Città di i Pajetta l’eredità della pittura 1809 - 1987 Fabio Girardello Ringraziamenti: Assessore alla Cultura I curatori della mostra e gli organizzatori desiderano ringraziare: Vittorino Pianca I Musei e le Istituzioni che hanno voluto generosamente concedere Direttore dei Musei Civici il prestito delle loro opere: Mostra e catalogo a cura di: Museo di Castelvecchio, Verona, Direttore: Paola Marini Alberto Fiz, Vittorino Pianca, Nico Stringa Museo del Cenedese, Galleria Civica “Vittorio Emanuele II”, Vittorio Veneto, Direttore: Vittorino Pianca Saggi di: Museo di Villa Breda, Ponte di Brenta, Direttore: Michelangelo Cibin Francesca Costaperaria, Alberto Fiz, Fondazione Panizzutti, Milano, Presidente: Mons. Luigi Crivelli Vittorino Pianca, Nico Stringa Fondazione Cassamarca, , Presidente: Dino De Poli Coordinamento: Archivio Guido Pajetta, Milano Giorgio Pajetta Le Gallerie che hanno offerto la loro collaborazione: Art Director: Galleria Tonelli, Milano Luciano Salvadori Segreteria: Un ringraziamento ai collezionisti che hanno Francesca Costaperaria, Paola Da Grava, generosamente concesso le loro opere: Orietta Pizzol, Maria Teresa Viotto Fabrizio Bellini, Maria Luisa Bosio, Amedeo Bruscagnin Angelo Della Porta e Paola Da Ros, Paola Pajetta De Pace Allestimento tecnico: Carlo, Giovanni e Paolo De Poi, Ugo Faganello, Carlo Fasoli Roberto Bortot, Renato Braido, Ivano Casagrande Luciano Franchi, Giorgio Gioco, Armando Luzi Crivellini Immagine: Corrado Pasquotti e Federica Lotti, Mauro Moretto Roberto Da Re Giustiniani Enzo Pavan, Giovanni Righetti, Maria Rosa Scarpazza Restauratori: Fratelli Scolari, Famiglia Simonetto , Natalia Baccichetto, Fiorino Berton, Cinabrum, Alberto Steccanella e Francesca Botteon, Angelo, Lino, Mario, Renza Clocchiatti Garla, LaReCo Remo Stoppani, Donata Turati, Fabio e Carla Turati Lucio e Raffaele Voltolina Uffici Stampa e Pubbliche Relazioni: Associazione “Amici del Castrum” Siamo riconoscenti a tutti coloro che, in vario modo hanno Matilde Meucci, Belgioioso, Pavia contribuito alla riuscita della mostra: Andrea Bellieni, Paola Bin Antonioli, Francesco Bontempi Referenze fotografiche: Alessandra Bruscagnin, Adriana Pajetta Buccero, Alberto Boratto Fabrizio Bellini, Franco Capovilla, Luciano Franchi, Renata Callegarini, Benedetta Calzavara, Romeo Casadio Gianni Mari, Giorgio Pajetta, Vittorino Pianca, Michelangelo Cibin, Tiziana Conte, Alfredo Corsini, Laura D’Andrea Enrico Pierotti, Mario Tagliabue, Umberto Tomba Barbara De Stefano, Paolo Di Porcia, Paolo Goi, Graziano Lorenzon, Riccardo Manfè, Andrea Marcon, Franco Marinato, Gianni Martin, Michele Neri, Daniela Pasoli, Corrado Pasoli, Cecilia Talami, Maria Trevese, Nessuna parte di questo libro può essere riprodotta o trasmessa Renzo Trevisan, Federico Velluti, Cristiano Velo, Erminio Venzon in qualsiasi forma o con qualsiasi mezzo elettronico, meccanico o altro Albertina, Rodolfo Zucco e Alessandro Zampieri senza l’autorizzazione scritta dei proprietari dei diritti e dell’editore Un ringraziamento particolare a: L’editore è a disposizione degli eventuali detentori di diritti Luigi De Martin, Giorgio Marini che non sia stato possibile rintracciare

© Città di Vittorio Veneto

© Nicolodi Editore 2006 via dell’Artigiano 30, Rovereto (Tn) - Italia tel +39 0464 430330 e fax +39 0464 423808 [email protected] - www.nicolodieditore.it ISBN: i Pajetta l’eredità della pittura 1809 - 1987

a cura di

Alberto Fiz Vittorino Pianca Nico Stringa

Città di Vittorio Veneto Nicolodi editore i Pajetta l’eredità della pittura 1809 - 1987

Con il contributo della Regione del Veneto

Con il patrocinio della Provincia di Treviso

Mostra promossa e realizzata dal Comune di Vittorio Veneto, Assessorato alla Cultura: Musei Civici Vittorio Veneto, Galleria Civica “Vittorio Emanuele II” Villa Croze, Viale della Vittoria 321 Museo del Cenedese, P.zza Marcantonio Flaminio 1 24 Giugno - 24 Settembre 2006

Sponsorizzazioni: Secondo un preciso intento dell’Amministrazione Comunale, i Civici Musei di Vittorio Veneto continuano l’at- tività espositiva, volta a valorizzare la Storia e l’Arte della nostra Città, caratterizzata, fin da epoche antiche, dal duplice centro storico di Ceneda e Serravalle. A sette anni fa risale Il tempo dei Longobardi, mostra che ha evidenziato l’apporto di questa importante civiltà nelle terre cenedesi e trevigiane. Ad essa fecero seguito Interno Veneto (2002), che indagava le caratteristiche dell’arredamento domestico fra Trevigiano e Bellunese fra Gotico e Rinascimento, e Giornate Medioevali (2003), con i primi scavi archeologici a S. Rocco ed il convegno sui castelli medioevali veneti. Quindi la mostra fotogra- fica Il Vittoriese di Giulio Marino (2004) e la prima edizione di GraviLievi (2005), iniziativa dedicata alla scul- tura novecentesca di piccolo formato presente nei Musei Vittoriesi, oltre che alla valorizzazione della scultura contemporanea. Oggi, con I Pajetta, l’eredità della pittura 1809-1987, si intende dar conto dell’attività di cinque generazioni di pittori, di cui i primi tre – Paolo, Pietro e Mariano - ebbero i natali a Serravalle, già antica capitale della signoria dei Da Camino. Se Pietro Pajetta, assai attivo come ritrattista, pittore “verista” e frescante nella seconda metà dell’ Ottocento e nei primi anni del Novecento, è stato da tempo riconosciuto come l’autentico “nume tutelare” dell’arte vittoriese in età moderna (come attestano le esposizioni cittadine che si sono succedute nel corso degli ultimi quarant’anni), ben poco, a livello locale, si conosceva del padre Paolo, del fratello Mariano e dei nipoti Mario Paolo e Guido, ben noto invece a Milano. La presente esposizione intende quindi colmare questa lacuna e, insieme, mostrare l’evoluzione di due secoli di pittura veneta e italiana attraverso un’esemplare storia famigliare. La mostra, già di per sé di assoluta valenza estetica e documentaria, assume spessore ancor maggiore dal momento che si ricollega idealmente all’esposizione sull’Ottocento Veneto, attuata lo scorso anno presso Casa dei Carraresi a Treviso, ed alla prossima esposizione trevigiana, inerente al Novecento nella Marca Gioiosa, divenendo uno strumento fondamentale per la rilettura della cultura veneta in età moderna. Senza contare che, attraverso la narrazione dell’epopea dei Pajetta, si aggiunge un elemento a quella tradizione delle famiglie d’artisti - dai Bellini ai Vecellio, dai Guardi ai Tito - che hanno reso universale l’arte veneta. Nel ringraziare tutti coloro che si sono fatti parte diligente nell’ideare, organizzare e realizzare quest’evento, non- ché i collezionisti privati che hanno messo a disposizione le opere di proprietà, talora permettendo vere e proprie scoperte, menzione particolare merita l’architetto Giorgio Pajetta, diretto discendente della gloriosa genealogia, che ha attivato attraverso la Fondazione Panizzutti da lui rappresentata, la ricerca dei mezzi perché la Città di Vittorio Veneto potesse riconoscere i meriti artistici di alcuni fra i suoi più illustri figli.

Sindaco Assessore alla Cultura Prof. Giancarlo Scottà Prof. Fabio Girardello



Indice

13 I Pajetta, l’eredità della Pittura 1809 - 1097 165 Guido Pajetta 1898 - 1987 Ragioni di una mostra 167 Alberto Fiz Guido, Pajetta, l’inquietudine della modernità 19 Paolo Pajetta 1809 - 1879 179 Le opere 21 Vittorino Pianca, Paolo Pajetta fra primo e 217 Note biografiche e Bibliografia secondo Ottocento 37 Le opere 55 Note biografiche e Bibliografia

57 Pietro Pajetta 1845 - 1911 59 Nico Stringa, Pietro Pajetta, la poesia della realtà 73 Le opere 111 Note biografiche e Bibliografia

115 Mariano Pajetta 1851 - 1923 117 Vittorino Pianca, Eclettismo fra pittura e fotografia 125 Le opere 137 Note biografiche e Bibliografia

139 Mario Paolo Pajetta 1890 - 1977 141 Francesca Costaperaria, Mario Paolo Pajetta, la pittura veronese tra Ottocento e Novecento 151 Le opere 163 Note biografiche e Bibliografia

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I Pajetta, l’eredità della pittura Ragioni di una mostra

Non è rara ma certamente interessante la circostan- ranea e quella, carica di speranze, dell’Organizzazione za di una famiglia di artisti le cui vite professionali delle Nazioni Unite. Un divenire artistico e storico coprono un arco di due secoli. difficile da dipanare, da raccontare, da ridurre alla Solo per restare nelle Venezie si possono ricordare semplice coerenza narrativa. alcuni: i Moranzone, gli Zucchi, i Canal, i Tiepolo, i Poco rimane di tutto questo nell’arte di questa fami- Rotta, i Tito, i Ciardi, i Cadorin… e fuori: i Carracci, glia, anzi i fatti storici sembrano restare sempre in i Campi, i Barilli… secondo piano, nascosti dall’esistenziale bisogno di Sicuramente, si parva licet… anche i Pajetta di fare arte, semplicemente per vivere e campare, ma Serravalle, una volta incontrati, non si dimenticano anche per sperare che la catarsi artistica conduca ad più. un’esistenza valorizzata. Di origini borghesi, a partire dall’umile mestiere di La prima notizia della famiglia Pajetta s’incontra nel- decoratori di chiese, palazzi del ceto agiato locale, l’anno 1809. di palazzi pubblici, essi entrano di prepotenza nel In quell’anno Serravalle apparteneva al Regno d’Ita- mondo artistico locale e non ne escono per duecento lia creato da Napoleone Bonaparte ed era sede di un anni. E sono anni estremamente interessanti: vi è la Cantone cui facevano capo i borghi di Longhere, nascita della fotografia, dal neoclassicismo si arri- Olarigo, Rindola e i Comuni di Anzano, Cappella, va all’astrattismo contemporaneo, passando per il Colle, Fregona, Lago, Osigo, Pinidello, San Martino. romanticismo, il realismo, il simbolismo, il moderno Ma la situazione politica era in quel frangente fra le e il postmoderno… ma anche attraverso l’epopea più mutevoli della pur tormentata storia d’Italia. napoleonica, l’età dei nazionalismi ottocenteschi, le Dopo appena quattro anni questo territorio tornerà cruente guerre dell’ottocento, la nascita della Croce in mano austriaca. Rossa, le due ancor più spaventose guerre mondiali, Il 3 aprile 1848, quando anche a Serravalle venne elet- la bomba atomica, la nascita dell’Europa contempo- to il Comitato Provvisorio, iniziò la breve parentesi rivoluzionaria, bruscamente interrotta il 2 maggio dello stesso anno, dall’arrivo delle truppe austriache del generale Nugent che ristabilirono “l’ordine costi- A sinistra: Foto di famiglia nel 1870: Il padre Paolo (a destra), i figli Mariano e Augusto, la madre Vincenza tuzionale nazionale”.

13 Serravalle entrerà a far parte del Regno d’Italia sabau- Minuccio Giustiniani Assistente dell’Ufficiale dello do, con tutto il Veneto, nel novembre 1866. Stato Civile.” Poco prima, il 27 settembre 1866, Serravalle si era L’impiegato di anagrafe, che con i nomi ricordava la unita con il limitrofo Comune di Ceneda a formare sua appartenenza alla nobiltà serravallese dei Minucci una nuova città che, in onore del Re protagonista e Giustiniani, ipercorreggeva il cognome, di evidente dell’unità nazionale, da allora si chiamerà: Vittorio origine veneta, in “Paglietta”. (Vittorio Veneto dal 1923).. Andrea dichiarava la sua professione di “scalletero”,2 In un atto di nascita del Libro dello Stato Civile cioè faceva il pasticcere, e, come vediamo sapeva leggere del Comune di Serravalle1, redatto nel Palazzo della e scrivere, a differenza dei due sacrestani di Serravalle. Comune di Serravalle, oggi sede del Museo del Cenedese, Nella firma ribadiva orgogliosamente il suo cognome incontriamo quelli che per ora rimangono i primi tre nella forma originale e si firmava “Pajetta”. Pajetta a noi noti: Tiziano, Andrea e Paolo: E qui si coglie subito lo spirito battagliero dei Pajetta: “Regno d’Italia. Dipartimento del Tagliamento, Distretto ricordiamo Pietro che fugge a combattere per l’Italia, III: di Ceneda, Cantone II: e Comune di Serravalle, che resta amico di tutti i “combattenti”, a cominciare giorno di Sabbato, li trenta del mese di Settembre anno dai garibaldini; che esibisce orgogliosamente nell’ mille ottocento nove alle ore tre pomeridiane. Autoritratto il giornale “L’Adriatico” organo dei radi- Si è presentato al sottoscritto Assistente dell’Ufficiale cali veneti. dello Stato Civile Andrea del fu Tizian Paglietta, d’anni A venticinque anni Paolo sposa la concittadina quarantatre, di professione scalletero, domiciliato sulla Vincenza Borniotto. Piazza di questa Comune, portando seco un infante di In una foto di famiglia conservata e postergata dal sesso mascolino nato questa mattina alle ore dieci in nipote Mario Paolo, che possiamo datare intorno Piazza suddetta, a cui furono imposti li nomi di Paolo agli anni Settanta dell’Ottocento vediamo Vincenza = Girolamo. ritratta insieme al consorte Paolo e a due dei loro figli: Il suddetto Andrea Paglietta ha pure dichiarato essere Mariano Telesforo (nato nel 1851) e Augusto Luigi il neonato figlio suo, e di Francesca nata Beltramini Giovanni (nato nel 1848). sua Consorte, d’anni ventisette, di professione nessuna, Quando Pietro la ritrae in Mia madre, non sappiamo se domiciliata nel luogo del marito. vive ancora o se ritorna nel ricordo amorevole del figlio, Testimoni alla presentazione, ed alla notificazione furo- mentre disegna, alla luce spiovente di una finestra, con no Giovanni del fu Francesco Tandura, d’anni cinquan- lo stesso sguardo affettuoso che la coglieva intenta ad tauno, e Giovanni di Pietro Tandura, d’anni trenta, un lavoro che segna il destino dell'intera famiglia. ambedue nonzoli di questa chiesa Parrocchiale, domi- Paolo e Vincenza hanno prima quattro figlie: Filomena ciliati nella Contrada di Tiera di questa Comune. Fu Francesca Maria (1837), Francesca Maria Filomena fatto il presente atto a tenor di legge, e li testimoni non (1839), Marianna Augusta Luigia ((1840), Maria si sottoscrivono per essere illetterati: Augusta Giovanna (1844), e finalmente un maschio: [firma autografa di] Andrea Pajetta notificante Pietro, cui aggiungono il nome del nonno, Andrea

14 (nato il 22 marzo 1845, battezzato il 29 aprile 1845, Mentre alcuni figli nascono a Serravalle altri nascono padrino il nobile Pietro Antonio Pestazzi di Ceneda). a Ceneda in Contrada Maggiore o Calle del pozzo. Nasceranno infine: Maria Antonia (1847), Augusto Pensiamo che entrambi i toponimi alludano ad un Luigi Giovanni (1848, in via Riva a Serravalle) e medesimo luogo e cioè ad una casa situata nei pressi Mariano Telesforo (5 gennaio 1851). di quello che attualmente è l’incrocio fra via Umberto Da Pietro nascono i figli: Cosmo e via San Tiziano. Quest’ultima via era l’antica Paolo Francesco Giuseppe, nato il 6 marzo 1872, (forse di origine romana, citata comunque nell’Estimo a Ceneda in Contrada Maggiore 684, e morto a di Ceneda del 1532, f.23) Cal da pos (Calle del pozzo). Castelfranco Veneto nel 1960. Testimone dell’atto di Oggi il nome è attribuito invece ad una sua dirama- nascita fu Pietro Pasquotti di Giacomo, di anni tren- zione verso sud. In questa Cal da Pós forse i Pajetta tasette, decoratore, raffigurato da Pietro in un ritratto possedevano terra e casa: le variazioni del numero di oggi di proprietà di Corrado Pasquotti a Ceneda. casa paiono alludere ad una casa anche grande, maga- Luigi, nato il 15 gennaio 1874 in Calle del Pozzo 330 ri con diverse entrate, ragione per cui Paolo si definiva (Ceneda), e morto a Piombino Dese (PD) nel 1938. “possidente”, forse perché non possedeva solo la sua Raffaello, nato il 14 aprile 1876, in Calle del Pozzo casa a Serravalle.(MASCHIETTO,1963. p.24). 334 (Ceneda), e morto a Milano nel 1948. Da Mariano nacque Mario Paolo a Genova nel 1890 Mario I, nato il 21 luglio 1878 in Calle del Pozzo 332 che morì a Verona nel 1977. (Ceneda), e morto nel 1883. Con Mario Paolo nasce un nuovo ramo della famiglia Mario II, nato il 30 maggio 1884 in Piazza Flaminio che, da Vittorio Veneto, attraverso Genova, si radica 36 (Serravalle) e morto a Padova nel 1955. Di sfug- a Verona. Ed è proprio qui che lo spirito artistico, gita si noti che dal relativo atto di nascita si evince eclettico e anticonformista, dei Pajetta si incarna in come già nel 1884 la piazza era dedicata al Flaminio un personaggio che per circa mezzo secolo anima la diversamente da quanto segnalato dal Maschietto che vita artistica della città veneta con i suoi atteggiamenti la diceva intitolata così nel 1886. (A. MASCHIETTO, eccentrici (a Torino si era cimentato come attore di Toponomastica vittoriese. Vittorio Veneto, TIPSE, cinema), anarcoidi e per la sua grande passione per 1963. p.58) la cultura e per lo sport (in particolare per la scherma Augusta Caterina Francesca, nata il 12 maggio 1886 e il ciclismo). Il lavoro di Mario Paolo risulta ad oggi in Borgo San Girolamo 21 (Serravalle), e morta a una miniera inesplorata per la vastissima gamma di Bassano del Grappa nel 1981. ambiti, dall’affresco alla pittura di studio e di caval- Fra il 1872 ed il 1884 la famiglia di Pietro abitava dun- letto, dalla decorazione alla grafica, all’illustrazione e que nella casa di Ceneda, mentre dal 1884 ritornaro- alla ritrattistica. no a Serravalle, prima in piazza M. Flaminio e poi Conclude il ciclo artistico della famiglia Guido Paolo nel Borgo de soto de Saraval o Borgo San Girolamo, che nasce a Monza nel 1898 e muore a Milano nel nei pressi dell’incrocio attuale fra via Cavour e viale 1987. Figlio di Augusto (farmacista di professione della Vittoria. si trasferisce a Monza dalla natia Vittorio Veneto) e

15 nipote di Pietro e Mariano, incarna l’ultimo e più non lasci cadere la possibilità di intervenire a salvare complesso anello della catena ereditaria della fami- un passato, spesso molto recente, e paradossalmente glia. Il suo lavoro dalle solide radici nel secondo proprio per questo trascurato, di una cultura artistica Ottocento veneto si sviluppa tra la Milano culla della e civile da conservare e valorizzare. Scapigliatura e di “Novecento”, e la Parigi delle avan- guardie europee. Dipinge ininterrottamente per 70 anni, dopo l’Acca- demia di Brera, alievo di Alciati e compagno dei futuri Alberto Fiz Chiaristi. Lavora con Sironi nel ‘32 agli affreschi di Vittorino Pianca Palazzo dell’Arte a Milano, cofermando di possedere Nico Stringa nel suo DNA il gene che spinge la famiglia all’affresco. Viene invitato alle Biennali di Venezia nel ‘28, ‘30, ‘32, ‘34. Vive ed espone a Parigi dal 35 al 37 e dal ‘47 al ‘49. Espone a Londra nel ‘52, ‘55, ‘60, ‘63. Il suo spirito ribelle e inquieto lo spinge alla ricerca della “modernità”, attraverso il primo Novecento delle Avanguardie, verso il secondo Novecento della nuova figurazione. Questa Mostra è stata l’occasione di penetrare a fondo nella cultura vittoriese e veneta, attingendo a piene mani dalle collezioni di famiglie private e di amanti d’arte, raccogliendo la collaborazione entusiasta di Note 1 Vedi: ASVV, Serravalle, serie 37, b.130, p.37v. in Archivio Comunale tanti, tanti cittadini che si sentono orgogliosi di con- di Vittorio Veneto. Inventario della sezione separata (1301-1950) .I. servare un pezzo di storia patria e di collaborare alla Serravalle (1301-1866) e Ceneda (1338-1866). A cura di MariaGrazia conoscenza ed alla valorizzazione di tesori dell’arte e Salvador. Venezia, Giunta Regionale del Veneto, 1994. p.203. cultura moderna italiana. 2 Il nome derivava da un famoso dolce veneziano, costituito da un A tutti il grazie più caloroso. tronchetto fatto a gradini. Tagliandolo a fette mostrava due profili a piccole scale, in veneziano “scaléte”. Ironicamente questo era anche nel A tutti le nostre scuse se non siamo riusciti ad essere vittoriese il nome delle croste che, dalla cottura della polenta, restavano più completi e generosi di informazioni e di critica. tutto intorno al paiolo e di cui i bambini andavano ghiotti: era quello il Siamo convinti di avere appena smosso le acque di dolce dei poveri. In qualche luogo a Venezia si conserva tuttora il nome, una realtà ricca e promettente che affidiamo a quanti “scaletèr”, attribuito sia alla professione che alla bottega di pasticcere. avranno la pazienza di percorrere le strade dello stu- dio e della ricerca che riserverà sicuramente ad essi A destra: I cinque artisti e la tavolozza di Pietro Pajetta tesori inestimabili di scoperte, soddisfazioni. Questo A pagina 18: speriamo sarà di monito alla società intera perché Paolo Pajetta, Casa sul lago (particolare)

16 Paolo Pajetta 1809 - 1879

Pietro Pajetta 1845 - 1911 Mariano Pajetta 1851 - 1923

Guido Pajetta Mario Paolo Pajetta 1898 - 1987 1890 - 1977 18 Paolo Pajetta 1809 - 1879

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Vittorino Pianca Paolo Pajetta fra primo e secondo Ottocento

In occasione di questa mostra la figura di questo pitto- della sua vita egli aveva avviato una redditizia bottega re esce finalmente dall’anonimato e prende consisten- di ornato cui collaboravano con successo i figli Pietro za, acquista identità d’artista riconoscibile. Individuati e Mariano, indirizzati forse proprio per questo all’arte i contorni della personalità artistica diventa possibile pittorica. Ma anche questa impresa non giovò alla da parte dei critici studiarlo ed ampliarne la cono- notorietà di Paolo nemmeno fra i suoi concittadini scenza anche presso i suoi conterranei che di lui finora che presto lo dimenticarono. Quando si attribuiva ai sapevano poco più del nome. Pajetta un lavoro artistico è sempre stato Pietro il rife- Le ultime ricerche ci rivelano che ad un certo punto rimento che si citava e si ricordava. Se Paolo compa- riva era per essere citato come padre di Pietro, ma per Fig. 1 - Pietro Pajetta, Mio padre davanti al camino lui come artista non si è mai sprecata nemmeno una noticina. Eppure già nel 1947, in una Mostra dedicata a Pietro furono esposte a Ceneda (Vittorio Veneto) sette sue opere pittoriche. Poi l’avvolge una completa dimenticanza. Paolo nasce dunque a Serravalle il 30 settembre 1809 da Andrea e Beltrame Francesca. Diventa grande senza che di lui si possano registrare altre notizie biografiche. Lo ritroviamo soltanto a 25 anni quando, il 22 giugno 1836, sposa Lucia Vincenza Borniotto, nata anch’essa a Serravalle, l’11 maggio 1808, di professione cucitri- ce. In quella occasione egli si dichiara possidente e di professione pittore. Della consorte Vincenza possediamo un ritratto a carboncino, realizzato dal pittore e scultore cenedese Antonio Dal Favero (Ceneda 24 giugno 1842 – Vittorio, 13 ottobre 1908)1, che la ritrae negli anni della maturità ancora vigorosa ed energica (fra il 1865 – 70).

