RELAZIONE DEL GEOMETRA RENZO TACCHELLA Fatta nell’agosto 2006 con il patrocinio della Biblioteca di OYACE

“L’HOTEL OTEMMA ED IL SUO COSTRUTTORE”

L’anno corso ho avuto modo di esaminare documenti antichi di vario genere molto particolari riguardo all’argomento di questa sera e, leggendo, mi sono appassionato, poi ho pensato di divulgare le mie nuove conoscenze, che possono offrire uno spaccato della vita di un secolo fa, anche perché tutti conoscono l’Hôtel Otemma, ma tale conoscenza, ho costatato, si limita all’ubicazione, all’aspetto esteriore, ad alcune recenti vicende relative alla gestione ed all’ultima famiglia proprietaria.

Sulla storia di tale edificio – che può definirsi “storico”, in rapporto almeno con lo sviluppo turistico della Valle d’ – la gente non è informata.

Questa sera cercherò di colmare, almeno parzialmente, tali lacune con una chiacchierata.

Non si può, in questo caso, tralasciare alcuni cenni sul suo costruttore, a mio giudizio una persona eccezionale per carattere, un vero imprenditore (foto 1), PÉTEY Joseph, discendente da una famiglia installatasi a Oyace alla fine del secolo XVII e proveniente da .

Egli nacque a Oyace il 14 luglio 1841 da Jacques e da Ansermin Catherine, aveva due fratelli (Louis e Julien) ed una sorella (Marie-Rose); al fratello Julien era molto legato, tanto che in data 8.5.1866 (25 anni) fece testamento a suo favore… ed in seguito ne diede il nome al figlio.

A questo punto qualcuno di voi penserà: che c’entra questo?

C’entra perché mi dà l’occasione per evidenziare la forza di carattere del nostro personaggio.

Vi leggo parte del testamento.

«Testament dicté par le Sieur Pétey Joseph d’Oyace … lequel par moi connu et jouissant de ses sens et des facultés intellectuelles, m’a réquis de recevoir les présentes dispositions testamentaires, en me déclarant … ainsi qu’il suit : Je ne veux rien léguer aux hopitaux du lieu, de l’arrondissement et des Saints Maurice et Lazare malgré vos exortations. Je nomme e j’institue par mon héritier universel mon cher frère Pétey Pierre-Julien d’Oyace … notaire Joseph Dalbard. «

Perché fosse ricoverato non lo so, però converrete che nella sua situazione, a quei tempi, quando si moriva per una appendicite (non solo a quei tempi) resistere alle pressioni degli amministratori dell’ospedale non era da tutti.

1 Pétey Joseph sposò Petitjacques Angelica, dalla quale ebbe tre figli: Geremie, Julien (nonno di mia moglie) e Julie.

Di costei parlerò più tardi.

Il nostro Joseph aveva le idee chiare.

Infatti, proprietario di una porzione di fabbricato posto a sud-ovest dell’Otemma, la casa isolata a ridosso della strada regionale (foto 2), nel 1872 la scambiò con un cugino, ricevendo la casa colonica ora posta sotto all’albergo, verso ponente (foto 3) e nel 1885 acquistò, da un altro cugino, la rimanente porzione di casa a levante, divenendo quindi unico proprietario della futura base dell’hotel.

Possiamo avere un’idea del volume di tale casa osservando l’hotel dal retro, a nord: sicuramente il tetto del fienile non era ad un livello superiore (foto 4).

Dove trovò i soldi?

Principalmente con lo sfruttamento di alpeggi: è documentata la proprietà, per circa il 70%, di Montagnayes e di ¼ di La Tza e l’affitto, nel 1871, dai nobili Passerin d’Entreves e della cugina Angelica di , dell’Alpe Vessona.

Qui apro una parentesi, per fornire un termine di paragone ad alcuni di voi: nel 1871 l’affitto era di £ 1450 (circa 5800 Euro).

Quando parlerò di Lire, per rapportarle all’Euro, moltiplicate semplicemente per 4.

Nel 1807 (ad albergo ultimato) aveva ancora in affitto l’Alpe Vessona (nel frattempo passata in proprietà ai coniugi Torrione) poiché fece fare un preventivo per la costruzione di una stalla avente m.5 di larghezza e m. 29 di lunghezza.

Tale preventivo (circa 5400 Euro) non ebbe seguito forse per la morte del nostro personaggio.

