cooper10 e successivamente è stato effettuato un controllo sia con il programma Stellarium sia con il software della reteEratostene 11. Infine, per poter effettuare più facilmente un confronto tra gli azimut degli assi delle diverse chiese, si è provveduto, quando necessario, a ricavare l’azimut

8 Per la metodologia da seguire si è fatto riferimento anche a www.uranialigustica. altavista.org/ edifici/incertezza.htm 9 Romano (1992; p. 196). 10 δ=23,45 sin[360 (284+n)/365], dove δ è la declinazione e n il numero del giorno nell’anno. 11 Reperibile in: https://eratostene.vialattea.net/jsa/jsa_UT_Sole.html. Lucio Saggese 373

Fig. 3. Convento di Sant’Antonio a Balvano (PZ) e misura del profilo dell’orizzonte

Fig. 4. Spostamento in azimut ΔA dovuto all’altezza dell’orizzonte naturale locale, calco- lato come ΔA = h sen(A0) tang(φ) dove h è l’altezza angolare e φ la latitudine del luogo.

per un’altezza del Sole pari a zero (A0 nella Figura 4) nelle date considerate, tenen- do così conto del fatto che un’altura o un ostacolo naturale ritarda il momento del sorgere del sole o ne anticipa il suo tramonto12. Tale operazione è stata effettuata, quando necessaria, per entrambi i versi dell’asse della chiesa, considerando l’oriz- zonte visibile dalla porta d’ingresso e quello oltre l’abside, per cui i due azimut A0 non risultano diametralmente opposti e vanno considerati separatamente. Poiché i conventi e le relative chiese venivano edificati, nei tempi passati, su alture e poggi, non sempre è stato necessario calcolare l’azimut A0. In 11 casi in- fatti, pari al 21%, non ci sono ostacoli naturali in nessuna delle due orientazioni e lo sguardo di chi sosta sulla porta d’ingresso della chiesa spazia su un orizzon- te pressoché libero; e se si prende in considerazione il prolungamento dell’asse della chiesa nel verso dell’abside, i casi che non necessitano di correzione do- vuta al profilo dell’orizzonte salgono a diciannove (il 36%). Per la metà dei casi

12 Spinazzè (2009; p. 32). 374 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata rimanenti, poi, la correzione si è mantenuta all’interno dei tre gradi di azimut. All’epoca delle edificazioni, i luoghi prescelti erano, come detto, delle alture e inoltre dovevano risultare un po’ isolate, anche se non dovevano essere molto distanti dai centri abitati. Quindi i conventi vanno immaginati non soffocati dai palazzi che si vedono oggi, ma con l’orizzonte libero da costruzioni umane. Va tenuto presente infatti che i Francescani erano e sono frati, e non monaci: pur conservando lo spirito mistico sull’esempio del santo fondatore, i frati sono molto legati alla vita degli uomini e i loro conventi sorgevano certamente nelle periferie, quindi un po’ in disparte, ma sempre ben collegati ai nuclei abitati13. Gli ostacoli che sono stati presi in considerazione, quindi, sono solo quelli natu- rali e posti a meno di 15 km di distanza.

4. Direzioni particolari

Dall’analisi degli orientamenti degli assi delle chiese studiate emerge che due costruzioni su tre sono orientate verso punti dell’orizzonte che ricadono nell’arco ortivo: 35 edifici infatti sono orientati verso punti dell’orizzonte che coincidono con il sorgere o il tramontare del Sole in qualche giorno dell’anno e solo 17 non seguono questa regola. In più, di questi 35 edifici “ortivi”, 30 (il 58% del totale) hanno un orientamento sia dalla parte dell’ingresso, sia dalla parte dell’abside. In cinque casi invece, a causa della presenza di rilievi montuosi nelle immediate vicinanze, l’orientamento ortivo risulta solo in un verso.

Fig. 5. Azimut delle absidi in funzione dell’anno di costruzione dell’edificio di culto.

13 Branco (2009; p. 74). Lucio Saggese 375

Fig. 6. Azimut degli ingressi in funzione dell’anno di costruzione dell’edificio di culto.

Osservando il grafico di Figura 5 si nota che un solo edificio di culto è posto lungo la linea meridiana, si tratta della chiesa di Santa Maria degli Angioli ad Avigliano, che fu edificata nel 1615 dai frati Riformati. Gli edifici di culto che sono orientati in direzione solstiziale risultano essere tre, tutti edificati dai frati Osservanti. Il primo è il convento di Balvano, edificato nel 1591 e dedicato a Sant’Antonio da Padova, che ha l’azimut di ingresso pari a 237,5°±0,6 e quindi guarda verso il punto dove tramonta il sole al solstizio d’in- verno. La direzione dell’abside, che non ha ostacoli naturali nelle vicinanze, ha invece un azimut di 53,2°. Il secondo caso riguarda il convento di Brienza, dedi- cato alla SS. Annunciazione. Edificato nel 1562, anche questo ha l’ingresso rivol- to verso il punto dove tramonta il sole al solstizio d’inverno (azimut 238,2°±0,8), mentre l’abside ha un azimut di 40,1°. Il terzo si trova a San Martino d’Agri14 ed ha l’ingresso rivolto al sorgere del sole al solstizio estivo, con un azimut di 59,0°±1,1. Da notare che i tre casi solstiziali individuati coinvolgono sempre gli ingressi degli edifici di culto e mai le absidi. Situazione opposta si ha invece considerando le direzioni equinoziali: lungo questa direttrice, infatti, sono stati individuati quattro edifici e viene coinvolta sempre l’abside. Inoltre, in tre casi è interessato il punto ovest e in un solo caso il punto est. Per un esame puntuale bisogna considerare che in due casi - chiesa di Sant’Antonio (1596) a San Mauro Forte e chiesa di San Francesco (1612) a Lago- negro - gli edifici in questione sono stati edificati quando era in uso il calendario

14 Si tratta del convento di Sant’Antonio da Padova e risale al 1572. 376 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata

gregoriano. Tenendo presente i rilievi dell’orizzonte, i loro azimut A0 sono risul- tati essere rispettivamente 270,0° e 269,1° dal lato dell’abside; dalla parte dell’in- gresso invece l’orizzonte è libero e il sole sorge secondo gli azimut misurati, cioè 84,2° e 75,2°. Quindi si può ipotizzare una direzione equinoziale verso ovest. Diverso il discorso per le altre due chiese, entrambe dedicate a San Francesco, quella di Carbone del 1548 e quella di Tursi del 1441, edificate quando era in vi- gore il calendario giuliano. Per la prima l’azimut dell’abside è pari a 269,4° mentre l’ingresso è rivolto verso il paese, adagiato lungo il crinale della montagna che sovrasta la chiesa e la piazzetta antistante, innalzando notevolmente l’orizzonte. L’unico azimut misurabile quindi indica il punto ovest, ma nel calendario giuliano esso corrisponde alle date del 9 marzo e del 14 settembre, che non coincidono con i giorni degli equinozi. Un messale15 del XIV secolo, conservato a Chiaromonte, quindi nella stessa zona che stiamo prendendo in esame, riporta esplicitamente la notazione “equinocium” al 21 marzo e al 20 settembre. Per ipotizzare che l’absi- de di Carbone sia intenzionalmente equinoziale, bisogna quindi presupporre una misurazione di tipo astronomica e non la relativamente semplice osservazione del tramontare del sole in un giorno particolare. Il 14 settembre liturgicamente è co- munque una data importante, perché corrisponde alla festa della Croce, riportata anche nel messale appena citato come “Exaltacio sante crucis”. L’altro caso è concettualmente simmetrico a quello di Carbone. La chiesa di San Francesco in Tursi ha azimut di ingresso di 269,2° e per questo punto ovest vale quanto già detto. L’abside, invece, gode di un orizzonte libero da ostacoli e il suo azimut è di 84,8°. Ora, tale azimut corrisponde, nel calendario giuliano, al 6 settembre e al 21 marzo, giorno dichiarato essere quello dell’equinozio. In questo caso potrebbe avere senso ipotizzare che i costruttori, per determinare l’asse della chiesa, abbiano osservato il sorgere del sole nel giorno che tutti ritenevano corrispondere all’equinozio, giorno comunque fondamentale per la determinazione della Pasqua, oltre che ricorrenza di San Benedetto. Da notare che tra le due costruzioni passa un secolo e, ricordando la storia che ha portato alla riforma del calendario, non è assurdo ipotizzare che dalla semplice osservazione del punto di levata del sole nel giorno da tutti ritenuto corrispondente all’equinozio di primavera (effettuata nel 1441), si sia passati al calcolo astronomico per superare la discordanza nel frattempo messa in luce tra date del calendario e fenomeni astronomici. Al di là dei singoli casi, che pure hanno una loro importanza, ciò che si nota maggiormente osservando i grafici delle Figure 5 e 6, che riportano la distribu- zione degli azimut in funzione dell’anno di costruzione, è che l’indicazione data dalla Chiesa nei primi secoli di costruire gli edifici di culto con l’abside rivolto verso est è seguita solo fino al 1500 circa; dalla seconda metà del XVI secolo gli

15 Lasalvia (2013; pp. 257-333). Lucio Saggese 377 edifici di culto dei francescani in Basilicata assumono direzioni ben diverse. Per ogni edificio che dopo il 1500 ha l’abside rivolto verso est, ne sorgono due con l’orientazione opposta e altri due che sono fuori dell’arco ortivo.