21 episodi più significativi della storia della città, L’apoteosi dell’imperatore Ferdinando I e simboli classicheggianti di Virtù civili e guerriere. De Min aveva già lavorato a Serravalle alla decorazione di Palazzo Lucheschi fra il 1815 e il 1816. Non erano i primi palazzi che si decoravano in zona in uno stile che richiamava da vicino il mondo classico, soprattutto romano, che sembrava non contenere anco- ra accenni alla moda romantica dilagante. Nel Palazzo Mozzi a Serravalle abbiamo di recente potuto ammira- re un bellissimo apparato decorativo, abbastanza ben conservato anche se con qualche lacuna, alla maniera di Bevilacqua, Borsato, P. Moro e Hayez. Ci pare di dover assegnare questo lavoro inedito a Giovanni Carlo Bevilacqua (Venezia 1775-1849), fra il 1820 e il 1826, anni in cui nella zona questo artista operò a Codogné (1820); Conegliano e Farra di Soligo (1823); Fregona e San Giacomo di Veglia (1826). Sono decori, al piano nobile e a quello superiore, simili a quelli che egli realizzò in Villa Pisani a Stra (1812), ispirati dalla pittura romana di età classica, o pompeiana, impreziositi da due grandi Fig. 2 - Antonio Dal Favero, La madre di Pietro Pajetta panorami a sfondo mitologico nel salone centrale. Torniamo alla Sala del Maggior Consiglio cenedese dove Aveva frattanto fatto il suo esordio di prepotenza nella le autorità di allora chiesero che si aggiungesse alle grandi società la fotografia, come mezzo di produzione di storie della patria quella serie di stemmi dei Vescovi di immagini e la schiatta Pajetta, come tecnici dell’im- Ceneda che ancora oggi, ad ogni nuovo presule, viene magine, non potevano non rimanerne entusiastica- aggiornata. mente coinvolti. Proprio nei finti stucchi e negli ornati fra le figure, ese- Quali siano stati l’apprendistato artistico di Paolo e la sua guiti su cartoni Deminiani, e particolarmente in questa attività professionale iniziale; come sia giunto alfine ad serie cronologica, ci sembra di intuire l’opera diretta di esercitare il mestiere di pittore, ancora non lo sappiamo. Paolo. Infatti in Palazzo Porcia a Pordenone, nel Palazzo Egli compare nel mondo degli artisti perché prese parte alla grande decorazione a tempera eseguita dal bellunese Fig. 3 - Giovanni De Min , Palazzo della Comunità di Ceneda, Giovanni De Min che lo chiamò per illustrare, fra il 1842 L’Apoteosi di Ferdinando I Fig. 4, 5, 6 - Giovanni Carlo Bevilaqua, Palazzo Mozzi a Serravalle, ed il 1844, nel Palazzo della Comunità di Ceneda: gli apparati decorativi

22 23 Mengotti di Fonzaso, di cui fra poco diremo, tornano con frequenza alcuni elementi decorativi derivati da questa esperienza e dalla serie dei presuli in particolare. Tuttavia anche in questa collaborazio- ne alla decorazione della grande Aula Cenedese l’apporto tecnico di Paolo non è ovviamente definibile, rimanendo l’in- tero impianto dovuto alla personalità ed alla cifra stilistica di Giovanni De Min. Paolo aveva allora fra 33 e 35 anni, che sarebbe a dire la prima maturità artistica di un pittore, ma non sappiamo quando né come egli sia pervenuto alla pittura e forte ci rimane l’impressione che egli vi sia giunto come autodidatta appassio- nato, per il quale la maturità artistica giunge solitamente un tantino più tardi di coloro che hanno usufruito di una formazione accademica regolare. Dopo aver lavorato con il De Min ritroviamo Paolo operare a Pordenone in Palazzo Porcia, nel 1854. Qui dipinge il Salone del piano nobile con decora- zioni policrome sontuose e di grande effetto. Elementi architettonici e fito- morfi di cui molti particolari riprendo- no la decorazione deminiana a Ceneda, mentre il soffitto ed altre parti ricerca- no un colorismo ottocentesco a motivi classici ma di vena ormai del tutto romanticheggiante. Una particolarità della decorazione consiste anche nel fatto che gli elementi decorativi riqua-

24 drano non solo le entrate ma anche i mobili: gli specchi, le sedie, le consoles, armonizzandone lo stile. Il mobilio in legno della sala è certamente di particolare pregio e costituisce un bel- l’esempio di arredamento originale di metà Ottocento, di stile goticheggiante, realizzato e firmato, come appare da un cartello apposto sotto una conso- le, da: Luigi De Pauli / Fabbricatore di Mobilie / e Falegname / in / Ceneda: un artigiano, cenedese anche lui, questo Luigi De Poli, di cui al momento si sono perse le tracce. Nella Sala Porcia una particolare atten- zione meritano le quattro vedutine di Pordenone dipinte ad olio sull’in- tonaco, collocate come quadri rac- chiusi da finte cornici dorate sopra le quattro porte d’angolo, da est: La Tessitura Meccanica di Rorai Grande; Il Molino di San Valentino; Il Molino del Castello; La Filatura Meccanica di Torre di Pordenone. Al centro del salone si guardano due altre vedute della città di misura più grande, ma sempre incorniciate da finte cornici dorate: Il Ponte sul Meduna; Il Ponte sul Noncello. Nel secondo quadro, sopra una botte trasportata da una barca all’approdo, con una certa autoironia il pittore si Fig. 7 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone,Tessitura meccanica di Rorai Grande firma: P.P. / 1854: vino buono in picco- Fig. 8 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone, Il molino di S. Valentino la botte. Giustamente Antonio Forniz, Fig. 9 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone La filatura meccanica di Torre indagando la tradizione di casa Porcia Fig. 10 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone, Il ponte sul Meduna

25 26 individua in Paolo Pajetta l’autore, ma si arrende, nello litografie, pubblicate nel 1857, le scene dipinte da Paolo sforzo di fornire di lui maggiori connotati, di fronte alla Pajetta e non viceversa, come afferma il Forniz.3 Infatti la assoluta mancanza di notizie.2 scenetta è una firma non un semplice squarcio idillico: Anche nell’altro quadro, a suo modo, Paolo Pajetta si Paolo afferma di essere un pittore che ama dipingere dal firma: nella piccola scenetta in basso a sinistra egli raffigu- vero il suo rustico mondo di campagna che predilige più ra un pittore, sistemato su una seggiola da campagna, che dell’industre mondo che corre a dorso del nuovo cavallo ritrae due mucche sdraiate a ruminare in riva al fiume. di ferro, rappresentato dal treno che avanza rombando e La veduta en plein air era l’orgoglio dei pittori e la moda fumando sul soprastante ponte del Meduna. Questo non del tempo. Ma questo piccolo particolare ci serve anche a interessava al Moro che si limita alla raffigurazione, in un dimostrare come sia Marco Moro a riprendere nelle sue piccolo particolare, di un vedutista al lavoro sul greto del fiume: un idillio invece che una graffiata. Fig. 11 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone,Il ponte sul Noncello Il Forniz pubblica anche quattro vedute venute alla luce Fig. 12 - Paolo Pajetta, Palazzo Porcia a Pordenone, Salone delle feste durante i restauri della Casa di Riposo “Umberto I” di

27 Fig.13 - Paolo Pajetta, Casa per anziani “Umberto I” a Pordenone, anche perché sembra che qui il pittore disegni più che Veduta di Treviso sul Sile al ponte delle barche,1854 dipingere, e talora sembra sommariamente padroneg- giare i colori e la prospettiva. Tra le carte di Paolo però Pordenone, già Damiani - Galvani. Sotto lo scialbo di si conserva il disegno a matita proprio di quella veduta vecchie ridipinture comparvero i lacerti di pitture ad di Sacile: la carta è firmata “Paolo Pajetta 1863”. La firma olio su intonaco che oggi, opportunamente staccati, è ad inchiostro e ci sembra successiva al disegno. La si possono vedere nelle sale del Palazzo: Veduta di veduta a matita è di ottima mano, per cui non siamo Pordenone; Veduta del Molino di San Valentino; Veduta certi di assegnare a lui anche questi dipinti. Dal punto di Sacile al Ponte della Pietà; Veduta di Treviso sul Sile al di vista tecnico sembrano appartenere o ad un periodo ponte delle barche. Il Forniz non ritiene che questi brani in cui egli non aveva ancora assimilato bene la tecnica pittorici possano appartenere al Pajetta come invece della pittura ad olio su intonaco, una sorta di pittura ad aveva affermato Valerio Formentin di Latisana che per encausto, ad un periodo ancora precedente ai dipinti di primo li fece conoscere su “Il Popolo” di Pordenone. Ad Palazzo Porcia, quindi fra il 1844 il 1854, o ad un altro una prima analisi anche noi saremmo del suo parere, pittore, come ad esempio il figlio Mariano.

28 Nella vedutina inedita: Prato di San Marco, disegno figli, per quanto l’età loro consentiva. Non era lui il solo analogo di Paolo che si può ammirare in mostra, ornatista vittoriese: nel 1845 ad esempio incontriamo nonostante si possa obiettare che è l’inquadratura Vincenzo Dal Favero4 che lavora nel Palazzo Comunale prospettica a coprirla, non compare l’ala edificata di Belluno. nel 1851 da Giuseppe Segusini (Feltre 1801 – 1876) Subito si intuisce il talento del suo primo figlio. Quasi dell’Ospedale di Serravalle, per cui si dovrebbe con- subito però il giovane Pietro, ad appena 14 anni scappa cludere che questi disegni si debbono attribuire ad un di casa per arruolarsi nell’Esercito Italiano come volonta- periodo antecedente alla metà del secolo. rio, fra molti giovani e giovanissimi di Serravalle, Ceneda Nel dicembre 1859 muore intanto il pittore De Min, e dintorni. Ricordiamo di sfuggita che nel 1866 scappava cantore delle glorie della piccola patria, e i suoi fune- di casa per unirsi ai Garibaldini anche il “bellunese” rali a Ceneda si trasformano in una grande manifesta- Marzio Moro, di 18 anni. Forse non siamo lontani dal zione di italianità. vero pensando che questa reciproca avventura abbia con- Paolo intanto mette insieme una bottega di decoratori tribuito ad avvicinarli, più tardi, in un lungo sodalizio in mezzo alla quale in qualche maniera crescono anche i artistico. L’esperienza pittorica vissuta nella casa paterna

29 30 favorirà a Pietro la frequenza dell’Accademia bolognese. Nel Palazzo della Regina Dal Cin di Anzano, edificato nel 1873, ritroviamo preferiti gli stessi elementi a finti stuc- chi che si incontrano a dovizia nel Deminiano Salone Consiliare del Palazzo della Comunità di Ceneda e che testimoniano per Paolo di un apprendistato messo a frutto con sapienza e creatività. Abbiamo incontrato da poco un testo giornalistico di notevole importanza per delineare il percorso di formazione artistica di Paolo. L’articolo,5 composto all’epoca dell’inaugurazione dell’opera, descrive il lavo- ro portato a termine dalla bottega Pajetta a Fonzaso, nella villa del sig. Mengotti, ora in piazza Primo Novembre. Contemporaneamente, fra le carte di Mariano ci è perve- nuto un bozzetto, datato 19 settembre 1874, che raffigura proprio questo lavoro. L’articolo di giornale si sofferma a delineare commentare proprio i singoli contributi arti- stici permettendoci in tal modo di individuare all’inter- no del lavoro lo stile e la personalità artistica di Pietro, ma soprattutto di Paolo del quale professionalmente poco si sapeva finora: Belle Arti. — Ci scrivono da Fonzaso: in questi giorni i valenti artisti signori Pajetta di Serravalle ultimarono la decorazione della sala del nobile signor Mengotti di Fonzaso della quale diamo ai lettori un breve cenno descrittivo. Nel soffitto di stile Raffaellesco vedasi Flora dalle forme stu- pende dipinta dal signor Pietro Pajetta, con una maestria. ed espressione veramente ammirabile, con una tavolozza così ricca e brillante da ricordare classici coloritori della Scuola Veneta; essa ha a piedi due genietti che portano dei

Fig. 14- Paolo Pajetta, Fonzaso, Villa Mengotti (Belluno), Decorazioni sul soffitto

Fig. 15 -Pietro Pajetta, Ritratto di Antonio Pasquotti,1875 (decoratore e amico di famiglia) Fig. 16 -Paolo Pajetta, Bozzetto per affresco di Palazzo Mengotti

31 fiori dipinti con tale esattezza da parer vivi, e lumeggiati con tanta perfezione che sembra si stacchino dalla volta e discendano. Nel cielo evvi Apollo sopra il carro tirato da quattro focosi cavalli; esso è preceduto da un altro piccolo genio con face in mano che pare vederlo correre, tanto è bene eseguito; da un lato della Flora danzano in nebbia alcune divinità. La parte decorativa, i finti stucchi, le dorature, i bassorilievi sono così maestrevolmente trattati con tocchi franchi e spigliati che non può esservi maggiore illusione; sotto la cornice sono dipinti dieci medaglioni con figure anche queste con colorito vivo ed armonioso. Le loggette del sig. Paolo Pajetta tutte a fiori dai colori sma- glianti sono un vero gioiello e rivelano quanto sia valente e provetto in questa parte decorativa che non può esser spinta più oltre. Ai lati di una porta che prospetta il cortile ornata con intagli stupendi del Besarel sono dipinti dallo stesso due paesaggi d’oriente con cielo a tinte trasparenti e magni- fiche. Sopra le quattro porte laterali della sala, decorate con buoni stucchi del De Boni, il signor Pietro Pajetta, premiato con medaglia d’oro all’Esposizione di Alessandria, dipin- se con molto brio e buon gusto quattro busti di graziose mascherine. In una parola la sala del sig. Mengotti. vero mecenate delle arti, ci sembra un capolavoro, ed egli deve essere ben lieto di aver avuto la non comune ventura di trovare nei signori Pajetta un complesso così distinto e tanto più la loro valen- tia s’accresce, quando si consideri che coll’esperto pennello dovettero correggere anche un difetto della architettura, e perciò crediamo compiere un dovere segnalando alla ammirazione altrui questi distinti artisti, già noti per altri

Fig. 17, 18 - Paolo Pajetta, Fonzaso, Villa Mengotti (Belluno), Particolari decorativi Fig. 19 -Stampa francese del primo ‘800 ritrovata nello studio del pittore

Fig. 20 -Paolo Pajetta, Fonzaso, Villa Mengotti, particolari decorativi del soffitto

32 egregi lavori, affinché il pubblico sappia apprezzare conve- Francesco Zuccarelli e quell’Antonio Zucchi (Venezia nientemente coloro che accrescono decoro alla Patria! 1726 - Roma 1795)6 che accompagnò per l’Italia l’inglese Ma in occasione di questa mostra sono venuti alla luce James Adam. numerosi disegni e quadri inediti di Paolo. Le esperienze degli sfondi paesaggistici da decorazione di Mentre i disegni raffigurano vedute dal vero o ripren- interni, che poi spingeranno i figli verso gli sfondi foto- dono stampe di fantasia, i paesaggi ad olio o tempera grafici, lo indirizzano subito verso la ricerca di una pro- sono tutti d’invenzione. Quella del paesaggio era una pria strada nella pittura di paesaggio. Paolo rimase affa- moda che all’epoca aveva incontrato un esplosivo suc- scinato dalla pittura inglese di paesaggio, da quella vene- cesso spinta anche dal plein air, la pittura di paesaggio ziana (in questo seguendo, poi superando anche il suo dal vero propugnata dalla Scuola di Barbizon. Questo maestro De Min) e francese del Sette-Ottocento (accanto nuovo naturalismo atmosferico riconduceva alla natura ai disegni compaiono i modelli a stampa fra cui vedutine come alle origini della verità oggettiva, non metafisica dell’editore Formentin, dell’incisore J.B.Sarrazin…). Lo del mondo. In zona il maestro storicamente indiscusso testimoniano i numerosi suoi disegni, schizzi e ricerche del paesaggio rimaneva comunque, per ovvie ragioni emerse in occasione di questa mostra, spesso affiancati anche di vicinanza, il bellunese Marco Ricci, ma anche dalle stampine prese a modello. Crediamo che la sua

33 produzione di queste vedute sia ancora più ampia perché notturno: Peste a Venezia; il sulfureo colpo di luce del fu un genere che ebbe anche un notevole successo com- Tramonto; il Notturno; il Notturno con Rovine (che reca merciale da queste parti. sul retro Ruderi). Con il tempo poi, oltre che nei minuti quadretti dello La prima Mostra dedicata alla famiglia Pajetta fu allestita Zucchi fu nelle luci e nell’emozionalità fantastica nottur- in occasione della tradizionale Festività dell’Assunta, na del coetaneo Ippolito Caffi (Belluno 1809- Lissa 1866) che tuttora si celebra a Ceneda ogni 15 agosto, già nel che Paolo attinse ispirazione e da cui fu fortemente moti- 1947. Nella Villa Costantini Morosini Papadopoli sono vato. Crediamo che la sua attenzione verso questo artista state esposte allora sei opere di Paolo, cinque di Mariano bellunese datasse già da molto tempo ed abbia avuto un ed una trentina di Pietro, fra cui Signora con veletta, Il peso sia dal lato tecnico che da quello dell’impaginazione signor Meneghini, Signora su sfondo nero ed il famoso già nei suoi lavori decorativi. Infatti Caffi aveva dipinto Autoritratto donato dal comm. B. Dalla Grazia al Museo ad olio su intonaco quattro vedute di rovine romane al civico.7 Da allora, su Paolo era calato un sipario che Caffè Pedrocchi di Padova dopo il suo soggiorno nella minacciava di rimanere come definitivo. Ci sembra che città eterna (1832-37) con un grande effetto scenogra- in occasione di questa Mostra egli abbia acquisito la suf- fico. ficiente definizione stilistica ed anche una sua peculiare Notevoli sono i disegni con vedute dal vero di Sacile al caratura artistica che permetterà di studiarne più a fondo Ponte della Pietà; del Prato di San Marco e di Piazza la personalità arricchendo il panorama del vittoriese nel- Marcantonio Flaminio, a Serravalle, importanti per la l’ambito della tradizione veneta di terraferma. storia locale perché databili al 1850. Belli anche gli altri disegni accanto ai quali si sono conservati nell’archivio anche i modellini inglesi, francesi, italianoi… da cui sono Note 1 tratti. Antonio Dal Favero, figlio di Vincenzo (detto Pittoni), nacque a Ceneda Le vedutine, impostate sui luoghi comuni dell’epoca, non il 24 giugno 1842. Apprese i primi rudimenti artistici dal padre, pure scul- tore e passò quindi a studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia nel sembrano superare le ragioni contingenti per cui nasce- 1861. Negli anni 1862-64 conseguì vari “accessit”, premi e medaglie. Esordì vano e si diffondevano rapidamente. Testimoniano tut- pubblicamente all‘Esposizione Regionale Veneta (Treviso, 1872) esponendo tavia una ricerca artistica interessante sul piano tecnico e due statue L’operaio e Vanerella con le quali ottenne dalla Giuria la Medaglia artistico. Dalle vedute archeologiche di Ruderi e Grotta; d’Oro offerta dalla Società Operaia di Vittorio. A Venezia nel 1879 espose il Torototela; alla Mostra Nazionale di Milano (1881) una statuetta in gesso ai paesaggini Ricceschi o alla Fragonard di Bagnanti e e il dipinto Alla predica; alla Mostra Nazionale di Torino (1884) le tele Gli Cascata; agli scorci di acque e rocce di Alba e Casa sul allievi e La vacca della nonna. Pittore di buon livello, riuscì ad esprimersi lago; fino ai timidi tentativi di appena accennate velature meglio nelle pale d’altare piuttosto che nei quadri di genere. Buona la sua chiariste di Paesaggio montano e Cima lontana. Assunzione eseguita per la chiesa di Còvolo. Altre pale si trovano ad Este, Ma il gruppo più consistente testimonia non solo di una a S. Michele di Ramera (SS. Antonio, Rocco e Apollonia, 1893), a Visnà di Vazzola (S. Augusta, Oratorio Della Cia), a Fratta di Caneva (S. Pietro e S. contiguità geografica, ma anche di una adesione emozio- Paolo), a Montaner di Sarmede (SS. Pancrazio, Rocco e Apollonia, 1892). A nale e formale: sono le vedutine ispirate alle invenzioni Vittorio Veneto, nel Museo Diocesano, una Madonna e Santi proveniente luministiche di Ippolito Caffi: vedasi il drammatico dalla chiesa di S. Michele Arcangelo e un S. Paolo, già nella chiesa omonima.

34 Inoltre esiste un S. Gottardo nell’omonima Chiesetta; una Madonna e Santi Serravalle.(Basso T., Treviso illustrata. Padova, Ed. Programma, 1992. p.41- del 1887, nella chiesa di Cozzuolo; un Martirio di S. Pancrazio a Formeniga; 45). Pubblicò queste nove vedute di Pordenone nel 1857. una Madonna con S. Rocco e S. Antonio a Carpesica. 4 Nato a Ceneda intorno al 1805, dal 1823 al 1827 studiò Belle Arti presso Come scultore modellò: tre statue in gesso per lo scalone del palazzo l’Accademia di Venezia, frequentando i corsi di ornato, architettura, elemen- Giovanelli in Venezia; altre tre statue (S. Lucia,L’Immacolata e il Sacro Cuore) ti di figura e di statuaria. Insegnò nella Scuola di Disegno di Vittorio. Fu il per il Santuario della Madonna del Ramoncello in comune di S. Lucia di primo maestro del figlio Antonio. (Ruzza, 1992. p.150; La Pittura nel Veneto. Piave. A Vittorio si conservano una “Deposizione di Cristo” nella chiesa di L’Ottocento. Milano, Electa, 2002. p.220). S. Michele (Salsa); “S. Augusta” nell’omonimo santuario; un Medaglione in 5 L’articolo ci è giunto come un ritaglio di giornale, purtroppo senza riferi- bronzo raffigurante Giovanni De Min in Cattedrale; un altorilievo in bronzo menti, raccolto a suo tempo da Mariano Pajetta, finito fra le carte del figlio di Marcantonio Flaminio sito nell’omonima piazza; busti e medaglioni vari Mario Paolo e da questi lasciato all’amico veronese Roberto Scolari. nel cimitero di Ceneda. Eseguì anche i monumenti a Vittorio Emanuele II 6 Fu presente in zona lo zio di Antonio: Andrea Zucchi (Venezia 1649- [1882] e a Giuseppe Garibaldi [1887], già eretti nella piazza del Municipio Dresda1740) che ci lasciò la trasposizione su lastra, oggi nella vittoriese e nei giardini pubblici, successivamente rimossi e finiti [in abbandono ai Galleria “Vittorio Emanuele II”, del Giudizio di Traiano di Pomponio vandali nel parco di Villa Papadopoli, nonostante le disposizioni in propo- Amalteo dipinto ad affresco sotto la Loggia del Palazzo della Comunità di sito del prof. Giovanni Paludetti. Sulla prima pagina dell’opuscolo stampato Ceneda. in occasione dell’inaugurazione del monumento a Garibaldi (Vittorio a 7 Nell’occasione fu dedicata una retrospettiva anche al pittore Battista Giuseppe Garibaldi. Numero Unico. 9 ottobre 1887) Pietro Pajetta ci lascia Costantini. (Pietro Pajetta e Le varie mostre dell’Assunta, in Il Gazzettino, un ritratto a penna di Dal Favero di cui era evidentemente amico.] Eseguì 17 agosto 1947). Giovanni Battista Costantini (Ramo Borca) Figlio di pure un busto di mons. Giuseppe Ciani, per commissione del senatore Bartolommeo e di Marianna Bianco, nacque in Ceneda nel 1854. E’ comu- Girolamo Costantini (1876). Sono invece andate perdute alcune opere gio- nemente noto con il nome di Battista. Compiuti gli studi liceali s’iscrisse alla vanili eseguite a Venezia e cioè un grande altorilievo “Esmeralda” già sullo facoltà di Giurisprudenza all’Università di . Ma ben presto scoprì la scalone del Palazzo Reale, commissionato dal marchese Di Brème e così sua vera passione e passò a studiare all’Accademia di Belle Arti di Venezia. pure il busto Voluttà, già nel palazzo Morosini. Aveva sposato Amelia, figlia Sotto la guida del suo maestro ed amico Guglielmo Ciardi si dedicò alla del patriota risorgimentale Giuseppe Boer Fu insignito da Umberto I della pittura prediligendo le vedute paesaggistiche. Espose per la prima volta Croce di Cavaliere della Corona d’Italia. Morì a Vittorio il 13 ottobre 1908. a Milano nel 1883, poi a Torino e quindi alle varie Biennali di Venezia. (Da: Ruzza, 1992.p.150) Partecipò anche a diverse mostre all’estero. Fu sempre poco propenso a 2 Forniz A., Iconografia ottocentesca pordenonese, in “Itinerari”, n. 37 - giu- cedere i suoi lavori che rimasero in gran parte in casa sua. Ciò impedì gno 1977. che fosse adeguatamente conosciuto ed apprezzato tra gli artisti del suo 3 Forniz ,1977. p.23. tempo. Per di più la maggior parte dei suoi lavori andò perduta e dispersa Marco Moro, che spesso si confonde con Marzio Moro, nacque a Zenson durante l’invasione nemica del 1917-18. Sue opere si trovano alla Galleria di Piave (Treviso) nel 1817 e morì nel 1885. E’ un vedutista raffinato che Internazionale d’Arte Moderna di Venezia (Ora di pace e L’albero morto), a fu molto noto nell’Ottocento e collaborò con i maggiori editori del tempo Monaco di Baviera (Il dialogo secolare, Premio speciale per “Il Paesaggio”) nella pubblicazione di volumi a illustrazione del paesaggio e dell’ambiente e in altre gallerie pubbliche. Fornito di rara sensibilità, lasciò tele soffuse di veneto. Fu editore egli stesso delle sue opere in Venezia. Nella Raccolta della delicata poesia, animate da un profondo sentimento di pace. Morì a Vittorio Banca Popolare di si conservano: due Album, uno contenente 49 Veneto l’8 novembre 1934. (Da: RUZZA, 1992. p.142) vedute della città di Vicenza e l’altro 82 vedute veneziane; quindici incisioni dedicate al trevigiano e 150 altre litografie, alcune delle quali acquerellate dall’artista stesso. Realizzò le tavole per la Guida di Padova e dintorni di A. De Marchi nel 1835. Dedicò alcune incisioni agli avvenimenti vene- ziani del 1848-49. Nel 1851, presso lo stampatore Giovanni Brizeghel di