Avete notato che l’affitto non si discosta molto dai prezzi attuali mentre per la costruzione la differenza è enorme?

Nel 1901 aveva in affitto la consorteria Sézea, possedeva poi immobili a S.Christophe.

Un’altra fonte di entrate – ecco l’imprenditore – era rappresentata dall’affitto, quale caserma, alla Guardia di Finanza (documentata almeno negli anni 1901-1904) per 250 £ annue della parte sud-est del fabbricato, più precisamente due stanze e cantina al piano terreno e tre stanze al primo piano (foto 3) queste poi incorporate nell’albergo, allora collegate da una scala interna oggi non individuabile.

Evidentemente soddisfatto di tale rapporto contrattuale nel 1902 propose alla controparte la costruzione di una nuova caserma, facendo redigere due progetti (foto 5) (foto 6); relativamente al 2^ progetto avrebbe usato diversamente una metà dell’ampliamento.

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Pensava già all’albergo?

Dalla Guardia di Finanza percepiva poi, fra gli anni 1902-1908 (anno della morte) almeno £ 300 annue per trasporto viveri, armi, combustibili, ecc. da a Prarayer due volte la settimana.

Complessivamente quindi il rapporto con la Guardia di Finanza gli rendeva – con valuta odierna – circa 2000 Euro l’anno; non molto, ma consideriamo che la giornata di un muratore (non le otto ore odierne ma almeno dieci) costava circa 12 Euro, quella di un manovale 7 Euro e la stagione estiva in alpeggio di un pastore Euro 460 circa.

Il nostro uomo aveva poi altre entrate come possidente terriero, infatti nel 1885 era il 2° o 3° contribuente del per l’imposta Dazio Consumo e nel 1904 salì al primo posto, per un reddito presunto £3200 (circa 12000 Euro).

A questo punto qualcuno si chiederà come faccio a conoscere addirittura le questioni fiscali del nostro soggetto: perché il medesimo era anche Sindaco (foto 3) – vedete le bandiere e l’albero del Sindaco? - il municipio non era accogliente come oggi, ed evidentemente egli si portava a casa qualche documento per studiarselo con calma.

La spiegazione della fortuna economica del nostro Pétey lì per lì non mi sembrava sufficiente, poi ho ricordato la peste del 1630, una pandemia che causò la morte di circa il 60% della popolazione valdostana, conseguentemente i sopravvissuti si trovarono eredi di molti beni, contrassero matrimoni che accrebbero il patrimonio di alcuni, inoltre costoro poterono beneficiare più di altri dell’affrancamento delle terre dalla nobiltà, non dovendo più contribuire pesantemente con “corvées” e obblighi finanziari, sebbene il riscatto fosse oneroso.

Un Pétey fece fortuna.

Un discendente poté fare la professione di “expert”; converrete che diventare geometra alla fine del 1700 presupponeva lo studiare a Torino o Chambery, con i costi relativi.

Quando poi arrivò la ferrovia (1866) avvenne una globalizzazione a corto raggio (oggi è planetaria) molte famiglie dovettero vendere terreni e spostarsi a lavorare altrove, alcune ragazze sposarono uomini di fondo valle, magari immigrati… e vendettero, chi ne ebbe i mezzi comperò.

Pétey Joseph era benestante di famiglia, comperò e divenne ricco (foto 1).

Torniamo all’albergo.. .

La mancata costruzione della caserma evidentemente lasciò il tarlo, Egli soppesò l’idea di costruire altro; poi, sembra dopo un viaggio a Genova, ed all’età di 60 anni!, all’epoca considerata vecchia, decise, penso sordo alle rimostranze della famiglia, di costruire un albergo sopra la propria casa.

3 Idea bizzarra, si direbbe, visto che i clienti avrebbero dovuto farsi almeno due ore di cammino da per giungervi, non essendoci strada percorribile dalle carrozze (e non ci sarebbe stata sino al 26 agosto 1951) sempre che volessero fermarsi in un albergo di mezza montagna (quota 1457) e non desiderassero proseguire (con circa altre 5 ore di cammino) verso l’albergo di Prarayer, la cui costruzione era appena iniziata; si presentavano poi vari problemi tecnici connessi alla sopraelevazione.

Il Pétey Joseph procedette impavido, fidando soprattutto sui turisti stranieri, inglesi in maggioranza, che vedeva risalire la vallata, il cui avvicinamento fu favorito dalla ferrovia.

