Livio Berruti Il Romanzo Di Un Campione E Del Suo Tempo

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Livio Berruti Il Romanzo Di Un Campione E Del Suo Tempo COMUNICATO STAMPA Torino, 2 dicembre 2009 LIVIO BERRUTI IL ROMANZO DI UN CAMPIONE E DEL SUO TEMPO I PROTAGONISTI Livio Berruti è nato a Torino il 19 maggio 1939. Durante la guerra cresce tra le risaie a Stroppiana, nel Vercellese. Scopre l’atletica al Liceo Cavour, dove inizia con i salti in alto e in lungo. Quando incomincia a correre, in tre mesi arriva alla maglia azzurra. A Cuneo nel ’58, con 10"3 sui 100, batte il primato di Mariani che resisteva da 22 anni. Nel ’59 sconfigge il campione d’Europa dei 100 Armin Hary al Sei Nazioni di Duisburg, poi, a Malmoe, batte il numero-uno del mondo Otis Ray Norton sui 200. Il 3 settembre 1960 a Roma vince l’oro olimpico dei 200 in 20"5, uguagliando per due volte il record del mondo nello spazio di due ore. Mai un italiano era entrato in una finale individuale della velocità ai Giochi. Per la vittoria olimpica viene nominato Cavaliere della Repubblica (oggi diventerebbe Commendatore). Nel 1961 resta imbattuto. Va in finale ai Giochi di Tokyo nel 1964, quinto sui 200, primo dei bianchi e degli europei. Per tre volte finalista olimpico con la staffetta. Si laurea in Chimica. Lavora prima nell’agenzia di pubblicità P4 di Silvano Pierucci, poi, per tre anni, da Zegna a Trivero e, dal ’72, alle relazioni esterne Fiat. Alla fine è responsabile dell’ufficio-stampa del Sestriere. Dopo lo scandalo-Evangelisti sfida Nebiolo nelle elezioni per la presidenza della Fidal del 1988 e viene battuto. Vice-presidente degli Azzurri d’Italia. Si è sposato nel 1998 con Silvia Balma, avvocato. Vive a Torino. Il 25 maggio 1982, sulla Milano-Torino, ha avuto un incidente terribile, che è la chiave di questa storia. In sala di rianimazione, nell’ipnosi, ricorda la sua meravigliosa avventura. Claudio Gregori è nato a Trento il 1 giugno 1945. Ha studiato all’Almo Collegio Borromeo laureandosi in matematica. Ha insegnato matematica e fisica alle scuole superiori ed esercitazioni di geometria all’università di Trento. Nel ‘4 è andato a Roma a fare il praticante giornalista. Ha lavorato per Il Tempo, Il Messaggero, Il Giornale e, dal 1986, è inviato alla Gazzetta dello Sport. Ha seguito 23 Giri d’Italia e 3 Tour de France. Ha scritto per la Treccani la storia del ciclismo e gli inserti sul doping e il cronometraggio. Ha seguito 12 Olimpiadi, 5 Mondiali di Calcio, 11 di nuoto, 8 di ciclismo e di sci, 3 di atletica, 2 di scherma, 1 di ginnastica e il Motomondiale. Ha scritto tre libri: Labron, la storia di Toni Bevilacqua, Sivori, la biografia del re del tunnel e Luigi Ganna, il romanzo del vincitore del primo Giro d’Italia nel 1909. ALCUNI TEMI • La gara e i suoi protagonisti. L’emozione di una vittoria inaspettata e trionfale, che porta alla ribalta un agonismo pulito, fatto di entusiasmo, di impegno ma anche di allegria • L’infanzia a Stroppiana, gli anni del liceo a Torino, le prime gare e la scoperta della velocità. Formia, l’allenamento con Peppino Russo, gli anni dell’università a Padova, studio, gare e amori. • Livio corre e il mondo intorno a lui si muove altrettanto velocemente: l’uomo va sulla Luna, c’è la Guerra Fredda, c’è il Muro di Berlino a dividere un paese, Giovanni XXIII pronuncia il famoso “discorso della Luna”. Le ferite della Seconda guerra Mondiale sono ancora vive ma a dare speranza ci sono storie come quella di Ben Helfgott, diventato campione britannico di sollevamento pesi dopo aver conosciuto l’orrore del campo di concentramento. • Storie di sport, dove si intrecciano umanità e agonismo: Wilma Rudolph, che da bambina aveva rischiato di non camminare per la poliomielite e vince tre medaglie d’oro a Roma, incantando con la sua corsa. O Dawn Fraser, nuotatrice straordinaria e donna tormentata, Abebe Bikila, che vince a piedi nudi la maratona di Roma e diventa simbolo di un’Africa che cerca di farsi strada, o Luigi Facelli, modesto soffiatore di vetro e campione di corsa a ostacoli che, desideroso di recarsi alle Olimpiadi del 1948, si trova costretto a vendere l’ultima medaglia d’oro. • Ombre sullo sport: il dilagare del doping e le tragedie che porta con sé, polemiche razziali. • Amici, rivali a volte nemici: Mazza, amico e compagno di allenamenti; mano nella mano con Wilma Rudolph; Ottolina, capace di scherzi maliziosi; il difficile rapporto con Mennea. • Storie di città. Varsavia, “campo giochi di Dio”, capace di infinite e sofferte rinascite; Berlino e Budapest; Stroppiana e le risaie che risuonano dei canti delle mondine, e poi Torino, bella e misteriosa, città di caffè eleganti e di tragedie silenziose come quella di Cesare Pavese, culla di sport e di cultura, sede della Fiat e dell’Einaudi. Cultura,sport e industria. ALCUNI PASSI DEL