Venezia, pubblicò Treviso e la sua Provincia, opera ristampata due anni Alla pagina seguente: dopo, prima con ventiquattro e poi con trenta sue vedute, fra cui Ceneda e Pietro Pajetta, Paolo mio padre, sanguigna su carta

35 36 Le opere 1. Tramonto 2. Paesaggio montano olio su cartone olio su tavola 22 x 28 cm 44 x 35 cm Verona, Verona, Collezione Scolari Collezione Scolari

38 39 3. Bagnanti olio su tavola 25 x 35 cm Verona, collezione Scolari

40 41 4. Strada al tramonto 5. La grotta olio su tavola olio su cartone 20 x 34 cm 18 x 15 cm Verona, Milano, Collezione Scolari Collezione privata

42 43 7. Notturno con rovine olio su cartone 36 x 28 cm Verona, Collezione Scolari

44 8. Ruderi (retro del dipinto precedente) olio su cartone 36 x 28cm Verona, Collezione Scolari

45 9. Peste a Venezia olio su cartone 40,6 x 53,6 cm Vittorio Veneto, Collezione privata

46 10. Casa sul lago olio su cartone 37 x 51 cm Vittorio Veneto, Museo del Cenedese

47 11. Prato di S. Marco a Serravalle matita su carta 28 x 54 cm Verona, Collezione Scolari

12. Veduta di Sacile al ponte della pietà, 1863 matita su carta 28 x 58 cm Verona, Collezione Scolari

Veduta di Sacile al ponte della pietà Affresco strappato 103 x 214 cm Pordenone, Casa per anziani “Umberto I”

48 13. Piazza Flaminio a Serravalle matita su carta 33 x 59 cm Verona, Collezione Scolari

49 14. Notturno 15. La cascata olio su cartone olio su cartone 37 x 51 cm 23 x 19 cm Vittorio Veneto, Verona, Museo del Cenedese Collezione Scolari

50 51 16. Agordo, 1860 Matita su carta 28 x 39 cm Verona, Collezione Scolari

52 17. Paese sul fiume Valstagna matita su carta 30 x 43 cm Verona, Collezione Scolari

53 54 Note biografiche Bibliografia

1809 1963 Paolo Girolamo Pajetta Nasce a Serravalle da Andrea e Francesca A. Maschietto, Toponomastica vittoriese. Vittorio Veneto, TIPSE, 1963. Beltrame 1972 1836 Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dal- Sposa Lucia Vincenza Borniotto l’XI al XX secolo. Ad vocem. Milano, G.Bolaffi editore, 1972-79. 1842 1977 Partecipa alla realizzazione della grande decorazione a tempera eseguita A. Forniz Iconografia ottocentesca pordenonese, in “Itinerari”, n. 37 - da Giovanni De Min nel Palazzo della Comunità di Ceneda giugno 1977.pp.22-29. 1844-54 “Il Gazzettino” - Cronaca di Treviso, 4 luglio 1977. Dipinge con tecnica ad encausto i saloni di Palazzo Damiani-Galvani, 1987 oggi Casa di riposo “Umberto I” a Pordenone V. Ruzza, Saggio di bibliografia del Vittoriese. Vittorio Veneto, Sistema 1854 Bibliotecario del Vittoriese, 1987. Dipinge il salone del piano nobile di Palazzo Porcia-Speladi a Pordenone 1989 1859 G. Charadia, Pordenone. Schede per la lettura della città. Pordenone, Muore l’amico pittore Giovanni De Min Edizioni GEAP,1989. 1871- 74 1992 Partecipa come pittore anziano della bottega (Paolo, Pietro, Mariano V. Ruzza, Dizionario Biografico Vittoriese e della Sinistra Piave. Vittorio Pajetta e Antonio Pasquotti) alla realizzazione delle decorazioni del Veneto, Sistema Bibliotecario del Vittoriese, 1992. Teatro sociale di Ceneda T. Basso Treviso illustrata. Padova, ed. Programma,1992. pagg. 41-44 e 1973 191, n.19. Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Palazzo Regina Dal Cin Religiosità popolare nel Friuli occidentale. Materiali per un museo. A 1974 cura di P. GOI. Pordenone, Provincia di Pordenone - Edizioni Biblioteca Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Palazzo Mengotti a Fonzaso dell’Immagine, 1992. p.118. 1975 Pietro Pajetta (Serravalle 1845 – Padova 1911) Cantastorie dell’Ottocento Partecipa all’opera Il Sacrificio di Abramo nella chiesa Parrocchiale di Veneto. Catalogo a cura di Vittorino Pianca. Vittorio Veneto, Comune di Fregona (TV) Vittorio Veneto, 1992. Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Villa Vianello a Vittorio 1994 Veneto Archivio Comunale di Vittorio Veneto. Inventario della sezione separata 1879 (1301-1950) .I. Serravalle (1301-1866) e Ceneda (1338-1866). A cura di Paolo Pajetta muore a Vittorio. MariaGrazia Salvador, Venezia, Giunta Regionale del Veneto, 1994. 2004 Il colore e l’anima. Retrospettiva di quattro pittori vittoriesi tra ‘800 e ‘900. Vittorio Veneto, Galleria 137, 4-30 dicembre 2004. 2005 M. Ulliana, Vittorio Veneto tra Ottocento e Novecento. Treviso, Canova, 2005.

A sinistra: Paolo Pajetta in una foto d’epoca (particolare)

Alla pagina seguente: Pietro Pajetta, La pipa di papà , 1874 (particolare)

55 56 Pietro Pajetta 1845 - 1911

57

Nico Stringa Pietro Pajetta, la poesia della realtà

Pittore del popolo, come è stato definito, e ancor meglio Pajetta, ha contribuito a precisare storicamente il profilo cantastorie di una civiltà contadina oggi scomparsa, del pittore, integrando le indicazioni precedenti di Guido Pietro Pajetta è in realtà artista noto ma non bene cono- Perocco, cui si deve un profilo complessivo del pittore, sciuto, e ancora poco studiato; così che il suo catalogo steso in occasione della mostra tenutasi a Vittorio Veneto – tuttora da compilare - è suscettibile di progressivi nel 1992. ampliamenti e risarcimenti, come risulta anche in que- Il pittore di Serravalle va senza dubbio ascritto tra i sta occasione, grazie al lavoro di Vittorio Pianca che protagonisti del rinnovamento della pittura veneta nella ora, anche con la collaborazione del pronipote, Giorgio seconda metà del XIX secolo, quindi tra i nomi più belli della pittura veneta: Nani, Guglielmo Ciardi, Giacomo

Fig. 1 - Pietro Pajetta, Autoritratto, 1903 (particolare) Favretto, Luigi Nono, Guglielmo Stella, Ettore Tito, Alessandro Milesi, Egisto Lancerotto, Luigi Serena. A differenza dei suoi coetanei, però, nessuno dei quali proveniva da famiglia di artisti, Pietro ha avuto la opportunità di crescere fin da bambino in un ambien- te nel quale la pittura era di casa: padre, fratello, zio e anche la madre (a quanto si deduce dal dipinto che la ritrae, ormai anziana, intenta a disegnare) costituivano un gruppo affiatato e compatto; e quando, bambino e giovanotto precoce, Pietro, avido di esperienza, aspirava quasi naturalmente a diventare pittore, respirando, va ricordato, quel clima di ideali risorgimentali che dove- vano avere parte decisiva nella sua gioventù. La precoce possibilità doveva però scontrarsi con vicende storiche che ritardarono la piena assimilazione dell’apprendistato pittorico, integrato a Bologna nel significativo alunnato presso il Puccinelli, un’esperienza, come ha notato a suo tempo Perocco, non comune e anzi assai rilevante per la

59 l’eccezione di Guglielmo Ciardi, ai viaggi e alle lunghe permanenze fuori di Venezia. Sta di fatto, comunque, che Pietro si mette in evidenza per la prima volta a ventiquattro anni, nel 1869, con un dipinto esposto alla Società Promotrice di Belle Arti di Torino – L’effetto del vino – che lo dichiara seguace della nuova pittura di genere, in sintonia con quella che solo in seguito si delineerà come la “giovane scuola venezia- na” o “scuola del vero”. In questo suo esordio lo vediamo cimentarsi in una tematica già collaudata anche in ambi- to veneziano, per esempio da Antonio Rotta che aveva trattato più volte il tema dell’ubriachezza. A metà mac- chietta, a metà vittima della miseria, la figura dell’ubriaco diventa l’occasione per i pittori del vero di denunciare una delle più gravi piaghe sociali dell’epoca; e ognuno di loro lo farà in modo originale, da Antonio Rotta, che ci ha lasciato un’immagine tragica, quasi da attore soli- tario sulla scena, nell’Ubriaco del 1858 fino a Oreste Da Molin che nel 1899 espose Vizio e virtù al Glaspalast di Monaco (v. ora la scheda di Christian Spina in Oreste Da Molin 1856-1921, catalogo della mostra, Padova, Museo Civico, 2006, p. 214-17), denunciando gli effetti dirom-

Fig. 2 - Pietro Pajetta, Mia madre

Fig. 3 - Pietro Pajetta, Vocazione, 1873

Fig. 4 - Pietro Pajetta, Giubileo, 1900 mediazione che il maestro toscano dovette rappresentare rispetto agli ambienti macchiaioli più aggiornati. Questi due aspetti – la ‘predisposizione’ famigliare e l’Accademia di Bologna – accanto a frequentazione di luoghi lontani e di spostamenti che lo hanno indubbiamente arricchito, come la permanenza in Piemonte, costituiscono motivo di originalità rispetto ai veneziani, piuttosto restii, con

60 penti nell’ambito famigliare dell’ubriachezza. Altri, come democratico Adriatico, diffuso in tutto il Veneto) consente; Favretto, nel Terzetto allegro, proponevano una sorta di pittore o no, sembra dire Pajetta, la lettura è uno dei pochi rivisitazione del tema di “Susanna e i vecchioni”, mentre piaceri, se non addirittura doveri, della vita, tanto più che Alessandro Milesi, in Il nonno offre (1881, coll. privata) coincide con la pausa dal lavoro e non contrasta, anzi, con e in El fio de me fio (1882, Roma, Quadreria Quirinale) altri piaceri come quello del fumo. coglierà il momento della cordialità o del pretesto, affi- Che il tema della lettura fosse congeniale a Pajetta lo dando al brindisi la funzione di festeggiare. attesta un lavoro precedente, quel Piccolo lettore, forse da Molti anni dopo, Pajetta, non mancava di ascriversi alla identificare con La vocazione, delizioso dipinto esposto schiera di coloro che non disdegnavano affatto di apprezza- alla mostra dedicata a Camillo Boito, un’architettura per re le virtù del vino, come è evidente dal celebre Autoritratto l’Italia unita (Padova 2000, p. 162-63), firmato e datato con pipa e giornale, uno dei più riusciti autoritratti dell’Ot- 1873. In un interno degradato, ma con segni di antico tocento italiano; un dipinto nel quale il pittore avrebbe lignaggio, un bambino osservato da una gallina appol- ache potuto evitare di affidare un ruolo così eloquente laiata sopra una culla, si è assiso su una vecchia sedia e alle sue guance rubizze. Bacco e Tabacco (qui si tace di in pompa magna (ha trovato e indossato un cappello da Venere…) non sono affatto incompatibili con l’aggiorna- prevosto) sta tentando di leggere un librone più grande mento che un quotidiano (non un giornale qualsiasi, ma il di lui - scena illuminata da una luce franca che penetra

61 al Ritratto di Antonio Fradeletto (1930, Venezia, Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro) nel quale il segretario della Biennale è ripreso mentre legge la “Gazzetta” all’in- terno dei Giardini della Biennale. Negli altri due autoritratti a noi noti, Pajetta ha confer- mato il suo carattere orgoglioso e fiero; e nell’Autoritratto con stecca (datato 1899), egli ci ha lasciato, come Da Molin nell’Autoritratto del Museo civico di Padova, una testimonianza diretta del suo stare al lavoro davanti al cavalletto (che però non si vede), con un taglio moder- nissimo che lascia fuori campo gli strumenti da lavoro, con l’eccezione della stecca, anch’essa introdotta solo parzialmente e di sbieco, in giusta analogia con la diago- nale del busto del pittore, ripreso di scorcio e nell’atto di allontanarsi leggermente dallo specchio, fino a ottenere la giusta messa a fuoco. Attento già dai primi anni ’70 all’evolversi della situa- zione veneziana, durante gli anni trascorsi a Venezia, dal 1878 al 1880, Pajetta si immerge direttamente nel clima della città lagunare dedica sia alla pittura di storia, Fig. 5 - Egisto Lancerotto, Il sonno (dedicato all'amico Pietro Pajetta) in chiave revivalistica, sia alle sue tematiche più tipiche.

Fig. 6 - Pietro Pajetta, Mercato davanti alla loggia di Serravalle, 1887 Per quanto riguarda il primo settore ne sono documenti di un certo interesse Con i piccioni, in cui la Dogaressa dai vetri rotti della finestra e che conferisce un nitore è ritratta all’interno di Palazzo Ducale, nei modi pros- di straordinaria efficacia alle figure e agli oggetti. Del simi alla pittura enfatica di Antonio Zona, mentre con resto non era stato forse Favretto a far comparire per la Memento siamo in esplicita citazione settecentesca, addi- prima volta un quotidiano in un suo dipinto? In I miei rittura con ambientazione nel salone di Palazzo Labia cari (in coll. privata) eseguito nel 1874, il venticinquenne e conseguente citazione tiepolesca dal ciclo di Antonio pittore veneziano aveva ripreso il padre intento a leg- e Cleopatra. Siamo nel 1878 e Pajetta è tra i primi a gere con estrema attenzione e interesse la prima pagina proporre tematiche neosettecentesche che diventeranno del Rinnovamento, quotidiano veneziano di impronta di gran voga poco dopo, anticipando, sia pure di poco, democratica; e dopo di lui anche Alessandro Milesi ne anche l’impegno favrettiano in quella direzione. Ma a avrebbe fatto oggetto di attenzione nei suoi dipinti, da prevalere, anche nella difficile congiuntura veneziana Al caffè - Notissie nove (1890, Genova, GAM) in cui si di fine anni ’70, è la sua pittura, come sappiamo dalla sfiora la tematica dell’emancipazione femminile, fino preziosa recensione apparsa nel novembre del 1879

62 sulle pagine della “Gazzetta di Venezia”, dal momento sua pittura, a partire dal Tacchino esposto a Torino nel che l’anonimo estensore si sofferma a tessere le lodi del 1870 fino a Una stalla, inviato alla Promotrice di Torino Mercato di animali che il pittore ha replicato per un col- del 1902, passando per i celebri Mercato delle pignatte e lezionista veneziano, dopo aver collocato la prima reda- Mercato davanti alla Loggia di Searravalle. zione nella sala d’aspetto della stazione ferroviaria della Pajetta evita di confondersi con gli interni descritti dai sua città natale. Sono questi i soggetti che lo distinguono veneziani e resi famosi da Favretto, Nono, Milesi. Il fulcro e che Pajetta interpreta con forte empatia; e sono i dipinti della vita contadina è la stalla: qui accadono gli eventi relativi alla tematica contadina e alla vita degli animali a più importanti, si gioca da bambini, ci si innamora, ci si contraddistinguere in modo personale il suo catalogo e a riscalda, ci si riposa, si tiene il “filò” (però stranamente configurare in modo preciso e inequivocabile la sua poe- non documentato, almeno finora, da un dipinto su que- tica, all’interno della scuola del vero. Non per niente il sto contesto) e addirittura si dorme! nostro pittore terrà viva fino ai primi del ‘900 questa sua Se la stalla è il fulcro della casa, la piazza è l’anima della attenzione alla realtà, facendone una chiave di volta della città, soprattutto quando il mercato attira uomini e

63 animali, fascine e pignatte. Si consideri con che diversa ritorno dei contadini dal lavoro nei campi (Verso sera a intenzione Guglielmo Ciardi e Pietro Pajetta affrontano Coltura, 1874, coll. privata); ma è a Pajetta che dobbiamo il soggetto del mercato: mentre il primo, nel Mercato di l’appropriazione e la definizione compiuta dei luoghi e Badoere (1874, collezione privata) è interessato a restitui- dei modi che hanno caratterizzato un’epoca. Perciò a lui re una immagine complessiva dell’evento caratteristico, spetta anche il primato, diciamo così, della considera- tenendosi a distanza e arrivando a sperimentare la classi- zione manifestata da un pittore veneto nei confronti dei cità della veduta su un soggetto inconsueto, il secondo, nei compagni di ventura dei contadini: gli animali da stalla numerosi lavori dedicati ad analogo tema sceglie riprese e da cortile. Se escludiamo la ritrattistica, non c’è quasi ravvicinate e di grande impatto, proponendo veri e pro- dipinto di Pajetta in cui non compaiano animali: cavalli, pri ritratti di uomini, animali e cose, entrando nel mezzo puledri, asini, vitelli, pecore, capre, cani, gatti, galline, della scena con risultati di forte coinvolgimento. Pajetta tacchini, piccioni e …mucche, tante mucche, quasi a non è certo l’unico pittore a dedicarsi a questo aspetto pareggiare, almeno con la fitta presenza, quel T’amo pio della vita del popolo, anzi, la Partenza per il mercato (per bove in cui Giosue Carducci aveva fissato, icasticamente, citare un dipinto di Napoleone Nani esposto a Venezia una relazione diretta inconsueta tra uomo e animale nel 1874) è uno dei soggetti frequentati dai pittori che, nella poesia italiana. come Nani, si sono trasferiti da Venezia in terraferma; o Del resto, Pajetta non si è limitato a ‘citare’ gli anima- dal giovane Luigi Nono, anch’egli attratto dall’affollarsi li come riempitivo, ma si è impegnato in veri e propri del popolo alla Sagra a Coltura (1872, coll. privata), o dal ‘ritratti’, iscrivendoli a pieno titolo, in particolare le muc- che, tra i protagonisti del- l’epopea contadina ottocen- tesca. Così esse compaiono sia nelle scene ironiche come Giochi nella stalla (forse da identificare con Il futuro con- dottiero di eserciti, esposto a Torino nel 1880) scenette amorose, come in Colloquio nella stalla e nel Bacio, sia nei quadri idilliaci di carat- tere famigliare, La famiglia del contadino, echeggiando o forse anticipando dipin- ti celebri come Le due madri di Giovanni Segantini, nel suo dipinto omonimo; per

64 non parlare di opere più legate alla descrizione di momenti tipici della vita di ogni giorno come Sul greto (1876, Treviso, Collezione Cassamarca) e Al pascolo. Del resto la sua identifi- cazione con certe temati- che è tale che l’artista non ha esitato a presentarsi alla I Biennale di Venezia, nel 1895, con due dipinti ine- quivocabili come Unico patrimonio e Un contratto, entrambi di tematica agre- ste, il secondo una scena di mercato del bestiame in Prato della Valle a Padova, dove si era trasferito dal 1893, il primo una scena desolante, con i contadi- ni disperati davanti all’uni- ca fonte di reddito, l’ani- male morto. Né mancano nel suo repertorio ritratti di villanelle e scene di lavo- ro; anzi, a quest’ultimo sog- getto egli ha dedicato uno dei suoi capi d’opera, quella Scena campestre (Ponte di Brenta, Fondazione Breda)

Fig. 7 - Pietro Pajetta, La famiglia del contadino

Fig. 8 - Pietro Pajetta, Cantando la ninna nanna, 1908

65 che già Perocco identificava come una delle opere più riuscite, per complessità d’impostazione e per esito luministico raggiunti. Gli spazi aperti della campagna trevigiana ritornano in altre opere, a confer- mare il senso della realtà vista e conosciuta, quel verde dei prati e quell’arco di cielo che i pittori di ter- raferma veneta hanno saputo riscri- vere sulla tela. Ma anche gli inter- ni sono dei più vari: dalla deliziosa Cantando la ninna nanna (datata 1908) che riverbera echi pascoliani, fino ai temi di più accattivante presa popolare come La pipa del papà e In sacrestia, dipinti di alta sapienza cro- matica (il nero su nero del primo) e di arguta impostazione spaziale; mentre non si saprebbe come defi- nire e collocare un dipinto sorpren- dente come Il cane e la mano, dove l’artista accenna con pochissimi ele- menti alla doppia tragedia che lega ancora (è il caso di dirlo, davanti alla catena spezzata per ritrovare il padrone imprigionato) le due esi- stenze.