Può darsi che la costruzione dell’albergo di Prarayer (quello vecchio sul promontorio) appena iniziata, lo abbia incoraggiato, che abbia costituito per lui una sfida.

Inizialmente pensò di sopraelevare la casa, lato Bionaz, ed il fabbricato retrostante, e fece redigere un progetto (foto 7) e fa tre! Poi evidentemente ritenne più razionale, anche per l’effetto “soffio delle valanghe”, nonché meno dispendioso, elevare un edificio a forma regolare, a pianta rettangolare.

Nel 1903 iniziò i lavori, in parte assunti, sembra, da un certo Lancia Joseph.

Allo stesso scopo raggiunse un accordo con il proprietario confinante a nord-ovest, Petitjacques Alexis, per costruire anche sopra la casa di costui, (foto 8) assumendosi ovviamente l’onere di adeguare la stanza più alta del medesimo con una stima degli adeguamenti e lavori di £ 215.

I lavori procedettero spediti, gli operai quasi certamente alloggiarono nella casa colonica e lavorarono estate ed inverno (fatta qualche eccezione nelle stagioni inclementi).

Le pietre non mancavano (e non mancano) in zona e non si risparmiarono di fatica, trasportando sino alle quote alte massi di notevole peso, possiamo ipotizzare con una serie di ponteggi inclinati, da percorrere in coppia.

Le pietre per gli stipiti della porta di ingresso (foto 9), delle pedate delle scale (foto 10) e dei terrazzini (foto 11), sembra che provenissero dalla località Clayves sulla sinistra orografica del torrente Varère, distante in linea d’aria circa 500 m., dove vi sono ancora tracce di massi tagliati.

Ovviamente tali pietre venivano sgrossate in loco e rifinite in cantiere, dopo il trasporto su slitte trainate sulla neve.

Il legname proveniva parte dalla località Inversoun sulla destra orografica del torrente Baudier distante in linea d’aria circa 1000 m., ed in parte da alcune consorterie di Bionaz distanti circa 1500m., dove il taglio era più comodo ma dovette essere interrotto per l’opposizione dei Bionens che lo citarono in tribunale; anche il legname veniva trasportato sulla neve, con i muli. (foto 12).

4 La sabbia non poté essere trasportata con “l’elicottero” da Aosta, allora possiamo supporre solo una soluzione al problema: una cava, con relativo lavaggio, su di un terreno di proprietà posto a ridosso del torrente Varère a lato della strada per Bionaz, abbastanza vicina (circa 400 m.) certamente ne occorse una grande quantità, ci fu pertanto un gran andirivieni di muli trainanti piccoli carretti.

La calce provenne sicuramente dalla località Besatze dove esisteva (ed esiste tuttora) la struttura di una fornace (fra l’altro era nella proprietà di Pétey Joseph) che distava quasi 3 km. di mulattiera.

Riguardo al legante dei muri sarebbe opportuno fare dei sondaggi, poiché era d’uso – e lo è rimasto sino a 50 anni fa – utilizzare la terra argillosa di origine glaciale, in patois “blanzeun”, sicuramente usata, almeno in parte, per la casa sottostante all’albergo; il luogo di scavo poteva essere dovunque, ce n’è un po’ dappertutto.

Per evitare che la struttura si aprisse, le pareti esterne furono legate con tiranti (foto 11) inseriti nei solai.

Questi, secondo l’uso dell’epoca, erano costituiti da travi in legno, sopra le quali si inchiodavano le tavole di calpestio, e sotto le medesime veniva fissato un graticcio in legno, poi intonacato.

Mi sarei aspettato la diminuzione degli spessori dei muri perimetrali, procedendo verso l’alto, invece misurano sempre 70 cm..

Vi lascio immaginare, a questo punto, quale enorme peso fu aggiunto sui muri preesistenti, in alcuni punti circa 30t/ml.

Le lose di copertura furono ricavate nelle anzidette località Clayves e, soprattutto, Inversoun, lose di un certo spessore, ancora oggi visibili sui vecchi tetti dei villaggi di Oyace.

I materiali metallici (mensole per i terrazzi, (foto 11) chiodi, grondaie, tubi) arrivarono dalla ditta Ferretti Joseph di Aosta, la quale vendette, fra l’altro, quasi 500 kg. di tubi di piombo (al prezzo di 1.75 Euro/kg).

A cosa servirono tali tubi?

Per convogliare l’acqua potabile da una sorgente posta a circa 150 m. a monte.

