Giacomo B. Contri

THINK ! 2007

Sic Edizioni Online

Sommario

Sommario ...... 2 SENZ‟ANIMA ...... 8 Poscritto: “L‟asino d‟oro” ...... 10 BELLO DENTRO ...... 12 GODIMENTO: GODIMENTO E GIOIA, JOUISSANCE E JOIE, GOZO E GOCE...... 14 PARMENIDE GIORNALISTA ...... 15 M‟AMA NON M‟AMA...... 16 ANIMA GEMELLA ...... 17 DOMENICA ...... 18 Non nominare il nome di Dio invano ...... 18 GIORNALISMO, PSICHIATRIA, DELITTO. IL CASO DI ERBA ...... 19 OLFATTO: PROFUMI O DEODORANTI ...... 20 IL MODERNO DEL GENERAL CADORNA ...... 22 L‟AMORE PER BUSH E LA FILOSOFIA...... 23 IL CLUB DELLO CHAMPAGNE...... 24 “SOFFRO” ...... 26 DOMENICA ...... 27 SUORA O ACROBATA?...... 28 “IMBRANATO”, O LA FILOSOFIA DELLA VITA QUOTIDIANA ...... 30 “SOFFRO” (bis): IL DESIDERIO DELL‟INFERNO ...... 32 TI SPUTO!, O: AVIS AUX AMATEURS ...... 33 SANZIONE DEL PARRICIDIO ...... 34 L‟AZIONE DI CON-TRISTARE...... 36 DOMENICA ...... 37 Ecce homo, o il profitto ...... 37 LA GRATA MODERNA. O LA LIBERAZIONE ”DA” BAMBINO ...... 38 UN TIPO EQUILIBRATO (“EQUILIBRIO” 1°, SEQUITUR) ...... 40 VIVA LA CINA ...... 41 IO SONO L‟ALTRO DI UN ALTRO, E I PACS ...... 43 OBBLIGO DI RISPOSTA ...... 45 VERONICA AND SILVIO, O LA POLITICA ...... 47 DOMENICA ...... 50 NON COPIARE! ...... 51 DISPREZZO PER IL CORPO ...... 53 CHE GIOVA NE LE FATA DAR DI COZZO? ...... 55 E‟ BENE CIO‟ CHE FINISCE BENE ...... 56 UBI BENE IBI PATRIA, O L‟INDIGNAZIONE IMMORALE ...... 58 I PACS DI KANT...... 59 DOMENICA ...... 61 Istituzioni ...... 61 SPAZZATURA E “SOCIALE”: LA SCARITA‟ ...... 62 IL BUTROQUE E LA PECHERONZA: NOI E IL LINGUAGGIO ...... 63 1° LA MAMMA 2° LA FIGLIA 3° LA GONNA ...... 65 VITA E’ PENSIERO ...... 66 EMOZIONI DEL PENSIERO ...... 67 LOGICA E EMPIETA‟ ...... 68 DOMENICA ...... 69 La nevrosi negativa della perversione, e lo psicoanalista ...... 69 IL “NON POSSUMUS” DEL BAMBINO ...... 70 IL BAMBINO E LA MORTE ...... 71