LIBRO Ecco la curva. Rossa come una ferita. Bella e terribile. Rotonda. Perfetta, come disegnata da un dio. Tagliata nel verde, ai piedi della collina. Le pupille la percorrono rapide come levrieri costretti tra due guide bianche. C’è un silenzio di cristallo, quando lo starter punta la pistola contro il cielo. Come se quella canna avesse fermato la vita. È l’istante atteso. L’orologio dello stadio segna le 15.55. Sabato, 3 settembre 1960. La prima semifinale dei 200 è stata appena corsa. L’ha vinta Abdoulaye Seye, un senegalese nero come il carbone, che corre per la Francia. Secondo è il polacco Marian Foik. Terzo lo statunitense Lester Carney. Uomini di tre continenti. Il sole fa ardere le pietre. Sui pini ad ombrello frinire di cicale. Un’occhiata al termometro: 29,5°. Il barometro segna una pressione di 763,6 millimetri di mercurio, 56% di umidità. Berruti vede sei uomini ai blocchi di partenza e si stupisce. Ricorda la scena. Il suo punto di vista, però, era diverso. Un tempo vedeva solo le sue mani appoggiate, la sagoma sfuocata di Peter Radford sulla destra e la tennisolite rossa che le lenti facevano sembrare bruna. Ora guarda dal cielo. Come un cameraman. Vede l’ellisse dello stadio. Il prato verde. La pista rossa. Le righe bianche e sottili. E sei puntini. Ora il suo occhio ha il potere prodigioso dello zoom. Ecco prendere forma la fila dei cappelli chiari dei giudici sopra il filo di lana. Ecco la gabbia del martello, spettrale come una prigione. E, accanto, sei uomini accovacciati. Riconosce una maglia azzurra. I calzoncini bianchi. Il 596. Il suo numero nero in campo bianco. Riconosce i dischi scuri degli occhiali… ☼ …. Nell’antica Grecia l’allenatore era un tektòn, un costruttore di atleti. Con Berruti Russo fu un cesellatore, un orafo. Non c’era da costruire, solo da correggere, da rifinire. Russo era un competente, una persona di grande onestà, un gentiluomo d’antico stampo e un parlatore formidabile. Come el hablador di Vargas Llosa, è il testimone che narra le storie che ha raccolto. Con la sapienza lo nutriva. La parola e il gesto. L’atleta si esprime con il gesto. Il campo di allenamento, però, è tempio della parola. I consigli di Russo cadevano su Livio fitti come gocce di pioggia. Berruti risente la sua voce: <Devi mantenere la velocità dai 45 metri in poi. Questo è il problema!>. Il velocista raggiunge la punta massima di velocità dopo 40 metri. Poi non può più accelerare. Deve conservare la velocità. <Dobbiamo creare la resistenza alla velocità>, gli diceva, spronandolo. Con Livio non era facile. Era un discepolo recalcitrante alla fatica. La parola paziente, che illumina, era necessaria… ☼ … La corsa è armonia. Basta osservare l’antilope, così elegante. Anche la lepre, quando è lanciata, ha una grazia, che, quando è immobile, non ha. La corsa trasforma Berruti. <È sempre stata naturale per me. Il modo più semplice per sprigionare le energie. Una liberazione dalla costrizione della marcia. Quello che è il volo per gli uccelli>, pensa. <Il mio modo di muovermi>. Ciascuno corre a modo suo. Davanti a Berruti ci sono molti modelli. Sprinters piccoli e compatti, come Murchison, Willie Williams, Figuerola o il famoso Archie Hahn, The Michigan Midget, Il Nano del Michigan. Anche Eddie Tolan sfigurava accanto a Ralph Metcalfe. Altri sono normotipi come Arthur Duffey, primo grande sprinter del ventesimo secolo, oppure Howard Drew, primo nero americano di classe mondiale, o Charlie Paddock. Jesse Owens era alto 178 cm e pesava 71 chili. Ci sono poi longilinei potenti, come Harold Abrahams, Ralph Metcalfe, Bobby Morrow, Dave Sime, Ray Norton. Come, più tardi, saranno Tommie Smith, Steve Williams, Carl Lewis e Usain Bolt, che, 196 cm per 88 chili, è il più alto di tutti. I longilinei sottili, invece, sono rari nella storia dello sprint. Berruti, 180 cm per 66 chili, appartiene a questa ristretta élite, insieme a Melvin Patton, detto Skinny, il Magro, 185 per 66, e a Peter Radford, 180 per 61. Per non parlare del canadese Percy Williams, 1.78 per 57 chili, il più leggero degli sprinter olimpionici… … Marilyn Monroe e Brigitte Bardot sono le icone della classe. Con James Dean e Elvis Presley. Sorridono da una finestra nuova, la tv. Fosforescenti e fragili. Marilyn è un babà biondo. Ha appena sposato Arthur Miller davanti al giudice della contea di Westchester e, due giorni dopo, convertendosi a tempo di record, davanti al rabbino. Brigitte ha appena lasciato Roger Vadim, che l’ha lanciata in Et Dieu…créa la femme. Il loro sorriso seduce. Eppure intorno a Marilyn c’è un alone di tenebra. Arriverà fino a Bob e John Kennedy. Farà il bagno nella suite del presidente all’Ambassador di Hollywood. Lo conoscerà nell’intimità della Crystal Room. Poi sprofonderà nel sonno dei barbiturici.
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