Fig. 9 - Pietro Pajetta, Affreschi di palaz- zo Regina Dal Cin ad Anzano di Cappella Maggiore (Treviso)

Fig. 10 - Pietro Pajetta, Affreschi di Villa Vianello a Vittorio Veneto (1875)

Fig. 11 - Pietro Pajetta, Affresco di Villa Zanardo Lollo a Vittorio Veneto

66 Pietro Pajetta, come si è detto, ha raffigurato come pochi ha esposto a Venezia nel 1881 un’opera dall’argomento altri la vita dei ceti popolari legati stabilmente alla terra affine al suo; né stupirà allora di trovare nel pronipote di origine; contadini che come massimo spostamento Guido, in piena novecento, ancora presente la medesima conoscono il viaggio al mercato o la messa della dome- tematica). nica e che per quelle occasioni si preparano come per un Ma gli anni ’90, con la svolta impressa dall’apertura delle grande avvenimento (I recini da festa, di Luigi Nono). Esposizioni Internazionali Biennali, doveva spingere A lui dobbiamo però anche alcune delle più riuscite anche il nostro pittore a ripensare molta sua pittura e a immagini dei cantastorie e dei suonatori ambulanti che dedicarsi con maggiore impegno alla ritrattistica ufficiale ci siano rimaste dalla pittura italiana; descrizioni quindi e a oper impegnative di tipo decorativo. Non prima però di quegli emarginati dalla società chiusa contadina, i di aver a suo modo risposto a tante sollecitazioni prove- quali, al contrario dei contadini, essendo privi di una nienti da parti diverse e concretizzatesi nella prima, assai dimora fissa, passavano l’esistenza in continui sposta- eclettica, Biennale diretta da Antonio Fradeletto. menti. Con sensibilità non comune, Pajetta ha colto i due Così, inopinatamente, Pajetta arrivava a confezionare estremi – contadini da una parte, vagabondi dall’altra l’orripilante e ingombrante (anche nelle misure) dipin- – mettendoli a confronto in Cantastorie, e in I vagabondi to intitolato L’odio (1896, Museo del Cenedese, Vittorio (Suonatori ambulanti), due scene complementari sia per Veneto), opera inspiegabile nell’ambito di una produzio- localizzazione (una in un borgo rurale pedemontano, ne che, se si stava evolvendo e staccando dallo schema l’altra all’interno della Loggia di Serravalle) sia per sog- verista, non lasciava certo presagire esiti estremi di questo getto: nella prima la coppia si sta esibendo davanti ad tipo. Un anticonformismo, quello di Pajetta, che sembra un pubblico del tutto disinteressato, nell’altra un’intera famiglia, bambini compresi, si sta esercitando in vista di una qualche performance. In entrambi i casi Pajetta è riuscito a cogliere la solitudine dei vagabondi, la loro estraneità dalla società chiusa; nel primo caso rimarcan- do la distanza fisica che separa gli astanti dai due com- pagni cantori, nel secondo inscrivendo la scena dentro la spazio avvolgente della loggia, una casa provvisoria per i senza-casa di passaggio. Non era la prima volta che nella pittura veneta veniva affrontato una tematica così incline al focloristico; già a metà dei ’70 Silvio Rotta aveva forse per primo colpito nel segno con un’opera – Dopo la prova – che descriveva addirittura la vita del circo. Ma la gravità e l’empatia con cui Pajetta ha documentato la vita randagia dei suonatori, sono anch’esse degne della miglior pittura coeva (al punto che anche il fratello Paolo

67 così proiettarsi, dalla notte lugubre di un cimitero, verso tutta la società; un atto di protesta che la fonte “scapiglia- ta” del dipinto, un poemetto di Lorenzo Stecchetti, con- tribuisce a chiarire, ma non certo a giustificare. Si tratta in realtà di una reazione, per antifrasi, ad una suggestione quasi certamente avuta l’anno precedente in occasione della I Biennale di Venezia (1895) dal famigerato dipinto allora esposto, con generale clamore e grande scandalo, da Giacomo Grosso, Supremo convegno (distrutto), nel quale un gruppo di giovani donne ignude salutano per l’ultima volta un Don Giovanni esposto nella bara sco- perchiata. Pajetta capovolge la situazione ‘sentimentale’ portando al limite del paradosso la scena macabra, nella quale – incredibile visu – l’uomo (respinto in vita) si è addirittura spinto fino a disseppellire e scoperchiare la bara per dichiarare, anche post mortem, il suo indicibile rancore verso la donna che lo ha respinto in vita. Un dipinto che colpisce, ma che era destinato a rimanere eccezione nel catalogo del pittore di Serravalle, mentre di tutt’altro impegno risultano altri versanti della sua attività. Se infatti il filone suo privilegiato e identificativo era ed è quello della pittura di popolo, Pajetta però non ha esitato ad impegnarsi, seguendo la tradizione famigliare di affrescatori, in imprese decorative, sacre e profane, di ampio respiro, nelle quali egli ha dovuto anche rettifi- care il tiro del consueto suo naturalismo per imboccare strade diverse. Egli si dedicava così anche all’arte sacra, impegnandosi molto alacremente in un ambito che for- niva ai pittori disponibili, nuove chances e opportunità. Da un lato egli si è distinto pertanto nella decorazione

Fig. 12, Fig 13 - Pietro Pajetta, Affreschi della chiesa di S. Caterina in Villa, S. Giovanni Ilarione (Verona)

Fig. 14 - Pietro Pajetta, Affreschi di Villa Valduga a Feltre (Belluno) Fig. 15 - Pietro Pajetta, Affreschi di Casa Opocher a Vittorio Veneto

68 di interni sacri, dall’altro anche la sua partecipazio- ne a mostre importanti si connotava in questo senso; per esempio alla Quadriennale di Torino del 1902, dove partecipò con Meditazione e Angelo Custode, entrambi acqui- stati dall’ing. S. Vincenzo Breda. Pajetta trovava nell’arte sacra nuove pos- sibilità, ma in un ambi- to assai periglioso, non a caso lasciato libero dai veneziani suoi compagni di strada i quali evitarono per quanto fu loro pos- sibile di cimentarsi in un confronto inevitabile con i classici dei secoli prece- denti. Pajetta aveva tocca- to con Giubileo un tema comune a tanta pittura del suo tempo, reso cele- bre da I fratelli al campo, di Mosè Bianchi e poi da Frons animi interpres di Cesare Laurenti, e tratta- to anche da Luigi Nono e perfino dal giovane Favretto; a differenza però di altri, Pajetta raggiunge lo scopo senza indulgere in dettagli psicologici, con

69 una ripresa a distanza che gli consente di procedere per macchie che danno l’idea, piuttosto per idee impersona- te. Con pochi tratti essenziali egli ha evocato i sentimenti di una religiosità profonda, che si direbbe, appunto per- ciò, indescrivibile (mentre gli affreschi a fianco dell’altare ci rammentano una passione antica nella famiglia del pittore). Le richieste ecclesiastiche e civili lo porteranno ad altri lidi: la sacra famiglia, santi e martiri sospesi in volo, cieli azzurri, figure allegoriche; eleganze mai viste sostituiscono le grezze figure di popolani, figure eteree e leggere si alzano in volo davanti ai corpi grevi e veritieri di tanti animali terrestri ( e compaiono addirittura vedu- te dell’Acropoli di Atene, che Pajetta ha “visto” esclusi- vamente negli affreschi non lontani da Vittorio Veneto, opera di Ippolito Caffi!). Se ora ci rivolgiamo a considerare nel suo complesso la figura di Pietro Pajetta, ne emerge un profilo sfaccettato e tutt’altro che univoco, di artista in grado di rispondere alle più varie esigenze di una committenza in evoluzione e anche in crisi, ed essa pure composta dalla domanda ecclesiastica, da quella del ceto borghese in ascesa, con tutte le incertezze legate al caso. I riconoscimenti in vita non gli sono certo mancati; collezionisti veneziani e padovani, e anche di area lombarda, nonché di paesi Fig. 18 - Pietro Pajetta, La pace, 1903 d’oltralpe, gli hanno confermato una stima costante, mentre la committenza pubblica, dal paese natale fino relegato fuori dall’immaginario della cultura visiva. Negli a quella ecclesiastica gli hanno garantito la possibilità anni successivi Pajetta non è stato sordo alle sirene della di esprimersi nei registri più diversi. Nel ventennio pittura d’idea, anche se il meglio di sé egli lo ha dato 1866-1887, che va dall’annessione del Veneto all’Italia piuttosto, e imprevedibilmente, in occasioni decorative alla Esposizione Nazionale Artistica di Venezia, Pajetta ad affresco, qualificandosi tra gli ultimi maestri di una ha giocato un ruolo non secondario nel vivacissimo tradizione plurisecolare che le avanguardie prima e la panorama veneziano, emergendo dal coro con la sua Grande Guerra poi avrebbero dissolto. Impegnato nelle voce ferma e vera, e con immagini direttamente ricavate opere a fresco con esiti interessanti soprattutto a Villa dalla vita di ogni giorno, contribuendo a legittimare Contarini a Piazzola sul Brenta, Pajetta vi cercava un tutto quel mondo della terra che era stato quasi sempre aggiornamento in chiave liberty che difficilmente egli

70 avrebbe potuto sperimentare nella pittura da cavalletto; e improvvisato); purtroppo al Museo di Ca’ Pesaro non sono presenti opere di lo attesta il già citato Cantando la ninna nanna, del 1908, Pajetta, e nelle collezioni del Museo Civico di Padova solo il tardo Ritratto di signora , firmato e datato 1910 (v. la scheda di V. Mancini in Dipinti dell’Ot- a testimonianza che l’artista tornava ai suoi temi preferiti, tocento e del Novecento dei Musei Civici di Padova, a cura di D. Banzato, F. riuscendo ancora in una data così avanzata a colpire nel Pellegrini, M. Pietrogiovanna, Padova 1999 p. 233-5); un altro dipinto, Ritratto segno. Come per Oreste Da Molin, anch’egli attivo nel del cardinale Callegari (1904) è conservato nelle collezioni del Seminario della padovano, anche per Pajetta i segnali di rinnovamento di città patavina (v. Pietro Pajetta. Cantastorie…, cit. p. 41) e un’opera è anche nella collezione della Cassa di Risparmio di Padova. Sull’artista sono da vedere matrice simbolista, di area divisionista, per non parlare inoltre i materiali raccolti in Ottocento Veneto, il trionfo del colore, catalogo del montante futurismo, non potevano che costituire della mostra a cura di G. Pavanello e N. Stringa, Treviso, Casa dei Carraresi, allarmanti indicatori di mutamenti profondi, difficili da 2004, in particolare alle pagg. 146-47, 316-17, 328-29. ammettere, impossibili da condividere. Pajetta cessava Tra le prime segnalazioni giornalistiche della personalità di Pajetta dob- di vivere nel 1911 in una Padova che aveva ospitato per biamo ricorrere tuttora a Un quadro del Pajetta, in “Gazzetta Uffiziale di Venezia” 27 novembre 1879; ma uno scrutinio sistematico delle fonti ci lunghi periodi due tra i maggiori artisti della generazione restituirà senza dubbio una documentazione molto più consistente. La più degli anni ’80: Felice Casorati e Umberto Boccioni, che autorevole segnalazione Pajetta la ebbe già a metà degli anni ’70 da parte per vie diverse stavano formulando proposte innovative. di Camillo Boito il quale pur con qualche riserva lo identificava come “più Su quella lungheza d’onda non solo Pajetta, ma nessuno serio pittore di cose modeste, nelle quali mette alle volte una precisione dei maestri della sua generazione avrebbe potuto sinto- soverchia non priva di rigidezza e di sforzo” (Scultura e pittura d’oggi, Torino 1877 p. 127), cui hanno fatto seguito nel 1897 Achille De Carlo sulle nizzarsi. Il messaggio che il pittore di Serravalle ha lascia- pagine di “Natura ed Arte” e poi, in morte le testimonianze ben note. Per to in eredità ai suoi discendenti, che essi avrebbero messo un aggiornamento bibliografico al 1992 si rinvia a V. Pianca, Bibliografia, in a frutto, Guido con particolare felicità espressiva è stato Pajetta…, cit. p. 70, aggiornata al 2004 in L’Ottocento veneto…, cit. p. 413- quello della passione e del mestiere: anzi, della passione 14, dove ho segnalato la recensione apparsa a San Pietroburgo del dipinto L’odio, esposto in quella città. La voce più recente è il catalogo della mostra, per la pittura. Il male, a cura di V. Sgarbi, Torino 2005, dove è stato pubblicato e schedato da Benedetta Calzavara, L’odio, mentre un gioiello del primo periodo, come si è detto, è stato esposto e schedato con il titolo, La vocazione, da Francesca Castellani, in Camillo Boito, un’architettura per l’Italia unita, catalogo della

Nota mostra a cura di G. Zucconi e F. Castellani, Padova, Museo Civico di Piazza La pubblicazione monografica di riferimento è ancora oggi Pietro Pajetta. del Santo, 2000. Ho reso noto il dipinto Dopo la prova (1876) di Silvio Rotta Cantastorie dell’Ottocento Veneto, catalogo della mostra a cura di Vittorino in Fotologie, scritti in onore di Italo Zannier, Padova 2006. Per gli acquisti di Pianca, con saggi di G. Perocco, P. Nichols, V. Pianca e M. Ulliana, Vittorio Breda, oltre alle fonti già segnalate dagli studiosi, si ve anche: V Elenco di Veneto, Museo del Cenedese 1992; cui si aggiungano i materiali raccolti acquisti alla Quadriennale, in La Quadriennale. Rivista Illustrata dell’Esposi- nei due tomi La pittura nel Veneto. L’Ottocento, a cura di G. Pavanello, II, zione di Belle Arti di Torino, Torino 1902 p. 50; nella stessa sede si legge un Milano 2002 e 2003, in particolare E. Manzato, Treviso (p. 203-4, 207 e 210) interessante intervento sul problema del sacro nell’arte contemporanea di e G. Poli, Padova (p. 153, 159 e 169). Colgo l’occasione per correggere alcune Dante Belfiore, Alla Quadriennale. La pittura sacra, ivi p. 88-91, con discus- imprecisioni apparse nella voce a firma di D. Tosatto, Pajetta Pietro, in La sione dei dipinti di Vittorio Cavalleri, Giacomo Grosso, Gaetano Previati e pittura nel Veneto. L’Ottocento, cit., II, Milano 2003, p. 780-81: laddove, ad es., l’ammissione della situazione di crisi in cui versava quel genere di pittura, si indica che i dipinti Un contratto e Unico patrimonio, esposti alla I Biennale da allora, in verità, mai più ripresasi. di Venezia, sarebbero nelle collezioni del veneziano Museo d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro, mentre non è così (l’errore ha probabilmente origine nelle, Alla pagina seguente: numerose, sbagliate indicazioni del Comanducci o di qualche altro repertorio Pietro Pajetta, Autoritratto con stecca, 1899 (particolare)

71 72 Le opere 1. I Palasi a Ceneda, 1872 olio su tela 80 x 120 cm Treviso, Collezione privata

74 2. Sul greto, 1876 olio su tela 35 x 45 cm Treviso, Fondazione Cassamarca

75 3 Al pascolo olio su tela 35,5 x 48,5cm Vittorio Veneto, Collezione privata

76 4 Giochi nella stalla, 1874 olio su tela 45,5 x 60 cm Vittorio Veneto, Collezione privata

77 5. I cantastorie, 1880 olio su tela 50,3 x 100 cm Milano, Collezione privata

78 79 6. La vendita del vitellino, 1886 olio su tela 65,5 x 110 cm Breda di Piave, Collezione privata

80 7. Il bacio, 1901 olio su tela 100 x 60 cm Collezione privata

81 8. Il ritorno dal mercato, 1888 tempera su tela 53 x 100 cm Padova, Collezione privata

82 83 9. Le due madri olio su tela 26 x 40 cm Padova, Collezione privata

84 10. Scena campestre, 1885 olio su tela 61,5 x 86,5 cm Ponte di Brenta, Museo di Villa Breda

85 11. Il cane e la mano olio su tela 100 x 70 cm Stresa, Collezione privata

86 87 12, Autoritratto, olio su tela 61 x 44 cm Vittorio Veneto, Museo del Cenedese

88 13. Autoritratto con stecca, 1899 olio su tela 39 x 26cm Stresa, Collezione privata

89 14. Suonatori ambulanti vagabondi, 1881 olio su tela 88 x 150 cm Ponte di Brenta, Museo di Villa Breda.

90 91 15. La pipa di papà, 1874 (il figlio Paolo) olio su tela 120 x 60 cm Milano, Collezione Scarpazza

92 16 I due gemelli, 1902 olio su tavola 22 x 14 cm Stresa, Collezione privata

93 17. Chierichetto, 1908 olio su tela 89 x 130 cm Milano, Collezione privata

94 95 18. The pet pigeons, 1878 olio su tela 46,5 x 37cm Meduna di Livenza, Collezione Franchi

96 19 The memento, 1878 olio su tela 46,5 x 37 cm Milano, Collezione privata

97 20. Ritratto di Eleonora Duse olio su tela 67,5 x 47,7cm Vittorio Veneto, Collezione privata

22. Ritratto femminile con ventaglio, 1897 olio su tela 63 x 44,5 cm Meduna di Livenza Collezione privata

98 99 23. L’avvocato Luigi Spagnol, 1899 olio su tela 60,5 x 48cm Vittorio Veneto, Collezione privata

24. Il Commendator Vittorio Costantini, 1890 olio su tela 160 x 106 cm Vittorio Veneto, Collezione privata

100 101 25. La perpetua, 1880 olio su tela 58 x 33,5 cm Collezione privata

102 26. Il mercato di buoi a Serravalle, 1899 olio su tela 70 x 130 cm Vittorio Veneto, Collezione privata

103 27. L’odio, 1896 olio su tela 160 x 270 cm Vittorio Veneto, Museo del Cenedese

104 105 28. Madonna col Bambino, S. Augusta e S. Domenico olio su tela 136 x 68,5 cm Vittorio Veneto, Galleria Civica "Vittorio Emanuele II"

29. Madonna con Bambino, 1871 olio su tela 63 x 47 cm Treviso, Collezione privata

106 107 30. Meditazione, 1902 olio su tela 100 x 60 cm Ponte di Brenta, Museo di Villa Breda

31. Angelo custode, 1902 olio su tela 80 x 54,5 cm Ponte di Brenta, Museo di Villa Breda

Alla pagina 112 Autoritratto olio su tela 60 x 40 cm Milano, Collezione Pasoli

108 109 110 Note biografiche

1845 1884 Pietro Pajetta nasce a Serravalle da Paolo e Vincenza Borniotto. Partecipa all’Esposizione internazionale di Londra, Palazzo di Cristallo, 1859 e viene premiato con medaglia d’oro. Si arruola volontario con ‘intenzione di partecipare ala III Guerra di 1887 indipendenza contro l’Austria, seguendo l’esempio del conterraneo Partecipa alla Esposizione Nazionale Artistica di Venezia con Il Mercato Giuseppe Marchetti. Per interessamento del generale Cialdini frequenta delle Pignatte.. l’Accademia di Bologna. 1893 1863 Si trasfersce a Padova. Ad appena 18 annisi arruola, a Bologna, nel II Reggimento del Genio. Alla Esposizione Permanente di Milano il dipinto Ammalato viene pre- Per interessamento del generale Cialdini frequenta l’Accademia di Belle miato con medaglia d’oro. Arti di Bologna. 1895 1866 Espone alla Prima Biennale di Venezia Unico patrimonio e Un contratto. Si congeda, sposa Chiara Setragno e si trasferisce ad Alessandria. 1897 1869 Espone alla seconda Biennale di Venezi con Bagno improvvisato. Esordio alla XXVIII Promotrice di Torino dove presenta l’E’effetto del Vino 1898 1970 Espone alla Esposizione Nazionale di Belle Arti di Torino L’aratro e Le Mostra Regionale di Alessandria, medaglia d’oro per Genio e Povertà gioie di famiglia (acquistato dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna Ritorna a Serravalle che, diventata italiana e unita alla vicina Ceneda di Roma). diventa una nuova città denominata Vittorio. Qui nascono i figli Paolo, Partecipa al’Esposizione di Pittura e Scultura Itaaliana a S. Pietroburgo Luigi, Raffaello, Mario. con L’Odio, ispirato a un testo di Stecchetti (conservato al Museo del 1871- 74 Cenedese di Vittorio Veneto). Partecipa come pittore della bottega (Paolo, Pietro, Mariano Pajetta e 1900 Antonio Pasquotti) alla realizzazione delle decorazioni del Teatro sociale Espone a Verona Stalla di buoi. di Ceneda. 1902 1872 Espone alla Quadriennale di Torino Stalla, Preghiera e Angelo Custode. Prende parte all’Esposizione di Treviso con Bolla di Sapone, Visita in 1904 città e La mattina. Espone a Padova Follie e Testa di donna. 1973 1906 Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Palazzo Regina Dal Espone a Milano per l’inaugurazione del valico del Sempione La pre- Cin ad Anzano. ghiera e il Ritratto del musicista Cesare Pollini Espone a Venezia ed è notato da Boito che lo segnala nelle sue preziose 1908 recensioni. Espone a Padova S. Sebastiano e Al Pascolo. 1874 1909 Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Palazzo Mengotti a Viene invitato al Salone di Parigi. Fonzaso. Espone a Monaco Fiori selvatici. 1875 1911 Partecipa all’opera Il Sacrificio di Abramo nella chiesa Parrocchiale di Pietro Pajetta muore a Padova. Fregona (TV). Partecipa alla realizzazione delle decorazioni di Villa Vianello a Vittorio Altre opere di notevole interesse sono: Veneto. Adorazione del Santo Sacramento del Patronato del Santo di Padova. 1876 Morte di S. Antonio nella chiesa di S. Antonio di Padova. Espone alla Società Promotrice di Venezia La bolla di sapone. Apparizione della Beata Margherita Alacoque nella chiesa delle Salesiane 1878 di Padova. Dal 1878 al 1880 si trasferisce a Venezia. La sacra Famiglia nel Duomo di Serravalle. 1879 Il Vescovo Callegari nella biblioteca del Seminario di Padova. Muore il padre. Decorazione allegorica di Palazzo Camerini in Piazzola sul Brenta. Acqusisce importanti commissioni pubbliche tra cui gli affreschi del- Ciclo di affreschi nella chiesa di S. Caterina in Vills di S. Giovanni l’atrio, della sala e la decorazione del sopario del teatro di Serravalle. Ilarione 1881 Affreschi nel Duomo di Padova. Partecipa alla Esposizione nazionale di Milano con Requies e I vagabondi. Affreschi a Palazzo Da Zara a Padova. 1883 Affreschi di Villa Contarini a Piazzola sul Brenta. Partecipa alla Esposizione Nazionale di Roma La Preghiera, Nono, no xè bon. Decorazioni di Villa Valduga a Feltre.

111 Ad vocem. Milano.1929 e ss. Bibliografia 1931 A. Somigliana Zuccolo, Sant’Antonio nella pittura di Pietro Pajetta, in “Il 1869 Santo” a.III, marzo 193, p. 332-336. Società Promotrice di Belle Arti in Torino. Esposizione XXVIII. Catalogo degli 1932 oggetti d’arteammessi all’esposizione del 1869, Torino 1869. A. Moschetti, Pajetta Pietro, in Thieme-Becker, Lipsia 1932, XXVI, p. 146. 1870 1935 Società Promotrice di Belle Arti in Torino. Esposizione XXIX. Catalogo degli Mostra de Quarant’anni della Biennale. Catalogo, Venezia 1935, n. 20 a p. 76. oggetti d’arteammessi all’esposizione del 1870, Torino 1870. 1938 1871 Vittorio Veneto nel Ventesimo Annuale della Vittoria d’Italia, catalogo della Società Promotrice di Belle Arti in Torino. Esposizione XXX. Catalogo degli mostra, Vittorio Veneto 1938. oggetti d’arteammessi all’esposizione del 1871, Torino 1871. 1947 1872 Mostra d’arte retrospettiva intitolata ai pittori Pietro Pajetta e Battista Memorie della Società....., Società, Venezia 1872. Costantini, Catalogo, Vittorio Veneto 1947. 1877 Pietro Pajetta, in “Il Gazzettino”, 17 agosto 1947 Scultura e pittura d’oggi. Ricereche, Torino, 1877. 1851 1879 Castelletto-Saleggio, Un secolo di pittura, 1850-1950, Milano 1951. Un quadro del Pajetta, in “GV”, 27 Novembre 1879. 1955 1880 M. Rizzoli, La pittura padovana dll’Ottocento, Padova 1855, p. 9-13. Esposizione delle opere di Belle Arti nel Palazzo di Brera nell’anno 1880, 1956 Milano 1880 p. 30. Mostra retrospettiva di Pietro Pajetta (1845-1911), Catalogo, Vittorio Ve- 1887 neto, 1956. Esposizione Nazionale Artistica. Catalogo ufficiale. Venezia 1887, Venezia 1967 1887, n. 7 e 12 p. 36. G. Perocco, La pittura veneta dell’Ottocento, Milano 1967. A volo d’uccello, in L’Esposizione Nazionale Artistica Illustrata. Venezia 1887, 1972 Venezia 31 Luglio 1887, p. 143. Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dall'XI Vittorio a Giuseppe Garibaldi. Numero Unico. 9 ottobre 1887. A cura di al XX secolo. Ad vocem. Milano, G.Bolaffi editore, 1972-79. Antonio Fioretti. Treviso,1887. 1975 1889 M. Monteverdi, Storia della pitura italiana dell’Ottocento, Busto Arsizio, De Gubernatis, Dizionario degli artisti italiani viventi, Firenze, 1889. Bramante, 1975, v. 3, p. 259. 1893 1978 L. Chirtani, Dell’esposizione della Permanente in Milano, in “Natura ed F.D’Arcais, F. Zava Boccazzi, G. Pavanello, Gli affreschi nelle ville venete Arte”, fasc. XVI, 15 Luglio 1993 p. 318-319. dal Seicento all’Ottocento, Vnezia, 1978. 1897 1982 A. De Carlo, Pietro Pajetta in “Natura ed Arte”, 1897, fasc. I, p. 60-65. A. Novelo, Ville della Provincia di Belluno. Milano, 1982. G.A. Munaro, La seconda Esposizione Internazionale d’Arte, Venezia MDCC- 1987 CXCVII (Note critiche), Venezia 1897. La realtà dell’immaginario. Opere d’arte del XX secolo nelle raccolte pubbli- 1898 che delle regioni Friuli Venezia Giulia, trentino Alto Adige, Veneto, a cura di U. Fleres, L’arte all’Esposizione del 1898, Torino, 1898. L. Rossi Bortolatto, Casier (TV), SIT Editrice, 1987. U.K., Premiere Exposition Italienne de Peinture et de Sculpture à St. Pèter- 1990 sbourg, in “Journal de St. Pètersbourg”, 24-25 aprile 1898. L. Scardino, La fiera delle vanità. Manifesti pubblicitari 1895-1945. 1899 Rovigo, 1990. p.10. V. Olper Monis, Pietro Pajetta in “Vita Nuova” I, n. 8, 1899, p. 11-12. 1991 1911 Aspetti dela pittura a Treviso tra Otto e Novecento, Galleria del Libraio, A. Faggiotto, Pietro Pajetta nella vita e nell’arte, in “La cultura moderna”, Treviso 1991. 15 dicembre 1911, p. 78-84. P.L. Fantelli, Pajetta Pietro, in La pittura in Italia. L’Ottocento, II, Milano 1912 1991, p. 994 A. De Carlo, Discorso inaugurale alle mostre postume Pajetta-Valeri, in “La 1992 Provincia”, 26-27 Maggio1912. V. Pianca, Profli biografici, in P.Pajetta. Cantastorie dell’Ottocento Veneto, 1916 Vittorio Veneto 1992. F. Nani Mocenigo, Della letteratura veneziana del secolo XIX. Venezia 1995 Esposizione commemorativa delle opere dei pittori Pajetta e Valeri, Padova G. Mies, Pietro Pajetta pittore tra sacro e profano, in "NordEst", 1995. 1912, 1916. 1996 1929 E. Di Martino, Da Buonconsiglio a Fattori, Collezioni di opere d’arte della Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni. Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo dal XV al XIX secolo, Padova 1996.

