Corso di Laurea magistrale in Scienze dell’antichità

Tesi di Laurea

La silloge epigrafica di Einsiedeln Origine, tentativo di datazione e rapporto con le fonti itinerarie

Relatore Ch. Prof. Lorenzo Calvelli

Correlatori Ch.ma Prof.ssa Giovannella Cresci Marrone Ch. Prof. Luigi Sperti

Laureando Marco Del Longo Matricola 853511

Anno Accademico 2018 / 2019 Indice

Introduzione p. 5

Parte 1: la silloge epigrafica p. 16 1-2. Iscrizioni di Ponte Salario p. 17 3. Iscrizione del Ponte Elio p. 20 4, 5, 5a. Iscrizioni del Mausoleo di Adriano p. 23 6. Iscrizione musiva dell’arco trionfale della di San Pietro p. 29 7. Iscrizione dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II p. 32 8. Iscrizione del ninfeo restaurato da Flavio Filippo p. 35 9. Iscrizione dell’Aqua Virgo p. 37 10. Iscrizione musiva dell’abside della Basilica di San Pietro p. 39 11. Iscrizioni dell’ambone dell’antica Basilica di San Pietro p. 43 12. Iscrizione della base di statua di Petronio Massimo p. 45 13, 14, 14a. Le iscrizioni del foro Traiano p. 47 13. Iscrizione della colonna Traiana p. “ 14. Iscrizione della riduzione dei debiti di Adriano p. 50 14a. Iscrizione del tempio delle Matrone p. 52 15. Iscrizione dell’arco di Graziano, Valentiniano II e Teodosio p. 53 16. Iscrizione delle terme di Diocleziano p. 55 17, 18, 19. Iscrizioni di Porta Prenestina/Maggiore p. 58 20. Iscrizione del restauro del Macellum Liviae p. 63 21. Cenotaffio di Gaio Dillio Vocula p. 65 22. Iscrizione del Ponte Cestio p. 67 23. Iscrizione della Basilica di Sant’Anastasia p. 69 24. Iscrizione del Foro del Palatino p. 71 25. Iscrizione della chiesa di p. 73 26. Iscrizione della basilica di p. 76 27. Iscrizione dell’Obelisco Vaticano p. 78 28. Iscrizione dello spianamento del clivus Martis p. 81 29. Iscrizione dell’Arco di Tito al Circo Massimo p. 83 30. Iscrizione del Septizodium p. 88 1 31. Epitaffio di Marco Camurio Sorano p. 95 32. Iscrizione frammentaria nella catacomba di San Sebastiano p. 97 33. Iscrizione della statua equestre di Costantino p. 99 34. Iscrizione dell’Arco di trionfo di Settimio Severo p. 103 35. Le iscrizioni dei templi In Capitolio p. 107 351. Tempio di Saturno p. “ 352. Tempio del Divo Vespasiano p. 112 353. Tempio della Concordia p. 114 36. Iscrizione dell’arco di Costantino p. 116 37. Iscrizione dell’arco di Tito p. 121 38. Iscrizione dell’arco perduto di Marco Aurelio p. 124 39-43. Iscrizioni del Campidoglio p. 127 39. Iscrizione onoraria per Nerva p. “ 40. Iscrizione della base di statua di Rufio Albino p. 129 41. Dedica alla Pietas Augusta p. 131 42. Iscrizione del locus adisgnatus p. 132 43. Iscrizione dei curatores tabularum publicarum p. 133 44. Iscrizione per Tiberino e per i lavori pubblici p. 135 45. Monumento funebre di Gneo Domizio Primigenio p. 139 46=52. Cippo con decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo p. 141 47. Editto contro gli abusi nella macinazione del grano p. 146 48. Iscrizione dell’abside di San Paolo fuori le Mura p. 150 49. Iscrizione dell’aula battesimale di San Paolo fuori le Mura p. 151 50. Iscrizione del restauro del Teatro di Pompeo p. 153 51. Iscrizione della biblioteca di papa Agapito p. 158 53-55 Monumento dell’auriga Publio Elio Gutta Calpurniano p. 161 56-66: Iscrizioni del Mausoleo di Adriano p. 165 56. Epitaffio di Commodo p. 167 57. Epitaffio di Lucio Vero p. 169 58-59 Epitaffi di Lucio Elio Cesare e Antonino Pio p. 170 60-66 Le iscrizioni minori p. 171 67 (68), 71, 74, 75. Gli epigrammata damasiani p. 176 67-68. Iscrizioni dei Santi Proto e Giacinto p. 178 2 71. Iscrizione dei martiri Nereo e Achilleo p. 180 74. Iscrizione dei martiri Felice e Adautto p. 184 75. Iscrizione dei santi Pietro e Paolo p. 187 73. Iscrizione greca di Lucio Giulio Vestino p. 190 76, 77, 78, 79, 80. Iscrizioni di Pavia p. 193 76-78 Iscrizioni dell’arco augusteo di Pavia p. “ 79. Iscrizione di Sestilio Fusco p. 198 80. Iscrizione dell’icona in San Pietro in Ciel d’Oro p. 199

1.2. La silloge epigrafica del codice di Einsiedeln: origine e datazione p. 202

1.2.1. Origine p. “ 1.2.2 Datazione p. 207

Parte 2. Il rapporto tra silloge ed itinerari p. 210

2.1. L’origine degli itinerari e il caso dei testi 69, 70 e 72 della silloge p. “ 2.2. Silloge ed itinerari: un confronto parallelo p. 215 I: A porta sancti Petri usque ad sanctam Luciam in Orthea p. 216 II: A porta sancti Petri usque ad Portam Salariam p. 218 III: A porta Numentana usque Forum Romanum p. 220 IV: A porta Flaminea usque via Lateranense p. 221 V: A usque Subura p. 222 VI: Item alia via Tiburtina usque ad sanctum Vitum p. 223 VII: A porta Aurelia usque ad portam Praenestinam p. 224 VIII: A porta sancti Petri usque p. 226 IX: De septem viis usque porta Metrovia p. 228 X: De porta Appia usque Scola Greca in via Appia p. 230 XI: [A] porta sancti Petri usque ad sanctum Paulum p. 233 XII: elenco delle tombe dei martiri p. 234 Iscrizioni di dubbia attribuzione p. 235 2.3 Analisi dei risultati p. 236 3 2.4 Commento p. 239

Parte 3: Conclusioni p. 241 3.1 Silloge e itinerari del codice di Einsiedeln p. “ 3.2 La silloge epigrafica: origine e datazione p. 242 3.3 La corrispondenza topografica tra silloge e itinerari p. 243 3.4 Considerazioni finali p. 244

Indice delle figure p. 246

Principali abbreviazioni p. 249

Bibliografia p. “

4 Introduzione

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Cod. 326

Rinvenuto da Jean Mabilion all’interno della biblioteca dell’abbazia svizzera di Einsiedeln nel 1653, il Stiftsbibliothek 326 è un manoscritto membranaceo e miscellaneo di 17,8 x 12,6 cm, composto da un totale di 104 fogli e che comprende cinque sezioni diverse, rilegate insieme tra XIII e XIV secolo. Non sono note le modalità con cui il libello sia arrivato a Einsiedeln, ma si sa che in precedenza doveva appartenere alla biblioteca di Pfäers, nel cantone di San Gallo, come si può dedurre dalla nota iste liber est monasterii Fabariensis presente nell’ultimo foglio. A livello contenutistico, le cinque sezioni comprendono:

1. un estratto dalle Notae di Valerio Probo (ff. 1r-10v); 2. i Gesta Salvatoris (Evangelium Nicodemi) (ff. 11r-34v); 3. una serie di canoni penitenziali intitolata Quod diversitas culparum diversitatem faciat penitentiarum (ff. 35r-66v); 4. un insieme di diversi testi di carattere epigrafico, topografico e liturgico (ff. 67r-97v); 5. Un testo della De inventione s. Crucis, relativo alla conversione di Costantino e al ritrovamento della santa croce da parte di Elena.

Nello specifico, questa ricerca è dedicata alla quarta sezione del manoscritto, la quale era in origine un lavoro a sé stante. Essa si compone a sua volta di cinque parti, tutte redatte da un’unica mano: la prima è una silloge di testi epigrafici esistenti a Roma e Pavia; la seconda una raccolta di alcuni itinerari di Roma; la terza una descrizione delle mura di Roma; la quarta un insieme di pratiche e rituali per la Settimana Santa, conosciuto con il nome di Ordo Romanus; la quinta una raccolta di vari poemi in latino. Quest’ultima componente è d’aiuto per definire la datazione e l’origine di questo nucleo del manoscritto: i suoi ultimi due testi sono infatti rispettivamente gli epitaffi di Geraldo, cognato di Carlo Magno, e del vescovo di Strasburgo Beraldo. Il primo morì il primo settembre 799 durante la battaglia contro gli Avari e venne sepolto nell’Abbazia tedesca di Reichenau, sul lago di Costanza; il secondo, educato da giovane proprio a Reichenau, venne a mancare il 17 aprile 840, data registrata nel necrologio dell’Abbazia. Di conseguenza, 5 appare molto probabile che questa parte del codice di Einsiedeln sia stata in origine redatta proprio a Reichenau nella seconda metà del IX secolo, come si può dedurre anche dall’analisi paleografica del manoscritto, redatto in minuscola carolina in inchiostro nero alternato, talvolta, da una capitale rustica arancione, utilizzata per determinare le indicazioni topografiche delle iscrizioni e i termini primi e ultimi degli itinerari. Giovanni Battista de Rossi, che studiò il manoscritto verso la fine del XIX secolo, aveva

quindi chiamato il manoscritto Sylloge Reichenavensis1, e Stefano Del Lungo2, nel suo più recente studio del manoscritto, ha assegnato al responsabile della redazione del codice il nome Anonimo Augiense, dal toponimo latino dell'isola di Reichenau, Augia. Il paleografo Bernard Bischoff, che attuò uno studio del manoscritto per volere di Gerold Walser nel 1986, dichiarò tuttavia che il manoscritto era simile nello stile alle produzioni di codici della scuola dell'abbazia medievale di Fulda: tale considerazione indusse Walser a suggerire che l'autore del manoscritto fosse un monaco dall'abbazia di Fulda, che si era unito a Carlo Magno in uno dei suoi viaggi a Roma3. I nomi appena citati sono solo alcuni dei numerosi epigrafisti, topografi e archeologi che negli anni hanno studiato il manoscritto, con un occhio di riguardo particolare proprio per le prime tre sezioni del quarto nucleo del manoscritto. Ed è proprio all’interno di questa discussione, della quale si accennerà nei prossimi paragrafi, che questo lavoro si vuole inserire, con una nuova analisi della silloge epigrafica e del suo ipotetico rapporto con gli itinerari.

Silloge, itinerari e descrizione delle mura di Roma: storia degli studi Già lo scopritore del codice Jean Mabilion aveva intuito come, tra le varie sezioni, le più interessanti fossero la silloge epigrafica, gli itinerari e la descrizione delle mura di Roma. All’interno della sua opera Vetera analecta4, l’erudito francese inserì la prima edizione a stampa delle stesse, preceduta da un breve commento, in cui riferì sommariamente che:

1 De Rossi 1888, pp. 9-35. 2 Del Lungo 2004.

3 Walser 1987. 4 Mabilion 1685, pp. 358-366. 6 1. Alcune iscrizioni, perlopiù quelle antiche, erano già note dalle sillogi a stampa di Giacomo Mazzocchi, Pietro Apiano e Bartolomeo Amantio e Jan Gruter, di cui riporta i riferimenti, ma molte erano per la prima volta attestate proprio nel manoscritto. Di sicuro, si trattava della più antica raccolta di testi epigrafici al tempo nota; 2. Gli itinerari e la descrizione delle mura erano del tutto inediti e, per quanto brevi, “non parum conferet illustrandae antiquitati”5.

Il lavoro di Mabilion restò tuttavia un caso isolato e il codice di Einsiedeln di fatto dimenticato fino almeno al 1825, quando Gustav Friedrich Haenel, recatosi nell’Abbazia

svizzera proprio per esaminare il libello, lo trovò a fatica nell’angolo di una libreria6. Gli esiti della sua analisi vennero pubblicati nel 1837, sotto forma di una nuova edizione stampata di silloge, itinerari e descrizione delle mura, questi ultimi due intesi come un’unica parte. Nell’introduzione all’edizione, Haenel evidenziò come una sezione degli itinerari fosse stata interpolata all’interno della silloge, definendo questo l’errore di un copista successivo. Il dotto tedesco non approfondì la questione, ma ebbe il merito di introdurre una considerazione molto importante per questa discussione: silloge ed itinerari erano copie più tarde di un lavoro precedente. Il lavoro di Haenel diede avvio alla vivace ed accesa discussione sul codice, in particolare sulle tre componenti tra ff. 67r e 86r. Theodor Mommsen studiò il manoscritto dall’opera di Haenel, recensendone la silloge in un articolo del 18507. Il curatore del CIL ebbe l’illustre merito di riscontrare una probabile relazione tra la silloge di Einsiedeln e quella redatta nel XV secolo da Poggio Bracciolini8. La raccolta di iscrizioni redatta dall’umanista aretino si divide infatti di due parti: una prima che deriva dalla copia di un manoscritto carolingio rinvenuto nell’abbazia di San Gallo, dove Poggio si era recato durante il concilio di Costanza (1414-1418), a cui aveva preso

5 Mabilion 1685, p. 359. 6 Haenel 1837: “Einige Male sind es aber offenbare Fehler des spätern Abschreibers, wie z.B. schon die Versetzung eines Stücks in N. 4 lehrt” (“A volte, tuttavia, ci sono evidenti errori di un copista successivo, come dimostra ad esempio l’inserimento di un brano degli itinerari nella sezione 4”. Per sezione 4 Haenel intende la silloge epigrafica).

7 Mommsen 1850, pp. 287-328. 8 Sulla silloge epigrafica di Poggio vedere Kajanto 1985, pp. 19-40 e, più recentemente, Gionta 2010/2011. 7 parte come secretarius domesticus dell’antipapa Giovanni XXIII; una seconda derivante da riscontri autoptici condotti a Roma. La prima sezione comprende un totale di trentasei testi, tutti attestati anche tra la sesta e la quarantasettesima trascrizione della silloge di Einsiedeln. Queste iscrizioni, per quanto già scomparse in età umanistica, avrebbero goduto di una buona tradizione, che derivava perlopiù dalla copia che eruditi, quali Ciriaco d’Ancona, trassero proprio dalla silloge di Poggio, che circolava in due edizioni manoscritte9. Secondo

Mommsen10, Poggio avrebbe potuto vedere proprio il codice di Einsiedeln, copiando solo una parte dei testi ivi compresi, o, più verosimilmente, avrebbe trascritto un’altra copia derivante proprio dal manoscritto a noi giunto o dalla più antica versione originale, riprendendo l’intuizione di Haenel. Queste letture furono riprese da Giovanni Battista de Rossi nella sua opera Le prime raccolte d'antiche iscrizioni compilate in Roma tra il finire del secolo XIV e il cominciare del XV11, pubblicata nel 1852, quattro anni prima del suo soggiorno ad Einsiedeln, dove analizzò con perizia silloge, itinerari, descrizione delle mura e appendice liturgica, cui una prima relazione venne pubblicata nell’articolo Relazione dei lavori fatti dal sottoscritto per

il Corpus Inscriptionum Latinarum dal novembre 1854 a tutto ottobre 1855 del 185612. Nel primo volume de La Roma sotterranea cristiana descritta e illustrata (1864), l’archeologo italiano propose che gli itinerari e la descrizione delle mura della città dovessero accompagnare in origine una mappa di Roma13: negli anni seguenti tale congettura fu posta al centro dell’analisi dei percorsi; quindi, nel 1888, pubblicò all’interno del secondo volume della prima edizione delle ICVR un attento e approfondito lavoro sul manoscritto, concentrandosi in particolare su una nuova edizione della silloge epigrafica14. Questo lavoro - su cui si tornerà presto - seguiva di qualche anno altri tre importanti contributi sull’argomento: l’edizione di silloge, itinerari e descrizione delle mura a opera di Karl Ludwig von Urlichs15, quella più dettagliata dei soli itinerari e mura a cura di Henri

9 Vat. Lat. 9152 e Angel. D 4,18, cfr. Kajanto 1985.

10 Mommsen 1850, p. 287. 11 De Rossi 1852, pp. 105-111.

12 De Rossi 1856, pp. 46-49. 13 De Rossi 1864, pp. 146-148.

14 De Rossi 1888, pp. 9-33. 15 Urlichs 1871, pp. 59-78. 8 Jordan16, entrambe del 1871, e quella della sola silloge in apertura del VI volume del CIL del 1876, edito da Wilhelm Henzen17. Di particolare importanza è lo studio di Jordan, il quale, oltre ad appoggiare la lettura degli itinerari in supporto ad una pianta di Roma elaborata da de Rossi, offrì una prima proposta di datazione per i percorsi e timidamente si interrogò, senza fornire risposta, su una possibile relazione tra silloge e itinerari. Il topografo tedesco rinvenne nella menzione del monastero di papa Onorio I (625-638) il termine post quem, nella presenza del toponimo S. Maria antiqua invece di nova - la basilica fu restituita con l’appellativo nova da Leone IV tra 848 e 852 - il termine ante quem18. Il primo e secondo punto continuarono ad essere centrali nella discussione sul codice degli anni seguenti, mentre il terzo non venne sostanzialmente più messo in discussione. Fino al 1987, anno in cui, come si vedrà, Gerold Walser pubblicò una nuova edizione della silloge, i riferimenti alla raccolta di testi epigrafici furono scarni e generalmente poco approfonditi. Angelo Silvagni nel suo articolo Nuovo ordinamento delle sillogi epigrafiche di Roma anteriori al secolo XI, pubblicato nel 1921, si legò al ragionamento di de Rossi, affermando addirittura che il primo nucleo di trascrizioni doveva risalire al V secolo ed essere opera di “un grammatico, forse romano e pagano quale spettatore accorato del tramontare dell’impero”19. Tale lettura fu accolta anche da Ida Calabi Limentani, che citò alla lettera Silvagni nel suo manuale di epigrafia latina del 1968, limitandosi ad aggiungere

un sommario commento del contenuto20. Al contrario, all’indomani della pubblicazione del secondo volume delle ICVR l’interesse nei confronti degli itinerari divenne assoluto. Lanciani nel 1891 accettò nel complesso le proposte di de Rossi, definendo tuttavia “arida lista di nomi” confusa ed inesplicabile

l’elenco degli edifici presenti nei percorsi, ed interrogandosi così sull’effettiva loro natura21. Dello stesso parere fu Hülsen, il quale, sulla base di un confronto tra gli itinerari e il

16 Jordan 1871, pp. 539-574. 17 CIL VI, pp. IX-XV.

18 Jordan 1871, p. 331. 19 Silvagni 1921, p. 203.

20 Calabi Limentani 1968, pp. 39-40. 21 Lanciani 1891, p. 445: “L'arida lista dei nomi, riesce a molti studiosi di poca ο nessuna utilità: anzi il frequente ripetersi di molte leggende, quando a destra quando a sinistra delle varie linee, produce confusione e rende talvolta inesplicabile il documento”. 9 percorso interpolato all'interno della silloge epigrafica, giunse a una conclusione ritenuta sicura e confermata anche dagli studi più recenti: gli itinerari del codice di Einsiedeln sono un’epitome “in molti luoghi troncata e confusa di un itinerario molto più ricco di notizie”, un cui esempio originale può essere letto, copiato erroneamente per intero da un disattento copista, all’interno della silloge epigrafica22. Furono questi di fatto gli ultimi contributi sul codice di Einsiedeln fino al 1942. Tuttavia, interessante per questa ricerca, è un intuizione di Oliffe Richmond, che nel suo articolo The Temples of Apollo and Divus Augustus on Roman Coins, pubblicato nel 1913 all’interno dell’opera Essays and Studies presented to William Ridgway23, fece un uso congiunto di silloge e itinerari per determinare dove si trovasse il Forum Palatinum, menzionato come indicazione topografica di un titulus della prima. Quest’ultimo segue nella collezione di testi un’iscrizione della basilica di Sant’Anastasia al Palatino, la quale si trova a pochissimi passi dalla chiesa di San Teodoro, nei pressi degli Horrea Agrippiana, dove appunto sorgeva il tempio del divo Augusto. La chiesa di San Teodoro era anche citata negli itinerari, insieme al Palatino. Dunque, sulla base della conseguenza dei due tituli nella silloge, e vista la menzione della chiesa di San Teodoro negli itinerari, Richmond dedusse che il foro del Palatino doveva coincidere con lo spazio pavimentato degli horrea Agrippiana e, conseguentemente, che silloge e itinerari avessero una relazione. Tuttavia questa intuizione non è stata né approfondita dall’autore, né tantomeno ha avuto un seguito, e anche quella parte della critica che, come si vedrà, presupponeva una relazione tra i due nuclei non ha fatto menzione del lavoro di Richmond. Nel 1942, dunque, Roberto Valentini e Giuseppe Zucchetti redassero una nuova edizione di itinerari e descrizione delle mura, insieme invero ad un compendio sulla silloge, esente però dalla trascrizione dei testi, nel volume secondo del Codice topografico della città di Roma24. Nel commento introduttivo, i due autori riportarono gli studi sino ad allora condotti sul manoscritto, prendendo le distanze da quanto proposto da Hülsen. Secondo la loro lettura, molto simile a quella di De Rossi, non esisteva infatti alcun rapporto tra il frammento di itinerario presente nella silloge e i percorsi tra ff. 79v e 85r, i quali sarebbero stati così redatti anche nella loro versione originale. Se questa lettura non pare essere

22 Hülsen 1907, pp. 7-9.

23 Richmond 1913, p. 211. 24 Valentini - Zucchetti 1942, pp. 155-207. 10 corretta, altresì è merito dei due studiosi quello di aver individuato nel monastero di , edificato sotto Stefano II (752-757) e Paolo I (757-767), il S. Silvestro menzionato negli itinerari, permettendo così di anticipare di oltre un secolo il termine ante quem proposto da Jordan. Nel 1965 itinerari e descrizione delle mura furono editi da Francois Glorie nel volume Itineraria et alia Geographica del Corpus Christianorum25. Bisognerà quindi aspettare il 1987 per un nuovo studio del codice. Il Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom di Gerold Walser presenta, dopo circa un secolo, una nuova edizione congiunta di silloge, itinerari e descrizione delle mura26. La proposta avanzata dall’archeologo svizzero è che le tre sezioni fossero in origine opera di un monaco benedettino sceso a Roma insieme a Carlo Magno tra la fine dell’VIII e l’inizio del IX secolo, e tornato nell’abbazia di origine passando per Pavia. Per la prima volta dai timidi tentativi di Jordan e dalla categorica esclusione di de Rossi, la critica tornò ad interrogarsi sulla possibile relazione tra silloge e itinerari, ma lo fece senza offrire risposte credibili ed efficaci. Il rapporto sembra dato per scontato e i due nuclei sono analizzati separatamente, senza un lavoro di confronto che possa giustificare una proposta tanto allettante quanto, sostanzialmente, inedita in questi termini. Inoltre, a fronte di un'eccellente analisi dei percorsi sulla base dell’altrettanto ottimo studio di Hülsen del 1907, l’edizione della silloge risulta talvolta affrettata e poco chiara, con pochi riferimenti tanto alla bibliografia specifica di ogni iscrizione, quanto alla sua tradizione e, come fece notare Werner Eck nella sua recensione all’opera del 1990, con commenti

talvolta nemmeno inerenti all’iscrizione in esame27. Stupisce in particolare come, pur riportando nelle schede epigrafiche i riferimenti all’edizione di de Rossi del 1888, manchi una controproposta alla lettura del curatore delle ICVR, ritenuta certa per un secolo esatto e secondo cui la silloge derivava dalla copia di quattro diversi nuclei di età e provenienza diversa e non aveva alcuna relazione con gli itinerari. Non è tanto che la proposta di Walser sia da ritenersi sbagliata, quanto piuttosto che l’approccio metodologico con cui ad essa si giunge non appare corretto: il commento sulla natura del codice non viene accompagnato da un doveroso sunto sulla storia degli

25 Glorie 1965, pp. 329-343.

26 Walser 1987. 27 Eck 1990, pp. 677-678. 11 studi, l’ipotesi della visita del monaco durante la discesa di Carlo Magno non è supportata da testimonianze o evidenze di alcun tipo e manca, soprattutto, una menzione sulla datazione tanto della silloge quanto degli itinerari. Dal canto suo, il Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom ha avuto un ruolo importante nella storia degli studi sul codice di Einsiedeln, ravvivando l’interesse nei suoi confronti. Se l’opera di Walser si può considerare il capostipite degli studi contemporanei su silloge e itinerari, l’articolo del 1997 di Franz Alto Bauer Das Bild der Stadt Rom in karolingischer

Zeit: Der Anonymus Einsiedlensis ne è il più importante punto di riferimento28. Bauer, a differenza di Walser, introduce il suo lavoro con una dettagliata descrizione del codice e della sua storia degli studi. Quindi, dopo un compendio molto dettagliato sui percorsi degli itinerari - oggetto principale dell’articolo - lo studioso cerca di definire una datazione quanto più circoscritta. L’archeologo tedesco ha notato come sarebbe possibile abbassare ancora di più il termine post quem del 752 proposto da Valentini e Zucchetti secondo la menzione del toponimo aeclesia graecorum, attribuito per la prima volta alla basilica di dopo il restauro, terminato nel 781/782, voluto da papa Adriano I, il quale ne affidò la gestione ad una colonia di monaci greci che si erano rifugiati a Roma per sottrarsi alla persecuzione iconoclasta di Costantino V; allo stesso modo, la chiesa dei Santi Sergio e Bacco, che prima dell’VIII secolo si trovava quasi distrutta nei pressi del tempio della Concordia, fu ricostruita ed ampliata nel 790 da Adriano, il quale ne spostò le fondamenta nei pressi dei rostra del foro, vicino all’umbilicus urbis Romae, da cui appunto la menzione negli itinerari S(an)c(t)i sergii, ubi umbilicum Romae. Altri edifici menzionati negli itinerari che vennero restaurati sotto papa Adriano sono i monasteri di Onorio e Laurenzio in Pallacinis e la chiesa di S. Giovanni a . Data l’enfasi posta sugli edifici restaurati da Adriano, Bauer ha abbassato il termine post quem per la redazione degli itinerari al suo papato. Sulla base di un ragionamento simile, quindi, ha alzato l’ante quem al pontificato di Leone III (795-816), sotto il quale le chiese di Santa Susanna e dei Santi Nereo e Achilleo, entrambe citate negli itinerari e su sua commissione restaurate, vissero un momento di grande splendore. Definita la datazione, la questione volge sul compito degli itinerari, in cui viene confermato quanto già definito da Hülsen: gli itinerari, così come presenti nel codice, non avevano alcun scopo odeporico, ma erano una copia confusa di una guida più dettagliata, il cui

28 Bauer 1997. 12 esempio originale poteva essere trovato, trascritto come se fosse un’iscrizione, all’interno della silloge epigrafica. Proprio questo figura in un breve paragrafo a sé stante: Bauer si è dichiarato d’accordo con Walser nel definire la raccolta di testi epigrafici opera di un singolo individuo e conclude, anch’egli congetturando e senza approfondire troppo la sua proposta, che dal momento che le iscrizioni erano state viste in un’area che pressappoco corrispondeva a quella degli itinerari, non è da escludere una possibile relazione tra le due componenti del manoscritto. Al contrario, escluso almeno nell’edizione originale degli itinerari è un rapporto con la descrizione delle mura, che lo studioso considera troppo dettagliata e tecnica per essere di interesse per i pellegrini. Piuttosto, essendo inserita dopo l’epitome del codice di Einsiedeln, che riguarda edifici solo interni alle mura, il suo compito poteva essere quello di una descrizione dei confini tra urbe e suburbio. La relazione fra le tre componenti del codice non è stata presa in considerazione dai primi studi successivi a quello di Bauer, opera di Riccardo Santangeli Valenzani29, Donatella Bellardini e Paolo Delogu30, i quali si sono interrogati per lo più sulla sola origine degli itinerari e sul loro scopo odeporico, mentre è centrale nell’opera di Stefano Del Lungo

Roma in età carolingia e gli scritti dell’Anonimo Augiense31. L’archeologo, dopo aver presentato un’edizione di silloge, itinerari e descrizione delle mura molto vicina nello stile a quella di Walser, avanza una proposta inedita e rivoluzionaria, secondo cui le tre componenti del codice erano in origine un unico documento di propaganda papale, commissionato da Adriano I in occasione di una visita da parte di Carlo Magno nel 774. Secondo l'interpretazione dello studioso, la curia papale avrebbe pubblicato il fascicolo con le tre sezioni in diverse copie. Le iscrizioni erano state scelte in quanto i testi rimandavano in qualche modo a esempi del potere imperiale e papale, mentre gli itinerari e la descrizione delle mura erano destinati a laici e sacerdoti al seguito di Carlo Magno, per dimostrare loro la grandezza dei monumenti, degli edifici e delle infrastrutture, in particolare dove era necessario o già in corso un restauro, dal momento che per questi poteva sembrare necessario l'aiuto della Franconia. Quest'ultima considerazione è suggerita in particolare dalla descrizione delle mura della città. Uno di questi fascicoli sarebbe quindi stato inviato al monastero di Reichenau da un monaco benedettino: tale copia servì da

29 Santangeli Valenzani 1999; 2001.

30 Bellardini - Deloglu 2003. 31 Del Lungo 2004. 13 modello per il codice di Einsiedeln. Nel suo compendio della storia degli studi sul codice del 2014, Riccardo Santangeli Valenzani ha definito le proposte di Del Lungo interessanti,

ma esenti da altre testimonianze e, soprattutto, da confronti espliciti32. Della stessa opinione Anna Blennow, autrice dell’ultimo, importante contributo a questa ricerca, pubblicato nel 201933. Nel suo attento lavoro di analisi di tutte e cinque le singole componenti di questa parte del manoscritto, Blennow ha individuato una certa relazione tra silloge e itinerari, ma non, assecondando la lettura di Bauer, con la descrizione delle mura. La studiosa svedese afferma che tutte le iscrizioni - tranne ovviamente quelle di Pavia - più o meno si ricollegano agli itinerari, in quanto si trovano lungo i percorsi o nei loro pressi e sui monumenti che in essi sono elencati. Di conseguenza, la silloge potrebbe essere opera di un dotto viandante, il quale, impegnato nella percorrenza degli itinerari e incuriosito dai tituli che vedeva, li ricopiò per diletto. Una lettura simile a quella di Walser, per quanto scientificamente più meditata, debitrice forse dell’intuizione sulla complementarietà topografica fra iscrizioni e itinerari di Bauer e che si pone come alternativa a quella di Del Lungo, ma anch’essa non esente da quegli stessi difetti che si sono evidenziati per gli studi che hanno proposto una relazione tra silloge ed itinerari. Si tratta invero di idee suggestive, tendenzialmente credibili e talvolta accettabili, ma che non possono essere prese in considerazione senza aver dimostrato prima una serie di presupposti indispensabili i quali, in questo lavoro, si cercherà di definire. Innanzitutto, scopo di una nuova edizione della silloge sarà quello di dimostrare che:

1. Essa possa essere effettivamente il risultato di un lavoro unico; 2. Le iscrizioni i cui testi erano stati copiati fossero esistenti e visibili almeno tra 773 e 816, coordinate entro le quali gli itinerari erano stati composti.

Per il primo punto indispensabile sarà un’osservazione sulla tipologia di iscrizioni riportate nella silloge e le modalità di copiatura dei testi. Partendo da questi bisognerà cercare di definire se ci fosse, dietro la trascrizione, una coerenza metodologica tale da giustificare il lavoro di un singolo redattore (da qui in poi Anonimo). Da Walser in poi pare ormai certo

32 Santangeli Valenzani 2014, p. 37. 33 Blennow 2019, pp. 33-54. 14 che la silloge fosse opera di una sola mano e frutto di autopsia, ma a parte Del Lungo - la cui proposta, si è visto, è stata ritenuta poco credibile - nessuno ha mai vagliato i testi da questo punto di vista. Inoltre, questa comune opinione collide con la lettura di de Rossi, ritenuta a lungo canonica e mai ufficialmente smentita, secondo cui la silloge era il prodotto della copia di diversi testi di varia età. Uno dei fondamenti della teoria del padre delle ICVR era la presenza nella silloge dei testi da Pavia, la quale sembrerebbe forse ancora più insolita qualora si dimostrasse che i testi romani abbiano un’origine comune. In questo caso sarà quindi importante definire se la presenza dei testi pavesi sia da ritenersi o meno collegata a quella dei tituli romani. Per ciò che concerne la datazione ci si concentrerà su due fattori: le date di produzione delle iscrizioni e la loro tradizione. La prime saranno utili per definire l’una il termine post quem la redazione della silloge, la seconda fino a quando ogni iscrizione sarebbe potuta essere vista. Essendo gli itinerari databili tra i papati di Adriano I (773-795) e Leone III (795-816), perché ci sia una relazione tra le due sezioni del codice è indispensabile che tutte le iscrizioni fossero già esistenti e ancora visibili dalla fine dell’VIII secolo. Qualora questi due punti siano accertati, si potrà procedere con la terza e definitiva questione: dimostrare con certezza, attraverso un confronto parallelo tra le due sezioni del codice, che tutte le iscrizioni di Roma fossero visibili e leggibili sui - o nei pressi dei - monumenti ed edifici menzionati negli itinerari. Se anche questa parte della ricerca dovesse dare esito positivo, allora le proposte avanzate negli ultimi anni da Walser, Bauer, Del Lungo e Blennow potrebbero essere considerate, se non valide, quantomeno giustificabili sulla base di evidenze chiare e praticamente definite.

15 Parte 1: La silloge epigrafica

Si procederà ora ad una nuova edizione della silloge epigrafica del codice di Einsiedeln. Ad ogni iscrizione verrà attribuito un numero, sul modello della suddivisione fatta da Walser nel Die Einsiedler Inschriftensammlung und der Pilgerführer durch Rom, e una tabella riassuntiva, nella quale verranno indicati:

1. Il luogo dove l’iscrizione si trovava; 2. I riferimenti alla pagina del manoscritto di Einsiedeln; 3. I riferimenti al corpus e, laddove ci siano, al database digitale di competenza; 4. Se l’iscrizione è stata oggetto di autopsia da parte dei redattori dei vari corpora; 5. Se l’iscrizione è ancora oggi esistente.

Attraverso questo lavoro si raccoglieranno i dati necessari per cercare di definire quale fossero l’origine e la datazione della silloge epigrafica.

16 1-2: Iscrizioni di Ponte Salario34

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 1. Ponte Salario, 67r CIL VI 1199a EDR115838 No No via Salaria 2. Ponte Salario, 67rv CIL VI 1199b EDR115838 No No via Salaria

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Cod. 326, f. 67r (www.e-codices.ch)

34 CIL VI 8, 2 p. 4335; Walser 1987, p. 64-65, nn. 1-2; Giardina 2006, p. 96, nr. 39. 17 CIL VI 1199 a/b (EDR115838) P(ro) imperante d̅ (omino) n̅ (ostro) piissimo ac triumphali semper Iustiniano p̅ (atri) p̅ (atriae), A̅ u̅ g̅ (usto), a̅ n̅ n̅ (o) X̅ X̅ X̅ V̅ I̅ I̅ I̅ I̅ . Narses vir gloriosissimus ex praeposito sacri palatii ex c̅ o̅ n̅ s̅ (ule) atque patricius post victoriam Gothicam ipsis, eorum regibus celeritate mirabili conflictu publico superatis, atque prostratis libertate urbis Romae, ac totius Italiae restituta, pontem viae Salariae us= que ad aquam a nefandissimo Totila tyranno distructum, purgato fluminis alveo, in meliorem statum, quam quondam fuerat, renovavit,

quam bene curbati directa est semita pontis, atque interruptum continuatur iter. Calcamus rapidas subiecti gurgitis undas, et libet iratae cernere murmur aquae. 5 Ite igitur faciles per gaudia vestra Quirites, et Narsim resonans plausus ubique canat. Qui potuit rigidas Gothorum subdere mentes, hic docuit durum flumina ferre iugum.

Le prime due iscrizioni della silloge vengono erroneamente assegnate dal redattore ad un pons Tiburtinus, quando in realtà si trovavano sui due lati del ponte Salario, sul fiume Aniene35. I testi non sono di età imperiale, ma fanno riferimento alla ricostruzione del ponte ad opera

di Narsete36 nel 565, dopo che nel 547 gli Ostrogoti, guidati dal re Totila, lo avevano profondamente danneggiato, per quanto non drasticamente come appare dall’iscrizione37. La sua collocazione è da datarsi a prima del 14 novembre 565, giorno della morte dell’imperatore Giustiniano38, menzionato nel testo.

35 LTURS V, pp. 35-44, in particolare pp. 41 e 42. 36 PLRE III, Narses 1.

37 Valentini - Zucchetti 1942, p. 163, nota 1; LTURS V, p. 42. 38 PLRE II, Iustinianus 7. 18 Le due epigrafi godono di una copiosa e continua tradizione e sono state trascritte ed osservate fino al 179839, un anno prima che l’esercito del Regno di Napoli abbattesse il ponte per evitare il passaggio delle truppe napoleoniche, avvenimento questo che avrebbe portato alla perdita dei due testi di VI secolo. I redattori del CIL, dunque, non fecero in tempo ad analizzare autopticamente le due iscrizioni e ricostruirono i due testi sulla base del confronto tra le varie trascrizioni rinvenute. Nello specifico, la versione presentata dal codice di Einsiedeln non è molto diversa da quella offerta da Henzen, discostandosi solo nello scioglimento dei pochi vocaboli abbreviati e a sua volta abbreviando alcune parole di facile e comune comprensione (tab. 1). A differenza dunque di altre iscrizioni dal significato più implicito a causa dei formulari classici, la lettura di questi due testi sarebbe dovuta essere facile e comprensibile. Da segnalare è tuttavia un grave errore di trascrizione da parte del redattore all’inizio della sesta riga del foglio 67r del codice: laddove infatti la voce del CIL riporta la corretta voce Gothicam in riferimento alla vittoria ottenuta da Narsete contro Totila, la versione della silloge riferisce parthicam. Si tratta per certo di un errore di distrazione in fase di copiatura, dal momento che non ci sono indizi nel testo che possano giustificare in qualsiasi altro modo la confusione tra gli Ostrogoti battuti da Narsete in pieno VI secolo con i Parti combattuti da Roma dal I secolo a.C al III d.C. Le cause di questo errore potrebbero essere tre, dipendentemente dalla natura della silloge:

1. Qualora il redattore stesse operando infatti in prima persona e previa autopsia dei tituli, si potrebbe ipotizzare come, involontariamente e confondendo le due diverse guerre, egli avesse trascritto parthicam invece di gothicam; 2. se invece stesse copiando una parte precedente, oggi dispersa, avrebbe o commesso lui stesso l’errore, similmente alla prima opzione, o ricopiato un refuso presente nell’antigrafo.

Qualsiasi fosse stata la dinamica che portò tale sostituzione, si deve presupporre che l’autore fosse a conoscenza dell’esistenza delle guerre partiche avvenute tra tarda età repubblicana ed età imperiale o, quantomeno, dell’aggettivo parthicus.

39 Walser 1987, p. 64. 19 3. Iscrizioni del Ponte Elio40

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 3. Ponte San 67v CIL VI 973 EDR104008 No No Pietro (Ponte Elio/ Sant’Angelo)

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v (www.e-codices.ch)

CIL VI 973 (EDR104008) Imp(erator) Caesar Divi Traiani Parthici filius Divi Nervae nepos Traianus Hadrianus Augustus, pontif(ex) maxim(us), tribunic(ia) potest(ate) XVIII, co(n)s(ul) III, p(ater) p(atriae), fecit.

L’iscrizione numero 3, che secondo la silloge si trovava in ponte Sancti Petri41, recava una dedica da parte di Adriano riferita all’edificazione del ponte, allora chiamato pons Aelius, e del suo Mausoleo. Dal momento che viene menzionata la tribunicia potestas di Adriano, si può datare l’iscrizione tra il 10 dicembre 133 e il 9 dicembre 134 d.C. La dicitura “Ponte San Pietro” riconduce la trascrizione del testo quantomeno all’età altomedievale, quando i pellegrini cristiani così facevano riferimento al ponte che conduceva dalla città alla mole. Esso, tuttavia, ufficialmente si era chiamato pons Aelius

40 CIL VI 8, 2 p. 4312; Walser 1987, p. 66, nr. 3. 41 LTUR IV, pp. 105-106; Richardson 1992, p. 296. 20 fino al 590 quando papa Gregorio Magno, dopo aver intitolato il mausoleo di Adriano Castel Sant’Angelo in seguito ad una visione avuta durante una processione, cambiò di conseguenza il nome del ponte in Ponte Sant’Angelo. L’iscrizione viene trasmessa anche da Giovanni Dondi dell’Orologio, che nella silloge redatta in occasione della visita a Roma del 137542 riporta di averla vista incisa sui due lati di una grande tabula di marmo “in capite pontis S. Petri”, a testimonianza che ancora alla fine del XIV secolo il nome “tradizionale” del ponte veniva usato invece del titolo “ufficiale”. Il testo di Dondi è quasi del tutto equiparabile a quello della silloge di Einsiedeln, con unica differenza che il dotto clodiense non aveva copiato la ai suoi occhi troppo enigmatica sigla XVIII cos. III pp. - riportata ma non sciolta nel codice - limitandosi a segnalare “et alia pulcra sequuntur” ed inserendosi, in un certo senso, in quella cerchia di dotti che già nei secoli centrali del Medioevo avevano esplicitamente ammesso di non essere in grado di sciogliere il complesso sistema brachigrafico dell’epigrafia latina43. In ogni caso, il fatto che i testi delle due sillogi coincidano indica che l’iscrizione si era mantenuta integra, leggibile e nello stesso sito almeno dal VI al XIV secolo, anche se, verosimilmente, non è da escludere che essa si fosse trovata in capite pontis S. Petri sin dalla sua prima collocazione tra 133 e 134 d.C. Quanto alla sua scomparsa, Walser propone la datazione del 1450, quando, durante il

giubileo, le balaustre del ponte cedettero causando la morte di 172 pellegrini44. L’epigrafe fu forse distrutta durante le operazioni di restauro finanziate da papa Niccolò V, quando una serie di edifici alla testata del ponte, dove di fatto essa si trovava, erano stati abbattuti per consentire un maggiore spazio di deflusso. Appare strano tuttavia che il testo non venga trascritto da nessun autore nel lasso di tempo che separa la discesa di Dondi a Roma all’incidente del 1450, specie se si considera come la generale rinascita dell’interesse nei confronti delle iscrizioni di età classica tra fine XIV e prima metà del XV secolo non avesse trascurato le iscrizioni superstiti di Castel Sant’Angelo. Si può avanzare quindi l’ipotesi che la scomparsa del titulus fosse antecedente al 1450. Ipoteticamente non è da escludere che il ponte stesso avesse subito dei danni nel 1379, quando Castel Sant’Angelo venne quasi raso

42 Cfr. CIL VI, pp. XXVII, XXVIII.

43 Calabi Limentani 1970; Petoletti 2002; Petoletti 2004, p. 1; Calvelli 2012; Calvelli 2016. 44 Walser 1987, p. 66. 21 al suolo da parte della folla inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del castello da Urbano V, o nei susseguenti lavori di restauro voluti da Bonifacio VIII.

22 4, 5, 5a. Iscrizioni del Mausoleo di Adriano45

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 4. Mausoleo di 67v CIL VI 992 EDR104033 No No Adriano 5. Mausoleo di 67v CIL VI 991 EDR104032 No No Adriano 5a Mausoleo di 68r CIL VI 985 EDR104016 No No Adriano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v-68r (www.e-codices.ch)46

I tre testi della mole presentati dopo il titulus di Ponte San Pietro vengono letti nel Mausoleo di Adriano47, e sono stati trascritti per due volte ciascuno all’interno della silloge. Oltre alla sezione qui in esame, infatti, essi vengono ripetuti tra le iscrizioni numero 56 e 66, quelle che riprendono, ovvero, l’intero programma epigrafico del Mausoleo visibile al

45 CIL VI 8, 2 p. 4340; Walser 1987, pp. 118-120, nn. 4=56, 5=57, 6=58; Petoletti 2004, pp. 11-12, nn. 3, 4, 5.

46 Per la trascrizione dei testi si vedano le schede 56, 57 e 58. 47 LTURS I, pp. 15-22; Richardson 1992, p. 249-251. 23 redattore. Se per il commento relativo al contenuto e alla tradizione dei testi si rimanda appunto alle schede nr. 56, 57 e 58, qui si vuole porre l’attenzione su un altro e importante dettaglio. Dopo aver infatti riportato l’epitaffio di Commodo collocandolo in Adrianio, il redattore introduce i tituli di Lucio Vero e Lucio Elio Cesare con la frase in alio loco pleni scripsi. Questa è una chiara annotazione dell’Anonimo, che scrive che, altrove nella silloge, aveva riportato i tituli dell’intero Mausoleo. Tuttavia nel codice essa presenta le caratteristiche tipiche delle indicazioni topografiche del resto dell’antologia: è scritta in capitale rustica, con inchiostro arancione e accanto alla fine del testo precedente. È questo probabilmente il primo, vero e concreto indizio del fatto che la silloge contenuta nel codice di Einsiedeln sia una copia di un lavoro precedente: il copista, non avendo colto il senso di questo messaggio, aveva considerato l’annotazione del redattore come un’indicazione topografica da riferirsi agli epitaffi di Lucio Vero e Lucio Elio Cesare, i quali erano in origine esenti da collocazione perché di fatto ancora dipendenti dall’in Adrianio del testo precedente. Non è questo l’unico errore del genere all’interno del codice. Le voci 69, 70 e 72 non sono iscrizioni, ma elenchi di sepolture di martiri e un itinerario. Il copista, tuttavia, li inserisce erroneamente nella silloge, trascrivendoli come fossero iscrizioni e assegnando loro delle indicazioni topografiche. Allo stesso modo, un più esteso elenco di tombe martoriali nelle varie vie fuori le mura di Roma viene inserito al termine degli itinerari tra ff. 79v e 85r, rappresentato graficamente con le stesse caratteristiche degli altri percorsi. Questi esempi verranno analizzati più avanti, ma per ora sono più che sufficienti per confermare come questi piccoli errori siano opera di un confuso copista alle prese con l’epitome di un lavoro precedente. L'espressione in alio loco plenius scripsi suggerisce inoltre la piena consapevolezza dell’azione di chi redige la silloge: egli sa che verso la fine della sua opera ci saranno altri testi redatti dalla stessa area e lo annota a margine. Essendo conscio che i testi scritti in alio loco appartengono sempre in Adrianio - e visto che nelle copie più avanti nella silloge loro disposizione nell’edificio è esplicata da clausole quali in parte australi e in altera parte - pare più che probabile che egli si trovasse di fronte al Mausoleo, mentre ne riportò i tituli. In ogni caso si può notare come, se da un lato l’Anonimo si era riferito al Ponte Elio col nome cristiano e medioevale, al contrario tutti i testi relativi alla mole vengano assegnati in Adriano, unici tra gli esempi della tradizione Medievale, Umanistica e Rinascimentale di queste iscrizioni a non citare il nome Castel Sant’Angelo. Limitandoci ai primi esempi di 24 antologie di iscrizioni, la silloge Signoriliana, i Commentari di Ciriaco e la breve raccolta del manoscritto British Library, Add. 34758, edito anch’esso tra la fine del XIV e l’inizio del XV secolo, laddove si riferiscano infatti ad un testo della Mole, la indicano in castro S. Angeli. Anche nella descrizione della mole al termine della descrizione delle mura della città, il redattore fa riferimento all’edificio con l’appellativo Hadrianius: per quanto ci sia la lieve differenza rappresentata dalla h ad inizio parola, questo potrebbe essere un indizio circa l’unicità dell’origine di queste sezioni del codice di Einsiedeln. Potrebbe sembrare, invero, che nella forma mentis del redattore originario - e nel periodo storico in cui egli operava - quest’edificio fosse ancora noto come il Mausoleo di Adriano e di conseguenza la datazione delle copie anteriore al 590, tuttavia sappiamo dai Mirabilia di XII secolo che la memoria dell’edificio in quanto monumento funebre di Adriano rimase viva48. Tornando a focalizzarsi sulle tre iscrizioni in esame, altra interessante questione è quella relativa al confronto tra esse e le loro trascrizioni gemelle. Qui di seguito si propongono tre tabelle nelle quali vengono confrontate e analizzate analogie e differenze tra gli stessi testi riportati tra ff. 67v-68r e 76v-77r. Si noti che non verrà trattata la questione relativa alla disposizione del testo, dal momento che chi trascrive i testi della silloge lo fa in maniera arbitraria, stando più attento allo spazio del foglio che non all’effettiva predisposizione delle parole sul monumento.