5. Date ricorrenti

Concentrando l’attenzione sugli edifici di culto il cui asse ricade all’interno dell’arco ortivo, si è cercato di individuare qualche eventuale correlazione tra l’azimut della chiesa e la data corrispondente al sorgere o al tramontare del sole. Poiché l’arco temporale di edificazione degli insediamenti francescani presi in esame è piuttosto ampio e si trova a cavallo della riforma del calendario, si è ritenuto opportuno analizzare separatamente le costruzioni realizzate quando era in vigore il calendario giuliano e quelle costruite dopo l’entrata in vigore della riforma gregoriana. I grafici nelle Figure 7 e 8 mettono in evidenza quanto già mostrato dall’ana- lisi degli azimut: non c’è una distribuzione uniforme, ma le linee si addensano intorno ad alcune date particolari. Per individuare la festività cristiana legata alle date che risultano dai calcoli di azimut incrociati con l’anno di costruzione dell’edificio, ci si è serviti del già citato messale conservato a Chiaromonte, per essere certi che, all’epoca, il santo fosse venerato nella zona. Osservando il grafico di Figura 7 si nota un addensamento di linee intorno al 20 agosto, festa di San Bernardo di Chiaravalle (1090-1153), cistercense: è una data che corrisponde al sorgere del sole, visto per cinque volte dal lato delle absidi e per una volta dal lato dell’ingresso. Anche il 10 agosto, festa di San Lorenzo, è una data ricorrente e compare tre volte all’alba, lato ingresso, e una volta al tramonto, lato abside. Tre chiese hanno l’ingresso rivolto verso il punto dove tramonta il sole nei giorni tra il 7 e il 10 marzo. Ora, il calendario citato per queste date riporta solo “S. Thome de aquino”, e quindi San Tommaso potrebbe essere il santo a cui hanno guardato i costruttori, nell’ipotesi – qui solo indicata come traccia di lavoro – che ci sia una certa intenzionalità tra l’orientazione della chiesa e il fenomeno astronomico. Se per le chiese più antiche, edificate quando era in vigore il calendario giuliano, l’individuazione di una possibile corrispondenza tra alcune date e la venerazione di un santo è facilitata dall’esiguo numero di santi presenti in ca- lendario, ciò non è più vero con il trascorrere dei secoli, quando ogni giorno è dedicato ad uno o più santi. Consci di questa difficoltà si può comunque tentare una lettura del grafico di Figura 8, che si riferisce alle date del calendario gre- goriano, perché anche qui si notano degli addensamenti. Una data particolare potrebbe essere il 4 ottobre, festa di San Francesco. Ricorre una volta tra le date del calendario giuliano e quattro volte nel calendario gregoriano. Dallo stesso 378 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata

Fig. 7. Date del calendario giuliano corrispondenti agli assi delle chiese.

grafico si nota una concentrazione di linee intorno a due date particolari: il 2 febbraio, festa della Purificazione di Maria, nota come la Candelora, e l’11 no- vembre, festa di San Martino.

6. Conclusione

Si potrebbero ipotizzare corrispondenze tra festività e orientamento delle chiese, ma sarebbe alquanto inutile perché si tratta appunto di ipotesi, poggiate solo su una fragile coincidenza che una semplice analisi statistica potrebbe di- mostrare del tutto casuale. Quali conclusione, quindi, trarre? L’analisi sulle chiese di sicura origine francescana in Basilicata ha messo in evidenza un aspetto importante, che cioè le indicazioni delleConstitutiones Lucio Saggese 379

Fig. 8. Date del calendario gregoriano corrispondenti agli assi delle chiese.

Apostolicae16 sono state rispettate solo fino al 1500 circa; poi evidentemente è subentrato un altro modello culturale in base al quale gli edifici di culto hanno assunto altre orientazioni; queste ultime non sembrano casuali, ma per esser- ne certi bisognerebbe allargare il campione preso in esame o confrontarlo con quanto realizzato da altri ordini monastici. Un indizio però lascia supporre che tra festività particolari e orientazio- ne dell’asse della chiesa vi sia una certa correlazione, da indagare attraverso l’apporto di altre discipline. Questo indizio scaturisce dallo studio della chiesa di San Michele Arcangelo, costruita nel 1618 a Sant’Arcangelo (PZ) dai frati Riformati. L’ingresso guarda verso un punto dell’orizzonte dove sorge il sole il

16 “Ac primo quidam aedes sit oblunga ad orientem versa ex utraque parte pastophoria versus orientem habens et quae navi sit similis” (Constitutiones Apostolicae, II, 57). 380 Orientamento delle chiese francescane in Basilicata

2 febbraio e il 10 novembre, l’abside invece è rivolto al tramonto del 13 maggio e del 30 luglio circa. Considerato il santo a cui è dedicata la chiesa, festeggiato l’8 maggio, si è in un primo momento pensato che l’orientazione da considerare fosse quello dell’abside e la data da verificare il 13 maggio, con una discrepanza non proprio trascurabile. Successivamente però, grazie al confronto con uno storico locale, si è venuti a conoscenza della presenza in chiesa di una iscrizione che ricorda la consacrazione dell’edificio di culto al “tertiuo idus Novembris”, l’11 novembre, una data molto prossima a quella calcolata per il sorgere del sole visto dalla parte dell’ingresso. La testimonianza epigrafica ho fornito così una motivazione alle risultanze dei calcoli archeoastronomici: non è ancora la dimostrazione di una intenzionalità, ma è di sicuro un indizio da non trascurare.

Fig. 9. Convento dei frati Riformati a Sant’Arcangelo e lapide che fissa la dedicazione della chiesa all’11 novembre 1618.

Il lavoro realizzato va visto quindi come spunto per ulteriori indagini e ana- lisi, gli orientamenti individuati come indizi per approfondimenti da condurre applicando i metodi statistici, e le corrispondenze con le date come elementi per intraprendere un’indagine pluridisciplinare.

Bibliografia

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L’orientamento della prima moschea di Gerusalemme sul Monte del Tempio

Michelina di Cesare¹, Costantino Sigismondi2 ¹Sapienza Università di Roma, [email protected] 2ICRA/Sapienza, Istituto G. Ferraris, Roma, [email protected]

Abstract. Since the second half of the 9th century mosques have been oriented in the direction of the Ka‘ba in Mecca (qibla). Before that date, instead, they reproduced the orientation of the Ka‘ba, the N-S axis of which is aligned with the rising point of Canopus. This fact, along with information gained by reading Ya‘qūb of Edessa, an 8th-century source, would explain the planimetric oddities presented by the first mosque built in Jerusalem (Aqsa I) on the platform of Herod’s Temple. Moreover, by investigating the orientation of the latter, it is possible to ascertain that its N-S axis was oriented toward the the rising point of Canopus in 20 B.C. within 16 arcminutes. Therefore, Herod’s Temple and the Ka‘ba had the same orientation.

La prima moschea di Gerusalemme

Secondo la tradizione islamica la prima moschea di Gerusalemme (Aqṣā I) sarebbe stata costruita da ‘Umar b. al-Khaṭṭāb (634-644) sul Monte del Tempio (Figura 1), addossata al muro sud della spianata erodiana e orientata appros- simativamente in direzione di Mecca. Fonti cristiane ed ebraiche fanno invece propendere per una datazione della prima fase costruttiva della moschea al periodo di regno di Mu‘āwiya I (661-680). La recente rilettura dei risultati dello scavo archeologico condotto tra il 1938 e il 1942 ha rivelato che Aqṣā I era presumibilmente orientata verso est, dato che collima con la pratica, atte- stata nel periodo di regno di Mu‘āwiya, di dare alle moschee un orientamento astronomico (Di Cesare 2017). 384 L’orientamento della prima moschea di Gerusalemme sul Monte del Tempio

L’orientamento astronomico delle prime moschee

Gli studi di King (1982, 1995; Hawkins – King 1982) hanno dimostrato che i casi di qibla aberrante – cioè non corrispondente alla direzione della Ka‘ba a Mecca – sono in realtà dovuti alla riproposizione dell’orientamento stesso della Ka‘ba: asse maggiore orientato verso il punto ortivo di Canopo, 148° (direzione S), asse minore perpendicolare ad esso, 58° (direzione E). Dovunque si trovasse- ro, i fedeli avrebbero pregato rivolti verso la direzione corrispondente a quella di un muro della Ka‘ba (Figura 2): in al-Andalus, Maghreb, Ifriqiya, Egitto rivolti verso S-W, in al-Shām verso N-W, in ‘Iraq e Iran verso N-E, in Yemen verso S-E. Tuttavia, sfugge l’asse di riferimento per questa ripartizione territoriale e il caso della prima moschea di Gerusalemme costituirebbe un’eccezione.

Fig. 1. Gerusalemme, Monte del Tempio/al-ḥaram al-sharīf visto da sud-est. Al centro la Cupola della Roccia (691/692); davanti con cupola nera: moschea al-Aqṣā. La struttura attuale della moschea è il risultato di una stratificazione di interventi di ricostruzione e restauro avvenuti dal VII al XX secolo.