112 P. Campopiano, L'immagine femminile nella pittura dell'800. Treviso, Vittorio Veneto, [Villa Papadopoli], Agosto 1947. Si esposero 27 opere di Grafiche Italprint, 1996. p.17 (Mercato davanti alla Loggia di Pietro; 6 di Paolo; 5 di Mariano e 10 di Costantini. Serravalle). 1956 1997 Mostra retrospettiva: Pietro Pajetta (1845-1911). Vittorio Veneto, Museo Pittori e pittura dell'Ottocento italiano. Novara, IGDA,1997-1999. del Cenedese, 19 agosto - 23 settembre 1956. Della Commissione v.2,p.110. d'Esame e di Ordinamento, diretta da Guglielmo Benedetti (pittore), II Biennale di Venezia, Bagno improvvisato, (Catalogo n. 10 p. 142) facevano parte: Armando Tonello (pittore), Daniele Brescacin (scultore), 1998 Erminio Grassi (pittore); Diana Bennato (segretaria). Esposizione Nazionale Belle Arti di Torino , (catalogo n. 415 2 417, p. 36) 1992 Ottocento, al via la mostra. in "La Provincia Pavese", 22 marzo 1998. Pietro Pajetta (Serravalle 1845 - Padova 1911) Cantastorie dell'Ottocento 1999 Veneto. Catalogo a cura di Vittorino Pianca. Vittorio Veneto, Comune di V. Mancini, schede in Dipinti del’Ottocento e de Novecento dei Musei Civici Vittorio Veneto, 1992. di Padova, a cura di D. Banzato, F. Pelegrini, M. Pietrogiovanna, Padova 1999, p. 233-235. F. Millozzi, Dipinti del’Ottocento nella Collezione V. S. Breda, in “Bollet- tino del Museo Civico di Padova”, LXXXVIII, 1999, p. 91-102. 2000 F. Castelani, scheda i C. Bito, un’architettura per ‘Italia unita, catalogo della mostra, Padova 2000, p. 162-163 2002 La Pittura nel Veneto. L'Ottocento. Milano, Electa, 2002. Tomo I. pagg. 153, 158, 169, 202, 203, 210, 240, 780; figg. 215, 216, 266. 2003 D. Tosato, Pajetta Pietro, in Pavanello, 2003, p. 54, 55, 60, 71. Un collezionista dell’Ottocento. Vincenzo Stefano Breda (1825-1903), Mo- stra del centenario, Ponte di Brenta (Padova) , Il Poligrafico, 2003, p. 54, 55, 60, 71. Vittorio e Romolo Tessari nella pittura veneta tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo, catalogo della mostra a cura di M. Mondi, Castelfranco Veneto 2003, p. 101. Guido Pajetta fra primo e secondo Novecento, a cura P. Biscottini, E. Cri- spolti, A. Negri, Serrone della Villa Reale di Monza, Monza 203, p. 17. 2004 Ottocento Veneto. Il trionfo del colore. A cura di G. Pavanello, N. Stringa. Treviso,Canova, 2004. p.146,316,328. 2005 Grandi Collezioni alla Ricci Oddi di Piacenza, Un Altro ‘800, Gusto e cul- tura in una quadreria oltrepadana, a cura di S. Fugazza, A. Guarnaschelli. P. Nicholls, Catalogo della mostra, Skira, Piacenza 2005. Il ritratto nel Veneto: 1866-1945. A cura di S. Marinelli. Verona - Novara, 2005. p.76-78, 92-93. V. Sgarbi, (a cura), Il male, esercizi di pittura crudele. Milano, Skira, 2005, p. 201.

Cataloghi di mostre dedicate: 1912 Esposizione commemorativa dei pittori Pajetta - Valeri. Padova, Circolo Filarmonico - Artistico, maggio-giugno 1912. Testi di Achille De Carlo, dal quale in sostanza derivano tutte le notizie biografiche poi pubblicate, compresa la memoria autografa del figlio Raffaello del 1928 e il profilo comparso sul Comanducci del 1929 steso da Francesco Troyer. 1947 Catalogo della Mostra d'Arte retrospettiva intitolata ai pittori Pietro Alla pagina seguente: Pajetta e Battista Costantini. Mostra d'Atrte Sacra e delle Raccolte private. Mariano Pajetta, Praesentiert (particolare)

113 114 Mariano Pajetta 1851 - 1923

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Vittorino Pianca Mariano Pajetta, eclettismo tra pittura e fotografia

Mariano Telesforo Pajetta nasce a Serravalle il 6 gennaio Moro, inseguendo quel successo che le recenti invenzioni 1851 e muore a Verona il 3 marzo 1923. nel settore fotografico aprivano alla nuova imprenditoria Apprende il mestiere della pittura in famiglia, dal padre artistica. Paolo e dal fratello maggiore Pietro. La fotografia, praticamente scoperta da Nicéphore Niepce Da giovane si dedicò con particolare passione alla deco- e Louis-Jacques-Mandé Daguerre nel 1839, aveva preso razione murale. Fino agli anni ’80 seguì le vicende della straordinario impulso proprio nel 1878 quando la sco- famiglia andando in giro a dipingere le dimore di ricchi perta dell’emulsione secca alla gelatina aveva reso possi- borghesi con il padre ed il fratello Pietro. Dopo la morte bile la fabbricazione su scala industriale delle lastre sensi- del padre si recò a Genova, ma tornò per seguire il fratel- bili. Ciò aveva notevolmente semplificato i procedimenti lo, forse anche a Monfalcone, certamente a Venezia, pres- fotografici, sia in ripresa che in sviluppo, e reso possibile so i laboratori di servizio alla fotografia aperti da Marzio una diffusione enorme degli studi fotografici. In questi studi lo sfondo naturale era sostituito da uno Fig. 1 - Mariano Pajetta, Autoritratto, (particolare) sfondo dipinto da valenti artisti che spesso accontentava i gusti del pubblico accordandosi più facilmente alle mode del tempo. E proprio in quest’arte era diventato famoso Marzio Moro1, dipingendo paesaggi, scenette campestri, monumenti, case e rovine. Nei registri d’anagrafe di Vittorio troviamo: Mariano, di anni trentasei, pittore, nato in Vittorio e residen- te a Genova, che sposa il 20 febbraio 1887 la cenedese Ballestrini Caterina di Giovanni e di Clorinda Perotto. Testimoni davanti al sindaco di Vittorio avv. Alessandro Serafini si firmano Giuseppe Ballestrini, libraio, e Pietro Pajetta, pittore. Da Genova, dove dichiara di abitare in Spianata di Castelletto n. 5, egli fa domanda (datata da Genova …1887) al Ministero per ottenere il brevetto di sfrut-

117 sua facile seriabilità, e Mariano crede di portare un suo contributo, una sua idea che consentirebbe di trasferire immagini che possono ancora essere situate nella sfera di produzione artistica unica e originale: “La “decalco- mania” infine è una stampa colorata e la “radiografia” è una vera pittura ad olio, lavoro del pennello e della mente di un artista.”2 Questo significa comunque che Mariano si era dunque avvicinato alla fotografia, per comune interesse di fami- glia3 o per strade sue, già nella giovinezza oppure nel tempo durante il quale abitava a Genova. Forse è proprio in virtù di questa sua esperienza che nel 1890 il fratello Pietro lo invita a lavorare per Marzio Moro a Monfalcone.4 Non abbiamo ancora notizie certe che egli abbia accettato la proposta di recarsi a Monfalcone; rimane confermato però che egli collaborò lungamente con Marzio Moro quando questi teneva lo studio all’Abbazia della Misericordia in Venezia. Nella estrema carenza di notizie circa la sua attività arti- stica dobbiamo pensare che nel frattempo Mariano pro- seguiva la sua attività di pittore da cavalletto, ed anche

Fig. 2 - Mariano Pajetta, Al Pascolo che si faceva conoscere esponendo, perché da una lettera sappiamo che nel 1905 il sig. Edgardo Cinotti di Pesaro Fig. 3 - Mariano Pajetta, Ritratto di Marzio Moro Fig. 4 - Mariano e Pietro Pajetta Dal notaio acquistava da lui un ritratto. Mariano espose le sue opere pittoriche a partire dal tamento industriale per un anno di una sua invenzione 1880. che egli denomina: “La radiografia”. Alla frenetica ricer- Nel 1881 è presente con Acrobati ed Effetti del gioco a ca del suo tempo tendente a scoprire sempre nuovi sup- Venezia; alla Promotrice Fiorentina del 1883 Al pascolo; a porti, cartacei o di altro materiale, per fissare e trasferire Milano prima (1883) ed a Roma poi con: All’abbeveratoio immagini, fotografiche o artistiche, egli portava il suo e In posa; a Monaco di Baviera nel 1883; a Gorizia con: contributo d’invenzione. Diceva di avere scoperto un Praesentiert. metodo per trasferire immagini ad acquerello, tempera La Promotrice di Torino del 1883 gli acquistò il quadro ed olio dall’originale su carta, al legno, marmo, vetro, Una stalla. specchio… attraverso un procedimento chimico. Siamo Oltre a quelle esposte in mostra di lui si conoscono altre agli albori esplosivi della civiltà dell’immagine, della opere di ubicazione oggi ignota come: Angelus Domini,

118 già proprietà Morpurgo di Trieste; Musica dell’avve- nire; La stufa del villaggio. Alla Mostra retrospettiva di Villa Papadopoli per la festività dell’Assunta a Ceneda, Vittorio Veneto, nel 1947, furono esposti: Ritorno, Ora di quiete, Giochi infantili, Le notizie del giorno, Interno rustico. Questa mostra ci consente oggi di precisare meglio la sua cifra stilistica anche se molta della sua produzione rimane ancora sconosciuta alla critica. Ad esempio il quadro S. Libera e Teatro Romano, esposto nella Mostra Vittoriese dedicata a Pietro Pajetta del 1992, sotto il suo nome è da assegnare correttamente al figlio Mario Paolo. Le esperienze pittoriche rimaste ci descrivono un pitto- re che nasce in famiglia e dentro di essa forse apprende i primi rudimenti e la tecnica pittorica. Ne sono testimo- nianza alcuni disegni a matita di animali che si espongo- no in mostra. Si muove nel solco della tradizione fami- gliare anche per quanto riguarda i soggetti e la tecnica. Per come andavano le cose in famiglia ci sembra inte- ressante l’olio Dal notaio, conservato presso il Museo del Cenedese dove si colgono esattamente due mani: quella di un apprendista scolastico e disegnativo a confronto con le due figure di donne che mostrano una padronan- za del pennello e dei colori direttamente mescolati sulla tela con una libertà descrittiva già da maturo ottocento. Potrebbe essere testimonianza diretta del suo apprendi- stato pittorico sotto la guida di Pietro. Mariano appare dotato nella raffigurazione del mondo rurale e pastorale nella quale si specializza anche il fra- tello Pietro. Le sue opere però contengono un dato di ispirazione malinconica che si manifesta in una tavo- lozza meno variegata rispetto al fratello. Con il tempo egli diventerà comunque un esperto in senso lato nel trattamento dell’immagine. Di questo ci parlano il qua- dro Al pascolo; i bozzetti per le decorazioni di palaz-

119 120 zi; le due immagini del Labaro della chiesa vittoriese di Sant’Andrea di Bigonzo, che sono oggi esposti in mostra. Nella difficoltà di assegnare ad ogni componente della famiglia Pajetta i lavori che di loro ci restano si assegnano a Mariano le due immagini del Labaro: Sant’Andrea e La Madonna di Caravaggio perché nel piccolo archivio di documenti da lui conservato, e raccolto da un amico, egli stesso mise da parte proprio la stampina con la Madonna di Caravaggio che gli servì da modellino. Non sarà la sola volta in cui si cimenta nella pittura di soggetto sacro. Ci rimane infatti la pala di San Mattia e Santi nella chiesa di San Mattia, a Torricelle di Verona. E come modello di partenza anche per quest’opera egli utilizza una stampi- na devozionale di Santa Augusta, la Santa di Serravalle, dell’incisore G. Frezza, che si conserva sempre nello stesso archivio. I Pescatori, la Marina, la Grottesca su piatto, i Fiori appar- tengono al materiale da Mariano utilizzato negli apparati decorativi di palazzi dove lavorava, anche se non siamo riusciti ad individuarli. Fra questi apparati sono inte- ressanti le due “Nature morte” con dolci e altri cibi che decoravano la Trattoria più importante di Serravalle, si mette volutamente a confronto con il più famoso quella sita in piazza Flaminio, oggi Bar Commercio. Essa fratello. era di proprietà dei genitori del prof. Oliviero Ronchi, già Negli ultimi anni di vita collabora come fotografo e nel direttore della Biblioteca del Museo Civico di Padova, cui ritocco con lo Studio fotografico Bressanini a Verona. si deve il completamento dell’allestimento del Museo del Alla sua morte un articoletto su “Il Gazzettino” ricorda Cenedese per l’inaugurazione del 1938. Nel trasferirsi a soprattutto come splendida opera sua il ritratto foto- Padova la famiglia Ronchi, fra le altre memorie si portò grafico della Principessa Giovanelli, che adornava lo anche questo piccolo pezzo di storia cittadina. studio Bressanin, e prosegue annotando che egli abban- Come pittore raggiunse un notevole livello tecnico testi- donando la tela per “dedicarsi alla pittura applicata alla moniato da Praesentiert! e dall’Autoritratto con i quali fotografia” aveva donato “a quest’ultima una eccellente fisionomia d’arte per cui le fotografie passate tra le Fig. 5 - Mariano Pajetta,Pala della chiesa di S. Mattia a Verona mani del Pajetta vennero ricercate da amatori e dalle Fig. 6 - G. Frezza, Santa Augusta (sec. XVIII) più ricche e distinte famiglie” di Verona.

121 colore ci erano sempre parsi molto strani. Ora crediamo che quest’opera, meglio di altre più tarde, esemplifichi le ricerche artistiche dei Pajetta ai confini del “fotografico”, e sia un esperimento sulla contiguità, allora vissuta peri- colosamente, fra pittura e fotografia. L’epitaffio di Mariano, su “Il Gazzettino Illustrato” della primavera 1923, così lo ricordava: “Appartenne alla vec- chia schiera degli artisti veneziani amanti dell’arte seria, verace, delle piccole graziose o dolorose scene della vita che ritrasse senza moralismi e senza ricercatezze isteriche vivendo per metà la verità”. Una sintesi efficace della sua vita artistica nata dentro il realismo veneto della secon- da metà dell’Ottocento e travolta dal rapido scorrere del Novecento, in compagnia della fotografia, il nuovo mezzo espressivo che ogni naturalismo in pittura mise in Pittorialismo e fotografismo divennero termini cono- crisi, o distrusse fin dalle basi teoriche. sciuti nella seconda metà dell’Ottocento e furono com- mensali, espliciti o sottintesi, di ogni tavola rotonda o Note dibattito. I Fratelli Pajetta, a contatto stretto con gli studi 1 Marzio MORO, nasce a Belluno il 5 gennaio 1848, da genitori veneziani. fotografici di Marzio Moro sperimentarono sia la foto- In pratica è coetaneo di Pietro Pajetta e come lui si arruola nelle truppe gari- grafia che una sorta di “pittura fotografica”. Questa ci baldine nel 1866, abbandonando gli studi di pittura e scenografia che aveva intrapreso a Venezia. Alla fine dell’esperienza bellica emigrò negli Stati Uniti sembra sia la dimensione da attribuire all’opera, attribui- d’America dove partecipò alla decorazione di una ventina di Teatri, compresa ta a Pietro, intitolata In carrozza (1878) dove un incon- l’Accademia Musicale di Baltimora, l’American Club di New York e l’Accade- sueto trattamento delle luci, del tratto narrativo e del mia di Philadelphia. A Londra poi e Parigi incontra il mondo della fotografia. La sua attività di decoratore prende impulso straordinario dal lavoro di allesti- mento di fondi scenografici su tela e legno, che allora andavano di gran moda per le riprese fotografiche da studio. Questi fondi fotografici fecero la sua fortuna: dopo Londra e Parigi, in breve aprì suoi studi a Milano, Pietroburgo, Francoforte, Dresda, Odessa, due a Berlino e quattro a Vienna. Dal 1870 si trasferì a Monfalcone, dove rimase fino alla morte della moglie nel 1902. A Monfalcone progettò e seguì la costruzione del Teatro alla cui decorazione parteciparono i Pajetta. Fu quindi a Treviso e Venezia, dove installò il suo stu- dio nell’Abbazia della Misericordia. Negli anni 1916 – 1917 decorò la Cappella

Fig. 7 - Studio Marzio Moro, Fondale fotografico in carta realizzato con la probabile collaborazione di Mariano e Pietro Pajetta

Fig. 8 - Pietro Pajetta in carrozza

122 del Santissimo nella Cattedrale di Ceneda dove lasciò due grandi finti arazzi nia” è delicatissima e nel fissarla, anche bene, quasi sempre si strappa qua e là nei nello stile dei fondi fotografici. Dopo la prima guerra mondiale, venendogli a contorni; la mia pittura invece, posata su marmo, legno, cristallo o qualunque mancare le commissioni per i famosi fondi fotografici si dedicò alla pittura da altra materia, resta fresca ed esattissima come se fosse stata proprio dipinta su gli cavalletto dove il suo gusto per la pittura veneziana e francese del Settecento oggetti. La “decalcomania” infine è una stampa colorata e la “radiografia” è una gli procurò ancora grandi soddisfazioni. D’Annunzio comperò alcuni suoi vera pittura ad olio, lavoro del pennello e della mente di un artista. Dopo questa quadri per il Vittoriale. Morì a ottantasei anni, lasciando soprattutto negli Stati breve e semplice esposizione, son certo che sarà generalmente riconosciuta ed Uniti gran parte del suo lavoro artistico. apprezzata l’importanza e la novità del mio sistema della “radiografia”. 2 Esposizione del Sistema Pajetta: “La radiografia”: Con questo sistema da me 3 Il fratello Pietro farà il ritratto del patriota risorgimentale Luigi Marchetti esclusivamente ritrovato e denominato: “radiografia” (dal greco: facile pittura) si (Ceneda 1825 – Vittorio 1908) in divisa da garibaldino. Questi faceva il può da chiunque decorare di qualsiasi dipinto corpi ed oggetti d’ogni natura. Ne farmacista come molti altri della schiatta Marchetti, e questa loro esperienza spiego il modo. La pittura s’eseguisce prima, nel modo solito, sopra carta prepa- di chimici li avvicinò per primi alla nuova arte della fotografia. Non a caso rata da me con sostanze speciali, si trasporta quindi sopra altra carta similmente Arnaldo Marchetti, farmacista anche a Valle di Cadore e Oderzo, aprirà il preparata ed in tale stato si conserva inalterabile anche per lungo spazio di tempo. primo studio fotografico a Vittorio con il chimico Alessandro Omboni. Volendo servirsi di questa preparazione e fissare la pittura rappresentata sulla (Ruzza 1992. p.242,273) carta sopra un oggetto qualunque , per esempio uno specchio, si palma la parte 4 “Monfalcone 5/9/90. Il Sig. Marzio Moro m’incarica un’altra volta di scriverti dove sta il dipinto con colla liquida da me composta, si bagna l’altra parte con quanto segue. poca acqua semplice e si applica la carta sul cristallo. Istantaneamente la pittura Se tu volessi accettare di venire qui in Monfalcone a lavorare ai fondi fotografici fatta sulla carta si fissa nitida ed esatta sullo specchio e, per esperienza da me fatta come faccio io da tre anni, e lavoro te l’ò assicura per diversi anni, previo una più volte, posso assicurare che la stabilità ne è tale che non è più possibile levarla disgrazia come in tutte le faccende della vita, pagandoti giornalmente sei fiorini, via né strofinandola con panni né bagnandola d’acqua. Scelgo l’esempio dello equivalenti a più di dodici lire italiane saresti trattato da artista come à sempre specchio perché, come ognun sa, il cristallo è la materia più difficile a ritenere la fatto con me e senza lesinare qualche ora in meno che o non si ha voglia o si vuol pittura che, eseguita nel modo solito, non vi resta mai nitida e decisa. riposare. Ti dirò che con 5 Lire al giorno puoi vivere da Signore compresa qualche Come appare chiaramente, molti sono i vantaggi di questo ritrovato certo utilissi- scarozzata e il resto sarebbe un risparmio per l’avvenire, e capisci, mettiamo tu mo e nuovo nell’arte della decorazione. Pareti, marmi, mobili si possono adornare stia un tre anni avresti dei bei fiorini per piantarti che so io magari un negozio di pitture senza che l’artista si rechi di persona dal committente, o trasporti presso se non ti piacesse più fare questa vita. Avresti qualche giorno di libertà per fare di sé gli oggetti da decorare. La comodità è così grandissima e minima la spesa. qualche quadretto, e qui vi sono i soggetti a josa - l’aria è buona perché quando Nel caso poi che un amatore di belle arti avesse desiderato di avere nella volta di viene mia moglie in quindici giorni diventa una botte - il resto vedrai tu, il vino una sala o sopra una parete od altro, copie di opere celebri o composizioni dal e birra stupendi. /…/ vero: per esempio un medaglione rappresentante il panorama di una sua villa; il …carli poi vicino al nostro paese indipendenti, senza fastidi e padroni di qualche lavoro non era quasi possibile che riuscisse esatto perché il pittore, per eseguirlo, lira da disporre a tuo talento. Il Sig. Moro come persona che sa e pensa affezionare era obbligato a visitare il luogo e giovarsi quindi del fuggevole ricordo o dell’im- chi stima ti anticiperebbe del denaro per trasportare la tua roba e perché non pressione personale, oppure a ricorrere alla fotografia che, per mancanza di toni o parti privo, restituirlo un tanto alla settimana lasciando a te la quantità fino ad di colori, non può servire certo di buon modello alla pittura. Con questo sistema estinzione tuo dovuto. Il Sig. Moro poi ha il mio temperamento i brodi lunghi non invece, l’artista si reca sul luogo, sceglie la posizione, copia dal vero ed applica ci piacciono ed egli mi dice dirti che basta decidi e tutto è fatto. Il sottoscritto poi poi il dipinto dove meglio gli piace. Questi sono semplici esempi e di simili se ne certifica d’aver ricevuto dal Sig. M. Moro a centinaia i favori, e pensa solamente potrebbero addurre moltissimi altri, se l’evidenza della cosa non rendesse inutile che mi trovo da 3 anni benissimo, e che sono andato pienamente sempre d’ac- una più estesa esposizione. Comunque, mi piace avvertire la differenza che passa cordo. Ti prego rispondimi presto o sì o no, e in caso di sì cosa ti occorre di denaro tra questo mio nuovo sistema della “radiografia2 e quello già noto e comune della e ancora sperando di vederto entro otto giorni. Ti stringo la mano unito al Sig. “decalcomania” col quale il mio, a prima vista, parrebbe avere una certa tal quale Moro i miei rispetti alla tua signora e credemi sempre non con i polmoni ma con rassomiglianza. La fo’ brevemente: il cuore tuo fratello Pietro.” La “decalcomania” si attacca mediocremente sulla carta, ma con difficoltà grande sopra altre materie (in specie sul vetro) e non è durevole; il mio sistema della Alla pagina seguente: “radiografia” invece si fissa sopra qualsiasi oggetto e stabilmente. La “decalcoma- Mariano Pajetta, Autoritratto, (particolare)

123 124 Le opere 1. Labaro: Sant’Andrea olio su tela 82 x 61 cm Vittorio Veneto, Museo del Cenedese

126 2. Labaro: Madonna di Caravaggio olio su tela 82 x 61 cm Vittorio Veneto, Museo del Cenedese

127 3. Natura morta con verza e cipolle, 1871 olio su tavola 29 x 43,5 cm Milano, Collezione privata

4 Testa di mucca matita su carta 25 x 33 cm Verona, Collezione Scolari

5. Praesentiert olio su tela 30 x 23 cm Milano, Collezione privata

128 129 6. Vele in laguna olio su tavola 20 x 30 cm Milano, Collezione Scolari

7. Pescatori olio su tavola 20 x 30 cm Milano, Collezione Scolari

130 8. Al pascolo filando olio su tela 38 x 49 cm Vittorio Veneto, Collezione privata

131 9. Marchera 10. Autoritratto olio su tavola intagliata olio su tela 19 cm di diametro 59 x 46 cm Milano, Verona, Collezione Scolari Galleria d’Arte Moderna

132 133 11. Decorazione floreale olio su cartone 46 x 32 cm Verona, Collezione Scolari

12. Natura morta con focacce olio su tela 55 x 100 cm Padova, Collezione privata

13. Natura morta con torte olio su tela 55 x 100 cm Padova, Collezione privata

134 135 136 Note biografiche Bibliografia

1851 1929 Mariano Pajetta nasce a Serravalle da Paolo e Vincenza Borniotto. Comanducci, Dizionario illustrato dei pittori e incisori italiani moderni. Ad vocem. 1971 Milano.1929 e ss. 1972 Espone a Venezia Acrobati e Effetti del gioco. Dizionario enciclopedico Bolaffi dei pittori e degli incisori italiani dall'XI al XX secolo. 1883 Ad vocem. Milano, G.Bolaffi editore, 1972-79. Espone alla Promotrice fiorentina Al Pascolo. 1997 Espone a Roma All’abbeveratoio e In posa Pittori e pittura dell'Ottocento italiano. Novara, IGDA,1997-1999.v.2,p.110. Espone a Monaco di Baviera. 1986 Espone a Gorizia Praesentiert. La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento. A cura di Pierpaolo 1884 Brugnoli. Verona, Banca Popolare di Verona, 1986, p. 249. Espone a Torino Stalla con animali e Et nunc et sempe. 1885 La società Promotrice di Belle arti di Torino acquista Nella Stalla al prezzo di Lire 426,79. 1887 Si trasferisce a Genova dopo aver sposato Caterina Ballestrini. 1890 Inizia la collaborazione con lo Studio Marzio Moro di Monfalcone che realizza fondi per la fotografia. Nasce il figlio Mario Paolo 1906 Si trasferisce a Venezia dove il figlio Mario Paolo frequenta il Regio Istituto d’Arte e l’Accademia. 1913 Si trasferisce a Verona in una bella casa sulla scalinata del Teatro Romano. 1923 Mariano Pajetta muore a Verona.

