MMAARRZZIII

Già nell'Atlante Geografico del Regno di Napoli, redatto per ordine di Ferdinando IV dai cartografi Rizzi e Zanoni e terminato nel 1808 in scala 1:110.000, Marzi era segnalato come Li Marzi e vi si nota, come segno toponomastico la chiesa di Santa Barbara. Il territorio di Marzi è caratterizzato da una grande valle nella quale scorre il fiume . Il Comune, oltre al centro urbano, è costituito dalle frazioni Orsara e Piano Sementi; altri abitanti, comunque pochissimi, sono distribuiti in numerosi nuclei che assumono la denominazione delle località in cui sono ubicate le abitazioni. Le case sparse, così chiamate dall' Istituto Centrale di Statistica , costituirono un tempo casi di microeconomia agricola. Questi gruppetti di case ora sono in larga parte vuoti; il taglio degli alberi, le chiazze di grano seminato, la vite e gli orti hanno lasciato il campo alla terra deserta e occupata da erbe selvatiche. Mi sembra opportuno elencare tali località, sparse dappertutto nel nostro territorio: Orsara, Piano Pittello, Piano Semente, Pedalata, Critacchio, Pedalata, Sozze, Fratte, Monte, Acquafredda, Pallone, Triglio, Pezzapani, Corsopato, Fertizze, Acqua di Rose, Merolina, Sperti, Castagneto, S. Nicola, Pantanelle, S. Cataldo, Piano del Medico, Costa, Panicelli, Canali e Bosco Tafuri. Il territorio di Marzi, a forma di calza, si estende su una superficie complessiva di 15,63 Kmq. Appartiene ai terreni che provengono da formazioni calcaree. L'altitudine, misurata alla stazione delle Ferrovie della , è di 527,90 metri sul livello del mare. La distribuzione delle colture è prevalentemente di castagneti, querceti ed alberi da frutta, il resto del territorio è seminativo. Circa il possesso della proprietà il territorio è frammentato. Da una visura effettuata al Catasto Terreni si ricava che il 15% della superficie è tenuto da proprietari con più di 200 ettari, il 55% della superficie è costituito da proprietà rurali di ampiezza tra i 10 e i 200 ettari, mentre il restante 30% è posseduto da piccoli proprietari con ampiezze di proprietà minori di 5 ettari. La superficie degradata del suo territorio si aggira tra il 15-20%. L'abitato di Marzi, invece, è sistemato ad Est lungo i frammenti di un grande ripiano della Presila ed è sistemato sul versante destro della valle del fiume Savuto. Il territorio di Marzi, normalmente, viene menzionato come centro agricolo della Valle del Savuto e dai rilievi dell' Istituto Geografico Militare è identificato nel foglio 236 1° Sud-Ovest della carta d'Italia. Il territorio ha un perimetro di 38,5 chilometri. Il quadro di unione catastale, in scala 1:20000, lo racchiude in sedici mappe, l'abitato è contenuto nel foglio quattro. Il territorio confina a Nord con quello del comune di , tramite le strade S. Nicola - Ara e Ciro , il fiume Savuto e l'affluente di questo, il torrente Cannavina . La lunghezza di frontiera è pari a 12 chilometri. Sempre a nord confina con il comune di S. Stefano di Rogliano, dal quale è diviso dal vallone Rigiromo per 2,5 chilometri. La parte occidentale è separata da , tramite il vallone del torrente Ara e il fosso del Grancito , la lunghezza del confine è di 4 chilometri. Il confine orientale è con il comune di Parenti, questo confine è un piccolo fronte di 2,5 chilometri. L'intera parte meridionale del territorio marzese confina con i territori di Carpanzano per 15 chilometri e per 2,5 chilometri, la linea di separazione tra i territori è delimitata dalla strada Tozzarello Silana . L'abitato di Marzi è attraversato dalla Strada Statale 19 delle Calabrie , importantissima arteria dalla quale è derivato, nel passato, un discreto sviluppo socio-economico della nostra piccola comunità. Questo sviluppo economico ebbe fine con l'utilizzazione dell'autostrada Salerno - Reggio Calabria, inaugurata circa venti anni fa. Il territorio comunale è attraversato dal fiume Savuto e dai suoi affluenti Lara e Stupino , oltre a numerosissimi corsi d'acqua torrentizi e spontanei. Il bacino del Savuto è ampio 52,5 Kmq; la sua permeabilità è pari al 10%. Circa la portata, il Savuto ha registrato, nel 1935 una massima pari a 47,67 mc/sec., mentre nel 1932 ha registrato una minima di 0,12 mc/sec. Nel breve percorso di 28 miglia, il Savuto bagna i territori di Parenti, Rogliano, Marzi, Carpanzano, , , , , e Cleto nella provincia di e Martirano Lombardo, S. Mango D'Aquino e Nocera Terinese nella provincia di Catanzaro. L'affuente Stupino delimita il confine con il comune di Carpanzano. Il torrente Lara , che nasce dalle pendici di Pietra del Lupo e che riceve il torrente Calabrice , delimita i comuni di Belsito e Santo Stefano di Rogliano. La nostra idrografia, comunque, non presenta in generale fenomeni di grande portata