Lo scavo archeologico condotto da R.W. Hamilton (1949) tra il 1938 e il 1942 ha permesso di individuare tre fasi costruttive della moschea, convenzional- mente indicate come Aqṣā I, Aqṣā II, Aqṣā III. Da Hamilton in poi, gli studiosi hanno ritenuto che Aqṣā I, la struttura più antica, fosse orientata verso sud e presentasse quindi un’anomalia: le navate perpendicolari al muro qiblī, una soluzione planimetrico-architettonica che nel periodo omayyade è attestata sol- Michelina di Cesare - Costantino Sigismondi 385 tanto in Aqṣā II. Questa proposta ricostruttiva (Figura 3), basata sulla rilettura del dato archeologico e sullo studio dell’orientamento delle moschee nel perio- do protoislamico, individua il muro qiblī nel lato est della struttura. In questo modo, oltre a risolvere vari problemi relativi all’interpretazione di singoli ele- menti strutturali, la planimetria è riconducibile alla tipologia omayyade della moschea con navate parallele al muro qiblī.

Fig. 2. Orientamento della Ka‘ba e direzione della preghiera nelle regioni della dār al- Islām tra il VII e l’VIII sec. (riaadattato da King 1995).

La testimonianza di Ya‘qūb di Edessa

Un testo fondamentale per la soluzione di questa aporia è costituito da una lettera di Ya‘qūb, vescovo di Edessa (m. 708) a Yūḥannā lo Stilita, in cui si dice che ebrei e musulmani pregano, rispettivamente, verso il Tempio di Gerusalem- me e verso la Ka‘ba a Mecca: in Egitto verso Est, in ‘Iraq verso Ovest, in Siria verso Sud, e, a sud della Ka‘ba, verso Nord. Dal suo Hexaemeron si evince che Ya‘qūb intende con Siria la regione sud-orientale dell’Anatolia: l’asse N-S di riferimento per questa ripartizione sarebbe dunque la direzione Anatolia sud-o- rientale – Yemen e l’asse E-W la direzione Egitto – Iraq. Benché Gerusalemme e Mecca non si trovino all’intersezione di questi assi, il discorso resta comunque valido se si suppone che i muri della Ka‘ba e le mura del Tempio avessero uno stesso orientamento astronomico. 386 L’orientamento della prima moschea di Gerusalemme sul Monte del Tempio

Fig. 3. Proposta ricostruttiva della planimetria di Aqṣā I (Di Cesare 2017).

L’orientamento del Tempio di Gerusalemme

Le direzioni sono prese con la massima risoluzione consentita dalle imma- gini Google maps per il luogo (Figura 4), che è di circa 2 m (Sigismondi 2012). Il muro meridionale è lungo 274 m, ipotenusa del triangolo con cateti 270 m e 51 m, che formano un angolo di 10.70° con l’orizzontale (che è la direzione Est-O- vest nelle mappe orientate di Google maps). L’azimut del muro meridionale ri- sulta di 79.30°±0.5°. In Figura 4 sono riportati gli azimut dei quattro muri, con l’incertezza di almeno mezzo grado. Le mura della spianata sul Monte del Tempio di Gerusalemme insistono su quelle fatte costruire da Erode dal 20-19 a.C. La spianata ha un perimetro trapezoidale, ma le mura occidentali e quelle meridionali formano quasi un an- golo retto: le prime sono orientate a 169o 39’ (direzione S), le seconde a 79o 44’ (direzione E) (Figura 4). Oggi Canopo sorge a Gerusalemme ad un azimut di 168o 47’, ma era 169o 24’ nel 20-19 a.C.: la spianata del Tempio erodiano, considerata come un rettangolo, aveva dunque l’asse maggiore (N-S) orientato verso il pun- to ortivo di Canopo, proprio come la Ka‘ba. Se dunque il Tempio e la Ka‘ba avevano lo stesso orientamento, e poiché Gerusalemme si trova ad ovest dell’asse Anatolia sud-orientale – Yemen, il fatto Michelina di Cesare - Costantino Sigismondi 387

Fig. 4. Orientamento della spianata del Tempio/al-ḥaram al-sharīf. che Aqṣā I fosse orientata verso est non costituisce un’eccezione ma rientra nella casistica dell’orientamento delle moschee più antiche.

Bibliografia

Di Cesare M. (2017) A qibla mušarriqa for the First al-Aqṣà Mosque? A New Stratigraphic, Planimetric, and Chronological Reading of Hamilton’s Excavation, and Some Considerations on the Introduction of the Concave miḥrāb. Annali. Sezione orientale LXXVII, 66– 96. Hamilton R.W. (1949) The structural History of the Aqsa Mosque: A Record of Archaeological Gleanings from the Repairs of 1938-1942, Jerusalem 1949. Hawkins G.S., King D.A. (1982) On the Orientation of the Ka‘ba. Journal for the History of Astronomy XIII, 102–9. 388 L’orientamento della prima moschea di Gerusalemme sul Monte del Tempio

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Costantino Sigismondi1, Carlo Calore2 1ICRA/Sapienza, Istituto G. Ferraris, Roma, [email protected] 2Facoltà di Ingegneria, Università degli Studi di Padova

Abstract. The ecliptical belt of the ‘ Farnese’, a statue at the National Archaeological Museum of Naples, has been studied using photogrammetry. The obliquity of the ecliptic is deduced to be 24.1°±0.5°, and the Northern and Southern width asymmetry of the belt with respect to the ecliptic is in agreement with Ptolemy’s table of planetary inclinations in the XIII Book of the Almagest.

1. L’Atlante Farnese nella storia dell’astronomia

La statua dell’Atlante Farnese, trovata a Roma nel 1550 e oggi al Museo Ar- cheologico Nazionale di Napoli, fu venduta da un antiquario al Cardinale Ales- sandro Farnese nel 1562, e collocata a palazzo Farnese a Roma. Fu studiata nel 1695 da Francesco Bianchini e Giandomenico Cassini1, e restaurata tra il 1786 e il 1800 da Carlo Albacini2. È alta 1.85 m, e l’Atlante mitologico inginocchiato porta un globo di 65 cm di diametro con raffigurate le costellazioni ed i cerchi notevoli della sfera celeste. Probabilmente esisteva un originale greco in bronzo, e forse questa statua ornava la biblioteca del foro di Traiano. L’opera stilistica- mente appartiene al II sec. d.C., ma probabilmente il modello di riferimento è del II sec. a.C. Bianchini (1752) propose di datarla al 158 d.C. per averla trovata raffigurata su una moneta di Antonino Pio. Schaefer (2005) ha ricostruito con un metodo di fotogrammetria la posizio- ne di 70 stelle sulla sfera celeste, con una precisione media di 2.5°. Ricordiamo

1 Bianchini (1752). Per un’analisi del lavoro di Bianchini, con considerazioni critiche, si veda Tinazzi (2005). 2 Soprintendenza Napoli e Caserta, Atlante Farnese (6374); Valerio (2005). 390 Studi prospettici sulla fascia dell’eclittica dell’Atlante Farnese che Vitruvio3, quasi due secoli prima di Tolomeo, descriveva le costellazioni in modo visivo rifacendosi forse ad un modello simile. L’Atlante Farnese è stato oggetto di numerosi studi nelle ultime decadi (si veda per esempio la bibliografia in Tinazzi 2005). Nella presente breve nota ripor- tiamo alcune osservazioni che ci sembra non siano state ancora rilevate da altri.

2. Misure da una foto: fotogrammetria di una sfera

Poiché Schaefer (2005) ha presentato dettagliatamente il metodo fotogram- metrico adottato per ricavare le coordinate di tutti i punti notevoli della sfe- ra, noi ci limiteremo solo alle misure dell’ampiezza della fascia zodiacale e alla sua inclinazione sull’equatore celeste. Siamo così al riparo da possibili critiche (Duke 2006), sia per la semplicità del metodo, sia perché non siamo legati all’i- dentificazione di una stella particolare o di una costellazione. Si centra la foto sul punto dove l’eclittica interseca l’equatore (il punto γ), in modo da trovarsi esattamente sulla sua verticale. Da questo punto non si soffro- no deformazioni angolari nell’intersezione dell’eclittica con l’equatore, e sono minime quelle della fascia zodiacale che avvolge l’eclittica. Inoltre poiché i bordi della sfera sono equidistanti dal punto di osservazione, le misure di ampiezza della fascia zodiacale si possono fare anche in prossimità del bordo. Centrando il campo di vista sul punto γ si limitano al massimo le deformazioni angolari dell’ottica delle lenti della camera fotografica ai bordi della sfera, rendendole possibilmente tutte uguali (cioè le distorsioni presenti ai bordi sono le stesse in tutte le direzioni). Ciò consente di fare le misure con sufficiente approssimazio- ne. Ricordiamo che, per angoli piccoli, l’arco si può ritenere coincidente con la sua proiezione sul piano tangente.

3. Confronto con l’Almagesto di Tolomeo

Tolomeo4 ci ha trasmesso i migliori modelli geometrici del sistema planeta- rio, con i quali cercava di “salvare i fenomeni”, ma l’astronomo che ha definito le ampiezze dei cerchi della sfera Farnese avrebbe potuto disporre di osservazioni diverse, secondo le quali Marte raggiungeva la massima latitudine eclitticale con 7.1° nel limite Sud, mentre Venere arrivava a 6.4° a Nord. Tutti gli altri pia- neti e la Luna appaiono restare all’interno di questi valori.

3 De Architectura IX, 7. 4 Almagesto XIII, 5; Toomer (1998). Costantino Sigismondi, Carlo Calorei 391

4. Tentativi di datazione

Francesco Bianchini (1752) propose che i dati di riferimento per le stelle dell’Atlante Farnese fossero del 56 a.C., basandosi sulla precessione valutata in 3° cioè 214 anni (l’eclittica, l’equatore e il coluro non appaiono intersecarsi esattamente, cfr. Figura 2), e sulla testimonianza numismatica dell’epoca di An- tonino Pio 158 d. C. dell’esistenza di questa statua (Valerio 2005).