48 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 46-47. 25 Tabella 1: 4 = 56 Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 67v Trascrizione

IN ADRIANIO Imperatori caesari divi marci antonini pii germanici sarmatici filio divi pii nepoti divi hadriani pnepoti divi traiani parthici abnepoti divi nervae adnepoti lucio aelio aurelio comodo augusto sarmatico germani co maximo britanico pontifici maximo tribu niciae potestat XVIII imperat VIII consuli VII patri patriae

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione

IN ADRIANIO IN PARTE AUSTRALI Imperatori caesari divi marci antonini pii germanici filio divi pii nepoti divi hadriani pnepoti divi traiani parthici abnepoti divi nervae adnepoti lucio aelio aurelio comodo augusto sarmatico germanico maximo brittanico pontifici maximo tribuniciae potestat XVIII im perat VIII consuli VII patri patriae

26 Entrambe le trascrizioni presentano in riga 5 la dicitura Comodo con una sola M invece della corretta grafia Commodo; altro errore simile si ripete nelle righe 6, dove 4 presenta la dicitura britanico con una sola N, e 56 addirittura brittanico con una doppia T e una sola N, a differenza della corretta forma Britannico; la seconda trascrizione si differenzia dalla prima anche per l’assenza dell’appellativo Sarmaticus in seconda riga. Henzen nel CIL segue il testo di 56 abbreviando solo il praenomen di Commodo da Lucio a L., supponendone dunque lo scioglimento in fase di trascrizione da parte del redattore o del copista.

Tabella 2: 5 = 57 Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 67v Trascrizione IN ALIO LOCO PLENIUS SCRIPSI Imp caesari L. aurelio vero aug armeniac. med. parthic. pontefic. m. tribunic pot; VIIII imp; v cos; III pp.

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione ITEM IN EODEM (castro) Imperatori caesari L. aurelio vero aug armeniac. med. parthic. pontefic. tribunic potest. VIIII imp. v. cons. iii. p.p.

Differenze degne di nota sono: le forme diverse della menzione del titolo imperiale, abbreviata Imp. in 5 - opzione scelta da Henzen per CIL VI, 991 -, sciolta Imperatori in 57; la presenza in 5 di una M ascritta tra prima e seconda riga - da sciogliersi come maximo, in riferimento al pontificato appena menzionato - altrimenti assente tanto in 57 quanto nella proposta di ricostruzione nel CIL; l’uso in 5 di particolari forme di punteggiature a punto e virgola a fine di riga due e in riga 3, discrezione probabilmente del copista e altrove mai attestata nella silloge; l’errata forma abbreviata cons. a fine riga 2 della seconda trascrizione invece della corretta cos. presente in 5 e CIL VI 991.

27 Tabella 3: 5a = 58 Stiftsbibliothek 326, f. 68r Trascrizione

L aelio caesari divi hadriani augusti filio cos II

Stiftsbibliothek 326, f. 76r Trascrizione

L aelio caesari divi hadriani aug filio cos II

In questo caso le due trascrizioni sono quasi del tutto uguali, con la sola menzione di augusti diversa, sciolta in 5b e abbreviata in 58. Henzen nel CIL dispone il testo su tre righe, invece della singola della silloge.

In conclusione, le differenze tra le coppie di testi si possono dividere in tre categorie:

1. Errori di ortografia, talvolta comuni nelle due trascrizioni, talvolta presenti solo in uno dei due testi. Essi potevano tanto essere presenti nell’originale raccolta, quanto essere commessi dal copista ed essere dunque propri solo del codice; 2. Presenza di parole in una sola delle due iscrizioni, anch’essa attribuibile tanto ad una copia distratta da parte dell’Anonimo, quanto ad una dimenticanza da parte del copista; 3. Trascrizione diversa di parole, talvolta abbreviate, talvolta sciolte. Si deve credere queste derivino dal lavoro originale, e che dunque l’Anonimo disponesse di una minima dimestichezza nell’interpretazione dell’epigrafia e nell’uso del suo vocabolario di base.

28 6. Iscrizione musiva dell’arco trionfale della Basilica di San Pietro49

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR oggi Einsiedeln 6. Basilica di 68r ICVR 4092 EDB17047 No No San Pietro, arco trionfale

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 67v-68r (www.e-codices.ch)

ICVR 4092 (EDB17047) Quod duce te mundus surrexit in astra triumphans hanc Constantinus victor tibi condidit aulam

L’anonimo è il primo a trascrivere un noto testo incluso in un mosaico nella tribuna dell’arco trionfale dell’antica basilica di San Pietro in Vaticano50. L’origine di testo e mosaico è da farsi risalire alla vittoria di Costantino contro Licinio a

Crisopoli il 28 settembre 32451, e rappresentava l’imperatore nell’atto di consegnare l’edificio a Cristo e a Pietro, i quali possono essere considerati entrambi dedicatari del distico riportato nella silloge52. Esso infatti vede un solo nome esplicitato, quello di Costantino, mentre non è specificato a chi si riferiscano l’ablativo assoluto duce te e il tibi a cui l’imperatore condidit aulam. Altra questione grammaticalmente discussa dalla critica è quella in riferimento alla parola mundus: Walser, Liverani e Gem lo considerano come

49 Krautheimer 1987, pp. 317-320; Walser 1987, p. 67, nr. 6; Carletti 2008, 247-248, nr. 152; Liverani 2008, 155-158; Gem 2013, 39-40. 50 LTURS IV, pp. 185-194; Nibby 1838, pp. 593-594.

51 Sulla datazione si considera qui valida la lettura di Krautheimer 1987, Liverani 2008 e Carletti 2008, i quali inseriscono mosaico ed iscrizione in un periodo compreso tra il 324, anno della vittoria su Licinio, e il 337, anno della morte di Costantino. Su datazioni più tarde e sul perché siano errate, si veda Liverani 2008, pp. 156-157, in particolare n.10. 52 Carletti 2008, p. 248. 29 sostantivo a sé stante, soggetto della principale retta dal verbo surrexit53, mentre Carletti, con un attento confronto con il lessico epigrafico cristiano di IV e V secolo, lo definisce - probabilmente a ragione - aggettivo di Costantino54. In generale, è da segnalare come analisi e lettura di Walser siano decisamente poco corrette. Lo studioso tedesco non tiene conto della rappresentazione musiva, considera l’epigramma rivolto al solo Cristo e afferma inoltre, in maniera molto approssimata, che mosaico ed iscrizione sarebbero stati visti solo fino al 1506, anno dell’edificazione della nuova basilica di San Pietro. Tuttavia dal De Concilio Tractatus del cardinale Giacobacci appare evidente che ancora nel 1537 tanto l’ornamento musivo quanto il testo in lettere auree fossero visibili55. Ancora nel 1527, per quanto già scomparsa, l’iscrizione godeva di buona tradizione, se si pensa che Andrea Fulvio la riportava - corretta - nella sua Antiquitates Urbis, poi ampliata e tradotta in italiano col titolo L’antichità di Roma da Girolamo Ferrucci nel 158856. Invero il testo era molto famoso già all’indomani della sua disposizione, se si pensa che numerosi sono stati gli epigrammi cristiani che ne traevano spunto tra IV e V secolo: papa

Damaso nel suo poema ai martiri Felicissimo e Agapito57 e nell’abside di San Lorenzo in Damaso58, il vescovo Achille nell’iscrizione dedicatoria della basilica di San Pietro a Spoleto59, Prudenzio nel suo poema contro Simmaco60. L’iscrizione riecheggia anche

53 Walser 1987, p. 67; Liverani 2008, p. 156; Gem 2013, p. 39. 54 Carletti 2008, p. 247: “Il contesto complessivo induce, viceversa, a preferire mundus come aggettivo, da riferire a Costantino, per significare l’implicita conversione dell’imperatore, vittorioso sotto le insegne di Cristo; mundus e mundare, nel IV e V secolo entrano nel lessico dell’iniziazione cristiana sia nelle iscrizioni ad fontes sia in quelle funerarie: cfr. ILCV 1513e (Roma Battistero lateranense), insonne esse volens isto mundare lavacro; ICVR II 4785, 5 (s. Paolo f.l.m.) purificatque animas mundior amne fides; ICVR IV 12520, 9 (via Appia-Ardeatina) …sacro mundatus in amne, nonché nei formulari che alludono alla rettitudine di vita come ad esempio in ICVR VI 17106 del lettore Paulus evocato come mundus ab omni labe”.

55 Giacobacci 1537, p. 783: “Cum adhuc temporibus nostris fuerit in ecclesia Sancti Petri in frontispitio maioris arcus ante altare maius Constantinus imperator in musaico depictus, literis aureis ostendens salvatori & beato Petro apostolo ecclesiam ipsam a se aedificatam videlicet ecclesiam Sancti Petri”. 56 Ferrucci 1588, p. 67: “Leggevasi poco fa sopra la tribuna maggiore, laquale hora è rovinata, un distico saputo da pochi commesso di Musaico, il quale diceva in questo modo”.

57 ICVR V, 13872, v. 7: “[…] quod duce tunc […]”. 58 ED, p. 212, nr. 58: “Haec Damsus tibi, Christe deus, nova tecta dicavi / Laurenti saeptus martyris auxilio”.

59 CIL XI, pp. 698-699, LXXIX Spoletum 2. 60 Prudentius, Contra Symmachum 2.758-759: “Regnator mundi Christo sociabere in aevum, / quod ductore meum trahis ad caelestia regnum”. 30 nell’iscrizione dedicatoria dell’abside dell’abbazia di Monte Cassino, fatta apporre nel 1071 dall’abate Desiderio, futuro papa Vittorio III61. Considerate tanto la collocazione, quanto l’importanza, non è da stupirsi dunque se e perché il redattore della silloge, entrato nella basilica di San Pietro, abbia trascritto questo testo.

61 Chron. Cas. III 28, p. 718, 33: “Ut duce te patria iustis potiatur adepta, / hinc Desiderius pater hanc tibi condidit aulam”. Cfr. Bloch 1986, pp. 53-54. 31 7. Iscrizione dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II62

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7. Arco di 68r CIL VI 1196 EDR129977 No No Arcadio, Onorio e Teodosio II

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1196 (EDR129977) Imppp. clementissimis felicissimis, toto orbe victoribus, ddd. nn[n.] Arcadio, Honorio, Theodosio Auggg., ad perenne indicium triumpho[rum] quod Getarum nationem in omne aevum doc[u]ere exti[ngui], arcum simulacris eorum tropaeisq(ue) decora[tum], 5 S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus), totius operis splendore [---].

L’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II63 viene per la prima volta menzionato proprio nella silloge del codice di Einsiedeln, che ne riporta l’iscrizione e lo colloca con un generico intus Romae.

62 CIL VI 8,2, pp. 4334-4335; Walser 1987, pp. 67-68, nr. 7. 63 LTUR I, pp. 79-80; De Maria 1988, pp. 323-324; Liverani 2007, pp. 86-89. 32 La tradizione del testo è totalmente debitrice di questa voce della silloge, derivando tutte le successive trascrizioni dalla copia del codice di San Gallo da parte di Poggio. L’arco si sarebbe trovato nel Campo Marzio, a poca distanza dal ponte Neroniano, e sarebbe stato dedicato ai tre imperatori dal Senato in seguito o della vittoria contro Alarico a Pollentia e Verona nel 402, o a quello del generale Stilicone contro i Geti guidati da Radagaiso a Fiesole nel 40664. Stando alle ricostruzioni di Eugenio La Rocca65, la sua edificazione originale sarebbe potuta essere di due secoli più alta, da collegarsi con l’istituzione dei Ludi Saeculares da parte di Settimio Severo nel 204 d.C., ed il suo compito quello di garantire l’ingresso dalla via Triumphalis66 al Trigarium67. Ancora in piedi durante il Medioevo, l’arco viene menzionato nelle varie versioni dei

Mirabilia68 e nel più recente Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae69, da datarsi ai

primi anni del XV secolo70, che però lo confondono con l’arco di Teodosio, Valentiniano e Graziano, a sua volta erroneamente denominato arcus Aureus Alexandri. Questa confusione è probabilmente figlia della vicinanza tra i due archi, e sono proprio le indicazioni topografiche dei Mirabilia e del Tractatus a permetterci la correzione: in essi, infatti, l’arcus Aureus Alexandri viene detto essere nei pressi della chiesa dei , a sua volta vicina a ponte Sant’Angelo, dove invero si trovava l’arco di Teodosio, Valentiniano e Graziano; di conseguenza, l’arco ad Sanctum Ursum71 avrebbe dovuto essere quello qui in esame. Molto importante diventa così la descrizione che ne fa l’anonimo autore del Tractatus, il quale è fonte di prima mano nel testimoniare come agli albori dell’età umanistica l’arco fosse ancora in piedi, per quanto privo della sua struttura

64 Liverani 2007, p. 88. CIL VI 8, 2, p. 4335 propende per la seconda opzione. 65 La Rocca 1984, pp. 66-67.

66 La via imperiale che collegava il Campo Marzio con il suburbio nordoccidentale di Roma e il Vaticano attraverso prima il ponte Neroniano quindi il ponte Elio. Cfr. LTUR IV, p. 147. 67 Area dedicata alle corse dei cavalli. Philox., CGL II, 201: “trigarium τόπος ὂπου ἲπποι γυµνάζονται”. Cfr. LTUR IV, p. 89.

68 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 18, 80, 132, 185. 69 Valentini - Zucchetti 1952, p. 117.

70 Valentini - Zucchetti 1952, p. 101: “A noi sembra che il nostro Anonimo sia ancora fuori da qualunque sintomo di rinnovamento culturale e metodico, indizio sicuro dei tempi nuovi; ma, prima di discorrerne di proposito, cerchiamo di fissare l'età della compilazione. Essa, fu già osservato, si può ben legare al 1411, perchè l'autore ricorda come fatto recente il restauro del corridoio dal Vaticano a Castel Sant'Angelo, che Giovanni XXIII compiva appunto in quell’anno”. 71 La chiesa di Sant’Orso, demolita in occasione dei lavori per la costruzione di Corso Vittorio Emanuele. 33 marmorea e, soprattutto, della sua iscrizione72, il cui testo sopravvive grazie proprio alla silloge. In sostanza, al tempo della rinascita dell’interesse storico nei confronti dell’epigrafia, il testo dell’arco di Arcadio, Onorio e Teodosio era già scomparso e, dunque, unico e prezioso suo esempio rimane la trascrizione della silloge del codice di Einsiedeln, attraverso la quale è possibile immaginare quali fossero l’aspetto e la finalità dell’arco trionfale: decorato con statue dei tre imperatori (simulacris eorum) e immagini di trofei (tropaeisque), esso si presentava come l’ultimo arco trionfale romano di sicura dedica

senatoria73, in una sorta di manifestazione finale della romanità pagana tramite il messaggio esposto di natura militare.

72 Valentini - Zucchetti 1953, p. 117: "Arcus Theodosii et Valentiniani est inter mercatores ad Sanctum Ursum, de quo epitaphium diruptum est: tamen arcus est sanus, sed non marmoreus”. 73 De Maria 1988, p. 323, nr. 103. 34 8. Iscrizione del ninfeo restaurato da Flavio Filippo74

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 8. Ninfeo di 68r CIL VI 1728 EDR123609 No Frammento Flavio Filippo superstite presso

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1728a (EDR123609)

F̲̲l(avius) P̲ h̲̲i̲l̲ip̲p̲u̲s̲ v̲(ir) c̲(larissimus) p̲r̲a̲e̲̲fe̲c̲̲tu̲s̲ u̲rbi nym̲ p̲h̲̲iu̲m̲ sordium squalo̲r̲e̲ ̲fo̲e̲d̲a̲̲tu̲m̲ e̲̲t m̲ a̲r̲m̲ o̲r̲u̲m nuditate deforme a̲d̲ c̲u̲̲l̲tu̲m̲ p̲r̲̲is̲̲t̲in̲u̲m̲ r̲e̲vocavit.

Anche in questo caso, la tradizione del testo è figlia unicamente della trascrizione del codice di Einsiedeln, che ancora una volta la colloca genericamente intus Romae. Non siamo a conoscenza di dove si trovasse il ninfeo restaurato per volontà del praefectus urbi Flavio Filippo75, mentre il 391 sembrerebbe essere l’anno dell’iscrizione. Esistevano almeno tre lastre con inciso lo stesso testo: la prima76, oggi non reperibile, è stata descritta da numerosi autori i quali non convergono circa la sua collocazione, per quanto quella di Smetius, che scrive di averla vista nei pressi del foro di Traiano, sembra essere la più plausibile; la seconda77 è stata rinvenuta integra tra la chiesa della Madonna dei Monti e S.

74 CIL VI 8, 3, p. 4745; Walser 1987, pp. 68-69, nr. 8. 75 PLRE, I, p. 697. Figlio dell’omonimo prefetto del pretorio per l’Oriente tra gli anni 346 e 351, Flavio Filippo fu console di Roma nel 390. Durante il suo consolato venne dedicata la Basilica di S. Paolo fuori le mura. Sul ninfeo LTUR III, 352-353; Richardson 1992, p. 23.

76 CIL VI 1728b. 77 CIL VI 31912. 35 Francesco di Paola ed è oggi conservata nel deposito dei Musei Capitolini78; il frammento di una terza, oggi conservato nel muro della serra di Palazzo Barberini a Roma, è stato visto e descritto nel XVII secolo da Josephus Maria Suaresius79 nella chiesa di San Giovanni e Paolo80. A questo terzo esemplare Henzen prima e Walser poi associano la trascrizione dell’Anonimo. Una scelta arbitraria e di fatto non fondata su particolari evidenze: il redattore della silloge avrebbe potuto leggere uno qualsiasi dei tre testi che, data la vicinanza dei tre luoghi di rinvenimento (fig. 1), si dovevano trovare e riferire ad uno stesso stabile, da collocarsi nella zona centrale della città, nei pressi dei fori. Sembra invero improbabile assecondare la proposta di André Chastagnol, secondo il quale le tre diverse iscrizioni siano testimonianza di una pluralità di ninfei restaurati da Flavio Filippo81.

Fig. 1: il percorso che collega il foro di Traiano, le chiese di Madonna dei Monti e di San Francesco di Paola e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, all’interno del quale i tre tituli del ninfeo restaurato da Flavio Filippo sono stati visti. Ricostruzione percorso dell’autore con https:// www.google.com/maps

78 NCE 85. 79 Josephus Maria Suaresius (1599-1677): vescovo di Vaison nel 1633; dal 1636 vicario di S. Pietro a Roma e custode della Biblioteca Vaticana.

80 Vat. Lat. 9140, f. 127v. 81 Chastagnol 1962, p. 238. 36 9. Iscrizione dell’Aqua Virgo82

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 9. Arcate 68rv CIL VI 1252 EDR127733 Sì Sì dell’Aqua Virgo

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68rv (www.e-codices.ch)

CIL VI 1252 (EDR127733) Ti(berius) Claudius Drusì f(ilius) Caesar Augustus Germanicus, pontifex maxim(us), trib(unicia) potest(ate) V̅ , imp(erator) X̅ I̅ , p(ater) p(atriae), co(n)s(ul) desig(natus) I̅ I̅ I̅ I̅ , arcús ductús aquae Virginis disturbatós per C(aium) Caesarem a fundamentìs novós fecit ac restituit.

L’iscrizione si trova in uno dei 139 archi di peperino attribuiti a Claudio lungo il percorso dell’Aqua Virgo83, l’acquedotto fatto costruire per volontà di Agrippa e inaugurato il 9 giugno del 19 d.C.

82 CIL VI 8, 2 p. 4364, Walser 1987, pp. 69-70 nr. 9. 83 LTUR I, pp. 72-73; Richardson 1992, p. 16. 37 Lo stesso testo era iscritto in entrambi i lati dell’arcata: l’anonimo di Einsiedeln riporta con una piccola lacuna solo quello anteriore, rinvenuto in via del Nazareno84, più completo

rispetto al frammentario secondo esempio di via della Stamperia85. La recensio prima della silloge Signoriliana è l’unica a riportare entrambe le iscrizioni, per quanto già la sua terza edizione ne presenti solo una; la silloge Poggiana, invece, non riprende in questo caso la versione di Einsiedeln, trascrivendo il testo tra le epigrafi visionate autopticamente. La sua tradizione, nel complesso, è nel corso dei secoli lineare, con Henzen che prese visione di entrambe le iscrizioni poi riportate nella voce del CIL, tutt’oggi visibili.

84 Cfr. CIL VI 1252 (p. 271): “Extat adhuc inscriptio litteris maximi exarata supra arcus ex lapide Tiburtino in hortulo aedium via del Nazareno n. 14”. 85 Cfr. CIL VI 1252 (p. 271): “Reperita est in altero latere arcuum, cuius pars detecta est anno 1864 in cubiculo subterraneo aedium in via della Stamperia n. 16”. 38 10. Iscrizione musiva dell’abside della Basilica di San Pietro86

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR oggi Einsiedeln 10. Basilica di 68v ICVR 4094 EDB14382 No No San Pietro, abside

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68v (www.e-codices.ch)

ICVR 4094 (EDB14382) Iustitiae sedes fidei domus aula pudoris haec est quam cernis pietas quam possidet omnis quae patris et filii virtutibus inclyta gaudet auctoremque suum genitoris ludibus aequat

Nell’abside della vecchia basilica di San Pietro, l’anonimo legge e trascrive un tetrastico di controversa interpretazione e discussa datazione. Il testo è conservato in altre raccolte di testi epigrafici cristiani altomedievali, ovvero le sillogi Palatina87, di Cambridge88 e di

Lorsch89, ma non ha testimoni più tardi. Parte di un complesso musivo visibile in San Pietro probabilmente fino agli interventi di Innocenzo III attorno al 120090, in esso si definiva

86 Krautheimer 1987, pp. 317-320; Walser 1987, pp. 70-71, nr. 10; Liverani 2008, 159-161; Carletti 2008, 248-249; Gem 2013, 40-41.

87 Cfr. de Rossi 1888, pp. 50-57. Nello specifico, per l’iscrizione in esame, p. 55, nr. 8. 88 Cfr. de Rossi 1888, pp. 154-157. Nello specifico, per l’iscrizione in esame, p. 156, nr. 4.

89 Cfr. de Rossi 1888, pp. 142-153. Nello specifico, per l’iscrizione in esame, p. 145, nr. 6. 90 Krautheimer 1987, p. 318; Walser 1987, p. 70. 39 l’edificio come sede della giustizia, casa della fede e aula della castità, espressione delle virtù di un padre e di un figlio, col secondo, a cui viene attribuito il termine donor, che proprio per mezzo della chiesa viene elevato alla lode del primo. Chi padre e figlio siano è stato l’epicentro delle discussioni circa l’interpretazione del poema iscritto, da cui dipende anche la datazione. Qualora si optasse per una lettura teologica, e il padre e il figlio fossero quelli della trinità, si potrebbe assegnare la dedica ad un qualsiasi periodo storico: in questo caso il tetrastico sarebbe da leggersi in maniera più figurata, con San Pietro che diventa metonimia della Chiesa in senso lato, attraverso la cui istituzione terrena Cristo si eleva al livello di Dio Padre. Questa era l’opinione comune della critica alla metà del secolo scorso, stando in particolare alla teoria di Ruysschaert91, il quale datava l’iscrizione al 370. Al contrario, sulla base della seconda lettura di Krautheimer92, se pater et filius fossero Costantino e uno dei suoi figli, bisognerebbe circoscrivere ad un periodo più definito la dedica e, in tal caso, il testo andrebbe relazionato non tanto all’edificazione stessa della basilica, ma ad un semplice intervento da parte del figlio, da lodarsi al pari del padre, vero fondatore dell’edificio. Se così fosse il figlio in questione sarebbe uno tra Costante e

Costanzo II, e l’iscrizione da datarsi tra 342 e 36193. Una terza lettura, avanzata da Liverani, vede nel figlio lo stesso Costantino, che qui ricorda il padre Costanzo Cloro, con conseguente retrodatazione della dedica al 324, anno dell’edificazione della basilica. Si tende qui ad appoggiare la seconda lettura: non si crede infatti che la dedica di uno dei figli di Costantino faccia menzione all’erezione dell’edificio, quanto piuttosto ad un intervento alla basilica, che potrebbe anche essere lo stesso mosaico absidale. Esso riprendeva probabilmente il tema della traditio legis, con Cristo affiancato da Pietro e Paolo che consegna al primo un rotolo rappresentante la sua legge (fig. 2). Si tratta di un tema iconografico tipico dell’arte paleocristiana i cui esemplari più antichi oggi conservati sono quelli del battistero di San Giovanni in Fonte a Napoli, composto tra 362 e 408 (fig. 3), e del mausoleo di Santa Costanza, sulla via Nomentana, datato agli anni settanta del IV secolo

91 Ruysschaert 1967.

92 Krautheimer 1977, nr. 172 aveva in un primo momento appoggiato la lettura di Ruysschaert, salvo poi nel 1987 presentare la nuova teoria sopra esplicata. 93 Krautheimer 1987, p. 318: “G. B. De Rossi and Margherita Guarducci have linked the tetrastichon inside the apse to the fragmentary inscription HOSTILI INCURSIONE on its arch, which they believe to refer to Costans’ victory in 342 over the Franks. Hence they have identified Costans with the son mentioned in the inscription. However, I see no reason for claiming this linkage. The inscription inside the apse, in my opinion, was composed for Costantius and hence between 352 and 361. He is the auctor of haec quam cernis and hence equaled to the father, the builder of the basilica”. 40 (fig. 4), poco dopo il termine ante quem del 36194. Si può congetturare dunque che, sotto l’impero di Costanzo, l’abside di San Pietro sia stata la prima ad essere ornata con il tema della traditio, fungendo da capostipite per una nuova e fortunata tradizione.

Fig. 2: ricostruzione - senza iscrizione - dell’abside dell’antica Basilica di San Pietro, da Foletti - Quadri 2013, p. 18.

94 Foletti - Quadri 2013. Riguardo il mosaico del battistero di Napoli, da cui è stato fatto derivare il nome del tema musivo, si vedano pp. 16-17 e nota 2; sul mausoleo di via Nomentana, p. 19 e nota 17. 41 Fig. 3: traditio legis, battistero di San Giovanni in Fonte, Napoli, da Foletti - Quadri 2013, p. 17.

Fig. 4: traditio legis, mausoleo di Santa Costanza, da Foletti - Quadri 2013, p. 20.

42 11. Iscrizioni dell’ambone dell’antica Basilica di San Pietro95

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR oggi Einsiedeln 11. Basilica di 68v ICVR 4118, 1 EDB18596 No No San Pietro, e 2 EDB20242 ambone

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68v (www.e-codices.ch)

ICVR 4118, 1 (EDB18596) Scandite cantantes domino dominumque legentes ex alto populis verba superna sonent.

ICVR 4118, 2 (EDB20242) Pelagius iun(ior) episc(opus) dei famulus fecit curante Iuliano (prae)p(osito) s(e)c(un)d(icerio).

La terza ed ultima voce copiata dall’antica basilica di San Pietro contiene due iscrizioni, una delle quali menziona direttamente papa Pelagio II, pontefice dal 579 al 590. Il codice di Einsiedeln è l’unico a riportare entrambe le iscrizioni. Sono invero poche le notizie sui due testi: la prima iscrizione che viene vista dall’Anonimo è un distico inciso su un ambone, e invita al canto e alla proclamazione della parola divina; la seconda riporta una dedica da parte di papa Pelagio II, che avrebbe fatto costruire proprio

95 Walser 1987, p. 71, nr. 11; Cecchelli et alia 2007, p. 438. 43 l’ambone grazie all’aiuto del secondicero Giuliano. Che le due iscrizioni siano collegate tra di loro lo capiamo dall’indicazione del secondo testo, collocato dal redattore in altera parte, da supporsi nella parte opposta dell’ambone96. Anche in questo caso, dunque, è errata la lettura di Walser, che definisce la dedica di Pelagio come una semplice e decontestualizzata iscrizione edilizia97.

96 Cecchelli et alia 2007, p. 438 datano l’iscrizione tra 587 e 590; p. 442 spiegano il ruolo del secundicerius, nell’assetto cultuale della Roma di VI secolo suddiacono in aiuto magister, quest’ultimo responsabile della conduzione chironomica del coro. 97 Walser 1987, p. 71. 44 12. Iscrizione della base di statua di Petronio Massimo al Teatro di Marcello98

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 12. Teatro di 68v CIL VI 1660 EDR130265 No No Marcello

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1660 (EDR130265) Petronius

Maximus, v̅ (ir) c̅ (larissimus), praef(ectus) urbi curavit.

Il testo fa riferimento a Petronio Massimo, aristocratico ed importante uomo politico del V secolo d.C. Imperatore dal 17 marzo 455, egli era asceso alla porpora imperiale in seguito all’assassinio - in cui era coinvolto - dell’imperatore Valentiniano III. Il suo impero resse

solo due mesi, al termine dei quali venne lui stesso ucciso99. L’iscrizione, oggi persa e sopravvissuta proprio grazie alla silloge, è da datarsi per motivi prosopografici al 421, anno in cui Petronio ricopriva la carica di praefectus urbis, e si sarebbe trovata incisa nella base di una statua a lui dedicata nel teatro di Marcello100. Essa sarebbe stata negli anni dislocata, essendo citata dal benedettino Cornelio Margarini all’interno del suo catalogo Inscriptiones antiquae basilicae S. Pauli ad viam Ostiensem del 1654101; errata, nonché confusa, era stata invece la coordinata topografica data da Apiano,

98 CIL VI 8, 8, 3. 4728; Walser 1987, p. 71-72, nr. 21. 99 PLRE II, Maximus 22. Si veda anche Chastagnol 1962, pp. 281-286 e Panciera 1996, pp. 284-285.

100 LTUR V, pp. 31-35; Richardson 1992, pp. 382-383. 101 Margarini 1654, p. 482. 45 che collocava la base in theatro S. Pauli, probabilmente mescolando tra di loro l’ubicazione originale e quella al XVI secolo102. La voce del CIL riporta che il testo era inciso apparentemente in due ulteriori basi, anch’esse perdute: una era stata visionata da Jacopo Sirmondo nei pressi di , l’altra da Gaspare Aloisio Oderico fuori . Data la vicinanza tra i due luoghi, e vista la distanza cronologica di un secolo tra le due letture, non si può escludere che si trattasse invero della stessa base, spostata tra XVII e XVIII secolo da Santa Maria Maggiore a fuori Porta Pia. È dunque possibile che le iscrizioni gemelle fossero in realtà soltanto due. Non disponiamo di ulteriori e più approfondite letture o informazioni relative ai tituli e alla tipologia di restauro promossa, né sappiamo se le basi si riferissero ad uno stesso lavoro finanziato da Massimo o se facessero parte di una produzione seriale, come invero non sarebbe da escludere. Non essendo infatti specificati nel testo la tipologia di restauro e il luogo ma solo il nome del prefetto e il verbo, si può infatti ipotizzare che Petronio Massimo avesse commissionato diverse statue con lo stesso messaggio iscritto nella base, da posizionare poi in prossimità di quegli edifici e monumenti, la cui ricostruzione era stata da lui finanziata. Si deve credere che la statua fosse ancora visibile ai tempi della redazione della silloge. È strano infatti che un’iscrizione di così poche righe e contenuto abbia da sola attirato l’attenzione del redattore, solitamente interessato ad iscrizioni presenti in edifici o monumenti di grandi dimensioni e bene in vista.

102 Amantio - Apiano 1534, p. 223, nr. 3. 46 13, 14, 14a - Le iscrizioni del foro Traiano I tre testi in uno stesso momento, apparentemente durante una visita del redattore al foro di

Traiano103.

13. Iscrizione della Colonna Traiana104

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 13. Foro Traiano, 68v CIL VI 960 EDR102536 Sì Sì colonna

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 68v (www.e-codices.ch)

Fig. 5: l’iscrizione della Colonna Traiana, da Stucchi 1989, p. 238.

103 LTUR II, pp. 348-359, Richardson 1992, pp. 175-178. 104 CIL VI 8, 2 pp. 4310-4311; Walser 1987, pp. 72-73, nr. 13; Coarelli 1999, pp. 3-10. 47 CIL VI 960 (EDR102536) Senatus popolusque Romanus Imp(eratori) Caesari dìvì Nervae f(ilio) Nervae Traiano Aug(usto) Germ(anico) Dacico, pontif(ici) maximo, trib(unicia) pot(estate) X̅ V̅ I̅ I̅ , imp(eratori) V̅ I̅ , co(n)s(uli) V̅ I̅ , p(atri) p(atriae), 5 ad declarandum, quantae altitudinis mons et locus tant[is oper]ibus sit egestus.

Il primo testo presentato è quello, ancora oggi esistente e visibile, scolpito in una lastra sopra la porta di accesso al basamento della colonna Traiana105 (fig. 5). Riportato privo di una parte della serie onomastica dell’imperatore, a causa probabilmente di una copiatura negligente, esso è tuttavia comprensivo dell’intera ultima riga dell’iscrizione, che nella parte oggi mancante riportava la dicitura tantis operibus. Le origini di questa lacuna risalgono all’XI secolo, quando in appoggio all’ingresso della colonna venne fatta edificare una piccola chiesa, succursale della basilica dei Santi Apostoli e volgarmente chiamata San

Niccolò de Columna106. Stucchi107, sulla base di studi degli anni ‘30 Ferri108 e Cecchelli109, ha proposto un’origine della lacuna più alta, da indicare al VII secolo, quando una tomba era stata costruita alla base della colonna, laddove tre secoli più avanti sarebbe sorta la chiesetta di San Nicolò. Di conseguenza l’Anonimo non avrebbe visto il testo completo, ma l’integrazione sarebbe figlia di una copia precedente. Pare una lettura sbagliata: se, come si vedrà da questo lavoro, la presenza a Roma dell’Anonimo è certa, sicuro dev’essere anche che la trascrizione riportata nella silloge sia corretta. Certo la tomba di settimo secolo esisteva, ma non è da credere si intersecasse alla lastra con l’iscrizione, come invece faceva la chiesetta di San Nicolò. Gli spioventi del suo tetto, infatti, andavano ad incastrarsi proprio in prossimità della parte centrale dell’iscrizione, lasciando due tagli che si incontrano ad angolo che sarebbero rimasti bene in vista in seguito alla distruzione dell’edificio, avvenuta dopo la sconsacrazione negli anni sessanta del XVI secolo110. È da

105 LTUR II, pp. 356-359. 106 Hülsen 1927, pp. 394-396, nr. 10.

107 Stucchi 1989, p. 237-242. 108 Ferri 1939, pp. 343-356.

109 Cecchelli 1938, pp. 98-109. 110 Si veda Hulsen 1927, pp. 394-396. 48 credere che, nell’edizione originale della silloge, l’Anonimo redattore avesse trascritto il testo per intero, col copista del codice di Einsiedeln responsabile della mancata trascrizione della serie onomastica di Traiano. Meritevoli di maggiori osservazioni sono invece le tre copie del testo di età tardo medievale e preumanistica, riportate quando la chiesa era ancora edificata. Dondi, era riuscito a trascrivere nella sua appendice solo le prime tre righe del testo: è probabile che egli osservasse l’iscrizione di fronte, ostruito dalla chiesa e senza dirigersi ai

lati della stessa, da dove avrebbe potuto vedere la seconda parte dell’epigrafe111; il redattore della silloge Signoriliana, d’altro canto, riesce a vedere tutta la tabula ad esclusione della parte occupata dal tetto, per cui aveva proposto la congettura tan[tis vir]ibus112; curiosa invece la versione di Poggio, il quale nella sua silloge riporta il testo per intero e

comprensivo della corretta ultima riga113. L’umanista aretino inserisce l’iscrizione nella seconda metà della sua antologia, quella ovvero dei tituli visti autopticamente e non copiati dal manoscritto rinvenuto a San Gallo. Tuttavia, negli anni dell’operato di Poggio, la chiesa di San Niccolò ostruiva ancora la lettura totale dell’iscrizione della colonna. Si può credere, dunque, che la copia di questo testo, tra l’altro l’ultima della sua silloge, fosse ibrida tra copia dal manoscritto di San Gallo e la visione autoptica del reperto: provando ad ipotizzare un lavoro molto preciso e meticoloso da parte sua, è possibile che egli, dopo aver riportato in un primo momento alcune trascrizioni rinvenute nel codice svizzero, tornato a Roma iniziasse in prima persona a copiare i testi delle epigrafi della città. In una terza fase, infine, avrebbe riportato nella versione definitiva della sua silloge prima solo quei testi del manoscritto svizzero che non era riuscito a visionare in prima persona a Roma, quindi quelli frutto di autopsia; tra questi l’ultimo sarebbe stato quello della colonna Traiana, il quale sarebbe stato integrato nella sua parte lacunosa grazie al confronto con la versione più antica presente nel codice.

111 Cfr. CIL VI, p. XXVII.

112 Cfr. CIL VI, p XXIII. 113 Cfr. CIL VI, p. XL. 49 14. Iscrizione della riduzione dei debiti di Adriano114

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 14. Vicino la 68v-69r CIL VI 967 EDR103995 Sì - parte Sì - parte colonna superstite superstite Traiana

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, ff. 68v-69r (www.e-codices.ch)

Fig. 6: ricostruzione di CIL VI 967, da Ruck 2007, tav. 41, 3.

114 CIL VI 8, 2, p. 4311; Walser 1987, pp. 73-74, nr. 14. 50 CIL VI 967 (EDR103995) S̲(enatus) p̲(opulus)q̲(ue) R̲ (omanus) ̲Im̲ p̲(eratori) C̲ a̲e̲s̲a̲r̲̲i D̲ ̲iv̲̲i T̲r̲a̲̲ia̲n̲̲i P̲ a̲r̲̲̲th̲̲̲ic̲̲i ̲f(ilio) D̲ ̲iv̲̲i N̲ e̲̲r̲v̲a̲e̲ n̲e̲p̲o̲̲t̲i Ṭraiano H̲ a̲d̲r̲̲ia̲n̲o̲ A̲ u̲g̲(usto) p̲o̲n̲̲t(ifici) 5 max(imo), tr[ib(unicia)] p̲o̲̲t(estate)̅ ̲̅I̲̅I , c̲o̲(n)s̲(uli)̅ ̲I̲̅I], qui primus omni̲u̲m̲ p̲r̲̲in̲c̲̲ip̲u̲m̲ e̲̲t s̲olus remittendo̲ s̲e̲s̲̲te̲r̲̲t̲iu̲m̲ n̲o̲v̲̲ie̲s̲ m̲ ̲i̲l̲ies centena m̲i̲l̲ia̲ n̲̅(ummum) d̲e̲b̲̲i̲tu̲m̲ fi̲s̲c̲̲is̲ n̲o̲n̲ p̲r̲a̲e̲s̲e̲n̲̲te̲s̲ ̲ta̲n̲̲tu̲m̲ c̲̲iv̲e̲s̲ s̲u̲o̲s̲ s̲e̲d̲ 10 e̲̲t p̲o̲s̲̲te̲r̲o̲s̲ e̲o̲r̲u̲m̲ p̲r̲a̲e̲s̲̲t̲i̲t̲i̲t h̲a̲c̲ ̲l̲ib̲e̲r̲a̲̲l̲i̲ta̲̲te̲ s̲e̲c̲u̲r̲o̲s̲.

L’anonimo di Einsiedeln è l’unico a riportare per intero il testo di un blocco di marmo che si sarebbe trovato nei pressi della colonna - l’indicazione topografica del codice è “Item ibidem” - e di cui un frammento, oggi conservato nei magazzini sotterranei tra i fori di Traiano e Cesare115, venne rinvenuto nel 1812116 (fig. 6). Sulla base di questo rinvenimento, confrontato con il testo della silloge, Eugen Bormann riuscì a ricostruire l’effettiva e verosimile disposizione dell’intera iscrizione, che riguardava la riduzione dei debiti da parte

di Adriano nel 118 d.C117. L’Historia Augusta testimonia che i registri delle tasse che contenevano l’elenco dei debiti erano stati bruciati ufficialmente nel Foro Traiano dal 104 al 118 d.C118: si deve credere che l’iscrizione onoraria fosse stata qui posta al termine di questo processo. La tradizione rinascimentale del testo deriva dalla copia del manoscritto di San Gallo di Poggio.

115 Inv. Mus. Cap. 783, inv. F. T. 8. 116 Fea 1820, pp. 61-62.

117 A riguardo vedere Rivera Guardiola 2013, pp. 120-129. 118 Hist. Aug, Adriano 6.5; 7.6. 51 14a. Iscrizione del tempio delle Matrone119

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 14a. Foro di 69r CIL VI 997 EDR104038 No No Traiano, tempio delle Matrone

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 69r (www.e-codices.ch)

CIL VI 997 (EDR104038) Iulia Aug. mater Augg. et castrorum matronis restituit. Sabina Aug. Matronis

Non rinvenute sono invece queste due iscrizioni, trascritte nella silloge in un’area non specificata, ma da credersi compresa nella zona del foro di Traiano e facenti parte di una o due lastre collocate nel cosiddetto convento delle Matrone, edificio legato al culto delle più importanti donne romane. I due testi menzionano Giulia Domna, moglie di Settimio Severo e madre di Caracalla e Geta, e Vibia Sabina, moglie di Adriano, le quali in tempi diversi avrebbero contribuito al restauro di detto edificio. Anche in questo caso, l’intera tradizione dei testi deriva dalla copia di Poggio.

119 CIL VI 8, 2, p. 4314; Walser 1987, pp. 74-75, nr. 14a. 52 15. Iscrizione dell’arco di Graziano, Valentiniano II e Teodosio120

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 15. Arco di 69r CIL VI 1184 EDR111505 No No Graziano, Valentiniano II e Teodosio, Campo Marzio

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 69r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1184 (EDR111505) Imperatores Caesares Ddd. Nnn. Gratianus, Valentinianus et Theodosius Pii Felices semper Auggg. arcum ad concludendum opus omne porticuum maximarum aeterni nominis sui pecunia propria fieri ornariq(ue) iusserunt.

L’iscrizione si sarebbe trovata, secondo la collocazione della silloge, in un arco “proximo ponte Petri”. L’indicazione è poco chiara, ma dalla lettura del testo, in cui vengono citati gli imperatori Graziano, Valentiniano II e Teodosio, si riesce a circoscriverla al perduto arco dei tre imperatori all’estremità nord-ovest del Campo Marzio, al lato sud di Ponte Sant’Angelo. Si è già visto come l’arco fosse erroneamente citato come arcus Aureus Alexandri nei Mirabilia e nel Tractatus de rebus antiquis et situ urbis Romae, mentre con il nome corretto

120 CIL VI 8, 2 p. 4333; Walser 1987, pp. 75-76, nr. 15. 53 viene menzionato tre volte nel cosiddetto Ordo Romanus, parte del Liber polypticus del canonico Benedetto, redatto tra 1140 e 1143 e descrivente una serie di itinerari religiosi

attraverso la Roma del XII secolo121. Dal testo riusciamo a ricostruire le origini dell’arco, che fu edificato dai tre imperatori attorno al 380 per commemorare la costruzione delle porticus Maximae, delle quali costituiva la conclusione monumentale. In seguito al suo crollo durante il papato di Urbano

V (1362-1370), non ne sarebbe rimasta alcuna documentazione archeologica122. L’intera tradizione del testo è dunque debitrice della trascrizione del codice di Einsiedeln, nella versione copiata e tramandata da Poggio, la quale assieme alle opere odeporiche soprammenzionate costituisce un limitato ma indispensabile corpus di testimonianze che, redatto in un periodo di tempo in cui l’arco era ancora eretto, ci permette di definire non solo la sua collocazione, ma anche e soprattutto le sue finalità.

121 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 212, 219, 220. 122 De Maria 1988, p. 322, nr. 101. 54 16. Iscrizione delle terme di Diocleziano123

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 16. Terme di 69rv CIL VI 1130 EDR110850 No Frammenti Diocleziano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 69rv (www.e-codices.ch)

CIL VI 1130 (EDR110850) [DD. nn. D]ìocletia[nus et 〚Maximian]us〛 Invìcti Seni[ores Augg. patres Impp. et Ca]ess.(:Caesarum) et DD. nn. Cons[tantius et Maximianus Invicti Augg. et] [Severus et] Ṃax[iminus nobilissimi Caesares] 5 [ther]mas Feli[ces Diocletianas quas] [Maxi]mianus Aug(ustus) [rediens ex Africa sub] [praesen]tia mai[estatis suae (?) disposuit ac] [fieri iussit e]ṭ [Diocletiani Aug(usti) fratris sui] [nomine consecrav]ịṭ [coemptis aedific]ịịs 10 [pro] ̲ta̲[nti ope]ṛịs magnị[tudine omni c]ultu p̲e̲r̲̲fe̲c̲[tas] Romanis sui[s] dedịc[ave]r̲u̲[nt].

123 CIL VI 8, 2, pp. 4326-4327; Walser 1987, pp. 16-17, nr. 16; Cicogna - Crimi 2012, pp. 243-256; Crimi 2014, pp. 57-67; Roberto 2019. 55 Fig. 7: ricostruzione dell’iscrizione delle terme di Diocleziano, da Crimi 2014, p. 58.

Tra i testi della silloge di Einsiedeln, l’iscrizione dedicatoria delle terme di Diocleziano124 (fig. 7) è uno di quelle con una tradizione più proficua. Per quanto la trasmissione del testo completo dipenda dalla silloge di Einsiedeln e dalla copia di Poggio, nel corso di tutto il Rinascimento due grandi frammenti dell’iscrizione continuarono ad essere copiati. Il primo (a, vedi fig. 8) sarebbe stato conservato nei pressi della Basilica di Sant’Antonio da Padova all’Esqulino, il secondo (b, vedi fig. 9) in un muro del monastero certosino di Santa Maria degli Angeli e dei Martiri, costruito sui resti delle terme stesse 125. Sulla base della silloge e delle testimonianze rinascimentali, Mommsen ne ricostruì il testo126, poi inserito nella voce del CIL VI.

124 LTUR V, pp. 53-58.

125 Per una più dettagliata prospettiva circa la collocazione delle due lastre si veda Crimi 2014, p. 67, nota 2. Cfr. l’incipit di CIL VI 1130. 126 Cfr. CIL VI 1130: "Titulum restituit Mommsen archäol. Zeit. 1846 p. 229 et Sitzungsber. der sächs. Gesellsch. 1850 p. 308 (inde Henzen ad Orell. 1056 p. 110)”. 56 Fig. 8: frammento a dell’iscrizione Fig. 9: frammento b dell’iscrizione delle terme di Diocleziano, da CIL VI delle terme di Diocleziano, da CIL VI 1130. 1130.

Il testo ci permette di ricostruire la durata dei lavori per l’edificazione del complesso. Essi iniziarono tra l’autunno del 298 e i primi mesi del 299, in concomitanza col ritorno a Roma di Massimiano, il quale aveva finanziato il progetto con una generosa offerta. L’idea iniziale dell’Augusto era quella di consacrare l’edificio al fratello Diocleziano in occasione dei suoi vicennalia, nel 303, ma le terme furono inaugurate solo in un periodo compreso tra il primo maggio del 305, giorno dell’abdicazione di Diocleziano e Massimino in favore di

Galerio Massimiano e Costanzo Cloro, e la morte di quest’ultimo, il 25 luglio 306127. Undici piccoli frammenti riconducibili all’iscrizione sono stati rinvenuti, in tempi diversi, ma nella quasi totalità nei pressi delle terme, a partire dalla fine del XIX secolo128. Essi sono stati di grande utilità per una ricostruzione ancora più accurata del testo, ma hanno alimentato invero altri dubbi relativi, in particolare, a quante lastre con la stessa iscrizione fossero presenti nel complesso termale: alcuni frammenti, infatti, presentano una stessa parte di testo e al contempo una lavorazione delle superfici e tratti paleografici differenti tra

loro, tutti fattori che indicano la certa esistenza di più esemplari del titulus129.