Tale acqua saliva sino all’ultimo piano, sebbene con poca pressione, persa più per la tortuosità e la sezione del tubo che per il dislivello.

Pensate che all’epoca l’acqua utilizzata nel villaggio, ai fini domestici, era quella di un ruscello (e lo rimase sino al 1948, quando gli abitanti vi provvedettero a loro cure e spese).

Riguardo all’altezza dei vani si passa dai m. 2.30 della parte bassa, quella preesistente, destinati a locali di servizio, ai m. 3.00 del piano “nobile” (sala da pranzo ed alcune camere) ai m. 2.30 dell’ultimo piano di camere.

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I bagni non erano quelli visibili oggi (ampliati successivamente, come il bar e la cantina), nel 1906 l’albergo si presentava così (foto 13).

Ogni piano aveva solamente un gabinetto con lavabo, lì venivano scaricate le acque sporche raccolte nelle camere (vi erano catini e brocche per l’acqua ed i vasi da notte – i quali costavano, attualizzando 4.3 Euro) cari? Beh, erano smaltati.

Al primo piano vi era l’unica vasca (c’è ancora) dove i clienti potevano fare il bagno, con l’acqua calda proveniente dalla stufa “termocucina” posta nella cucina.

Le ringhiere delle scale, quasi tutte in ferro stampato, (foto 14) le fornì la ditta Benucco e le posò il muratore Verna, il quale eseguì altri lavori murari. xc

Le tavole vennero segate a mano sul luogo, presumibilmente anche d’inverno, lavoro improbo (un uomo stava coricato sotto al tronco, riempiendosi di segatura, l’altro in piedi sopra, ma eseguito molto bene, (foto 15) la piallatura poi diede un risultato notevole.

Le fognature non esistevano, perciò a fine stagione dovevano provvedere allo svuotamento della cisterna alcuni volonterosi (o per niente volonterosi).

Come veniva illuminato l’albergo, visto che l’energia elettrica della SADEA arrivò solo nel 1950?

Le camere con lampade ad olio o candele; le scale, la cucina e la sala da pranzo con gas di carburo, il medesimo carburo che molti di voi hanno visto negli alpeggi.

In questo caso il sistema era più sofisticato: a piano terra vi era un piccolo locale dove era stata piazzata una campana di rame su contenitore di carburo, a sera veniva fatta scendere l’acqua sul carburo ed il gas della reazione chimica riempiva la campana, poi saliva nei tubetti di rame sino ai beccucci delle fiammelle illuminanti, parte di tali tubazioni è stata in seguito utilizzata per inserirvi i cavi elettrici e sono in parte visibili ancora oggi (foto 16) nella sala da pranzo (che, vi faccio notare, misura ben m. 6.60 x 7.80).

I serramenti furono realizzati, ritengo per la massima parte (foto 17) fuori Oyace perché certe lavorazioni necessitavano di macchinari non presenti in loco.

Un fornitore fu un certo Roggero Pietro di Livorno Vercellese.

Torniamo un attimo all’esterno.

Tutto l’albergo era – ed è – soggetto al soffio di una valanga; forse fu questo il motivo che indusse il nostro Joseph ad abbandonare il progetto a forma di L ed a ridurre al massimo la dimensione del passafuori verso nord (foto 4), limitarla ai lati (foto 11) e maggiorarla a sud (foto 11).

Di valanghe coi relativi soffi, ne scesero molte ma la struttura, sebbene alta, ha retto.

6 Ultimato l’albergo si dovette arredarlo, ed il nostro Joseph si rivolse alla ditta Dosio Giovanni di Aosta, spendendo parecchio, solo una fattura fu di £ 3301 (corrispondente a circa 11200 Euro).

A titolo di curiosità vi dico che un letto in lamiera con un pagliericcio, 1 materasso di lana ed 1 guanciale di lana castava, attualizzando, 590 Euro (meno di oggi), una sedia impagliata costava meno di 10 Euro (decisamente meno di oggi).

Tutte le cose costavano meno, qualcuna molto meno oggi, ad esempio 1 kg. di farina di meliga costava Euro 0.65 circa (1/2 di oggi) ed 1 kg. di pane 1.40 Euro (1/2 di oggi).

Costavano meno gli artigiani, per esempio un mq. di “placard” il nostro costruttore lo pagò circa 30 Euro.