Fig. 1. Globo dell’Atlante Farnese visto dal retro; centri di foto (asse ottico) e sfera.

In linea di principio, poiché l’obliquità dell’eclittica, ε, oscilla tra 22° e 24° in 41 mila anni (Laskar 2011), conoscendo ε si potrebbe risalire all’epoca cor- rispondente, purché l’obliquità sia nota con adeguata precisione. Al tempo di Ipparco (128 a.C.) ε era 23° 50’, e a quello di Tolomeo (137 d.C.) ε era 23° 44’: la differenza tra i due valori appare molto piccola. Gli angoli formati dall’eclittica (linea al centro in Figura 2) e dai due estremi della fascia con l’equatore, sono stati misurati a partire dalla foto. Benché il centro ottico e quello della sfera siano a destra dell’Ariete, l’angolazione è ben rappresentata nei tre casi. I valori che si ottengono (tra 23.7° e 24.8°), tuttavia, mostrano che il metodo applicato a questo problema è inconcludente. 392 Studi prospettici sulla fascia dell’eclittica dell’Atlante Farnese

Si è supposto che la statua appartenesse alla biblioteca del foro di Traia- no; l’analisi stilistica la pone comunque al II secolo dopo Cristo, in un’epoca contemporanea all’Almagesto di Tolomeo5. Il modello o i dati di riferimento per le posizioni delle stelle potrebbero essere stati quelli del tempo di Ipparco, eventualmente opportunamente aggiornati, come Tolomeo fece nell’Almagesto “precessionando” le stelle del catalogo di Ipparco.

Fig. 2. Le inclinazioni della fascia eclittica misurate alle tre intersezioni con l’equatore.

5. Misure effettuate

L’inclinazione media dei tre cerchi della fascia zodiacale sull’equatore, ci- tati nella precedente Sezione, ha fornito un valore dell’obliquità dell’eclittica ε=24.1°±0.6°, che è in accordo con quello di Schaefer (2005), ε=23.85°±0.9°, entro le incertezze. L’intersezione tra eclittica ed equatore è spostata di 4.6° rispetto al colu- ro equinoziale, corrispondenti a 332 anni (precessione: 50’’/anno); ciò farebbe pensare che i dati della sfera siano stati ulteriormente “precessionati” rispetto a quelli dell’epoca di Ipparco (190-120 a. C.).

5 http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale/itineraritematici/galleria-di- immagini/RA104 Costantino Sigismondi, Carlo Calorei 393

L’ampiezza della fascia eclittica superiore e quella inferiore sono compatibili con quelle nell’Almagesto di Tolomeo, dove troviamo gli allontanamenti estremi dall’eclittica pari a 7°07’ per Marte a Sud e 6°22’ per Venere a Nord, quali valori massimi raggiunti tra tutti i pianeti e la Luna. Infatti, l’asimmetria Nord – Sud è ben visibile al centro della sfera dell’Atlante, vicino all’asse ottico della camera fotografica. L’ampiezza della fascia Nord misura 6°15’, e quella della fascia Sud 7°10’, in accordo quindi con l’Almagesto.

6. Antiche rappresentazioni della sfera celeste con la fascia eclittica

Riportiamo qualche altro esempio di sfere celesti del passato. La statua dell’Urania Farnese, del primo quarto del II secolo d.C., conservata al Museo Archeologico Nazionale di Napoli6, ha in mano una sfera celeste, ma è stata aggiunta da un antico restauratore. La sfera porta l’indicazione dell’eclittica con la relativa fascia, rappresentata con tre cerchi paralleli e inclinati. In questa rap- presentazione manca l’equatore.

Fig. 3. Insegna imperiale di Massenzio (Roma Palazzo Massimo) e Immacolata Concezione al Gesù nuovo a Napoli.

6 http://cir.campania.beniculturali.it/museoarcheologiconazionale/itineraritematici/ galleria-di- immagini/RA00427653 394 Studi prospettici sulla fascia dell’eclittica dell’Atlante Farnese

Nelle Insegne imperiali di Massenzio (Museo Nazionale Romano Palazzo Massimo) troviamo l’Orbe, la sfera celeste che simboleggiava l’Universo intero su cui l’Imperatore dominava. Non è presente la fascia eclittica (Figura 3). I candelabri “Coppia di Splendori”, conservati nel Tesoro di San Gennaro a Napoli, maestosi e ricercati nelle rifiniture, sono stati realizzati da Filippo del Giudice nel 1745 (Figura 4). L’altezza è di 3.6 m, con figure allegoriche di putti, e alla base hanno una sfera celeste con fascia zodiacale7. L’Immacolata Concezione dell’altare maggiore del Gesù Nuovo, sempre a Napoli, mostra la tipologia della Regina Coeli rappresentata con ai piedi la sfera celeste. Ha una fascia eclittica dorata, più sottile rispetto a quella dell’Atlante Farnese (Figura 3).

Fig. 4. I candelabri in argento del tesoro di S. Gennaro (Napoli).

7. Conclusioni

La conclusione principale di questa nota è che la metà settentrionale della fascia eclittica rappresentata sul globo dell’Atlante Farnese appare più stretta rispetto a quella meridionale. Ciò concorderebbe con le latitudini o inclinazio- ni massime raggiunte dai pianeti sopra e sotto l’eclittica riportate da Tolomeo nell’Almagesto.

Bibliografia

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7 http://www.armandoarcovito.it/recupero-artistico-opere-in-argentocommittente-fondazione- roma-musei/ Costantino Sigismondi, Carlo Calorei 395

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Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù

Maria Luisa Tuscano [email protected] SIA, SISFA

Abstract. We present some observational results of solar light effects during some peculiar dates in the Cathedral of Cefalù, the Norman monument founded by Roger II. These results suggest the connection of the architectural structure of the building with the study of the sky for calendar needs.

1. Introduzione

Il ruolo della luce nelle strutture normanne è stato già oggetto di ricerca sia per quanto attiene i fenomeni astronomici sia per le implicazioni di ordine litur- gico in cui gli spazi, le sculture e le decorazioni assumono un peculiare valore simbolico1. Negli ultimi anni è nato un nuovo interesse per i fenomeni luminosi che si verificano nel Duomo di Cefalù all’interno del transetto e che orientano a verificare se la struttura della chiesa sia stata organizzata per ricavare infor- mazioni astronomiche non solo per finalità teologiche ma anche per misurare il tempo. Questa relazione, che non si considera conclusiva, propone alcune riflessio- ni sugli elementi sperimentali recentemente ottenuti, facendo anche riferimen- to ad alcune considerazioni di uno studio pregresso sul ruolo di Ruggero II nella sorveglianza del calendario2.

1 Per la lettura teologica attraverso le ierofanie del Duomo consultare Valenziano (1995), e per le assonanze costruttive con le chiese siriane, Di Bennardo (2005). 2 Tuscano M.L. (2014a). 398 Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù

2. Il Duomo normanno

Il Duomo di Cefalù, dedicato al Santissimo Salvatore, è uno dei più significa- tivi edifici normanni e il Cristo Pantocratore dell’abside, nel 2013, è stato eletto icona mondiale dell’anno della Fede (Figura 1). La Cattedrale fu costruita a par- tire dal 1131 per volontà di Ruggero II, che intendeva farla diventare il mausoleo di famiglia. A tal fine, egli fece realizzare due tombe in porfido da collocare nei bracci laterali del transetto, indicando in un diploma del 1145 quella destinata alla sua sepoltura. Dopo la morte nel 1154 di Ruggero II a Palermo, il sarcofago di porfido fu, però, trasportato nella Cattedrale palermitana e la salma del re non tornò più a Cefalù3.

Fig. 1. Il Cristo Pantocratore del Duomo di Cefalù (foto: cortesia di Alessandro Varzi).

La stratificazione storica della chiesa rende complesso il suo studio, come evidenzia l’articolata bibliografia sul monumento, in particolare quella relativa ai lunghi lavori di restauro curati dai Beni culturali della Regione Sicilia nel secolo scorso. Da quest’ultima soprattutto si attingono alcuni elementi informa- tivi come preliminari per l’attuale esposizione. La cattedrale, fondata il 7 giugno, Domenica di Pentecoste, fu realizzata per gradi, ma in forma più contenuta rispetto al progetto originario, più ampio e complesso che Ruggero II aveva previsto; essa risulta, perciò, costituita dall’as-

3 Malgrado la supplica dei Canonici del Duomo per far trasportare la salma del monarca a Cefalù, Ruggero II fu sepolto nella Cattedrale di Palermo ma in un altro sarcofago. Maria Luisa Tuscano 399 semblaggio di nuclei di fabbrica, pur mantenendo, comunque, una sua unitaria identità (Figura 2). La sua imponenza è valorizzata dalla posizione sopraelevata sul promontorio di Cefalù, da cui si propone nella sua regalità soprattutto se osservata dal mare. Con struttura a croce latina, con tre navate e un profondo presbiterio affian- cato da protesi e diaconico, il Duomo è dotato di un transetto ampio (con invaso di 8,90 metri x 38 metri circa) e molto sporgente rispetto alla nave piuttosto breve (Figura 3). In particolare il braccio rivolto a settentrione è ritenuto nel suo sviluppo altimetrico il primo e più alto riferimento a cui si sono adattate le altre strutture murarie; d’altronde questa era la zona prescelta dal re per il posiziona- mento del proprio sarcofago.