127 Roberto 2017, pp. 303-304.

128 CIL VI 31242 1-9; CIL VI 30567 20; l’undicesimo frammento, non incluso nel CIL, è stato edito per la prima volta da Crimi, Cicogna 2012. 129 Crimi 2014, pp. 57-67. 57 17, 18, 19. Iscrizioni di Porta Prenestina/Maggiore130

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 17. Porta 69r CIL VI 1256 EDR104278 Sì Sì Maggiore 18. Porta 69r CIL VI 1257 EDR104279 Sì Sì Maggiore 19. Porta 69r-70v CIL VI 1258 EDR104280 Sì Sì Maggiore

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 69v-70r (www.e-codices.ch)

130 CIL VI 8, 2, p. 4365; Walser 1987, pp. 77-79, nn. 17-18-19; Coates Stephens 2004 36-40. 58 Fig. 10: facsimile delle tre iscrizioni, lato sud, da Coates Stephens 2004, p. 38.

Fig. 11: , 1838 ca., da Coates Stephens 2004, p. 97.

59 CIL VI 1256 (EDR104278) Ti(berius) Claudius Drusi f(ilius) Caisar Augustus Germanicus, pontif(ex) maxim(us), tribunicia potestate X̅ I̅ I̅ , co(n)s(ul) V̅ , imperator X̅ X̅ V̅ I̅ I̅ , pater patriae, aquas Claudiam ex fontibus, qui vocabantur Caeruleus et Curtius, a milliario XXXXV, item Anienem Novam, a milliario LXII, sua impensa, in urbem perducendas curavit.

CIL VI 1257 (EDR104279) Imp(erator) Caesar Vespasianus August(us), pontif(ex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) I̅ I̅ , imp(erator) V̅ I̅ , co(n)s(ul) I̅ I̅ I̅ , desig(natus) I̅ I̅ I̅ I̅ , p(ater) p(atriae), aquas Curtiam et Caeruleam perductas a divo Claudio et postea intermissas dìlapsasque per annos novem sua impensa urbi restituit.

CIL VI 1258 (EDR104280)

Imp(erator) T(itus) Caesar dìvì f(ilius) Vespasianus Augustus, pontifex maximus, tribunic(ia) potestate X̅ , imperator X̅ V̅ ̅I̅I, pater patriae, censor, co(n)sul V̅ ̅I̅I aquas Curtiam et Caeruleam perductas a dìvo Claudio et postea a dìvo Vespasiano, patre suo, urbi restitutas, cum a capite aquarum a solo vetustate dìlapsae essent, nova forma reducendas sua impensa curavit.

Le tre iscrizioni si trovano sull’attico di Porta Maggiore, ripetute su entrambi i lati dell’edificio e oggi visibili e leggibili grazie ad un restauro del 1999131. La porta era stata fatta costruire da Claudio nel 52 come arco monumentale e al contempo componente strutturale dell’, come dimostrano i canali ancora oggi visibili nella sezione dell’attico. Il primo testo si trova sul condotto dell’Anius Novus, quello posto più in alto nella porta, ed era stato fatto incidere da Claudio in occasione della sua costruzione; il secondo, nella parte centrale dell’attico, in corrispondenza del condotto dell’Aqua Claudia, menziona un restauro ad opera di Vespasiano nel 71 d.C.; il terzo, sul basamento, un successivo restauro da parte di Tito nell’82 (figg. 10-11).

131 Coates Stephens 2004, p. 35. 60 Tutti i testi godono di una tradizione copiosa, lineare e in gran parte autoptica: Poggio stesso li inserì tra le trascrizioni da lui fatte di persona, e Henzen menzionò la loro visione nelle voci del CIL.

L’indicazione topografica della silloge di Einsiedeln, porta Praenestina132, si riferisce al nome con cui già dalla costruzione delle Mura aureliane l’arco era conosciuto. Inizialmente indistintamente intercambiabile con porta Lavicana - l’arco infatti separava via Prenestina e via Labicana - in seguito alla fortificazione del complesso murario da parte di Onorio nel 402, i nomi vennero attribuiti a due entrate distinte. L’intero progetto onoriano venne celebrato con l’apposizione di varie iscrizioni lungo le mura, tre delle quali si sarebbero trovate proprio nella zona di Porta Maggiore. Di queste ne sopravvive una, collocata

proprio nel fornice labicano133, che non venne però trascritta nella silloge di Einsiedeln. Questo probabilmente perché già dal 537 l’entrata Labicana era stata chiusa, venendo riaperta - e quindi distrutta - solo in occasione dei restauri del 1838. Stando infatti al De Bello Gothico di Procopio, i Goti avrebbero posto sei capisaldi tra la porta Flaminia e la Prenestina e, in difesa, Belisario le avrebbe fatte serrare con grandi massi134. Si può ipotizzare che l’ingresso ostruito fosse solo uno, mai più riaperto al termine della guerra, e quindi i riferimenti nell’opera al nome Πραινεστίνα potrebbero derivare dal fatto che, essendo stato chiuso e reso inaccessibile il fornice labicano, ai tempi di Procopio si fosse soliti denominare Porta Maggiore col nome dell’ingresso ancora in utilizzo. Un documento del 966 attesta che la porta Labicana fosse bloccata anche nei secoli successivi, specificando come una delle due entrate di Porta Maggiore fosse clausa135. Da vari disegni di XVII e XIX secolo che confermano che la viabilità fosse garantita solo da un fornice (figg. 12-13).

132 LTUR III, pp. 310-311. 133 CIL VI 1189.

134 Procopio, Got. 19 1-3, 14-14. 135 Coates-Stephens 2004, p. 113. 61 Fig. 12: Porta Maggiore, lato sud, XVII secolo, da Coates Stephens 2004, p. 98.

Fig. 13: Porta Maggiore, lato nord, XIX secolo, da Coates Stephens 2004, p. 99.

62 20. Iscrizione del restauro del Macellum Liviae136

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 20. Macellum 70v CIL VI 1178 EDR004926 Sì, parte Sì, parte Liviae superstite superstite

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 70v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1178 (EDR004926)

[DDD. NNN. Valentinianus], V̲ a̲ l̲ e̲ n̲ s̲ ̲e̲ t̲ G̲ r̲ a̲ t̲i̲ a̲ n̲ u̲ s̲ , P̲ i̲ i̲ F̲ e̲ l̲ i̲ c̲ e̲ s̲ a̲ c̲ t̲r̲ i̲ u̲ m̲ p̲ h̲ a̲ t̲o̲ r̲ e̲ s̲ s̲ e̲ m̲ p̲ e̲ r̲ A̲ u̲ g̲ g̲ g̲ .̲, p̲ o̲ r̲ t̲i̲ c̲ u̲ s̲ a̲ r̲ e̲ a̲ s̲ q̲ (ue) [--- ma]cello Liviae ad ornatum̲ u̲ r̲ b̲ i̲ s̲ s̲ u̲ a̲ e̲ a̲ d̲ d̲ i̲ d̲ e̲ d̲ i̲ c̲ a̲ r̲ i̲ q̲ (ue) i̲ u̲ s̲ s̲ e̲ r̲ u̲ n̲ t̲.

La silloge di Einsiedeln riporta confusamente ed incompletamente questo testo, che doveva appartenere ad un edificio di IV secolo d.C. Dalla ricostruzione di Henzen per la voce del CIL, eseguita sulla base del confronto tra la trascrizione e un frammento dell’iscrizione rinvenuto nel 1871 e conservato nella parete nord dell’atrio di Santa Maria in Trastevere, si è presupposto che il testo facesse parte

dell’epistilio di un edificio sull’Esquilino nei pressi del Macellum Liviae137. Il testo fa riferimento ad un rinnovo dell’area del mercato da parte di Valentiniano I, Valente e Graziano, avvenuta tra 369, anno in cui Graziano ottiene l’appellativo di maximus victor ac triumphator semper Augustus, e 375, anno del decesso di Valentiniano. Il mercato era stato fatto costruire da Augusto, e dedicato da Tiberio all’inizio del 7 a.C. Dell’esistenza del mercato danno resoconto alcune fonti tardo-antiche e altomedievali tra cui, su tutte, il Liber

136 CIL VI 8, 2, pp. 4332-4333; Walser 1987, pp. 79-81, nr. 20. 137 LTUR III, pp. 203-204. Richardson 1992, p. 241. 63 Pontificalis, in cui viene menzionato due volte, entrambe in relazione alla basilica di Santa Maria Maggiore, costruita da papa Liberio138 (352-366) iuxta macellum Libiae e quindi

restaurata da Sisto III139 (432-440). Il mercato viene effettivamente citato, per quanto lacunoso in entrambi i casi, tanto nel testo della silloge quanto nel frammento in Trastevere e, vista anche la vicinanza tra Porta Maggiore, a cui vanno assegnati i tre testi precedenti della silloge, e la basilica, nei pressi della quale si sarebbe trovato il mercato, sembra più che probabile che il testo fosse stato letto dal redattore nella prosecuzione di uno stesso percorso. Non creerebbe così troppi problemi l’insolita assenza di una coordinata topografica in riferimento alla trascrizione.

138 Valentini - Zucchetti 1942, p. 233. 139 Ibid. p. 237. 64 21. Cenotaffio di Gaio Dillio Vocula140

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 21. Sconosciuto, 70v CIL VI 1402 EDR109405 No No forse sull’Esquilino

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 70v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1402 (EDR109405) C(aio) Dillio A(uli) f(ilio) Ser(gia) Voculae, trib(uno) milit(um) leg(ionis) I, IIIIviro viarum curandar(um), q(uaestori) provinc(iae) Ponti et Bithiniae, trib(uno) pl(ebis) , pr(aetori), leg(ato) in Germania leg(ionis) XXII Primigeniae, 5 Helvia T(iti) f(ilia) Procula uxor fecit.

Il redattore della silloge riporta il testo di quello che, apparentemente, sarebbe stato il cenotafio141 in memoria del senatore Gaio Dillio Vocula142, assassinato nel 70 d.C. dal sicario Emilio Longino durante la rivolta di Giulio Classico a Novesio143. Il monumento

140 CIL VI 8,3, p. 4692; Walser 1987, pp. 81-82, nr. 21; Ricci 2006, p. 121, nr. App. 10. 141 Ricci 2006, p. 121 app. 10 propone che si trattasse invero di una sepoltura a tutti gli effetti: “In realtà non è improbabile che i resti di Vocula siano stati traslati per la sepoltura a Roma, trattandosi di un senatore”.

142 PIR III, p. 20, n. 90. 143 Tac. Hist. IV, 59, 1: “Digressum Voculam et de supremis agitantem liberti servique prohibuere foedissimam mortem sponte praevenire. et Classicus misso Aemilio Longino, desertore primae legionis, caedem eius maturavit”. 65 sarebbe stato commissionato dalla moglie Elvia Procula144. Qualsiasi notizia relativa al monumento deriva dalla trascrizione del codice di Einsiedeln, nel quale invero manca un’indicazione sulla collocazione. È possibile che esso si trovasse nella stessa area di Porta Maggiore e del Macellum Liviae se, come si è visto, anche l’edificio del testo numero 20 non aveva una collocazione definita nel codice ma si trovava in ogni caso nell’Esquilino. Pur non essendo presente nel testo una menzione alle dimensioni del cenotafio, si può dedurre che queste fossero ingenti per due motivi: il primo è l’importanza politico-militare di Vocula, espressa dal cursus honorum dell’epitaffio e dalla testimonianza storiografica di Tacito145; il secondo è che le rare trascrizioni di titoli funerari della silloge fanno solitamente riferimento a lotti di ampia dimensione, proprietà di famiglie importanti e dalle grandi disponibilità economiche. È facile infatti che il redattore originario della silloge, nel suo compito di riportare tituli che rappresentassero in un certo senso un apparato didascalico agli edifici più imponenti della città di Roma, venisse attirato da monumenti funebri di grandi dimensioni e rilevante apparato iconografico e, di conseguenza, l’epitaffio del cenotafio di Vocula, corrispondente a queste caratteristiche, sarebbe stato considerato degno di copiatura.

144 PIR IV, p. 62, nr. 67. 145 Tac. Hist. IV 24-27, 33-37, 56-59, 62, 77. 66 22. Iscrizione del Ponte Cestio146

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 22. Ponte Cestio, 70rv CIL VI 1175 EDR103848 Sì Sì isola Tiberina

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 70v (www.e-codices.ch)

146 CIL VI 8, 2, p. 4332; Walser 1987, pp. 81-82, nr. 22. 67 CIL VI 1175 (EDR103848) Domini nostri Imperatores Caesares, Fl(avius) Valentinianus pius felix maximus victor ac triumf(ator) semper Aug(ustus), pontif(ex) maximus, Germanic(us) max(imus), Alamann(icus) max(imus), Franc(icus) max(imus), Gothic(us) max(imus), trib(unicia) pot(estate) VII, imp(erator) VI, cons(ul) II, p̅ (roconsul), p̅ (ater) p̅ (atriae), et Fl(avius) Valens pius felix max(imus) victor ac triumf(ator) semper Aug(ustus), pontif(ex) max(imus), 5 Germanic(us) max(imus), Alamann(icus) max(imus), Franc(icus) max(imus), Gothic(us) max(imus), trib(unicia) pot(estate) VII, impe(erator) VI, cons(ul) II, p̅ (roconsul), p̅ (ater) p̅ (atriae), et Fl(avius) Gratianus pius felix max(imus) victor ac triumf(ator) semper Aug(ustus), pontif(ex) maximus, Germanic(us) max(imus), Alamann(icus) max(imus), Franc(icus) max(imus), Gothic(us) max(imus) trib(nicia) pot(estae) II, imp(erator) II, cons(ul) primum, p̅ (roconsul), p̅ (ater) p̅ (atriae), pontem felicis nominis Gratiani in usum Senatus ac populi Rom(ani) constitui dedicarique iusserunt.

Il testo si trovava ripetuto sui due lati del ponte Cestio, conducente dalla riva occidentale del Tevere all’Isola Tiberina, e ne menzionava il restauro dell’anno 369 da parte di Valentiniano I, Valente e Graziano. Il testo viene dedicato tra il 10 dicembre, giorno in cui Valentiniano e Valente ottennero la settima tribunicia potestas e il 31, un giorno prima cioè dell’inizio del terzo consolato dei tre imperatori. Sopravvive ancora oggi il testo del lato ovest del ponte, conservato in seguito ai lavori di restauro tra 1885 e 1882, mentre quello orientale è stato perso nel 1849, gettato nel fiume dalle truppe Garibaldine durante l’assedio di Roma147. La trascrizione del codice di Einsiedeln non ha ruolo alcuno nella diffusione rinascimentale del testo che, laddove non da autopsia, deriva dalla copia della silloge Signoriliana.

147 Walser 1987, p. 81. 68 23. Iscrizione della Basilica di Sant’Anastasia148

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ILCV oggi Einsiedeln 23. Basilica di 70v-71r ILCV 1782 - No No Sant’Anasta sia, abside

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 70v-71r (www.e-codices.ch)

ILCV 1782 Antistes Damasus picturae ornarat honore tecta, quibus nunc dant pulchra metalla decus. divite testatur pretiosior aula nitore, quos rerum effectus possit habere fides. 5 papae Hilari meritis olim devota Severi nec non Cassiae mens dedit ista deo.

L’Anonimo riporta dalla basilica di Sant’Anastasia al Palatino un’iscrizione di sei righe databile tra 461 e 465. Essa menziona due interventi all’antica basilica, costruita già alla metà del IV secolo149: il primo è quello di papa Damaso, che l’aveva decorata con affreschi a fine IV secolo, il secondo è un restauro commissionato dall’imperatore d’occidente Libio

148 Walser 1987, pp. 82-83, nr. 23. 149 LTUR, I 37-38; Hülsen 1927, pp. 172-173, A20. 69 Severo150 e dalla moglie Cassia, termine questo per la datazione dell’epigrafe. Il testo è riportato anche nella silloge di Lorsch, collezione di testi cristiani da diverse città italiane, redatta tra 821 e 835 sulla base di quattro antologie di testi precedenti, da datarsi tra VI e VII secolo151. Tuttavia, la testimonianza dell’Anonimo è l’ultima in ordine cronologico. La scomparsa del titulus potrebbe ricollegarsi a uno dei due grandi restauri della basilica compiuti nel IX secolo da Leone III prima e da Gregorio IV (827-844). Tuttavia si tratta di una presupposizione troppo debole per considerare questi degli ipotetici termini ante quem la redazione della silloge, se essa fosse il lavoro di un unico individuo.

150 PLRE II, Severus 18. 151 Sulla silloge di Lorsch vedi Troncarelli 2011; sul titolo di Sant’Anastasia riportato nella silloge cfr. de Rossi 1888, p. 150, nr.18. 70 24. Iscrizione del Foro del Palatino152

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 24. Foro del 71v CIL VI 1177 EDR114523 No No Palatino

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1177 (EDR114523) Forum populo Romano suo [dono dederunt] domini et principes nostri [Imppp . Caesss.] Valentinianus Valens et [Gratianus Auggg.] curante Flavio Eupraxi[o] v(iro) c(larissimo) [praef(ecto) urbi].

Il codice è l’unico testimone di questo testo copiato poi da Poggio e quindi trasmesso - senza invero un’ampia diffusione - nel corso del Rinascimento. Il supporto osservato dal redattore era, probabilmente, frammentario: il testo riportato, infatti, sembra essere lacunoso e privo di componenti importanti per la sua comprensione. Queste vennero presupposte e reintegrate nel testo da Mommsen, il quale nel 1850 giunse alla conclusione che la lastra vista dal redattore della silloge sarebbe dovuta essere mutila nella parte destra, da cui la restituzione del testo del CIL. Nel testo si fa menzione ad un foro donato alla città da parte degli imperatori Valentiniano,

Valente e Graziano e attraverso la curatela del prefetto Flavio Eupraxio153 e la stessa indicazione del codice fa riferimento ad un forum Palatinum154. La sua collocazione è stata individuata o negli horrea Agrippiana o nell’area Palatina. Come visto nell’introduzione, l’associazione con gli horrea Agrippiana deriva da un’intuizione di Oliffe Richmond, che

152 CIL VI 8, 2, p. 4332; Walser 1987, pp. 83-84, nr. 24.

153 PLRE I, Eupraxius. Si veda Chastagnol 1962, pp. 190-191. 154 LTUR II, pp. 311-312. 71 era giunto alla sua conclusione partendo proprio da un confronto tra silloge ed itinerari: il titulus del foro del Palatino seguiva quello di Sant’Anastasia, a poca distanza dalla chiesa di

San Teodoro155 che, citata negli itinerari proprio in associazione al colle, si trovava nei pressi proprio degli horrea Agrippiana, la cui area pavimentata sarebbe stata definita forum Palatinum156; la seconda opzione è invece teorizzata da Ward Perkins: l’area Palatina era una piazza che si trovava al centro del colle e che i tre imperatori avrebbero restaurato e abbellito per dar vita ad un piccolo foro, che con questo appellativo sarebbe stato annotato

dal redattore della silloge di Einsiedeln157. Non è possibile definire quale delle due teorie sia giusta, ma nel caso venga in questo lavoro dimostrata l’effettiva relazione tra silloge ed itinerari, allora la lettura di Richmond potrebbe essere considerata valida. Invero non del tutto precisa è l’indicazione, accolta anche dal CIL, nella quale il termine Palatinum è aggettivale, quando più corretto sarebbe declinarlo al genitivo, come avanzato da Valentini e Zucchetti158 e accolto da Chioffi159.

155 Hülsen 1927, p. 489, T3.

156 Richmond 1913, p. 211. 157 Sulla collocazione cfr. Lugli 1946, p. 471; sul restauro di una piazza preesistente cfr. Ward- Perkins 1984, p. 39, nota 2.

158 Valentini - Zucchetti 1942, p. 165. 159 LTUR II, pp. 311-312. 72 25. Iscrizione della chiesa di Santa Sabina160

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ILCV oggi Einsiedeln 25. Chiesa di 71r ILCV 1778b EDB42685 Sì Sì Santa Sabina

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71r (www.e-codices.ch)

Fig. 14, iscrizione della chiesa di Santa Sabina, da http://www.calino.it/turismo/lazio/ Chiesa_Santa_Sabina.pdf.

160 Walser 1987, p. 84, nr. 25; Carletti 2008, 252-253, nr. 156; Kateusz 2019, 95-96. 73 ILCV 1778b (EDB42685) Culmen Apostolicum cum Coelestino haberet primus et in toto fulgeret episcopus orbe, haec quae miraris fundavit presbiter urbis Illyrica de gente Petrus, vir nomine tanto 5 dignus, ab exortu Xristi nutritus in aula pauperibus locuples sibi pauper quii bona vitae praesentis fugiens meruit sperare futuram.

Ancora oggi leggibile e ben visibile sulla parte superiore della controfacciata della chiesa di

Santa Sabina161, l’iscrizione riportata dall’Anonimo nella sua silloge è una di quelle oggi meglio conservate (fig.14). Musiva, essa campeggia magniloquente in un vasto specchio epigrafico con sfondo azzurro accompagnata, ai lati, dalle figurazioni allegoriche delle due ecclesiae. La prima, alla sinistra di chi osserva, è la ecclesia ex circumcisione, cioè quella composta dai cristiani che provengono dall’ebraismo; la seconda, sulla destra, è la ecclesia ex gentibus, dei cristiani convertitisi dal paganesimo. Entrambe rappresentate come donne, esse tengono in mano ciascuna un libro, rispettivamente l’Antico Testamento, in ebraico, e il Nuovo Testamento, in lettere onciali latine, doppio rimando alla provenienza culturale degli adepti al credo162. Le due immagini sono accompagnate da relative scritte didascaliche, le quali però non vengono riportate nella silloge. Non è da credere che il redattore non le abbia lette, quanto piuttosto che non fosse nel suo interesse la componente figurativa dell’epigrafe, come da prassi: mai infatti, tanto nelle iscrizioni musive e cristiane, quanto in quelle classiche, vi sono riferimenti ad ornamenti o raffigurazioni che accompagnano il testo. Nello specifico, l'iscrizione qui in esame, per quanto da datarsi al papato di Sisto III, menziona come primo nome Celestino I, sotto il quale la chiesa era stata costruita. Invero il pontefice non è né il soggetto né il dedicante o dedicatario dell’iscrizione, ma la presenza del suo nome ha una doppia funzione temporale e soprattutto, comunicativa: il papa è ormai primus episcopus orbe, Roma la prima tra tutte le chiese163. Quanto al

161 LTUR IV, pp. 221-223; Hülsen 1927, pp. 430-431, S2.

162 Carletti 2008, pp. 252-253. 163 Kateusz 2019, pp. 96-97. 74 messaggio più pratico, il testo celebra la virtù di Pietro, presbitero romano di origine illirica definito degno di portare tale nome, responsabile della realizzazione di haec quae miraris. Il testo, ovviamente, è stato tramandato e copiato linearmente e copiosamente nel corso dei secoli164, in primis dalla silloge di Lorsch165 e da quella di Cambridge166. L’ottima conservazione e il fatto che non si sia mai spostato dal luogo di origine ne fanno uno dei casi più rari all’interno della silloge e, con ciò, in un certo senso uno dei meno utili ai fini di questa ricerca, dal momento che non permette di circoscrivere ad un lasso temporale più ristretto e meno vago la redazione della silloge originale.

164 Esempi di età moderna sono: Rossi 1708, pp.167-168; Melchiorri 1834, p. 298; Nibby 1838, p. 689.

165 Cfr. de Rossi 1888, p. 111, nr. 71. 166 Cfr. de Rossi 1888, p. 156, nr. 2. 75 26. Iscrizione della basilica di San Pancrazio167

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 26. Basilica di 71r ICVR II 4292 EDB13181 No No San Pancrazio, abside

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71r (www.e-codices.ch)

ICVR II 4292 Ob insigne meritum et singulare beati Panc- rati martyris beneficium basilicam vetustate confectam extra corpus mar- tyris neglectu antiquitatis exstructam 5 Honorius ep(iscopu)s d(e)i famulus abrasa vetustatis mole ruinaque minante a fundamentis noviter plebi d(e)i construxit et corpus martyris quod ex obliquo aulae iacebat altari insignibus ornato metallis loco proprio collocavit.

Nell’abside della basilica di San Pancrazio168, appena fuori le mura aureliane e sulla via Aurelia, il redattore della silloge legge e trascrive un testo menzionante un restauro dell’edificio voluto da papa Onorio.

167 Walser 1987, p. 85, nr. 26. 168 LTURS, IV 163-165; Hülsen 1927, p. 409, P1. 76 Egli, si legge, aveva demolito la vecchia chiesa, fondata da papa Simmaco (498-514), ricostruendo la nuova dalle fondamenta e incastonando il corpo del martire, ucciso, secondo la tradizione, sotto Diocleziano, sotto l’altare maggiore. Si tratta del testo più recente tra quelli romani della silloge, da datarsi tra 625 e 638. Esso viene trasmesso anche dalla silloge di Cambridge169.

169 Cfr. de Rossi 1888, p. 156, nr. 5. 77 27. Iscrizione dell’Obelisco Vaticano170

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 27. Vaticano 71r CIL VI 882 EDR074450 Sì Sì

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71r (www.e-codices.ch)

Fig. 15: Maarten van Heemskerck, l’Obelisco Vaticano a San Pietro e Santa Maria delle Febbre a Roma, 1532, da http://www.zeno.org/nid/20004075250.

CIL VI 882 Dìvo Caesarì Dìvì Iuliì f(ilio) Augusto Ti(berio) Caesarì dìvì Augusti f(ilio) Augusto sacrum.

170 CIL VI 8, 2, p. 4302; Walser 1987, pp. 85-86, nr. 27; Alföldy 1990, pp. 38-67; 78 L’iscrizione dell’Obelisco Vaticano171 gode di una tradizione copiosa, lineare e, soprattutto, decisamente alta. Tutte e quattro le più antiche sillogi epigrafiche medievali e pre- umanistiche, infatti, ne riportano il testo: non solo l’anonimo di Einsiedlen, dunque, ma anche il redattore della silloge Signoriliana, Dondi e Poggio, quest’ultimo tra i testi visionati autopticamente. Le tre righe - ripetute nei lati est e ovest dell’Obelisco - fanno riferimento ad una dedica ad Augusto e a Tiberio, generalmente attribuita a Caligola. Tradizionalmente, infatti, storici e critica si sono dichiarati all’unanimità sicuri di tale paternità del titulus sulla base del passaggio di Plinio circa il trasporto del monumento da Alessandria d’Egitto a Roma, dove sarebbe stato eretto nel suo circo in prossimità del Vaticano172. Erik Iversen è stato il primo erudito a mettere in dubbio l’attribuzione della dedicata a Caligola. In primo luogo, lo storico definisce poco coerente il fatto che Caligola, il quale avrebbe posizionato il monumento in quelli che al suo tempo erano conosciuti come horti Agrippinae, incidesse nello stesso una dedica a Tiberio, di fatto l’assassino della madre. Quindi, seguendo un ragionamento già proposto da Mommsen, lo storico britannico fa notare che la dedica è rivolta allo stesso tempo ad un imperatore deificato, Augusto, e uno non deificato, Tiberio. Qualora il dedicante fosse Caligola e, di conseguenza, Augusto e Tiberio morti, la loro compresenza in una stessa iscrizione sarebbe un caso unico nella storia dell’epigrafia latina. Più facile e credibile, dunque, credere che la dedica fosse stata

fatta iscrivere da Tiberio in onore del suo padre adottivo e di se stesso, tra 14 e 37173. Ciò che non cambia, tuttavia, è l’ubicazione nel circo in Vaticano dell’Obelisco, che sarebbe rimasta la stessa dal suo arrivo a Roma fino al trasferimento al centro della nuova Piazza San Pietro voluto da Sisto V e coordinato dall’architetto Domenico Fontana nel 1586. La dicitura in Vaticano del redattore della silloge fa dunque riferimento alla prima collocazione romana del monumento, la quale viene più dettagliatamente descritta da Pietro Sabino174, il quale nella sua importante silloge epigrafica di fine XV secolo la circoscrive

171 Richardson 1992, pp. 163-165. 172 Plin., Nat. Hist., 6, 11, 74: “tertius [obeliscus] est a Roma in Vaticano Gai et Neronis principum circo”. Ibid. 16, 40, 201: “abies admirationis praecipuae visa est in nave quae ex Aegypto Gai principis iussu obeliscum Vaticano circo statutum quattuorque truncos lapides eiusdem ad sustinendum eum adduxit”.

173 Iversen 1965. 174 Riguardo Pietro Sabino e la sua Silloge cfr. Gionta 2005, pp. 107-187; Buonocore 2007, pp. 456-469; Buonocore 2015, p. 28; Gonzalez Germain 2016, pp. 315-335. 79 nei pressi della chiesa di Santa Maria della Febbre, come appunto è testimoniato anche da un disegno del pittore olandese Maarten van Heemskerck del 1532 (fig. 15). Qui viene visto anche dall’Anonimo. Egli, come visto, riporta numerosi testi dall’area nord-occidentale di Roma, e dai pressi della stessa chiesa vede anche il titulus funebre di Marco Camurio Sorano (nr. 31).

80 28. Iscrizione dello spianamento del clivus Martis175

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 28. Via Appia 71r CIL VI 1270 EDR108912 Sì Sì

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1270 (EDR108912) Senatus populusque Romanus clìvom 5 Martis pecunia publica in planitiam redigendum curavit.

La lastra, oggi conservata nei Musei Vaticani, faceva parte di una struttura monumentale della via Appia e menzionava l’opera di spianamento di un tratto pendente che traeva il nome dal tempio dedicato a Marte al I miglio della via, fuori . Il clivus si estendeva tra porta Capena e il tempio di Marte, nei pressi del fiume Almone. Il sentiero che conduceva all’ingresso del tempio era stato pavimentato già nel 296 a.C., per poi essere stato ampliato nel 189 a.C., quando venne dotato di un portico a colonna. Per questioni paleografiche la lastra - e, di conseguenza, lo spianamento - sono da datarsi alla prima età imperiale, e potrebbero essere ricondotti al ripristino da parte di Augusto della

175 CIL VI 8, 2, p. 4667; Walser 1987, pp. 86-87, nr. 28. 81 transvectio equitum, la parata militare delle idi di luglio che partiva proprio dal tempio di Marte. Del tutto errata, dunque, è la datazione di Walser, che assegna la lastra all’età tardo- imperiale sulla base di un confronto con un’iscrizione di età costantiniana da Tivoli, che

utilizza uno stesso formulario in riferimento allo spianamento di un clivus176.

176 CIL XIV 3582: “Beatissimo saeculo / dominorum / nostrorum / Constanti / et 〚Constantis〛/ Augustorum. / Senatus populusq(ue) / Romanus /clivum Tiburtinum / in planitiem redegit. / Curante L(ucio) Turcio / Secundo, Aproniani / praef(ecti) urb(i) fil(ii), / Asterio, c(larissimo) v(iro), / correctore Flam(iniae) / et Piceni”. 82 29. Iscrizione dell’Arco di Tito al Circo Massimo177

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 29. Circo 71v CIL VI 944 EDR103960 No No Massimo

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71v (www.e-codices.ch)

Fig. 16: ricostruzione dell’Arco di Tito al Circo Massimo, da Buonfiglio 2014, p. 171.

177 CIL VI 8, 2, p. 4308; Walser 1987, p. 87-88, nr. 29; Granino Cecere 2014; Leoni 2018/2019, pp. 255-261. 83 Fig. 17: ricostruzione grafica dell’Arco di Tito al Circo Massimo, da Buonfiglio 2014, p. 179.

Fig. 18: ricostruzione grafica dell’iscrizione dell’arco di Tito al Circo Massimo, da Granino Cecere 2014, p. 234.

84 CIL VI 944 (EDR 103960) Senatus populusq(ue) Romanus Imp(eratori) Tito Caesari Divi Vespasiani f(ilio) Vespasian[o] Augusto pontif(ici) max(imo), trib(unicia) pot(estate) XI, imp(eratori) XVII, [c]o(n)s(uli) VIII, p(atri) p(atriae), principi suo 5 quod praeceptis patri[s] consiliisq(ue) et auspiciis gentem Iudaeorum domuit et urbem Hierosolymam omnibus ante se ducibus, regibus, gentibus aut frustra petitam aut omnino intemptatam delevit.

L’arco di Tito178, su cui si trovava l’iscrizione qui in esame, sorgeva nella zona centrale dell’emiciclo del Circo Massimo (figg. 16-17-18). Costruito in età Flavia, era stato dedicato a Tito nell’81 d.C. in seguito alla vittoria giudaica e alla distruzione di Gerusalemme e garantiva, attraverso una scalinata, l’ingresso al circo a chi entrava in Roma dalla via Appia attraverso la vicina Porta Capena. Stando alle recenti ricostruzioni, si trattava del più grande

arco mai realizzato sulla Sacra via dopo quello di Settimio Severo179. La tradizione del testo è debitrice della trascrizione del redattore della silloge, il quale avrebbe visto l’arco ancora eretto, così come l’autore dei Mirabilia urbis Romae, il quale lo inserisce tra gli archi della città con l’errata indicazione di arcus Titi et Vespasiani, dovuta probabilmente ad

un’errata interpretazione dell’epigrafe180. Già al passaggio dell’Anonimo, tuttavia, l’arco si trovava interrato di quasi due metri a causa del passaggio nel fornice centrale della Forma Iopia, canalizzazione di VIII secolo diretta verso il Tevere, che avrebbe comportato l’afflusso di acque e sostanze fangose giusto nella zona del monumento181.

178 LTUR I, pp. 108-109; Richardson 1992, p. 30. 179 Buonfiglio 2014, p. 332: “Gli interventi effettuati tra 2014 e 2015 si sono concentrati ai due lati del fornice centrale occupato dall’acquedotto medievale, sulla fronte dei due fornici laterali ed hanno permesso di ricostruire nelle linee essenziali dimensioni e quote di base dell’Arco di Tito. […] Si è potuto così stabilire che l’altezza dei plinti frontali è di m 2,26, il diametro dell’imoscapo delle colonne scanalate è di m 1,14, l’altezza della base è di cm 48. L’ampiezza dell’arco è stata calcolata in m 17 ca., per una profondità di m 15 ca. ed un’altezza totale di m 21 ca., le colonne dovevano sviluppare un’altezza di oltre m 10”.

180 Valentini - Zucchetti 1946, p. 18. 181 Buonfiglio 2014, p. 180. 85 La sua totale scomparsa è da datarsi alla metà del XII secolo, in seguito all’edificazione di due nuove strutture: l’acquedotto dell’Acqua Mariana costruito nel 1122 e la torre de arcu. Nota anche con i nomi Torre del Circo Massimo, Torre del Molino, Torre della Moletta e Torre (dei) Frangipane, quest’ultima è una piccola torre medievale, ancora oggi esistente, la quale sorge proprio laddove una volta si trovava l’arco (fig. 19)182.

Fig. 19: la torre de arcu, in prossimità dei ritrovamenti dell’Arco di Tito, da Leoni 2018/2019.

Invero, Poggio menziona due volte l’arco nel De Varietate Fortuna. Una prima volta, egli afferma addirittura di aver letto l’iscrizione dell’arco, il quale sorgeva nel Circo Massimo183; la seconda che nei pressi del Circo erano stati eretti un obelisco e l’arco, di cui poco nel XV secolo poteva essere visto a causa di ostacoli naturali184. Ne deriva, come proposto da Tommaso Leoni, che la lettura dell’epigrafe di cui si fa riferimento nel primo passaggio non derivasse da autopsia, ma dalla tradizione manoscritta. Visto che il manoscritto di San Gallo da cui Poggio copia parte delle iscrizioni deriverebbe dallo stesso nucleo del codice di Einsiedeln, è da credere che l’umanista aretino abbia

182 Leoni 2018/2019, pp. 274-280.

183 Poggio, De Varietate Fortunae I, p. 16. 184 Poggio, De Varietate Fortunae I, p. 18. 86 proprio lì letto l’epigrafe dell’Arco di Tito al Circo Massimo, senza però trascriverla nella sua opera185. Le fonti letterarie sono rimaste l’unica testimonianza dell’esistenza di quest’arco sino almeno agli anni ’30 del secolo scorso, quando si diede avvio al primo di una serie di interventi nell’area. Quelli effettuati tra 2014 e 2015 sono stati di notevole importanza non solo per la ricostruzione delle dimensioni del complesso, ma anche per questioni legate all’iscrizione: sono stati trovati, infatti, una serie di frammenti marmorei dotati di profondi incassi per il posizionamento della lettere di bronzo, la cui altezza è stata calcolata variare tra i 20 e i 23 cm186.

185 Leoni 2018/2019, pp. 265-272. 186 Ibid. p. 337, nota 52. 87 30. Iscrizione del Septizodium187

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 30. Septizodium 71v CIL VI 1032 EDR104092 No No

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 71v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1032 (EDR104092) (In una linea) Imp(erator) Caes(ar) Divi M(arci) Antonini Pii Germ(anici) Sarm(atici) fil(ius), Divi Commodi frater, Divi Antonini Pii nep(os), Divi Hadriani pronep(os), Divi Traiani Parth(ici) abnep(os), Divi Nervae [adnep(os), L(ucius) Septimius Severus Pius Pertinax Aug(ustus) Arab(icus) Adiab(enicus) Parth(icus) max(imus), pont(ifex) max(imus), trib(unicia) pot(estate) XI, imp(erator) XI, co(n)s(ul) III, p(ater) p(atriae) et Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aurelius Antoninus Pius Felix] A̲ u̲ g(ustus) trib(unicia) pot(estate) VI co(n)s(ul) fortunatissimus nobilissimusque [princeps ---].

Il Septizodium era un edificio fatto costruire da Settimio Severo, idealmente come ingresso alla sua dimora imperiale, quindi come monumento a sé stante dopo che, come pare, il prefetto della città Fabio Cilo aveva fatto ereggere una statua dell’imperatore al suo centro, impedendo quindi l’ingresso al palazzo. Dedicato contemporaneamente alle thermae Severiane, l’altra grande opera pubblica di Settimio Severo, nei primi anni del III secolo d.C., esso si trovava nel lato sud-est del Palatino, di fronte Porta Capena e l’ingresso nella città attraverso la Via Appia. La struttura era molto curata e complessa: stretta e lunga,

187CIL VI 8,2, p. 4318; Walser 1987, pp. 88-90, nr. 30; Lichttenberger 2011, pp. 250-266. 88 doveva superare i trenta metri in altezza, divisi in sette partizioni in orizzontale (tre nicchie più quattro corpi sporgenti) e tre piani colonnati188 (fig. 20).

Fig. 20: ricostruzione del Septizodium, da Hülsen 1886, tav. 4.

L’iscrizione, da datarsi per motivi prosopografici tra 202 e 203, correva in una sola riga lungo la trabeazione tra primo e secondo piano. Non siamo a conoscenza del testo completo e definitivo: la lezione del CIL, infatti, deriva dalla giustapposizione della testimonianza della silloge di Einsiedeln con la copia di un frammento nella silloge Signoriliana - riportato più volte anche da autori rinascimentali - e, tra di loro, l’integrazione da parte dei redattori del Corpus. Nel complesso doveva essere iscritta la lunga serie onomastica di Settimio Severo e dei figli Caracalla e Geta. Nella prima parte del testo, quella riportata dal codice di Einsiedeln, Settimio Severo si legittimava come discendente diretto nella linea degli imperatori adottivi e membro della famiglia degli Antonini, venendo infatti menzionato come figlio di Marco Aurelio e fratello di Commodo, nonché nipote di Antonino Pio, bis- nipote di Adriano, bis-bis-nipote di Traiano e quindi di Nerva. La copia della silloge Signoriliana riporta parte della nomenclatura di Caracalla, di cui sono specificati la sesta tribunicia potestas e il consolato, utili al fine della datazione dell’iscrizione e, conseguentemente, per ricostruire la sezione inclusa tra i due frammenti. Le parole fortunatissimus nobilissimusque erano iscritte quasi sicuramente su rasura, dal momento che in precedenza lì vi sarebbe dovuto essere incisa la serie onomastica di Geta, vittima di damnatio memoriae da parte del fratello nel 211. Sulla base del confronto con l’Arco di

188 LTUR IV, pp. 269-272; Richardson 1992, p. 350. 89 Settimio Severo e l’Arco degli Argentari, altri esempi di iscrizioni severine in cui il nome di Geta viene eraso lasciando spazio ad altri titoli di Caracalla189, Walser ha proposto di

integrare l’ultima parte del testo con princeps [- - -], lettura accolta da Alföldy190. Ad essere precisi mancano, tanto nelle letture quanto nelle ricostruzione, la menzione del proconsolato e del titolo di pater patriae di Caracalla, che nelle iscrizioni dei due archi soprammenzionati precedevano i superlativi proprio nella sezione in rasura. È facile invero che questi non fossero presenti nel Septizodium, dal momento che il nesso fortunatissimus nobilissimusque disponeva di un numero maggiore di lettere rispetto ai termini inseriti nei due archi - optimis fortissimisque nel caso dell’Arco di Settimio Severo, fortissimo felicissimoque in quello degli Argentari - e dunque da solo avrebbero ricoperto la rasura. Fino alla sua completa distruzione nel 1589, il Septizodium viene citato in diversi testi e documenti - in particolare quelli relativi alla diaconia di Santa Lucia in Septisolio - ed è disegnato da diversi artisti. Dal recupero di queste fonti, Alfonso Bartoli è riuscito a ricostruire la cronologia dell’edificio, grazie alla quale possiamo cercare di trarre delle conclusioni circa la storia effettiva della sua iscrizione191. A tal riguardo, tutto ciò che finora sappiamo è che:

1. in età alto-medievale era possibile vedere almeno tutta la prima parte del testo, ricopiato nel codice di Einsiedeln; 2. in età pre-umanistica e ancora nel Rinascimento era visibile almeno una parte della fine della lunga riga.

Stando ad un documento del 975, l’edificio era già diviso in due parti: un certo Stefano figlio del consul et dux Indebrando, infatti, cedeva il cosiddetto Septem solia minor al monastero di San Gregorio al , già possessori del Septem solia maior192. L’iscrizione, di conseguenza, doveva quindi già essere mutila - non è da escludere che lo fosse da molto tempo - e per questo motivo l’anonimo redattore della silloge di Einsiedeln avrebbe copiato solo la prima parte del testo. Secondo Bartoli il codice era il primo documento medievale a

189 CIL VI 1033; CIL VI 1035. 190 Walser 1987, p. 89; CIL VI 8, 2 p. 4318.

191 Bartoli 1909. 192 Cfr. Augenti 1996, pp. 62-63. 90 far riferimento all’edificio. Il redattore originario della silloge era dunque passato per il Septizodium quand’ancora la parte minore era di proprietà della famiglia nobile di cui faceva parte il soprammenzionato Stefano. È probabile che il redattore non fosse molto interessato della parte più piccola del monumento, specie se di proprietà di una famiglia che poteva anche farne un uso privato, e fosse piuttosto attirato dal Septem solia maior, decisamente più monumentale e comprensivo di un’iscrizione più ampia. I primi danni significati al Septizodium risalgono all’assedio di Enrico IV contro Gregorio

VII nel 1084193, ma è durante le guerre baronali del 1257 che la parte maggiore crolla, con conseguente perdita della prima parte dell’iscrizione. La parte minore sopravvive, più o meno stabilmente, fino al 1589, anno in cui Sisto V chiede a Domenico Fontana di demolire definitivamente l’edificio ormai decadente. La versione del Septizodium tra 1257 e 1589 è dunque quella che viene vista dal redattore della silloge Signoriliana, che copia la parte ancora esistente dell’iscrizione, e in seguito dai numerosi artisti che l’hanno disegnato. Due stampe sono particolarmente utili ai fini di questa ricerca: la prima è quella di Antonio Lafreri (fig. 21), che nel 1546 ritrae il Septizodium di prospetto, riportando lettera per lettera e con grande precisione la stessa porzione di iscrizione trasmessa dalla silloge Signoriliana; la seconda è quella di Stefano Duperac del 1575 (fig. 22), accurata testimonianza del lato orientale del Palatino a pochi anni dalla rimozione del Septizodium, nel quale si può ancora leggere l’iscrizione, coincidente per parole e spazi alla copia di Lafreri.

193 Valentini - Zucchetti 1942, p. 333. 91 Fig. 21: incisione del Septizodium di Antonio Lafreri, 1546, da Hülsen 1886, p. 10.

Fig. 22: incisione del Palatino di Stefano Duperac, 1575, da Hülsen 1886, p. 30.

92 In entrambe si può ben vedere come la parte del testo in rasura sia iscritto in prossimità della fine dell’abside, il ché implica che princeps ed eventuali altre parole, come già detto presenti secondo Walser e Alföldy, si sarebbero dovute trovare nel lato nord dell’edificio. Si può assecondare questa lettura solo qualora l’iscrizione originale fosse iniziata e finita lungo i lati del Septizodium cosa che, tuttavia, pare difficile sia da un punto di vista artistico e propagandistico sia, e soprattutto, da quello più puramente epigrafico. Trattandosi infatti il Septizodium di una sorta di ingresso monumentale alla città di Roma volto a celebrare l’ascendenza e la discendenza di Settimio Severo, viene più logico pensare che la lunga iscrizione fosse riportata solo lungo la facciata dell’abside, visibile e leggibile da chi, entrando in Palatino, fronteggiava l’edificio. Inoltre la serie onomastica di Geta, presente nell’iscrizione originale, non doveva superare nel 203 le trentuno lettere,

esattamente lo stesso numero delle parole fortunatissimus nobilissimusque194. Si deve dunque credere che l’iscrizione corresse solo lungo l’abside del Septizodium e che, soprattutto, il testo finiva come riportato dalla silloge Signoriliana. Errate sono tanto l’integrazione di Walser quanto la voce del CIL, per cui l’iscrizione era lacunosa alla fine. In conclusione, degna di essere menzionata è una delle numerose copie dell’edificio da parte di Marten Van Heemskerck, da datarsi tra 1532 e 1536, nella quale l’artista olandese pone la sua firma proprio al posto dell’iscrizione, utilizzandone lo stile delle lettere (fig. 23).

194 Buonopane 2009, p. 290 riporta la serie onomastica di Geta: Imp. Caesar P. Septimius Geta Augustus. Qualora Caesar e Augustus fossero stati abbreviati come di fatto pare fossero nelle serie onomastiche di Settimio Severo e Caracalla, il numero di parole scenderebbe addirittura a ventiquattro. Considerando anche le interpunzioni tra una parola e l’altra, non si eccederebbe in ogni caso lo spazio occupato dal testo in rasura e si resterebbe sempre all’interno dello specchio dell’abside. 93 Fig. 23: disegno del di Marteen Van Heemskerck, 1535 ca., da Bartoli 1909, p. 264.

94 31. Epitaffio di Marco Camurio Sorano195

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 31. Vaticano 72r CIL VI 14313 EDR163947 No No

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72r (www.e-codices.ch)

CIL VI 14313 (EDR163947) In fr(onte) p(edes) XXII, in ag(ro) p(edes) XXVI. M(arcus) Camurius P(ubli) f(ilius) Rom(ilia) Soranus. Hoc monumentum heredem non sequitur. Se[i] hoc monumento ullius candidati nomen 5 inscripsero, ne valeam.

L’Anonimo legge e trascrive l’epitaffio di Marco Camurio Sorano, cittadino romano ascritto alla tribù Romilia, in monumento, senza specificare dove esso fosse. L’ubicazione può essere tuttavia tracciata attraverso la tradizione successiva del testo: Andrea Alciato la colloca apud S. Petrum196, Giacomo Mazzocchi, invece, la inserisce più specificatamente tra quelle de burgo S. Petri, apud sacellum dive Mariae de Febribus197.. Le grandi dimensioni dell’area sepolcrale - ventisei piedi per ventidue - suggerisce che Sorano fosse un benestante, per quanto l’assenza di qualsivoglia menzione ad un suo cursus honorum non ci permetta di risalire all’effettivo status sociale. Egli doveva avere un solo figlio, a cui non era concessa la sepoltura nel lotto. L’ultima parte dell’iscrizione presentava

195 CIL VI 8, p. 3912; Walser 1987, pp. 89-90, nr. 31; Orlandi 2004, p. 364; Kruschwitz 2010, p. 209.

196 Cfr. CIL VI 14313. 197 Mazzocchi 1521, f. 165v. 95 una messaggio rivolto a chiunque avesse oltraggiato la lapide scrivendo i nomi dei candidati alle elezioni, come spesso accadeva in tempi di campagna elettorale in tutte le mura libere della città. Secondo questa minaccia, qualsiasi voto dato al candidato il cui

nome era stato scritto nel monumento funebre di Sorano non sarebbe stato valido198.