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GLI DICO DI NO ...... 73 IL BAMBINO E LA MORTE (BIS). E I GRECI ...... 74 CHE PIOLA DI FIOLA ! ...... 76 CARNEVALE E CLERICALISMO UNIVERSALE ...... 78 DOMENICA ...... 80 La pietra scartata (Salmo 118, 22), o l‟Istituzione negata ...... 80 LE TRE INCONSISTENZE: POLITICA, LOGICA, INDIVIDUALE ...... 82 GIORNALISMO PERFEZIONATO: IL PUZZO FEMMINILE ...... 83 GIORNALISMO PERFEZIONATO (bis): UN ATTO PATOGENO ...... 85 QUESTO BLOG E IL MESSIA ...... 86 CAUSA PERSA ...... 88 L‟ INTELLIGENZA DELL‟ HOMO DEBILIS ...... 89 DOMENICA ...... 90 Nevrosi negativa della perversione ...... 90 Bambino polimorfo...... 90 “GRANDE”, O L‟INFANTILISMO ...... 92 LA DONNA FACILE E L‟ECONOMIA ...... 94 TUTTO IL MONDO E‟ PROVINCIA ...... 95 VINO DALL‟UVA, SANGUE DA UNA RAPA: LA METAFISICA ...... 96 METAFISICA E PSICOANALISI ...... 98 DIFFAMAZIONE, STUPRO, MOLESTIE AL TRIBUNALE FREUD ...... 99 DOMENICA ...... 100 Freud con Gesù ...... 100 DICO: PANSESSUALISMO!...... 102 PICCOLOGRANDE: DELLA SOVRANITA‟ ...... 103 DEBITI: INSEGNARE IL “PADRE NOSTRO” AI GENITORI ...... 105 “MI PENTO E MI DOLGO DEI TUOI PECCATI” ...... 106 IL PENSIERO DI NATURA ...... 107 Presentazione (quarta di copertina)...... 107 NON ABBRACCIATEVI ! ...... 108 DOMENICA ...... 110 Padre e Psicoanalista (a proposito del “figliol prodigo”) ...... 110 “NON AVETE DA PERDERE CHE LE VOSTRE CATENE” ...... 112 L‟EDUCAZIONE IRREDENTA ...... 113 METAFISICA METAFAMIGLIARE, O TRASCENDENZA EDIPICA ...... 115 IO BAMBINO DI STRADA, E ROUSSEAU ...... 117 IL SINEDRIO GRECO SOTTO LA CROCE ...... 119 STORIELLA STORIOGRAFICA SUL VIZIO DI FAMIGLIA ...... 121 DOMENICA ...... 123 Persona senza persona, o l‟anticoncezionale del pensiero ...... 123 IL VERO SCANDALO, O LE VALLETTE MISSIONARIE ...... 125 DEFORMAZIONE GENETICA E DELLA LINGUA: IL TERRORISMO ...... 126 VENIRE-MENO: LA RAGIONE DI UNA SCIENZA ...... 127 TOLKIEN E CRISTO...... 128 “SONO STONATO!”: O LA GHIGLIOTTINA O LA CURA ...... 130 L‟AUTORITA‟ DI IPSE DIXIT ...... 131 DOMENICA ...... 133 Eremita, Istituzione del pensiero ...... 133 SISTEMATICO / VANDALICO: E DUE TEST DI AFFIDABILITA‟ ...... 135 SUBLIMAZIONE: IL PASSAGGIO AL QUA-QUA DEL PREDICATO ...... 136 IL COMUNISMO DI S.TOMMASO E LA SALUTE ...... 138 PSICOANALISI, WEB, COMUNISMO ...... 140 “LA LINGUA BATTE…”, E LA MEMORIA ...... 141 CHE COSA MI ATTRAE DI UNA DONNA? ...... 143

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LACAN E TOLKIEN ...... 145 DOMENICA ...... 146 La sublimazione pornografica ...... 146 “ONLY YOU”, LE DONNE E LA TRINITA‟ ...... 148 I MIEI MAESTRI, IL MIO PARROCO, E IL PERMESSO ...... 149 L‟UMORISMO NERO DI J. LACAN, E LA GALLINA ...... 151 DUEMILA ANNI DI SESSO DI TROPPO ...... 152 “LI AMMAZZO TUTTI !”, E L‟ECONOMIA ...... 153 “FEMMINILE”, E LO PSICOANALISTA ...... 155 DOMENICA ...... 156 La paranoia degli psicoanalisti (con l‟eccezione di Freud) ...... 156 RIPRENDERO‟ LUNEDI‟ 30 APRILE ...... 158 CREAZIONE INTELLIGENTE, O L‟IPODOTATO DIVINO...... 159 1° MAGGIO, FESTA DI QUALE LAVORO? ...... 162 DIO PARLA ITALIANO ...... 164 GIOVENTU‟ D‟ORATA ...... 166 AFFIDABILITA‟, FEDE, PSICOANALISI ...... 168 FAMILY: DAY AFTER ...... 169 DOMENICA ...... 170 Freud legislatore ...... 170 NEVROSI, DIRITTO, INFERNO: “BUGIARDO!” ...... 172 PEDOFILIA ALLE PORTE DELLA CITTA‟ DEI PAPI ...... 173 SACRO FETICISMO PEDOFILO ...... 175 PIO XII, PIO XIII, … NICEA E FREUD ...... 176 DOMANDE EROTICHE, E IL COSMO ...... 178 SABATO DOMENICA ...... 180 Lo handicap universale ...... 180 IL CLUB DELLO CHAMPAGNE OVVERO: ORA LABORA ...... 182 RIPRENDERO‟ LUNEDI‟ 21 MAGGIO ...... 184 VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA ...... 185 L‟AMORE DEL MULINO ...... 187 “LA MAMMA HA MALE AL MIO STOMACO” ...... 188 1977, E L‟AMORE ...... 189 LIBERTA‟ SESSUALE, PAUPERISMO, INFERNO ...... 191 SABATO DOMENICA ...... 193 Essere all‟altezza, senza bassezza...... 193 LO HABEAS CORPUS FREUDIANO ...... 195 LE LACRIME SADICHE DI OPPENHEIMER ...... 196 AMICI ...... 197 VILTA‟: DEL PENSIERO...... 198 EROTISMO, PORNOGRAFIA, ECONOMIA ...... 199 SABATO DOMENICA ...... 201 Oppure fare l‟Università ...... 201 AMORE E INTIMITA‟: IN INTERIORE FOEMINA ...... 202 L‟ORDINE DI UN ALTRO ...... 203 MADONNA ...... 204 TI RACCOMANDO A DIO ...... 206 IL GOVERNO E I ROSARI DEI BRIGATISTI ...... 207 SABATO DOMENICA ...... 208 Comitato di Salute pubblica ...... 208 I LAPSUS DEI POLITICI E IL PIU‟ ANTICO VELENO POLITICO ...... 210 LE RAGAZZE DI AMSTERDAM ...... 212 CAPITALISTA E PSICOANALISTA ...... 213 SCIOGLILINGUA ...... 214