Fig. 2. Duomo normanno di Cefalù (foto: cortesia di Alessandro Varzi).

La realizzazione e l’amministrazione del Duomo furono affidate dal monar- ca ai Canonici Agostiniani del monastero di Santa Maria e i Dodici Apostoli di Bagnara Calabra. I lavori costruttivi proseguirono negli anni e il tetto ligneo della chiesa nel 1170 presumibilmente era già completato. La copertura lignea nel braccio meridionale del transetto fu, però, distrutta da un incendio e l’attuale volta a botte spezzata fu realizzata negli anni 1494-95 per volontà del vescovo Francesco De Luna, come attesta la presenza del suo stemma a forma di mezza- luna vicino ai costoloni. Lo sviluppo longitudinale della cattedrale può essere assimilato ad un im- pianto di tipo equinoziale con abside a oriente, ma con una deviazione rispetto 400 Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù alla direzione est/ovest che mediamente si mantiene nell’ordine di 6°, consi- derando che la crescita progressiva dell’edificio non permette di formulare un singolo valore azimutale4. Il calcolo dell’azimut geodetico per il prospetto me- ridionale del transetto, osservato su pianta satellitare della NASA e misurato con Gnomolab di Sundial Atlas, corrisponde ad un valore di 186° (da N verso E)5.

Fig. 3. Pianta della Cattedrale di Cefalù (www.regione.sicilia.it/beniculturali).

3. Le luci nel transetto

La parete meridionale del transetto presenta tre ordini di finestre. Proceden- do dal basso verso l’alto, due rotonde, due monofore grandi, quattro monofore minori, tutte praticate nel muro originario. Sopra di esse, nella volta a botte quattrocentesca, una piccola finestra, prossima al muro orientale, e, infine, tre fori nel tetto (Figure 4, 5a e 5b)6. Alcune di queste aperture permettono alla luce di penetrare nella chiesa in modo da determinare dei fenomeni a camera oscura riconducibili a date astronomiche e civili7. L’attuale studio essendo finalizzato

4 L’uso del programma Pitch and Azimuth Tool of Bright Harvest, presente in rete, ha permesso di verificare che nel duomo di Cefalù l’asse dell’abside ha un azimut di 96°24’ e quello della navata centrale 96°54’ (da N verso E). 5 La verifica dell’azimut, ripetuta recentemente conPitch and Azimuth Tool of Bright Harvest, ha definito il valore a 186° (da N verso E). 6 Si apprende dal Sig. Alessandro Varzi che i tre fori sono stati recentemente chiusi. 7 In occasione del convegno SISFA ad Acireale nel 2013 il prof. Carlo Blanco mi comunicò che durante l’estate, trovandosi nel Duomo insieme ad altri studiosi, tra cui lo gnomonista Giovanni Paltrinieri, aveva osservato un’immagine solare sul pavimento del transetto, che aveva fatto sospettare l’esistenza di un’antica meridiana. Giovanni Paltrinieri mi confermò poi l’episodio ipotizzando che lo gnomone potesse essere uno dei tre fori della volta a botte. Un altro episodio è stato segnalato dal sig. Salvatore Varzi che il 28 febbraio, ricorrenza della morte di Ruggero II, aveva fotografato un’immagine luminosa sul pavimento del transetto, in prossimità del luogo Maria Luisa Tuscano 401 ad approfondire il ruolo che Ruggero II ebbe nei confronti dell’Astronomia è circoscritto ai fenomeni riconducibili alle aperture del Duomo di epoca rugge- riana. La ricerca è, infatti, riferita a quanto ho avuto modo di osservare durante l’equinozio di primavera del 2014 all’interno del Duomo dove mi ero recata per verificare un’eventuale immagine solare nel transetto8.

Fig. 4. Prospetto dell’ala meridionale del transetto del Duomo di Cefalù.

Nel 2014 l’equinozio di primavera si è verificato il 20 marzo alle 17h 58m 01s TMEC. Il valore dell’equazione del tempo era 7m 37,01s. Tenuto conto della longi- tudine, il transito al meridiano di Cefalù, pertanto, si è verificato alle 12h 11m 35s. Poco dopo il mio arrivo, il primo lembo dell’immagine solare è apparso, formando in breve tempo un’immagine solare quasi rotonda. Circostanza rimar- chevole, essa si è formata sul pavimento della parte centrale del transetto, in cui era stato collocato un tappeto rosso. L’immagine era contornata da una corona di penombra che non annullava, però, la sua identità (Figura 6). Ma il fenomeno ha avuto una sua evoluzione: gradualmente è comparsa una seconda immagine solare e poco dopo una terza, mentre scompariva la prima, ed infine una quarta (Figure 7, 8 e 9). In un sentiero di luce sulla stuoia di vellu- to esse avanzavano verso l’abside annunziando il mezzogiorno solare vero nel giorno dell’equinozio di primavera9. in cui era stato collocato il sarcofago destinato al re normanno, constatando che l’immagine era generata dalla piccola finestra nella volta a botte. 8 In quel periodo chi scrive era responsabile dell’organizzazione del Seminario Nazionale di Gnomonica, che si sarebbe svolto a Cefalù nei primi giorni di aprile. 9 La scomparsa della prima immagine è determinata dall’interferenza di uno dei due pilastri che delimitano la zona presbiteriale. 402 Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù

Fig. 5a. Le aperture della pa- rete meridionale del transetto viste dall’interno.

Fig. 5b. I fori nella volta a bot- ta del ramo meridionale del transetto, che sono stati, però, recentemente murati. Foto cortesia di Alessandro Varzi.

Fig. 6. Duomo di Cefalù, 20 marzo 2014. La prima imma- gine solare Maria Luisa Tuscano 403

Fig. 7. Duomo di Cefalù, 20 marzo 2014. Le prime tre im- magini.

Fig. 8. Le tre immagini equi- noziali osservate dall’abside.

Fig. 9. Il sentiero di luce equinoziale che avanza verso l’altare. 404 Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù

Il numero delle immagini rende immediato il collegamento con le quattro monofore minori che assumono la funzione di gnomoni. Questo fenomeno con- ferma che l’altezza delle monofore era stata calcolata in funzione dell’evento astronomico e ciò comporta che la strombatura delle quattro finestre debba essere stata calcolata e realizzata opportunamente, tenendo in considerazione che la parete del transetto non è esposta esattamente a mezzogiorno. Tutto ciò presuppone, però, che gli autori del progetto dovessero avere calcolato con pre- cisione sia la latitudine del luogo sia le progressive variazioni della declinazione del Sole nel corso del giorno dell’equinozio, tenuto conto che il fenomeno coin- cide raramente con il mezzogiorno. Nel successivo equinozio di primavera del 2015, che si è verificato alle 23h 45m, ho potuto verificare nella fase del transito solare che il sentiero luminoso si è manifestato con le stesse modalità all’interno della stuoia rossa ma piuttosto decentrato verso il bordo (Figure 10, 11 e 12). Un fenomeno similare si verifica a Firenze nella Basilica benedettina di San Miniato al Monte. Anche in questo caso sono le monofore con opportune strom- bature ad avere la funzione di gnomoni permettendo ai raggi solari, in coinci- denza del solstizio d’estate, di formare sul pavimento un sentiero luminoso che procede verso un tondo di marmo con i segni zodiacali10. A questo evento è stato attribuito un peculiare significato simbolico ma anche un preciso valore astronomico11. Si osserva, tuttavia, che il fenomeno a San Miniato si manifesta nei giorni a cavallo del solstizio estivo, periodo in cui il sole mantiene una de- clinazione pressoché costante. Questa circostanza limita, perciò, il margine di errore nei calcoli. Purtroppo non si hanno certezze sull’originario pavimento del Duomo di Cefalù12. D’altronde i preziosi pavimenti, voluti da Ruggero II per la Cappella Palatina a Palermo, farebbero ipotizzare, nel primitivo progetto per Cefalù, qualche decoro simbolico dell’evento solare lungo il tratto mediano del tran- setto. Soltanto il reperimento di ulteriori fonti archivistiche potrebbe, però, dare risposta a questa ipotesi. In ogni caso la peculiarità di quanto osservato nel Duomo di Cefalù consiste nel fatto di riuscire a ottenere delle indicazioni nel giorno dell’equinozio di primavera lungo la zona mediana del transetto in cui, peraltro, era in origine presente il coro con le due ali parallele al cor- ridoio centrale.

10 Bartolini (2013). 11 ibidem. 12 È, però, documentato che negli anni 1566-1575 fu realizzato un altro pavimento (http://www. regione.sicilia.it/beniculturali/dirbenicult/soprintendenze/duomoCefalu/cattedrale.htm). Maria Luisa Tuscano 405

Fig. 10. Duomo di Cefalù. Le immagini solari nell’ Equino- zio di primavera 2015, si os- serva che la prima immagine è già troncata dal pilastro.

Fig. 11. Duomo di Cefalù, 20 marzo 2015. La prima imma- gine solare sta scomparendo.