198 Messaggio particolare, ma non unico del genere a Roma: in reimpiego presso Porta S. Pancrazio Ligorio aveva infatti visto e copiato il testo di un’iscrizione funeraria (CIL VI 29942) in cui si invitavano i galoppini elettorali a passare oltre il monumento, annunciando la sconfitta del candidato il cui nome sarebbe stato scritto. Cfr. Orlandi 2009, p. 272, n. 15. 96 32. Iscrizione frammentaria nella catacomba di San Sebastiano199

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ILCV oggi Einsiedeln 32. Catacombe 72r ILCV 2005 - No No di San Sebastiano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72r (www.e-codices.ch)

ILCV 2005 O quam cito parvulis serenitas [rediit - - -] nutrimentoirum ad cruciatum vitam producere cogitasti [- - -]

Ad sanctum Sebastianum, il redattore della silloge copia un frammento di un’iscrizione martoriale, altrimenti non trasmessa. Si tratta di un testo criptico e apparentemente poco utile: incompleto e frammentario, manca persino del nome del martire in questione. Vista la collocazione data dall’Anonimo, è da credere fosse stato letto o nella chiesa di San

Sebastiano al Palatino, come crede Henzen200, o nel santuario di San Sebastiano sulla via Appia, come propongono De Rossi, Diehl e Walser. Entrambi i casi sono possibili, ma si crede la seconda opzione sia una scelta più probabile. Per indicare la presenza di un testo all’interno di una chiesa, infatti, l’Anonimo usa sempre la preposizione in; l’ad usato in questo caso, invece, potrebbe indicare la presenza dell’iscrizione nei pressi di una località - quale appunto le catacombe di S. Sebastiano - e richiama inoltre lo stesso nome latino del santuario, noto appunto come S. Sebastiani ad Catacumbas201. Se così fosse, resterebbe da capire se il testo sia stato visto nel complesso catacombale o presso la basilica ivi edificata

199 Walser 1987, p. 91, nr. 32.

200 Vd. CIL VI 14313. 201 LTURS II, pp. 79-82. 97 durante il pontificato di papa Damaso202. Dal momento che, nel riportare l’iscrizione dei Santi Pietro e Paolo (n. 75), la silloge dà come riferimento il consueto in basilica Sancti Sebastiani, è da credere che, nel caso del testo qui in esame, l’Anonimo faccia riferimento al complesso catacombale in sé. In ogni caso, è da escludere che la frammentarietà del testo qui in esame sia da ricondurre ad una natura non monumentale dell’iscrizione. Osservando infatti la natura delle iscrizioni cristiane della silloge, esse si dividono in due grandi gruppi: iscrizioni provenienti da chiese e basiliche (nn. 6, 10, 11, 23, 25, 26, 48, 49) e altri edifici di grande interesse (n. 51); iscrizioni damasiane (nn. 67, 71, 74, 75), con, in aggiunta, la breve iscrizione martoriale di San Giacinto (n. 68), da leggersi comunque insieme alla precedente. Lo stesso De Rossi nella sua edizione della silloge fa riferimento al testo come ad un elogium martyrum. Pare evidente, dunque, che l’Anonimo non fosse interessato ad epitaffi funebri cristiani di origine privata, e anche questo testo doveva riferirsi al martirio di un santo importante, quale appunto lo stesso San Sebastiano.

202 Hülsen 1927, p. 460, S48. 98 33 . Iscrizione della statua equestre di Costantino203

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 33. Foro Romano 72r CIL VI 1141 EDR128741 No No

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1141 (EDR128741) D(omino) n(ostro) Constantino Maximo Pio Felici ac triumphatori semper Augusto ob amplificatam toto orbe rem publicam factis consultisq(ue) S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus), 5 dedicante Anicio Paulino Iuniore, c(larissimo) v(iro), cons(ule) ord(inario), praef(ecto) urbi.

Collocata secondo il redattore “in basi Costantini”, l’iscrizione era probabilmente il titulus della base della statua equestre dell’imperatore Costantino. Dedicata nel 334 dal prefetto della città e console Anicio Paolino, la tradizione del suo testo deriva unicamente dalla lezione presente nella silloge di Einsiedeln e dalla copia del manoscritto di San Gallo di Poggio.

203 CIL VI 8, 2, p. 4328; Walser 1987, pp. 91-92, nr. 33. 99 Sono due le fonti topografiche antiche a noi giunte che menzionano la statua: la prima è la Notitia urbis Romae, uno dei due cataloghi delle quattordici regioni augustee di Roma a noi pervenuto, che la elenca assieme al Genio del Popolo Romano204, tra i Rostra (da intendersi quelli cesariano-augustei) e la Curia Iulia; la seconda è proprio la sezione del codice di Einsiedeln dedicata agli itinerari, che colloca un cavallus Costantini all’uscita dell’arco di Settimio Severo e di fronte alla chiesa di S. Adriano (Curia Iulia). Entrambe le letture coinciderebbero con la zona in cui, in seguito a degli scavi degli scorsi anni ’80, sono stati rinvenuti dei resti di un basamento in calcestruzzo, purtroppo anepigrafe, addossato allo zoccolo dei Rostra Vandalica, a sua volta inglobato in reimpiego nel muro di recinzione dell’arco di Settimio Severo. Dalle ricostruzioni compiute da Giuliani e Verduchi, si è risaliti alla forma e alle dimensioni della base: allungata e con i suoi m. 7,40 x 3,40, sicuramente in origine si trattava di una base equestre e, vista la posizione, verosimilmente proprio quella di

Costantino, come già i due archeologi avevano proposto nel 1980205. Nonostante fonti ed evidenze cronologiche sembrino non lasciare spazio a diverse interpretazioni, la statua è stata sovente - e tradizionalmente - considerata essere al centro del Foro. De Ruggiero e Lugli, infatti, hanno appoggiato la proposta di Jordan, che nel 1877 ha identificato la base della statua equestre di Costantino in un piccolo basamento laterizio rinvenuto nel mezzo del foro nel 1872, originariamente attribuito a Domiziano206. Interpretazione ragionevole, se si pensa che i tre hanno operato prima delle scoperte archeologiche di Giuliani e Verduchi, ma che allo stesso tempo non giustifica l’errata lettura secondo cui il luogo di rinvenimento di questa base coincidesse con le ubicazioni di Notitia e Itineraria: conclusione affrettata e non attenta, probabilmente forzata per trovare un appoggio all’ipotesi proposta che, in ogni caso, viene accolta anche da Coarelli, che nella ricostruzione del Foro nel suo libro Roma posiziona l’equus Costantini proprio nel mezzo della piazza difronte ai Rostra Aediis Divi Iulii, poco distante dalla Basilica Iulia207. Tuttavia pare d’obbligo, per le concrete evidenze letterarie ed archeologiche, avvallare la lettura per cui la statua equestre si sarebbe trovata nei pressi dell’arco e dei Rostra cesariano-augustei. Di conseguenza, per risalire a quando il redattore della silloge avrebbe

204 LTUR II, pp. 365-368. 205 Giuliani - Verduchi 1980, pp. 20 e 50; Giuliani - Verduchi 1987, pp. 69-73 e 143-147; Verduchi in LTUR II, pp. 226-227.

206 Jordan 1877, p. 257; De Ruggiero 1913, pp. 488-490; Lugli 1946, p. 160. 207 Coarelli 2011, p. 44. 100 potuto leggere l’iscrizione in situ, è doveroso definire quale sia stato il destino della zona in esame nel Medioevo. Sappiamo che il basamento della statua equestre di Costantino è stato trovato anepigrafe in prossimità del muro di recinzione dell’arco di Settimio Severo, in stretta relazione con i Rostra, proprio dove già nel VII secolo d.C. doveva trovarsi la chiesa dei Santi Sergio e Bacco. Essa era nata come piccola diaconia nel 678, eretta da papa Agatone; Papa Gregorio III prima e papa Adriano I dopo ingrandirono l’edificio, il cui campanile si trovava proprio appresso l’arco di Settimio Severo208. L’idea che il destino della base di Costantino sia da legarsi con l’espansione della chiesa sarebbe suggestiva, in quanto limiterebbe a circa un secolo esatto tra VII e VIII l’origine della silloge. Dal momento che negli itinerari del codice di Einsiedeln la chiesa Sancti Sergii ubi umbilicus e il Cavallus Costantini vengono entrambi citati, se si assecondasse l’idea di un reimpiego della base in uno dei due ampliamenti della chiesa bisognerebbe datare la redazione degli itinerari e della silloge o al periodo compreso tra la costruzione dell’edificio e il papato di Gregorio III (tra 678 e 731/741) o a quello tra il papato di Gregorio III e l’ultimo intervento di Adriano I (tra 741 e 772/795), quando ovvero la compresenza di chiesa e base sarebbe stata possibile, in quanto la seconda non coinvolta ancora nei restauri. Si tratta di una congettura cronologicamente e topograficamente plausibile e come detto decisamente suggestiva, ma purtroppo non certa: la chiesa, già in rovina nel 1492, era stata distrutta nel 1562; nel 1812 Luigi Rossini aveva riportato alla luce parte dell’abside, che venne tuttavia presto rimossa. Ne consegue che le uniche testimonianze da cui poter risalire all’origine dell’area siano dei disegni di XVI secolo, tra tutti quello di Maarten van Hemmskerck (fig. 24): da questo si può notare come la chiesa dei Santi Bacco e Sergio non fosse, ad eccezione del campanile, in ogni modo collegata all’arco di Settimio Severo - che precedeva rispetto ai fori - e la stessa relazione con i Rostra era da intendersi più in termini di vicinanza topografica che non di effettiva complementarietà edilizia. La base della statua equestre di Costantino, dunque, non sarebbe stata riutilizzata per l’edificazione della chiesa, ma sarebbe rimasta intatta nella sua posizione fino al suo inglobamento nel muro medievale in recinzione all’arco di Settimio Severo nel XII secolo209.

208 Hülsen 1927, pp. 461-462, S50. Su papa Gregorio III cfr. Valentini - Zucchetti 1942, pp. 263-266; su papa Adriano I cfr. Valentini - Zucchetti 1942, pp. 276-290. 209 Brilliant 1967, pp. 251-257. 101 Fig. 24: veduta del Foro di Maarten van Hemmskerck. La chiesa dei Santi Sergio e Bacco si vede dall’abside, tra il Tempio di Vespasiano e l’Arco di Settimio Severo, da Armellini 1891.

Se dunque, a causa della menzione della chiesa, si può considerare il 678 come data post quem la redazione degli itineraria originali poi copiati nel codice di Einsiedeln, più difficile far uso di questa iscrizione per provare a risalire alla datazione della silloge epigrafica. L’arco temporale entro cui il testo sarebbe stato copiato è infatti troppo ampio: nella sezione della silloge in cui l’iscrizione della base viene trascritta mancano, infatti, riferimenti ad edifici - quale poteva essere appunto la chiesa - che possano definire una coordinata cronologica di partenza verosimile, mentre la ricostruzione soprammenzionata secondo cui la base sarebbe stata intatta fino al XII secolo abbassa troppo il termine ante quem.

102 34. Iscrizione dell’Arco di trionfo di Settimio Severo210

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 34. Arco di 72rv CIL VI 1033 EDR104093 Sì Sì Settimio Severo

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72rv (www.e-codices.ch)

Fig. 25: frontone sud-est dell’Arco di Settimio Severo, da Ventura Villanueva 2014, p. 271.

210 CIL VI 8, 2, p. 4318; Walser 1987, pp. 92-93, nr. 34; Petoletti 2004, pp. 12-13, nr. 6. 103 Fig. 26: frontone nord-ovest dell’Arco di Settimio Severo, da Ventura Villanueva 2014, p. 272.

CIL VI 1033 (EDR104093) Ìmp(eratori) Caes(ari) Lucio Septimio M(arci) fil(io) Severo Pio Pertinaci Aug(usto) patri patriae Parthico Arabico et Parthico Adiabenico, pontific(i) maximo, tribunic(ia) potest(ate) X̅ I̅ , ìmp(eratori) X̅ I̅ , co(n)s(uli) I̅ I̅ I̅ , proco(n)s(uli) et Ìmp(eratori) Caes(ari) M(arco) Aurelio L(uci) fil(io) Antonino Aug(usto) Pio Felici,

tribunic(ia) potest(ate) V̅ I̅ , co(n)s(uli), proco(n)s(uli), 《p(atri) p(atriae)》,

《optimis fortissimisque principibus》 5 ob rem publicam restitutam imperiumque populi Romani propagatum insignibus virtutibus eorum domi forisque s(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus).

Le iscrizioni gemelle dell’Arco di trionfo di Settimio Severo211 sono tra le più famose e studiate nella storia dell’epigrafia latina. Originariamente le lettere erano in bronzo dorato, inserite in fori o alveoli piuttosto profondi, motivo per cui, nonostante la scomparsa delle litterae aureae, ancora oggi entrambi i testi possono essere letti. L’anonimo redattore della silloge di Einsiedeln è solo il primo a trascrivere il testo presente nei due attici: oltre alla sua testimonianza, prima dell’esplosione dell’interesse epigrafico in età umanistica abbiamo anche una copia delle ultime due righe da parte di Giovanni Dondi e, come prevedibile, una dell’intero testo nella silloge Signoriliana. Poggio, stranamente, riporta solo la lezione del codice di San Gallo. L’iscrizione originale riportava le lunghe

211 LTUR I, pp. 103-105 Richardson 1992, pp. 28-29. 104 serie onomastiche di Settimio Severo e dei figli Caracalla e Geta. Quest’ultima, come si è già visto nel caso del titulus del Septizodium, era stata erasa in seguito all’omicidio e alla damnatio memoriae del figlio minore di Settimio nel 211: laddove si sarebbe in origine letto P(ubio) Septimio L(uci) fil(io) Getae nobiliss(imo) Caesari, oggi la quarta riga dei due testi presenta patri patriae optimis fortissimisque principibus, con riferimento a Caracalla e al padre. Come si può notare osservando entrambi i fornici, la rasura è ben in vista (figg. 25 e 26). La trascrizione del codice è precisa, quasi perfetta, se non fosse per due termini abbreviati alla penultima: imperiumq. invece di imperiumque e p(ro)p(a)gatu invece di propagatum. Entrambe, probabilmente, sono licenze da parte del copista. Paradossalmente, le vicissitudini architettoniche ed archeologiche relative all’arco e alla sua area sono state più utili per cercare di risalire alla storia dell’iscrizione della base di statua equestre di Costantino, che non di quella del suo titulus. Le numerose testimonianze autoptiche, infatti, sono indice della duratura conservazione del testo, di fatto sempre leggibile dalla dedicazione del 203 ad oggi, nonostante la trasformazione medievale in torre e fortezza e i successivi restauri. Di certo, come anche si è discusso nella scheda precedente, il redattore originario aveva visto il testo ancor prima degli interventi medievali sull’arco, quando dunque non era ancora presente la finestra oggi visibile nel frontone nord- ovest, per cui alcune lettere della parte centrale delle ultime tre righe sono andate perdute. L’unica domanda che può sorgere è da quale delle due facciate egli abbia ricopiato il testo: le due versioni, infatti, non sono del tutto identiche. Al di là delle differenze strutturali - lo specchio epigrafico rivolto a nord-ovest si distribuisce su tredici grandi lastre di marmo pentelico rettangolari e di dimensioni diverse, quello a sud-est su quindici più strette - le due penultime righe divergono tra di loro in quanto l’iscrizione che dà verso il foro presenta un segno di interpunzione tra imperiumque e populi (fig. 27), assente invece dall’altro lato (fig. 28)212.

212 Brilliant 1967, p. 70; Ventura Villanueva 2014, p. 273. 105 Fig. 27: frontone sud-est dell’Arco di Fig. 28: frontone sud-est Settimio Severo. Particolare della dell’Arco di Settimio Severo. quarta riga da Ventura Villanueva 2014, Particolare della quarta riga da p. 271. Ventura Villanueva 2014, p. 272.

La trascrizione della silloge prevede un segno di interpunzione, la cui origine non è però chiara: per quanto infatti il copista sembra prestare particolare attenzione alla punteggiatura del testo originale, è anche vero che in questo caso il punto è posto dopo il termine abbreviato imperiumq. e, di conseguenza, potrebbe essere stato posto dal copista in riferimento al troncamento di imperiumque. Un indizio potrebbe quindi venire dall’ordine delle trascrizioni della silloge: il titulus dell’arco segue quello della base equestre di Costantino, che, come abbiamo visto, si trovava sulla destra appena entrati nel foro attraverso l’arco. Di conseguenza, è logico pensare che il redattore, dopo aver letto e copiato l’iscrizione della base, uscendo dal Foro abbia alzato lo sguardo e letto quella dell’arco rivolta in direzione sud-est. La possibilità che l’Anonimo stesse percorrendo il Foro da sud-est a nord-ovest (“al contrario”, in un certo senso) deriva dal fatto che le iscrizioni che seguono sono quelle dei templi di Saturno, del Divo Vespasiano e della Concordia definiti In Capitolio, osservabili solo se viste dal di fuori del Foro.

106 35. Le iscrizioni dei templi In Capitolio I tre testi sono trascritti assieme in un’unica voce In Capitolio. Tale sommaria dicitura collide in un certo senso con la precisione di altre indicazioni della silloge. Si deve credere che il redattore stesse osservando i tre edifici in uno stesso momento, senza forse nemmeno sapere di quali templi trascriveva le iscrizioni.

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72v (www.e-codices.ch)

351. Tempio di Saturno213

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 35. Tempio di 72v CIL VI 937 EDR105657 Sì Sì Saturno

213 CIL VI 8, 2, p. 4308; Walser 1987, pp. 93-94, nr. 35; Pensabene 1984. 107 Fig. 29: l’iscrizione del tempio di Saturno, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/immagini_uso/105/105657-2.jpg?dummy=1594472412.

CIL VI 937 (EDR105657) Senatus populusque Romanus incendio consumptum restituit.

La prima iscrizione, oggetto di autopsia anche da parte di Henzen nel CIL, è ancora oggi ben visibile sui resti del fregio del tempio di Saturno e ne ricorda il restauro a cura del Senato in seguito a un incendio del 283 d.C. (fig. 29)214 La sua tradizione deriva tanto dalle lezioni del codice di San Gallo copiato da Poggio e dalla silloge Signoriliana, quanto da riscontri autoptici. Per essere più precisi, è lo stesso Poggio a riportare il testo due volte nelle sua silloge: la prima volta nella sezione “copiata”, la seconda in quella dedicata alle autopsie215. In quest’ultimo esempio l’indicazione topografica è simile a quella del codice di Einsiedeln, facendo riferimento al Campidoglio e non al nome effettivo del tempio, cosa che invece accade nel De varietate fortunae, in cui il dotto fiorentino scrive - riportando per

214 LTUR, IV, pp. 234-236; Richardson 1992, pp. 343-344. 215 Cfr. CIL VI, p. XXXI; CIL VI, p. XXXV. 108 un’altra volta il testo - che si tratta dell’aedis Concordiae216. L'errore fu dettato probabilmente dal fatto che, negli anni in cui Poggio operava a Roma, il vero tempio della Concordia - di cui si vedrà più avanti - si trovava in pessime condizioni, pericolante e probabilmente illeggibile nell’iscrizione. È facile che Poggio fosse a conoscenza dalle sue letture della presenza di un tempio in Capitolio dedicato alla Concordia e che, vedendo questi resti, a esso associasse il tempio di Saturno. Scorrette anche le denominazioni “la

vecchia zecca” e “templum monetae" delle tre edizioni della silloge Signoriliana217: per quanto il tempio di Saturno fosse stato utilizzato a fini economici - inizialmente era sede dell’erario pubblico e vi si pesava il metallo - i due riferimenti sono da considerarsi in relazione al tempio di Giunone Moneta, che si trovava altrove nel Campidoglio218. Pare, generalmente, che ci fosse poca conoscenza del Tempio di Saturno non solo tra Medioevo e prima età umanistica, ma per tutta l’età moderna. Sono numerose, infatti, le vedute di quest’area del Foro che, nella descrizione, chiamano il tempio di Saturno tempio della Concordia: Leonardo Bufalini nella Pianta di Roma del 1551 indica Tempi Concordiae nell’area dei templi di Saturno e Vespasiano219; similmente, Etiénne Du Pérac nel 1575 (fig.

30)220, Iacopo Lauro nel 1612 (fig. 31)221, Giovan Battista Nolli tra 1736 e 1744222, Giuseppe Vasi da Corleone nel 1752223, più volte tra 1752 e 1792 Giovanni Battista Piranesi (fig. 32)224 e Luigi Rossini nel 1817 e nel 1843225 tutti chiamano il tempio di Saturno tempio della Concordia, proseguendo così la tradizione di Poggio.

216 Poggio, De Varietate Fortunae I, p. 12. 217 Cfr. CIL VI p. XIX.

218 Richardson 1992, p. 289. 219 Cfr. Pensabene 1984, p. 156 nr. 8.

220 Ibid. p. 157 nr. 12. 221 Ibid. p. 159 nr. 21.

222 Ibid. p. 161 nr. 29. 223 Ibid. nr. 30.

224 Ibid. pp. 162-163 nn. 33, 35, 36, 37. 225 Ibid. pp. 164-165 nn. 40, 43, 44, 45. 109 Fig. 30: vista del foro di Etiénne Du Pérac, 1575. Sulla sinistra, i resti del Tempio di Saturno, elencato come Tempio della Concordia nella descrizione sottostante. Da Pensabene 1984, p. 158.

Fig. 31: pianta del foro di Iacopo Lauro, 1612. Il Tempio di Saturno, elencato come Tempio della Concordia, si trova al numero 7. Da Pensabene - Foglia 1984, p. 160.

110 Fig. 32: vista del Tempio di Saturno, definita “Avanzo del Tempio della Concordia”, di G.B. Piranesi, 1756. Da Pensabene 1984, p. 162.

La certezza che queste descrizioni siano sbagliate deriva innanzitutto dalle fonti antiche, quindi da un frammento della Forma Urbis (fig. 33), che confermano le indicazioni topografiche di cui siamo a conoscenza oggi. Se l’Anonimo di Einsiedeln fosse a conoscenza del suo nome corretto, non ci è dato a sapere, visto che l’indicazione topografica è generica. Certo è che, al contrario dei dotti operanti tra XV e XIX secolo e di cui detto sopra, egli si trovava nella zona del Campidoglio in questione quando ancora il tempio della Concordia doveva essere in piedi.

Fig. 33: frammenti della Forma Urbis, in cui si notano le posizioni del Tempio di Saturno e del Tempio della Concordia. Da Pensabene 1984, p. 10.

111 352. Tempio del Divo Vespasiano226

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 35. Tempio del 72v CIL VI 938 EDR106134 Sì (parte Sì (parte Divo superstite) superstite) Vespasiano

CIL VI 938 (EDR106134) Divo Vespasiano Augusto S(enatus)P(opolus)Q(ue)R(omanus) I̲ m̲ p̲ (eratores) C̲ a̲ e̲ s̲ s̲ . S̲ e̲ v̲ e̲ r̲ u̲ s̲ e̲ t̲ A̲ n̲ t̲o̲ n̲ i̲ n̲ u̲ s P̲ i̲ i̲ F̲ e̲ l̲ i̲ c̲ (es) A̲ u̲ g̲ g. r̲ estituer(unt).

Il secondo testo riportato è l’iscrizione del tempio di Vespasiano227. L’importanza storica della silloge è, in questo caso, assoluta, in quanto l’Anonimo è l’unico a tramandare il titulus completo, poi ripreso anche da Poggio. Dell'edificio oggi sopravvivono solo tre colonne disposte ad angolo, e l’ultimissima parte del testo nell’epistilio, in cui si legge solo ESTITVER. L’iscrizione faceva riferimento a un restauro - evidentemente abbastanza limitato, le colonne sono ancora di età flavia - finanziato da Settimio Severo tra 200 e 203 d.C.228 Il testo ricorda il solo Vespasiano: ciò ci permette di assecondare le letture degli Acta

fratrum Arvalium229, del Chronicon di San Girolamo230 e della Notitia Urbis Romae231 secondo cui egli sarebbe stato l’unico dedicatario del tempio. Errati, dunque, sono il Cronografo del 354 d.C.232 e il più o meno coevo Curiosum urbis Romae regionum XIIII233, per cui il tempio era dedicato anche a Tito. La testimonianza dell’anonimo risale a un periodo in cui il tempio doveva ancora essere eretto. Purtroppo essa è temporalmente

226 CIL VI 8, 2, p. 4308; Walser 1987, pp. 93-94, nr. 35; De Angeli 1992; Lichtenberger 2011, pp. 310-311. 227 LTUR, V, pp. 124-125; Richardson 1992, p. 412.

228 De Angeli 1992, pp. 159-163. 229 CIL VI 2065. Il frammento menziona l’indictio di un sacrificio alla dea Dia per il gennaio dell’87 d.C. Si tratta dell’unica tra le indictiones a noi note facenti menzione al templum divi Vespasiani.

230 Lugli 1952, p. 61 nr. 71; De Angeli 1992, p. 26 nr. 4. 231 Valentini - Zucchetti 1940, pp. 174.

232 De Angeli 1992, p. 25 nr. 2. 233 Valentini - Zucchetti 1940, pp. 115-116. 112 piuttosto ‘isolata’, se si pensa che la fonte precedente più vicina è quella della Notitia urbis Romae del IV secolo, mentre la prima successiva, contenuta nei Mirabilia Urbis Romae che

semplicemente elencano i templi in Campidoglio, è del XII secolo234. Una veduta del Foro dal nel Codex Escurialensis (fig. 34) dimostra che già nel XV secolo il tempio si ritrovava nelle condizioni in cui si trova oggi, ma è facile che già ai tempi dei Mirabilia l’edificio versasse in cattive condizioni. I Mirabilia risalgono probabilmente alla metà del XII secolo, pochi anni prima della bolla di Innocenzo III che delimita i confini della diaconia dei SS. Sergio e Bacco e in cui, tra i vari edifici del foro, non viene menzionato il tempio, probabilmente non più “influente” topograficamente. Nibby propone che i danni al tempio seguissero l’incendio di Guiscardo del 1084, ma si tratta di mera congettura235.

Fig. 34: vista del foro nel Codex Escurialensis, ante 1506. Si vedono sulla destra le tre colonne ad angolo del Tempio di Vespasiano. Da De Angeli 1992, p. 31.

234 Ibid. 1946, pp. 53-54. 235 Nibby 1838, p. 544. 113 353. Tempio della Concordia236

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 35. Tempio 72v CIL VI 89 EDR161224 No No della Concordia

CIL VI 89 (EDR161224)

S(enatus) P(opulus)q(ue) R(omanus) aedem Concordiae vetustate conlapsam in meliorem faciem opere et cultu splendidiore restituit.

L’ultimo testo trascritto è quello del tempio della Concordia237. Anche in questo caso l’Anonimo è stato il primo e unico a trascriverne il testo, che viene poi copiato e tramandato attraverso Poggio. Esso è da ricollegare possibilmente al restauro del tempio compiuto tra 7 e 10 d.C.: si fa riferimento, infatti, tanto alla vetustas per colpa della quale l’edificio negli ultimi anni si era rovinato, quanto allo splendore e alla rinnovata forma acquisiti in seguito al rifacimento. Nei libri XXXIV e XXXV della Naturalis Historia Plinio il Vecchio riporta una sorta di catalogo delle opere conservate nel nuovo tempio, dimostrando come esso fungesse come una sorta di “museo” di arte e scultura238. Tuttavia nell’iscrizione manca una menzione diretta a Tiberio che, stando a quanto scritto da Cassio Dione239 e Svetonio240, nel primo giorno del suo consolato nel 7 a.C. avrebbe commissionato il restauro del tempio a nome suo e del defunto fratello Druso.

236 CIL VI 8, 1, p. 4108; Walser 1987, pp. 93-95, nr. 35.

237 LTUR I, pp. 316-320; Richardson 1992, pp. 98-99. 238 Plin., Nat., 34, 73-77-89-90; 35, 66-131-144.

239 Cassio Dione, Storia romana, LV, 8, 1-2: Τιβέριος δὲ ἐν τῇ νουµηίᾳ ἐν ἧ ὑπαπεύειν µετὰ Γναίου Πίσωνος ἢρξατο, ἔς τε τὸ Ὀκταουίειον τὴν βουλὴν ἤθροισε διὰ τὸ ἒξω τοῦ πωµηρίου αὐτὸ εἶναι, καὶ τὸ Όµονόειον αὐτὸς ἑαυτῶ ἐπισκεάσαι προστάξας, ὃπως τό τε ἲδιον καὶ τὸ Δρούσου ὂνοµα αὐτὦ ἐπιγράψῃ. («Tiberio, nel primo giorno del primo mese in cui entrò in carica come console insieme a Gneo Pisone, riunì il senato nella Curia di Ottavia, poiché questa si trovava al di fuori del pomerium. Dopo essersi assunto l’onere di restaurare il tempio della Concordia, in modo tale che vi venisse iscritto il suo nome e quello di Druso»). 240 Svet., Tib., 20: Dedicavit et Concordiae aedem, item Pollucis et Castoris suo fratrisque nomine de manubiis. 114 Se così fosse, i due avrebbero dovuto essere il soggetto del messaggio esposto, in luogo del Senato e del popolo di Roma, come invece riporta la silloge di Einsiedeln. Una possibile soluzione a tale questione può trovarsi nell'ipotesi che, in seguito allo stesso incendio citato nell’iscrizione del tempio di Saturno, anche il tempio della Concordia avesse subito danni e fosse stato oggetto di un restauro sovvenzionato dal Senato. Quest’ultimo avrebbe quindi cambiato il solo soggetto dell’iscrizione originale, mantenendo tuttavia il resto del testo, che, in questa nuova forma, sarebbe apparso al redattore della silloge e a chiunque fosse passato nei paraggi fino al 1450, anno in cui il tempio è stato raso al suolo.

115 36. Iscrizione dell’arco di Costantino241

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 36. Arco di 72v CIL VI 1139 EDR103881 Sì Sì Costantino

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72v (www.e-codices.ch)

Fig. 35: Arco di Costantino, da De Maria 1988, tav. 95.

241 CIL VI 8, 2, p. 4328; Walser 1987, pp. 95-96 nr. 36; Petoletti 2003, p. 13, nr. 7; Lenski 2008, pp. 218-231. 116 Fig. 36: iscrizione dell’arco di Costantino, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/immagini_uso/103/103881.jpg?dummy=1594471936.

CIL VI 1139 (EDR103881) Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio) Constantino Maximo P(io) F(elici) Augusto, S(enatus) P(opulus)q(ue) R(omanus), quod instinctu divinitatis, mentis magnitudine, cum exercitu suo 5 tam de tyranno quam de omni eius factione, uno tempore, iustis rem publicam ultus est armis, arcum triumphis insignem dicavit.

Liberatori urbis.

Fundatori quietis.

117 L’arco di Costantino (fig. 35)242 è uno dei tre archi trionfali della Roma classica ancora oggi eretto. La tradizione della sua iscrizione (fig. 36) è lunga e lineare, e tutte e cinque le sillogi epigrafiche pre-umanistiche ne fanno almeno una minima menzione. Nel manoscritto di Einsiedeln sono riportati il testo principale, con una trascrizione nel complesso corretta, e le due iscrizioni presenti sulle pareti interne del fornice centrale. Per leggere quest’ultime, dunque, l’anonimo redattore deve aver attraversato l’arco, o per dirigersi a nord ovest verso l’arco di Tito, il cui testo è riportato subito dopo nella silloge, o per proseguire verso sud in direzione della chiesa di San Gregorio al Celio. L’arco era infatti noto nel Medioevo con il nome di “arco de trasi”, volgarizzazione del latino transeo per indicare la funzione transitoria dell’arco nel cammino dei fedeli cristiani verso l’importante luogo di culto. In questo caso si costituirebbe un termine post quem della trascrizione, da datarsi al papato di Gregorio II (669-731), committente della chiesa, ma per quanto questa seconda possibilità tornerebbe più utile ai fini di una datazione della silloge, per assenza di evidenze e per l’ordine di trascrizione dei testi, pare più probabile la prima. Piuttosto, è da porsi la domanda sul perché l’anonimo chiami l’arco arcus Costantini e non col nome “medievale”, come invece farà, come vedremo, per l’arco di Tito. Suggestiva è l’idea per cui al tempo della redazione della silloge l’arco non fosse ancora considerato un “transito” in direzione di San Gregorio al Celio, e dunque la trascrizione sia antecedente l’edificazione della chiesa, tra 715 e 731, ma la datazione sarebbe troppo alta. È piuttosto facile, invero, che il redattore sapesse semplicemente di essere di fronte all’arco di Costantino e così lo abbia nominato. Mancano, almeno nel codice a noi giunto, riferimenti ai due testi incisi sopra i due fornici laterali dell’arco, facenti menzione della celebrazione dei e dell'auspicio per i vicennalia. Non è da escludere che esse fossero passate inosservate al viandante, dal momento che sono composte da poche e criptiche lettere, incise tra l’altro nel mezzo di un complesso programma scultoreo. Dondi introduce243 il monumento ammettendo di non essere stato in grado di leggerne il testo, ma di aver capito il riferimento alla sua edificazione da parte di Costantino. La trascrizione del dotto clodiense si limita a una copia sbagliata dell’inizio della prima riga dell’attico (Imp(erator) Caesar Costantinus invece di Imp(eratori) Caes(ari) Fl(avio)

242 LTUR, I pp. 86-91; Richardson 1992, pp. 24-25. 243 Cfr. CIL VI, p. XXVII. 118 Costantino), seguita dalla frase et multa alia secuntur. Anche in questo caso vengono copiate le due iscrizioni interne, con una breve per quanto esaustiva descrizione della loro ubicazione. Poggio inserisce il testo principale tra quelli visionati autopticamente, ma non riporta quelli minori. Si noti come il Bracciolini abbia copiato dal codice di San Gallo le tre iscrizioni precedenti (vedi numero 35) e, dopo aver riportato tra le autoptiche quella qui in analisi e la successiva dell’arco di Tito, avesse ripreso la sezione delle copie dalla persa iscrizione dell’arco di Marco Aurelio. È convincente pensare che la silloge Poggiana sia frutto di un lavoro piuttosto approfondito, come già spiegato nell’analisi del titulus della Colonna Traiana (vedi numero 13). In questo caso, però, l’inserimento del testo dell’arco di Costantino tra i tituli autoptici ha comportato un calo di precisione da parte di Poggio, il quale riporta solo l’iscrizione principale244. Diversamente, la silloge Signoriliana245 e la raccolta del British Library, Add. 34758246 riportano tutte le iscrizioni dell’arco, indice che tra il XIV e il XV secolo il monumento era ben conservato. Da notare anche come Cola di Rienzo fece più volte riferimento all’espressione liberator urbis, facendola trascrivere in un’iscrizione aurea collocata sulla porta della chiesa di Santa Maria in Aracoeli247 ed utilizzandola nelle intitulationes delle sue lettere a partire dal 1347248

Al di là dell’ambito meramente epigrafico, l’arco viene elencato nei Mirabilia249, la cui prima edizione viene redatta negli anni in cui la famiglia dei Frangipane fortifica il Colosseo e il Palatino (in particolare il Settizonio) unitamente agli archi di Tito e Costantino250. Quest’operazione militare da parte dell’importante famiglia romana non avrebbe recato danno alcuno al monumento, che anzi rimase integro e riconoscibile nei secoli successivi, come visto dalle testimonianze epigrafiche soprammenzionate.

244 CIL VI, p. XXXIV, nr. 45.

245 Cfr. CIL VI, p. XVII, nr. 5. 246 Petoletti 2003, p. 13 nr. 7.

247 Romano 2002, p. 180. 248 Burdach - Piur 1912, pp. 101, 114, 117, 119, 122, 132, 151-152.

249 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 18-19. 250 Augenti 1996, pp. 90-96. 119 In generale, la storia dell’arco e delle sue iscrizioni non è di grande utilità per la datazione originaria della silloge di Einsiedeln. Anche qualora la sua visibilità fosse stata ostruita negli anni dei Frangipane, il conseguente e ipotetico impedimento di lettura sarebbe da datarsi ad un periodo già più tardo rispetto al termine ultimo di datazione della raccolta.

120 37. Iscrizione dell’arco di Tito251

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 37. Arco di Tito 72v CIL VI 945 EDR103961 Sì Sì

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 72v (www.e-codices.ch)

Fig. 37: Arco di Tito, da De Maria 1988, tav. 66.

251 CIL VI 8, 2, p. 4308; Walser 1987, pp. 96-97, nr. 37; De Maria 1988, p. 288; Petoletti 2003, pp . 15-16, nr. 8; Hojte 2005, p. 345. 121 Fig. 38: iscrizione dell’arco di Tito, particolare da De Maria 1988, tav. 66.

CIL VI 945 (EDR103961) Senatus populusque Romanus Dìvo Tito Dìvì Vespasianì f(ilio) Vespasiano Augusto.

La fortuna dell’arco di Tito252 e della sua iscrizione (figg. 37-38) sono quasi del tutto equiparabili a quelle del sopra analizzato arco di Costantino. Posto alle pendici settentrionali del Palatino, nell’insellatura che congiunge il colle alla Velia, il monumento è ancora oggi integro e visibile. Fatto ereggere da Domiziano, esso doveva fungere da porta di ingresso al Palatino e alla domus Flavia253. Pur riportando nel complesso apparato figurativo le scene del trionfo giudaico di Tito, il monumento non è un arco trionfale. Si tratta, piuttosto, di un monumento di consacratio voluto da Domiziano nei confronti del fratello, a fini puramente legittimativi e di politica dinastica.

252 LTUR I, pp. 109-111 Richardson 1992, p. 30. 253 Torelli 1987, pp. 563-582. 122 Le fonti letterarie classiche e i Cataloghi Regionari del IV secolo d.C. non menzionano l’arco, il quale viene citato per la prima volta proprio nel codice di Einsiedeln254. Nella silloge l’Anonimo lo chiama ad VII lucernas, nome con cui era noto durante il Medioevo, in riferimento alla menorah scolpita nel rilievo ornamentale del lato sud. Il testo, ancora oggi leggibile, riporta una dedica del senato e del popolo di Roma nei confronti del divo Tito, figlio del divo Vespasiano. La trascrizione dell’Anonimo è del tutto corretta, così come quelle degli altri esempi pre-umanistici - Dondi255, Poggio256, la silloge Signoriliana257 e la raccolta del British Library add. 34758258 - con il solo Poggio che nella sua silloge abbrevia le parole senatus populusque romanus in s. p. q. r., segno di una certo minima ma in ogni caso confidente dimestichezza con il formulario epigrafico. Inoltre, nel XII secolo, il dotto romano Nicolò Maniacutia dimostrava nei suoi sermoni di essere a conoscenza dell’iscrizione e di averla correttamente interpretata: riferendosi infatti agli spolia portati a Roma da Tito dal tempio di Salomone, egli afferma che le loro rappresentazioni potevano essere viste nell’arco “quem erexit Divo Tito Divi Vespasiani filio Senatus Popolusque Romanus”259 La storia medievale dell’arco è simile a quella del precedente: anch’esso infatti sarebbe stato incluso nelle fortezze Frangipane, che ne hanno garantito l’integrità fino ai nostri giorni.

254 LTUR I, p. 109 255 Cfr. CIL VI, p. XXVII.

256 Cfr. CIL VI, p. XXXIV, nr. 43. 257 Cfr. CIL VI, p. XVI, nr. 2.

258 Petoletti 2003, pp. 15-16, nr. 8. 259 Peri 1977, pp. 19-125; Petoletti 2003, p. 16. 123 38. Iscrizione dell’arco perduto di Marco Aurelio260

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 38. Arco di 73r CIL VI 1014 EDR104067 No No Marco Aurelio al Campidoglio

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1014 (EDR104067) S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus) Imp(eratori) Caes(ari), Divi Antonini f[i]l(io), Divi Veri Parth(ici) max(imi) fratr(i), Divi Hadriani nep(oti), Divi Traiani Parth(ici) [pro]nep(ti), Divi Nervae abnep(oti), M(arco) Aurelio Antonino Aug(usto) Germ(anico) Sarm(atico), 5 pontif(ici) maxim(o), tribunic(ia) pot(estate) X̅ X̅ X̅ , imp(eratori) V̅ ̅I̅I̅I, co(n)s(uli) ̅I̅I̅I, p(atri) p(atriae), quod omnes omnium ante se maximorum imperatorum glorias supergressus bellicosissimis gentibus deletis et subactis ------

260 CIL VI 8, 2, p. 4316; Walser 1987, pp. 97-98, nr. 38. 124 L’anonimo di Einsiedeln riporta il testo generalmente attribuito all’arco di Marco Aurelio, oggi perduto261. L’esistenza effettiva di un arco dedicato all’imperatore è ipotizzata da una serie di dodici rilievi che ritraggono scene delle battaglie contro i Marcomanni e raffigurano Marco Aurelio come protagonista. Di questi otto sono reimpiegati nell’arco di Costantino, tre conservati nel Palazzo dei Conservatori dei Musei Capitolini e il frammento di uno a Copenaghen. È questa l’unica testimonianza diretta del testo, che viene ricopiato da Poggio con la sbagliata ubicazione ad VII lucernas262. Si tratta di un sicuro errore di disattenzione del dotto umanista, che nel tralasciare la copia dal manoscritto di San Gallo del titulus dell’arco di Tito, riservata alla sezione autoptica della silloge, ne aveva comunque mantenuto l’indicazione topografica. La silloge di Einsiedeln riporta che l’arco si trovava in Capitolio, così come i monumenti su cui erano incise le seguenti cinque iscrizioni. A seconda di questa collocazione, si è associato l’edificio all’arcus Argentariorum menzionato in una bolla papale di Giovanni III, all’arcus Panis Aurei di cui si parla solo nei Mirabilia263 e che si trovava alle pendici del Campidoglio, all'incrocio tra la via Lata e il clivus Argentarius, non lontano dalla chiesa dei Santi Luca e Martina, dove i tre rilievi dei Musei Capitolini erano stati riutilizzati. Questa opzione non è stata ritenuta plausibile da parte della critica, che non considerava quella zona del Campidoglio consona ad una via trionfale e preferiva collocare l’arco in prossimità del Campo Marzio, vicino alla colonna di Marco Aurelio sulla via Flaminia e come ingresso monumentale al tempio dedicato all’imperatore e alla moglie Faustina Minore264. Qui si tende ad appoggiare la prima opzione: leggendo la parte dell’iscrizione trascritta dall’anonimo di Einsiedeln, che riporta una dedica da parte di senato e popolo a Marco Aurelio in seguito alla vittoria nelle guerre marcomanniche nel 176 d.C., non si può non notare la magniloquenza delle parole usate e, soprattutto, l’ampiezza del testo. Esso nella ricostruzione di Henzen è composto da sette righe già piuttosto fitte, pur essendo di sicuro non completo: un’iscrizione del genere sarebbe di sicuro stata presente in un edificio di grandi dimensioni, quale proprio un arco trionfale. In questo caso, dunque, si crede che

261 LTUR I, pp. 98-99. Richardson 1992, p. 24. 262 Cfr. CIL VI, p. XXXII, nr. 26.

263 Valentini - Zucchetti 1946, p. 19. 264 Boatwright 2010, p. 185. 125 l’apporto della silloge di Einsiedeln non sia stato sufficientemente valorizzato nel dibattito critico. Lo stesso percorso di questa sezione della silloge non lascia spazio a troppe altre interpretazioni: il redattore si trova senza dubbio tra il foro e il Campidoglio, ha già copiato i testi degli archi di Settimio Severo, Costantino e Tito e ora procede verso nord copiando quello di Marco Aurelio assieme ad un’altra serie di iscrizioni in Capitolio. Si è anche d’accordo nel considerare l’arco di Marco Aurelio e l’arcus Panis Aurei dei Mirabilia lo stesso edificio, dunque ancora in piedi per quanto misconosciuto nel XII secolo, per poi sparire di certo prima dell’attività di Poggio e del redattore della silloge Signoriliana, che di sicuro avrebbero visto e notato un testo così ampio nella loro azione di ricerca.

126 39-43. Iscrizioni del Campidoglio Dopo aver trascritto parte del testo dell’arco trionfale di Marco Aurelio, l’anonimo redattore copia nella sua silloge una serie di cinque iscrizioni di cui non viene specificata la collocazione - se non genericamente con l'annotazione in Capitolio - e di cui tutto ciò che si conosce deriva proprio dal solo codice di Einsiedeln. Nessun altro autore riporta infatti questi cinque testi tranne Poggio, nella sezione copiata dal codice di San Gallo, come per l’arco di Marco Aurelio collocandoli erroneamente ad VII lucernas265.

39. Iscrizione onoraria per Nerva266

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 39. Sconosciuto 73v CIL VI 472 EDR158672 No No (In Capitolio)

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v (www.e-codices.ch)

CIL VI 472 (EDR158672) Libertati ab Imp(eratore) Nerva Caesare Aug(usto) anno ab urbe condita DCCCXXXXIIX XIIII [K(alendas)] Oc[t(obres)] restitu[tae] S(enatus) p(opulus)q(ue) R(omanus).

265 Cfr. CIL VI, p. XXXII, nn. 27-31. 266 CIL VI 8, 2, p. 3756-3757; Walser 1987, pp. 98-99, nr. 39 127 Il primo testo è quello di un’iscrizione onoraria dedicata da senato e popolo a Nerva, che celebra la riconquista della libertà dopo la morte di Domiziano267. Stando all’iscrizione, essa sarebbe avvenuta a 848 anni dalla fondazione della città. Dal momento che sappiamo che Nerva era salito al potere il 18 settembre 96 d.C., ne deriva che l’anno scelto come riferimento per la fondazione di Roma è il 752 secondo il conteggio seguito dal redattore dei Fasti Capitolini. Non si è a conoscenza della posizione di questo titulus. Walser aveva ipotizzato l’ubicazione presso l’atrium libertatis, edificio di antica età repubblicana e sede dei censori, che sorgeva tra la Curia Iulia e il Foro di Cesare ed era rimasto intatto sino ai lavori per la costruzione del foro di Traiano. Si tratta di una conclusione sommaria e molto approssimata, che si fonda su una possibile compatibilità tra l’indicazione topografica in Capitolio con l’ubicazione dell’atrio e sulla mera presenza della parola libertas nel testo e nel nome dell’edificio. Questa proposta, che anche qui non si appoggia, è stata categoricamente rifiutata da Coarelli, il quale nel suo studio sull’atrium afferma che “Va innanzitutto espunta dalla discussione una dedica del 96 d.C. alla Libertas restituta, proveniente dal Campidoglio, dovuta all’imperatore Nerva, che è in evidente rapporto con la recente caduta di Domiziano”268.

267 Sul giorno della morte di Diocleziano e salita al trono di Nerva come giorno della libertà si veda Plin. epist. 9, 13, 4 e Tac. Agr. 3. 268 Coarelli 2014, p. 53. 128 40. Iscrizione della base di statua di Ceionio Rufio Albino269

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln

40. Sconosciuto 73v CIL VI EDR093555 No No (In 1708=31906 Capitolio) =41318

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v (www.e-codices.ch)

CIL VI 41318 (EDR093555) Ceionium Rufium Albinum, v(irum) c(larissimum), cons(ulem) [ordinarium, praefectum urbi], philosophum, Rufi Volusiani, bis ordinarii cons(ulis), [bis praefecti urbi, praef(ecti) praetorio] filium, senatus ex consulto suo, quod eius liberis [quaesturam petentibus interventu eius] post Caesariana tempora, id est post annos CCCLXXX et I, [primum sibi quaestorum omnium creandorum] 5 auctoritatem decreverit, [statua honoravit]. Fl(avius) Magnus I⌜a⌝nuarius, v(ir) c(larissimus), curator statuarum [ponendam curavit et dedicavit].

La seconda iscrizione riportata appartiene ad una base di statua dedicata tra il 336 e il 337 d.C. a Ceionio Rufio Albino, console ordinario nel 335 e prefetto della città dal 30 dicembre 335 e il 10 marzo 337 d.C.270 e figlio di Ceionio Rufio Albino Volusiano, console ordinario

269 Walser 1987, pp. 99-100, nr. 40; Buonocore 2005. 270 PLRE I, Albinus 14. 129 nel 311 e nel 314, praefectus urbis tra 310 e 311 e 313 e prefetto del pretorio nel 321271. La completezza del testo della silloge è stata il centro di un’aspra “discussione epigrafica” tra Theodor Mommsen e il suo allievo Otto Seeck a cavallo tra XVIII e XIX secolo.