1 ORIGINI

Circa le origini si formulano quattro ipotesi:

1. IPOTESI STORICA - L'ipotesi storica della origine dei paesi della cintura cosentina è basata sullo evento, avvenuto nel 207 a. C., della occupazione romana che interessò il territorio dei Bruzi. Anche la costruzione della via Annea nel 132 a. C. convalida la presenza di insediamenti umani lungo questa arteria. Lo storico romano Tito Livio, nelle sue Storie , libro XXX, capitolo XV , dice infatti: "Nel 207 a.C. dopo che i Romani espugnarono Cosenza, Montalto, Petilia [...] molti altri popoli di poco conto, che parteggiavano per Annibale, tornarono volontariamente sotto i Romani." In questi altri popoli di poco conto, individuerei nuclei primitivi dei paesi intorno a Cosenza, quelli della Presila e della valle del fiume Savuto. La presenza poi, di ponti su questo fiume e di selciati e ruderi di epoca romana lungo il suo corso indicano l'insediamento umano in questi luoghi molto prima del 1000 d. C., epoca ufficiale data alla nascita dei Casali di Cosenza. Se aggiungiamo che lungo la via Annea sorgevano per il conforto dei viaggiatori le stazioni di riposo, le officine per la manutenzione dei carri, delle bighe e le locande di ristoro, ciò significa che tutto questo insieme di infrastrutture presupponesse una organizzazione umana intorno a quei luoghi. Nell'itinerario della via esisteva la stazione Sabatum Flumen , quindi nel territorio di Marzi. Con la caduta dell'impero romano tutto degradò e il complesso di attività lungo questa importante arteria andò perduto. Le località gravitanti sulla strada finirono per avere un isolamento che cominciò a diradarsi quando nel decennio 1806-1815, i dominatori francesi decisero di ripristinare e ammodernare i vecchi tracciati della tredicesima arteria dell'impero romano. In verità il progetto di ammodernamento della suddetta strada, denominata poi la Consolare fu voluto da Re Ferdinando IV, il quale ne affidò l'incarico nel 1774 all'Architetto Landi; in seguito Gioacchino Murat la completò. Resa praticabile intorno al 132 a.C. dal console romano Annio Rufo, la via congiungeva Capua e Reggio Calabria. Dagli storici dell'epoca, essa era considerata la più importante strada del sud Italia, la tredicesima della rete stradale dell'Impero Romano. Naturalmente la strada fu costruita per scopi di carattere militare, ciò nonostante costituì un notevole indotto per lo sviluppo economico delle zone gravitanti su di essa. Nel caso particolare dei nostri paesi, ad essa si deve la prima valorizzazione dell'Agro pubblico, con la conseguente primitiva discesa dei nomadi, dediti alla pastorizia sulle montagne. Questi primi ceppi umani scesero e si insediarono intorno e nei pressi della grande arteria, formando i primissimi nuclei di paese. Ad avvalorare questa, lo storico Rohlfs, analizzando il suffisso anum , comune denominatore di tanti nomi di comuni intorno a Cosenza, sostenne che il suffisso, poiché‚ significa terra di, cioè di un determinato signore, fa ritenere la fondazione di alcuni Casali quali Rublanum, Crepesitum, Syllanum, Carpenzanum, Aprilanum e altri, nel terzo secolo a. C., ad opera di colonizzatori romani nel territorio della Calabria settentrionale; quindi molti studiosi concorrono nell'affermare che questi paesi sorsero prima delle scorrerie saracene e che si ripopolarono e ampliarono prima dell'anno mille. Marzi, per via del nome, sembrerebbe aver avuto origini differenti.