Fig. 12. Duomo di Cefalù. Equinozio di primavera 2015. Il sentiero di luce è prossimo al bordo del tappeto. 406 Luci meridiane nel Duomo normanno di Cefalù

L’evoluzione del fenomeno poteva così essere osservata dai canonici che potevano trarne necessarie informazioni per la determinazione della Pasqua e del calendario liturgico13. Questo avrebbe richiesto, però, nella fase progettuale dell’edificio, il pieno controllo dei dati astronomici relativi all’arco del giorno e quindi di adeguate effemeridi astronomiche, che sarebbero state disponibili, nel contesto culturale dell’occidente, soltanto nel XIII secolo. Nel mondo medio- rientale la situazione era diversa e la situazione di Cefalù supporterebbe l’ipote- si che Ruggero II possa avere fatto riferimento alle effemeridi che permisero poi di ottenere la riforma del calendario persiano del 1079, considerata oggi ancor più precisa di quella gregoriana14. In un mio recente studio sull’epigrafe di Palazzo dei Normanni, in cui si ricorda l’orologio fatto realizzare nel 1142 da Ruggero II in prossimità della Cap- pella Palatina, il confronto tra due fonti orienta ad attribuire allo strumento una struttura meccanica complessa in grado di fornire indicazioni astronomiche15. Circostanza questa, che confermerebbe l’esigenza del re normanno, affiorante già nel Duomo di Cefalù, di potere fare riferimento a precisi riferimenti astrono- mici, tenendo conto che il calendario giuliano nel XII secolo era già in disaccor- do di una settimana con quello astronomico e la determinazione della Pasqua, secondo le norme del Consiglio di Nicea, risultava non semplice. Oltre all’esigenza liturgica, Ruggero II aveva un’altra necessità che motive- rebbe il suo interessamento per un orologio astronomico: mettere ordine alla cronologia degli atti amministrativi in cui le tre etnie, latina, greca ed araba, erano presenti secondo le diverse consuetudini nel computo del tempo.

4. Conclusione

In questa relazione ho proposto il quadro generale delle circostanze e delle motivazioni che inducono a considerare la Cattedrale di Cefalù una preziosa testimonianza delle modalità con cui nel XII secolo si riusciva a formulare do- mande di carattere astronomico attraverso una struttura architettonica con uno specifico orientamento e un meticoloso progetto delle parti. Un quadro generale che ripropone quanto da me comunicato durante il convegno di Catania, con il recente affinamento di qualche dato. Da questo sfondo emerge la personali- tà culturale di Ruggero II, aperta a ai progetti di ampio respiro e al contempo

13 L’analisi più dettagliata del fenomeno è stata presentata da chi scrive al Convegno della SISFA tenutosi a Bari nel 2017; www.paviauniversitypress.it/articolo/9788869521188-c23/5622 14 Nel 1072 Omar Al Khejan determinò la lunghezza dell’anno solare in 365g 5h 48’48’’ come premessa alla successiva riforma del Calendario solare in adozione in Persia. Nel 1079 il Califfo Al Moktadi, dopo avere convocato tutti gli astronomi d’Oriente, varò la riforma sopprimendo quindici giorni eccedenti. 15 Tuscano (2014b). Maria Luisa Tuscano 407 pragmatica nell’esame delle soluzioni16. Un monarca, studioso delle scienze, che amava trasmettere nel suo regno i benefici della sua istruzione e della sua edu- cazione.

Si ringraziano la Regione siciliana – Assessorato dei Beni culturali e dell’I- dentità siciliana – Soprintendenza per i beni culturali di Palermo per avere au- torizzato la riproduzione della pianta del Duomo di Cefalù e il Sig. Alessandro Varzi per la cortesia di alcune foto.

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16 Per un esame più dettagliato di alcuni punti si rimanda a quanto scritto nella nota 13.

L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia (Cuneo): ulteriori conferme e nuova ipotesi

Giuseppe Veneziano1 1Osservatorio Astronomico di Genova, [email protected]

Abstract. The studies performed by the author on the Romanesque parish church of Santa Maria (Saint Mary) in Cortemilia (Cuneo, Italy) have highlighted the archaeoastronomical significance of this structure: the axis of the parish church is oriented towards the local sunrise at the equinoxes. This relevance has also been demonstrated for a magnificent bas-relief walled in the parish church, which shows symbols connected with the stars. Manuscripts of the same epoch suggest that one of these symbols could be traced back to the representation of a Total Sun Eclipse visible in this area on June 3, 1239, not many years after the founding of the parish church. One of these manuscripts, the Liber Chronicarum (better known asNuremberg Chronicles) published by Hartmann Schedel in 1493, is the one that best reflects this event. In the same work Hartmann Schedel describes an eclipse of the Sun that would take place on June 6, 1238; however, there was no eclipse at this date and the author by mistake (anticipating that of a year and postponing it for three days) probably referred to the eclipse of June 3, 1239, which is the same depicted on the bas-relief of the parish church. Furthermore, the reconstruction of the sky during this phenomenon would allow us to hypothesize that the position of the visible stars during the eclipse could be the basis for the interpretation of both the astral symbols and their arrangement on the bas-relief. The impression is that the anonymous sculptor wanted to freeze on the stone of the bas-relief information about the spectacular astronomical event of which he was an eyewitness.

1. Introduzione

Le prime ricerche archeoastronomiche sulla pieve romanica di Santa Ma- ria (Sancta Maria de plebe) in Cortemilia (Cuneo) si sono svolte a partire dal 410 L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia

2010 ad opera dello scrivente coadiuvato dai colleghi Piero Barale (Società Astronomica Italiana) e Giuseppe Brunod (CeSMAP, Centro Studi del Museo di Arte Preistorica di Pinerolo, Torino). Lo stimolo di questa ricerca fu inizial- mente dovuto alla presenza di un prezioso quanto raro bassorilievo di epoca medievale murato su una parete all’interno della pieve. Gli ulteriori studi sto- rici e le misurazioni eseguite nel 2011 hanno mostrato una sempre maggiore significatività archeoastronomica della struttura e dello stesso bassorilievo. I risultati di questi studi sono stati presentati dallo scrivente in occasione del XII Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia (S.I.A.), tenuto pres- so il Museo Civico Archeologico di Albano Laziale (Roma) (Veneziano 2012). Una sintesi di questo studio, in lingua inglese, è stata in seguito pubblicata nel 2016 (Veneziano 2016). Alle informazioni contenute in queste relazioni se ne sono nel frattempo aggiunte delle altre, le quali supportano quanto già evidenziato in precedenza, verranno prese in considerazione in questo inter- vento. Per una maggiore comprensione da parte del lettore di quanto verrà esposto di seguito, è opportuno fare prima un riepilogo dei risultati fin qui raggiunti dagli studi precedenti.

2. Riepilogo degli studi precedenti

Cortemilia è una cittadina del Piemonte in provincia di Cuneo, situata su quello che a lungo è stato il confine fra la diocesi di Alba e quella di Acqui, alle quali appartenne in base ad alterne vicende storiche. L’area rurale che la circonda era molto probabilmente frequentata già in epoca antichissima, come dimostrerebbero i ritrovamenti di alcuni frammenti di manufatti attri- buibili al Paleolitico e al Neolitico. Il ritrovamento di alcune lapidi funera- rie romane depone a favore dell’importanza assunta da questo sito in epoca imperiale in virtù della sua posizione strategica sul territorio. Cortemilia è infatti collocata alla confluenza di due valli (Bormida e Uzzone) e su almeno quattro direttrici di comunicazione: verso Alba (Alba Pompeia) e la pianura del Tanaro e del Po, lungo la Valle Bormida in direzione di Acqui Terme (Aquae Statiellae) e dell’attigua provincia alessandrina, verso la Liguria in direzione di Savona e Vado Ligure (Vada Sabatia). La pieve di Santa Maria (Sancta Maria de Plebe, chiamata anche “Ma- donna della Pieve”) è situata nell’omonima frazione in posizione decentrata rispetto al centro cittadino. È di impianto romanico, interamente costruita in pietra arenaria locale, con una notevole abside semicircolare con tre mono- fore, e con un campanile a sezione quadrata che mantiene intatta la forma originaria. Dalle immediate vicinanze dell’abside si dipartono dei terrazza- menti in pietra a secco, opera della civiltà contadina, che coprono la collina a Giuseppe Veneziano 411 monte della pieve (il Monte Oliveto). Fatta salva la generale sopraelevazione sei-settecentesca, la costruzione conserva in modo abbastanza integro i suoi elementi architettonici originari, che si notano soprattutto nella facciata, nell’abside e nel campanile, e che sono ascrivibili al XII-XIII secolo. A parte alcune piccole modifiche avvenute tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, la forma e la posizione della struttura del fabbricato rimane sostanzialmente fedele a quella originaria (Figura 1). Le coordinate geografiche della pieve, rilevate dal centro geometrico della semicirconferenza dell’abside (che cor- risponde esattamente alla posizione dell’altare), misurate con GPS e confer- mate con Google Earth, sono risultate essere latitudine 44° 34’ 57” Nord, longitudine: 08° 11’ 50” Est, altezza s.l.m.: 260 m. La data di fondazione della pieve (o la sua inaugurazione) non è nota con assoluta certezza, ma si presume – in base agli elementi architettoni- ci e costruttivi – che possa essere del XII-XIII secolo o, forse, leggermente precedente. Lo studioso Giuseppe Luigi Martina (Martina 1951), in base ad un’iscrizione, data la sua fondazione nell’anno 1200: “Ecclesia Sanctae Mariae de Plebe satis antiqua et ex anno suae erectionis ibi MCC notato conicere licet”. In tal senso è possibile leggere una targa marmorea rinvenuta nel terreno du- rante i restauri del 1942 e poi murata sul capitello al lato sinistro dell’altare, nei pressi della volta absidale, che riporta questa data: ANNI D[omi]NI M[il] L[esim]O CC, cioè “Anno del Signore Millesimo-duecento” (Figura 2). L’asse della navata, presenta un azimut magnetico medio di 104° 37’ e un azimut astronomico di 106°, confermato poi con i rilievi eseguiti su immagini satellitari. I suddetti valori di azimut possono a prima vista sembrare anomali se non si tiene conto del fatto che l’edificio è stato costruito nelle immediate vicinanze di un rilievo collinare – il Monte Oliveto – che si erge proprio in direzione Est rispetto alla pieve, cioè nella direzione in cui dovrebbe sorgere il Sole agli equinozi. L’orientamento equinoziale della pieve è stato confermato in occasione dell’equinozio d’autunno del 2011 (Figura 3). Murato nella parete di sinistra all’interno della pieve è conservato un bas- sorilievo in pietra arenaria risalente grossomodo allo stesso periodo di edifi- cazione della pieve. Su di esso l’artista ha voluto raffigurare la Vergine Maria assisa in trono, con corona regale sul capo, e con il bambino Gesù tra le brac- cia, in posizione frontale e ieratica. Intorno a tale figura vi è un corredo di per- sonaggi – angeli, santi, monaci o semplici popolani – e di complessi simboli del sincretismo cristiano altomedievale. 412 L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia

Fig. 1. La pieve di S. Maria in Cortemilia Fig. 2. La targa marmorea che data la fon- con l’abside in primo piano e la torre qua- dazione della pieve all’anno 1200 (immagi- drangolare (immagine dell’autore). ne dell’autore).

Fig. 3. Sorgere del Sole il giorno 22 settembre 2011 (immagine dell’autore). Giuseppe Veneziano 413

Nei precedenti lavori si è fatto il punto sui significati mistici di ognuno di questi simboli, significati che qui si tralasciano per ovvie ragioni di sintesi. Mi concentrerò invece sui motivi astrali incisi sulla cornice che circonda il volto della Vergine ed in particolare sulla rappresentazione di quella che sembra es- sere una falce di Luna nell’atto di inglobare una stella a dodici punte (Figura 4). Uno dei casi più degni di nota è quello relativo ad una delle illustrazioni di Hart- mann Schedel (1440-1514), scienziato, cartografo, umanista e storico tedesco. Nella sua più importante opera, le Cronache di Norimberga (conosciuta anche come Die Schedelsche Weltchronik o col titolo latino originale Liber Chronica- rum), pubblicata nel 1493, lo Schedel riporta anche fenomeni astronomici quali comete ed eclissi, oltre ad avvenimenti misteriosi e sovrannaturali. Nel capitolo LXXVI c’è la raffigurazione di uno di questi eventi astronomici – un’eclisse di Sole – la cui somiglianza con quella del bassorilievo della pieve di Cortemilia è davvero notevole (Figura 5).

Fig. 4. Particolare della cornice che circonda il volto della Vergine. Sulla sinistra è presente una stella a dodici punte che sta per essere inglobata dalla Luna. Sulla parte destra due stelle a dodici punte (immagine dell’autore).

Alla luce di quanto emerso, il significato del simbolo sembra quindi ine- quivocabile. Tra i simboli astrali lo scultore del bassorilievo ha voluto forse raffigurare un’eclisse totale di Sole. Ma quale? Utilizzando il programma di effemeridi Five“ Millennium Canon of Solar Eclipses”1, è stato possibile eviden- ziare che nel periodo di fondazione della pieve vi fu un’unica eclisse totale di

1 Reperibile sul sito internet: http://eclipse.gsfc.nasa.gov/SEpubs/5MCSE.html. 414 L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia

Sole: quella del 3 giugno 1239. Se si vuole risalire all’eclisse totale precedente bisogna arrivare fino a quella del 5 ottobre 693. Ciò vuol dire che quando av- venne a Cortemilia l’eclisse del 3 giugno 1239, erano già quasi cinque secoli e mezzo che non si vedeva un fenomeno simile. Questo fatto deve sicuramente averne aumentato l’impatto emotivo sulla popolazione, soprattutto se si tiene conto del fatto che nelle credenze popolari vi era uno stretto rapporto tra le eclissi e i presagi di sventura divina.

Fig. 5. Un’eclisse totale di Sole. Immagine tratta da una edizione a colori delle Cronache di Norimberga di Hartmann Schedel (immagine dal Web).

3. L’eclisse del 3 giugno 1239 nelle Cronache di Norimberga

L’eclisse del 3 giugno 1239 fu certamente notevole per la sua estensione. La fascia di totalità – o meglio, il tragitto percorso dall’ombra – partiva dal Vene- zuela e, dopo aver superato l’Oceano Atlantico, attraversava l’Europa meridio- nale (Portogallo, Spagna, il sud della Francia, Italia centro-settentrionale, Cro- azia, Bosnia, Serbia, Bulgaria, Romania, Mar Nero, Turchia) e si addentrava nel continente asiatico. La grande quantità di testimonianze storiche pervenuteci, Giuseppe Veneziano 415 in particolare dall’Italia, depone a favore di un evento di straordinaria risonanza, soprattutto se si tiene conto che a quell’epoca la maggioranza delle persone era analfabeta. Secondo la studiosa Gemma Rosa Levi-Donati, la notevole quantità di testimonianze di questa eclisse evidenzia che “il fenomeno fu certamente ri- cordato per anni da chi lo aveva potuto vedere, così che il racconto, tramandato dai padri ai figli e ai nipoti, divenne tradizione”.2 Ancora un secolo più tardi, un notaio di Foligno, Bonaventura di Mastro Benvenuto, nella sua opera Fragmenta Fulginatis historiae, tra le notizie storiche per l’anno 1239 riportava: “Obscuratus est sol per totam orbem …” (Levi-Donati 1989). Più di due secoli e mezzo dopo l’eclisse visibile da Cortemilia, nelle già men- zionate Cronache di Norimberga, al foglio recto CCIX, Hartmann Schedel così de- scrive un’eclissi di Sole:3 “Eclisse totale di Sole nel 1238, verso l’ora nona del giorno 6 giugno e ci fu tanta oscurità che si credeva fosse arrivata già la notte. Ignorando- ne la causa, la gente ritornò a far penitenza. Si attribuì a questa eclisse la morte del Papa Gregorio IX e l’oppressione della Chiesa per mano di Federico II.” Come si può notare, Schedel nella sua opera afferma che vi fu un’eclisse totale di Sole il 6 giugno 1238. Ricorrendo al programma Five Millennium Canon of Solar Eclipses ci si accorge però che in quell’anno vi furono due eclissi totali di Sole: la prima avvenne il giorno 13 giugno, la seconda l’8 dicembre. Quindi non vi fu alcuna eclisse di Sole nel giorno indicato dallo storico tedesco. Se si van- no poi a calcolare le zone d’impatto dell’ombra proiettata dalle eclissi del 1238 sulla superficie terrestre ci si rende conto che quella del 13 giugno colpì essen- zialmente l’Oceano Pacifico e alcune zone dell’America Meridionale: Ecuador, Perù e Brasile. Quella dell’8 dicembre avvenne invece nell’Oceano Indiano e fu visibile anche dall’Australia Settentrionale. Quindi nessuna delle due fu visibile dall’Europa. Nel caso della prima eclisse si ricorda inoltre che la scoperta dell’A- merica da parte di Cristoforo Colombo avvenne storicamente il 12 ottobre 1492, e che l’opera di Hartmann Schedel fu pubblicata appena l’anno successivo, nel 1493, un periodo di tempo troppo breve perché lo storico tedesco fosse a cono- scenza di un’eclisse avvenuta nell’emisfero meridionale del Nuovo Continente. Nel caso della seconda eclisse, si rammenta che sin dai tempi dell’antica Roma circolava la leggenda di un “continente australe” disperso nell’immensità degli oceani, ma fu soltanto nel XVII secolo che i primi esploratori europei sbarca- rono in Australia. Ne consegue che nessuna delle due eclissi sopra menzionate può essere quella descritta da Hartmann Schedel. Nel suo testo lo storico tedesco ci fornisce un’altra informazione utile ad escludere queste due eclissi. Egli riporta che: “. Si attribuì a questa eclisse la morte del Papa Gregorio IX e l’oppressione della Chiesa per mano di Federico