Mommsen aveva stabilito già nel 1850272 che il testo riportato dalla silloge di Einsiedeln era completo e l’iscrizione semplicemente una delle rare testimonianze latine con l’onorato in accusativo. Seeck, d’altro canto, nel 1884273 propose che l’epigrafe fosse mutila di un’ampia sezione sulla destra, che aveva integrato similmente al testo restituito da Alfoldy nel 2000, come sopra proposto. Secondo la sua visione, Albino sarebbe stato l’autore della petizione che portò l'imperatore Costantino a restituire al senato l'autorità di eleggere i questori, cosa di cui non aveva goduto dal 45-44 a.C. Il motivo che l’aveva spinto a farsi promotore di questa proposta era che i suoi figli in quell’anno volevano aspirare proprio alla questura274. In pratica, grazie ad Albino, il Senato avrebbe iniziato a godere di una maggiore autonomia nella selezione dei propri membri275. Tre anni dopo, in una lettera privata a de Rossi, Mommsen ribadiva la sua lettura, non risparmiandosi dal definire Seeck un uomo “senza disciplina e senza il senso del vero e del possibile”276. Nel 1892 nel primo volume delle ILS Dessau aveva proposto entrambe le letture senza prendere una posizione, mentre Hülsen nel primo supplemento al CIL VI del 1902 aveva mantenuto la sola lettura mommseniana. La critica moderna tende ad appoggiare senza esitazioni l’intuizione di Seeck, con Buonocore che ha proposto addirittura che l’iscrizione faceva parte di una base “molto lunga ed estesa nella lunghezza, su cui verosimilmente insistevano non solo il signum di Albino, ma anche quelli dei suoi due figli”277. Se come propone il dotto romano il testo era stato inciso in più lastre apposte su una base in calcestruzzo, si può proporre che al tempo dell’Anonimo solo la prima fosse ancora leggibile, ma la base fosse ancora intera. In questo modo, vista la grandezza, il redattore della silloge ne sarebbe stato attratto.

271 PLRE I, Volusianus 4.

272 Mommsen 1850, pp. 310-311. 273 Seeck 1884, pp. 186-197.

274 Si è a conoscenza di uno dei due figli, Gaio Ceonio Rufio Volusiano (PLRE I, Volusianus 5). 275 Chastagnol 1962, p. 93.

276 Vat. lat. 14278, ff. 76r-77v nr. 372 = Buonocore 2003, pp. 251-254 nr. 133 = Buonocore 2005, p. 605. 277 Buonocore 2005, p. 614. 130 Degna di nota è l’ultima riga del testo, nella quale si firma Flavio Magno Ianuario278, curator statuarum, carica che qui viene per la prima volta menzionata279.

41. Dedica alla Pietas Augusta280

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 41. Sconosciuto 73rv CIL VI 562 - No No (In Capitolio)

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73rv (www.e-codices.ch)

CIL VI 562 Pietati Augustae ex s(enatus) c(onsulto) quod factum est D(ecimo) Haterio Agrippa C(aio) Sulpicio Galba co(n)s(ulibus) Ti(berius) Claudius Caesar Aug(ustus) Germanicus 5 pontif(ex) max(imus) trib(unicia) pot(estate) III co(n)s(ul) III imp(erator) III p(ater) p(atriae) dedicavit.

Il titulus che segue è una dedica alla Pietas Augusta, decisa da un senato consulto già nel 22 d.C. (al tempo del consolato di Decimo Aterio Agrippa e Gaio Sulpicio Galba) ma redatta

278 PLRE I, Ianuarius 8.

279 Chastagnol 1960, p. 52. 280 Walser 1987, p. 101, nr. 41. 131 solo sotto Claudio nel 43. Non si sa se il testo apparisse su un altare o su un tempio, per quanto Mommsen abbia proposto che, così come altre dediche alla pietà, si trovasse su un’ara nei pressi del teatro di Marcello, abbastanza vicino al Campidoglio da poter essere considerato ibidem, come appunto la localizza la silloge281.

42. Iscrizione del locus adisgnatus282

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 42. Sconosciuto 73v CIL VI 1472 EDR110971 No No (In Capitolio)

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v (www.e-codices.ch)

CIL VI 1472 (EDR110971) Locus adsignatus ab Nigro et Cosconiano cur(atoribus) operum publicorum.

L'epigrafe ricorda che un locus era stato assegnato dai curatori delle opere pubbliche Negro e Cosconiano, senza ulteriori indizi in merito al sito indicato o all'anno in cui avvenne la dedica. L’idea che si riservasse una postazione di un teatro, per quanto esente da conferme, pare essere piuttosto credibile. Si può congetturare che si trattasse del teatro di Marcello, alla luce di quanto scritto della dedica alla Pietas Augusta.

281 Cfr. CIL VI, 562: “Mommsen l. c. qui prope theatrum Marcelli eam sitam fuisse suspicatur; ibi enim alia quoque Pietatis sacraria erant (Becker Topogr. p. 603)”. 282 CIL VI 8, 3, p. 4703; Walser 1987, p. 102, nr. 42. 132 43. Iscrizione dei curatores tabularum publicarum283

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 43. Sconosciuto 73v CIL VI 916 EDR103893 No No (In Capitolio)

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v (www.e-codices.ch)

CIL VI 916 (EDR103893) Ti(berius) Claudius Drusi f(ilius) Caesar Aug(ustus) Germanicus, pontif(ex) max(imus), trib(unicia) potest(ate) V, co(n)sul III design(atus) III, imp(erator) X, p(ater) p(atriae) ex s(enatus) c(onsulto) 5 [per] C(aium) Calpetanum Rantium Sedatum Metronium, M(arcum) Petronium Lurconem, T(itium) Satrium Decianum, curator[e]s tabular(iorum) public(orum) fac(iendum) cur(averunt).

L’ultima iscrizione fu letta dall’anonimo su un edificio non identificato. Il testo riporta, oltre alla titolatura dell’imperatore Claudio, i nomi dei tre senatori che avevano gestito l’edificazione del suddetto edificio. Costoro, Caio Calpetano Rantio Sedato Metronio284, Marco Petronio Lurco e Tito Satrio Deciano, facevano parte del collegio dei curatores

283 CIL VI 8, 2, p. 4306; Walser 1987, pp. 102-103, nr. 43.

284 PIR2 II, nr. 235. 133 tabularum publicarum, una commissione speciale composta da senatori e, secondo Mommsen, indetta dall’imperatore per procurarsi documenti finanziari mancanti285.

285 Mommsen 1877, p. 558, nota 3. 134 44. Iscrizione per Tiberino e per i lavori pubblici286

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 44. Rive del 73v CIL VI 773 EDR137479 No Sì, Tevere frammento

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v (www.e-codices.ch)

Fig. 39: frammento di CIL VI 773, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/immagini_uso/137/137479.jpg?dummy=1594472129.

286 CIL VI 8, 2, p. 4301; Walser 1987, pp. 103-104 nr. 44; Orlandi 2011, p. 440 nr. 11. 135 CIL VI 773 (EDR137479)

Impp. Dịo̲ c̲ l̲ e̲ t̲i̲ a̲ n̲ u̲ s̲ e̲ t̲ M̲ a̲ x̲ i̲ m̲ i̲ a̲ n̲ u̲ s̲ A̲ u̲ g̲ g̲ ., perpụr̲ g̲ a̲ t̲is̲ f̲ o̲ n̲ t̲i̲ u̲ m̲ r̲ i̲ v̲ i̲ s̲ e̲ t̲ i̲ t̲i̲ n̲ e̲ r̲ i̲ b̲ u̲ s̲ e̲ o̲ r̲ u̲ m̲ ạd̲ p̲ e̲ r̲ e̲ n̲ n̲ e̲ m̲ u̲ s̲ u̲ m̲ r̲ e̲ f̲ e̲ c̲ t̲i̲ s̲ , T̲ i̲ b̲ e̲ r̲ i̲ n̲ o̲ p̲ a̲ t̲r̲ i̲ a̲ q̲ u̲ a̲ r̲ u̲ m̲ o̲ m̲ n̲ i̲ u̲ m̲ e̲ t̲ 5 r̲ e̲ p̲ e̲ r̲ t̲o̲ r̲ i̲ b̲ u̲ s̲ a̲ d̲ m̲ i̲ r̲ a̲ b̲ i̲ l̲ i̲ u̲ m̲ f̲ a̲ b̲ r̲ ic̲ a̲ r̲ u̲ m̲ p̲ r̲ i̲ s̲ c̲ i̲ s̲ v̲ i̲ r̲ i̲ s̲ h̲ o̲ n̲ o̲ r̲ i̲ d̲ e̲ d̲ e̲ r̲ u̲ n̲ t̲, c̲ u̲ r̲ a̲ n̲ t̲e̲ a̲ q̲ u̲ a̲ s̲ L̲ (ucio) A̲ e̲ l̲ i̲ o̲ D̲ [i̲ ]o̲ n̲ [y̲ ]s̲ i̲ o̲ , c̲̅ (larissimo) v̲̅ (iro).

L’Anonimo di Einsiedeln è l’unico ad aver letto per interno il testo di un’iscrizione che dice aver visto in prossimità del fiume Tevere. Un’ubicazione più che credibile, se si pensa che il testo fa riferimento alla pulizia delle insenature e delle tubature delle fontane da parte degli imperatori Diocleziano e Massimiano che, attraverso la mediazione del curatore delle acque Lucio Elio Dionisio, hanno dedicato l’iscrizione al padre Tiberino, figura della mitologia romana legata al fiume Tevere, e ai costruttori delle opere pubbliche da loro appena restaurate. Il testo è stato copiato da Poggio, versione che al solito è stata il punto di partenza della tradizione dell’iscrizione. Un angolo di tabula marmorea riportante quelli che sembrano essere gli incipit delle prime due righe è ancora oggi esistente (fig. 38). Non si è a conoscenza di dove sia stato ritrovato il frammento, conservato nell’atrio della chiesa di San Silvestro in Capite e non visto né da Henzen né da Walser, che non ne danno notizia nel CIL e nel Die Einsiedeler Inschriftensammlung. Trovandosi la chiesa di San Silvestro a poca distanza dai Fori e dal Campidoglio, epicentro del nucleo di iscrizioni copiate dall’anonimo in questa sezione della silloge, si può supporre che la riva del Tevere dove era stata trovata la tabula fosse quella in prossimità dell’isola Tiberina. Ciò riaffermerebbe ancora di più l’idea che le iscrizioni della Pietà Augusta e del locus adsignatus si trovassero nel Teatro di Marcello, in prossimità dell’isola. Nel testo si fa riferimento al curator aquarum et Miniciae Lucio Elio Elvio Dionisio, senatore e uomo politico di grande influenza sotto l’impero di Diocleziano e Massimiano287. Noto attraverso diverse iscrizioni, era probabilmente figlio del senatore Publio Elio Dionisio Palladio288. Console in un periodo non determinato alla fine del III secolo d.C., nel corso

287 PIR I2 32, nr.188. 288 PLRE I, Dionysius 9. 136 della sua carriera a Roma aveva forse ricoperto la carica di pontifex Dei Soli, mentre sicure e databili sono la curatela delle opere pubbliche nel 286289 e la curatela delle acque tra 287 e 292, documentata dall'iscrizione che stiamo esaminando; sempre nel 292 fu corrector utriusque Italiae, titolo mai altrove attestato che o riuniva in un’unica persona le competenze del vicarius Italiae e del vicarius urbis290 o prevedeva particolari competenze giuridiche su Transpadana e Cispadana291; tra 293 e 295 fu praeses Syriae Coeles ed incaricato anche del giudizio di appello su tutte le province orientali, onere che lo elevava al di sopra di tutti gli altri governatori292; prima di rientrare a Roma come praefectus urbis nel 301, ottenne il proconsolato d’Africa, che resse per almeno quattro anni. Proprio da una serie di iscrizioni africane erase, si può notare come Dioniso sia stato vittima di damnatio memoriae293. Considerando la vicinanza del senatore con Diocleziano e Massimiano, è facile che egli fosse caduto in disgrazia dopo il ritiro dei due augusti, per quanto resti incomprensibile l’assenza di damnatio nei tituli romani, tra cui quello qui in esame. Tornando proprio ad esso, non si hanno notizie sulla sua sorte e sull'origine del frammento conservato nella chiesa di San Silvestro in Capite. Sappiamo che questa faceva parte di un complesso costituito da almeno due edifici che era stato edificato nella sua prima forma verso la metà dell’VIII da Stefano II, che ivi dedicò una chiesa ai santi Dioniso, Rustico ed Eleuterio. I lavori sarebbero stati proseguiti e finiti da Paolo I, che con una bolla papale del 4 luglio 761 annunciò la fondazione di un altro edificio di culto in onore dei santi Stefano e

Silvestro294. Il complesso sarebbe stato interessato circa un secolo dopo la sua fondazione da uno straripamento del Tevere, le cui acque sarebbero entrate nella chiesa di San Silvestro. Non è assolutamente da escludere - anzi pare piuttosto verosimile - che la lastra fosse stata rotta e trasportata dalle acque del fiume verso l’ingresso della chiesa, con conseguente recupero del solo frammento oggi conservato. Ciò darebbe un termine ante quem piuttosto interessante, che può essere individuato tra due proposte: il riporta infatti un testo quasi del tutto uguale sia nella biografia di Benedetto III che in quella del suo

289 CIL VI 255, 256. 290 Khanoussi - Mastino 2003, p. 418.

291 Kuhoff 1982, p. 275, nr. 14. 292 CIL VI 1673.

293 CIL VIII 1489, 12459, 14401. 294 Hülsen 1927, pp. 465-466, S57. 137 successore Niccolò I295. Nel primo caso l’inondazione viene datata al gennaio del 856, nel secondo il 30 ottobre 860. È probabile che si trattasse di due avvenimenti diversi e che il redattore della vita di Niccolò I abbia copiato la lettura precedente per esprimere un concetto simile296.

295 Il testo riguardante Benedetto III (Valentini - Zucchetti 1942, pp. 325-326) riporta: “Fluvius qui appellatur Tyberis […] ingressus est in ecclesia S. Silvestri, ita ut ex grados qui ascendunt in basilica beati Dionisii prae multitudine aquarum ne unus videretur, excepto unus qui superius erat”, mentre quello di Niccolo I sostituisce in monasterium a in ecclesia”. 296 Duchesne 1892, pp. 322-323. 138 45. Monumento funebre di Gneo Domizio Primigenio e della moglie Cenia297

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 45. Via Salaria 73v-74r CIL VI EDR163954 No No 16963

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 73v-74r (www.e-codices.ch)

CIL VI 16963 (EDR163954) Cn(aeus) Domitius Primigenius et Afrania Burri lib(erta) C[a]enis coniuges vivi fecerunt sibi et libertis libertabusq(ue) poste= 5 risque eourum. In fronte p(edes) XXXV. H(oc) m(onumentum) h(eredem) n(on) s(equetur).

Dopo un consistente nucleo di iscrizioni dell’interno della città di Roma, il codice di Einsiedeln riporta un testo ascrivibile a un monumento funebre della via Salaria. La motivazione che aveva portato il redattore della silloge a copiare il titulus è fornita probabilmente dalla sua ultima riga, in cui viene precisata l’ampiezza in fronte dell’area sepolcrale che, con i suoi XXXV piedi, è tra le più ampie tra tutte quelle della via Salaria di cui si è conservata questa particolare dimensione. Come invero per gli altri monumenti funebri segnalati nella silloge, anche per questo, dunque, l’attributo principale che ha attirato l’attenzione del redattore doveva essere l’impatto visivo.

297 Walser 1987, pp. 104-105, nr. 45; Orlandi 2004, p. 365, Da74. 139 I titolari del sepolcro, Gneo Domizio Primigenio e la mogli Cenia, liberta del prefetto del pretorio neroniano Afranio Burro, avevano predisposto il loculo per sé, per i loro liberti e per gli eredi di questi ultimi, ma non per i loro figli. L’anonimo è l’unico a riportare il testo di questo monumento, poi copiato anche da Poggio ma non da altri autori più tardi. Invero l’indicazione in via Salaria non è poi così precisa, e per definire al meglio dove si potesse trovare il monumento funebre bisogna controllare la posizione della trascrizione all’interno della silloge. Di poco aiuto sono i tituli che la precedono, in quanto, come si è visto, segnano un itinerario definito tra i fori e l’area centro- occidentale della città, mentre di maggiore attinenza è l’iscrizione che segue, un cippo contenente un decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo che, come si vedrà, era posizionato in prossimità dell’ingresso alla città di Porta Salaria. Si può ipotizzare dunque che il monumento funebre si trovasse poco fuori la città e molto vicino alla porta: si può ricostruire che il redattore, probabilmente intenzionato a vedere la porta dall’esterno, ne era uscito e, attirato dalla grandezza della lapide di Primigenio e della moglie si sarebbe a essa avvicinato per trascriverne il testo, per poi tornare indietro e osservare il cippo.

140 46 = 52 Cippo con decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo298

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 46. Cippo 74r CIL VI EDR029596 No No presso Porta 1016b Salaria 52. Cippo 75rv CIL VI 1016c EDR029597 No No presso Porta Flaminia

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 74r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1016b (EDR029596) Imp(erator) Caes(ar) M(arcus) Aurelius Antoninus Aug(ustus) Germanicus Sarmatic(us) 〚---〛

〚[------]〛 5〚[------]〛 〚[------]〛 hos lapides constitui ̀ìussit propter controversias quae

inter mercatores et mancipẹ s 10 ortae erant uti finem demonstrarent vectigali foricularì et ansariì promercalium secundum veterem legem semel dum 15 taxat exigundo.

298 CIL VI 8,2, p. 4316; Walser 1987, pp. 105-107, nr. 46=52; Cifarelli - Zaccagnini 2001, p. 250. 141 Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 75rv (www.e-codices.ch)

CIL VI 1016c (EDR029597) Imp(erator) Caesar M(arcus) Aurelius Antoninus Aug(ustus) Germanicus Sarmat(icus) et M(arcus) Aurelius Severus 5 Alexander Pius Felix Aug(ustus) hos lapides constituì ìusserunt maxime propter controversias, quae

inter mercatores et mancipẹ s 10 ortae erant uti finem demonstrarent vectigali foriculari et ansarii promercalium secundum veterem legem semel dum 15 taxat exigundo.

142 Fig. 40: CIL VI 1016a, da http://www.edr-edr.it/ foto_epigrafi/immagini_uso/29/029595.jpg? dummy=1594472187.

Tra il 177 e il 180 d.C. gli imperatori Marco Aurelio e Commodo fecero redigere un decreto doganale da far apporre in prossimità degli ingressi alla città, al fine di proteggere i commercianti che si recavano a Roma dall’arbitrio degli esattori delle tasse. In quel periodo Roma non era disposta di una cinta muraria e l’unico confine che ne segnava l’ingresso era rappresentato da una serie di trentasette porte erette come posto di blocco per il dazio. Secondo Plinio il Vecchio, la loro edificazione era da attribuirsi a Vespasiano299, ed erano considerate un limite tangibile per l’esazione del tributo ai mercanti nel punto esatto in cui già Augusto, ai tempi della suddivisione amministrativa in quattordici regioni della città, aveva posto la linea di confine di dazio. L’azione di Marco Aurelio e Commodo si pone come ulteriore segnalazione di tale confine: al fine di fermare le controversie sorte tra esattori e commercianti, i due imperatori avevano fatto apporre in prossimità di ogni entrata

299 Plin. N.H., III, 66: “Urbem tris portas habentem Romulus reliquit aut, ut plurimas tradentibus credamus, IIII. moenia eius collegere ambitu imperatoribus censoribusque Vespasianis anno conditae DCCCXXVI m. p. XIII·CC, conplexa montes septem”. 143 alla città alcuni cippi su cui era iscritto il loro decreto, che li individuava come unici posti in cui - per una sola volta secondo una vetus lex - si doveva pagare la tassa d’ingresso a

Roma300. Oggi siamo a conoscenza dell’esistenza di quattro di tali cippi: uno, integro, è conservato in villa Albani ed è stato rinvenuto nei pressi di Porta Esquilina301 (fig.40); di uno sono stati trovati due frammenti a Porta Asiniana, oggi conservati all’Antiquarium Comunale del

Celio302; due, persi, sono stati copiati dall’anonimo di Einsiedeln in prossimità rispettivamente di Porta Salaria303 e Porta Flaminia304. Tralasciando per un attimo il frammento dell’Antiquarium, l’epigrafe di villa Albani e le due viste dal redattore presentano alcune differenze nei testi. La prima, infatti, riporta il testo originale del decreto, menzionante tanto Marco Aurelio quanto Commodo, mentre le altre due - stando alla trascrizione nel codice - presentano variazioni dovute alla damnatio memoriae sancita nel 193 d.C. nei confronti del figlio di Marco Aurelio. L’esemplare di Porta Salaria viene trascritto privo delle righe in cui in origine si poteva leggere la serie onomastica di Commodo. Chi attuò la rasura si preoccupò di cambiare anche la coniugazione del verbo della principale iusserunt, trasformato nel singolare iussit, riferito al solo Marco Aurelio. Nella copia di Porta Flaminia, invece, il nome di Commodo è sostituito da quello di Alessandro Severo. Quest’ultimo era salito alla soglia imperiale circa trent’anni dopo la morte di Commodo, la cui memoria era stata riabilitata già nel 195. Il fatto che lo scalpellino abbia inciso il nome di Alessandro Severo è indice che il cippo, a cinquant’anni dalla sua redazione, si trovava ancora in prossimità di Porta Flaminia e, soprattutto, il decreto doganale era ancora valido. L’apposizione dell’imperatore regnante potrebbe considerarsi in un certo senso come un rinnovo della stessa disposizione normativa, che fu così confermata. I redattori del CIL ritenevano inoltre che il maxime che segue iusserunt alla settima riga del testo fosse stato aggiunto contemporaneamente alla titolatura di Alessandro Severo, come a ribadire ancora una volta il contenuto del decreto.

300 Zacagnini 2001, pp. 250-251.

301 CIL VI 1016a. Per : LTUR III, pp. 326-327; Richardson 1992, pp. 302-303. 302 NCE 5175 (frammento a), NCE 5137 (frammento b); CIL VI 31227.

303 CIL VI 1016b. Per Porta Salaria: LTUR III, p. 311; Richardson 1992, pp. 308-309. 304 CIL VI 1016c. Per Porta Flaminia: LTUR III, pp. 303-304; Richardson 1992, pp. 303. 144 Osservando a tal proposito lo specchio epigrafico del cippo di Porta Esquilina, tuttora conservatosi, e ipotizzando che tutti i decreti apparissero allo stesso modo, si può vedere come la parola iusserunt sia incisa in prossimità della fine della riga e, di conseguenza, l’aggiunta di maxime non sarebbe stata possibile. Si può ipotizzare che anche in questo testo, così come nel titulus di Porta Salaria, il verbo fosse stato cambiato dal plurale al singolare in concomitanza con la damnatio di Commodo e che quindi, quando Alessandro Severo ordinò di aggiungere il proprio nome, lo scalpellino fu costretto a ri-coniugare il verbo alla terza persona plurale. Dovendo anche aggiungere l’avverbio, è credibile abbia abbreviato una delle due parole o ristretto notevolmente le lettere. Resta da capire perché i cippi di Porta Esquilina e Porta Salaria non riportino tali cambiamenti testuali. Partendo dal secondo, ancora visibile in situ ai tempi del redattore della silloge, si può avanzare la proposta di una rasura tanto eccessiva da non poter introdurre una nuova iscrizione o, più semplicemente, un’assenza di motivazioni dietro la scelta di lasciare il testo al singolare; per il primo è invece solo possibile congetturare che non fosse stato incluso tra le epigrafi erase nei due anni tra la morte di Commodo e la riabilitazione della sua memoria. Del cippo di Porta Asiniana sono stati rinvenuti due soli frammenti, sufficienti però per definire che, come l’esemplare di Porta Salaria, esso presentava il verbo iussit in rasura e, di conseguenza, il solo nome di Marco Aurelio tra i soggetti. Tornando alla questione relativa alla silloge di Einsiedeln, sappiamo dalle indicazioni topografiche che il redattore vide i due cippi in situ in prossimità di Porta Salaria e Porta Flaminia. Ciò dimostra che alcuni cippi fossero ancora visibili non solo diversi secoli dopo l’emanazione del decreto, ma anche e nonostante la costruzione delle mura aureliane, che dal 273 segnavano concretamente il confine attorno alla città di Roma. È facile che i cippi fossero posti poco prima delle porte, ma non in una prossimità tale da essere tolti in occasione dell’edificazione delle nuove porte, le quali per posizione corrispondono in toto alle trentasette porte originarie.

145 47. Editto contro gli abusi nella macinazione del grano305

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 47. Molinae sul 74rv CIL VI 1711 EDR111468 No No Gianicolo

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 74rv (www.e-codices.ch)

305 CIL VI 8, 3, p. 4741; Walser 1987, pp. 108-109, nr. 47. 146 CIL VI 1711 (EDR111468)

Claudius Iulius Ecclesius Dynamius, v̅ (ir) c̅ (larissimus) et ı̅ n̅ l̅ (ustris), urb(i) praef(ectus) d(icit): amore patriae conpulsi, ne quid diligentiae deesse videatur, studio nostro adici novimus, ut omnium molendinariorum fraudes amputentur, quas subinde venerabili populo atq(ue) universitati fieri 5 suggerentibus nobis agnovimus, et ideo stateras fieri praecepimus, quas in Ianiculo constitui nostra praecepit auctoritas; unde hoc programmate universitatem nosse decernimus frumenta cum ad haec loca conterenda detulerint, consueta fraudibus licentia [quo modo] possit amoveri: primo pensare non differant, deinde post= 10 quam fregerint, propter fidem integrae observationis adhibitis isdem ponderibus agnoscant nihil sibi abstulisse licentiam frau= datorum, accipere autem secundum constitutum brevem molend[in]= arios tam in Ianiculo quam per diversa praecipimus per modium unum nummos III. Ita quod si quis eorum inlicita praesumptione farinam 15 crediderit postulandam, deprehensus et multae subiaceat et fustiario supplicio se noverit esse subdendum. Illud autem hu= manitas [nostr]a propter corporatorum levamen adicit ut, si qui vo= luntate propria, non conpulsus, sed donandi nimo farinam offerre voluerit, habeat qui accipit liberam facultatem.

Appena dentro Porta Aurelia - oggi - sul Gianicolo, si trovava una chiesa dedicata ai Santi Giovanni e Paolo. Sappiamo della sua esistenza solo ed esclusivamente dal codice di Einsiedeln, che la menziona nella silloge e negli itinerari. La chiesa doveva essere scomparsa già prima del 1000306. Proprio dalla trascrizione di un’iscrizione In Ianiculo ante aecclesiam Iohannis et Pauli si può tuttavia ricostruire almeno una più definita posizione dell’edificio di culto, che si doveva trovare in prossimità delle molinae, i mulini pubblici per la macinazione del frumento307. Questi utilizzavano l’approvvigionamento idrico dell’aqua Traiana e rimasero

306 Hülsen 1927, pp. 277-278, I31. 307 LTUR I, p. 71; Richardson 1992, p. 258. 147 attivi fino all’invasione dei Goti del 537, per poi essere sostituiti dai mulini galleggianti inventati da Belisario. Il lungo testo dell’iscrizione comprende un editto contro gli abusi nella macinazione del grano che qui avveniva nel 488, anno in cui prefetto della città - e probabilmente anche console - era Claudio Giulio Ecclesio Dinamo, redattore del decreto308. Questi ordinò di mettere fine ai soprusi da parte dei mugnai, i quali falsificavano le tare delle bilance per vendere a prezzo maggiorato il grano, e limitò il salario di macinazione a tre sesterzi al moggio. Inoltre, per humanitas nostra, consentì ai mugnai di accettare gratuitamente eventuali donazioni di farina. Si tratta del testo più lungo della silloge e l’Anonimo è il solo ad averlo trascritto autopticamente. La vicinanza con la chiesa dei Santi Giovanni e Paolo potrebbe essere stata la motivazione principale che ha spinto al viandante a ricopiarne il titulus: non è un caso infatti se la chiesa viene posta come riferimento topografico nei pressi del quale indicare l’iscrizione. È facile che l’Anonimo, dirigendosi alla chiesa, fosse stato impressionato dalla mole della lastra, di sicuro grande impatto visivo viste le ventisette righe trascritte nel codice. Si può credere che il destino di quest’epigrafe sia lo stesso della chiesa dei Santi Giovanni e Paolo, come visto scomparsa misteriosamente attorno all’anno mille.

308 PLRE II, Dynamius 2. 148 48. Iscrizione dell’abside di San Paolo fuori le Mura309

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR oggi Einsiedeln 48. San Paolo 74v ICVR II 4780 EDB42126 No No fuori le Mura, abside

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 74v (www.e-codices.ch)

ICVR II 4780 (EDB42126) Theodosius coopti, perfecit Honorius aulam Doctor is mundi sacratam corpore Pauli

Nell’abside dell’odierna basilica di San Paolo fuori le Mura310 si possono leggere due distici: il primo, da datarsi all’impero di Onorio, fa menzione del perfezionamento della chiesa, fondata sotto Teodosio, da parte dell’imperatore; il secondo, invece, riporta notizia di un successivo restauro dell’edificio, voluto da Galla Placidia sotto il pontificato di Leone

I311. L’intero complesso nelle sue forme attuali deriva da un restauro compiuto a seguito di un incendio del 1823. A sua volta, questo lavoro andava a recuperare un precedente intervento di età moderna, autorizzato da Benedetto XIII nel 1728, continuato durante il pontificato di

309 Walser 1987, p. 110, nr. 48; Docci 2006, p. 31.

310 LTURS IV, pp. 169-179. 311 ICVR 4784 “Placidiae pia mens operis decus homne paterni / Gaudet pontificis studio splendere Leonis”. 149 Clemente XII fino al 1732312 e poi ripreso e concluso sotto Benedetto XIV tra 1740 e 1758, quando i due epitaffi antichi erano stati riproposti nell’abside313. L’anonimo di Einsiedeln riporta solo il primo dei due testi, ma non è la sua trascrizione ad essere la causa del recupero dell’iscrizione onoriana nel XVIII secolo. Essa deriva infatti in primo luogo dalla riscoperta di Jan Gruter della silloge di Lorsch, la quale a f. 56r propone entrambi i distici l’uno di seguito all’altro314, in secondo, è più strettamente correlata alla restituzione dell’arco, dalla proposizione degli stessi nel Vetera Monumenta di Giovanni

Giustino Ciampini315. Invero pare difficile che essi si trovassero vicini già in origine, dal momento che, se così fosse stato, probabilmente il redattore della silloge di Einsiedeln avrebbe trascritto anche il secondo distico. In aggiunta, anche altre sillogi minori di età medievale riportano l’uno o l’altro testo singolarmente: è il caso dell’anthologia Isidoriana per il testo di Onorio, la silloge di Tours per quello di Galla Placidia316. Tuttavia è sicuro che entrambe fossero situate nei pressi dell’abside: nella silloge di Einsiedeln, come meglio si vedrà, il testo onoriano è seguito da un’iscrizione in absida ad fontem, la stessa che nella silloge di Tours precede il distico di Galla Placidia. Si può pensare che l’iscrizione condivisa dalle due sillogi si trovasse al centro rispetto all’abside, con le altre due collocate su lati diversi e opposti. Di sicuro, già dall’indomani del IX secolo non si hanno più notizie delle iscrizioni originali, scomparse probabilmente in occasione dell’edificazione della nuova abside della basilica sotto papa Onorio III317. Oltre alle sillogi di Einsiedeln e Lorsch, il testo è riportato dalla Centulense318. Si noti come il ruolo della tradizione epigrafica sia stato indispensabile a fini storici ed artistici: senza la copia nella silloge di Lorsch, la riscoperta della stessa da parte di

312 Camerlenghi 2018, p. 224.

313 Uggeri 1827, p. 116 dice che i versi onorini “furono per consiglio del Ciampini scritti sul finire del seicento nell’ultima summità dell’arco presso la contignazione”. La data è sbagliata e non tiene conto della lettura precedente di Nicolai 1815, pp. 28-29 “essendo dalle ingiurie de’ tempi talmente maltrattato, che minacciava una totale rovina, Clemente XII avea disegnato di ripararlo; ma appena messa la mano all’opera, non saprei per qual ragione, la sospese, lasciando la gloria di perfezionarla a Benedetto XIV”. De Rossi 1899, ff. 2v-4r conferma questa lettura. 314 Cfr. de Rossi 1888, p 98, nn. 5-5a. Gruter 1602, p. 1170, nr. 6.

315 Ciampini 1690, pp. 229-230. 316 Riguardo la presenza dei due testi nelle altre sillogi alto-medievali, si veda Martinez Fazio - Martinrz 1972, pp. 8-13.

317 Fazio - Martinez 1972, p. 11. 318 Cfr. de Rossi 1888, p. 81, nr. 17. 150 Gruter e la riproposizione di Ciampini, non sarebbero probabilmente né note le vicissitudini architettoniche all’origine della basilica, né sicuramente i due testi sarebbero stati inclusi nel nuovo programma musivo di XVIII e XIX secolo.

49. Iscrizione dell’aula battesimale di San Paolo fuori le Mura319

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR oggi Einsiedeln 49. San Paolo 74v-75r ICVR II 4781 - No No fuori le Mura, aula battesimale

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 74v-75r (www.e-codices.ch)

ICVR II 4781 Haec domus est fidei, mentes ubi summa potestas liberat et santo purgata fonte tuetur

Alla voce del Liber Pontificalis relativa a papa Simmaco (498-514) si racconta che il pontefice, dopo aver fatto restaurare l’abside cadente della basilica di San Paolo fuori le Mura, fece costruire dietro di essa un nuovo spazio in cui aquam introduxit ubi et balneum a fundamento fecit320. Proprio qui - l’indicazione topografica in absida ad fontem sembra essere inequivocabile - il redattore legge una brevissima iscrizione di due righe che si riferisce alla chiesa come casa della fede e sede della purificazione delle anime attraverso l’acqua santa. L’iscrizione, come si è visto, viene trascritta anche nella silloge di Tours

319 Walser 1987, p. 110, nr. 49. 320 Valentini - Zucchetti 1942, pp. 244-245. 151 prima dell’iscrizione di Galla Placidia321, ed è contenuta anche nella Centulense322 e nella silloge di Cambridge323. Non vi è mai stata alcuna evidenza archeologica ed architettonica di questo locale, la cui stessa posizione dietro l’abside può essere solo dedotta dalla tradizione del Liber Pontificalis324.

321 Cfr. de Rossi 1888, p. 68, nn. 31-32. 322 Cfr. de Rossi 1888, p. 81, nr. 14.

323 Cfr. de Rossi 1888, p. 155, nr. 1. 324 Docci 2006, pp. 96-97; Camerlenghi 2018, p. 103. 152 50. Iscrizione del restauro del Teatro di Pompeo325

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 50. Teatro di 75r CIL VI 1191 EDR111507 No No Pompeo

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 75r (www.e-codices.ch)

CIL VI 1191 (EDR111507) Dd. Nn. Arcadius et Honorius [Invicti et] perpetui Augg. theatrum Pompei [collapso] exteriore ambitu magna etiam [ex parte] interior[e] r[uen]te convulsum [ruderibus] 5 subductis et excitatis invice[m fabricis] [novis restituerunt].

Il redattore della silloge di Einsiedeln riporta qui un testo letto nei pressi del Teatro di

Pompeo326, menzionante un restauro delle strutture interne ed esterne dello stesso, che erano crollate, da parte di Arcadio e Onorio. La testimonianza è di duplice importanza per la ricostruzione della storia del teatro, oggi non più esistente, in età tardoantica e altomedievale. Di esso si ben conoscono le origini: situato nella zona più meridionale del Campo Marzio, era stato dedicato nel 55 a.C., anno del secondo consolato di Pompeo, e si trattava del primo teatro permanente e in muratura di Roma che, stando a Plutarco, era stato ispirato al

325 CIL VI 8, 2, p. 4334; Walser 1987, p. 111 nr. 50. 326 LTUR V, pp. 35-38; Richardson 1992, pp. 383-385. 153 generale romano dalla vista del teatro di Mitilene327. Visti gli impedimenti legali che ne proibivano l’impianto, Pompeo l’aveva fatto passare come scalinata del Tempio di Venere Vincitrice, costruito nella sommità della parte centrale della cavea. Di ingenti dimensioni e ornato da un vasto e complesso apparato artistico e scultoreo, può essere considerato come un vero e proprio prototipo del monumento imperiale: esso era arricchito da un quadriportico con colonne di granito che scendeva verso l’odierno , dove si trovavano la Curia Pompeii e la statua di Pompeo, presso la quale erano soliti incontrarsi i senatori prima delle riunioni e dove Cesare fu ucciso (fig. 41).

Fig. 41: ricostruzione 3D del Teatro di Pompeo, da https://commons.wikimedia.org/w/index.php? curid=21850600

Proprio in seguito alle idi di marzo del 44 a.C., Augusto fece murare la Curia perché locus sceleratus, ma altresì spostò la statua di Pompeo in prossimità dell’ingresso alla scena. Già nel 32 a.C. - e a grandi spese - finanziò il primo di una lunga serie di restauri per il teatro, in uso addirittura fino al VI secolo328.

327 Plutarco, Pompeo, 42,4: διοικήσας δὲ τὰ ἐκεῖ καὶ καταστησάµενος οὕτως ἤδη πανηγυρικώτερον ἐχρῆτο τῇ πορείᾳ, καὶ γὰρ εἰς Μιτυλήνην ἀφικόµενος τήν τε πόλιν ἠλευθέρωσε διὰ Θεοφάνη, καὶ τὸν ἀγῶνα τὸν πάτριον ἐθεάσατο τῶν ποιητῶν, ὑπόθεσιν µίαν ἔχοντα τὰς ἐκείνου πράξεις, ἡσθεὶς δὲ τῷ θεάτρῳ περιεγράψατο τὸ εἶδος αὐτοῦ καὶ τὸν τύπον, ὡς ὅµοιον ἀπεργασόµενος τὸ ἐν Ῥώµῃ, µεῖζον δὲ καὶ σεµνότερον. 328 Per un recente studio sul Teatro di Pompeo e sulle scoperte archeologiche ad esse legate, si veda Gagliardo-Packer 2006. 154 L’ultima notizia di interventi alla struttura dell’edificio risale infatti a un periodo compreso tra il 507 e il 511, ad opera di Quinto Aurelio Memmio Simmaco e per ordine di

Teodorico329. Il penultimo riferimento a noi noto è dato invece da un’iscrizione trasmessa solo dal codice di Einsiedeln, che menziona il restauro di componenti interne ed esterne del teatro dopo il 395, durante l’impero di Arcadio e Onorio. Il redattore aveva riportato un testo agli occhi di Mommsen non intero: è probabile che il supporto fosse mutilo dell’intera ultima parte sulla destra, integrata dallo storico330. Il fatto che l’indicazione topografica nel codice sia in theatro Pompeii implica che ancora ai tempi della redazione della silloge l’edifico fosse noto col suo nome originale: si era conservata anche in età altomedievale, dunque, la memoria quantomeno relativa al nome del teatro. Essa si mantiene addirittura nei Mirabilia, dove si fa menzione del theatrum Pompeii ad Sanctum Laurentium331 e di un templum Gnei Pompeii mirae magnitudinis et pulchritudinis332, definito in rovina, ma comunque ancora esistente nel XII secolo, quando sappiamo che parte del sito era occupato anche dalle chiese di Santa Barbara e di Santa Maria in Grotta Pinta333, succursali della grande basilica di , anch’essa a poca distanza dal teatro334. Anche il Liber politicus di Cencio Camerino cita in un itinerario il theatrum Pompeii335. Pochi anni dopo la redazione di queste due opere, Bobone di Bobone comprò per sé e per i suoi eredi gli avanzi del Teatro di Pompeo: fu l’inizio della relazione tra le rovine della cavea del teatro e la famiglia degli Orsini, discendente da Bobone, che dal 1296 iniziò a comprare diversi edifici della zona per costruire una fortezza con torre che dominasse l’odierno Campo dei Fiori336. Da qui in poi

329 Cassiod. Variae, 4.51.12: Hos ritus Romani sicut ceteras culturas ad suam rem publicam inutiliter trahentes aedificium alta cogitatione conceptum magnanimitate mirabili condiderunt. unde non inmerito creditur Pompeius hinc potius Magnus fuisse vocitatus. et ideo sive masculis pilis contineri sive talis fabrica refectionis studio potuerit innovari, expensas vobis de nostro cubiculo curavimus destinare, ut et vobis adquiratur tam boni operis fama et nostris temporibus videatur antiquitas decentius innovata. 330 Mommsen 1850, p. 307.

331 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 22-23. 332 Valentini - Zucchetti 1946, p. 49.

333 Sulla chiesa di Santa Barbara vd. Hülsen 1927, pp. 204-205, B2; sulla chiesa di Santa Maria in Grotta Pinta vd. Hülsen 1927, pp. 328-329, M34. 334 Hülsen 1927, p. 284, L10.

335 Valentini - Zucchetti 1946, p. 219. 336 Gagliardo - Packer 2006, pp. 96-97. 155 vengono definitivamente a perdersi le conoscenze relative al passato architettonico ed archeologico dell’area, che tornano vagamente alla luce a partire dalla fine del XV secolo337. Si noti anche tuttavia come l’odierna disposizione degli edifici sorti sui resti del teatro mantenga ancora quella semicircolare della cavea (fig. 42).

Fig. 42: via di Grotta Pitta, Roma, da https://goo.gl/maps/tydmegeV7fse4LC58.

Tornando a soffermarci sulla lettura del redattore della silloge di Einsiedeln, essa sarebbe avvenuta in un periodo in cui il Teatro di Pompeo, per quanto abbandonato e probabilmente in un primo declino, doveva ancora essere intatto e non sovrastato da nuovi edifici. Pare strano, invero, che fra le tante iscrizioni che si sarebbero potute leggere tra i resti di un così tanto importante luogo della Roma classica, l’unico trascritto sia un’iscrizione mutila di un restauro tardoantico, per quanto invero non siano molte le evidenze epigrafiche relative al teatro recuperate negli anni. Si deve credere che il redattore non fosse entrato effettivamente nel teatro, quanto piuttosto abbia visto l’edificio dall’esterno, dove vista la natura del

337 Limitatamente alle prime scoperte epigrafiche: nel 1482 nei pressi della chiesa di San Lorenzo in Damaso viene trovata un’iscrizione in grandi lettere contenente le parole genius teatri pompeiani (Stinger 1985, p. 63 e Gagliardo-Packer 2006, p. 97, con ulteriore bibliografia alla nota 30); nel 1525 viene recuperato un altro frammento nelle fondamenta di Santa Maria in Grotta Pinta contenente le parole Veneris Victricis (CIL VI 785, cfr. Gagliardo-Packer 2006, p. 97, con ulteriore bibliografia alla nota 31). 156 restauro, una copia dell’iscrizione sarebbe stata apposta. Per tale motivo, forse, egli non riuscì a leggere e copiare altri testi. A differenza di altre sezioni della silloge, in cui i tituli sembrano essere in un certo senso collegati topograficamente tra loro, in questo caso l’iscrizione è isolata, essendo preceduta e seguita rispettivamente da epigrammi da San Paolo fuori le Mura e in prossimità di Clivo di Scauro.

157 51. Iscrizione della biblioteca di papa Agapito338

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ILCV oggi Einsiedeln 51. Biblioteca di 75r ILCV 1898 - No No papa Agapito al Clivus Scauri

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 75r (www.e-codices.ch)

ILCV 1898 Sanctorum veneranda cohors sedet ordine [longo], Divinae legis mystica dicta docens. Hos inter residens Agapetus iure sacerdos Codicibus pulchrum condidit arte locum. 5 Gratia par cunctis, sanctus labor omnibus unus; Dissona verba quidem sed tamen una fides. In fronte pedes XXV in agro pedes XXXIII it in tabernae In fronte pedes XI in agro pedes XXXI

338 Walser 1987, p. 112 nr. 51; Lapidge 2005, pp. 16-18. 158 “In bibliotheca Sancti Gregorii, quae est in monastero Clitauri, ubi ipse dyalogorum scripsit”, l’Anonimo trascrive una lunga iscrizione che accompagnava, probabilmente, un affresco parietale raffigurante una schiera di Santi padri della Chiesa e papa Agapito. Partendo con ordine, bisogna in primo luogo definire con precisione il significato dell’estesa indicazione topografica del redattore339. Essa fa riferimento alla biblioteca fondata da papa Agapito in una sala della sua tenuta privata presso Clivo di Scauro. Qui papa Gregorio Magno, che discendeva dalla stessa famiglia di Agapito e dunque ne aveva ereditato l’immobile, aveva scritto i suoi dialoghi e fondato il monastero di Sant’Andrea. Per Clitauri si è intesa un’abbreviazione per Clivus Tauri, a sua volta lezione erronea per Clivus Scauri. Come accennato, l’iscrizione doveva accompagnare un affresco in cui erano rappresentati i padri della Chiesa tra cui, con pieno diritto, poteva essere distinto papa Agapito, fondatore della biblioteca, in cui erano contenute opere di lunga diversa, ma accomunate da un unico credo. Essa era stata istituita dal pontefice insieme a Cassiodoro, il quale voleva rendere Roma un nuovo centro culturale e scolastico di matrice cristiana al pari di Alessandria d’Egitto e a Nisibis in Siria340. Sorgeva in una singola stanza di 30 x 22 metri, e il suo contenuto è purtroppo andato perduto. Sappiamo che Cassiodoro riportò la propria parte di libri nella sua tenuta in Calabria in seguito alla morte di Agapito e alle invasioni dei Vandali a Roma341. Apparentemente nel periodo in cui il redattore si era recato a Roma, la biblioteca era ancora visitabile e aperta, ed era indissolubilmente associata, nell’immaginario collettivo alto-

339 Pieper 1877, pp. 256-259; Marrou 1931; O’Donnell 1979; Lapidge 2005, pp. 16-18.

340 Cassiod. inst. div. prefazione: “Cum studia saecularium litterarum magno desiderio feruere cognoscerem, ita ut multa pars hominum per ipsa se mundi prudentiam crederet adipisci, grauissimo sum, fateor, dolore permotus ut Scripturis diuinis magistri publici deessent, cum mundani auctores celeberrima procul dubio traditione pollerent. Nisus sum cum beatissimo Agapito papa urbis Romae ut, sicut apud Alexandriam multo tempore fuisse traditur institutum, nunc etiam in Nisibi ciuitate Syrorum Hebreis sedulo fertur exponi, collatis expensis in urbe Romana professos doctores scholae potius acciperent Christianae, unde et anima susciperet aeternam salutem et casto atque purissimo eloquio fidelium lingua comeretur”. 341 Ibid. “Sed cum per bella feruentia et turbulenta nimis in Italico regno certamina desiderium meum nullatenus ualuisset impleri, quoniam non habet locum res pacis temporibus inquietis, ad hoc diuina caritate probor esse compulsus, ut ad uicem magistri introductorios uobis libros istos Domino praestante conficerem; per quos, sicut aestimo, et Scripturarum diuinarum series et saecularium litterarum compendiosa notitia Domini munere panderetur – minus fortasse disertos, quoniam in eis non affectata eloquentia sed relatio necessaria reperitur; utilitas uero inesse magna cognoscitur, quando per eos discitur unde et salus animae et saecularis eruditio prouenire monstratur”. 159 medievale, a Gregorio Magno e alla stesura dei suoi Dialogi de vita et miraculis patrum Italicorum, quivi avvenuta. L’iscrizione è seguita da una criptica indicazione di dimensioni, probabilmente di un pavimento o di un’area sepolcrale. Si può solo congetturare che le misure facessero riferimento ad un’altra iscrizione, seguente nella silloge originale il testo della biblioteca e di cui il copista si era dimenticato l’ubicazione. Dal momento che ciò che segue sono i tituli del monumento equestre all’auriga Publio Elio Gutta (nn. 53-55) sulla via Flaminia, è possibile congetturare che queste misure si riferissero ad un’area sepolcrale nei pressi della stessa via, e che la sua inclusione alla fine del testo della biblioteca derivi da un errore del copista della silloge originale. Ulteriore conferma a questa lettura è anche il fatto che ricorrenza usuale nella silloge è quella di riportare iscrizioni da monumenti sepolcrali che presentano dimensioni mediamente più grandi, come appunto sarebbero quelle menzionate in questa ipotetica iscrizione funeraria.

160 53-55 Monumento dell’auriga Publio Elio Gutta Calpurniano342

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 53-55. Via 75v-76r CIL VI EDR148104 No No Flaminia 10047

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 75r (www.e-codices.ch)

342 CIL VI 8, 1, p. 3903; Walser 1987, pp. 113-116 nn 53-55; LTUR IV, pp. 272-273. 161 CIL VI 10047 (EDR148104) 〈:columna I〉 P(ublius) Aelius, Mari Rogati fil(ius), Gutta Calpurnianus equis his vici in factione Veneta: Germinatore n(igro) Af(ro) LXXXXII, 5 Silvano r(usseo) Af(ro) CV, Nitid(o) gil(vo) Af(ro) LII, Saxone n(igro) Af(ro) LX, et vici praemia m(aiora) L̅ I, X̅ L̅ IX, X̅ X̅ X̅ XVII.