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ANZIANITA‟ DEL PENSIERO ? ...... 215 SABATO DOMENICA ...... 216 Menzogna e logica ...... 216 LA TRINITA‟ DELL‟IO ...... 217 TRINITA‟ DELL‟IO E PSICOSI ...... 219 ISTITUZIONI DEL PENSIERO ...... 220 IMMATURA MATURITA‟ ...... 221 META SESSUALE E COMICA DRAMMATICA ...... 222 SABATO DOMENICA ...... 223 Un uomo di fede ...... 223 IL SOGNO DELL‟ “UOMO SPOSATO” ...... 225 IN PACE CON LA COSCIENZA? ...... 226 UOMINI ABBORRACCIATI...... 227 ZATTERE, NAVI, PONTI (PLATONICI) ...... 228 L‟ALTEZZA E LA SUPERBIA ...... 229 SABATO DOMENICA ...... 230 Diventare l‟uomo ...... 230 INTER NOS SACERDOS… ...... 232 RECLAMARE IL CORPO ...... 233 PUERI DE GREGE PORCUS ...... 234 R. E LA PEDOFILIA PIU‟ GRAVE ...... 236 PER NON ANDARE IN AMORE ...... 237 SABATO DOMENICA ...... 238 Le Déjeuner sur l’herbe e il diritto ...... 238 INGANNI QUOTIDIANI: DONO, OSPITALITA‟ ...... 240 ANORESSIA E ISTINTO DI CONSERVAZIONE ...... 241 LA FORZA DEL DESTINO ...... 242 UÌTTENGSTEIN E LETTINO ...... 244 SABATO DOMENICA ...... 245 “Non ci siamo!”, a Berlino ...... 245 IL MULINO DEL DIAVOLO ...... 247 ERRORI SULL‟AMORE ...... 248 IL N‟Y A PLUS LE CŒUR ...... 250 QUANTO DURA UN ERRORE ? ...... 252 A COSA SERVE UNA DONNA ...... 253 SABATO DOMENICA ...... 255 La transustanziazione freudiana ...... 255 VACANZE ESTIVE...... 258 THINK! ...... 259 UN NUOVO INIZIO, E L‟“OGGETTO” ...... 260 L‟OGGETTO “CONOSCENZA”, E L‟ESISTENZA DEL VENEZUELA ...... 261 L‟OGGETTO, L‟ANORESSIA E MICHELANGELO ...... 262 IN-CESTO”: L‟AMORE SENZA L‟OGGETTO “AMORE” ...... 264 CASTRAZIONE, O L‟INTOLLERANZA DELL‟OGGETTO ...... 265 SABATO DOMENICA ...... 266 INFANTICIDIO, POPOLO, CORPO, ABORTO ...... 268 “VERUM CORPUS” IN MORTE DI PAVAROTTI ...... 269 SABBIA E SABBIE MOBILI...... 271 GIUDITTA MANNARA ...... 272 SENZA SCRUPOLI ...... 273 SABATO DOMENICA ...... 274 ANGOSCIA E TATUAGGIO ...... 275 IL SACCO O CAPOLINEA, E LA FINE DELL‟ANALISI ...... 276 MEDICO ANZI VETERINARIO ...... 277