2. IPOTESI VINCENZO PADULA - Il Padula nell'opera Protogéa sostiene il principio della similarietà dei luoghi. Egli infatti dice: un archeologo direbbe che i Marsi di Calabria furono colonia di quelli "… che erano un antico popolo preromano, stanziato nei monti intorno al lago Fucino, nel Sannio al confine con il Lazio e con capitale Marrubium". I Marsi alleati dapprima con i Romani fino al 308 a. C., nel 91 a. C. si ribellarono al loro dominio. Siamo di fronte ad un popolo forte e di indole guerriera. Nella guerra marsica, i Marsi si distinsero per il grande coraggio e valore dei loro soldati, donde il proverbio: NEC DE MARSIS, NEC SINE MARSIS POSSE TRIUMPHARI.

3. IPOTESI RICORRENTE - La quasi totalità degli studiosi di storia locale sostiene che l'anno 984 d. C., sia la data di nascita di Marzi e dei Casali, a seguito dell'insediamento nei nostri luoghi di fuggiaschi cosentini scampati alle scorrerie saracene; pochi invece, non dando sufficienti spiegazioni, accennano la tesi dell'espansione. L'Emiro Abul Al Kasim, capo saraceno, lasciata Reggio Calabria, dove stava il suo quartiere generale, invase Cosenza, i cui abitanti, intanto, conoscendone la furia distruttrice, avevano abbandonato trovando ricovero nei luoghi e nei boschi, costituenti gli attuali paesi, cosiddetti Casali. Il 975 è l'anno della distruzione della vecchia Cosenza, non solo da parte dell'Emiro Al Kasim ma anche dei Greci che si vendicarono della coalizione di questa con il principe di Salerno, Gisulfo. Intanto Ottone II successo a Ottone I era intenzionato a debellare definitivamente i saraceni e i greci di Calabria e di Puglia. Ma anche questa volta, nella 2 battaglia di Raganello , nei pressi di Rossano, i germanici subirono una cocente sconfitta che determinò il ritorno dei nostri territori sotto i Bizantini, dopo parecchi decenni. Quindi nell'arco di tempo 975-986, sorsero i Casali, o più propriamente si ripopolarono. Quanto dissero il Barrio, il Platina, il Sigonio, il Manfredi e l'Aceti, i casali furono cento e tra questi Marzi, appartenente alla Bagliva di Rogliano. Il termine Casale deriva dal latino Casa Rustica; molti studiosi, però, asseriscono che può significare, e forse è più esatto, Agglomerato rurale senza cinta, cioè gruppi di case rurali senza mura, a differenza delle città con mura. La Bagliva , invece era un'istituzione che delimitava il territorio amministrato dal Baglivo . Questa istituzione durò fino alla conquista dei francesi avvenuta nel 1806, cioè fino all'avvento del Codice Napoleonico. Costituì anche la struttura amministrativa per la raccolta dei tributi. Il Baglivo era un delegato regio che censiva le famiglie, dette fuochi e i beni tenuti da esse, nel territorio di sua giurisdizione. La carica del Baglivo fu concessa in affitto dalla Corona. All'interno della Bagliva , Marzi di Rogliano, costituì un'unità con piena autonomia che elesse in pubblico e libero Parlamento i suoi rappresentanti. La scelta dei cosentini in fuga verso i luoghi, dove tuttora sorgono i Casali, cioè le zone a sinistra del fiume Crati, da cui il nome è dovuta al territorio che oltre ad essere protetto da una fittissima vegetazione di querceti e castagneti, quindi luoghi sicuri, era anche esposto ad est e ricco di acqua. Casali è il territorio geografico che inizia da e termina a Carpanzano, abbracciando tutti i paesi della presila, i luoghi dell'odierna strada statale 19 delle Calabrie da Donnici a Marzi, i paesi di Malito, Belsito, Grimaldi e Altilia, nonché , Tessano, Paterno e Parenti. Durante la dominazione normanna di Ruggero II, intorno al 1100, tutti i Casali del Manco e Cosenza costituirono una sola comunità: L'Universitas Casalium , per la giurisdizione dei territori ricadenti sull'Altopiano Silano . L'Universitas fu diretta da un consiglio i cui componenti erano formati da cittadini dei Casali, scelti in forma proporzionale al numero degli abitanti di ogni casale. Tutte le riunioni riguardanti argomenti comuni si tenevano nel Duomo di Cosenza. Gli argomenti comuni riguardavano principalmente la garanzia dell'uso civico dell' Altopiano Silano , l'organizzazione della difesa da eventuali razzie, compiute nei territori silani, da parte di frequenti e numerosi usurpatori che miravano ad infeudarsi enormi quantità di terre, costituenti le cosiddette Difese. 