Il Pétey poté però risparmiare qualcosa pagando parzialmente con prodotti caseari (burro a 6.80 Euro/kg. (2/3 di oggi) seras a 3.40 Euro/kg. (1/3 di oggi).

Per fare meditare soprattutto gli artigiani presenti aggiungo che una giornata di un loro collega costava 10 Euro.

Cosa spese complessivamente Pétey Joseph?

Non lo so! Moltissimo.

Egli soleva dire: 3 pile di Napoleoni d’oro dal piazzale al colmo del tetto.

Era certamente una battuta, però contrasse un debito che estinse rapidamente (foto 26).

Finalmente nell’estate 1906 –più precisamente il 1° luglio – poté inaugurare solennemente l’albergo, chiamato “Pétey”.

Giorno di grande festa, con invitati, bevute, (a questo fine si preparò acquistando uvaggio da vino, a 1.80 Euro/kg, e vino bianco a 1.90 Euro/lt, prezzi non molto dissimili da quelli di oggi per merce di buona qualità.

Ci fu anche un discorso.

Per non annoiarvi immaginate di trovarvi nel 1906 nel nuovo albergo, e lo troverete più interessante, ora che ve lo faccio leggere, è molto lungo ma è il perno di questa serata:

“Mesdames, messieurs. Au nom de la famille Pétey, j’ai l’honneur et le plaisir de remercier d’abord la Direction du Club Alpin pour la spontanéité avec laquelle elle s’est fait initiatrice de la solennelle inauguration d’aujourd’hui ; la Société Aosta – Sportiva dont la brillante et forte jeunesse a contribués hautement à relever le décor de la fête (avranno eseguito un saggio ginnico ?). M.eur le Président et les membres de l’association valdôtaine pour le mouvement des étrangers (una specie di assessorato al

7 turismo ?) dont la précieuse intervention est preuve que le nouvel Hôtel a rencontré l’approbation et les faveurs du public et d’assurance a M.eur Pétey que son oeuvre sera couronnée d’un brillant succès ; M.eurs les représentants de la presse italienne et locale et enfin tous ceux qui ont bien voulu par leur présence ou en quelconque autre façon, porter leur tribut d’encouragement à la hasardeuse entreprise du nouvel hôtelier (foto 1).

Sachez donc, que sous les rudes apparences de M.eur Pétey, bât et palpite un cœur d’or qui déborde de reconnaissance pour vous tous.

Nous sommes venus fêter en lui l’homme de travail, d’esprit d’initiative et de progrès, le simple agriculteur qui métamorphosé en ingénieur et architecte, a su concevoir, construire et mettre en activité au milieu de ces gorges et de ces montagnes, un hôtel splendide avec tout le confort que le raffinement moderne peut exiger.

L’avenir nous dira si la journée d’aujourd’hui sera la plus belle page de la vie de M.eur Pétey, mais pour que cela puisse se réaliser il y a encore beaucoup de chemin a parcourir.

En avant donc, ne nous arrêtons pas, ce n’est que la première étape, cherchons par tous les moyens et chacun selon notre pouvoir de seconder et d’encourager l’œuvre si brillamment initiée, afin de correspondre à l’accueil vraiment cordial que nous venons de recevoir.

Nous n’avons qu’à promener nos regards autour de nous, pour nous faire une idée des difficultés de tout genre qu’a du surmonter M.eur Pétey pour créer un hôtel dans ces parages, tellement qu’on ne sait si l’on doit plus admirer en lui la constance de la volonté ou l’esprit d’aventure (foto 19).

Persuadé de faire un chose utile aux voyageurs épris des beautés de nos montagnes, il a jeté à pleines mains des capitaux épargnés goutte à goutte comme les sueurs qui ont, pendant toute sa vie, coulé de son front (foto 20).

Depuis des années l’on sent dans ce pays le nécessité d’une route chariotable qui aurait du, certes, précéder la construction de quelconque hôtel et de quelconque refuge apte à abriter les voyageurs ; et il n’y a cependant pas manqué des politiciens qui l’ont promise et qui la promettront encore.

Mais M.eur Pétey impatient d’attendre, et sans tant de préamboles, vous flanque là un hôtel superbe, pour vous dire que la valeur des œuvres dépasse celle des paroles.

A mon idée, et je crois que vous êtes de mon avis, il faudrait beaucoup moins de politique et de promesses, mais beaucoup plus de faits accomplis, quelques décorations de moins et quelques routes de plus ; mais pour contre je voudrai que l’Ordre des Chevaliers du Travail, comptât un décoré de plus, en la personne de M.eur Joseph Pétey.