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MEDICINA ANTI-PATICA ...... 278 LA CARROZZERIA DI PLATONE ...... 279 SABATO DOMENICA ...... 281 Corpus vile ...... 281 SODOMA E GOMORRA CELESTI ...... 282 STAMINALI, FANTASCIENZA, VITA ETERNA, ANGOSCIA ...... 283 UN ONESTO SOGNO, E L‟ “INCONSCIO” ...... 284 PROSTITUZIONE E BESTEMMIA ...... 286 PROSTITUZIONE E BESTEMMIA (seguito) ...... 287 SABATO DOMENICA ...... 288 La ragione di Bin Laden missionario ...... 288 AMORE, IMPUTABILITÀ, TECNICA...... 290 IL MALE DEL “BENE”, E IL GIORNALISMO ...... 292 LA TEORIA, O LA PRIGIONE DEL CORPO: GUARIRE DA PLATONE ...... 293 AMORE MATERNO, O L‟OSCURANTISMO UNIVERSALE ...... 295 LA “BELLA” INDIFFERENZA ISTERICA, E LA VOCAZIONE O ECCITAMENTO ...... 296 SABATO DOMENICA ...... 297 Sulla bellezza...... 297 UN MOTO CHIAMATO “AMORE” ...... 298 UN MOTO CHIAMATO “AMORE” ...... 300 LO HANDICAP MASCHILE, O L‟OGGETTO “UOMO” ...... 301 STRAGI E SAGOME ...... 302 DALL‟ADOLESCENZA ALL‟ADOL-ESSENZA ...... 303 CANNIBALISMO E ANORESSIA ...... 304 ARBITRIO ...... 305 SABATO DOMENICA ...... 306 IL MISTERO E IL GATTO ...... 308 NOIA: QUESTIONE PSICOLOGICA, MORALE, POLITICA, TEOLOGICA ...... 309 FACCI SOGNARE PADRONE ! ...... 311 AMOR DI FRASE ...... 312 LA COMPETENZA GIURIDICA E ECONOMICA DELL‟INDIVIDUO...... 313 SABATO DOMENICA ...... 314 CHI E‟ ? ...... 314 L‟ ORGONE E IL DOCETISMO ...... 315 LA DUPLICE RADICE DELL‟ETERNITA‟ ...... 316 IL MEDICO E L‟INIQUITA‟ MEDICO-TEOLOGICA ...... 317 PREGHIERA: ARROGANZA E SAPERE ...... 318 LA LUNA E LA PULSIONE ...... 319 SABATO DOMENICA ...... 320 SI VIVE PER MANGIARE ...... 321 CONTEMPLAZIONE CRIMINALE ...... 323 LA CATTIVA ISPIRAZIONE...... 325 UOMO INGANNABILE ...... 326 L‟ATTACKAMENTO ...... 327 SABATO DOMENICA ...... 328 CHI E‟ ? ...... 328 IL GOVERNO IN FUMO, O LA TEOLOGIA POLITICA ...... 330 IL CELLULARE DELL‟OSSESSIVO ...... 331 VISTA E VISIONARIETA‟ ...... 332 L‟ALTRA CIVILTA‟: OCCHIO O ORECCHIO ...... 333 IMBECILLE E CATTIVO...... 334 SABATO DOMENICA ...... 335 Sogno e stomaco ...... 335 SCACCHI, GUERRA, ECONOMIA, INTELLIGENZA (FLAUBERT)...... 336