4. IPOTESI DI FRANCESCO MARIA DE BONIS - Incontriamo il nome Marsi a proposito di un antico bellicoso popolo del Sannio che abitava sulle alture intorno al lago Fucino , al confine col Lazio. Costoro erano già noti in epoca romana e se fosse vero il principio del Padula il quale affermava che luoghi simili ebbero nomi simili dovremmo dedurre che Marzi o Li Marsi come era in passato è un nucleo di quel popolo impiantato e cresciuto nelle attuali contrade peraltro topograficamente simili a quelle della loro madrepatria. Appoggiando l'idea di Vincenzo Padula, l'avvocato Francesco Maria De Bonis così elaborava la sua idea circa l'origine di Marzi, nome che secondo lui deriva da Mars , Marte dio della guerra, L'insediamento dei nostri ascendenti si può datare intorno al '700 a. C. quando il primo nucleo si insediò sul colle Manco. In quell'epoca i colli: Cozzo , S. Chirico , S. Biasi e il già citato Manco accoglievano ai loro piedi l'antico lago Amarella . Questo nome, che intanto ha perso la "A" iniziale, sussiste ancora oggi. Avvalora la tesii dell'esistenza del lago, magari in seguito ridotto ad uno stagno, l'epiteto di Carcarellari dato ai marzesi e il nome Repùpa dal latino Repedo , soffermare il passo, per indicare quel passaggio obbligatorio nell'acqua per chi scendeva dalle colline e per chi si recava a Marzi, riedificato in altro luogo dopo il terremoto del 1148. Marzi dunque in origine si rispecchiava sul lago Amarella così come l'antico paese dei Marsi del Sannio si rispecchiava nel lago Fucino. Ma per quale ragione i Marsi del Sannio erano migrati verso le nostre terre? Una risposta la da il Micali affermando che le primitive colonie si impiantavano lontano dai loro luoghi di origine allo scopo di sciogliere voti verso deità pagane; siamo infatti nell'era pre-cristiana. Una di queste divinità pagane fu la dea Ecate chiamata anche Pandina dai latini. A lei venivano offerti sacrifici umani in quanto dispensiera di beni, di vittorie, di vita. La sua effigie triforme significava potere cosmico, ossia sull'acqua, sulla terra, sul cielo, ed era riprodotta su alcune monete coniate dal popolo dei Terinei; costoro abitavano presso la foce del fiume Savuto e distavano cinque ore di cammino dal loro tempio il quale, secondo lo storico greco Licofrone, era posto lungo il torrente Lara prima che si immette nel fiume Savuto. Stante ciò non è improbabile che i nomi delle contrade: Triglio , Pardina , fossero luoghi dove si adorava la dea e che Chianunfante (Piano del fanciullo), Malacurina (Mal culmine), Corsopato (Via del dolore), sono nomi che ricordano i sacrifici umani offerti a Pandina . A questo punto non è assolutamente azzardato affermare che il luogo di culto fosse realmente il nostro territorio, in quanto esistono molte chiavi di lettura dedotte dalla logica descrizione dei luoghi. La tesi del De Bonis si può ritenere veritiera. La congettura poi che il popolo dei Marsi, allo scopo di ottenere 3 favori dalla dea, dispensatrice di fortuna nelle campagne di guerra, si sia spinto da noi per immolare fanciulli, si può anche accettare. Non dimentichiamo che i Marsi, popolo bellicoso, fu in lotta con i Romani per la propria sopravvivenza, e pur non avendo ottenuto i favori sperati, sacrificando degli adolescenti alla dea abbiano ugualmente deciso di stanziarsi di fronte al luogo di culto descritto, anche perché il sito raffigurava la loro madre patria. Perciò chiamarono Marsi il luogo nuovo d'insediamento. Da questa colonizzazione potrebbe avere avuto inizio la nostra storia. Per concludere è importante sottolineare che nel fondo di Pardina nel 1858 furono rinvenuti dei piccoli sepolcri con scheletri lunghi otto palmi!