Oyace, le 1° juillet 1906.

8 La firma sembra si possa leggere : Borre Damien.

Evidentemente i tempi sono cambiati ma non i discorsi e i politicanti.

Pétey non ricevette riconoscimenti ufficiali, comunque cominciò la gestione. (foto 21).

Dapprincipio i clienti furono soprattutto stranieri, inglesi in special modo.

Gestiva l’hotel direttamente, infatti nel gennaio 1908 scrisse alla Amministrazione Comunale di Oyace, chiedendo di saldare il conto relativo alla permanenza di Carabinieri Reali.

Il nostro personaggio non potè però godere dei frutti di tanto lavoro perché, nel dicembre 1908 morì.

Non è dato sapere il perché (foto 1).

Per successione l’albergo passò nella proprietà della figlia Julie (1880-1970), maritata Pastore (foto 22).

Costei non gestì direttamente l’albergo,avendo con il coniuge altri interessi commerciali in Aosta, però i locali furono abbelliti, la sala da pranzo fu dotata di un bellissimo mobile in noce – che ho potuto visionare –di un lampadario e appliques in ferro battuto, e l’esercizio alberghiero acquistò fama, ebbe cioè un avviamento superlativo.

Pètey Julie nell’ottobre 1918 lo vendette alla “Società Anonima ILVA Alti Forni ed Acciaierie d’Italia” per £ 65000 (cifra modesta ma veritiera, essendo sicuramente conforme ad una deliberazione ufficiale della Società) compenso non comprensivo dei migliori mobili e suppellettili, che vennero asportati.

Cosa ci faceva questa ditta nella vallata?

Non credo che sfruttasse il rame degli impianti di località Bechasse di Bionaz, poiché nel 1928 appartenevano ancora ad una società belga, ed è probabile che cercasse altri minerali da utilizzare per la produzione di leghe, forse nichel, questa è anche l’opinione di un funzionario della ILVA di Genova, da me interpellato (foto 23).

Nel frattempo nella casa colonica rimasta sotto l’albergo, appartenente al figlio Julien, più precisamente nell’estremità di levante (foto 24) funzionò un piccolo negozio di commestibili; a quel locale si dava ancora, qualche anno fa, il nome di “boutecca”.

Nel 1923 (5 anni dopo l’acquisto) la Società ILVA cedette l’albergo, per £ 47000 al Signor Ferretti Simone (foto 25) di nascita valdostana e di origini piemontesi; costui era esperto di alberghi, avendovi fatto la gavetta in Francia, Germania e Inghilterra, diventando “maître”, oltre ad avere imparato a parlare e scrivere le lingue di quegli Stati, perciò non ebbe remore ad acquistare l’hôtel, sposò la cugina Buissonin Luigia

9 e vi riprese l’attività. La moglie cucinava e lui serviva a tavola, gli altri lavori venivano svolti da personale esterno, in seguito anche dalle figlie Judith, Elodie e Laurentine.

L’albergo fu gestito all’inizio come “Hôtel Miravalle” (foto 18) poi, l’anno seguente all’acquisto, come “Hôtel Otemma”, cambiamento deciso per ovviare alla confusione con un omonimo albergo di Ayas (foto 36).

Perché scelse il nome di un ghiacciaio svizzero? Forse per facilità di pronuncia, anche perché con l’avvento del fascismo i clienti stranieri tendevano a diradarsi ed a aumentare quelli italiani (foto 27).

Il Signor Ferretti tenne alto il nome dell’albergo (foto 28) curando ogni aspetto (ad esempio il servizio ai tavoli veniva svolto con i guanti bianchi) spostando una tramezza per rendere più funzionale il servizio nella sala da pranzo, curando l’estetica interna.

Fu Ferretti a far decorare la sala da pranzo? (foto 29 – 30 – 31 – 32) (decorazioni che meritano di essere conservate, anche se per quelle del soffitto sorgerebbero grossi problemi tecnici).

L’interrogativo è motivato, poiché la figlia del Ferretti, Laurentine, non ricorda discorsi su un particolare così importante ed anche perché Pétey Joseph ebbe rapporti di lavoro con un certo Lancia Joseph . . . ed un Lancia che all’epoca operò come pittore in due cappelle di Saint Christophe potrebbe esserne l’autore (la famiglia Lancia comprendeva artigiani edili e pittori). Servirebbe una perizia!