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‟68: I FIGLI DI UNA PROMESSA ...... 337 FIORI, GATTI, STELLE ...... 338 UN SOGNO COME TRIBUNALE ECCLESIASTICO ...... 339 PII DESIDERI, O LA DOLOSA E DOLOROSA FORTUNA ...... 340 SABATO DOMENICA ...... 341 L‟a-uomismo ...... 341 MATERIALISMO, ACINI, PETROLIO, DONNE (E UOMINI INUTILI)...... 343 IMBRANATO ...... 344 IL PIZZO ALLA MAFIA CELESTE ...... 345 BEATE EMOZIONI ...... 346 CHE PSICOANALISTA! ...... 347 SABATO DOMENICA ...... 348 O PSICOANALISTA O PENSIONATO ...... 349 L‟AMORE E I SUOI FACIN(AM)OROSI...... 350 CINQUECENTO x UNO: PSICOSI PURA E SERIAL KILLER ...... 351 DESIDERIO “DI” UN FIGLIO ...... 353 CASTI SOGNI ...... 354 SABATO DOMENICA ...... 355 Perfezione, pulsione di morte, invidia ...... 355 LAVORO E FALLIMENTO ...... 357 TEMPO E ANGOSCIA ...... 359 MISTICA, E R. BARTHES ...... 360 UN ANNO DOPO … ...... 361 FURTO, PRENDERE ...... 362 SABATO DOMENICA ...... 363 AUGURI DI NATALE ...... 363

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Lunedi 8 gennaio 2007

Auguri per un anno 2007 veramente nuovo o

SENZ’ANIMA

o senza distinzione anima/pensiero: la divisione dello spirito è tanto più grave se, posta la distinzione, poi se ne cerca una “sintesi” da neve sporca.

“Anima”: sorta di istinto alto, poi vengono quelli bassi. Comunque (anche in Dante e non solo in Platone): “Tutto il potere all‟istinto!” come ai Soviet.

Non nasciamo con l‟anima: nasciamo con la facoltà di pensiero, che significa, come è stato scritto molti secoli fa, “a immagine e somiglianza di Dio”.

Ci è voluto Freud per ritrovare il pensiero precedentemente mistificato dall‟anima.

C. G. Jung ha rilanciato l‟anima, non a torto ma senza riconoscervi il male dello spirito, la psicopatologia: lo ha poi fatto lo junghizzante J. Lacan, infatti per guarire bisogna perdere l‟a(nima).

Con un tocco di grecità: l‟anima è un ύστερον πρότερον (già Freud): qualcuno ce l‟ha messa (cioè è secondaria, ύστεςος, come il coniglio nel cappello), facendoci poi credere che era lì dall‟inizio e eterna (cioè che è primaria, πρότερος).

L‟uomo che ha fatto questa operazione culturale per l‟intera umanità è stato Platone, e con successo enorme, incontrastato, senza difesa (ci voleva Freud per cominciare ad approntare una difesa).

Qualche sforzo è stato poi fatto (Aristotele) per dare un ritocco o riforma all‟idea, facendone la forma o principio formale del corpo, ma lo scopo nonché il risultato era lo stesso dell‟idea iniziale: quello di nascondere che la forma del corpo, la sua forma dinamica cioè la sua legge di moto, è elaborata dal pensiero, non è data bensì posta.

Ciò incessantemente, o se vogliamo eternamente: sono contrario soltanto all‟eternità dell‟orologio rotto (“eterno” è ambiguo).

Del resto, per concepire l‟eternità non ci servono voli spirituali, basta l‟osservazione dell‟eternità della psicopatologia, che è pensiero (mal)animato anziché (ben)animante, vita natural durante e con trasmissione in saecula saeculorum: risolvibile sì, distruttibile no (è l‟illusione del “Signore degli anelli”, che riesce solo a concepire una risibile soluzione fisica).

“Libero arbitrio” è solo un nome del pensiero formatore, o del pensiero integro (non decurtato né deformato, anzitutto dalla rimozione) elaborante forme, senza causalità (a partire dalla prima frase del mattino, o dall‟epiteto che prescelgo per qualificare un atto).

Nella seduta psicoanalitica questa libertà, o la sua mancanza, è al primo posto.

“Anima” è solo un nome della famiglia delle Teorie patogene (Platone è il campione del θεορέιν: non molto scientifico a dire il vero).

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Il male è la caduta del pensiero, propiziata dall‟ascesa dell‟anima.

Ma il pensiero non lo si perde tutto, neppure nella schizofrenia catatonica più immobile, né nell‟autismo infantile più precoce.

Ciò che ne resta, in parte si dedica vendicativamente quando non odiosamente ad… animarsi sul modello dell‟anima per fare l‟inferno: ha così inizio il vandalismo nelle sue molteplici forme, anche colte, a volte abbigliato dell‟ideale di bontà, il che chiamiamo “formazione reattiva” (maquillage del sadismo: l‟Inferno è lastricato di buone intenzioni, non di buon pensiero cioè pensiero).