ORDINAMENTO AMMINISTRATIVO

Fino al 1805 Marzi fu luogo di Rogliano insieme a Cuti , Rota e Spani . Diversi descrittori di cronache locali del passato, però, lo citarono sempre come luogo a se, con autonomia propria. Il napoletano Scipione Mazzella nella sua Descrittione del Regno di Napoli , nell'illustrare la quinta provincia del regno, la Calabria Citra o Citeriore, enumerò Marzi alla sessantunesima posizione come Casale della Regia città di Cosenza, siamo intorno al quindicesimo secolo. Nel 1725, frate Elia D'Amato, nell'opera Pantopologia Calabra lo descrisse come luogo ameno, ricco, sul fiume Sabazio , della giurisdizione di Cosenza. Nel quinto volume del Dizionario Ragionato del Regno di Napoli di Luigi Giustiniani, edito nel 1802, Marzi fu descritto come casale della città di Cosenza, distante da essa dodici miglia e situato in un luogo montuoso, "di buon'aria e il cui territorio dà grano, vino, olio e vi allignano bene i gelsi, per cui evvi tra naturali l'industria dei bachi da seta". Solo il monaco Sacco, nel Dizionario Geografico-Istorico-Fisico del Regno di Napo li dedicato alla sovrana Maria Carolina d'Austria, datato 1796, citò Marzi come Casale Regio di Rogliano, sito in luogo alpestre, di aria salubre; cita le due principali chiese di Santa Barbara e Sant'Andrea, il convento dei padri minori osservanti e le quattro confraternite laicali sotto i nomi dell'Immacolata Concezione, dell'Annunziata, del Rosario e della Madonna della Consolazione. L'autore fece osservare inoltre la notevole produzione di grano, frutta, vini, olio, castagni e gelsi per la produzione della seta. Con la dichiarazione di Rogliano a Città Regia, il 3 giugno 1745, a seguito del dispaccio reale di Carlo III il cattolico figlio di Filippo V, Marzi passò dalla giurisdizione di Cosenza a quella di Rogliano. Si può dedurre che Marzi fu frazione o luogo di Rogliano solamente tra gli anni 1745 e 1805. Nel 1806, quindi, il nostro paese venne staccato da Rogliano e ottenne l'autonomia amministrativa. Nell'ordinamento amministrativo dato dai francesi alla Calabria, con legge del 19 gennaio 1807, Marzi diventò comune autonomo del circondario di Rogliano. Nel successivo riordino, operato nell'anno 1811 sempre dai Napoleonidi, con decreto del 4 maggio che istituì i comuni e i circondari, Marzi ebbe assegnato Belsito come villaggio, cioè frazione. A seguito della Restaurazione borbonica seguita nel 1815, Belsito ritornò comune autonomo, era il 10 maggio del 1816. Da allora quindi il nostro paese, ad eccezione del periodo 1928-1937, in cui ritornò frazione di Rogliano, per la legge sulla soppressione dei comuni sotto i duemila abitanti voluta dal regime fascista, ebbe un'autonomia propria.