A sinistra: Foto d'epoca di Mariano Pajetta

Alla pagina seguente: Mario Paolo Pajetta, Natura morta con colomba (particolare)

137 138 Mario Paolo Pajetta 1890 - 1977

139

Francesca Costaperaria Mario Paolo Pajetta, la pittura veronese fra Ottocento e Novecento

Dalle poche informazioni in nostro possesso sulla vita e Paolo nacque nel 1890, a Venezia, per permettergli di sull’attività di Mario Paolo Pajetta1 è possibile ricostrui- frequentare delle scuole adeguate. Qui infatti egli seguì re solo a grandi linee il profilo personale e professionale i corsi di disegno presso il Regio Istituto d’Arte e stu- di questo artista2. Ne emerge comunque l’immagine diò all’Accademia di Belle Arti, dove fu allievo di Luigi di un pittore certo più modesto dello zio Pietro e del Nono4. cugino Guido, forse anche del nonno Paolo e del padre Egli ha poi continuato a coltivare questa passione per Mariano, ma sicuramente animato da altrettanta pas- tutta la vita, facendone il suo mestiere, con convinzione e sione per l’arte3. coerenza, dignitosamente, ma non senza fatica e difficol- Passione che egli manifestò fin da piccolo, tanto che la tà. Difficoltà economiche, quando all’inizio, per necessi- sua famiglia decise di trasferirsi da Genova, dove Mario tà, si adattava a pitturare insegne, oltre che a fare anche altri lavori. E difficoltà di apprezzamento da parte della Fig. 1 - Mario Paolo Pajetta, Autoritratto, 1914 (particolare) critica, quando, ad esempio, nell’aprile del 1933 la giuria d’accettazione della “Mostra Sindacale di Arte” presso la “Gran Guardia” a Verona rifiutò un suo quadro, un Nudo forse ritenuto “troppo nudo” (cosa che suscitò anche delle polemiche); egli quindi chiese, orgogliosamente, di poterlo esporre nella vetrina “del negozio di musica Benazzoli in Via Mazzini” perché il pubblico stesso, invi- tato tramite una lettera pubblicata sul giornale “Corriere Padano”, giudicasse direttamente la sua opera, da lui (e non solo) ritenuta invece meritevole5. Si era infatti stabilito a Verona, dopo essere stato per qualche tempo a Torino, dove si cimentò anche come attore cinematografico, ed a Milano, città in cui condi- vise alcune esperienze artistiche con il cugino Guido6. Verso Guido7, che certo più di lui aveva conosciuto e compreso l’evoluzione della pittura contemporanea,

141 e forse anche verso gli altri artisti della sua famiglia, Mario Paolo provò sempre quasi un senso di inferiorità, che fu probabilmente il motivo per cui scelse di firmarsi “Payeta” e non Pajetta, come loro. La prima “apparizione pubblica” di Mario Paolo sembra risalire al novembre 1928, quando espose nella vetrina del negozio “Boldrini”, in Corso di Porta Corsari, dei dipinti che vennero felicemente definiti, da un giornalista del “Gazzettino”8, “colorite e gustose impressioni di paesaggi veronesi e del Garda”. E’ que- sto infatti, da subito e per sempre, il soggetto preferito dall’artista: le vedute di Verona e del Garda, delle quali l’artista non offre un’immagine precisa, ma “solo” delle “impressioni”, cioè la sua “ispirata” interpreta- zione di quel paesaggio a lui tanto caro, che egli “sa cogliere in tutte le sfumature più intime”. La sua prima vera mostra personale, però, Mario Paolo Pajetta la tenne nel 1933, in una saletta di Corso Crispi, dove espose 33 opere9: vedute (soprattutto di Verona10), ritratti (tra cui quello, molto apprezzato, del Duce), nature morte, ceramiche verniciate. In questa occasione il pittore venne descritto come un “artista in continua ricerca di una sempre più elevata forma d’arte” e la mostra, “onesta e sana e cordiale”, riscosse il consenso del pubblico. L’artista partecipò poi spesso alla “Mostra della Società di Belle Arti” di Verona: nel 1936 con l’opera Vecchia San Zeno11, nel 1937 con Santa Lucia12, nel 1938 con San Vigilio13. Nel 193714 e nel 194215 prese parte alla “Mostra Sindacale d’Arte”, presentando soprattutto paesaggi. Espose anche alla Galleria d’Arte Moderna di Verona, nel 1938, con l’opera Campagnola16. Nel 1940, invece, un suo Autoritratto ed un ritratto della moglie, ora perduto, non vennero accettati alla Biennale di Venezia.

142 Collaborò, come disegnatore ed illustratore, a diver- venne riportato sul giornale “L’Avvenire d’Italia”19; si giornali, riviste e pubblicazioni varie: ad esem- nel 1935 fu un suo quadro ad apparire in una pagina pio, nel 1927 realizzò delle tavole fuori testo per la del giornale “L’Ambrosiano”20; nel 1940 realizzò una rivista “Verona e il Garda”17; nel marzo 1928 illu- copertina per la rivista “Verona e il Garda”21. strò il Numero Unico della stagione lirica al Teatro Alla fine degli anni ’30 Mario Paolo era quindi un arti- Filarmonico di Verona18; nel 1934 un suo disegno sta già molto conosciuto ed apprezzato nell’ambiente veronese, cosa confermata dal fatto che nel 1939, quando si ruppe un femore scontrandosi in biciclet- Fig. 2 - Mario Paolo Pajetta, Testa di vecchio,1913 ta con un altro ciclista (incidente in seguito al quale Fig. 3 - Mario Paolo Pajetta, Nudo di schiena, 1920 rimase claudicante), la notizia venne persino riportata

143 144 sul giornale22. Quando poi espose alla “Galleria della Società di Belle Arti” in via Emilei23, venne addirittura chiamato “notissimo pittore”. Nel 1946 vinse il premio “Castellarin”24; nello stesso anno partecipò alla “Mostra per il Premio Legnago”25 ed alla “Mostra del Paesaggio Gardesano”26. Non mancarono però mai le piccole delusioni: l’anno successivo, ad esempio, alla stessa “Mostra del Paesaggio Gardesano” di Riva del Garda il suo Meriggio estivo in Piazza delle Erbe venne rifiutato dalla giuria27. Un’altra ampia mostra personale di Mario Paolo Pajetta venne allestita nel giugno 194628 alla Galleria Scaligera del “Superpalazzo” o palazzo del “Supercinema” di via Nuova a Verona29. Anche in questa occasione le opere dell’artista, definito “pittore di chiara notorietà e di indiscutibile valore” e “una delle migliori tavolozze veronesi”, ottennero consenso di pubblico e critica. Dotato di una tecnica sicura e di una ricca tavolozza, egli infatti riuscì a liberarsi dalla comune impostazio- ne “accademica”, particolarmente evidente in alcuni suoi disegni iniziali, per sviluppare nel tempo uno stile più personale. Artista non improvvisato, quindi, ma giunto alla sua maturità attraverso un lungo e paziente sione; e quindi anche moderno, perché aggiornato lavoro, con impegno e serietà. Spontaneo, comunque, alle nuove forme dell’arte, anche se forse in modo anche se inserito nella tradizione, ed in particolare in superficiale, e comunque adeguato al suo tempo, ma quella “di famiglia”30, ma perché sinceramente sentiva senza esserlo “artificiosamente”, senza cioè sforzarsi questa corrispondere meglio alla propria ispirazione. di seguire le mutevoli tendenze della moda e senza Il suo modo di percepire, di vedere e di dipingere, lasciarsi fuorviare dalla mania del “nuovo ad ogni infatti, lo avvicinava al gusto ed alla tecnica dell’Ot- costo” e dal pericolo di facili imitazioni. Rimanendo, tocento piuttosto che alle correnti contemporanee. cioè, sempre coerente e fedele a se stesso, con digni- Tradizionalista, pertanto, ma in continua progres- tà. Questa è infatti, oltre certo ma forse più ancora del valore artistico, la sua qualità maggiore, che gli viene frequentemente riconosciuta. Fedele, quindi, Fig. 6 - Mario Paolo Pajetta, Scorcio dell’Arena di Verona alla propria indole, al proprio stile ed anche al sog- Fig. 7 - Mario Paolo Pajetta, Manifesto per il Teatro Filarmonico a Verona getto dei sui dipinti: oltre ai ritratti, infatti, nei quali

145 limento della vista, che si sommava all’artrosi di cui aveva da sempre sofferto, egli fu costretto a ridurre la propria produzione, ma continuò comunque a dipingere fino al 1977, quando morì nella sua amata Verona33. A noi che non lo abbiamo conosciuto direttamente piace immaginarlo così, come lo ha descritto uno dei tanti, per noi anonimi, giornalisti che hanno affettuo- samente parlato di lui: con “un largo sorriso che gli illumina il volto scabro, dove ardono gli occhi”34.

Note 1 Ringrazio vivamente il dott. Giorgio Marini, l’architetto Giorgio Pajetta ed il Sig. Ruggero Scolari per avermi gentilmente fornito infor- mazioni utili alla stesura di questo breve profilo biografico dell’artista. 2 Si confronti anche la biografia di Mario Paolo Pajetta curata da Giorgio Marini in: PierPaolo Brugnoli (a cura di), La pittura a Verona dal primo Ottocento a metà Novecento, volume II, Verona: Banca Popolare di Verona, 1986, pp. 390-392. 3 Le informazioni che qui riportiamo sono tratte per la maggior parte da articoli apparsi sui giornali (soprattutto “Il Gazzettino”, “L’Arena”, Fig. 5 - Mario Paolo Pajetta, Natura morta con pernice “Corriere Padano” e “L’Ambrosiano”, talvolta anche “La Gazzetta di Venezia”, “Il Secolo”, “Nuovo Adige”, “Verona Libera”, “Corriere del mat- comunque si dimostrò particolarmente dotato e che tino” e “Tempo nuovo”), ritagliati e conservati dall’artista stesso, quasi sempre però senza mantenerne o riportarne la data precisa. lo fecero molto apprezzare dalla borghesia veronese, 4 Nel 1908 partecipò, con gli altri giovani studenti di Belle Arti, alla ed alle nature morte, sempre garbate e piacevoli, egli “Mostra di Bozzetti” presso lo Stabilimento dei Bagni del Lido di si dedicò costantemente al paesaggio, e soprattutto a Venezia, esponendo Canale di Venezia, acquistato dalla Signora Ratner quello veronese, con gli angoli pittoreschi della città e di Pietroburgo, ed un Ventaglio, acquistato dalla Contessa Foscari, come registrano alcuni giornali di allora (“Gazzettino” e “Gazzetta di Venezia”, le vedute dell’Adige, della campagna, del Garda. 1908). Artista coerente, sensibile e sicuro, quindi, oltre che 5 “Corriere Padano”, aprile 1933. personaggio quasi eccentrico, frequentatore assiduo 6 Nel 1922, ad esempio, entrambi parteciparono al “Concorso Fumagalli” del “Caffè Dante” di Verona e vivace animatore della dell’Accademia di Brera, dove Mario Paolo espose un ritratto (“Il vita culturale cittadina (venne anche definito “figu- Secolo”, 1922). 7 Citiamo a questo proposito un breve passo di una lettera datata ra tipica, inconfondibile dell’ambiente scaligero”31), “Verona, 23 dicembre 1966” che Mario Paolo scrisse al cugino Guido: 32 Mario Paolo Pajetta rimase attivo fino agli anni ’60 . “Caro Guido, finalmente posso oggi scriverti ed offrirti le mie sincerissime In seguito, anche a causa di un progressivo indebo- congratulazioni. O (sic) letto nel “Corriere della sera” del ’20 scorso la

146 recensione sulla tua mostra. Non da oggi il nostro maggior critico d’arte 27 Ricaviamo questa informazione da una note dell’artista stesso. riconosce i tuoi meriti. Ricordo un’altra recensione di anni or sono ugual- 28 “Il Gazzettino”, “Corriere del mattino”, “Nuovo Adige” e “Verona mente felice. Bene: di due almeno uno che riesca a sfondare, e si faccia libera”, 1946. onore. Poi che si avvicina il Natale, in omaggio alla tradizione, ti faccio i 29 Vengono ricordati: Paesaggio di Borgo Trento, Porta e Chiesa di San miei auguri. (…) Ti saluto Guido, affettuosamente Mario Paolo”. Giorgio, Primavera a Quinzano, Strada di Avesa, Sera a San Giovanni in 8 “Il Gazzettino”, novembre 1928. Valle, Carro, Studio di alberi, Le rovine del ponte scaligero, Cavalli, Pollo 9 “Il Gazzettino”, “Corriere Padano” e “L’Arena”, 1933. spennato, Autoritratto. 10 Vengono ricordati: I portici di via Sottoriva, Chiostro del Duomo, 30 Rientra nella “tradizione di famiglia” anche la sua attività di affreschi- Stradicciola sulla collina, Basilica di San Fermo, Mattino sull’Adige, sta, testimoniata dall’esistenza di alcuni “cartoni” da lui realizzati, dei Campanile della Trinità, Collina veronese, Ponte della Pietra, San Zeno in quali però purtroppo non conosciamo la destinazione. Monte, Piazzetta della Maternità. 31 Jole Simeoni Zanollo, Cronache d’arte, in “Vita Veronese”, n. 11-12 11 “L’Arena”, 1936. (novembre-dicembre 1957), p. 517. 12 “Corriere Padano”, 1937. 32 Viene più volte citato in questi anni nella rubrica Cronache d’arte, 13 “Il Gazzettino”, 1938. curata da Jole Simeoni Zanollo, della rivista “Vita Veronese”: nel n. 14 “Il Gazzettino”, 1937. Tra gli altri, vi espose Vicolo San Clemente ed 11-12 del novembre-dicembre 1957, a pp. 517-518; nel n. 11-12 del Acqua stagnante. novembre-dicembre 1959, a p. 478; nel n. XIX del novembre-dicembre 15 “L’Ambrosiano”, 1942. 1966, a p. 508. 16 Non viene annotato il nome del giornale da cui è stato tratto l’articolo 33 Poco dopo la sua morte, Vittorio Di Colbertaldo scrive un breve che riporta questa informazione. Ricordo di Mario Paolo Pajetta nella rivista “Vita Veronese”, anno XXX 17 “Verona e il Garda”, ottobre 1927: L’interrato dell’acqua morta a Verona. - n. 9-10 (settembre-ottobre 1977), a p. 273. 18 “L’Arena”, marzo 1928: “In bella e signorile veste è stato lanciato ieri a 34 “Il Gazzettino”, 1933. migliaia di copie, ed ha subito incontrato il favore del pubblico, il “Numero Unico” della stagione lirica del Filarmonico. L’elegante opuscolo, che ha avuto a compilatore Paolo Paganini e che è stato edito da “Il domani d’Italia”, reca fuori testo un lodevole lavoro del pittore M. P. Payeta, raf- figurante il maestro Bottagisio e nitidi clichés dei principali protagonisti di “Francesca” e della “Bisbetica”, nonché degli esponenti della importante stagione. Ha inoltre uno studio particolare del Pomello sui grandi musicisti veronesi del secolo decimonono”. 19 “L’Avvenire d’Italia”, 1934: si tratta di un disegno, senza titolo, in cui è raffigurata una croce su di una collina. 20 “L’Ambrosiano”, 1935: Via Sottoriva. 21 “Verona e il Garda”, luglio 1940. 22 Non viene annotato il nome del giornale da cui è stato tratto l’articolo che riporta questa informazione. 23 Non conosciamo la data di questa mostra ma sappiamo che vi espo- se, oltre a molte riproduzioni fotografiche di ritratti di professionisti e personalità veronesi, il proprio Autoritratto del 1940 e numerose vedute, tra cui: San Giorgio controluce, Verso Avesa, Verona, Antico traghetto a Parona, Quinzano, In riva al Lago, Il Garda a Pacengo, Sul Garda. 24 “L’Arena”, 1946. 25 “L’Arena”, agosto 1946. Alla pagina seguente: 26 “Tempo nuovo”, settembre 1946. Mario Paolo Pajetta, Autoritratto, 1940 (particolare)

147 148 Le opere 6. Autoritratto, 1914 7. Ritratto della madre, 1920 c. olio su tavola olio su tela 60 x 60 cm 51 x 43 cm Verona, Verona, Galleria d’Arte Moderna Galleria d’Arte Moderna

150 151 4. Natura morta con pesce, 1946 olio su tela 32 x 46 cm Verona, Collezione Scolari

152 5. Natura morta con colombo, 1958 olio su tavola 38 x 48cm Verona, Collezione Scolari

153 1. Natura morta 2. Autoritratto, 1940 con autoritratto, 1940 olio su tavola olio su tela 80 x 65 cm 70 x 56 cm Verona, Verona, Collezione Scolari Collezione Scolari

154 155 3. Natura morta con lume, 1949 olio su tela 57 x 70 cm Verona, Collezione Scolari

156 157 8. Ritratto della Signora Crivellini olio su tavola 62 x 52 cm Verona, Collezione Crivellini

158 9. Ritratto del nonno Crivellin 1959 olio su tavola 65 x 50 cm Verona, Collezione Crivellini

159 12. Borgo sulle colline, 1972 13. Vaso di rose olio su tavola olio su tavola 30 x 40 cm 60 x 40.cm Verona, Verona, Collezione Gioco Collezione Gioco

160 161 162 Note Biografiche Bibliografia

1890 1957 Mario Paolo Pajetta nasce a Genova da Mariano e Caterina Ballestrini J. Simeoni Zanollo, Cronache d’arte, in “Vita Veronese”, n. 11-12 (novembre- 1906 dicembre 1957), pp. 517-518 Si trasferisce a Venezia dove inizia il corso di disegno presso il Regio 1959 Istituto d’Arte. J. Simeoni Zanollo, Cronache d’arte, in “Vita Veronese”, n. 11-12 (novembre- dicembre 1959), p. 478 1908 1966 Si iscrive all’Accademia di Belle Arti di Venezia, allievo di Luigi Nono. J. Simeoni Zanollo, Cronache d’arte, in “Vita Veronese”, anno XIX (novembre- 1911 dicembre 1966), p. 508 Si diploma al’Accademia di Belle Arti di Venezia. 1977 Da questo momento firmerà le suo opere M.P. Payeta V. Di Colbertaldo, Ricordo di Mario Paolo Pajetta, in “Vita Veronese”, anno XXX 1913 - n. 9-10 (settembre-ottobre 1977), p. 273 Si stabilisce a Verona, dopo essere stato per qualche tempo a Torino 1986 (dove intraprende una breve carriera di attore) ed a Milano. G. Marini, Mario Paolo Pajetta, in P. Brugnoli (a cura di), La pittura a Verona 1927 dal primo Ottocento a metà Novecento, vol. II, Verona: Banca Popolare di Verona, Collabora con la rivista Verona e il Garda. 1986, pp. 390-392. 1928 Espone nella vetrina del negozio “Boldrini”, in Corso di Porta Corsari, a Verona. Inizia la collaborazione col Teatro Filarmonico di Verona, realizzando i cartelloni dela Stagione Lirica e i ibretti d’opera. 1933 Mostra personale a Verona in una saletta di Corso Crispi. 1934 Collabora con l’Avvenire d’Italia. 1935 Collabora con l’Ambrosiano. 1936, 1937, 1938 Espone alla Mostra di Società di Belle Arti a Verona. 1937, 1942 Espone alla Mostra Sindacale d’Arte di Verona. 1938 Espone alla Galleria d’Arte Moderna di Verona l’opera Campagnola. 1940 Un suo Autoritratto ed un Ritratto della moglie, ora perduto, vengono selezionati alla Biennale di Venezia e in seguito non esposti. 1946 Vince il premio “Castellarin”. Espone alla Mostra per il Premio Legnago e alla mostra del Paesaggio Gardesano Mostra personale alla Galleria Scaligera del “Superpalazzo”di Verona. 1960 - 1969 Partecipa attivamente alla vita culturale veronese frequentando il Caffè Dante luogo di ritrovo di pittori e letterati.