Anche le camere avevano alcune semplici decorazioni, eseguite a mano, poi ricoperte dopo l’annerimento con le stufe durante l’occupazione tedesca.

E’ molto probabile che tali belle decorazioni furono commissionate da Pétey Julie e dal marito Pastore Carlo, molto interessati all’abbellimento degli interni.

Nei mesi da giugno ad agosto l’esercizio alberghiero era sempre al completo, molti clienti vi soggiornavano un mese o più, però non era sufficiente al sostentamento della famiglia, perciò il Ferretti gestì anche in Aosta prima un ristorante, poi un negozio di formaggi.

Le attenzioni ai clienti furono costanti negli anni, basta leggere gli album con le note scritte dai medesimi, tutte concordi nell’esaltare l’accoglienza, la cucina . . . ed anche il vino.

In percentuale fra le presenze prevalevano gli italiani, seguiti dagli inglesi, da svizzeri, tedeschi, qualche spagnolo e qualche statunitense; i clienti provenivano dalla borghesia ( avvocati, ingegneri, professori universitari) dalla piccola nobiltà, dagli eserciti italiano (fra cui un ufficiale cinese) e tedesco (soprattutto nel decennio anteriore alla 2^ guerra mondiale) dai quadri direttivi fascisti ( uno terminò le proprie annotazioni sull’album con “eia eia alalà”) di industriali (come quello dolciario Pernigotti); ci furono anche soggiorni brevissimi di rappresentanti del clero (ad

10 esempio l’abbé Henry ed il canonico Joseph Treves); nella stagione della caccia furono ospitati anche alcuni cacciatori (foto 33).

Soggiornarono poi molti alpinisti, più o meno provetti, che scalarono in 1^ assoluta la punta sud del Morion (nel 1924) l’Hermite de Cuney (nel 1924) che fecero la 1^ traversata Sengla sud – Sengla centrale (nel 1929), che violarono la parete est della punta Judith nel Morion (anno 1948).

Un alpinista dalla punta Fiorio definì l’albergo “il piccolo dado bianco”.

Il signor Ferretti era conscio dell’importanza dell’alpinismo per lo sviluppo turistico della vallata, perorò pertanto la costruzione della strada (anche come componente del consiglio comunale) – infatti poteva salire solo qualche temerario con la moto (la prima arrivò sino a Bionaz solo nel maggio 1931) – e la ricostruzione della capanna Aosta, indirizzò i clienti verso il rifugio Collon ed il bivacco Sassa (inaugurati nel 1929) e cercò di esaltare tutte le potenziali prospettive alpinistiche: il suo entusiasmo lo spingeva ad accompagnare tutti i clienti, nelle giornate terse, poco a monte dell’albergo (vicino alla propria sorgente) per osservare con il cannocchiale la cima del Cervino. – effettivamente è la zona di fondovalle della Valpelline dalla quale si distingue meglio la “Gran Becca”.

La massa dei villeggianti rispondeva esaltata dall’accoglienza abbinata alla bellezza dei luoghi (foto 34).

Descrivevano infatti la vallata “di bellezza tibetana”, oppure “paradisiaca, adatta al piccolo ed al grande turismo e all’alpinismo modesto e accademico “ ed anche “di bellezza sua propria, quasi discreta e pudica”, un ospite scrisse, in arabo, una breve lode a Dio per la bellezza del creato.

Altre modifiche murarie non furono attuate, sia internamente che all’esterno, fatta eccezione per un adeguamento dell’impianto elettrico.

Particolari lavori non dovettero essere effettuati, anche a seguito dell’incendio del fienile retrostante avvenuto il 14.8.1932.

I clienti continuarono ad andare a tavola sentito il suono di una campanella (foto 28) e la gestione continuò tranquilla sino allo scoppio della 2^ guerra mondiale, durante la quale l’albergo non ebbe villeggianti.

Le camere per gli ospiti erano 16 per un potenziale di 32 letti; gli arredi rimasero essenzialmente quelli originali, tranne l’attrezzatura della cucina, le coperte ed i materassi delle camere, cose che dovettero essere rimpiazzate per circa 2/3 dopo la permanenza di truppe tedesche durante gli ultimi anni della guerra 1940-45, che si dimenticarono di indennizzare l’esproprio.