L'ECONOMIA NEL PASSATO

L'arte della pietra ha avuto a Marzi una tradizione secolare. Non vi è casa del centro storico ove non esistano gradini di scale, portali e davanzali di finestre, finemente scolpiti. Il professore Campisani, marzese di adozione, ha elaborato un'interessante monografia sui portali di pietra e tufo che adornano alcune entrate delle case di Marzi. Nel leggere l'interessante ricerca del Campisani e ripercorrere le vie dove si affacciano queste stupende opere di scalpellinatura locale, si scopre un'arte nascosta, presente e viva nel nostro centro antico. Per il passato, Marzi vanta la presenza di valenti e laboriosi scalpellini, considerati anche famosi altrove. Dell'operosità dei nostri artisti della pietra parla molto Vincenzo Padula: "I molari lavorano nella Sila, in Savuto, nella fiumara di Belsito, ed alcuni anche emigrano. Macina di mulino sul luogo da cinque a sei ducati. Travagliano in società e portano seco mantici, incudini per conciarsi da sé i pezzi". Sempre l'illustre storico Padula nel capitolo riguardante le pietre e i minerali, riferendosi al comune di così scrive: "..Tufi: miniera copiosissima nella contrada Figlio. Ne provvede i paesi vicini e le ferrovie... Vi vanno scalpellini finanche dai Marzi". Nel campo della lavorazione della pietra e del tufo si distinsero per arte e operosità i fratelli Tucci Pasquale, Alessandro e Marco con il figlio Rosario. Per quanto riguarda la lavorazione del legno nel passato, non può che esaltarsi la grande genialità e il senso di precisione, posseduti dai nostri valenti 4 antenati, dediti a questa artigianale attività. La mancanza di macchine, la durezza del legno utilizzato (noce, quercia, castagno, ciliegio, altro.) danno maggiore importanza a questa nobile arte praticata nel passato. In generale i falegnami costruivano telai per la tessitura, molto diffusa, torchi per l'uva e l'olio, casse per custodire biancheria o conservare cereali; inoltre madie e attrezzi di uso quotidiano. Accanto a questi lavori, diciamo comuni, vi furono quelli di artisti dediti alla lavorazione del legno. Fra questi primeggiarono incontrastati Marco e Pietro Tucci. I loro mobili e intagli furono apprezzati sia in Italia che nelle due Americhe. Marco Tucci di Giovanni, alias Vatajanni, padre dell'illustre Giovanni (si veda la sua biografia, contenuta nel presente volume) nacque nel 1875 e morì nel 1961. Fu operosissimo in Italia ed anche all'estero; suo fratello Pietro, svolse la sua opera dapprima in Argentina e poi negli Stati Uniti d'America, dove morì nel 1957. Pietro Tucci solcò il mare ancora adolescente, quindi è improbabile che si possano ammirare sue opere dalle nostre parti. Di Pietro si dice che fu un vero maestro dell'intaglio ornamentale. Sicuramente i nostri artisti del legno e i loro padri in particolare, hanno dato lustro non solo alla zona del Savuto, ma altrove. Dell'indiscusso valore dell'arte dei lavoratori della pietra e del legno, ne sono testimonianza le innumerevoli opere che, fin dal Rinascimento, adornano l'immenso patrimonio religioso. Marzi, certamente, come centro propulsore dell'artigianato superiore, ha dato un fondamentale contributo e impulso. Di altri artisti, che la memoria ricorda, ma dei quali conosciamo poco, citiamo: Domenico Crispino, capo mastro architetto; Tommaso Frezza, intagliatore che, insieme ad altri compaesani, ha intagliato il coro ligneo della chiesa di S. Domenico di Cosenza. Sicuramente questi valenti nostri artigiani contribuirono a ricostruire le strutture interne delle nostre chiese e dei palazzi gentilizi, rovinati a seguito del catastrofico terremoto del sabato delle Palme del 1638.

LA RELIGIOSITA’

Marzi, dal punto di vista ecclesiastico, appartiene alla giurisdizione dell'Arcidiocesi di Cosenza. Nei secoli scorsi la giurisdizione cosentina era divisa in ventuno Baglive Pretorie, Rogliano con Marzi e Cuti appartennero alla XIV B agliva della giurisdizione cosentina. Da certi manoscritti, conservati nella biblioteca dell'Arcivescovado di Cosenza, riguardanti gli appunti presi da alcuni vescovi, in occasione di loro visite foranee, emerge, nel tempo, una forma di religiosità carente che sconfina in una laicità niente affatto trascurabile. Nella visita compiuta il 10 ottobre del 1601 dall'arcivescovo Monsignor Giovan Battista Costanzo, alla Bagliva di Rogliano, partendo dalla chiesa di S. Pietro, verso i fedeli di Marzi raccolti nella chiesa di S. Barbara, annotò nel suo diario che venticinque persone risultarono lontano dai sacramenti su 850 anime; inoltre denunciò una certa avarizia nell'elargire limosine. Non è poco, se si considera che erano tempi di grande affermazione della religione cattolica. Nella visita foranea del 1827, compiuta dall'arcivescovo Mancinelli, si puntò l'osservazione sulle Congreghe laicali. In particolare le Confraternite vennero considerate, dal massimo esponente dell'Arcidiocesi cosentina, luoghi di "..tentazioni politiche coperte da un linguaggio religioso ed evangelico". Le Confraternite visitate a Marzi furono quelle di Santa Maria della Consolazione e di S. Marco Evangelista. Il degrado nei confronti dell'attenzione religiosa aumentò man mano che passarono gli anni. Monsignor Lorenzo Puntillo visitò la nostra parrocchia il 5 settembre del 1842. Dalla visita pastorale, emerse uno stato di corruzione nel clero elevatissimo; con sacerdoti lontani dalla pratica del ministero loro affidato. Emerse inoltre, dalla visita, l'alto numero di adulteri e di concubinaggi, praticati dai civili. In particolare fu detto: [La popolazione è "mediocre perciò che riguarda il costume cristiano.... delle donne la metà si fanno il precetto Pasquale e degli uomini appena un quarto".