〈:columna II〉 Ex numero palmarum supra scriptarum ((:%1000))CXXVII vici: in factione albata CII, remissus II, X̅ X̅ X̅ I, X̅ L̅ (:quadraginta milia sestertium) I, a pompa IIII, equorum anagonum I; singularum LXXXIII, binarum VII, ternarum II. In factione russata vici LXXIIX, remissus semel, X̅ X̅ X̅ I; quarternarum I singularum XLII binarum XXXII ternarum III quaternarum semel. 5 In factione veneta vici DLXXXIII, X̅ X̅ X̅ XVII, seiuge I, X̅ L̅ VIIII, L̅ I, a pompa XXXV, trigas X̅ VII, triga X̅ X̅ V̅ I, equorum anagonum I, sacro quinquennalis certaminis I, remissus semel; singularum CCCXXXIIII, binarum CLXXXIV ternarum, LXV. In factione prasina vici CCCLXIV, X̅ X̅ X̅ I, X̅ L̅ II, pedibus ad quadrigam LXI, a pompa VI; singularum CXVI, binarum CLXXXIIII, ternarum LXIIII. Hoc monumentum vivus feci

(:columna III) 10 P(ublius) Aelius, Mari Rogati fil(ius), Gutta Calpurnianus mill[e] palmas complevi in factione prasina equis his: Danao b(adio) Af(ro) XIX, 15 Oceano n(igro) CCVIIII, Victore r(usseo) CCCCXXIX,

162 Vindice b(adio) CLVII, et vici praemia maiora X̅ L̅ III X̅ X̅ X̅ III.

L’Anonimo è l’unica fonte che trasmette tre iscrizioni contenute in un unico memoriale dedicato a Publio Elio Gutta Calpurniano, un auriga di successo del II secolo d.C., che vede poco fuori Porta Flaminia. Il primo e il terzo testo hanno struttura simile: Gutta - in prima persona - informa di aver ottenuto la palma delle mille vittorie rispettivamente con le fazioni veneta e prasina, elencando anche gli otto cavalli migliori utilizzati nelle gare. Il secondo testo, invece, è un elenco completo delle vittorie ottenute in carriera con tutte le fazioni, che termina con la predisposizione in vita del monumento da parte dell’auriga. Non è da escludere che il monumento sia stato reimpiegato per l’edificazione della chiesa di Santa Maria del Popolo343, ubicata presso la porta, o delle torri medievali erette durante il papato di Sisto IV. Esse, demolite nel 1876, hanno portato alla luce numerosi resti marmorei di età romana, attribuibili per lo più a monumenti funebri recuperati, molto probabilmente, dalla vicina via Flaminia. Alcuni di tali frammenti riguardano proprio un grande rilievo rappresentante tre quadrighe circensi, che è stato subito attribuito da Lanciani, Visconti e Vespignani al monumento di Gutta344. Tali frammenti sono stati ricostruiti in tre pannelli diversi, oggi conservati ai Musei

Capitolini345. Ognuno di essi rappresenta una quadriga e, uniti, formano tre lati di un monumento quadrato di 5,10 metri per lato, per 2,34 metri di altezza. Di conseguenza, la critica di fine XIX secolo ha pensato alle tre iscrizioni copiate dall’Anonimo come facenti parte del quarto lato, quello verosimilmente collocato in fronte al viandante, che avrebbe contenuto informazioni quale il nome e la predisposizione in vita del monumento. Tuttavia, da evidenze epigrafiche poste in rilievo da Manodori e qui accolte, tale lettura non pare corretta346. Ognuna delle tre lastre riportava inciso il nome dei quattro cavalli rappresentati nei rilievi. Della prima se ne conservano tre: Palmadus, Sphodria e Cossuphus; della seconda uno, il solo Philodamus; della terza, nessuno. Nelle trascrizioni

343 Hülsen 1927, p. 358, M75. 344 Cfr. Manodori 1976, p. 180, n. 6.

345 Musei Capitolini, Inventario Sculture, S 2244, Inventario Epigrafi, C.E. 7051. 346 Manodori 1976. 163 dell’Anonimo, invece, si leggono i nomi dei cavalli di due diverse quadrighe (Germinator, Silvanus, Nitidus e Saxo; Danaus, Oceanus, Victor e Vindix). Per quanto i vacat delle iscrizioni dei rilievi siano proprio otto, vista la disposizione dei nomi mantenuti è impossibile giungere a una coincidenza totale tra le quadrighe a rilievo e quelle di Calpurnio: quattro nomi andrebbero assegnati alla lastra senza nomi iscritti, ma gli altri quattro dovrebbero essere separati tra prima e terza lastra, incomplete. Inoltre:

1. parrebbe strano che l’auriga facesse scrivere nella facciata del monumento i nomi dei suoi cavalli migliori e nei rilievi altri; 2. qualora l’Anonimo avesse visto l’intero monumento avrebbe potuto fare caso e trascrivere anche i nomi degli altri cavalli.

Non è invece una motivazione valida quella avanzata da Manodori secondo cui il redattore della silloge avrebbe fatto menzione dei complessi rilievi, se li avesse visti: si è evinto infatti nel corso dell’analisi della silloge come egli si sia sempre e solo limitato alla trascrizione dei testi e mai alla descrizione degli apparati artistici delle iscrizioni. Si deve quindi escludere che i resti del rilievo circense rinvenuti nelle torri di Porta Flaminia facessero parte del monumento di Calpurniano, del quale non si hanno evidenze, ma che è probabile fosse stato reimpiegato per lavori in prossimità della porta, forse proprio presso la soprammenzionata chiesa di : le sue origini non sono chiare, ma pare che il primo nucleo di edificio cultuale risalga agli inizi del XII secolo, durante il papato di Pasquale II. Le prime notizie certe relative alla chiesa derivano da un’iscrizione del 1263, mentre la sua forma definitiva fu data da un restauro commissionato sempre da Sisto IV. È più che credibile dunque che il monumento di Calpurniano sia stato reimpiegato per quest’ultimo e monumentale restauro, avvenuto nell’ultimo quarto del XV secolo.

164 56-66: Iscrizioni del Mausoleo di Adriano347

Del Mausoleo di Adriano si è già accennato in precedenza, in quanto tre iscrizioni riportate in questa sezione erano già state copiate in precedenza, probabilmente durante un percorso diverso compiuto dal redattore. Se infatti egli aveva trascritto ad inizio silloge solo le epigrafi del lato occidentale del Mausoleo, ora si interessa dell’intera facciata. Partendo sempre dalle iscrizioni del lato sinistro fronteggiando la Mole, l’Anonimo procede in ordine verso destra, trascrivendo con precisione tutti i testi ad esclusione di quella centrale di Adriano, che per posizione si può pensare fosse coperta da macerie o un altro tipo di ostacolo alla lettura. L’importanza della silloge epigrafica del codice di Einsiedeln nella restituzione dell’intero apparato epigrafico del Mausoleo di Adriano è assoluta. Per quanto - quasi paradossalmente - l’Anonimo non abbia letto l’epitaffio dello stesso Adriano, l’iscrizione più importante e famosa della Mole348, ben sette dei dodici tituli noti dell’edificio vengono tramandati solo ed esclusivamente dal codice. È facile invero che nemmeno l’Anonimo abbia visto tutti i testi in origine iscritti sulla facciata del Mausoleo. Sappiamo dalle fonti antiche, infatti, che anche Marco Aurelio349 (e, di conseguenza, anche Faustina minore), Settimio Severo, Giulia Domna350, Caracalla351 e Geta352 erano stati sepolti nella Mole, quindi probabile era la

347 CIL VI, pp. 4313-4314; Walser 1987, pp. 116-125, nn. 56-66.

348 CIL VI, 984: “Imp(eratori) Caesari Divi Traiani Parthici filio Divi / Nervae nepoti Traiano Hadriano Augusto, / pont(ifici) max(imo) trib(unicia) pot(estate)̅ X̅ X̅ II̅ , imp(eratori)̅ II̅ , co(n)s(uli) ̅ II̅ I̅ , p(atri) p(atriae), et Divae Sabinae / Imp(erator) Caesar T(itus) Aelius Hadrianus Antoninus Aug(ustus) Pius / pontifex max(imus), tribun(icia) potest(ate) II̅ , co(n)s(ul) I̅ I̅ , design(atus) I̅ II̅ , p(ater) p(atriae), / parentibus suis”. Prime testimoni di questo testo sono la silloge Signoriliana e la breve raccolta del codice British Library, Add. 34758, edito per la prima volta da Petoletti in Petoletti 2004.

349 Erodiano 4, 1, 4: “ἀπέθεντο (la processione che accompagnava l’urna con le ceneri di Settimio Severo) ἐν τῷ νεῷ ἔνθα Μάρκου τε καὶ τῶν πρὸ αὐτοῦ βασιλέῶν ἱερὰ µνῆµατα δεῖκνυται”. 350 Cassio Dione, 77, 15, 4: "αὐτὴν ἐνέβαλον, καὶ τὸ πῦρ οἱ υἱεῖς ἐνῆκαν. καὶ µετὰ τοῦτο τὰ ὀστᾶ ἐς ὑδρίαν πορφυροῦ λίθου ἐµβληθέντα ἔς τε τὴν Ῥώµην ἐκοµίσθη καὶ ἐς τὸ Ἀντωνινεῖον".

351 Cassio Dione, 79, 9, 1: “τοῦ δ᾽ οὖν Ἀντωνίνου τό τε σῶµα ἐκαύθη, καὶ τὰ ὀστᾶ ἐν τῷ Ἀντωνινείῳ, κρύφα νυκτὸς ἐς τὴν Ῥώµην κοµισθέντα, ἐτέθη: πάνυ γὰρ πάντες οἱ βουλευταὶ καὶ οἱ ἰδιῶται, καὶ ἄνδρες καὶ γυναῖκες, ἰσχυρότατα αὐτὸν ἐµίσησαν, ὥστε καὶ λέγειν καὶ ποιεῖν πάντ᾽ ἐπ᾽ αὐτῷ ὡς καὶ πολεµιωτάτῳ". 352 Cassio Dione, 79, 24, 3: “καὶ ἀκραιφνὴς καὶ διαρκὴς ὑπάρχῃ. καὶ τὰ µὲν τῆς Ἰουλίας οὕτως ἔσχε, τό τε σῶµα αὐτῆς ἐς τὴν Ῥώµην ἀναχθὲν ἐν τῷ τοῦ Γαΐου τοῦ τε Λουκίου µνήµατι κατετέθη: ὕστερον µέντοι καὶ ἐκεῖνα, ὥσπερ καὶ τὰ τοῦ Γέτα ὀστᾶ, πρὸς τῆς Μαίσης τῆς ἀδελφῆς αὐτῆς ἐς τὸ τοῦ Ἀντωνίνου τεµένισµα µετεκοµίσθη". 165 presenza dei loro epitaffi lungo il basamento dell’edificio. Osservando la ricostruzione di Hensen (fig. 43) si può ipotizzare essi si trovassero negli spazi vuoti lungo il lato alla sinistra della porta d’ingresso osservando di fronte il complesso.

Fig. 43: ricostruzione del mausoleo di Adriano, da Hülsen 1891.

1. Epitaffio di Adriano e Sabina (CIL VI 984) 2. Epitaffio di Antonino Pio (CIL VI 986) 3. Epitaffio di Faustina Maggiore (CIL VI 987) 4. Epitaffio di M. Aurelio Fulvo Antonino (CIL VI 998) 5. Epitaffio di M. Galerio Aurelio Antonino (CIL VI 989) 6. Epitaffio di Aurelia Fadilla (CIL VI 990) 7. Epitaffio di T. Aurelio Antonio (CIL VI 993) 8. Epitaffio di T. Elio Aurelio (CIL VI 994) 9. Epitaffio di Domizia Faustina (CIL VI 995) 10. Epitaffio di L. Elio Cesare (CIL VI 985) 11. Epitaffio di Lucio Vero (CIL VI 991) 12. Epitaffio di Commodo (CIL VI 992)

166 Il Mausoleo di Adriano è stato sovente discusso e analizzato nel corso degli anni, con i recenti lavori di Paolo Vitti353 che offrono una panoramica dettagliata ed esaustiva delle sue vicende storico-architettoniche e importanza topografica. Ciò che manca, però, è una bibliografia moderna che si concentri specificatamente sulla storia “epigrafica” del Mausoleo, la quale può essere solo congetturata sulla base della tradizione dei testi trasmessa dal CIL, da relazionarsi alle vicissitudini storiche dell’edificio per presupporre i tempi e le modalità di scomparsa di tutte le iscrizioni della Mole.

56. Epitaffio di Commodo

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 56. Mausoleo di 76r CIL VI 992 EDR104033 No No Adriano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 76r (www.e-codices.ch)

CIL VI 992 (EDR104033) Ìmperatori Caesari Dìvi Marci Antonini Piì Germanici Sarmatici filio, Dìvi Piì nepoti, Dìvi Hadriani pronepoti, Dìvi Traiani Parthici abnepoti, Dìvi Nervae adnepoti, L(ucio) Aelio Aurelio Commodo Augusto Sarmatico, Germanico maximo, Britannico, pontifici maximo, tribuniciae potestat(is) X̅ V̅ I̅ I̅ I̅ , imperat(ori) V̅ I̅ I̅ I̅ , consuli V̅ I̅ I̅ , patri patriae.

353 Vitti 2014; Vitti 2018. 167 Il primo testo copiato è l’epitaffio di Commodo, il più lungo del Mausoleo ad esclusione di quello di Adriano. Si tratta dell’iscrizione più tarda del complesso tra quelle accertate dalla tradizione. L’imperatore è infatti morto nel 192, mentre le altre persone ivi sepolte erano venute a mancare in due periodi distinti, ma vicini, compresi l’uno tra il 132 e il 142, l’altro tra 161 e 169. La disposizione nella Mole dell’imperatore risale al regno di Pertinace Augusto (192-193)354, ma l’apposizione dell’epitaffio non sarebbe avvenuta prima del 195, anno in cui Settimio Severo ha restaurato la memoria di Commodo, damnata già dal primo gennaio 193. Secondo la ricostruzione grafica della disposizione delle iscrizioni di Hülsen (fig. 43), la tabula si trovava in una posizione diversa rispetto alle altre incluse nella Mole: se quella di Adriano si trovava sopra la porta di ingresso e le altre dieci si trovavano nel basamento, questa di Commodo si trovava ad un’altezza superiore, giusto sopra l’iscrizione di Lucio Vero. Dal momento che, come visto, è probabile che il resto del basamento fosse occupato dagli epitaffi di Marco Aurelio, Faustina Minore, Settimio Severo, Giulia Domna, Caracalla e Geta, si può dedurre la lastra in memoria di Commodo sia stata posizionata altrove nella facciata in quanto non vi erano più spazi nel basamento. Ne consegue che la sua apposizione risalirebbe ad un periodo successivo alla morte di tutti gli altri membri della famiglia imperiale sepolti nel Mausoleo. Se si tengono in considerazione tutti i nomi citati sin d’ora, quindi, ciò sarebbe avvenuto dopo il 217, anno della morte di Giulia Domna e Caracalla. La tradizione dell’epitaffio di Commodo non si limita alla lettura dell’Anonimo, ma prosegue fino al XVI secolo, in particolare nella silloge Signoriliana e nella raccolta del codice British Library, Add. 34758. La lastra scomparve assieme a quella di Lucio Vero (n. 57) poco prima del 1578, anno in cui finirono i restauri della cappella in San Pietro voluti da Gregorio XIII, durante i quali, stando a quanto trasmesso da Severano, erano state usate proprio queste iscrizioni355.

354 HA., Comm. 17, 4. 355 Severano 1630, p. 2 (vedi CIL VI, p. 184): “Fu poi l’inteso Antonino con gl’alteri Antonini imperatori seguenti sepelito in detto luogo, come si legge nelle iscrittioni loro in tavole di marmo, delle quali si servì a’ tempi nostri Gregorio XIII nella fabbrica della sua cappella in S. Pietro”. 168 57. Epitaffio di Lucio Vero

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 57. Mausoleo di 76v CIL VI 991 EDR104032 No No Adriano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 76r (www.e-codices.ch)

CIL VI 991 (EDR104032) Ìmp(eratori) Caesari L(ucio) Aurelio Vero Aug(usto) Armeniac(o) Med(ico) Parthic(o), pontific(i), tribunic(ia) pot(estate) V̅ I̅ I̅ I̅ I̅ , imp(eratori) V̅ , co(n)s(uli) I̅ I̅ I̅ , p(atri) p(atriae).

Il testo dedicato a Lucio Vero, imperatore dal 161 al 169, anno della sua morte e sepoltura nel Mausoleo, gode di una tradizione del tutto uguale a quella del titulus di Commodo.

169 58-59 Epitaffi di Lucio Elio Cesare e Antonino Pio

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 58. Mausoleo di 76v CIL VI 985 EDR104016 No No Adriano 59. Mausoleo di 76v CIL VI 986 EDR104017 No No Adriano

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 76r (www.e-codices.ch)

CIL VI 985 (EDR104016) L(ucio) Aelio Caesari Divi Hadriani Aug(usti) filio co(n)s(uli) I̅ I̅ .

CIL VI 986 (EDR104017) Imp(eratori) Caesari Tito Aelio Hadriano Antonino Aug(usto) Pio pontifici max(imo), tribunic(ia) pot(estate) X̅ X̅ ̅I̅I̅I̅I, 5 imp(eratori) ̅I̅I, co(n)s(uli) ̅I̅I̅I̅I, p(atri) p(atriae).

Altra coppia di iscrizioni il cui destino sembra essere simile è quella rappresentata dagli epitaffi di Lucio Elio Cesare e di Antonino Pio. Questi si trovavano l’uno a destra, l’altro a sinistra della porta d’entrata della Mole. Entrambe le iscrizioni hanno una tradizione ulteriore a quella del codice di Einsiedeln, e vengono riportate nella silloge Signoriliana, nel

170 British Library, Add. 34758 e da altri autori rinascimentali. Esse pare siano andate distrutte durante il papato di Alessandro VI, il quale aveva commissionato un’ingente opera di restauro e fortificazione dell’edificio che aveva riguardato anche l’ingresso. Stando ad una testimonianza del 1506 di Raffaele Maffei relativa all’iscrizione di Antonino Pio essa sarebbe stata da lui vista per l’ultima volta proprio pochi anni prima del restauro della mole356.

60-66 Le iscrizioni minori Scomparse di sicuro da prima della redazione della silloge Signoriliana sono invece le sette iscrizioni che seguivano la tabula di Antonino Pio lungo il lato destro della facciata. Queste non solo sono state trascritte esclusivamente dalla silloge di Einsiedeln, ma non sono nemmeno state copiate e trasmesse partendo dalla silloge fino alla riscoperta del codice da parte di Jean Mabilion nel 1685.

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto CIL oggi Einsiedeln 60. Mausoleo di 76v CIL VI 987 EDR104018 No No Adriano 61. Mausoleo di 76v CIL VI 988 EDR104019 No No Adriano 62. Mausoleo di 76v CIL VI 989 EDR104020 No No Adriano 63. Mausoleo di 76v CIL VI 990 EDR104031 No No Adriano 64. Mausoleo di 76v CIL VI 993 EDR104034 No No Adriano 65. Mausoleo di 76v-77r CIL VI 994 EDR104035 No No Adriano 66. Mausoleo di 77r CIL VI 995 EDR104036 No No Adriano

356 CIL VI, p. 184: “Videtur interiisse cum Alexander VI novum illum aditum faceret, dicit enim Volaterranus, qui scripsit a. 1506, se eam aperte leggisse paulo ante quam castrum S. Angeli reconcinnaretur”. 171 Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 76v-77r (www.e-codices.ch)

- CIL VI 987 (EDR104028) è l’epitaffio di Faustina maggiore, moglie di Antonino Pio,

divinizzata nel 141, ad un anno dalla morte357.

Divae Faustin[a]e Augustae Imp(eratoris) Caesaris T(iti) Aelii Hadriani Antonini Aug(usti) Pii, pontif(icis) maximi, trib(unicia) pot(estate) I̅ I̅ II̅ , co(n)s(ulis) I̅ II̅ , p(atris) p(atriae).

- CIL VI 988 (EDR104029) è l’epitaffio di Marco Aurelio Fulvo Antonino, figlio di Antonino

Pio, morto nel 138.

M(arcus) Aurelius Fulvus Antoninus filius Imp(eratoris) Caesaris T(iti) Aelii Hadriani Antonini Aug(ust) Pii p(atris) p(atriae).

357 Malavolta 2015, p. 387. 172 - CIL VI 989 (EDR104030) è l’epitaffio di Marco Galerio Aurelio Antonino, figlio di

Antonino Pio, morto nel 138.

M(arcus) Galerius Aurelius Antoninus filius Imp(eratoris) Caesaris T(iti) Aelii Hadriani Antonini Aug(usti) Pii, p(atris) p(atriae).

- CIL VI 990 (EDR104031) è l’epitaffio di Aurelia Fadilla, figlia di Antonino Pio, morta nel

138.

Aurelia Fadilla, filia Imp(eratoris) Caesaris T(iti) Aelii Hadriani Antonini Augusti Pii, p(atris) p(atriae).

- CIL VI 993 (EDR104034) è l’epitaffio di Tito Aurelio Antonino, figlio di Marco Aurelio,

morto nel 161.

T(itus) Aurelius Antoninus M(arci) Aurelii Caesaris filius, Imp(eratoris) Antonini Augusti Pii p(atris) p(atriae) nepos.

- CIL VI 994 (EDR104035) è l’epitaffio di Tito Elio Aurelio, figlio di Marco Aurelio, morto

nel 161.

T(itus) Aelius Aurelius, M(arci) Aurelii Caesaris et Faustinae Aug(ustae) filius Imp(eratoris) Antonini Augusti Pii, [p(atris) p(atriae)], 5 nepos.

173 - CIL VI 995 (EDR104035) è l’epitaffio di Domizia Faustina, figlia di Marco Aurelio, morta

nel 161.

Domitia Faustina M(arci) Aurelii Caesaris filia Imp(eratoris) Antonini Augusti Pii, p(atris) p(atriae) neptis.

Si sono definiti questi testi minori tanto per l’importanza quanto per la loro struttura ed impostazione, ripetitive e basilari. Come si è sopra accennato, si può trovare nella redazione della silloge Signoriliana e della raccolta del British Library, Add. 34758 il termine ante quem per la scomparsa di questi sette testi: essi, infatti, furono i primo dopo l’Anonimo di Einsiedeln a trascrivere i testi inseriti nel Mausoleo e, qualora questi epitaffi fossero stati visibili, è certo credere che li avrebbero riportati. Definire quando queste sette iscrizioni sono state andate disperse è difficile: il vacat temporale tra la silloge di Einsiedeln e la fine del XIV e l’inizio del XV secolo è ampio, così come varie sono le vicissitudini che nel Medioevo hanno coinvolto il Mausoleo di Adriano, dapprima oggetto del desiderio di diverse ricche famiglie aristocratiche romane, quindi legato indissolubilmente alle sorti del papato dal 1367, anno del passaggio delle chiavi a papa Urbano V358. Qualsiasi momento compreso tra VIII/IX e inizio XV secolo potrebbe essere considerato, per non parlare del fatto che non è nemmeno certo che le sette tabulae siano state perse in contemporanea. Tuttavia, dal momento che gli altri cinque testi della mole si sono conservati fino al XVI secolo, si può proporre una data piuttosto bassa anche per la scomparsa degli epitaffi in esame: si può ipotizzare, ad esempio, è che questa sia avvenuta in seguito alla rivolta del 1379 da parte della folla inferocita contro la guarnigione francese lasciata a presidio del castello da Urbano V. Il popolo di Roma aveva quasi raso al suolo l’edificio, poi iniziato a restaurare nel 1395 su commissione di Bonifacio IX, il quale aveva chiesto all’architetto Niccolò Lamberti di fortificare l’ingresso al castello attraverso una rampa di accesso e un ponte levatoio359. La perdita delle iscrizioni sarebbe potuta avvenire tanto durante i moti, quanto durante il restauro. Se il primo è un evento sicuramente più “traumatico” e che avrebbe potuto tranquillamente portare alla rottura delle lapidi, risulta tuttavia difficilmente spiegabile il motivo per cui quasi la metà dei testi sia rimasto intatto ed interamente

358 Cfr. Pagliucchi 1906, pp. 3-27. 359 Vitti 2014, p. 258. 174 leggibile, soprattutto se consideriamo che le iscrizioni perdute sono quelle meno importanti. Nel caso del restauro, invece, si può pensare l’architetto abbia deciso per il reimpiego 'non esposto' delle sette lastre, considerate minori e quindi non meritevoli di conservazione. Nel complesso, la carenza di fonti e documenti iconografici medievali non permette a pieno di ricostruire le sorti del Mausoleo in questo periodo storico. Per ciò che concerne la redazione della silloge, si è già visto nell’analisi delle schede 4, 5 e 5a come la dicitura in Adriano potrebbe confondere circa la datazione, dal momento che dizione di Castel Sant’Angelo è documentata appena dopo il 590, anno della visione dell’arcangelo Michele sopra la mole da parte di Gregorio Magno. Tuttavia sappiamo dai Mirabilia di XII secolo che la memoria dell’edificio in quanto monumento funebre di

Adriano rimase viva360: non deve dunque stupire che negli ipotetici anni di redazione della silloge questa denominazione fosse ancora in uso. Inoltre, sempre riprendendo quanto scritto nelle schede 4, 5 e 5a, è giusto notare come le indicazioni topografiche dei testi tra nn. 56 e 66, suddivisi in in Adrianio in parte australi e item in ipso in altera parte, suggeriscono che chi trascriveva i testi doveva trovarsi di persona di fronte al monumento, così come che la frase in alio loco plenius scripsi, copiata come indicazione topografica per i testi 5 e 5a dal copista di IX secolo, in origine doveva essere una nota a margine del redattore, il quale rimandava ad una più approfondita trascrizione dei tituli della mole altrove nella silloge. Il lavoro, dunque, doveva essere veramente di un singolo individuo, passato per il Mausoleo due volte. Dal momento che le prime trascrizioni dalla Mole si trovano ad inizio silloge, le seconde quasi alla fine, è giusto poter pensare che anche tutti i testi compresi tra le une e le altre siano opera dello stesso Anonimo.

360 Valentini - Zucchetti 1946, pp. 46-47. 175 67 (68), 71, 74, 75. Gli epigrammata damasiani La silloge di Einsiedeln riporta quattro delle numerose iscrizioni in versi redatte durante il suo papato da Damaso, pontefice poeta in carica tra 366 e 384 e responsabile dell’esplosione in Roma del culto dei martiri e dello sviluppo di una nuova epica epigrafica martoriale. Lo scopo di Damaso era doppiamente cultuale ed ideologico: gli epigrammata segnavano in un certo senso quali fossero i luoghi di culto più importanti secondo le sfere alte della Grande Chiesa nel IV secolo e l’insieme di clausole, formule e aggettivazioni, unite all’esametro, costituivano una sorta di nuova epica cristiana, dove gli eroi sono quei martyres sancti361, beatissimi362 ed egregii363 che, con la loro morte per mano del carnifex

rabidus364, si sono fatti esempio dei Christi triumphos365, divenendo cittadini romani e consolidando il primato di Roma come epicentro della cristianità. Il responsabile per l’incisione degli epigrammata era Furio Dionisio Filocalo, celebre calligrafo attivo all’epoca e responsabile, tra le varie cose, di un calendario illustrato del 354 e di due calendari per la commemorazione dei martiri e dei papi dal 255 al 335366. Le modalità di trascrizione del testo sono uniche ed innovative rispetto al vigente panorama epigrafico: Filocalo riprende la tradizione di primo secolo, recuperandone la forma quadrata delle lettere e l’eleganza del tratto, e la filtra attraverso una propria identità artistica, guadagnandone in monumentalità ed originalità367. Così queste grandi lastre marmoree, che sono ormai il fulcro artistico delle cripte e delle basiliche cimiteriali, collocate nei punti più strategici e visibili di questi ambienti, diventano il primo veicolo di diffusione del messaggio cristiano, attraverso però i modi e le forme della tradizione classica: l’esametro e le formule testuali attingono da Virgilio e il medium epigrafico richiama la funzione comunicativa svolta con gli epitaffi degli Scipioni e nelle Res Gestae Divi Augusti368.

361 ED 25, 8; 42, 5. 362 ED 24, 46, 1.

363 ED 33, 4. 364 ED 28, 3.

365 ED 8, 8; 25, 7. 366 Carletti 2008, pp. 80-81.

367 Ferrua 1991, p. 46. 368 Carletti 2008, p. 82. 176 Le conseguenze dirette sono un rinnovamento del formulario funerario cristiano, in cui i martiri vengono innanzitutto invocati per accompagnare e garantire l’ingresso nell’aldilà delle anime dei cari che commissionano le iscrizioni, e quindi menzionati negli epitaffi funebri di quegli individui che ottengono una sepoltura ad essi vicina. Il fenomeno delle sepolture ad sanctos sancisce in un primo momento l’emergere delle differenze sociali interne alla comunità cristiana di IV secolo, che si riflette ad esempio nel sepolcro di Uranio

Satiro369, predisposto accanto alla tomba del martire Vittore nella basilica martyrum di Milano dal fratello del defunto, il vescovo Ambrogio, mentre già in V secolo l’onomastica martiriale assume un valore topografico, ad indicare cioè in quale zona del cimitero si trovasse la sepoltura in cui il messaggio era iscritto. D’altro canto, la monumentalizzazione epigrafica e architettonica dei cimiteri si riflette nell’accentuazione di flussi di pellegrini da ogni parte d’Italia e d’Europa, che giungono a Roma per prestare ossequi ai martiri ivi sepolti e, talvolta, sulla scia di quanto già visto, incidere un proprio messaggio sulle pareti di questi luoghi di culto. La realtà rappresentata dai viatores ad martyres costituisce un rilevante elemento di congiuntura tra la tarda antichità romana e il primo Medioevo, tanto dal più generale punto di vista cultuale, con il confermarsi dell’importanza degli itinerari damasiani, quanto da quello più specifico dell’epigrafia. Il fatto che l’Anonimo riporti questi testi a secoli di distanza dalla loro disposizione, è indice in primo luogo della conservazione degli stessi, in secondo della loro importanza cultuale, culturale ed anche artistica. Anche qualora infatti non fosse a conoscenza della provenienza degli epigrammi, non è da dubitare che la vista di grandi lastre con testi ben scritti ed esaustivi a livello contenutistico abbia attirato l’attenzione del viandante, che si è visto essere particolarmente incline a ricopiare iscrizioni di dimensioni rilevanti e ben leggibili.

369 ILCV 2165: Uranio Satyro supremum frater honorem / martyris ad laevam detulit Ambrosius / heat meriti merce, ut sacri sanguinis umor / finitimas penetrans adluat exuavis. 177 67-68. Iscrizioni dei Santi Proto e Giacinto370

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR/ED/ oggi Einsiedeln ILCV 67. Cimitero di 77r ICVR X EDB11294 No No Bassilla 26668; ED 47 68. Cimitero di 77r ILCV 1985 - No No Bassilla

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 77r (www.e-codices.ch)

ICVR X 26668; ED 47 (EDB11294) Extremo tumulus latu[it sub aggere montis] hunc Damasus monstrat [servat quod membra piorum] te Protum retinet mel[ior sibi regia caeli] sanguine purpureo se[queris Hyacinthe pr]o[bat]us 5 germani fratres ani[mis ingentibu]s amb[o] hic victor meruit pa[lmam prior ille cor]o[nam].

370 Walser 1987, pp. 125-127 nn. 67, 68. 178 ILCV 1985 Sepulcrum s(an)c(t)i martyris Yiacinthi Leopardus pr(es)b(yter) ornavit. Depo(situs est) III id(us) Sep(tembres).

Il primo epigramma damasiano ricopiato dall’Anonimo è quello dei fratelli Proto e Giacinto, letto in via Pincia in sepulchro Proti mar(tyris). Riportato anche dalla silloge di

Lorsch371, il testo si trovava in una cripta del cimitero di Sant’Ermete, altresì appunto detto

cimitero dei santi Proto e Giacinto o, più comunemente, di Bassilla372. La cripta in cui erano stati sepolti i due santi fu rinvenuta il 21 marzo 1845373. Quivi erano ancora leggibili varie iscrizioni di cui due, l’una in un pezzo di marmo bianco e con lettere damasiane, l’altra murata, riferivano i seguenti testi: Sepulcrum Proti m[artyri - - -] e D(e)p(ositus) III idus Septebre[m] Yacinthus martyr. I due santi, dunque, disponevano ciascuno del proprio loculo, come testimonia la stessa silloge di Einsiedeln, che subito dopo l’epigramma di Damaso riporta un’altra iscrizione dalla cripta indicandola in sepulchro Yacinthi in via Pincia. Ulteriore conferma della divisione dei fratelli è che il corpo di Proto, e con esso l’iscrizione damasiana, erano stati trasferiti da Leone IV già nel IX secolo nella basilica dei - dove ancora oggi parte dell’epigramma è leggibile - mentre i resti del corpo di Giacinto sono stati rinvenuti, per lo più bruciati, nel 1845 all’interno di un loculo della cripta. Quest’ultima, a circa un secolo dalla disposizione dei due martiri, era stata sgomberata dalle rovine che ne vietavano l’accesso da Damaso, come si può leggere dal testo riportato dall’Anonimo. Secondo la tradizione, Proto e Giacinto erano due eunuchi dell’imperatore Gallieno, convertiti al cristianesimo da Eugenia, figlia di un prefetto dell’Egitto chiamato Filippo, ed educati nella fede proprio da Bassilla, nipote di Gallieno. Andarono incontro al martirio l’uno di seguito all’altro, prima Proto e poi Giacinto. Il giorno del martirio e del conseguente natale dei due è l’11 settembre, come appurato nei calendari dei martiri, in una delle due iscrizioni rinvenute nella cripta nel 1845 e nel secondo testo riportato

371 Cfr. de Rossi 1888, p. 141 nr. 41.

372 LTURS I, pp. 211-214. 373 Sulle vicende archeologiche della catacomba e relative discussioni sulla sepoltura dei due santi si veda Cavedoni 1849. 179 dall’Anonimo. Quest’ultimo, di cui la silloge è unica testimone, riporta che Giacinto fu lì deposto l’11 settembre, e che il sepolcro era stato ornato dal presbitero Leopardo. L’Anonimo visita la cripta in un periodo antecedente al trasporto del corpo di Proto e dell’epigramma damasiano nella basilica dei Santi Quattro Coronati. Se, viste le scoperte archeologiche del 1845, qui si trovavano anche altre iscrizioni, resta da capire perché solo due vengano riportate: il motivo, si crede qui, sta nella ripetitività dei contenuti testuali, che ha portato il redattore a preferire i testi più importanti e con più informazioni. Il testo

dell’iscrizione viene tramandato anche da Gruter374.

71. Iscrizione dei martiri Nereo e Achilleo375

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR/ED oggi Einsiedeln 71. Catacombe 77rv ICVR III EDB24864 Sì, Sì, di Domitilla 8132; ED 8 frammento frammento

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 77rv (www.e-codices.ch)

374 Gruter 1603, p. 1172, nr. 9. 375 Walser 1987, pp. 128-129 nr. 71; 180 ICVR III 8132; ED 8 (EDB24864) Nereus et Achilleus martyres militiae nomen dederant saevumq(ue) gerebant officium pariter spectantes iussa tyranni praeceptis pulsante metu servire parati- 5 mira fides rerum subito posuere furore(m) conversi fugiunt ducis inpia castra relinquunt proiciunt clipeos faleras telaq(ue) cruenta confessi gaudent Chri(sti) portare triumphos credite per Damasum possit quid gloria Christi

L’Anonimo riporta gli otto versi dell’epigramma damasiano dedicato ai martiri Nereo Achilleo. Il testo - trasmesso anche dalle sillogi di Tours376 e Lorsch377 - riferisce che i due martiri erano soldati romani a servizio di un crudele persecutore - Diocleziano, probabilmente - i quali, convertitisi, fuggirono dal campo militare e confessarono la fede in Cristo. Non vi sono altre testimonianze in merito a questa leggenda, che Damaso stesso giustifica con la frase credite per Damasum. Si propone che questa versione della storia sia stata inventata dal papa poeta sulla base delle vicissitudini di San Paolo. Altresì inventate sono le vicende narrate negli Atti dei santi Nereo e Achilleo, un insieme di scritti di V secolo, in greco e latino, in cui i due sono due eunuchi al servizio di Domitilla. Convertiti da San Pietro, vengono torturati e decapitati per aver convinto Domitilla a scegliere la castità e il velo sacro invece del matrimonio378. Un suo frammento è stato rinvenuto all’interno di una chiesa ipogea dedicata ai due santi, situata nella basilica ipogea dedicata ai due Santi nelle catacombe di Domitilla nella via Appia379. Riscoperta da de Rossi nel 1874380, essa ha una storia non ancora definita appieno: la data precisa della sua costruzione è, infatti, ancora oggetto di discussione. In virtù di evidenze

376 Cfr. de Rossi 1888, p. 67 nr. 28.

377 Cfr. de Rossi 1888, p. 101 nr. 20. 378 Si veda la versione in latino trasmessa da Lorenzo Surio (Surio 1518, pp. 147-151).

379 LTURS II, pp. 203-207. 380 Si veda de Rossi 1874. 181 architettoniche ed epigrafiche, in principio de Rossi ne aveva proposto le origini tra il 390 e il 395, dunque sotto il successore di Damaso, papa Simicio. Tuttavia, lo studioso asserisce con fermezza che l’epigramma in questione dovesse sicuramente essere opera del papa poeta. Dalla sua lettura si dovrebbe dedurre dunque che l’iscrizione fosse presente non nella basilica, ma in prossimità del sepolto dei due martiri, laddove Simicio avrebbe pochi anni dopo fatto sorgere l’edificio. Come invero nella lettura di de Rossi, anche in questo caso la chiesa sarebbe andata edificata comprendendo sia il sepolcro dei due martiri che l’epigramma damasiano, posto nell’abside. Non è tuttavia da escludere che l’intervento di VI secolo abbia potuto comprendere un restauro di una preesistente basilica. Il secolo VIII è quello più splendente per la chiesa. Nota anche con il nome di Santa Petronilla, ivi sepolta, la basilica era stata nominata stazione annua e decorata con preziosi ornamenti da Gregorio III (714-741), e al suo interno era contenuta un’ampolla con olii provenienti dai sepolcri di Petronilla, Nereo e Achilleo. Parimenti, di seguito alle guerre con i Longobardi del 755, Paolo I iniziò a trasferire alcuni corpi di santi e martiri in luoghi più sicuri e il corpo di Petronilla e la sua iscrizione (secondo de Rossi), vennero traslati in Vaticano. I corpi di Nereo e Achilleo, invece, rimasero in via Appia381 fino all’814, quando papa Leone III fece costruire una nuova chiesa dedicata ai due santi presso il rione Celio, vicino alle terme di Caracalla. Il motivo che aveva spinto Leone III a ricostruire la chiesa era, stando al Liber Pontificalis, lo stato di degrado della stessa, vittima negli anni di una serie di inondazioni382. Tuttavia è certo che l’Anonimo ha visto e letto l’epigramma damasiano nella prima chiesa: egli specifica che si trova in sepulchro Nerei et Achillei in via Appia proprio dove, si è visto, un frammento dell’epigrafe è stato rinvenuto. Facile sarebbe pensare dunque che il redattore lì si fosse recato prima dell’edificazione della nuova chiesa dedicata ai due martiri e, di conseguenza, considerare il restauro di papa Leone III come termine ante quem la redazione della silloge. Tuttavia ciò non è possibile: l’Anonimo fa riferimento al sepuclhrum di Nereo e Achilleo e non, come altrove nella silloge, alla aeclesia o basilica. Di conseguenza è possibile che egli fosse giunto alle catacombe di Domitilla quando già la chiesa dei Santi Nereo e Achilleo al rione Celio era

381 De Rossi 1874, pp. 30-32. 382 Valentini - Zucchetti 1942, p. 307: “Conspiciens ecclesiam beatorum martyrum Nerei et Achillei prae nimia vetustate deficere atque aquarum inundatiam repleri, iuxta eandem ecclesiam noviter a fundamentis in loco superiore ecclesiam (construxit) mire magnitudinis et pulchritudinis decoratam”. 182 stata eretta, e il complesso della via Appia “declassato” da chiesa a semplice santuario. È possibile infatti che Leone III, consapevole dell’importanza che in ogni caso avrebbe mantenuto il luogo di sepoltura dei due Santi, si fosse in ogni caso impegnato nel mantenerne viva la memoria attraverso proprio il titulus damasiano. In questo caso, dunque, l’814 diventerebbe termine post quem la redazione della silloge. Trattandosi tuttavia di mera congettura, si preferisce non far uso di questo titulus ai fini della datazione della silloge.

183 74. Iscrizione dei martiri Felice e Adautto383

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR/ED oggi Einsiedeln 74. Catacombe 78v ICVR II EDB16166 No No di 6016; ED 7 Commodilla

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 78v (www.e-codices.ch)

ICVR II 6016; ED 7 O semel atque iterum vero de nomine Felix qui intemerata fide contempto principe mundi confessus Christum caelestia regna petisti o vere pretiosa fides cognoscite fratris 5 qua ad caelum victor pariter properavit Adauctus presbyter his Verus Damaso rectore iubente conposuit tumulum sanctorum limina adornans Felix ed Adauctus martyres.

La silloge riporta per intero il testo damasiano di Felice e Adautto, un frammento lapideo del quale è stato rinvenuto in loco nella basilica ipogea dedicata ai due santi in via Ostiense, presso le catacombe di Commodilla384. L’edificio era sorto, su commissione di Giovanni

383 Walser 1987, pp. 130-132, nr. 74; Weiland 1994, p. 631. 384 LTURS II, pp. 134-140. 184 I385, nella cripta dove i due santi erano stati sepolti in due loculi l’uno sopra l’altro e protetti da un prospetto architettonico sormontato dall’iscrizione damasiana386.

Quest’iscrizione, trasmessa anche dalle sillogi di Tours387, Centulense388 e di Lorsch389, pare essere la prima menzione dell’esistenza dei due, i quali non erano citati nell’elenco dei martiri del 354390. Facile dunque che lo stesso contenuto del testo fosse inventato da Damaso, che afferma come i due fossero fratelli e che Felice, meritevole del suo nome in virtù del suo approccio alla morte, era morto prima di Adautto. Il sepolcreto era stato edificato con l’aiuto del presbitero Vero. Una tradizione più tarda vede invece Felice come un prete cristiano condannato a morte sotto Diocleziano per non aver tributato onori agli dei. In suo supporto venne uno sconosciuto, anch’egli torturato e ucciso, di cui non si conosceva il nome, motivo per cui gli venne attribuito l’appellativo adauctus, “aggiunto”. Nella catacomba sono presenti anche diversi dipinti, due dei quali ritraggono i santi. Il primo, con Felice e Adautto ai lati di Cristo si trova con altri dipinti nel cubiculum di Leone, prefetto dell’annona di IV secolo che, stando ad un’iscrizione dipinta, ancora in vita aveva fatto istituire un nucleo privato per sé in quello che definiva appunto in (cemeterio) Adauti et Feli(c)is; nel secondo essi si trovano ai lati di una Madonna con bambino e, presentata dal giovane Adautto, vi è la defunta Turtura, in onore della quale il figlio aveva commissionato il dipinto, accompagnato da un’esaustiva e lunga iscrizione391. Pare evidente, dunque, che il culto dei due martiri fosse ben istituito nella catacomba. Tuttavia, anche i santi Nemesio ed Emerita erano venerati nel cimitero, con la seconda probabilmente sepolta addirittura nella stessa cripta di Felice e Adautto. Stupisce, a dire il vero, che l’epigramma di Damaso sia l’unico trascritto dalla catacomba di Commodilla. Le iscrizioni ivi presenti, infatti, sono numerose, di un certo impatto visivo e

385 Izzi 2014, p. 144. 386 Carletti 1994, pp. 10-17.

387 Cfr. de Rossi 1888, p. 67 nr. 29. 388 Cfr. de Rossi 1888, p. 82 nr. 20.

389 Cfr. de Rossi 1888, pp. 102-103 nr. 32. 390 Walser 1987, p. 131.

391 ICVR II 6018: “Suscipe nunc lacrimas mater natique sup⌜er⌝stis / quas fundet gemitus laudibus ecce tuis / pos(t) mortem patris servasti casta mariti / sex triginta annis sic viduata fidem / officium nato patris matrisque gerebas / hic requiexcit in pace Turtura || / || in subolis faciem vir tibi vixit obas / Turtura nomen abis set turtur vera fuisti / cui coniux moriens non fuit alter amor / unica materia est quo sumit femina laudem / quod te coniugio exibuisse doces /que bisit pl̅ (us) m̅ (inus) annus LX”. 185 tutte di età anteriore all’ipotetica data di redazione della silloge originaria, da porre all’VIII secolo. Le chiavi di lettura sul perché solo una sia contenuta nella silloge sono due: nella prima è scelta propria del redattore quella di trascrivere solo il testo di Felice e Adautto, in quanto più autorevole e illustre rispetto agli altri della catacomba; nella seconda, invece, solo il testo damasiano è stato copiato dall’epitomatore più tardo della silloge, che avrebbe potuto tralasciare altri testi ritenuti meno importanti. Entrambe le letture sono possibili, ed entrambe partono dallo stesso presupposto, già visto nell’analisi del criptico testo ad Sanctum Sebastiani (nr. 32): Anonimo o copista erano interessati solamente a tituli cristiani o provenienti da chiese, basiliche ed edifici particolarmente importanti, o, nel caso dei tituli funerari, quasi esclusivamente dagli epigrammata damasiani. Illustri, appetibili alla lettura e soprattuto completi e ben leggibili, essi sarebbero potuti essere il focus della ricerca del primo o, d’altro canto, gli unici meritevoli di essere riportati nella raccolta dal secondo.

186 75. Iscrizione dei santi Pietro e Paolo392

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto ICVR/ED oggi Einsiedeln 75. Catacombe 78v ICVR V EDB5397 No No di San 13273; ED Sebastiano 20

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 78v (www.e-codices.ch)

ICVR V 13273; ED 20 (EDB5397). Hic habitasse prius sanctos cognoscere debes nomina quisq(ue) Petri pariter Pauliq(ue) requiris discipulos Oriens misit quod sponte fatemur sanguinis ob meritum Chr(ist)umq(ue) per astra secuti 5 aetherios petiere sinus regnaque piorum Roma suos potius meruit defendere cives haec Damasus vestras referat nova sidera laudes.