Arrivarono anche i partigiani, in fuga da Trois Villes di Quart dopo la battaglia del 24.8.1944, poi gli americani (foto 35) i quali, non so come, riuscirono ad arrivare con la jeep fino al villaggio di Perquis in Bionaz – primo autoveicolo -. Con la pace arrivò qualche turista o villeggiante in più, però solo dal 1946, perché il Comando Alleato nel 1945 vietò l’accesso alla vallata, perché dichiarata “zona di confine”.

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Nel 1948 il Ferretti portò l’acqua nelle camere (notate che la strada carrozzabile arrivava allora solo al confine fra Valpelline e Oyace, perciò i lavelli li portarono sulle spalle, da quel punto, le sorelle Ferretti (foto 36).

Dal 1951 poterono utilizzare la strada, prima ripida e stretta (foto 37) e finalmente agevole (foto 38).

Il 4 settembre 1955 l’albergatore collaborò all’organizzazione di una corsa ciclistica, per allievi e dilettanti juniores di II categoria, Aosta – – Aosta – Oyace nella quale si classificarono 32 atleti, per la maggioranza piemontesi. Sicuramente fu la 1^ gara disputata sulla strada per l’hôtel.

Con la ripresa dell’economia però il turismo piano piano cambiò indirizzo: prima l’hôtel era la base per varie escursioni a piedi , (poi la base si spostò a monte, lungo la nuova strada e la gestione dell’albergo, strutturato com’era, non fu più redditizia.

Simon Ferretti morì nel 1956, all’età di 69 anni; l’hôtel passò alla moglie, poi alla figlia Laurentine maritata Domaine, che verso il 1958 – 59 lo ampliò costruendo la sala bar, onde incrementare gli introiti, nuovi bagni ad ogni piano, più moderni, ingrandendo i preesistenti ed una nuova cantina interrata. Conseguentemente la struttura assunse l’aspetto che persiste a tutt’oggi (foto 4,11).

Però l’economia della gestione mutò poco, divenendo ogni anno meno redditizia.

Sarebbero stati necessari investimenti di difficile ammortamento, soprattutto alla fine degli anni ’70, principalmente per adeguarlo alle norme di sicurezza e per dotare ogni camera di bagno.

Nell’anno 1975 vi furono parecchi danni causati da una valanga, non enorme come quella della fine anno 1955 che interessò una vasta parte del Comune di Oyace, causò la capitozzatura dell’abete posto all’ingresso, lo sradicamento del cancello d’ingresso e altri danni, ma onerosa, avendo sfondato le finestre del bar con relative serrande.

E’ da notare che la struttura vecchia, realizzata dal Pétey, subì solo danni marginali: dimostrazione di quanto valgano l’esperienza dei luoghi e la memoria storica per una diligente progettazione.

Oggi le tendenze, le mode, indurrebbero forse ad altre scelte, ma nel 1980 fu presa la decisione, certamente sofferta, di chiudere l’attività alberghiera.

Ne seguì, sino al 1992, l’uso come casa per ferie di gruppi, poi un temporaneo utilizzo del solo bar.

Nel 1991 fu rifatta la copertura del tetto, poi nessuna manutenzione di rilievo e subentrò un triste aspetto di abbandono (foto 39). A questo punto sorge una domanda: la popolazione locale veniva coinvolta nella gestione? Senz’altro qualche residente fece parte del personale, qualcun’altro fu

12 incaricato di trasportare i bagagli – quando mancava la strada – da e per Valpelline con il mulo, o di trasportare giornalmente viveri, giornali, ecc., sempre da Valpelline o da Aosta, qualcuno fornì il latte, i formaggi le patate, la legna, altri vendettero fontina ai clienti dell’albergo.

Sicuramente poi l’albergatore organizzò qualche gita facendo accompagnare il gruppo da un mulo con relativo conducente per il trasporto dei viveri.

So che qualche persona in condizioni economiche o sanitarie critiche ebbe aiuti dai villeggianti.

L’hôtel quindi ha rappresentato un sostegno all’economia locale.

Nel febbraio 2005 l’immobile è stato acquistato dal Comune di Oyace, il cui attuale Sindaco ci dirà qualcosa a proposito.

Ho terminato, spero di non avervi troppo annoiati.

Ringrazio particolarmente le persone che mi hanno fornito cartoline, documentazione varia e informazioni orali.

Avete notato che, all’epoca, gli artigiani ed i commercianti portavano tutti un cognome non francese?

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