IL CONVENTO

Il reverendo padre francescano Francesco Gonzaga, Generale dell'ordine dei Minori Osservanti, nella sua opera De Origine Seraficae Religionis dice: "De conventu Sanctae Mariae De Angelis Rublani Conv. XX Miniticorum Monasterium SS V. Mariae De Angelis oppidum erectum pia rublanensis comunitas ex maxima in deum pietate, A C minorita propensione circa annum D. 1569 incoepit praefuitque". Quindi la nascita del convento di Marzi (attuale cimitero) è datata 1569. Si citano alcuni personaggi legati alla sua storia. Negli anni 1613 e 1618 vi fu padre provinciale Francesco Sicilia, nominato in seguito Custode del Capitolo di Madrid. Nel 1681 ne fu direttore 5 Ignazio Costanzo e nel 1739 vi coprì la carica di provinciale Antonio De Bonis, entrambi di Marzi. Si distinse per virtù e dotta conoscenza, oltre che per la predicazione, Domenico Crispino, versato nella Teologia morale e dogmatica. Ma l'ospite più illustre del nostro convento fu il beato Angelo Falcone di , il quale operò a Marzi i celebri miracoli dell'uva e della pace. Il miracolo dell'uva è raffigurato in un bellissimo affresco situato nel convento di Acri. Questo luogo di culto ebbe una prima soppressione durante la dominazione francese del Mezzogiorno d'Italia (1806-1815) ma in seguito fu reintegrato all'asse ecclesiastico. Nel 1854 una violenta scossa di terremoto lo rase quasi al suolo. Nel 1858, Re Ferdinando IV in viaggio per la Sicilia passò per Marzi lungo la strada consolare, l'odierna statale che attraversa il nostro abitato. Il Sovrano, supplicato da Giuseppe Tucci fu Bruno, concesse quattromila ducati per la ricostruzione del convento distrutto; con quella somma il fabbricato venne rimesso a nuovo da Francesco Tucci e da altri artigiani locali. Appena pronto vennero a riabitarlo i monaci guidati da padre Bonaventura da Santo Stefano di Rogliano, persona proba e benemerita. Nel 1862 lo stato unitario incamerò il convento sopprimendo questa importante struttura ecclesiastica. Nel 1888, il 13 giugno, il comune di Marzi, quale bene demaniale, lo destinò a luogo di sepoltura per i defunti. Dopo cinque anni si deliberò per la costruzione della strada di accesso. Era il dicembre 1892 e la seduta riguardava il bilancio di previsione 1893. Dagli atti di questa tormentata seduta consiliare, presieduta dal commissario prefettizio Pate, si legge: "L'accesso al detto cimitero è tale che i cadaveri si devono trasportare da una sola persona sulle spalle o sulla testa, a detrimento dell'igiene e della decenza pubblica". Era dunque urgente allargare quella cava come si diceva fino a pochi anni fa, a darle l'aspetto di strada.

LA CHIESA PARROCCHIALE DI SANTA 8AR8ARA

Si erge suIla destra alla fine della salita di piazza Gaspare Del Fosso. La sua costruzione è rude e semplice. Appartiene a Marzi Sottani, la parte inferiore dell'abitato. E' la chiesa più grande del paese e conserva opere d'arte di discreto valore. Il professore Ugo Campisani ha ampiamente scritto suIla chiesa e sulle opere d'arte in essa conservate; interessanti sono le notizie sulle opere e sugIi autori di esse. E' interessante consultarle. S. Barbara è la chiesa parrocchiale tipica, ad essa è collegata anche l'abitazione del parroco. All'interno c'è un meraviglioso pulpito ligneo ad intagli risalente al 1600. La struttura è formata da cinque arcate con relativi pilastri di viva pietra tufacea, su una delle arcate si legge la data del 1040.