Secondo la tradizione del Liber Pontificalis papa Damaso “dedicavit platomam in Catacumbas, ubi iacuerunt corpora sanctorum apostolorum Petri et Pauli, quam et

versibus exornavit”393. Queste catacombe sono quelle di San Sebastiano, nella cui basilica l’Anonimo scrive di aver letto l’epitaffio damasiano in memoria dei due santi. Il testo,

392 Guarducci 1986, pp. 811-842; Luiselli 1986, pp. 843-854; Walser 1987, pp. 132-133, nr. 75; van den Hoek 2013, pp. 312-314; Sághy 2015, pp. 53-55. 393 Valentini - Zucchetti 1942, p. 234. 187 anch’esso trasmesso dalle sillogi di Tours394, Centulense395 e di Lorsch396, è stato oggetto di due interpretazioni principali, entrambe focalizzate sul significato da attribuire al verbo habitasse, da considerarsi come lettura corretta - così scrive infatti la silloge di Lorsch,

copiata da Gruter397 - invece di habitare come riportato nella silloge di Einsiedeln. Nel 1886 Louise Duchesne, sulla base della lettura in apertura di scheda riportata dal Liber Pontificalis, aveva proposto che nel 258, in occasione della persecuzione anticristiana di Valeriano, i cristiani di Roma avessero deciso di mettere in salvo le reliquie di Pietro e Paolo trasportandole dai rispettivi sepolcri in un nascondiglio sicuro in via Appia, da dove sarebbero state riportate indietro dopo il 313398. Il dotto francese si dichiarò convinto di questa ipotesi nel 1889399: per lui il verbo habitasse doveva essere visto come riferimento letterale alle spoglie dei due santi. Diversi studiosi di

fine XIX e XX secolo, tra cui lo stesso Carletti400, accolsero questa proposta. Al contrario molti critici, su tutti Margherita Guarducci401 e Bruno Luiselli402, hanno il verbo come riferimento non alle reliquie dei martiri, ma agli apostoli quando ancora in vita: essi, dice Damaso, un tempo avrebbero vissuto in quella che sarebbe diventata la località ad Catacumbas, in prossimità della basilica di San Sebastiano. È certo che un culto congiunto dei due fosse ivi professato, e che, di fatto, l’epicentro dell’epigramma non fosse tanto la sepoltura dei due santi quanto la disputa con l’Oriente circa la loro origine: Damaso concede che entrambi fossero nati in Oriente, ma essendo andati incontro al martirio a Roma, di conseguenza sono da considerarsi cittadini romani. E, in questo caso, avrebbe più senso far riferimento ad un abitare fisico ed in vita che non ad uno figurato post mortem. In ogni caso, una leggenda relativa alla conservazione dei corpi dei santi a San Sebastiano viene trasmessa già nel VI secolo. Una versione viene scritta da Gregorio Magno in una lettera all’imperatrice Costantina, a cui narra come, desiderosi di

394 Cfr. de Rossi 1888, p9. 65-66 nr. 20.

395 Cfr. de Rossi 1888, p. 89 nr. 45. 396 Cfr. de Rossi 1888, pp. 105 nr. 44.

397 Gruter 1603, p. 1172, nr. 12 398 Duchesne 1886, p. CVII.

399 Duchesne 1889, p. 266. 400 Carletti Ferrua 1985, pp. 30 ss.

401 Guarducci 1986, pp. 811-815. 402 Luiselli 1986, p. 844. 188 trasportare in Oriente le spoglie di Pietro e Paolo, alcuni ladri li avevano momentaneamente trasportati ad Catacumbas. Nell’atto di partire, un temporale li avrebbe fermati,

permettendo ai Romani di fermarli e riportare i corpi nelle sepolture originarie403. Da questo racconto, sicuramente fantasioso, tuttavia si possono riconoscere un breve “soggiorno” dei due corpi a San Sebastiano e un riferimento alla disputa con l’Oriente circa la paternità dei santi, per cui si propone qui che questa stessa leggenda derivasse in qualche modo da una lettura del carmen di Damaso. Per quanto concerne questa ricerca, poche cose sono da dire: sappiamo che la versione dell’iscrizione oggi leggibile in San Sebastiano è una copia di XIII secolo, e dunque almeno fino agli anni centrali del Medioevo l’originale vista dal redattore poteva essere letta. Non vi sono evidenze cronologiche sufficienti per ipotizzare quando e come l’Anonimo avrebbe trascritto il testo, per quanto non è da escludere che egli fosse stato attirato lì proprio dal culto dei due santi e dalla leggenda sopra raccontata.

403 Greg. M., epist. 4, 30. 189 69, 70, 72. Frammenti di itinerari, vedi pag. 210.

73. Iscrizione greca di Lucio Giulio Vestino404

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia IG/ Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto IGUR Einsiedeln 73. Via Ostiense 78rv IG XIV 1085; PH187695 No No IGUR I 62

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 78rv (www.e-codices.ch)

IG XIV 1085; IGUR I 62 (PH187695) ἀρχιερεῖ Ἀλεξανδρείας καὶ Αἰγύ- πτου πάσης Λευκίωι Ἰουλίωι Οὐηστί- νωι καὶ ἐπιστάτηι τοῦ Μουσείου καὶ ἐπὶ τῶν ἐν Ῥώµηι βιβλιοθηκῶν Ῥωµαι- 5 κῶν τε καὶ Ἑλληνικῶν καὶ ἐπὶ τῆς παι- δείας Ἁδριανοῦ τοῦ Αὐτοκράτορος καὶ ἐπι- στολεῖ τοῦ αὐτοῦ Αὐτοκράτορος [— — —]

404 Walser 1987, pp. 129-130 nr. 73. 190 Sulla strada che porta a Ostia, l’Anonimo vede e trascrive un’iscrizione greca ancora visibile nei primi anni del Rinascimento, ma poi andata persa405. Essa parla di una nota personalità romana, il grammatico Lucio Giulio Vestino, direttore del museo di Alessandria e quindi procurator a studiis, a bibliothecis e ab epistulis sotto Adriano. Egli discendeva da un’importante famiglia della Gallia Narbonense, a stretto contatto con la cerchia imperiale sin dalla metà del I secolo. Un omonimo Lucio Giulio Vestino406, infatti, era stato lodato inter paucos equestris ordinis ornamentum nell’Oratio Claudii de iure honorum Gallis dando407 e sotto Nerone era stato prefetto dell’Egitto408; Marco Vestino fu, molto probabilmente figlio di quest’ultimo409, divenne console nel 65, per poi morire suicida una volta perso il favore di Nerone410. Il testo trasmesso dalla silloge percorre il cursus honorum di Lucio Giulio Vestino e pare essere incompleto. Non si leggono dall’iscrizione rimandi cronologici alla carriera di Vestino: Pflaum ritiene sia stato prima procuratore in Egitto circa nel 130 e quindi funzionario a Roma nel 138411, mentre Birley circoscrive la carica ab epistulis al 120, subito dopo Svetonio412. Vi è una sola altra evidenza epigrafica che menziona Vestino, il titulus funerario del suo liberto Niconio413. Per il resto, la maggiore fonte riguardo la vita del nostro è il lessico di Suda, che lo cita tanto nell’introduzione - come responsabile della redazione di un’epitoma delle glosse di Panfilo, utilizzata come fonte nella compilazione del lessico - quanto nella sua voce specifica, dove viene detto σοφιστής prevalentemente impegnato nel settore lessicografico e con un certo interesse per il dialetto attico, come testimoniano le redazioni di ecloghe a Tucidide e ad altri autori ateniesi. Il suo nome, talvolta trascritto in maniera errata, viene trasmesso anche in

405 PIR IV, 623.

406 PIR IV, 622. 407 CIL XIII 1668.

408 Geraci 1990, p. 97. 409 PIR IV, 624.

410 Tac. ann. 15, 68-69. 411 Pflaum 1960, nr. 105.

412 Birley 1997. 413 CIL VI 9520. 191 altri lessici ed opere, tutte di carattere letterario414, e lo stesso romanzo Memorie di Adriano di Marguerite Yourcenar ne fa menzione415. Si può affermare con moderata certezza che la parte di testo letta e trascritta dall’Anonimo appartenesse al monumento funebre di Vestino e che il testo, che ricordiamo essere mutilo, fosse in origine anche iscritto in latino. Non ci è dato sapere se il redattore della silloge fosse a conoscenza di chi Vestino fosse, né tantomeno che sia riuscito a coglierne l’importanza dalla lettura del testo greco, ma resta che, come per gli altri monumenti funebri riportati nella silloge, l'impatto visivo fosse l’unica effettiva ragione di copia. Ed effettivamente, data l’importanza di Vestino, è più che credibile la sua sepoltura fosse ben visibile e decorata. Tuttavia, visto il notevole lasso di tempo tra la morte di Vestino - sconosciuta, ma da datarsi al II secolo d.C. - e le ultime attestazioni dell’epitaffio in età rinascimentale, non ci è possibile utilizzare questa suggestiva iscrizione per la circoscrizione temporale della redazione della silloge di Einsiedeln.

414 Per un prospetto generale ed un elenco dettagliato delle fonti menzionanti Vestino si veda Ippolito 2015. 415 Yourcenar 1951: “Giulio Vestino, prefetto agli studi, m'invia il suo rapporto sull'apertura di scuole pubbliche di grammatica”. Traduzione di Lidia Storoni Mazzolani. 192 76, 77, 78, 79, 80. Iscrizioni di Pavia

76-78 Iscrizioni dell’arco augusteo di Pavia416

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia CIL Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Einsiedeln 76. Arco 78v-79r CIL V 6416 EDR070617 No No Augusteo di Pavia 77. Arco 78v-79r CIL V 6416 EDR070618 No No Augusteo di Pavia 78. Arco 78v-79r CIL V 6416 EDR070619 No No Augusteo di Pavia

Einsiedeln Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 78v-79r (www.e-codices.ch)

416 Walser 1987, pp. 133-140 nn. 76-78; SupplIt 9, pp. 232-233; SupplIt 22, p. 256; Scuderi 2013, pp. 421-423; Maggi 2014, pp. 59-65. 193 Le prime tre voci dell’ultima parte della silloge - quella comprendente tituli trascritti a Pavia - riportano in maniera confusa una serie di iscrizioni della domus Augusta lette dall’Anonimo su di un arco a tre fornici con gruppo statuario in onore della famiglia imperiale posto sulla porta di Ticinum. L’effettiva attribuzione del complesso a Pavia è stata discussa da Charles Brian Rose negli ultimi anni del secolo scorso417. Lo storico americano ha affermato infatti che il monumento fosse da attribuire alla porta Appia di Roma per due motivi: il primo è che non sono noti resti di archi di età romana a Pavia, il secondo che la trascrizione del testo segue di poco una sezione della silloge in cui si propone parte di uno degli itinerari inclusi nella sezione successiva del codice di Einsiedeln. Secondo la sua opinione, dunque, il complesso sarebbe stato visto lungo il percorso riportato nel codice. Questa lettura, appoggiata da qualche altro studioso418, ma generalmente rifiutata419, pare erronea per le seguenti ragioni: il solo fatto che non siano stati rinvenuti resti di un arco a Pavia non implica che questo fosse a Roma, dato che anche lì mancano segni di una sua antica presenza; il testo precede altri testi di Pavia, e la stessa indicazione in porta Papia, quest’ultimo nome medievale del sito, non pare lasciare spazio ad altre interpretazioni; lo storico fa riferimento alla silloge come sicuro originale di primo pugno di IX secolo, quando invero non pare essere né l’uno né l’altro; le sezioni della silloge in cui vengono trascritte sezioni degli itinerari paiono invero contenere errori di copiatura, come si proverà a spiegare nel secondo capitolo. Già Muratori, nel Novus thesaurus, aveva assegnato a Roma, in una fantomatica porta Papia, la seconda e la terza voce della silloge420. Si tratta in realtà di un errore di congettura da parte dello storico settecentesco: il suo lavoro, già di per sé poco preciso, in questo caso si basa sulla prima edizione del codice a cura di Mabilion, che invero non aveva proposto letture diverse da quelle letterali della silloge. In generale, che ci fosse un rapporto speciale tra la famiglia imperiale e Pavia lo sappiamo da fonti storiche, che ci raccontano di come Augusto e la moglie Livia si trovassero proprio a Ticinum quando Druso subì il mortale incidente in Germania nel 9 a.C.

417 Rose 1986, p. 189; Rose 1990. 418 Kleiner 1990, p. 513, nota 13; Böschung 1993, p. 53, nota 73; Böschung 1993, p. 102, nota 519.

419 Gabba 1987, pp. 9-18; Gabba 1990, pp, 515-517; Billanovich 1992, pp. 225-226; Saletti 1993, p. 279; Hausmann 1996, pp. 150-151. Si veda Fasolini 2006, pp. 33-34, nota 149. 420 Muratori 1739, p. 220, nr. 2; p. 227, nr. 2. 194 Giusta quindi la lettura già effettuata da Mommsen, che attribuisce alla città del nord Italia l’arco ed era riuscito a separare ed interpretare i testi, che, uniti in tre lemmi diversi nella silloge, erano stati trascritti “in lungo”, trascrivendo di seguito le righe di ciascun fornice. Si può credere che il redattore sia stato confuso dall’assenza nel monumento delle statue, probabilmente andate perdute, che gli avrebbero potuto offrire quantomeno un indizio visivo di come dovevano essere lette le parole poi copiate. Altrimenti, e più probabile, il copiatore non fu in grado di comprendere l’andamento dei testi come riportato nella silloge originari, da cui l’epitome così errata. Il pastiche epigrafico è stato in ogni caso risolto grazie all’acume del curatore del CIL, che restituisce ciascuna delle tre voci come segue:

- 76 = CIL V 6416 1-4

Einsiedeln, Stiftsbibliothek 326, f. CIL V 6416 (ricostruzione codice) 78v-79r .

CIL V 6416, 1-4. 1: iscrizione di Nerone, figlio di Germanico; 2: iscrizione di Druso, figlio di Tiberio; 3: iscrizione di Germanico; 4: iscrizione di Tiberio.

195 -77 = CIL V 6416 5-6

Stiftsbibliothek 326, f. 79r CIL V 6416 (ricostruzione codice)

CIL V 6416, 5-6. 5: iscrizione di Augusto; 6: iscrizione di Livia.

- 78 = CIL V 6416 7-10

Stiftsbibliothek 326, f. 79r CIL V 6416 (ricostruzione codice)

196 CIL V 6416, 7-10. 7: iscrizione di Gaio Cesare; 8: iscrizione di Lucio Cesare; 9: iscrizione di Druso, figlio di Germanico; 10: iscrizione di Claudio.

L’intero complesso è da datarsi fra 7 e 8 d.C. per via della titolatura di Augusto. Quanto alla datazione effettiva della copia e al perché nella silloge siano contenute alcune trascrizioni di epigrafi di Pavia, si è visto in sede introduttiva come Walser abbia ipotizzato, senza invero alcun dato in suo supporto, che il redattore faceva parte di una comitiva che accompagnava Carlo Magno in uno dei suoi viaggi a Roma421. Non avendo alcuna testimonianza più antica o recente riguardo questo complesso monumentale, l’unico modo per poterne trarre delle conclusioni è quello di confrontare la generale possibile datazione della silloge - sempre più probabile alla fine dell’VIII secolo - con le vicissitudini di Pavia nel corso di quel periodo di tempo. E invero, tra settembre 773 e giugno 774, Carlo Magno e il suo esercito avevano cinto d’assedio Pavia, al tempo capitale del Regno dei Longobardi. Pochi mesi prima della fine dell’assedio, il re dei Franchi era sceso a Roma per celebrare la Pasqua con Adriano I. Si può credere, proprio come aveva ipotizzato Walser, che l’Anonimo redattore facesse parte di questa comitiva e che, una volta sceso a Roma, ivi si fosse fermato per la redazione della silloge. Una volta ricevuta la notizia della conquista di Pavia, lì sarebbe tornato, approfittandone per trascrivere altri testi. Un’altra possibilità potrebbe vedere le vicissitudini pavesi del 774 come nient’altro che un termine post quem la redazione della silloge: anche in seguito alla conquista da parte di Carlo Magno, Pavia rimase capitale del Regno d’Italia, e si confermò importantissimo centro della cultura carolingia. Conseguentemente, il passaggio dell’Anonimo per la città dopo un pellegrinaggio a Roma potrebbe essere considerato più che verosimile. In ogni caso, essendo questa solo una ricostruzione di fatti non certi e, soprattutto, non verificabili sulla base di evidenze epigrafiche, non si considereranno questi avvenimenti per la definizione del termine post quem la redazione della silloge.

421 Walser 1987, p. 9. 197 79. Iscrizione di Sestilio Fusco422

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente silloge di iscrizione manoscritto oggi Einsiedeln

79. Foro di 79r CIL V 6431 EDR070632 No No Pavia

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 79r (www.e-codices.ch)

CIL V 6431 (EDR070632) Sex(tus) Sextilius Sex(ti) f(ilius) Papiria Fuscus, flamen Romae et divi Claudii, IIIIvir i(ure) d(icundo), pontifex, augur, salius, grat(uitus) d(ecurionum) d(ecreto), praefect(us) fab[r(um)], ded(it).

L’Anonimo è l’unico testimone anche della penultima iscrizione trascritta nella silloge, la quale viene vista in foro Papi(a)e. Essa menziona il quattuorviro iure dicundo e praefectus fabrum Sesto Sestilio Fusco, figlio di Sesto e ascritto alla tribù Papiria, il quale, in qualità di flamine di Roma e del divo Claudio, aveva dedicato un edificio. Oltre a questo sacerdozio, Sesto era stato anche pontefice, augure e salio. Un personaggio, dunque, di estrema importanza nella scena politica e religiosa della Pavia della seconda metà del I secolo d.C. Viene facile pensare, come di fatto si è visto per numerose iscrizioni della silloge, che la vera motivazione della trascrizione del testo non fosse l’effettiva conoscenza da parte

422 Walser 1987, p. 140-141 nr 79; SupplIt 9, pp. 232-233; SupplIt 22, p. 256; Scuderi 2013, pp. 424-427; Gorrini 2014, p. 73; Zoia 2016, p. 448. 198 dell’Anonimo della persona nominata o la consapevolezza della valenza del testo iscritto. Piuttosto sono la magnificenza e la grandiosità dell’edificio a cui l’iscrizione apparteneva che avrebbero attirato la sua attenzione, caratteristiche sicuramente proprie di un edificio dedicato al culto imperiale, dedicato nel suo foro da una delle massime cariche della città. Quanto alla datazione della copia, resta valido quanto proposto per l’arco augusteo.

80. Iscrizione dell’icona in San Pietro in Ciel d’Oro423

Nº iscrizione Luogo Pagina Edizione Database Autopsia Esistente oggi silloge di iscrizione manoscritto Lauxtermann Einsiedeln 80. San Pietro in 79r Lauxtermann - No No Ciel d’Oro 2020.

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 79r (www.e-codices.ch)

Lauxtermann 2020, p. 366 τὸν Θεὸν λόγον· [ὅ]θεν σε χρυσῶ, τὴν θεόγλυπτον πέτραν ἐν ᾗ βεβηκὼς οὐ κλονοῦµαι [- - -]

L’ultima iscrizione trascritta dall’Anonimo è la seconda iscrizione in greco della silloge, letta incompleta su di “un’icona” nel complesso cultuale di San Pietro in Ciel d’Oro, a Pavia. Si tratta di un dodecasillabo, tipicamente bizantino e da datarsi come tale almeno al

VII secolo424. Non viene specificato se il testo sia stato letto nel monastero o nella vicina chiesa, come più probabile, ma resta che quest’ultimo lemma è quello che permette di abbassare

423 Walser 1987, p. 141, nr. 80; Lauxtermann 2020, pp. 365-375. 424 Lauxtermann 2020, p. 366. 199 maggiormente il termine post quem la redazione della silloge: Paolo Diacono, che nel monastero si era formato, scrive infatti che il re longobardo Liutprando, regnante tra il 712 e il 744, hic monasterium beati Petri, quod fora muros Ticinensis civitatis situm est in

Coelium aureum apellatur, instituit425. Invero, tanto monastero quanto chiesa sorgevano su edifici già esistenti, ma l’intervento del re aveva permesso la loro monumentalizzazione tra 720 e 725, al fine di ospitare le spoglie di Sant’Agostino, e, al contempo, il cambio del nome, il quale derivava o dal soffitto aureo o da un grande mosaico absidale426. Non è da escludere che Liutprando fosse stato egli stesso committente dell’icona di San Pietro con l’iscrizione qui in esame. In essa, infatti, vi sono tanto una menzione diretta dell’oro con cui era adornata la chiesa ([ὅ]θεν σε χρυσῶ) quanto un riferimento al πέτρα, rivolto a Cristo ma chiaramente debitore dell’episodio del vangelo di Matteo in cui Gesù dice a Pietro - titolare della chiesa - che sarà “la roccia su cui edificherò la mia Chiesa”427. Quest’iscrizione fa eco ad un altro testo a firma di Liutprando, rinvenuto nella silloge di Lorsch428 e trascritto dal monastero di Sant’Anastasio a Corteleona, fondato nel 729: in entrambi il re si fa garante della fede cattolica, supportando il primato del papa. Per questo motivo Lauxtermann, a ragione, tende a datare il testo della silloge tra il 728, anno del trattato di pace tra Liutprando e Roma, alla metà degli anni ’30, quando il rapporto col papato si fece di nuovo più teso429. L’icona sarebbe dunque stata commissionata da un artista bizantino, di possibile sede a Roma, dove avrebbe potuto leggere altre iscrizioni in greco che, per quanto lingua a lui come ai pavesi e - visti alcuni errori di trascrizione, invero attribuibili anche al copista più tardo - forse anche dall’Anonimo sconosciuta, rendeva la grandezza del potere a cui aspirava. Il testo, dunque, è molto recente se confrontato con i rimanenti della silloge, e se è vero che l’Anonimo era giunto a Pavia in prossimità della sua conquista da parte dei Franchi, era inoltre piuttosto recente. Anche in questo caso l’importanza visiva dell’epigrafe

425 Paulus Diac. hist. Longob. 6, 58.

426 Lauxtermann 2020, p. 368, vedi nota 21. 427 Matt. 16:18.

428 Pal. Lat. 833, ff. 48v-49r: "Quando Leo cecidit misero doctore suasus / scismatis in foveam recto de culmine caesar, / tunc ego regales statui his mihi condere thermas / marmoribus pulchris Leudbrand rex atque columnis. / Sed Romam properans postquam devotus ad ipsam / perveni atque sacro capiti mea basia fixi / sancti Anastasii, servus tuus, ecce repente / paterna de sede meo hanc in pectore, Christe, / praeclaram fundare domum sub culmine monstras. / Talibus unde meas tendens ad sidera palmas / vocibus oro: «Dei fili, pro plebe fideli, / qui regis angelicos coetus, qui cuncta gubernas, / fac precor ut crescat mecum catholicus ordo, / et templo concede isti ut Salomini locutus”. 429 Lauxtermann 2020, p. 370. 200 avrebbe avuto un ruolo determinante nella copia della stessa. La sua incompletezza può essere attribuita a due fattori diversi: il primo è l’ipotetica incapacità dell’Anonimo o del copista più tardo nell’interpretare le lettere greche; il secondo è l’effettiva mutilazione dell’iscrizione, per quanto strana, considerando che come si è visto si tratterebbe di un testo recente.

201 1.2. La silloge epigrafica del codice di Einsiedeln: origine e datazione

1.2.1. Origine Nella silloge epigrafia del codice di Einsiedeln sono presenti un totale di 85 iscrizioni, 73 provenienti da Roma e 12 da Pavia430. La principale distinzione che si può attuare all’interno dell’antologia è quella tra i 69 tituli pubblici e privati di età classica e tardoantica, e le 16 iscrizioni cristiane. I primi si dividono a loro volta in:

48 iscrizioni onorarie o di opere pubbliche dentro le mura (1); 18 iscrizioni funerarie fuori le mura (2); 4 atti pubblici (3).

1. Le prime vengono lette per lo più in grandi edifici o monumenti quali ponti (nn. 1-2, 3, 22, probabilmente 44), archi (nn. 7, 15, 29, 34, 36-38, le dieci iscrizioni tra 76-78), ninfei (nr. 8), acquedotti (nr. 9), basi di statua (nn. 12, 33, 40), colonne e obelischi (nn. 13 e 27), templi, santuari ed are in generale (nn. 14, 14a, probabilmente 28, le tre iscrizioni 35, probabilmente 41), terme (nr. 16), porte (nn. 17-19), teatri (nn. 42, 50) e altri edifici o luoghi pubblici (nn. 20, 24, 30, 39, 43, 79). Nei rari casi in cui non viene menzionato almeno un imperatore - e senza tenere in conto le iscrizioni dei templi di Saturno e della Concordia, trasmesse inequivocabilmente per l’importanza dei monumenti su cui sorgevano - queste iscrizioni fanno comunque riferimento ad alte cariche dello stato o funzionari pubblici quali il console del 390 Flavio Filippo (nr. 8), le Augustae Vibia Sabina e Giulia Domna, mogli di Adriano e Settimio Severo (nr. 14a).

2. Undici delle seconde fanno parte del Mausoleo di Augusto (nn. 4=56, 5=57, 5b=58, 59-66), sette di monumenti funebri privati (nn. 21, 31, 45, 53-55, 73). Le prime sono molto importanti per definire come il codice di Einsiedeln non sia un originale di primo pugno, ma derivi da una copia redatta da un amanuense di IX secolo, stando alla comprovata cronologia del manoscritto431. Tre testi del Mausoleo (gli epitaffi di

430 Le iscrizioni dell’arco augusteo di Pavia comprese tra i numeri 76 e 78 sono state contate singolarmente. 431 Vd. Introduzione, pp. 2-3. 202 Antonino Pio, nr. 4=56; di Lucio Vero, nr. 5=57; di Lucio Elio Cesare, nr. 5b=58) furono infatti redatti due volte, la prima volta all’inizio della raccolta, quindi nella seconda metà, insieme ad altri otto testi della Mole (nn. 59-66). Tra la prima trascrizione dell’epitaffio di Antonino Pio e quello di Lucio Vero è segnalata l'indicazione topografica in alio loco plenius scripsi. Si tratta di un errore del copista di IX secolo, il quale considerò come indicazione topografica una nota, probabilmente scritta a margine dell’archetipo, con la quale il redattore originario dichiarava che, più avanti nella silloge, avrebbe riferito una versione più ampia dei tituli della Mole. Non è questo l’unico caso in cui egli fu artefice di un errore simile, come si vedrà nel proseguimento di questo lavoro: i due brevi frammenti odeporici che elencano le principali sepolture dei martiri nelle vie che conducono alla città (nn. 69-70) furono trascritti come se fossero iscrizioni e introdotte dalle indicazioni in via Pincia e in via Appia; il lungo itinerario incluso erroneamente nella silloge (nr. 72) è introdotto dall'indicazione in Porta Sancti Petri usque ad Sanctum Paulum, dove l’in sostituisce palesemente l’originario a di moto da luogo, in quanto chi riportava i testi pensava di indicare il supporto di un'epigrafe. Concentrandoci sull’espressione in alio loco plenius scripsi, essa suggerisce la piena consapevolezza dell’azione da parte del redattore della silloge: egli sapeva che verso la fine della sua opera avrebbe riportato altri testi redatti dalla stessa area e lo aveva annotato a margine. Essendo conscio che i testi scritti in alio loco appartengono sempre in Adrianio e che la loro disposizione nell’edificio è esplicata da clausole quali in parte australi e in altera parte, pare più che probabile che egli si trovasse di fronte al Mausoleo, mentre ne riportò i tituli. Dal momento inoltre che le prime trascrizioni dal Mausoleo si trovano ad inizio silloge, mentre le ultime quasi alla fine, sembra più che probabile che anche i testi inclusi tra le une e le altre fossero stati copiate dallo stesso Anonimo. Le rimanenti sette iscrizioni funebri, invece, rappresentano gli unici tituli privati della silloge. Due di questi fanno riferimento alle dimensioni dei lotti funerari: quello di Marco Camurio Sorano (nr. 31) misura ventidue per ventisei piedi, quello di Gneo Domizio Primigenio e della moglie Cenia (nr. 45) si estende per ben trentacinque piedi in fronte. A questi va aggiunto un frammento di testo in coda all’iscrizione parietale della biblioteca di papa Agapito (nr. 51), il quale riportava erroneamente le dimensioni di un’altra area sepolcrale di venticinque piedi per trentatré. Si tratta di dimensioni importanti ed estese,

203 nonché rare per Roma432: i monumenti funebri in questione dovevano essere imponenti e ben visibili, così come illustri, stando ai cursus honorum degli epitaffi, erano gli individui ivi sepolti. È infatti più che probabile che il monumento funebre disposto in vita dal famoso auriga Publio Elio Gutta Calpurniano (nn. 53-55) fosse di grandi dimensioni, così come quelli di Gaio Dillio Vocula (nr. 21), che tra le varie cariche ricoperte era stato anche tribuno militare, della plebe e dei pretori, e di Lucio Giulio Vestino, procuratore a studiis, a bibliothecis e ab epistulis sotto Adriano (nr. 73).

3. Tre dei quattro atti pubblici sono editti imperiali. Due, gemelli e visti in prossimità di Porta Salaria e Porta Flaminia, fanno riferimento ad un decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo (nn. 46 e 52), uno alla riduzione dei debiti di Adriano (nr. 14) nel foro Traiano. Il quarto è invece un decreto di Claudio Giulio Ecclesio Dinamo contro i soprusi dei mugnai e si trovava presso le molinae sul Gianicolo (nr. 44). Dal momento che il testo della silloge si estende in ventisette righe, è da credere l’epigrafe fosse imponente e bene in vista, motivazione questa che avrebbe portato alla copia del testo.

Le iscrizioni cristiane, d’altro canto, si dividono in due categorie: 1. Dediche all’interno di chiese, basiliche ed edifici di un certo interesse (nn. 6, 10, 11, 23, 25, 26, 48, 49, 51, 80); 2. Elogi martoriali, per lo più iscrizioni damasiane (nn. 32, 67, 68, 71, 74, 75).

Non c’è una grande differenza tra queste due tipologie di iscrizione: entrambe vennero viste all’interno di importanti luoghi di culto della Roma altomedioevale e cristiana. Degna di nota è l’indicazione topografica dell’iscrizione affrescale della biblioteca di papa Agapito al Clivo di Scauro, unico tra i testi cristiani della silloge a non essere rinvenuto in una chiesa o in un complesso catacombale. Essa dice in bibliotheca S(an)cti Gregorii quae est in monast(erio) Clitauri ubi ipse dyalogorum scripsit. Chi copiò il testo entrò dunque in prima persona nella biblioteca, associandola al lavoro ivi compiuto da papa Gregorio Magno: il responsabile della trascrizione era a conoscenza del luogo e, soprattutto, che vi si era recato volontariamente.

432 Stando ad una ricerca nel database edr-edr.it, delle 1210 iscrizioni menzionanti le dimensioni dei lotti a Roma, solo 66 ne presentano maggiori i venti piedi in agro o in fronte. 204 È evidente come il motivo per cui i 69 tituli pubblici e privati di età classica e tardoantica furono copiati fosse la notevole mole dei monumenti, edifici o supporti su cui - o nei pressi dei quali - erano incisi. Si tratta di strutture imponenti, bene in vista per le strade di Roma, e che effettivamente avrebbero potuto attirare l’attenzione di un curioso viandante in visita alla città. Lo stesso ragionamento può essere fatto per la magnificenza decorativa e l’importanza dei testi delle iscrizioni cristiane, la cui scoperta risulta però derivare dalla volontà del redattore di visitare tali edifici di culto. Che entrambi i processi di copia potessero essere opera di un singolo individuo lo dimostra l’indicazione topografica dell’iscrizione contro i soprusi dei mugnai e si trovava presso le molinae sul Gianicolo (nr. 44): il fatto che essa dica in Ianiculo ante aecclesiam Iohannis et Pauli suggerisce che il redattore era probabilmente diretto alla chiesa, che era il suo punto di riferimento, e si soffermò a trascrivere il testo proprio perché attratto dalla lastra. Che invece il comune denominatore nella scelta dei testi da riportare fosse l’impatto visivo delle iscrizioni è dimostrato dai due tituli greci presenti nella silloge. L’epitaffio di Lucio Giulio Vestino (nr. 73) e l’iscrizione dell’icona in San Pietro in Ciel d’Oro a Pavia (nr. 80) sono entrambi trascritti in capitale, come appunto erano incisi i testi in greco. Ciò che già de Rossi aveva fatto notare è che il copista della silloge aveva copiato i due testi facendo uso delle forme delle lettere sigma e omega tipiche degli anni in cui le iscrizioni erano state prodotte: per il primo, di età adrianea, egli riporta i grafemi Σ e Ω, per il secondo, di pieno

VIII secolo d.C., C e ω (vedi tabella). Probabilmente l’Anonimo redattore della silloge originaria non conosceva il greco, ma, attratto dal monumento funebre di Vestino e dall’icona in stile bizantino di San Pietro in Ciel d’Oro, ne volle in ogni caso riportare i testi, copiando il messaggio grafema per grafema.

Quest’ultimo esempio è importante anche per definire la relazione fra i testi romani e pavesi e, allo stesso tempo, presentare una controproposta all'interpretazione tradizionale di de Rossi che, come spiegato nell’introduzione al lavoro, considerava la silloge di Einsiedeln il prodotto della copia di diversi nuclei di iscrizioni di età diversa. Se infatti entrambi i testi presentano le stesse caratteristiche nella trascrizione sembra coerente pensare che furono ricopiati in origine da uno stesso individuo: come detto, questi non conosceva il greco, ma, ritenendo i testi degni di essere riportati, li ripropose graficamente. Pare più ovvio, dunque,

205 pensare che entrambi i testi abbiano un’origine comune e, di conseguenza, il redattore sia stato sia a Roma che a Pavia. Stupisce che a tale e apparentemente naturale conclusione non sia giunto già de Rossi, il quale probabilmente attribuì alla silloge di Einsiedeln la stessa genesi della silloge di Lorsch, la più importante collezione di testi epigrafici cristiani altomedievale. Essa, redatta da due mani diverse tra 821 e 835, derivava da una copia di quattro diverse altre sillogi, che riguardavano testi tanto di Roma, quanto di altre città d’Italia tra cui, appunto, Pavia. Il fatto che anche nella silloge di Einsiedeln fossero presenti tituli pavesi e l’effettiva scarsa chiarezza su come uno stesso individuo potesse attuare una stessa operazione di raccolta di testi a Roma e a Pavia, può aver indotto de Rossi a presentare la sua lettura. L’evidente relazione con i tituli pavesi porta a pensare che l’Anonimo redattore della silloge fosse passato ad un certo punto della sua vita a Pavia, dove avrebbe compiuto lo stesso processo svolto a Roma. In effetti si assiste alla stessa distribuzione e modalità di trascrizione di testi: la serie di iscrizioni imperiali iscritte in Porta Papiae (nn. 76-78) e la dedica di Sesto Sestilio in Foro Papiae (n. 79) furono viste all’aperto e rispettivamente su un monumento e su un edificio di sicuro impatto visivo; al contrario, l’iscrizione greca in icona S(an)c(t)i Petri, della cui importanza si è già detto, fu vista nella chiesa di San Pietro in Cielo d’Oro, all’interno della quale il viandante si recò volontariamente. Nel complesso, dunque, il lavoro di selezione dei testi presenti nella silloge sembra essere stato meditato coerentemente e prodotto, verosimilmente, da un singolo individuo. Vista la sostanziale doppia natura delle modalità di trascrizione - “passiva” nel caso dei tituli civili, “attiva” per quel che concerne gli edifici cristiani - si può credere che l’Anonimo fosse un curioso ed attento pellegrino che, impegnato in una visita devozionale a Roma e Pavia, trascriveva le iscrizioni da cui più era colpito e che vedeva o casualmente per le strade delle città o all’interno dei principali luoghi di culto cristiani che visitava.

Iscrizione greca di Lucio Giulio Vestino Iscrizione dell’icona in San Pietro in Ciel d’Oro Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 78rv Stiftsbibliothek, Codex 326, f. 79r

206 Conseguentemente, è stato così dimostrato il primo dei tre presupposti necessari per determinare se le letture contemporanee di Walser, Bauer, Blennow e Del Lungo - secondo cui esisteva una relazione tra silloge ed itinerari - potevano essere fondate.

1.2.2 Datazione Stando alle evidenze epigrafiche, il termine post quem la redazione della silloge deve essere inequivocabilmente indicato nell’iscrizione greca di Pavia (nr. 80), commissionata dal re longobardo Liutprando per i lavori dei restauro della chiesa di San Pietro in Cielo d’Oro tra 728 e 730. Per quanto riguarda il termine ante quem, invece, doverosa è l’analisi della tradizione dei testi della silloge. Dall’edizione appena redatta si è evinto che delle ottantacinque iscrizioni:

1. 12 sono ancora oggi integre. Si tratta delle iscrizioni dell’arcata dell’Aqua Virgo (nr. 9); di Porta Maggiore (nn. 17-19); degli archi trionfali di Settimio Severo, Costantino e Tito (nn. 34, 36, 37); del tempio di Saturno (nr. 35).

2. 8 sono oggi più o meno mutile. Tra queste: 1. I tituli della Colonna Traiana (nr. 13); dell’editto riduzione dei debiti di Adriano (nr. 14); delle terme di Diocleziano (nr. 16); del macellum Liviae (nr. 20); del tempio del Divo Vespasiano (nr. 35); della dedica a Padre Tiberino (nr. 44) sono stata trasmesse per intero esclusivamente dalla silloge di Einsiedeln; 2. L’epitaffio damasiano di Nereo e Achilleo (nr. 71) è stato trasmesso anche in altre sillogi cristiane altomedievali, ma non ha testimonianze successive il IX secolo; 3. L’iscrizione del ninfeo perduto di Flavio Filippo (nr. 9) è stata attestata, integra, da fonti successive il IX secolo.

3. 9 sono scomparse, ma sono state attestate da fonti successive la silloge di Einsiedeln. Si tratta delle iscrizioni del ponte Salario (nn. 1-2); del ponte Elio (nr. 3); degli epitaffi di Commodo, Lucio Vero e Lucio Elio Cesare al Mausoleo di Adriano (nn. 4=56; 5=57; 5a=58); dell’Arco Trionfale della vecchia basilica di San Pietro (nr. 6); dei monumenti 207 funebri di Marco Camurio Sorano (nr. 31) e di Lucio Giulio Vestino (nr. 73).

4. 8, oggi scomparse, sono state trasmesse anche in altre sillogi cristiane altomedievali, ma non hanno testimonianze successive il IX secolo; Si tratta delle iscrizioni dell’abside della vecchia basilica di San Pietro (nr. 10); dell’abside della chiesa di Sant’Anastasia (nr. 23); della controfacciata della chiesa di Santa Sabina (nr. 26); dell’abside e dell’aula battesimale della basilica di San Paolo fuori le Mura (nn. 48-49); degli epigrammata damasiani per i santi Proto e Giacinto, Felice e Adautto, Pietro e Paolo (nn. 71, 74, 75).

5. 47 sono state trasmesse esclusivamente dalla silloge di Einsiedeln. Si tratta delle iscrizioni degli archi di Arcadio, Onorio e Teodosio II (nr. 7), Graziano, Valentiniano II e Teodosio (nr. 15) Tito al Circo Massimo (nr. 29), di Marco Aurelio (nr. 38); dell’ambone della vecchia basilica di San Pietro (nr. 11); della base di statua dell’imperatore Petronio Massimo al Teatro di Marcello (nr. 12); del tempio delle Matrone al Foro Traiano (nr. 14a); dei monumenti funebri di Gaio Dillio Vocula (nr. 21) e Gneo Domizio Primigenio (nr. 45); del foro del Palatino (nr. 24); dell’elogio martoriale alle catacombe di San Sebastiano (nr. 32); della base equestre di Costantino (nr. 33); del tempio della Concordia (nr. 35); dei tituli visti in Capitolio (nn. 39-43); del decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo (nn. 46 e 52); del decreto contro i soprusi dei mugnai (nr. 47); del teatro di Pompeo (nr. 50); della biblioteca di papa Agapito (nr. 51); del monumento funebre dell’auriga Publio Elio Gutta Calpurniano (nn-53-55); degli epitaffi del Mausoleo di Adriano esclusi i tre visti al punto 3 (nn. 59-66); del sepolcro del martire Giacinto (nr. 68); di tutti i testi di Pavia (nn. 76-80).

Tra queste, il termine ante quem la redazione della silloge va rintracciato in quei testi la cui tradizione dipende o quantomeno non è successiva al codice di Einsiedeln. Di conseguenza le iscrizioni che possono essere epurate dalla lista sono solo ventidue: le dodici ancora oggi integre e le dieci scomparse (nove) o oggi mutile (una) ma trasmesse per intero da editori posteriori il codice di Einsiedeln. Si è potuto proporre, con moderata certezza o per mera e talvolta forzata congettura, al periodo di scomparsa o mutilazione dell’iscrizione di venti dei sessantatré esemplari 208 rimasti. Tra questi il più credibile relativamente ad un termine ante quem è quello che riguardò il titulus della dedica a Padre Tiberino e menzionante il curator aquarum Lucio Elio Dionisio (nr. 44). Un frammento di questa iscrizione si trova conservato nell’atrio della chiesa di San Silvestro in Capite. Sappiamo dal Liber Pontificalis che tra 856 e 860 la chiesa era stata interessata da uno straripamento - o forse addirittura due - del Tevere, le cui acque entrarono proprio all'interno dell'edificio. Vista la natura tanto del testo dell’iscrizione, che fa riferimento a Padre Tiberino e menziona alcuni lavori pubblici in prossimità del fiume, quanto del frammento, si può avanzare il seguente scenario interpretativo: l’iscrizione, posta in origine lungo le rive del Tevere, in seguito allo straripamento di quest’ultimo si ruppe in diversi frammenti, uno dei quali fu trasportato dalle acque fino alla chiesa di San Silvestro in Capite, dov’è oggi conservato. Di conseguenza, la silloge potrebbe avere un’origine anteriore all’856, termine ante quem interessante e credibile, specie per la nostra ricerca. Le evidenze epigrafiche hanno dunque determinato come la silloge fu redatta probabilmente in un periodo compreso all’incirca tra 728 e 860; tutte le iscrizioni erano quindi sicuramente visibili e leggibili, tanto a Roma quanto a Pavia, tra 773 e 816, coordinate temporali in cui furono composti gli itinerari. Dopo aver dimostrato anche questo punto indispensabile per definire l’ipotetica relazione tra silloge e itinerari, si potrà dunque procedere ora al confronto fra le due sezioni del codice di Einsiedeln, al fine di verificare se, come aveva intuito Franz Alto Bauer e confermato Anna Blennow, esista una totale congruenza topografica tra l’una e gli altri.

209 Parte 2. Il rapporto tra silloge ed itinerari

2. 1. L’origine degli itinerari e il caso dei testi nn. 69, 70 e 72 della silloge Tra ff. 79v e 85r, il codice di Einsiedeln riporta una serie di dieci itinerari, più un elenco

delle sepolture dei martiri nelle vie fuori le mura della città. Questa sezione del manoscritto gode di una storia degli studi più copiosa e approfondita rispetto alle altre sezioni del manoscritto. Anche nelle disamine generali del codice, gli studiosi si sono sempre più focalizzati su questa parte, e quando nel 1907 Christian Hülsen scriveva l’indispensabile lavoro La pianta di Roma dell’Anonimo Einsidlense433, la sua tesi, secondo cui gli itinerari altro non erano che “l'epitome in molti luoghi troncata e confusa di un itinerario molto più

ricco di notizie, il quale era annesso ad una pianta della città”434, si fondava su una

bibliografia già molto consistente e riprendeva le proposte avanzate da de Rossi435, Jordan436 e Lanciani437. L’archeologo tedesco faceva notare come i dieci percorsi del codice fossero troppo poco descrittivi per potersi definire veri e propri itinerari, accozzaglia sommaria e graficamente mal disposta di monumenti ed edifici talvolta lontani tra loro diversi chilometri e disposti, arbitrariamente e nemmeno troppo correttamente, su due lati di un tragitto esente da vere indicazioni. Secondo la sua lettura, l’idea che si trattasse di copie di un testo più esteso deriverebbe dalla voce della silloge epigrafica numero 72, e che per costituzione grammaticale e narrativa sarebbe la prova palese che i tragitti del codice avevano un tempo una redazione discorsiva e maggiormente precisa, che si estendeva anche al di fuori le mura della città. La conferma evidente deriverebbe dal fatto che un frammento della voce della silloge sia erroneamente ripetuto al termine del decimo itinerario del codice438. Le trascrizioni delle due sezioni di testo risultano essere così (figg. 44-45):

433 Hülsen 1907. 434 Ibid., p. 7.

435 De Rossi 1888, pp. 9-17. 436 Jordan 1871, pp. 330-356.

437 Lanciani 1891, pp. 437-518. 438 Sulla possibile natura di questa epitome errata si veda a pp. 230-232. 210 Fig. 44: trascrizione di parte del testo nr. 72 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Fig. 45: trascrizione di parte del decimo itinerario del codice di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Citando le parole di Hülsen, il primo “è chiaro e ben ordinato: vi sono i capisaldi della via stessa, e ben si distinguono i monumenti situati nella vicinanza immediata di essi (notati con ibi) da quelli situati a qualche distanza sulla destra e sulla sinistra della strada”439, mentre nel secondo “i nomi, come si vede, sono i medesimi, ma l'epitomatore si è contentato di metterli appaiati e simmetricamente sulla destra e sulla sinistra della strada, senza distinguere i punti della strada dai monumenti più lontani. Così la Forma Jovia e l’Arcus recordationis, che stanno ambedue a cavallo della Via Appia, sono posti arbitrariamente a destra ed a sinistra; la chiesa di S. Nereo ed Achilleo, che si trova e si trovava sempre a sinistra della strada, è trasferita invece alla destra, ove sta insieme con S. Sisto. Nel capoverso seguente, è conservato la mèta usque ad formam; ma il testo è reso inintelligibile perchè sono contaminate le due indicazioni stradali, per porticum e per septem vias. Nella fine, l'epitomatore mette in lati diversi della strada la chiesa di S. Lucia e

439 Hülsen 1907, p. 8. 211 l'antico Settizonio, mentre è certissimo che la chiesa era costruita accanto al rudere antico e trovavasi in immediato contatto con esso”440. Il testo nr. 72 non era l’unico esempio di carattere odeporico inserito all’interno della silloge per errore: le voci nn. 69 e 70, infatti, erano rispettivamente una parte dell’elenco di sepolture dei martiri e una parte, di nuovo, del decimo itinerario (figg. 46-49).

Fig. 46: trascrizione della testo nr. 69 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 41.

Fig. 47: trascrizione di parte dell’elenco delle sepolture dei martiri del codice di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Fig. 48: trascrizione dell testo nr. 70 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 41.

Fig. 49: trascrizione di parte del decimo itinerario del codice di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 40.

Entrambi i casi confermano, per quanto in maniera meno evidente, come le voci degli itinerari sembrino essere copie mal redatte e confuse di sezioni più discorsive presenti nella silloge, nelle quali sono semplicemente elencati nomi di martiri. Che l’inclusione dei testi nn. 69, 70 e 72 derivi da un errore del copista di IX secolo appare evidente se si fa attenzione al fatto che le tre voci vengono introdotte, in quella che

440 Ibid. 212 dovrebbe essere l’indicazione topografica, dalla preposizione in, al pari delle altre iscrizioni: se per 69 e 70 le diciture in via Pincia e in via Appia possono avere un senso logico che giustifica l’errore, altresì non lo si può dire dell’indicazione di 72 in porta S(an)c(t)i Petri usq(ue) ad S(an)c(tu)m Paulum, dove l’in sostituisce chiaramente l’a che negli itinerari indica l’avvio del percorso441. È evidente che chi stava copiando pensava di avere sott’occhio il testo di un’epigrafe e, di conseguenza, agiva con il modus operandi utilizzato per gli altri tituli trasmessi. Per quanto riguarda gli itinerari, se l’idea che essi in origine accompagnassero una mappa è stata scartata dalla critica contemporanea442, la lettura secondo cui il passaggio numero 72 della silloge riproponesse un originale frammento degli itinerari è stata accolta443. Di conseguenza, pare definito come il codice di Einsiedeln non avesse, come dice Bauer, uno scopo odeporico, ma che esso fosse presente nella fonte da cui il manoscritto fu copiato:

Die dem Verfasser des Itinerars vorliegenden Wegbeschreibungen, deren Ausführlichkeit sich am Beispiel der Route 12 nachvollziehen läßt, mochten durchaus Pilger durch die Stadt und zu den Heiligengräbern vor den Mauern geführt haben. Die uns vorliegende Epitome der Wege 1 bis 10 konnte diese Aufgabe nicht erfüllen. Der Kopist, der die ihm fremde Materie zu ordnen und übersichtlich darzustellen versuchte, dem dabei aber zahlreiche Fehler unterliefen, hatte nicht einen Romführer im Sinn, als er mit der Abschrift

begann444.

Gli itinerari originali, dunque, si sarebbero inseriti nella già copiosa produzione di opere odeporiche ed orientative già di VII secolo quali la Notitia Ecclesiarum Urbis Romae445 o, limitatamente al suburbio e alle sepolture martoriali, il De locis sanctis martyrum quae sunt

441 Bauer 1997, pp. 200-201.

442 Brodersen 1996; Bauer 1997 pp. 209-216; Santangeli Valenziani 2001, pp. 154-159; Santangeli Valenzani 2014, p. 34. 443 Bauer 1997, p. 200; Santangeli Valenziani 2014, p. 34.