Platone oltre che avvelenatore (J. Derrida, “La farmacia di Platone”) è stato commerciante, come l‟Uomo Bianco che vendeva ai selvaggi perline e specchietti: i “selvaggi”, cioè noi, non si rendono conto che diventano selvaggi dopo l‟acquisto, non lo sono prima (salvo l‟ingenuità, che è la porta aperta al greco cavallo di Troia).

Eros, l‟amore platonico, lo specchietto, “occhi negli occhi”, il narcisismo: eccoci selvaggi coltivati.

L‟anima può solo andare… all‟Inferno: il cui concetto è quello del posto giusto per l‟anima.

Non è l‟anima che va all‟Inferno: è l‟Inferno che si definisce dall‟anima.

Nel mercato letterario del patto col diavolo, questi finge di comprarla a caro prezzo - salvo poi imbrogliare il venditore, ma solo per ingannarlo doppiamente sul suo valore - per lasciar credere che abbia valore.

Ci sono prove che Platone si divertiva (benché perversamente, vedi “Simposio”), e ciò lo rende un po‟ meno diabolico (il Diavolo ha poco-niente da divertirsi): me lo vedo al Purgatorio, non all‟Inferno.

Ma il Diavolo, che se ne fa di una pattumiera che non può neppure riciclare?

Rispondo che vuole mettere in difficoltà anche Dio riducendolo al proprio rango: metà anime ognuno, a Dio le anime buone della formazione reattiva.

Semplice e “geniale” il ragionamento del Diavolo: se Dio si portasse un‟anima in Cielo sarebbe perduto!

Il Diavolo resta un idiota che ha l‟“intelligenza” di mettere a frutto la propria idiozia (come i pidocchi che fanno pidocchi): così va il Mondo.

Logicamente interessante il capitolo evangelico della tentazione nel deserto, in cui Gesù non si fa “fregare” dal Diavolo: infatti il Diavolo propone a Gesù di vendergli l‟anima (di prostituirsi), ma Gesù, al solito, gli contrappone il suo pensiero, mostrando non di non volergli “dare” l‟anima ma di non averla, e di non voler accedere a tale credenza diabolica.

In fondo Platone è un test d‟intelligenza: tenta gli uomini come il Diavolo ha fatto con Gesù (risultato del test: siamo cretini!)

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Resta una questione storiografica inedita, riguardante tutti e non i soli cristiani: come abbia potuto accadere che noi cristiani abbiamo venduto il pensiero al diabolico dell‟anima, proprio mentre ricevevamo il nostro comune nome da un pensatore il cui pensiero, nonché annullare razionalmente la necessità della religione, non comportava minimamente l‟idea di anima (radicalmente non era platonico, e in generale ellenizzante).

Per di più, l‟abbiamo fatto senza accorgerci che l‟idea di anima è omofila, “amore platonico”, Eros: salvo poi “salvarci” sull‟orlo del precipizio escludendo dal Cielo l‟incontro sessuale, oscuramente intuendo che, se fosse, sarebbe omosessuale (sull‟omosessualità noi cristiani siamo sempre andati zoppi, e si vede).

Il dato secondo me più sbalorditivo dell‟era cristiana è, malgrado una intensa continua e spesso fine indagine morale particolarmente riguardo ai vizi capitali, l‟assenza di ogni individuazione della perversione, unita alla fretta di consegnare la psicopatologia ai medici a partire dalla nevrosi (conseguenza del “peccato originale”, ho scritto): il primo pensiero di J. Lacan che mi ha conquistato nel 1967 è stato la sua osservazione che Freud aveva fatto rientrare la psicologia nell‟ambito della morale.

La questione - l‟ho già detta - è: come è possibile che nei secoli noi chrétiens siamo stati tanto crétins.

Conosco persone che scriverebbero un libro di trecento pagine per dire ciò cui io ne ho dedicato due: ecco inventata la psicoterapia breve, ma nessuno ne vuole sapere e la preferisce infinita ossia nulla.

Auguri!: l‟uomo che ha domani sia con pensiero - del cui composto l‟affetto è parte senza separate emozioni - senz‟anima.

Cogito ergo amo.

Poscritto: “L’asino d’oro”

Un poscritto telegrafico.

Ho appena rinfrescato la mia lettura dell‟“Asino d‟oro” di Apuleio, in cui Lucio per incantesimo o maleficio diventa un asino, poi alla fine ritorna uomo ossia guarisce.

Ossia l‟animalità umana è non natura ma patologia.