LA CHIESETTA DI SAN MARCO EVANGELISTA

La chiesetta di San Marco è ubicata in pieno centro storico, nella parte bassa di Marzi, denominata Sottani. E' una chiesa piccola, inserita nel tessuto urbano dell'abitato. Non possiede uno stile architettonico particolare, la porta principale è di semplice fattura, in cima ad essa è posta la data del 1509. La porta laterale, quella prospiciente la via omonima, è costituita da un arco di viva pietra in stile romano, opera del XVII secolo. Il suddetto arco porta impressa un'iscrizione corrosa dal tempo, vi è scritto: IUS PATRONATUS FRATRUM S.MARCI A.D. 1604 Oggi la chiesa di S. Marco, all'interno, non presenta che quattro pareti spoglie. I meravigliosi stalli corali, opera monumentale dei secoli scorsi che secondo l'illustre prof. Frangipane erano dovuti all'estro degli artigianali locali, sono andati perduti definitivamente. Lavori maldestri, eseguiti negli anni sessanta, che hanno trasformato per un periodo breve la chiesa in teatro, hanno distrutto definitivamente un'autentica opera d'arte e una notevole tradizione ecclesiastica. I fedeli della chiesa di S. Marco erano un tempo organizzati in congrega ed erano tenuti in conto nella realtà del piccolo paese.

LA CHIESA DI SANT'ANDREA APOSTOLO

Nella parte alta di Marzi sorge la chiesa dedicata a Sant'Andrea apostolo e martire. Occupa la periferia nord del paese e domina l'intero panorama di esso. Come caratteristica costruttiva è una chiesa semplice; solo un portale di pietra scolpita, risalente alla fine del settecento, conferisce ad essa un motivo architettonico discreto. Come per la chiesa di S. Barbara, anche in questa esiste un ampio sagrato con scalinata, certamente utilizzato come luogo di raduno per l'espletamento delle funzioni amministrative del Parlamento. Sulla sinistra della chiesa si erge il campanile, di forma quadrangolare, non molto alto. L'interno è modesto, esistono delle tele ma di pittori ignoti; la più suggestiva è certamente quella in corrispondenza dell'altare maggiore, in essa si evoca il martirio 6 dell'apostolo. E' di grandi dimensioni e reca la data del 1830. Interessante è la cappella della Madonna della Consolazione, posta a sinistra della unica navata. Da notare qui l'altare ligneo pregevole e gli stalli del coro di grande arte lignea. Il professore Alfonso Frangipane li ha catalogati come opera monumentale fin dal 1928. Essi sono di sicura fattura locale.

Il centro storico

Il centro antico di Marzi, vero gioiello di urbanizzazione tardo medievale si presenta ben curato, poco speculato e sostanzialmente con tutti i caratteri originari. L'intero sistema di case, costruite in successione e attaccate fra di loro non hanno richiesto opere di sbancamento ma si sono adagiate seguendo la morfologia tipica della collina e non impedendo la formazione di piazze, piazzette, vicoli, slarghi e cortili. Allontanandosi un po' dal centro storico si nota invece un'alterazione della bellezza del paesaggio, alcune costruzioni, realizzate in maniera irresponsabile e favorite per la carenza di apposite norme urbanistiche hanno architettonicamente degradato il tessuto urbano esistente. Ritornando al centro storico è auspicabile renderlo usufruibile come un tempo, quando piccole attività familiari artigianali ne consentivano un punto di riferimento per l'intreccio di rapporti umani sempre più stretti. La corona di piccole unità abitative, pur se comode e belle, non consentono e non favoriscono l'intreccio di relazioni sociali. Queste si formavano un tempo nelle cosiddette rughe e negli slarghi, luoghi di serenate e di approcci anche romantici e sentimentali. L'attivazione della vita nel centro antico diventa, quindi, indispensabile per non perdere l'identità paesana, vera armonia di una comunità che può esprimere il suo passato, anche se talvolta rissoso, per meglio calibrare il futuro che si affaccia al terzo millennio. L'impegno di chi amministra è pertanto delicato: deve orientarsi a che il centro storico diventi cerniera con il resto del territorio. Ben vengano, intanto, i recuperi degli alloggi, però devono essere ricuperati anche gli antichi magazzini e attivarli così come avviene annualmente nella rappresentazione del Presepe vivente, tramite la quale moltissimi hanno riscoperto il fascino delle viuzze e dei bassi da tempo chiusi e abbandonati. Pensare ad un museo demologico distribuito per quanti bassi si possono attivare sarebbe già una prima idea valida. Ritornare ad impiegare gli antichi torchi dell'uva e delle olive, attivare le fucine, le vecchie falegnamerie e calzolerie non sarebbe una malsana idea. Darebbero al centro storico, pur se utilizzate in maniera sporadica, vita e alto interesse, specialmente per i ragazzi che non hanno mai visto o ammirato simili cose. Le idee quindi non mancano, sta a qualche assessorato dare inizio alla realizzazione di questo piccolo sogno.

Luigi COSTANZO

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