A sinistra: Mario Paolo Pajetta in una foto d’epoca

Alla pagina seguente: Guido Pajetta, Il pugilatore, 1971(particolare)

163 164 Guido Pajetta 1898 - 1987

165

Alberto Fiz Guido Pajetta, ovvero l’inquietudine della modernità

Datemi una maschera e vi dirò la verità. (Oscar Wilde)

Nell’ambito di una visione verticistica della storia del- Un’altra vittima di questo errato modo di porsi nei con- l’arte, le figure anomale o quelle che non hanno un’im- fronti della ricerca artistica è stato Guido Pajetta che ha mediata riconoscibilità, almeno in base ai canoni stilistici pagato a caro prezzo il suo progressivo allontanamento accettati, rischiano di essere isolate o, peggio ancora, di dal sistema dell’arte e la sua più volte proclamata presa essere relegate in soffitta andando ad allungare la schiera di distanza dai movimenti ufficiali e da ogni rigida for- dei comprimari. Per quanto riguarda il Novecento italia- mulazione stilistica. Già nel 1935, rispondendo al critico no, basti pensare, in ordine sparso, a Goliardo Padova, francese Henri Héraut, proclamava senza mezzi termini: Felice Carena, Luigi Spazzapan o agli stessi Pio Semeghini “Cerco di aprire tutte le porte che posso e commetto e Corrado Cagli solo di recente recuperati. infrazioni di ogni tipo. Sono dunque, se credete, un turbolento nello spirito”. (1) E sei anni dopo, in una sua Fig. 1 - Guido Pajetta, Autoritratto, 1935 (particolare) autopresentazione per la mostra alla galleria Grossetti di Milano, ribadiva ancora: “Sono un avventuriero e spero di continuare ad esserlo fino alla Fine. Ogni volta che io mi metterò davanti ad una tela comincerà sempre per me un’avventura ed io non potrò mai dire prima come questa andrà a finire. Perciò non ho mai avuto un pro- gramma” (2). Sono affermazioni che possono essere considerate come vere e proprie dichiarazioni di poetica da parte di un artista che aveva come unico programma quello di non avere programmi. O, meglio, di stare alla larga da tutte quelle esperienze che in qualche maniera potevano essere definite in base a rigidi schemi d’indagine. Lui, voluta- mente, sfugge a tutte le regole nella convinzione che la libertà della pittura rappresenti l’unica forma di salvezza. “La pittura è stata il suo mondo, null’altro è esistito al di fuori di essa”, ricordava in una recente intervista il figlio

167 tenso, Umberto Lilloni e Adriano Spilimbergo erano suoi compagni d’Accademia. Nonostante questo mio padre è sempre stato individualista e per questo non ha mai volu- to aderire a movimenti o gruppi. In fondo, lui si conside- rava più dotato dei suoi compagni di Accademia e questa sua sicurezza nasceva anche dall’orgoglio di provenire da una famiglia di pittori” (4), spiega il figlio Giorgio. A Milano, all’inizio degli anni Trenta, Pajetta era osser- vato con attenzione e le sue opere vengono presentate in due tra gli spazi più prestigiose per comprendere il nuovo corso dell’arte, la galleria del Milione e la galleria Milano. A Parigi intrattiene rapporti d’amicizia con i post impressionisti come Raoul Dufy che lo influenzerà e, negli anni Cinquanta a Londra, la galleria Roland, Browse & Delbanco lo presenta insieme a Amedeo Modigliani e successivamente in una personale con Henry Moore. Pajetta, insomma, non era una personalità di secondo piano e ad accorgersene sono stati in tanti tra intellet- tuali, critici, galleristi, poeti e gli stessi artisti (non solo Giorgio. “In casa, difficilmente avevamo occasione di Sironi, ma anche De Chirico, Carrà, e Fontana) che gli vedere mio padre. Lui si chiudeva nel suo studio e usciva hanno dimostrato stima. solo di rado. In fondo, la sua vita è sempre stata mediata Nonostante questo, all’inizio degli anni Ottanta, Pajetta dalla pittura” (3). era per molti un Carneade qualsiasi, in gran parte scono- Pensare, tuttavia, a Pajetta come ad una monade è del sciuto se non agli studiosi dell’arte lombarda. tutto fuorviante . Già nel 1928, all’età di trent’anni, viene L’oblio è dovuto, in buona parte, al suo carattere e alla invitato alla Biennale di Venezia dove ritornerà nelle due forte depressione che ha caratterizzato la sua esistenza, edizioni successive. Particolarmente apprezzato da Mario oltre che ad un isolamento che lo ha lentamente condot- Sironi con cui lavora per qualche mese come frescante, to verso un rapporto quasi soffocante e claustrofobico Pajetta, nel 1929, rifiuta di partecipare alla seconda mo- con l’amico, mecenate e finanziatore Massimo Cassani, stra di “Novecento”, così come più tardi non entrerà a far proprietario della Galleria del Lauro di Milano che parte del gruppo dei chiaristi lombardi, nonostante la diventa, con poche eccezioni, l’unico luogo in cui espone stretta amicizia con Angelo Del Bon. “Mio padre e Del dal 1963 al 1982, anno della scomparsa di Cassani. Bon hanno diviso lo studio a Milano per molto tempo. Due decenni in cui la voce di Pajetta si fa sempre più Ma con tutti i chiaristi c’è stato un rapporto molto in- flebile senza che la situazione si modifichi in maniera

168 Fig. 2 - Guido Pajetta, Piazza veneta, 1922 Altamira come, a parer mio, lo sarebbe per il pittore di

Fig. 3 - Guido Pajetta, Carovana nella notte sul lago di Pusiano, 1925 oggi, se questi fosse capace di estraniarsi ed abbandonarsi all’istinto. Purtroppo un enorme bagaglio di cultura ci sostanziale nel 1974 quando la Galleria del Lauro pubbli- rende faticoso il cammino anziché alleviarlo, per cui oggi ca una monografia sulla sua produzione più recente che, il pittore si aggira in un labirinto di modi e di esperienze per volontà di Pajetta, esce senza l’intervento di alcun che non lasciano intravedere un prossimo traguardo critico. Ad introdurre l’opera è una sua breve nota in sicuro, una “Terra Promessa” (5). cui dichiara, con un filo d’ingenuità, la sua fede nell’atto Secondo Pajetta, insomma, un sistema soffocante, carat- primigenio della pittura, inteso come voce interiore che terizzato da troppe sovrastrutture, condiziona l’arte che s’impone al di là dei sistemi culturali. per ritrovare il suo centro avrebbe bisogno di fare tabula Pajetta si rifà alla tesi del compositore e musicista fran- rasa. cese Francis Poulenc per cui l’ispirazione è cosa talmente Si tratta di un punto di vista illusorio, almeno per l’epo- misteriosa che è molto meglio non tentare di spiegarla. ca in cui è stato scritto, che sarebbe stato condivisa dalle “Io”, scrive Pajetta, “condivido da sempre, per istinto, avanguardie del primo Novecento. questo atteggiamento verso la pittura. Lo fu per l’uomo La sua analisi, tuttavia, non è di tipo ideologico ma primitivo nelle testimonianze lasciateci nella grotta di riguarda la sempre maggior difficoltà di riconnettersi

169 un importante saggio di Mario De Micheli che allar- ga lo spettro di ricerca dando un nuovo impulso alla conoscenza dell’artista. “ Si ha l’impressione di un’ine- sauribile dote creativa che solo raramente avverte la stanchezza e si concede una pausa di puro piacere estetico (…). In ogni sua immagine si può rilevare sempre uno scatto, un brivido, una vibrazione e sem- pre un colore che erompe spontaneo, liquido e vivo, che si rapprende a tasselli, a chiazze, a zone, in orli slabbrati, o si distende largo e compatto ora puro, ora con impasti inediti e sofisticati” (6), scrive De Micheli in quella circostanza. Successivamente, è stato in particolare Enrico Crispolti a condurre una rigorosa analisi filologica che ha coin- ciso nel 2004 con l’importante retrospettiva al Serrone della Villa Reale di Monza Guido Pajetta fra primo e secondo Novecento. Così oggi questa mostra di Vittorio Veneto dedicata a i Pajetta, di cui Guido è l’ultimo erede di una dinastia di pittori che durava ininterrotta da quasi due secoli, diventa l’occasione per un ulteriore approfondimento di carattere tematico. Sebbene la scelta delle opere copra, sia pure a titolo esemplificativo, tutto l’iter di ricerca dell’artista par-

Fig. 4 - Guido Pajetta, Composizione metafisica, 1935 tendo dal Ritratto di signora del 1922, d’impronta ancora ottocentesca, per giungere ad una delle sue con un universo interiore nel vago inseguimento della ultime realizzazioni, il malinconico La donna dei gatti verità. dipinto nel 1986, ho voluto, insieme al figlio Giorgio, Ci sarebbero, comunque, voluti ancora molti anni evidenziare quella produzione maggiormente devian- prima che il lavoro dell’artista venisse analizzato senza te e per me più convincente da cui emerge, in maniera pregiudizi e solo dopo la sua scomparsa, avvenuta nel esplicita, l’aspetto disperatamente ironico, trasgressivo 1987, è iniziata un’attenta revisione critica a comin- e direi talvolta anarchico della sua indagine artistica ciare dalla mostra antologica, a cura di Raffaele De (7) sviluppata sempre a cavallo tra gli stili, utilizzati Grada, organizzata nel 1987 a Venezia per proseguire, come codici inquieti della modernità , come molecole sempre lo stesso anno, con la monografia che contiene di un unico corpo deformato.

170 Non c’è dubbio alcuno che Pajetta si rifaccia ad una scontata. Il suo modo di agire è prossimo alla sensibilità moltitudine di linguaggi e scovare i riferimenti è un’atti- contemporanea ed è caratterizzato da un’inquietudine tudine che ha impegnato molti critici. Da Mario Sironi costitutiva oltreché da una volontà precisa di non volersi (di cui è stato allievo) a Raoul Dufy; da Alberto Savinio a adeguare. Che è cosa molto diversa dall’essere inadegua- Nicolas De Stael, da Pablo Picasso a Henri Matisse, sono to. infinite le anime che albergano nella sua pittura e utiliz- Nella sua opera, si scorge una disillusione di fondo che zando come metro di giudizio il principio dell’origina- sconfina, a partire dagli anni Sessanta, con una visione lità, Pajetta potrebbe essere liquidato come un eclettico nichilista (non a caso Friedrich Nietzsche era, insieme a artigiano della pittura e poco più. Charles Baudelaire, l’autore più amato da Pajetta) che lo Ma non è così e per comprendere lo spirito profondo che porta a trasferire sulla tela suggestioni apparentemente caratterizza la sua indagine artistica sin dagli anni Trenta contraddittorie. può essere utile modificare la metodologia di approc- Lo stile diventa il significante, la scatola vuota che attende cio passando dalla visione verticale a quella orizzontale di essere riempito da un nuovo contenuto e non c’è alcu- nella consapevolezza che lo stile (anche se le sue opere na difficoltà ad assorbire strumenti linguistici differenti. appaiono perfettamente riconoscibili) per Pajetta non è E facendo riferimento ad un’opera come Composizione un assoluto ma una variabile da utilizzare a seconda della metafisica del 1935 esposta quello stesso alla Galerie Le funzionalità. Nel 1948, in occasione di una sua mostra Niveau di Parigi, Henri Héraut rimane impressionato personale a Parigi nella galleria Drount-David, Pajetta dalla capacità funambolica di Pajetta “che salta dal- risponde così ad una domanda del critico francese René l’astratto al concreto con una disinvoltura sconcertante. Guilly sul suo rapporto con lo stile: “Io ho fatto di tutto. Che mescola le epoche e i piani dello spazio nella stessa Ho studiato il cubismo e l’astrazione ma in questa ricerca tela con un’eleganza da prestigiatore”(9). non mi trovavo a mio agio. Io non sono un intellettuale, Questo ricerca continua del senso ultimo della pittura amo dipingere come sento. Così, adesso, mi lascio trasci- (quello che Pajetta definisce “istinto”) attraverso le alteri- nare dal mio istinto. Cerco di arrivare a una vera libertà tà fa pensare al concetto letterario di eteronimia così ben senza l’ausilio di qualsivoglia sistema. Amo il colore. Ho applicato da Fernando Pessoa: “Mi sento multiplo. Sono avuto un periodo “chiaro”, oggi, con l’intensità dei toni, come una stanza dagli innumerevoli specchi fantastici vorrei poter giungere al “nero”. Ma non guardi tutti que- che distorcono in riflessi un’unica interiore realtà che sti miei quadri, certamente farò molto meglio” (8). non è in nessuno ed è in tutti”, afferma lo scrittore porto- Fortemente autoironico, Pajetta smonta il giocattolo ghese che nella complessità della sua opera crea una serie della sua pittura tanto da consigliare al recensore di non di personaggi, ognuno riconoscibile per il proprio stile, guardare i suoi quadri in attesa di realizzazioni migliori. spesso in contrasto l’uno con l’altro. Lo sconcertante Pajetta con la sua indiavolata tavoloz- L’eteronimia, del resto, può portare con sé la sofferenza za ripiena di sorprendenti intemperanze, come lo ha e questa è una delle ragioni che lo conducono alle crisi definito Leonardo Borgese, utilizza una metodologia maniaco-depressive che hanno segnato il percorso della di progressivo scavalcamento tutt’altro che ingenua o vita di Pajetta.

171 Nel 1980, in quello che può essere considerato come il manifesto della transavanguardia, Achille Bonito Oliva scrive: “L’opera diventa una mappa del nomadismo, dello spostamento progressivo praticato fuori da ogni direzione precostituita da parte di artisti che sono ciechi vedenti, che ruotano la coda intorno al piacere di un’arte che non si reprime davanti a niente, nemmeno davanti alla storia” (10). Ebbene, Pajetta avrebbe potuto tranquillamente sotto- scrivere queste parole tenendo conto che la sua opera rompe la linea rettilinea e darwiniana della ricerca per innestare un elemento di rottura, sebbene non sempre filtrato dalla coscienza del presente. “Dopo Giotto e Paolo Uccello non c’è stato più niente Nella sua indagine, infatti, il soggetto diventa oggetto di di buono in Italia. Ciò che più mi tocca profondamente se stesso distinguendosi e distanziandosi dal sé e questo sono i mosaici bizantini di Ravenna e quelli di San Marco comporta un approccio volutamente trasversale, come a Venezia. Ma dirò anche che amo Goya e il Greco”, ha se i linguaggi dell’arte fossero considerati come assunti affermato Pajetta nel 1948. (11) da cui partire e non come tesi da dimostrare. Chiarismo Sin dagli anni Trenta, emerge il suo distacco dai valori e postimpressionismo prima, espressionismo e cubi- ideologici di un movimento consacrato come quello di smo poi, sono strumentali al suo agire e vengono uti- “Novecento”. lizzati come grammatica di un linguaggio sintattico che Così, in un’opera emblematica come Piazza Venezia del guarda altrove. 1934 che la galleria del Milione pubblica sulla copertina Allargando il discorso, si potrebbe dire che Pajetta ha del suo bollettino in occasione della personale dell’artista anticipato lo spirito che anima le correnti neopesressio- di due anni dopo, emerge un totale scollamento rispetto niste e in particolare la transavanguardia che sviluppano ai valori della propaganda classica. il principio paradigmatico del ritorno alla pittura in chia- Il ritrovo nostalgico degli antichi romani si risolve in un ve soggettiva ponendosi in antitesi alle ricerche analitiche assembramento di uomini scarsamente dotati fisicamen- e concettuali. te che portano la toga come fosse un asciugamano da Le esperienze artistiche giunte alla ribalta alla fine degli utilizzare dopo il bagno. L’aspetto derisorio dell’opera anni Settanta, mettono in discussione il concetto di non sfugge a qualche ossequioso esponente del fascio che nuovo in senso evoluzionistico seconda la teoria propria invoca la censura per quell’opera che ritrae “pseudo gio- delle avanguardie e l’arte che sfonda gli argini della storia vani antichi che hanno lasciato scivolare dalle loro spalle s’impone per il suo continuo andarivenire sul filo della non precisamente falcate, le toghe, mostrando con disin- memoria riportando d’attualità i maestri del passato. voltura, per non dire con evidente concupiscenza, certe

172 natiche di una ripugnante inverecondia” (12). La compo- Ma queste appaiono solo come le digressioni più ironi- nente formale dell’adesione alla linea monumentale della che e paradossali di una pittura che nel corso degli anni pittura di “Novecento” diventa in questo caso parodia. fa di questo progressivo elemento di distorsione lingui- Potrebbero, poi, ricordare lo spirito che anima talune stica, uno strumento destinato a rilevare le caratteristi- opere di Sandro Chia due dipinti sempre del 1934 che che grottesche, sardoniche e beffarde di un’indagine che dissacrano il mito come Il sogno pompeiano e Un viaggio va incontro ad un’instabilità ontologica dell’immagine a Citera. Nel primo caso viene raffigurato un pittore attraverso l’indeterminatezza dello stile e delle figure mollemente disteso sul triclivio indifferente rispetto fantasmatiche. al paesaggio che si trova dietro alle sue spalle con una A ben vedere, Pajetta tende a mettere in discussione damigella che gli viene incontro con delle vivande. le certezza e molto spesso l’opera prende una strada Nell’altra circostanza un pittore si porta sull’isola una differente rispetto a ciò che si potrebbe immaginare. modella seduta su una poltrona rossa (come non pen- Come accade in Natura morta in un interno del 1938 sare al De Chirico dei Mobili nella valle?) e un musico con quell’angelo in cartapesta insieme alla frutta o in un’opera che, come commenta, Crispolti “irride alle ne Il sentimento del tempo del 1949 dove in base ad pretese funzioni dell’artista nella società e alle pretese un ribaltamento narrativo il cesto di frutta in primo fuga dalla banalità quotidiana” (13). piano è il vero elemento vitalistico della rappresenta- zione, mentre la figura dietro al tavolo appare attonita e immobile. Fig. 5 - Guido Pajetta, Piazza Venezia, 1934

Fig. 6 - Guido Pajetta, Il sogno pompeiano, 1934

173 stilistica nella mancanza di coerenza tra forma e con- tenuto. “Abbiamo tolto di mezzo il mondo vero: quale mondo ci è rimasto? Forse quello apparente? Ma no! Col mondo vero abbiamo eliminato anche quello apparente”, scrive il filosofo tedesco, forse, in assoluto, la figura che più in profondità ha influenzato Pajetta che si rifugia nella pittura ben conscio che rappresenti il solo modo per filtrare la vita senza per questo illu- dersi di giungere alla verità. Il colore è per lui il contenuto (ma anche il travesti- mento) di quella forma che non può rimanere isolata e a proposito di un’opera particolarmente significativa come Amleto del 1978 Crispolti scrive: “Pajetta racconta la storia (forse in chiave autobiografica) di un miste- rioso e vecchio artista – Amleto – che, nell’incapacità di affrontare il dolore, assume la pittura come ultimo strumento per dialogare con i propri fantasmi”. (14)

Fig. 7 - Guido Pajetta, Natura morta in un interno, 1938

Fig. 8- Guido Pajetta, Il sentimento del tempo, 1949

Ma è la maschera, tema ricorrente almeno a partire dall’inizio degli anni Cinquanta, a decretare ufficial- mente la presenza sempre latente nella sua opera di un universo sfuggevole e precario, ambiguo e misterioso che sfugge alla conoscenza. La disillusione di Pajetta passa attraverso l’assunto di Arthur Schopenhauer per cui verità e vita, essere e apparire non possono coesistere in quanto se la verità della vita dell’individuo è nel suo essere strumento della conservazione della specie, l’individuo per vivere indossa la maschera del proprio io fuoriuscendo dalla verità della propria vita. A sviluppare questo concetto è Friedrich Nietzsche che identifica la decadenza come assenza di unità

174 Ad anticipare la maschera è lo specchio distorcente e ambiguo che già negli anni Trenta diventa vero e proprio attore della rappresentazione in grado di rendere possi- bile il processo metamorfico come appare evidente ne La vetrina del parrucchiere, una delle più felici testimonianze del cosiddetto periodo surrealista dove il manichino sul cassettone azzurro tende a prendere vita trasformandosi in figura femminile riflettendosi nello specchio. In tal modo tutto subisce un profondo cambiamento creando un cortocircuito visivo tra soggetto e oggetto. Lo spec- chio, poi, consente uno sdoppiamento di personalità come avviene per La realtà e la memoria del 1958 o di un’altra opera dell’anno successivo La modella e il suo ritratto . Accanto allo specchio che Pajetta considererà un prezio- so compagno di strada, si va ad aggiungere l’uso sempre più frequente della maschera in chiave grottesca e para- dossale. In questo caso appare evidente l’accostamento con James Ensor che viene citato marginalmente dalla critica ingle- se nel 1955 in occasione della seconda mostra nella sede della galleria Roland, Browse & Delbanco di Londra. Se Crispolti e De Micheli accennano alla relazione con George Grosz (“Senza avere i veleni di Grosz c’è qualcosa di grosziano in queste immagini che adesso invadono le sue tele” (15), afferma De Micheli riferendosi alle tele degli anni Sessanta) il maestro fiammingo rimane in ombra. Eppure, a mio avviso, le relazioni a livello metodologico sono tante dal momento che per entram- bi gli artisti la maschera da attributo diventa sostanza dell’individuo in una relazione sempre più stretta con l’inconscio.

Fig. 9 - Guido Pajetta, Amleto, 1978

Fig. 10- Guido Pajetta, La modella e il suo ritratto, 1959

175 Basti pensare a due opere emblematiche dipinte da Pajetta come La carrozza con i clowns del 1957 e La car- rozza con le maschere del 1963 in cui lo spettatore si trova proiettato in un universo visionario e profondamente drammatico dove le maschere sembrano andare verso la morte, in un’immagine che ricorda addirittura i carri che nel Seicento accoglievano i malati di peste. “La carrozza con i clowns, la più memorabile delle tele ossessionanti di Pajetta”, scrive il critico inglese Max Wykes-Joyce quando l’opera verrà esposta nel 1963 alla galleria Roland, Browse & Delbanco, “ci offre un cocchio fiabesco stipato di clowns tristi che va al galoppo attra- verso il crepuscolo italiano, diretto forse a un carnevale,

forse a un’esecuzione pubblica ove uno dei passeggeri, Fig. 11 - Guido Pajetta, La confidenza, 1984 ignaro, è la vittima designata” (16). Fig. 12 - Guido Pajetta, La carrozza con i clowns, 1957 Sebbene non ci sia nulla di fiabesco in quell’opera e il crepuscolo italiano sia una pura proiezione del recenso- re, è vero che ci troviamo di fronte ad un viaggio verso l’al di là dove la perdita d’identità appare senza ritorno. La maschera è il volto. Ma quante maschere compaiono nelle opere realizzate da Pajetta negli ultimi trent’anni della sua produzione come se fossero gli unici soggetti rappresentabili in un lento dissolversi dell’immagine che si perde nel gran teatro dell’assurdo che l’artista ha messo in scena per tutta la vita. In opere come La vedova del 1960 o Il burattinaio del 1975 il soggetto e l’oggetto si assomigliano morfo- logicamente come se fosse la figura ad accogliere la fisionomia della maschera in una sorta di clonazione. E a renderlo esplicito sono proprio i dipinti finali quali La confidenza del 1984 dove s’inscena un dialogo tra due maschere davanti ad una finestra coperta di blu con la chiara sensazione che le tende del palcoscenico

176 stiano per chiudersi con la rappresentazione dell’ultima Note: parodia. (1) Guido Pajetta, Sud, Parigi, luglio-agosto 1935 in Enrico Crispolti, Come scrive il filosofo tedesco Ludwig Klages “il volto Guido Pajetta. Attraverso e oltre il “Novecento”, Centro Diffusione Arte, Milano, 2003, p. 28. atrofizzato appare nel segno della maschera, della cari- (2) Guido Pajetta, Pajetta 41, Galleria Grossetti, Milano, novembre 1941 catura, della chimera, cioè di un essere impuro, ibrido, in Enrico Crispolti, ibid, p. 50. ambivalente, in cui la circolarità dinamica e vitale fra (3) Alberto Fiz, dialogo con Giorgio Pajetta, Pajetta, il pittore dell’inconscio identità e differenza si raggela in un’enigmatica confu- in Il volto e la maschera (a cura di Alberto Fiz), Tonelli Galleria d’Arte Moderna, ottobre-novembre 2002, p. 8. sione del volto”. (4) Alberto Fiz, dialogo con Giorgio Pajetta, ibid., p. 10. In chiave postmoderna, si potrebbe dire che il nesso (5) Guido Pajetta, Pajetta, Edizioni Galleria del Lauro, Milano, 1974 in tra profondità e superficie si è svuotato e la maschera Enrico Crispolti, op. cit., p. 118. diventa il punto estremo di un’oscillazione ambigua e (6) Mario De Micheli, Il fascino di un’esperienza pittorica in Guido Pajetta, irriverente che caratterizza la vera essenza dell’indagine Giorgio Mondadori & Associati, Milano, 1987, p. 35. (7) A questo proposito si veda anche Marco Lorandi, Ironia, sarcasmo pittorica di Pajetta. ed erotismo nella pittura di Guido Pajetta, galleria Antologia, Monza, L’uomo è come appare solo perché non appare com’è. 1992. Tutto ciò passa, sin dagli anni Trenta, anche attraverso (8) Guido Pajetta, Le Combat, 1948 in Mario De Micheli, op. cit., p. 29. l’insistenza sul suo volto. Sono tanti gli autoritratti di (9) Henri Héraut, Sud, Parigi, luglio-agosto 1935 in Enrico Crispolti, op. cit., p. 28. Pajetta realizzati durante tutta il suo percorso artistico, (10) Achille Bonito Oliva, La Transavanguardia italiana, Giancarlo Politi dal primo del 1935 sino all’ultimo del 1980 per non Editore, Milano, 1980. parlare delle infinite immagini autobiografiche celate (11) Guido Pajetta, Le Combat, 1948 in Mario De Micheli, op. cit., p. 29-30. i nei suoi quadri. Si tratta di un modo per scansire il (12) L’Arcere, Lettera aperta all’illustrissimo prefetto in Milano, Cronaca tempo della sua pittura (non tanto il tempo fisico) dove Prealpina, Varese, 18 marzo 1936 in Enrico Crispolti, op. cit., p.24. (13) Enrico Crispolti, ibid., p.36. l’artista, come i suoi personaggi, recita a soggetto e il (14) Enrico Crispolti, ibid., p.106. suo volto traccia la Via Lattea della sua indagine. Con (15) Mario De Micheli, op. cit., p.30. continue simulazioni e mascherate autoironiche come (16) Max Wykes-Joyce, Dunstan and Pajetta in “The Arts Review”, Londra, nel caso di Autoritratto con tavolozza dove l’artista si 23 febbraio 1963 in Enrico Crispolti, op. cit., p.76. raffigura accanto a Pulcinella o nell’Autoritratto del 1963 dove emblematicamente Pajetta, con uno stra- no cappello in testa e il particolare di uno strumento musicale dietro la schiena, si traveste della sua pittura sperimentando quella sintesi assoluta tra colore e forma che ha inseguito tutta la vita, con esiti alterni, in nome di quell’alchimia che, a seconda dei casi, ha chiamato ispirazione o istinto. Pajetta, insomma, “il turbolento nello spirito” solo oggi Alla pagina seguente: rischia di essere davvero compreso. Guido Pajetta, Autoritratto, 1964 (particolare)

177 178 Le opere 1. Ritratto di signora, 1922 olio su tela 124 x 80 Milano, Collezione privata

180 2. Vele in laguna, 1922 c. olio su tela 45 x 59 cm Brescia, Collezione Mazzolini

181 3. Il viaggio nel mito, 1930 olio su tela 115 x 69 Milano, Collezione privata

182 4. La riva degli Schiavoni, 1931 olio su tela 80 x 65 cm Brescia, Collezione privata

183 5. Il mercante di robivecchi, 1932 olio su tela /0 x 100 cm Milano, Fonfazione Panizzutti

184 185 6. Autoritratto, 195 olio su tela 100 x 70 cm Milano, Fondazione Panizzutti

7. Ritratto di Lucio Fontana, 1935 olio su tatela 85 x 65 cm Milano, Collezione privata

186 187 8. Nudi su divano, 1935 9. La vetrina del parrucchiere, 1935 60 x 80 cm 80 x 65cm olio su tela olio su tela Brescia, Brescia, Collezione privata Collezione privata

188 189 10. La caccia al Bois de Boulogne, 1937 olio su tela 55 x 99 cm Brescia, Collezione privata

190 191 11. Ritratto di Mariù, 1937 olio su tela 60 x 50 cm Piacenza, Collezione privata