444 Bauer 1997, p. 225: “Le indicazioni fornite all'autore dell'itinerario, i cui dettagli possono essere visti nell'esempio dell'itinerario 12 [scil. la voce della silloge n. 72 che più avanti verrà definita come itinerario XI] potrebbero aver condotto i pellegrini attraverso la città e verso le tombe dei santi fuori dalle mura. L'epitome dei percorsi da 1 a 10 a nostra disposizione non ha potuto svolgere questo compito. Il copista, che ha cercato di organizzare la materia estranea e di presentarla chiaramente, ma che ha commesso numerosi errori nel processo, non aveva in mente una "guida romana" quando ha iniziato a copiarla”. 445 Valentini - Zucchetti 1942, pp. 67-99. 213 foris civitatis Romae446. L’importantissimo studio di Bauer è anche il primo ad introdurre la questione di un piena congruenza topografica tra silloge ed itinerari: l’area di Roma in cui si stava muovendo il copista coincideva nel complesso con quella registrata negli itinerari,

compresi i piccoli frammenti degli stessi riportati nella silloge447. Come visto estensivamente in fase di introduzione, questa intuizione, rimasta tale e non approfondita, seguiva di qualche anno la proposta di Gerold Walser che definiva, con sicurezza ma senza presentare le dovute dimostrazioni, che la silloge fosse opera di un pellegrino del centro

Europa che visitava Roma seguendo gli itinerari448. Tentativi di definire quale fosse il rapporto tra le due sezioni sono stati fatti in tempi recenti da Stefano Del Lungo e Anna Blennow. Il primo ravvisa in silloge, itinerari e descrizione delle mura delle città un unico lavoro composto a fini propagandistici in occasione di una visita di Carlo Magno a Roma. Secondo la sua visione, le stesse iscrizioni sarebbero state selezionate con cura al fine di rappresentare esempi di potere imperiale e papale449. Già Santangeli Valenzani450 e Blennow451 hanno definito questa tesi inverosimile ed esente da esempi comprovati. Tale orientamento è confermato dall’analisi della silloge che abbiamo condotto: non sono infatti stati riscontrati particolari denominatori comuni nella ricerca di testi specifici se non - e nemmeno sempre - la visibilità e l’imponenza del monumento iscritto. È anzi proprio la varietà tipologica e cronologica dei tituli scelti ad evidenziare come sia molto più credibile una fine odeporico della silloge, una sorta di guida didascalica volta ad orientare un pellegrino per mezzo delle iscrizioni della città, o, come più probabile, il prodotto personale di un’attenta ricerca epigrafica da parte di un appassionato viandante. Sono queste le due suggestive proposte di Blennow, la quale afferma che quasi tutte le iscrizioni romane si relazionano agli itinerari, venendo menzionati i monumenti esplicitamente negli stessi o trovandosi i testi nel corso di taluni percorsi. Ciò che secondo la sua lettura giustificherebbe la relazione tra le due parti del codice è la menzione nell’una e nell’altra della piccola chiesa dei Santi Giovanni e Paolo al Gianicolo e dell’acquedotto dell’Aqua Virgo

446 Ibid., pp. 100-131. 447 Bauer 1997, pp. 221-225.

448 Walser 1987, pp. 9-11. 449 Del Lungo 2004, pp. 83-84.

450 Santangeli-Valenzani 2014, p. 40. 451 Blennow 2019, p. 40, nota 14. 214 nell’attuale Via del Nazareno452. Una visione suggestiva, forse non sorretta da una giustificazione particolarmente solida, ma che può e deve essere approfondita.

2.2. Silloge ed itinerari: un confronto parallelo Partendo dalle tesi appena proposte si procederà ora ad un inedito confronto tra la silloge e itinerari, cui scopo sarà quello di definire quante e quali iscrizioni sarebbero potute essere viste nei dodici percorsi. Ad ogni itinerario verrà assegnato un numero romano e si metteranno in parallelo in una tabella le indicazioni degli itinerari e l’elenco delle iscrizioni in essi possibilmente viste, data la menzione esplicita del monumento o del luogo nelle indicazioni topografiche della silloge; a margine di ciascuna tabella si commenterà segnalando quali iscrizioni avrebbero potuto essere comprese nel percorso, per quanto non segnalate. In particolare, per questo secondo punto, ci si concentrerà sulle iscrizioni viste fuori le mura della città: come visto dall’analisi del testo nr. 72 della silloge, infatti, gli itinerari in origine oltre ad essere più discorsivi e dettagliati si estendevano anche oltre le mura. Dalla successiva analisi dei dati si cercherà di definire se l’ipotesi di una certa relazione tra silloge e itinerari possa essere accolta.

Fig. 50: Ricostruzione dei percorsi I-X dell’Itinerario di Einsiedeln, da Santangeli - Valenzani 2019, p. 361.

452 Blennow 2019, p. 39-40, 51-55 e 68-71. 215 La numerazione usata sarà la stessa utilizzata da Anna Blennow nel suo studio: da I a X i dieci itinerari interni alle mura della città compresi nel codice (fig. 50); XI per l’itinerario riportato nella silloge epigrafica (testo nr. 72); XII per l’elenco delle sepolture dei martiri nelle vie fuori le mura della città.

Itinerario I: A porta sancti Petri usque ad sanctam Luciam in Orthea

Itinerario I, da Walser 1987, p. 163

216 Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione del restauro del Teatro di Pompeo (nr. 50); 2. iscrizioni dei templi In Capitolio (nr. 35); 3. iscrizioni In Capitolio (nn. 38, 39, 40, 41, 42, 43); 4. iscrizioni del foro Traiano (nn. 13, 14, 14a); 5. iscrizione dell’Arco di Settimio Severo (nr. 34); 6. iscrizione della base della statua equestre di Costantino (nr. 33).

Poiché l’itinerario parte da Porta San Pietro, non è da escludere che l’Anonimo abbia potuto vedere, prima di entrare in città, anche le iscrizioni del Mausoleo di Adriano (nn. 4, 5, 5a e da 55 a 66) e del Ponte Elio (nr. 3). Allo stesso modo, ipotizzabile sembrerebbe una prosecuzione verso il Vaticano, con conseguente visione dell’Obelisco (nr. 27) e dell’epitaffio di Marco Camurio Sorano (nr. 31), entrambi nei pressi della chiesa di Santa Maria della Febbre, dei tituli di San Pietro (nn. 6, 10 e 11) e degli archi di Arcadio, Onorio e Teodosio II (nr. 7) e di Graziano, Valentiniano II e Teodosio (nr. 15), questi ultimi situati sempre nell’area nord-occidentale della città lungo il corso del Tevere, a cavallo delle mura.

217 Itinerario II: A porta sancti Petri usque ad Portam Salariam

Itinerario II, da Walser 1987, p. 169

218 Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione dell’Arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II (nr. 7); 2. iscrizione delle arcate dell’Aqua Virgo (nr. 9).

Per quanto menzioni direttamente solo l’Arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II e l’acquedotto Vergine, al secondo itinerario possono essere assegnate le prime undici iscrizioni della silloge, a esclusione della numero 8. Se di quelle tra numero 3 e 11 si è già visto nella scheda dell’itinerario precedente - i due percorsi condividono l’area di Porta San Pietro e di conseguenza, ipoteticamente tutti i tituli tra Mausoleo di Adriano e Vaticano compreso anche i nn. 15, 27 e 31 - le prime due sono state lette sul Ponte Tiburtino in via Salaria, nel suburbio conducente all’omonima porta. Notando l’ordine di disposizione dei testi nella silloge, parrebbe quasi che l’Anonimo avesse percorso l’itinerario interno alla città “al contrario”, partendo da Porta Salaria e arrivando a Porta San Pietro, ma riportando anche le iscrizioni lette fuori della città, in una sorta di percorso prolungato. Sul modello dell’itinerario XI, come visto l'unico a noi giunto nella redazione originale e l'unico a estendersi oltre le mura, si può credere che il percorso originale di II si estendesse a est lungo via Salaria, a ovest in Vaticano. Circoscrivibili con moderata certezza a questo percorso sono anche l’iscrizione del monumento funebre di Gneo Domizio Primigenio e della moglie Afrania Caenia (nr. 45) e il decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo (nr. 46). Entrambi sarebbero stati visti nei pressi di Porta Salaria, menzionata esplicitamente solo in questo itinerario. Sempre per vicinanza a questo ingresso della città, si assegnano qui anche i testi della catacomba di Sant’Ermete (nn. 67 e 68).

219 Itinerario III: A porta Numentana usque Forum Romanum

Itinerario III, da Walser 1987, p. 174.

Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione delle terme di Diocleziano (nr. 16); 2. iscrizioni del foro Traiano (nn. 13, 14, 14a).

Menzionati esplicitamente in silloge e itinerario sono solo le terme di Diocleziano e il foro Traiano. Si possono forse inserire qui anche le iscrizioni viste nel Foro Romano, destinazione finale del percorso (base equestre di Costantino nr. 33; arco di Settimio Severo nr. 34; iscrizioni dei templi in Capitolio nr. 35).

220 Itinerario IV: A porta Flaminea usque via Lateranense

Itinerario IV, da Walser 1987, p. 177.

Percorso Iscrizioni della silloge visibili

-

Nessuna menzione diretta in comune tra il quarto itinerario e la silloge, per quanto il decreto doganale di Marco Aurelio e Commodo (n. 52) e le iscrizioni del monumento di Publio Elio Gutta (nn. 53, 54, 55) erano state viste in prossimità di Porta Flaminia, e di conseguenza all’inizio di questo percorso.

221 Itinerario V: A porta Tiburtina usque Subura

Itinerario V, da Walser 1987, p. 181.

Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione delle terme di Diocleziano (nr.16).

L’unica iscrizione della silloge in ipotetica relazione implicita con il percorso numero 5 è quella del Macellum Liviae (nr. 20). Come si è visto nell’analisi della silloge, il mercato era citato due volte nel Liber Pontificalis in stretta relazione con la chiesa di Santa Maria Maggiore, menzionata nel percorso col nome più antico di Santa Maria in Presepio.

222 Itinerario VI: Item alia via Tiburtina usque ad sanctum Vitum

Itinerario VI, da Hülsen 1907, p. 26.

Percorso Iscrizioni

-

Nessuna menzione diretta o indiretta in comune tra il brevissimo sesto itinerario e la silloge.

223 Itinerario VII: A porta Aurelia usque ad portam Praenestinam

Itinerario VII, parte 1, da Walser 1987, p. 183.

Itinerario VII, parte 2, da Walser 1987, p. 187

224 Percorso Iscrizioni

1. Editto di Claudio Dinamio dei mulini (nr. 47); 2. iscrizione del Forum Palatinum (nr. 24); 3. iscrizioni dei templi In Capitolio (nr. 35); 4. iscrizioni In Capitolio (nn. 38, 39, 40, 41, 42, 43); 5. iscrizione dell’Arco di Settimio Severo (nr. 34); 6. iscrizione della base della statua equestre di Costantino (nr. 33); 7. iscrizioni di Porta Maggiore (nn. 17, 18, 19).

Il settimo percorso è uno dei più lunghi tra quelli del codice. Esso taglia la città da ovest ad est, passando per il suo centro e i fori. Da notare è come sia omogeneamente rappresentato in tutto il suo corso nella silloge. Oltre alla già evidenziata zona dei fori, infatti, sono riportati testi dalle mulinae sul Gianicolo (nr. 47), dall’area orientale del Palatino (titulus del forum Palatinum presso gli horrea Agrippiana, nr. 24) e di Porta Prenestina (nn. 17, 18, 19). Oltre alle iscrizioni segnalate nella tabella, da aggiungere anche qui è il titulus del

Macellum Liviae (nr. 20), vista la menzione di Santa Maria Maggiore. Per l’assegnazione sicura a questo itinerario dell’iscrizione del Forum Palatinum (n. 24) si è fatto affidamento all’intuizione del 1913 di Richmond, il quale individuò il foro del

Palatino nella piazza lastricata degli horrea Agrippiana453. Essi erano infatti immediatamente contigui alla chiesa di San Teodoro, citata appunto nell’itinerario insieme al Palatino. L’Anonimo avrebbe dunque potuto leggere questo testo rimanendo all’interno del percorso quando invece, qualora il testo si fosse trovato nell’area Palatina, sarebbe dovuto ascendere al colle.

453 Richmond 1913, p. 211. Vedi introduzione, p. 10. 225 Itinerario VIII: A porta sancti Petri usque porta Asinaria

Itinerario VIII, da Walser 1987, p. 191

226 Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione del restauro del Teatro di Pompeo (nr. 50); 2. iscrizioni dei templi In Capitolio (nr. 35); 3. iscrizioni In Capitolio (nn. 38, 39, 40, 41, 42, 43); 4. iscrizioni del foro Traiano (nn. 13, 14, 14a); 5. iscrizione dell’Arco di Settimio Severo (nr. 34); 6. iscrizione della base della statua equestre di Costantino (nr. 33); 7. iscrizione dell’arco di Tito (nr. 37); 8. iscrizione dell’arco di Costantino (nr. 36).

Partendo l’itinerario da Porta San Pietro, si possono assegnare anche ad un suo proseguimento oltre le mura tutte le iscrizioni dell’area compresa tra Mausoleo di Adriano e Vaticano (nn. 3, 4, 5, 5a, 6, 7, 10, 11, 15, 27, 31, 56-66). Nonostante la menzione del Palatino, da escludere l’associazione col titulus del forum Palatinum: come visto nella scheda dell’itinerario precedente, esso si trovava negli horrea Agrippiana, lungo il percorso VII, mentre il percorso VIII fiancheggia il lato opposto del colle.

227 Itinerario IX: De septem viis usque porta Metrovia

Itinerario IX, da Walser 1987, p. 198

Percorso Iscrizioni

-

228 In questo brevissimo itinerario non vi sono edifici o monumenti, il cui apparato epigrafico sia riportato nella silloge. Tuttavia nel percorso è menzionato il Clivo di Scauro, sul quale l’Anonimo è asceso per entrare nella biblioteca di papa Agapito, dove ha letto e trascritto l’iscrizione affrescale (nr. 51). Come già visto in sede di commento della silloge, data la precisa ed estesa indicazione topografica di questa voce della silloge, si desume che l’Anonimo fosse a conoscenza della biblioteca e del fatto che qui Gregorio Magno avesse scritto i suoi dialoghi. Tale annotazione è assai significativa, se si considera che questo testo è l’unico ad essere letto in un ambiente interno che non sia una chiesa. La visita alla biblioteca, dunque, pare essere non casuale, ma voluta e premeditata.

229 Itinerario X: De porta Appia usque Scola Greca in via Appia

Itinerario X, da Walser 1987, p. 198.

Percorso Iscrizioni

1. Iscrizione del Settizodio (nr. 30); 2. iscrizione dell’arco di Tito al Circo Massimo (nr. 29); 3. iscrizione della chiesa di Santa Anastasia (nr. 23).

230 L’ultimo itinerario compreso nel codice parte da Porta Appia e, passando per il Septizodium e il Circo Massimo, giunge fino alla Schola Graeca, quartiere tra il Velabro e l’Aventino così chiamato per la massiccia presenza di insediamenti bizantini dal VII secolo in poi. Certa l’assegnazione dell’iscrizione del clivus Martis (nr. 28), dal momento che l’arco di Tito garantiva l’accesso al Circo Massimo a chi entrava in Roma dalla via Appia attraverso la vicina Porta Capena, da dove il clivus si estendeva. Nell’elenco degli itinerari questo percorso continua con una sezione dedicata a luoghi di culto cristiani posti al di fuori delle mura: si tratta di un errore di copiatura da parte dell’amanuense, il quale aveva inserito confusamente la sezione dell’itinerario XI, quello ripreso nella sua versione originale come testo nr. 72 della silloge. Una svista di non poco conto e molto interessante, che si prova così a spiegare: chi stava epitomando gli itinerari originali aveva, per distrazione, saltato una pagina, contenente la prima parte dell’itinerario XI. Così facendo: 1. aveva creduto che la prima parte della nuova pagina che veniva copiata altro non fosse che la continuazione dell’itinerario X; 2. allo stesso tempo aveva perso un’ultima parte dell’itinerario X, che in effetti è molto breve. Si propone qui che dalla chiesa di Santa Anastasia il percorso originale proseguisse ancora fino al teatro di Marcello e di lì, attraversasse l’Isola Tiberina prima e ritornasse poi sulla sponda sinistra del Tevere per il ponte Sublicio fino all’Aventino, che dall’immagine si può notare essere l’unica area interna della città a non essere inserita negli itinerari, concludendo un percorso lineare, coerente e non approssimato per distanze e tempistiche (fig. 51). Questa lettura troverebbe riscontro anche ai fini di questo studio, in quanto si potrebbero assegnare a questo itinerario anche le iscrizioni del Teatro Marcello (nr. 12) e, soprattutto, di Ponte Cestio (nr. 22) e della chiesa di Santa Sabina (nr. 25), gli unici due edifici citati nella silloge che non fanno parte di alcun itinerario del codice.

231 Fig. 51: ipotetico proseguimento dell’itinerario X. Ricostruzione dell’autore con https:// www.google.com/maps

232 Itinerario XI: [A] porta sancti Petri usque ad sanctum Paulum

Itinerario Iscrizioni

1. Iscrizione del teatro di Pompeo (nr. 50); 2. iscrizione del teatro di Marcello (nr. 12); 3. iscrizioni di San Paolo fuori le Mura (nn. 48, 49); 4. iscrizione dei martiri Felice e Adautto (nr. 74); 5. iscrizione dei martiri Nereo e Achilleo (nr. 71); 6. elogio martoriale ad Sanctum Sebastiani (nr. 32) e iscrizione dei Santi Pietro e Paolo (nr. 75); 7. iscrizione del Clivus Martis (nr. 28) 8. iscrizione del Settizodio (nr. 30); 9. iscrizione dell’arco di Tito al Circo Massimo (nr. 29).

Si è già discusso in sede introduttiva dell’importanza di questo itinerario, probabilmente l’unico trasmesso come l’originale e incluso nella silloge. Leggendone il percorso, si può notare come esso, a differenza degli altri, esca dalle mura, spingendosi oltre Porta Ostiense, da dove il viandante può ascendere alle importanti basiliche e catacombe cristiane del suburbio sud di Roma. Invero confonde l’indicazione topografica della silloge, in quanto il percorso non si ferma alla basilica di San Paolo fuori le Mura, ma continua rientrando nella città da Porta Appia fino, almeno, alla chiesa di Santa Anastasia. Essendo Porta San Pietro l’inizio del percorso, sembrerebbe doveroso, come fatto in precedenza, assegnare come implicite le diverse iscrizioni di Mole Adriana e l’area del Vaticano. Per questa volta, però, esse vengono escluse: dal momento che il testo completo percorre sentieri anche fuori le mura, è da credere che avrebbe citato quantomeno la Basilica di San Pietro tra gli edifici visti prima di entrare per l’omonima porta, che invece

233 pare essere vero e proprio inizio dell’itinerario. Tra le iscrizioni implicitamente viste in questo percorso potrebbero figurare la dedica greca a Lucio Giulio Vestino (nr. 73) e l’epitaffio della chiesa di Santa Anastasia (nr. 23).

Itinerario XII: elenco delle tombe dei martiri

Itinerario Iscrizioni

1. Iscrizione di papa Onorio nella basilica di San Pancrazio (nr. 26); 2. iscrizioni dei santi Proto e Giacinto (nn. 67-68).

Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Codex 326, ff. 84v, 85r (www.e-codices.ch)

Che l’elenco degli itinerari sia una copia errata e confusa lo si capisce anche da questa ultima voce. Quello che infatti altro non è che un evidente elenco di sepolture di martiri divise per vie, viene riportato nel codice con lo stesso stile degli itinerari. Così la prima riga In via Portensi extra civitatem è trascritta in capitale rustica e inchiostro arancione, come se fosse l’indicazione di inizio e fine dell’itinerario. Il copista non si rende conto - o se ne rende conto ad errore commesso - che l’incipit rimane lo stesso anche per le voci che seguono. Testi di queste sepolture riportati nella silloge sono, come da tabella, l’iscrizione di papa Onorio nella basilica di San Pancrazio (nr. 26) e le iscrizioni dei santi Proto e Giacinto nella catacomba di Bassilla (nn. 67-68).

234 Iscrizioni di dubbia attribuzione Alcune iscrizioni non sono state attribuite ad un itinerario in quanto non è presente nella silloge un’indicazione topografica sicura (nn. 8, 21, 44). Procedendo brevemente e sulla base di quanto visto nella sezione dedicata alla silloge, si è ipotizzato che l'iscrizione allestita per il restauro di un ninfeo ad opera di Flavio Filippo intus Romae (nr. 8) si trovasse nei pressi del Foro Traiano, da cui una potenziale attribuzione agli itinerari I, III e VIII. Per quanto riguarda il cenotaffio di Gaio Dillio Vocula (nr. 21), si è invece congetturata una vicinanza col precedente titulus del Macellum Liviae, anch’esso trascritto senza indicazione nella silloge, ma più facile da collocare per via della sua appartenenza a un luogo pubblico. Di conseguenza si pone l’iscrizione in relazione con l’itinerario VII, per quanto si tratti di una scelta consapevolmente arbitraria. Si è sovente visto nella prima sezione di questo lavoro che l’unica motivazione dietro la copia di tituli funebri sia l’imponenza dei monumenti. Che essi dunque si trovassero lungo un itinerario piuttosto che un altro, ha effettivamente poca importanza. L’iscrizione per padre Tiberino (nr. 44) fu vista dall’Anonimo ad Tiber. Gli itinerari I, II e VIII attraversano il fiume per Ponte Elio, VII per Ponte Maggiore, X, stando alla ricostruzione avanzata in precedenza, attraverso Ponte Cestio e Ponte Sublicio. Nella scheda dell’iscrizione si è detto che il testo doveva essere stato letto a poca distanza dai Fori e dal Campidoglio, epicentro del nucleo di iscrizioni copiate dall’Anonimo in questa sezione della silloge. Di conseguenza le ipotesi topograficamente più plausibili sono la riva in prossimità di Ponte Maggiore o quella di Ponte Cestio sull’isola tiberina. Dal momento tuttavia che il testo segue proprio una serie di tituli dal Campidoglio, visitato nel settimo itinerario - che passa per Ponte Maggiore e che abbiamo visto essere uno dei più ricchi - a esso si potrebbe assegnare anche la dedica a padre Tiberino.

235 2.3 Analisi dei risultati

Le iscrizioni appena disposte all’interno degli itinerari sono 73. Queste, per appartenenza ad uno stesso monumento o per ubicazione in una stessa area, possono essere divise in un totale di 42 nuclei, a loro volta suddivisibili in:

1. 23 nuclei di iscrizioni il cui monumento o luogo di ubicazione sono esplicitamente menzionati negli itinerari; 2. 17 nuclei di iscrizioni cui monumento o luogo di ubicazione non sono menzionati negli itinerari ma la cui appartenenza può essere dedotta; 3. 3 iscrizioni di collocazione dubbia.

1. Nuclei di iscrizioni cui monumento o luogo di ubicazione sono esplicitamente menzionati negli itinerari

Nuclei di iscrizioni Itinerario di possibile appartenenza

Arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II (nr. 7) II

Aqua Virgo (nr. 9) II

Base di statua di Petronio Massimo al teatro di XI Marcello (nr. 12) Iscrizioni del foro Traiano (nn. 13-14-14a) I, III, VIII

Terme di Diocleziano (nr. 16) III, V

Porta Maggiore (nn. 17, 18, 19) VII

Basilica di Sant’Anastasia (nr. 23) X, XI

Foro del Palatino (nr. 24) VII

Basilica di San Pancrazio (nr. 26) XII

Clivus Martis in via Appia (nr. 28) XI

Arco di Tito al Circo Massimo (nr. 29) X, XI

Septizodium (nr. 30) I, VII, VIII

Iscrizioni del Foro Romano (nn. 33, 34, 35) I, VII, VIII

Iscrizioni In Capitolio (nn. 38-43) I, VII, VIII

236 Arco di Costantino (nr. 36) VIII Arco di Tito (nr. 37) VIII Editto contro i soprusi dei mugnai alle molinae VII (nr. 47) Basilica di San Paolo fuori le Mura (nn.48-49) XI Teatro di Pompeo (n. 50) I, VIII, XI Elogi martoriali di Proto e Giacinto alle XII catacombe di Bassilla (nn. 67-68) Elogi omartoriale di Nereo e Achilleo alle XI catacombe di Domitilla (nr. 71) Elogio martoriale di Felice e Adautto alle XI catacombe di Domitilla (nr. 74) Elogi martoriali ad Catacumbas di S. Sebastiano XI (nn. 32, 75)

Particolari degni di nota:

1. Le iscrizioni dell’area dei fori possono ritenersi in relazione con più itinerari. Tale aspetto potrebbe essere indice questo del fascino che il passato glorioso della Roma classica destava ancora in età alto medievale in viandanti e pellegrini; 2. I tituli cristiani del suburbio meridionale (nn. 48, 49, 71, 74, 75) sono in relazione con il solo itinerario XI, l’unico di cui si dispone un’edizione completa ed originale, nonché l’unico a estendersi fuori delle mura della città.

2. Nuclei di iscrizioni cui monumento o luogo di ubicazione non sono menzionati negli itinerari ma la cui appartenenza può essere dedotta Nuclei di iscrizioni Itinerario di possibile appartenenza Ponte Salario (nn. 1-2) II Ponte Elio/Mausoleo di Adriano (nn. 3, 4=56, I, II, VIII 5=57, 5a=58, 59-66) Vecchia basilica di San Pietro (nn. 6, 10, 11) I, II, VIII Arco di Arcadio, Onorio e Teodosio II (nr. 7) I, VIII

237 Base di statua di Petronio Massimo al teatro di X Marcello (nr. 12) Arco di Graziano, Valentiniano II e Teodosio (nr. I, II, VIII 15) Iscrizione del Macellum Liviae (nr. 20) V, VII

Ponte Cestio (nr. 22) X

Chiesa di Santa Sabina (nr. 25) X

Iscrizioni presso Santa Maria della Febbre (nn. I, II, VIII 27 e 31) Clivus Martis (nr. 28) X

Iscrizioni del Foro Romano (nn. 33, 34, 35) III

Iscrizioni di via e Porta Salaria (nn. 45, 46) II

Biblioteca di papa Agapito (nr. 51) IX

Iscrizioni di via e Porta Flaminia (nn. 52-55) IV

Elogi martoriali di Proto e Giacinto alle II catacombe di Bassilla (nn. 67-68) Monumento funebre di Lucio Giulio Vestino (nr. XI 73)

Particolari degni di nota:

1. Alcuni nuclei (nn. 7, 12, 13-14a, 28, 33-35, 67-68) sono stati inseriti, oltre che nella prima tabella, anche in questa. Pur trovandosi in monumenti o aree menzionate esplicitamente negli itinerari, queste iscrizioni potevano anche essere viste e lette nel corso di altri percorsi; 2. Tutte le iscrizioni dell’area nord-occidentale fuori le mura della città (Ponte Elio/Mausoleo di Adriano, nn. 3, 4=56, 5=57, 5a=58, 59-66; iscrizioni della vecchia basilica di San Pietro in Vaticano, 6, 10-11; archi di Arcadio, Onorio e Tedosio II, nr. 7, e Graziano, Valentiniano II e Teodosi, nr. 15; tituli presso Santa Maria della Febbre, nn. 27 e 31) possono essere in relazione con una prosecuzione extra moenia dei percorsi I, II, VIII, i quali iniziano tutti da porta San Pietro; 3. Focalizzandoci in particolare sull’itinerario II, oltre ad una prosecuzione oltre Porta San Pietro, pare possibile un suo prolungamento anche oltre Porta Salaria e lungo l’omonima via, dove furono lette sei iscrizioni per un totale di tre unità (nn. 1-2, 45-46, 67-68). Non è

238 da escludere che l’itinerario originale si estendesse sia ad est che a ovest oltre le due porte segnate nel codice e sarebbe stato percorso proprio a partire dalla via Salaria.

3. Iscrizioni di collocazione dubbia Unità di iscrizioni Itinerario di possibile appartenenza Ninfeo di Flavio Filippo (nr. 8) I, III, VIII Epitaffio di Gaio Dillio Vocula (nr. 21) VII Dedica a Padre Tiberino (nr. 44) I, II, VII, VIII, X

Particolari degni di nota:

1. Per quanto le indicazioni topografiche della silloge siano poco chiare, si è notato nel commento a questi tituli che una loro relazione con gli itinerari è quantomeno congetturabile: la prima epigrafe si trovava probabilmente nei pressi del Foro di Traiano, in relazione quindi con gli itinerari I, III e VIII; la seconda, forse, nell’Esquilino, in relazione con l’itinerario VII; la terza sicuramente sulle rive del Tevere, dove passavano gli itinerari I, II, VII, VIII, X. La stessa constatazione che, su un totale di 73 iscrizioni, solo 3 abbiano una collocazione dubbia, appare un indizio favorevole ai termini di questa ricerca.

2.4 Commento Trentanove iscrizioni, suddivisibili in ventitré nuclei, potevano essere lette in monumenti o aree della città menzionati esplicitamente negli itinerari: si tratta di tituli presenti su opere pubbliche o edifici di culto interni alle mura della città, a cui si aggiungono le iscrizioni del suburbio sud di Roma, l’unica area fuori dalle mura ad essere menzionata - non a caso - proprio nel percorso incluso nella silloge (itinerario XI). Quaranta iscrizioni, suddivisibili in sedici nuclei, potevano essere visti incisi su monumenti, edifici o luoghi non menzionati esplicitamente negli itinerari, ma che ad almeno uno di essi potevano essere assegnati con certezza. La maggior parte di questi testi appartiene ad aree fuori dalle mura della città, molte volte in relazione proprio con le porte che, nel codice di Einsiedeln, indicano il punto di partenza dei percorsi. Se, come si è evinto dall’itinerario

239 XI, i percorsi in origine erano più lunghi e si estendevano anche nel suburbio, ne deriva che anche i dieci itinerari epitomati nel codice nel IX secolo, e facenti riferimento solo a zone interne alle mura, dovevano essere più ampi e far riferimento anche ad edifici e aree extra moenia. Di conseguenza, anche questi gruppi di iscrizioni sarebbero senza dubbio stati visti al di fuori delle mura. I casi più eclatanti sono quelli dei tituli del ponte Elio (n. 3), del Mausoleo di Adriano (nn. 4=56, 5=57, 5b=58, 59-66), della Basilica di San Pietro (nn. 6, 10, 11), dell’arco di Graziano, Valentiniano e Teodosio II (n. 15), dell’Obelisco Vaticano (n. 27) e dell’epitaffio di Marco Camurio Sorano (n. 31), i quali facevano tutti parte dell’area nord-occidentale della città oltre porta San Pietro e nel Vaticano. Porta San Pietro è il punto di partenza o di arrivo di ben quattro itinerari del codice (I, II, VIII, XI): appare dunque certo che, nel caso in cui questi itinerari fossero proseguiti oltre le mura, avrebbero incluso questi edifici e monumenti. Altri due nuclei di iscrizioni consistenti potevano essere visti l’uno tra via e Porta Salaria, quest’ultima punto di avvio del percorso II (nn. 1-2, 45-46. 67-68), e di Porta Flaminia (nn. 52-55), inizio dell’itinerario IV. Per quanto concerne le iscrizioni interne alle mura, i tituli del Teatro di Marcello (nr. 12), di Ponte Cestio (nr. 22) e della chiesa di Santa Sabina (nr. 25) sono stati assegnati all’itinerario X, il quale si è dimostrato essere stato copiato erroneamente dal copista di IX secolo e risulta mancante, probabilmente, di una parte. Tre iscrizioni sono di collocazione dubbia. Si tratta dell’iscrizione del ninfeo di Flavio Filippo (nr. 8), dell’epitaffio di Gaio Dillio Vocula (nr. 21) e della dedica a Padre Tiberino (nr. 44). Non sono state assegnate ad alcun itinerario per via della poca chiarezza delle loro indicazioni topografiche. Ciononostante, come indicato nelle rispettive schede, la loro relazione con i percorsi potrebbe essere quantomeno congetturabile. L’esito dell’analisi sin qui condotta è decisamente positivo: si può infatti affermare con certezza che tutte le iscrizioni della silloge possono essere messe in relazione con almeno uno degli itinerari del codice: con ciò la corrispondenza topografica tra i due nuclei della silloge intuita da Bauer nel 1997 e confermata da Blennow nel 2018 è stata effettivamente dimostrata. Di conseguenza, il terzo presupposto indispensabile per definire un’ipotetica relazione tra silloge ed itinerari è stato determinato.

240 Parte 3: Conclusioni

3.1 Silloge e itinerari del codice di Einsiedeln All’interno della storia degli studi relativi al manoscritto 326 della biblioteca dell'Abbazia di Einsiedeln si sono susseguite, sin dal 1987, una serie di letture che hanno individuato una relazione fra la silloge di testi epigrafici dei ff. 67r e 79r e gli itinerari della città di Roma contenuti tra i ff. 79v-85r e redatti tra 773 e 816. Secondo Gerold Walser, la silloge sarebbe opera di un amanuense della corte di Carlo Magno, sceso a Roma all'inizio del IX secolo come accompagnatore del re dei Franchi. Percorrendo una serie di itinerari predefiniti, egli avrebbe letto e trascritto le iscrizioni,

compiendo lo stesso processo anche a Pavia, dove sarebbe passato nella via di ritorno454. Franz Alto Bauer ha invece rimarcato la certa relazione topografica tra l’area ricoperta dalle iscrizioni romane della silloge e quella degli itinerari, ma non ha approfondito la questione455. Stefano Del Lungo ha proposto che silloge e itinerari, insieme anche alla descrizione delle mura di Roma dei ff. 85r e 86r, fossero un’unica opera propagandistica, prodotta in origine dalla cancelleria papale su commissione di Adriano I in occasione della discesa di Carlo Magno nella Pasqua del 774456. Nello specifico, le iscrizioni sarebbero state scelte in quanto i testi rimandavano in qualche modo a esempi del potere imperiale e papale, mentre gli itinerari e la descrizione delle mura erano destinati a laici e sacerdoti al seguito di Carlo Magno, per dimostrare loro la grandezza dei monumenti, degli edifici e delle infrastrutture, in particolare dove era necessario o già in corso un restauro, dal momento che per questi poteva sembrare necessario l'aiuto della Franconia. Anna Blennow, rifiutando la lettura di Del Lungo, ma confermando l’intuizione topografica di Bauer, ha definito similmente a Walser la silloge come opera di un colto e curioso pellegrino che, nel percorrere le strade di Roma seguendo una guida della città, si soffermò a osservare e trascrivere i testi epigrafici da lui considerati di particolare interesse457. Nessuna di queste congetture, per quanto suggestiva, può purtroppo essere accettata.

454 Walser 1987, pp. 9-11. 455 Bauer 1997, pp. 221-224.

456 Del Lungo 2004, pp. 81-82. 457 Blennow 2019, pp. 51-53 241 Esse sono state tutte avanzate senza che prima fossero definiti una serie di presupposti fondamentali per poter almeno proporre una relazione tra silloge ed itinerari, che in questo lavoro si è cercato di determinare: il primo è che effettivamente la silloge possa essere considerata un lavoro unico e non il prodotto della copia di vari nuclei di età diversa, come secondo la lettura del 1888 di Giovanni Battista de Rossi, ritenuta per anni canonica e mai ufficialmente confrontata e smentita dagli studi sopraccitati; il secondo è che tutte le iscrizioni fossero visibili e leggibili almeno tra 773 e 816, coordinate temporali in cui gli itinerari furono composti; il terzo, determinabile qualora i primi due presupposti fossero stati accertati, è confermare, come aveva suggerito Bauer, che effettivamente tutte le iscrizioni di Roma potevano essere incluse nei - e viste all’interno dei - percorsi del codice.

3.2 La silloge epigrafica: origine e datazione Partendo da una nuova edizione delle iscrizioni riportate nel codice di Einsiedeln si è evinto che la silloge era stata probabilmente redatta da un singolo individuo, attivo tra Roma e Pavia tra 728 e 860. Le iscrizioni da lui riportate sono divisibili in due gruppi: uno, più ampio, che comprende tituli civili iscritti in opere pubbliche, monumenti funerari o atti pubblici; uno, più ristretto, di dediche su edifici cristiani ed elogi martoriali, per lo più epigrammata di papa Damaso. Il primo gruppo di testi fa riferimento ad edifici e monumenti di imponenti dimensioni, i quali potevano sicuramente attirare l’attenzione del viandante. Essi si trovavano tutti all’aperto, e venivano approcciati con un atteggiamento “passivo”: l’Anonimo non era direttamente interessato ad essi, ma li vedeva e ne rimaneva impressionato; i tituli del secondo, invece, erano tutti collocati all’interno di edifici, quali chiese, basiliche, biblioteche e complessi catacombali. La loro scoperta deriva dalla volontà “attiva” del redattore di visitare tali edifici di culto: una volta entrato, stupito dalla magnificenza dei supporti o dal particolare interesse del contenuto dei testi, li ricopiava. Il comune denominatore delle copie dell’Anonimo era dunque l’impatto visivo del supporto in cui erano riportate le iscrizioni. Il fatto che questo coerente approccio metodologico è stato rintracciato tanto nei testi di Roma quanto in quelli di Pavia, ha suggerito che una sola mente operasse nelle due città. In questo modo si è potuto presentare una controproposta all'interpretazione tradizionale di de

242 Rossi, il quale, erroneamente, considerava la silloge di Einsiedeln il prodotto della copia di varie collezioni di testi di diversa età e provenienza, sul modello della silloge di Lorsch. Quanto alla datazione, il termine post quem è stato inequivocabilmente indicato nell’iscrizione greca di Pavia, commissionata dal re longobardo Liutprando per i lavori di restauro della chiesa di San Pietro in Cielo d’Oro tra 728 e 730. Il termine ante quem invece, è derivato da un’attenta analisi della tradizione dei testi della silloge, che ha determinato come il limite più credibile fosse quello rappresentato dalla scomparsa del titulus della dedica a Padre Tiberino e menzionante il curator aquarum Lucio Elio Dionisio. Un frammento di questa iscrizione si trova oggi conservato nell’atrio della chiesa di San Silvestro in Capite, dove sembra essere giunto in occasione di una delle due piene del Tevere dell’856 e 860 che sappiamo aver interessato direttamente la chiesa. Dopo aver dimostrato questi due punti indispensabili per definire l’ipotetica relazione tra silloge e itinerari, si è dunque potuto procedere al confronto fra le due sezioni del codice di Einsiedeln, al fine di verificare se, come aveva intuito Franz Alto Bauer e confermato Anna Blennow, esista una totale congruenza topografica tra l’una e gli altri.

3.3 La corrispondenza topografica tra silloge e itinerari Nella seconda parte dello studio si è prima di tutto spiegato, partendo dall’analisi dei frammenti di itinerari inclusi nella silloge dal copista di IX secolo, come la critica sia all’unanimità concorde nel definire i percorsi del codice di Einsiedeln l’epitome corrotta di una serie di guide di Roma più dettagliate e discorsive, esempi delle quali possono essere rintracciati proprio all’interno della silloge. Questa premessa è stata indispensabile per la prosecuzione del lavoro, in quanto, se suo obiettivo ultimo era definire se potesse esistere una relazione tra silloge ed itinerari, determinante era intuire la forma originaria degli itinerari. Quindi, si è proceduto a un confronto tra i testi romani della silloge e gli itinerari del codice di Einsiedeln. Grazie all’uso di dodici tabelle - una per ogni itinerario - si è cercato di determinare quali iscrizioni potessero essere viste all’interno di ciascun itinerario. Ne è risultato che trentanove di esse potevano essere lette in monumenti o aree della città menzionati esplicitamente negli itinerari; quaranta potevano essere visti incisi su monumenti, edifici o luoghi non menzionati esplicitamente negli itinerari, ma la cui appartenenza può essere con assoluta certezza dedotta. La maggior parte di questi testi appartiene ad aree fuori dalle 243 mura della città, le quali sicuramente erano citate nelle versioni originali degli itinerari, che, come si è visto, si estendevano anche extra moenia; solo tre testi, invece, sono di collocazione dubbia, in quanto l’indicazione topografica della silloge non è precisa. Ciononostante, anche per questi si è potuto congetturare una relazione con gli itinerari. Nel complesso, si è visto come anche il risultato di questo lavoro di indagine è stato decisamente positivo, e con ciò la corrispondenza topografica intuita da Bauer è stata effettivamente dimostrata.

3.4 Considerazioni finali Gli esiti di questa ricerca sono stati positivi: tutti e tre i presupposti indispensabili per definire un’ipotetica relazione tra silloge ed itinerari sono stati determinati e, di conseguenza, le letture di Walser, Del Lungo e Blennow si possono considerare fondate su evidenze verosimili e praticamente dimostrabili. Per quanto questo fosse l’obiettivo del nostro lavoro, la mole di dati raccolta ha permesso di avanzare un’ulteriore ipotesi su quale fosse il rapporto tra i due nuclei del codice. Essa concorda, nella sostanza, con la lettura di Blennow: la silloge fu redatta da un pellegrino proveniente dal nord Europa che, impegnato in una visita devozionale dei principali luoghi di culto cristiani a Roma, percorse le strade della città seguendo alcuni itinerari. Attratto da una serie di iscrizioni imponenti o ben visibili o riportate in importanti luoghi di culto cristiani, egli ne trascrisse i testi. Sulla strada del ritorno verso la propria patria, come proposto da Walser, l'Anonimo si sarebbe fermato a Pavia, dove avrebbe compiuto un’azione analoga. Di conseguenza, silloge e itinerari non furono redatti contemporaneamente, come proposto da Del Lungo. Il loro rapporto, piuttosto, risiedeva nell’utilizzo, da parte del redattore della silloge, di una serie di guide precise e dettagliate della città di Roma, che erano state redatte a fine odeporico tra 773 e 816 e, qualche anno più tardi, furono riportate in maniera corrotta e fortemente epitomata all’interno dello stesso codice di Einsiedeln. Allo stato attuale della ricerca non è possibile accertare quanto fossero con precisione questi itinerari. Siamo a conoscenza del fatto che un unico originale è stato preservato proprio all'interno della silloge, e che le versioni a noi giunte non prendono in considerazione l’estensione dei percorsi fuori le mura della città. Tuttavia, se è vero che l’Anonimo viandante osservò tutti i testi romani seguendo tali itinerari, allora, partendo da

244 un nuovo confronto fra silloge e itinerari epitomati e usando l’itinerario numero XI come modello, potrebbe essere possibile ricostruire la versione originale di altri itinerari. È questo solo un ipotetico esempio degli sviluppi che gli studi sulla silloge e sul codice di Einsiedeln potrebbero avere in futuro.

245 Indice delle figure Tutte immagini del manoscritto Einsiedeln, Stiftsbibliothek, Cod. 326 sono tratte da www.e-codices.ce (https://www.e-codices.ch/en/sbe/0326/bindingA/0/Sequence-1016).

Tutti i disegni degli itinerari del codice di Einsiedeln sono tratti da Walser 1987, pp. 163-201, ad eccezione dell’itinerario VI, da Hülsen 1907, p. 26.

Fig. 1: percorso che collega il foro di Traiano, le chiese di Madonna dei Monti e di San Francesco di Paola e la Basilica dei Santi Giovanni e Paolo, ricostruzione dell’autore con https://www.google.com/maps.

Fig. 2: ricostruzione - senza iscrizione - dell’abside dell’antica Basilica di San Pietro, da Foletti - Quadri 2013, p. 18.

Fig. 3: traditio legis, battistero di San Giovanni in Fonte, Napoli, da Foletti - Quadri 2013, p. 17.

Fig. 4: traditio legis, mausoleo di Santa Costanza, da Foletti - Quadri 2013, p. 20.

Fig. 5: l’iscrizione della Colonna Traiana, da Stucchi 1989, p. 238.

Fig. 6: ricostruzione di CIL VI 967, da Ruck 2007, tav. 41, 3.

Fig. 7: ricostruzione dell’iscrizione delle terme di Diocleziano, da Crimi 2014, p. 58.

Fig. 8: frammento a dell’iscrizione delle terme di Diocleziano, da CIL VI 1130.

Fig. 9: frammento b dell’iscrizione delle terme di Diocleziano, da CIL VI 1130.

Fig. 10: facsimile delle tre iscrizioni di Porta Maggiore, lato sud, da Coates Stephens 2004, p. 38.

Fig. 11: Porta Maggiore, 1838 ca., da Coates Stephens 2004, p. 97.

Fig. 12: Porta Maggiore, lato sud, XVII secolo, da Coates Stephens 2004, p. 98.

Fig. 13: Porta Maggiore, lato nord, XIX secolo, da Coates Stephens 2004, p. 99.

Fig. 14: iscrizione della chiesa di Santa Sabina, da http://www.calino.it/turismo/lazio/ Chiesa_Santa_Sabina.pdf.

Fig. 15: Maarten van Heemskerck, l’Obelisco Vaticano a San Pietro e Santa Maria delle Febbre a Roma, 1532, da http://www.zeno.org/nid/20004075250.

246 Fig. 16: ricostruzione dell’Arco di Tito al Circo Massimo, da Buonfiglio 2014, p. 171.

Fig. 17: ricostruzione grafica dell’Arco di Tito al Circo Massimo, da Buonfiglio 2014, p. 179.

Fig. 18: ricostruzione grafica dell’iscrizione dell’arco di Tito al Circo Massimo, da Granino Cecere 2014, p. 234.

Fig. 19: la torre de arcu, in prossimità dei ritrovamenti dell’Arco di Tito, da Leoni 2018/2019, p. 276.

Fig. 20: ricostruzione del Septizodium, da Hülsen 1886, tav. 4.

Fig. 21: incisione del Septizodium di Antonio Lafreri, da Hülsen 1886, p. 10.

Fig. 22: incisione del Palatino di Stefano Duperac, da Hülsen 1886, p. 30.

Fig. 23: disegno del di Marteen van Heemskerck, da Bartoli 1909, p. 264

Fig. 24: veduta del Foro di Maarten van Hemmskerck, da Armellini 1891.

Fig. 25: frontone sud-est dell’Arco di Settimio Severo, da Ventura Villanueva 2014, p. 271.

Fig. 26: frontone nord-ovest dell’Arco di Settimio Severo, da Ventura Villanueva 2014, p. 272.

Fig. 27: frontone sud-est dell’Arco di Settimio Severo. Particolare della quarta riga da Ventura Villanueva 2014, p. 271.

Fig. 28: frontone sud-est dell’Arco di Settimio Severo. Particolare della quarta riga da Ventura Villanueva 2014, p. 272.

Fig. 29: l’iscrizione del tempio di Saturno, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/ immagini_uso/105/105657-2.jpg?dummy=1594472412.

Fig. 30: vista del foro di Etiénne Du Pérac, da Pensabene 1984, p. 158.

Fig. 31: pianta del foro di Iacopo Lauro, da Pensabene 1984, p. 160.

Fig. 32: vista del Tempio di Saturno di G.B. Piranesi, da Pensabene 1984, p. 162.

Fig. 33: frammenti della Forma Urbis, da Pensabene 1984, p. 10.

Fig. 34: vista del foro nel Codex Escurialensis, da De Angeli 1992, p. 31.

Fig. 35: Arco di Costantino, da De Maria 1988, tav. 95. 247 Fig. 36: iscrizione dell’arco di Costantino, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/ immagini_uso/103/103881.jpg?dummy=1594471936.

Fig. 37: Arco di Tito, da De Maria 1988, tav. 66.

Fig. 38: iscrizione dell’arco di Tito, particolare da De Maria 1988, tav. 66.

Fig. 39: frammento di CIL VI 773, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/immagini_uso/ 137/137479.jpg?dummy=1594472129.

Fig. 40: CIL VI 1016a, da http://www.edr-edr.it/foto_epigrafi/immagini_uso/ 29/029595.jpg?dummy=1594472187.

Fig. 41: ricostruzione 3D del Teatro di Pompeo, da https://commons.wikimedia.org/w/ index.php?%20curid=21850600.

Fig. 42: via di Grotta Pitta, Roma, da https://goo.gl/maps/tydmegeV7fse4LC58.

Fig. 43: ricostruzione del mausoleo di Adriano, da Hülsen 1891.

Fig. 44: trascrizione di parte del testo n. 72 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Fig. 45: trascrizione di parte del decimo itinerario del codice di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Fig. 46: trascrizione del testo n. 69 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 41.

Fig. 47: trascrizione di parte dell’elenco delle sepolture dei martiri del codice di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 8.

Fig. 48: trascrizione del testo n. 70 della silloge di Einsiedeln, da Hülsen 1907, p. 41.

Fig. 49: trascrizione di parte del decimo itinerario del codice di Einsiedeln da Hülsen 1907, p. 40.

Fig. 50: Ricostruzione dei percorsi I-X dell’Itinerario di Einsiedeln, da Santangeli Valenzani 2019, p. 361.

Fig. 51: potetico proseguimento dell’itinerario X. Ricostruzione dell’autore con https:// www.google.com/maps

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