Non occorre attenersi alla favola della trasformazione fisica, basta pensare a quella psichica, in cui Lucio ossia ognuno di noi è stato ammalato a credere (Teoria) di avere degli istinti - ma Lucio non ci cade pur soffrendone -, ossia di muoversi per leggi naturali, poi distinte in umane e divine (l‟istinto umano come finito, quello divino come infinito, insomma la favola infinita).

Brevissimamente. Riguardo alla prostituzione, la “virtù” non consiste nell‟astinenza (o almeno moderazione) quanto alla soddisfazione dell‟istinto, ma semplicemente nel riconoscere che non ci sono istinti.

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Nella summenzionata tentazione nel deserto, il Diavolo si rivolge a Cristo come a una prostituta, con proposta di mercimonio: ma quest‟ultimo gli risponde non che non gli darà l‟anima, ma che non ha alcuna anima da dargli, insomma che il Diavolo era proprio un idiota.

L‟anima è stata proposta come istinto alto: ma quando esaminiamo le perversioni, troviamo che nella loro bassezza esse si propongono come veramente sublimi. Belle! (ancora il “Simposio” di Platone).

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Martedi 9 gennaio 2007

BELLO DENTRO

Ho dedicato non poco all‟articolo sull‟anima appena precedente: suggerisco ai miei pochi lettori di rileggerlo.

L‟anima è bella “dentro”, anche se l‟“anima bella” di Hegel aveva ancora la deodorata purezza dei banchi universitari.

Che cosa è il “bello dentro” lo dice ridancianamente Alcibiade nel “Simposio” di Platone, riparandosi dietro l‟essere ubriaco (“in vino veritas”, poi Kierkegaard).

In breve egli dice che Socrate è brutto fuori ma bello dentro: ma che altro sono gli oggetti “belli” (gli αγάλματα) dentro il brutto Socrate?, e ciò per quel sodomita dichiarato che è Alcibiade?

Devo proprio ripetermi?, ripetere il senso di questo risibile e non oscuro enigma platonico: sono le feci del retto di Socrate (“pure” feci).

Il retto è la rett-itudine di Socrate (che poi manda Alcibiade a fare in… a Agatone): amore platonico.

Non sono le feci del bambino, capace di inquinarsene divertito: sono feci logiche che inquinano il pensiero.

C‟è un merito di Platone: lui almeno sapeva cosa significa il “filosofare” della Teoria: c‟è voluto Freud per scoprirlo.

Un altro esempio di oggetti “belli” è quello dato da E. A. Poe: i trentadue candidi denti strappati a Berenice dal suo sposo in un “raptus” analogo a quello della comoda, retorica, furbesca ubriachezza di Alcibiade.

Poi, un logico potrebbe costruire astrattamente (qualcuno l‟ha fatto, so chi) la classe di tutti gli oggetti del “Bello”.

Posto questo “Bello”, che cosa ne sarà dei suoi due accoliti platonici che sono il “Bene” e il “Vero”? (quanta predicazione!, prima predicativa poi predicatoria: povere anime!)

Non ho poi così torto quando collego vero e bene alla sola imputabilità - ossia all‟atto -, premiale prima che penale (ma chi non è nella melma della palude platonica del “Vero” e del “Bene”?, palude eterna).

La mia è soltanto una “Critica della Ragion perversa” (penso alla “Critica della ragion criminale”, romanzo recente).

Per finire, un appunto. Una persona nonché donna che non mi è concesso nominare, avendo letto ciò che ho appena scritto sull‟anima, ha rammentato la canzone anni ‟80 di Cocciante, Bella senz‟anima.

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Commento senza motivazione: riconosco volentieri che le donne, anche quelle che trasformerei in scatolette di tonne (non la suddetta), sono meno cretine degli uomini.

Ricordo la Marylin che legge di nascosto la Critica della ragion pura, ma perché di nascosto?: perché lui è cretino, ossia non può pensare che lei legge, cioè pensiero senz‟anima (nessuno può credere che io faccia del femminismo maschile, che tempo fa aveva corso).

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Mercoledi 10 gennaio 2007

GODIMENTO: GODIMENTO E GIOIA, JOUISSANCE E JOIE, GOZO E GOCE

Un cenno, il più breve possibile.

Grande resta la confusione sotto il cielo, quanto al “godimento”: c‟è una medesima confusione nel concetto e nella realtà, intendo la nostra poca realtà di “fantasma” o Teoria.