2 Levi-Donati (1989, p. 27). 3 Severino (1994, p. 38). 416 L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia

II”. Il papa Gregorio IX, nato Ugolino di Anagni, morì a Roma il 22 agosto 1241, cioè ben 3 anni dopo questa presunta eclisse. La storia ha ampiamente dimostrato che per molti storici antichi correlare eventi astronomici alla vita di personaggi importanti serviva ad ammantare di sacralità una nascita, una morte o una battaglia, e a volte questi eventi venivano correlati in maniera arbitraria, anche se in realtà erano avvenuti in tempi diversi. Ne è un esempio la cometa che avrebbe preannunciato la morte di Giulio Cesare e che invece apparve alcuni mesi dopo, durante i giochi che Augusto, suo erede, celebrò in suo onore. È anche famoso l’aneddoto secondo il quale l’imperatore Ludovico di Baviera (o Ludovico il Pio), figlio di Carlo Magno, sarebbe morto di paura durante i minuti di oscurità dell’eclisse totale di Sole verificatasi il 5 maggio 840. In realtà, come riporta anche il sacerdote Andrea da Bergamo nel suo Chronicon (IX secolo), Ludovico morì il 20 giugno 840, cioè un mese e mezzo dopo quell’eclisse. C’è un altro indizio che porta a ritenere che l’eclisse descritta da Hartmann Schedel non sia avvenuta il 6 giugno 1238, ma sia piuttosto quella del 3 giugno 1239. Egli afferma che l’eclisse avvenne .“ verso l’ora nona del giorno .”. Que- sta indicazione ben concorda con le testimonianze storiche dell’eclisse del 1239. Nel Chronicon di Rolandino di Balaiardo (detto anche Rolandino da Padova) si legge: “il 3 giugno, subito dopo l’ora nona, nel detto anno del Signore 1239, il sole si oscurò alla vista di tutti .”. Nella Chronica del francescano Salimbene de Adam (detto anche Salimbene da Parma), che era nella città di Lucca, si legge: “… e il sole si oscurò, come vidi coi miei occhi, il venerdì 3 giugno 1239, all’ora di nona.” E ancora, nella Nuova Cronica lo scrittore fiorentino Giovanni Villani (1276-1348) scrive: “Scurò il Sole tutto appieno nell’hora nona .”. È quindi ovvio concludere che nelle Cronache di Norimberga, Hartmann Schedel sbaglia la data dell’eclisse anticipandola di un anno (1238 invece di 1239) e posticipandola di 3 giorni (al 6 giugno invece del 3 giugno). Quella descritta dallo storico tedesco è quindi a tutti gli effetti l’eclisse che fu vista anche da Cortemilia. Questo fatto rafforza ancora di più l’ipotesi della rassomiglianza tra il disegno del Sole in eclisse delle Cronache di Norimberga e quello raffigurato sul bassorilievo della pieve di S. Maria in Cortemilia.

4. Una nuova ipotesi interpretativa delle due stelle a dodici punte

Nei precedenti lavori si era disquisito su come l’aspetto del cielo nei minuti della totalità, o meglio, la posizione degli astri visibili nel momento in cui il Sole fu oscurato, potrebbe essere alla base dell’interpretazione dei simboli astrali presenti sul bassorilievo della pieve. L’attenzione questa volta si concentra sui simboli astrali presenti sulla parte destra della cornice che circonda il volto della Giuseppe Veneziano 417

Vergine, e precisamente sui due astri o stelle a dodici punte: che cosa potrebbero rappresentare questi simboli? Le possibili risposte che erano state date per risolvere il quesito erano state essenzialmente due, e vengono qui di seguito riportate integralmente dal lavoro precedente (Veneziano 2012). 4.1. I due astri a dodici punte potrebbero rappresentare il pianeta Venere Agli albori delle osservazioni astronomiche, il fatto che Venere – l’oggetto più luminoso nel cielo dopo il Sole e la Luna – fosse visibile prima del levarsi del Sole e talora ne seguisse il tramonto, era stato interpretato per quello che l’evidenza sembrava mostrare: l’esistenza di due astri dal comportamento diver- so e discontinuo. Gli antichi la chiamavano “stella del mattino” (Phosphorus o Luciferus) o “stella della sera” (Hesperus o Vesperus, da cui il termine “vespro”). Nel corso di scavi archeologici presso Ninive e Babilonia comunque, furono rin- venute alcune tavolette di argilla nelle quali si era riconosciuto inDilbat (nome dato a Venere dai Babilonesi) un astro unico che in ogni suo periodo sinodico diventava visibile due volte, a levante come stella del mattino e a ponente come stella della sera. Nonostante ciò, Venere continuò a mantenere nel corso della storia umana – e soprattutto nel medioevo – questa sorta di dicotomia. Dal momento che durante la totalità del 3 giugno 1239, nelle immediate vicinanze del Sole in eclisse (esattamente alla sua destra, come evidenziato anche nel bas- sorilievo), era apparsa chiaramente Venere, questo fatto potrebbe aver spinto l’anonimo scultore a volerla rappresentare sotto il suo duplice aspetto di “stella del mattino” e “stella della sera”. 4.2. I due astri a dodici punte potrebbero rappresentare un indicatore temporale. I due astri incisi nel bassorilievo sulla destra del volto della Vergine, presen- tano entrambi dodici punte. Un analogo numero di raggi appare nell’astro sulla parte sinistra del bassorilievo, quello che sta per essere “fagocitato” dalla Luna. Secondo questa analogia, tutti e tre gli astri rappresenterebbero lo stesso ogget- to celeste, cioè il Sole. Quello a sinistra è immortalato nel momento dell’eclisse. I due di destra potrebbero rappresentare il Sole in due precisi momenti della gior- nata, ad esempio nell’istante del suo sorgere e nell’istante del suo tramonto. Dal momento che l’eclisse totale avvenne quasi esattamente a metà della giornata, nel rappresentare “due Soli” lo scultore può aver voluto indicare che l’eclisse era avvenuta in un periodo di tempo a metà strada tra il sorgere del Sole stesso ed il suo tramonto. 418 L’eclisse totale di Sole del 3 giugno 1239 sul bassorilievo della pieve di Cortemilia

4.3. Nuova ipotesi Di recente, sempre in riferimento alla posizione degli astri nel momento in cui il Sole fu oscurato è emersa una nuova stimolante ipotesi. Una rielabora- zione dell’evento calcolata con il programma Starry Night Pro Plus ha messo in evidenza che il Sole in eclisse era posizionato sull’attuale confine meridionale della costellazione dei Gemelli e al confine settentrionale delle costellazioni del Toro e di Orione (Figura 6). Nel corso degli ultimi secoli la confusione che i con- fini tra le costellazioni spesso generavano in chi doveva descrivere la posizione di una stella o di eventi celesti quali novae o comete, spinse l’Unione Astrono- mica Internazionale, al Congresso di Leyda nel 1928, a dare una organizzazio- ne definitiva alle costellazioni, per cui da quel momento i confini delle singole costellazioni hanno preso la forma e le dimensioni che adesso conosciamo. Nel caso di eventi astronomici dell’antichità – come quello dell’eclisse del 1239 – la questione sui confini delle costellazioni veniva lasciata all’interpretazione e alla discrezione dell’osservatore. In tal caso, se si ipotizza che l’anonimo scultore del bassorilievo abbia stimato che la posizione del Sole durante l’eclisse era nella costellazione dei Gemelli, ecco che il simbolismo dei due astri a dodici punte assume una nuova connotazione. Essi rappresenterebbero quindi le due stelle principali di questa costellazione: Castore e Polluce.

Fig. 6. Elaborazione al computer del cielo durante la fase di totalità dell’eclisse del 3 giugno 1239. Giuseppe Veneziano 419

5. Conclusione

Lo studio della pieve romanica di Santa Maria in Cortemilia ha richiesto uno studio multidisciplinare a più livelli che ha implicato l’archeologia, la storia, l’architettura, l’arte, il simbolismo e l’astronomia. I risultati ottenuti hanno riservato numerose sorprese e argomenti che potrebbero essere ogget- to di ulteriori approfondimenti. Nella prima fase si è potuto evidenziare che l’orientamento astronomico della pieve era in direzione del sorgere locale del Sole agli equinozi. La seconda fase – decisamente più complessa – si è concen- trata sull’interpretazione di un bassorilievo coevo alla fondazione della pieve e murato in una delle sue pareti laterali, che recava una simbologia mistica tipica del cristianesimo medievale. Tra le immagini raffigurate è stato possi- bile individuare la rappresentazione di un’eclisse totale di Sole: i numerosi indizi che ne sono emersi – sia di genere storico-bibliografico che di genere iconografico – hanno portato a ritenere che l’eclisse in questione possa essere stata quella del 3 giugno 1239. L’analisi di questo evento ricostruito al computer ha dato inoltre modo di avanzare alcune interessanti ipotesi riguardanti altri simboli astrali presenti sul bassorilievo, i quali potrebbero rappresentare la posizione di alcune stelle e pia- neti visibili durante i minuti in cui il Sole fu oscurato. In conclusione, le evidenze già disponibili fanno ritenere che la pieve di Cor- temilia e il suo straordinario bassorilievo costituiscano un unicum di inestimabi- le valore. Sono una mirabile testimonianza del concetto medievale dell’armonia cosmica, in cui l’uomo era visto come qualcosa di speciale, un tassello unico all’interno del celestiale mosaico della natura e dell’Universo.

Bibliografia

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Polcaro, Albano Laziale (Roma), 5-6 ottobre 2012, ISBN 978-88-8292-486-7. https://www.academia.edu/10786856/Astronomia_e_simbolismo_mistico_ nella_pieve_di_S._Maria_a_Cortemilia. Veneziano G. (2016) Astronomy and mystic symbols in the Romanesque parish church of Santa Maria in Cortemilia (Cuneo, Italy), Archaeoastronomy and Ancient Technologies 2016, 4(1), pp. 81-95; http://aaatec.org/art/a_gv1.

Finito di stampare nel mese di ??????? 2020 presso ?????????????? Il XVII Convegno della Società Italiana di Archeoastronomia, tenuto presso l’Università di Roma “La Sapienza” il 6-8 settembre 2017, era stato organizzato da Vito Francesco Polcaro. Egli aveva avuto l’intuizione di associarlo a un International Workshop, con lo scopo di portare all’attenzione degli studiosi il ruolo svolto dai simbolismi astronomici in alcuni dei più importanti culti che si sono diffusi dal Vicino Oriente nel Mediterraneo Occidentale. Il presente volume intende quindi essere anche un ricordo dell’intensa attività di Vito Francesco Polcaro nel campo dell’archeoastronomia.

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