192 12. Autoritratto con turbante e gatto nero, 1940 olio su tela 74 x 55 cm Piacenza, Collezione privata

193 13. Figura con maschera, 1947 olio su tela 73 x 55 cm Milano, Fondazione Panizzutti

14. In attesa della recita, 1951 olio su tatela 116 x 88 Brescia, Collezione privata

194 195 15. La vedova, 1960 olio su tatela 100 x 90 cm Brescia, Collezione privata

196 16. Guanti neri e sigaretta, 1959 olio su tatela 100 x 80 cm Milano, Collezione privata

197 198 199 alla pagina precedente: 17. La carrozza delle maschere, 1963 18. Autoritratto, 1963 olio su tela olio su tela 80 x 160 cm 100 x 80 cm Milano, Milano, Collezione privata Collezione privata

200 201 19. Autoritratto, 1964 olio su tela 50 x 40 cm Milano, Collezione privata

202 20. La caduta delle maschere, 1962 olio su tela 90 x 100 cm Milano, Collezione privata

203 21. Il sonno: l’incubo 22. La donna e il lupo o cauchemar, 1966 acrilico su tela acrilico su tela 80 x 60 cm 60 x 100 cm Brescia, Brescia, Collezione privata Collezione privata

204 205 23, Il pugilatore, 1971 24. Il Generale, 1969 acrilico su tela acrilico su tela 60 x 120 cm 100 x 80 cm Brescia, Brescia, Collezione privata Collezione privata

206 207 25. Donna seduta, 1972 acrilico su tela 100 x 70 cm Milano, Fondazione Panizzutti

208 209 26. Onaggio a Dalì, 1978 27. Il burattinaio, 1975 acrilico su tela acrilico su tela 80 x 60 cm 90 x 80 cm Milano, Milano, Collezione Martini Fondazione Panizzutti

210 211 212 213 alla pagina precedente: 30. La donna dei gatti, 1986 28. Nudo con maschere, 1982 acrilico su tela acrilico su tela 100 x 70 cm 80 x 160 cm Brescia, Milano, Collezione privata Collezione privata

29. Il maiale, 1980 acrilico su tela 70 x 100 cm Milano, Collezione privata

214 215 216 Note biografiche

1898 1929 - 8 febbraio. Guido Pajetta nasce a Monza. Il padre Augusto, farmacista, - Viene invitato alla Seconda Mostra di Novecento Italiano, ma unitamen- era originario di Vittorio Veneto. Il nonno Paolo (1809-1879) e gli zii te ad altri artisti, tra cui l’amico Bucci e Dudreville, rinuncia a esporre i Pietro (1845-1911) e Mariano (1851-1923) erano affermati pittori veneti propri dipinti. di tradizione naturalistica ottocentesca. Con Anselmo Bucci manterrà da allora un rapporto di amicizia e di stima 1915 che diverrà più profondo negli ultimi anni di solitudine del più anziano - Si iscrive al primo “corso artistico di pittura” della Regia Accademia amico. di Belle Ari di Brera a Milano (n. 41), corso tenuto dal pittore Cesare 1930 Tallone. Insieme a Pajetta si iscrivono altri giovani allievi che in seguito - Espone alla XVII Biennale di Venezia. diventeranno artisti affermati: Contardo Barbieri (n. 123), Angelo Del - Mostra d’Arte Italiana, Barcellona. Bon (n. 76), Virginio Ghiringhelli (n. 70), Arnaldo Carpanetti, Umberto 1931 Lilloni (n. 114). - Partecipa alla Prima Quadriennale d’Arte Nazionale a Roma. 1917 1932 - 26 febbraio. Dopo avere ricevuto il primo premio al secondo “corso - Espone in modo più consistente alla XVIII Biennale di Venezia. artistico di pittura” si arruola volontario nel corpo degli Arditi. - Inizia una breve collaborazione con Mario Sironi per la stesura degli - Nella ritirata di Caporetto contrae una grave malattia polmonare e inte- affreschi di Palazzo dell’Arte in occasione della XV Triennale di Milano stinale che lo costringe per alcuni mesi in un ospedale militare. del 1933. Insieme a lui lavorano Arnaldo Carpanetti, Giuseppe Valerio 1919 (suoi compagni d’Accademia), Vittorio Strada, Giulio Masseroni e cer- - Alla fine dell’anno, ancora in servizio militare, riprende l’Accademia tamente altri artisti. sotto la docenza di Ambrogio Alciati, che sostituisce Cesare Tallone ap- - Partecipa alla III Mostra d’Arte del Sindacato Lombardo (Biennale di pena deceduto. Brera) 1920 1933 - Nel febbraio si iscrive al corso di nudo sempre insieme ai giovani com- - Prima mostra personale alla Galleria Milano a Milano, presentata da pagni d’Accademia. Gian Capo. - In questi anni Pajetta frequenta anche alcuni allievi di altri corsi di pit- Dei lavori di Pajetta parla Carlo Carrà su “L’Ambrosiano”, diventando tura (Cristoforo De Amicis, Francesco De Rocchi, Giuseppe Novello, Iras da questo momento un attento osservatore dell’evoluzione artistica del Baldessari ecc., iscritti al primo corso nel 1920), di scultura (Fausto Melot- pittore. ti e Arturo Carrera) e di architettura (Pietro Lingeri, Bruno Fontana). - Partecipa alla Prima Mostra del Sindacato Nazionale Belle Arti a Firenze, - Nello stesso anno si congeda dal servizio militare. con un dipinto pubblicato in catalogo dal titolo Bonifica. 1922 - Partecipa alla IV Mostra del Sindacato Regionale Fascista delle Belle Arti - Termina gli studi all’Accademia di Brera con menzione onorevole. di Lombardia, a Milano. 1925 1934 - Partecipa all’Esposizione d’Arte Nazionale dell’Accademia di Brera - Seconda mostra personale alla Galleria Milano, a Milano. 1928 - Partecipa alla V Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista delle Belle - Prende parte alla XVI Biennale di Venezia, e alla 1° Mostra Regionale Arti di Lombardia, sempre a Milano. d’Arte Lombarda, a Milano. - Mostra personale alla Galerie Maria Kunde, ad Amburgo. - Partecipa al concorso dell’istituzione privata Fumagalli-Gavazzi per la - Viene invitato alla XIV Biennale di Venezia ma il dipinto inviato, Piazza sezione pittura, con un ritratto. Venezia, 1934, viene escluso dal catalogo e dall’esposizione. - Ha un primo incontro con Lucio Fontana, rientrato dall’Argentina, e Questa tela – l’ultima dai forti connotati sironiani – sarà in seguito oggetto con lui stringe un rapporto d’amicizia che durerà per tutti gli armi Trenta. di violente polemiche da parte di troppo zelanti critici di regime sia per Dell’amico dipingerà un ritratto che verrà esposto alla Permanente di la sua struttura formale, considerata inaccettabile rispetto ai canoni della Milano. nuova figurazione “ufficiale”, sia per i modi pieni di ironia e ambiguità - Inizia il sodalizio con il gallerista Massimo Cassani, che durerà sino alla del “racconto”. morte dell’amico e sostenitore avvenuta nel 1982. - In questo stesso anno e dopo questa prima esclusione dalla Biennale di - In questo stesso anno Pajetta stabilisce il suo studio in alcuni locali Venezia gli orizzonti artistici di Pajetta si aprono alla cultura europea e annessi alla galleria di Cassani in via del Lauro 4. in particolare alla Scuola di Parigi. Questo vero e proprio atelier, che si affacciava su un cortile della vecchia - Primo soggiorno a Parigi alla ricerca di contatti culturali e di eventuali e nobile Milano, Pajetta lo condivide per dieci anni con un giovane e sedi espositive. promettente scultore, compagno d’Accademia, Arturo Carrera. 1935 - Partecipa alla Seconda Quadriennale d’Arte Nazionale, a Roma. A sinistra: - Partecipa alla Mostra d’Arte Italiana, a Budapest. Guido Pajetta in una foto degi anni ‘60 - Secondo soggiorno a Parigi.

217 - Mostra personale alla Galerie Le Niveau, a Parigi, in Boulevard Mon- 1942 tparnasse, presentato in catalogo da Dino Bonardi. - Nascita del secondo figlio Giorgio. La rivista “SUD” di Marsiglia, nel numero di luglio-agosto 1935-XIII, - Dopo l’intensificarsi dei bombardamenti aerei su Milano decide di tra- pubblica un’importante intervista a Pajetta a cura di H. Héraut. sferirsi con la famiglia a Tremezzo sul lago di Como, dove risiederà fino - Rimane alcuni mesi nella capitale francese dove conosce diversi artisti della alla fine del secondo conflitto mondiale. Scuola di Parigi tra cui Dufy e Emile-Othon Friesz, con il quale stringe una In questo stesso anno la casa di via Borgonuovo appena abbandonata affettuosa amicizia e del quale sarà ospite nella nativa Honfleur – la città dei viene distrutta da un bombardamento aereo. pittori – nel nord della Francia, alla ricerca di nuove ispirazione in quell’am- - Partecipa alla quarta e ultima edizione del Premio Bergamo, con il di- biente amato dagli impressionisti e dal poeta prediletto Baudelaire. pinto Autoritratto. 1936 1943 - Mostra personale alla Galleria Il Milione, a Milano. - Nascita del terzo figlio Massimo. Questo passaggio nella storia di Pajetta è di vitale importanza in quanto Il 11946 Milione, galleria gestita dal compagno d’Accademia Virginio Ghiringhelli - Partecipa al Premio Bellagio presso il Circolo degli Stranieri, nel piccolo insieme al fratello, costituiva nei primi anni Trenta il polo più avanzato borgo turistico del lago di Como. della cultura artistica milanese. - Si trasferisce con la famiglia a Milano in via Cadore 43. Nello stesso In questa personale Pajetta espone il dipinto Piazza Venezia, rifiutato due appartamento organizza il nuovo studio in cui lavorerà per circa vent’an- anni prima dalla giuria della Biennale di Venezia, che provocherà roventi ni. polemiche sulla stampa lombarda. Il critico della “Cronaca Prealpina”, di - Muore a Milano l’amico scultore Arturo Carrera. Varese, il 18 marzo del 1936, in una lettera aperta all’illustrissimo prefetto 1947 di Milano, chiederà l’intervento della censura. - Mostra personale alla Galleria Santo Spirito, a Milano, con presentazione - Partecipazione alla VII Sindacale Lombarda a Milano. Il podestà acquista di Ugo Nebbia. per la Galleria d’Arte Moderna il dipinto Paesaggio. - L’anno 1947 può essere assunto a linea di demarcazione tra la ricerca - Viene invitato alla XX Biennale di Venezia ma la grande tela allegorica “chiarista”- neo-”fauve” e il nuovo corso di pittura di ascendenza espres- inviata, dal titolo Figurazione simbolica, dapprima viene accettata e foto- sionista che da questo momento Pajetta intende esperire. grafata con fotografia ufficiale Giacomelli n. 213 e successivamente esclusa 1948 dal catalogo e dall’esposizione. - Quarto lungo soggiorno a Parigi. - Il 13 novembre sottoscrive un contratto di collaborazione in esclusiva - Importante mostra personale alla Gallerie Drouant-David in Rue du con il gallerista Massimo Cassani. Faubourg Saint-Honoré, salutata con entusiasmo sulle pagine di “Com- 1937 bat” :”Pour la première fois depuis la Liberation un ‘jeune’ peintre italien - Pajetta soggiorna nuovamente a Parigi per alcuni mesi. G.P. Pajetta espose à Paris”. - Seconda mostra personale alla Galerie Le Niveau, a Parigi. In questo soggiorno conosce il più giovane pittore Bernard Buffet che - Partecipa all’VIII Mostra del Sindacato Interprovinciale Fascista Belle espone nella stessa galleria. Arti di Milano. 1952 1938 - Primo soggiorno a Londra nel quale Pajetta si avvicina alle tematiche - Si sposa con Maria Panizzutti, sua modella. della nuova figurazione inglese espressa da artisti come Henry Moore, Dall’unione nasceranno tre figli maschi. Francis Bacon e Graham Sutherland. - Trasferisce lo studio di Milano da via del Lauro 4 a via Bogonuovo 31, - Mostra personale presso Roland, Browse & Delbanco a Londra (con presso la stessa abitazione. lo scultore Emilio Greco): First Exibitions in England Guido Pajetta and 1939 Emilio Greco. - Viene invitato alla III Quadriennale d’Arte Nazionale, a Roma. 1953 1940 - Mostra personale alla Galleria Gussoni, a Milano. - Mostra personale alla Galleria Gianferrari, a Milano. 1954 - In occasione di questa mostra inizia a scrivere di Pajetta (su “L’Am- - Riceve il premio “Lorenzo Delleani” per il dipinto La cucitrice. brosiano”) il letterato, pittore e giornalista Leonardo Borghese, che da 1955 questo momento diverrà amico dell’artista in un rapporto di costante - Seconda mostra personale presso Roland, Browse & Delbanco, a Londra: osservazione storico-critica del suo lavoro. Modigliani drawings Pajetta paintings. - Nascita del primo figlio Augusto. 1957 - Partecipa alla seconda edizione del Premio Bergamo con il dipinto Il - Terza mostra personale presso Roland, Browse & Delbanco, a Londra: trasporto del Cristo. Guido Pajetta recent paintings Henry Moore drawings and maquettes. 1941 In occasione di questa mostra Paletta soggiorna a Londra, conosce e fre- - Mostra personale alla Galleria Grossetti, a Milano quenta Henry Moore, visita le gallerie londinesi che espongono le opere - Prende parte alla III Mostra del Sindacato Nazionale Fascista Belle Arti, sorprendenti di Francis Bacon e Graham Sutherland. in Palazzo dell’Arte, a Milano. 1958 - Partecipa alla terza edizione del Premio Bergamo con il dipinto Le me- - Mostra personale alla Galleria Sacerdoti, a Milano, a cura di Raffaele lanconiche. De Grada.

218 1959 Bibliografia - Mostra personale presso la Galleria Fogliato, a Torino. 1960 1925 - Mostra personale alla Galleria Sacerdoti, a Milano. Reale Accademia di Brera e Società per le belle arti, Esposizione Naziona- - Quarta mostra personale a Londra presso Roland, Browse & Delbanco: le d’Arte. Catalogo, Milano, Palazzo della Permanente, ottobre-dicembre Pajetta and Dunstan. 1925, Milano, Stamperia e tipografia industriale, 1925 1963 1928 - Quinta mostra personale a Londra presso Roland, Browse & Delbanco: La XVI Esposizione Internazionale d’Arte della Città di Venezia. 1928. Ca- Pajetta Dunstan. talogo, - L’artista decide di allestire un secondo studio nel vecchio centro ligure Venezia, Premiate Officine Grafiche C. Ferrari, 19282 di Sestri Levante, da lui già frequentato negli anni Trenta. G. Cornali, Novecentisti italiani alla XVI Biennale di Venezia, in “Il Secolo- Dal 1963 al ‘72 risiederà stabilmente nei mesi primaverili ed estivi a Se- La Sera”, 9 maggio 1928 stri Levante, in un piccolo appartamento-studio affacciato sulla “Baia del C. Carrà, La Biennale di Venezia. La nuova pittura italiana, in “L’Ambro- silenzio”. siano”, 25 maggio 1928. 1963-1964 I Mostra regionale d’Arte Lombarda, Milano, Palazzo della Permanente, - Pajetta considera chiuse le sue esperienze europee e decide di esporre in 18 novembre - 30 dicembre 1928, Milano, Arti Grafiche Gualdoni, 1928, permanenza alla Galleria del Lauro di via del Lauro 8, a Milano. pp. 25, 32, 41. - Mostra personale alla Galleria del Lauro, a Milano. V. Bucci, La prima Mostra Sindacale d’arte lombarda, in “Corriere della 1966 sera”, 28 novembre 1928 - Mostra personale alla Galleria del Lauro, a Milano. V. Bucci, Mostre milanesi. Sindacati, in “Le Arti Plastiche”, VII, (20), 1967 1928 - Trasferisce l’abitazione e lo studio in via Delio Tessa 1, a Milano. C. Carrà, La Mostra dei Sindacati, in “L’Ambrosiano”, 3 dicembre 1928. Dopo lunghi anni di assenza dal suo prediletto quartiere di Brera (dal 1929 1942) Pajetta decide di rinunciare al grande atelier e di trasferire studio Seconda mostra del Novecento Italiano, Milano, Palazzo della Permanente, e abitazione in un piccolo appartamento nel cuore del vecchio quartiere 2 marzo-30 aprile 1929, Milano, Arti Grafiche Gualdoni, 1929. milanese. 1930 - Inizia un nuovo ciclo pittorico in cui abbandona i colori a olio – usati XVII Esposizione Biennale Internazionale d’arte. 1930. Catalogo, Venezia, per cinquant’anni – e trova nei colori acrilici la materia pittorica ideale per Premiate Officine Grafiche Carlo Ferrari, 1930 affrontare con nuova vitalità il teorema irrisolto della Forma-Colore. 1931 1968, 1970, 1971, Prima Quadriennale d’arte nazionale, Roma, Palazzo delle Esposizioni, - Mostra personale alla Galleria del Lauro, a Milano. gennaio-giugno 1931, Roma, Edizioni Enzo Pinci, 1931, pp. 119-120. 1072 1932 - Mostra retrospettiva alla Galleria del Lauro, a Milano: Guido Pajetta III Mostra d’arte del Sindacato Regionale Fascista Belle Arti di Lombardia 1928 - 34. (Biennale di Brera), Milano, Palazzo della Permanente, 14 febbraio - 15 1973 marzo 1932, Milano, Tipografia Giuseppe Galli, 1932, pp. 46, 85. - Mostra personale alla Galleria A.G., a Milano. D. Bonardi, La terza mostra del Sindacato Fascista Belle Arti di Lombardia 1976 alla Permanente. La salda affermazione del nuovo equilibrio estetico in una - La nuova figurazione, che ha intrapreso dal 1967 con l’uso degli acrilici, imponente rassegna di pittura e scultura e di bianco nero, in “Il Secolo-La spinge l’artista a cercare, come nel passato, confronti e conferme al di Sera”, 13 febbraio 1932. C. Carrà, La mostra lombarda. Pittura e scultura, fuori dall’Italia. in “L’Ambrosiano”, 24 febbraio 1932. - Mostra personale alla Galerie Walcheturn, a Zurigo. C. Carrà, La mostra lombarda - Bianco e nero, in “L’Ambrosiano”, 9 marzo 1977-1982 1932. - Espone in permanenza alla Galleria del Lauro, a Milano. Gli Acquisti della Provincia alla Mostra del Sindacato Belle Arti, in “Il Po- 1981 polo d’Italia”, 11 marzo 1932. - Contrae una grave e cronica malattia articolare che lo costringe a lunghi Alla Mostra del Sindacato Belle Arti, in “Il Popolo d’Italia”, 15 marzo periodi di inattività. 1932. 1982 x. [Mario Sironi?], Bianco e nero alla III Mostra sindacale lombarda, in “Il - 2 luglio. Scompare il gallerista Massimo Cassani, suo amico e sostenitore Popolo d’Italia”, 20 marzo 1932. fin dal 1928. M. [Mario Sironi], La III Mostra del Sindacato fascista delle Belle Arti di Da questa data cessa l’esposizione permanente delle sue opere presso la Lombardia sarà inaugurata stamane dal Ministro delle corporazioni S.E. Galleria del Lauro, a Milano. Bottai, in “Il Popolo d’Italia”, 14 febbraio 1932 (ora in Mario Sironi. Scritti 1987 editi e inediti, a cura di E. Camesasca, Milano, Feltrinelli, 1980, pp. 117- - 15 febbraio. Muore improvvisamente nella propria abitazione di via 126). Tessa 1, a Milano. XVIII Esposizione Biennale Internazionale d’Arte. 1932. Catalogo, Venezia, Premiate Officine Grafiche C. Ferrari, 19322

219 V. Costantini, Cronache Milanesi - La mostra del Sindacato Lombardo, in L’Arciere, Nella selva selvaggia… Lettera aperta all’Ill.mo Prefetto di Milano, “Emporium”, Bergamo, marzo 1932, p. 182. in “Cronaca Prealpina”, 18 marzo 1936. u.c.n., Premi Principe Umberto, in “Cronache Latine”, 1932. Le mostre d’arte a Milano - Guido Pajetta al “Milione”, in “Il Popolo d’Ita- 1933 lia”, Milano, 20 marzo 1936. Gian Capo (G. Capodivacca), I mostra Personale di Guido Paolo Pajetta, C. Carrà, Beppe Ciardi - Guido Pajetta, in “L’Ambrosiano”, Milano, 20 Milano, Galleria Milano, 8 - 19 gennaio 1933, Milano, Arti Grafiche Pizzi marzo 1936. e Pizio, 1933. L’Arciere, Nella selva selvaggia. Lettera aperta all’Ill.mo Prefetto di Milano, D. Bonardi, Artisti che espongono. G. Paolo Pajetta, in “Il Secolo-La Sera”, in “Cronaca Prealpina”, Milano, 18 marzo 1936. Milano, 12 gennaio 1933. L’Arciere, Nella selva selvaggia. Ah, certa critica!, in “Cronaca Prealpina”, C. Carrà, Pajetta e Benvenuti, in “L’Ambrosiano”, Milano, 12 gennaio Milano, 25 marzo 1936. 1933. 1937 B. Moretti, La mostra del pittore Pajetta, in “L’Italia”, Milano, 14 gennaio VIII Mostra del Sindacato Internazionale Fascista delle Belle Arti, Milano, 1933. Palazzo della Permanente, 13 febbraio - 14 marzo 1937, Milano 1937, p. Guido Pajetta alla “Milano”, in “Il Popolo d’Italia”, Milano, 14 gennaio 14, fig. 61. 1933. Guido Pajetta, in “La Nuova Italia - L’Italie Nouvelle”, Paris, 18 mars 1937. Galleria Milano, in “Il Giornale dell’Arte”, Milano, 15 gennaio 1933. M.E., Guido Pajetta, peintre “turbolent de l’esprit”, in “L’ami du Peuple”, IV mostra del Sindacato Regionale Fascista delle Belle Arti di Lombardia, Paris, 24 mars 1937. Milano, 11 marzo - 11 aprile 1933, Milano, Stabilimento Grafico Ripalta, U. Brunelleschi, Artisti d’Italia - Il pittore Guido Pajetta, in “La Nuova 1933, p. 9. Italia - L’Italie Nouvelle”, Paris, 25 mars 1937. V. Costantini, Cronache Milanesi – La IV Sindacale, in “Emporium”, Ber- Il pittore Guido Pajetta espone a Parigi, in “La Stampa”, Torino, 27 marzo 1937. gamo, marzo 1933, p. 171. Deux debuts, in “Le Petit Parisien”, Paris ,31 mars 1937. I Mostra del Sindacato Nazionale Fascista di Belle Arti, Firenze, Tipocalco- Mostra Pajetta a Parigi, in “La Tribuna”, Roma, 4 aprile 1937. grafia classica, 1933, pp. 46, 85, tav. LXXV. T. di Giorgio, Note d’Arte - Una mostra personale, in “Il Merlo”, Paris, 2 1934 mai 1937. D. Bonardi, Mostre d’arte a Milano – Prima conclusione di Pajetta, in “Il 1939 Secolo-La Sera”, Milano, 24 febbraio 1934. III Quadriennale d’arte nazionale, Roma, Palazzo delle Esposizioni, feb- N.D.Z., in “Hamburger Anzeiger”, Hamburg, 15-16 Dezember 1934. braio-luglio 1939, Milano-Roma, Ed. Domus, 1939, p. 217. M.K.R., Kunstsalon Maria Kunde, in “Hamburger Trauderblatt”, 19 di- 1940 cembre 1934. 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220 1948 Portrait of the artist Guido Pajetta, in “Art News and Review”, London, U. Nebbia, Exposition Pajetta, Galerie Drouant-David, s.l., 1948. 1957. D.C. (Chevalier), Un artiste italien retrouve Paris - G.P. Pajetta, in “Arts”, 1958 Paris, 27 fevrier 1948. R. De Grada, Guido Pajetta. Opere recenti, Milano, Galleria E. Sacerdoti, R. Guilly, Pour la première fois depuis la Libération un “jeune” peintre 15-31 marzo 1958, Milano 1958. italien G.P. Pajetta expose à Paris, in “Combat”, Paris ,28 fevrier 1948. M. Lepore, Rassegna delle mostre d’arte, in “Corriere d’Informazione”, W. George, in “Ce matin”, Paris, 2 mars 1948. Milano, 20 marzo 1958. P.M. Dess, Pajetta (Galerie Drouant David), in “Aux Ecoutes”, Paris, 5 mars Andar per mostre, in “Corriere Lombardo”, Milano, 25 marzo 1958. 1948. M.P., Rassegna delle Mostre - Pajetta pittore tra cubismo e Picasso, in “La Dans le galeries, in “Ce Soir”, Paris, 5 mars 1948. Notte”, Milano, 25-26 mrazo 1958. 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223 Finito di stampare nel mese di giugno 2006 da Litografia Stella, Rovereto, (Tn)