Neppure noi psicoanalisti ne siamo fuori, anche dopo l‟occupazione lacaniana del campo verbale di questa parola.

In Freud il campo è descrittivamente occupato da tre parole, Lust (piacere), Befriedigung (soddisfazione) e Genuss (anche nel significato giuridico di godimento della cosa; Nutz-niessung significa il concetto giuridico di usufrutto).

Gli “spirituali” di ogni tempo vanno pazzi per la distinzione tra godimento e gioia, in francese jouissance e joie, in spagnolo gozo e goce (sorvolo sull‟inglese).

I fanatici della “gioia” distinta dal godimento sono degli angosciati che negano l‟angoscia, e hanno inventato per esempio che post coitum anima tristis come legge universale, anziché come patologia individuale.

Non c‟è godimento spirituale, “alto”, e godimento corporale, “basso”: anche l‟orgasmo è spirituale (lo riconosceva perfino Tommaso d‟Aquino), senza contrasto con i fenomeni fisiologici che lo accompagnano.

Torneremo sull‟autoerotismo, popolarmente detto “masturbazione” (il monstrum secolare dei confessionali, distinti però tra maschili e femminili): ricordo soltanto che Freud, in un appunto, lo giudicava non soddisfacente (era un giudizio morale, ma di una morale s-postata, cambiata di posto).

Noi italiani potremmo divertirci a scherzare sul goz(z)o fallico delle valli bergamasche - fallico significa cretinismo, ecco perché odiamo Freud -, ma c‟è poco da ridere: sullo sfondo c‟è l‟equazione bipartisan tra godimento e perversione, equazione che presiede alla distinzione tra godimento e gioia.

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Giovedi 11 gennaio 2007

PARMENIDE GIORNALISTA

Riedito un frammento di un mio articolo del 1991 che trovo ancora attuale1 (sono tornato su Parmenide in questo sito, Think! 10 0ttobre 2006):

Il Giornalista va a intervistare l‟Uomo che “sa”, con l‟unzione del piccolo che intervista il Grande, allo scopo appunto, quale?, di “tradurlo” o “spiegarlo” al suo pubblico. E‟ la malattia dei giornalisti, che non collocano se stessi nel pubblico, e così i politici, i filosofi… : è questo il clericalismo. Anzitutto quello (platonico) dei filosofi, che si trasmette a politici e giornalisti: ci sarebbe un sapere filosofico ulteriore, superiore, cui solo pochi hanno accesso. Ecco uno scenario: un giornalista va da Parmenide, Lui, il “terribile”, pregandolo di sintetizzare il suo “profondo”, “difficile”, “superiore” pensiero per il Pubblico che il giornalista rappresenterebbe. Parmenide - un tipo beffardo - ci pensa su, poi pronuncia la storica tremenda frase: “L’essere è, il non essere non è”. Alla fine, il nostro funzionario del ministero della Pubblica Intelligenza si ritira a scrivere il pezzo, magari la notte, per tradurre in “Comprensibile” - che sia esperanto? - il che diavolo ciò potrebbe significare. Non ha capito. Che cosa? Non ha capito Parmenide? Ma no: anche Parmenide potrebbe non avere capito Parmenide (ci vuol altro!). Del resto, dopo due millenni e mezzo i filosofi sono ancora lì. No: non ha capito il proprio mestiere di giornalista (sto parlando di tutti i mestieri): con quella frase, il vero giornalista riuscito era proprio Parmenide, roba da premio Pulitzer, dunque quella frase andava detta al pubblico così com‟era, non per “spiegare”! Applaudo Parmenide, io che proprio non sono parmenideo, né ellenizzante in generale (sono freudiano). Ho scelto apposta un esempio difficile, insomma: o la frase di Parmenide è già giornalistica, buona per tutti, o non lo è, e allora non è buona neanche per Parmenide. E l‟inverso, ossia se non è già buona per Parmenide, allora non è buona per nessuno: non esistono due livelli di frasi del sapere, quelle buone per pochi, quelle buone per tutti (parliamo di schizofrenia epistemologica). Dovrei proseguire sulla Scienza e la divulgazione scientifica (giornalismo specializzato), che inapparentemente aggrava e non riduce la scissione. Non esiste il Freud scientifico e il Freud divulgato: e infatti, correttamente, si vende in Libreria, e perfino in Edicola.

[Nella rilettura ho inserito interpolazioni che trovo pedante segnalare.]

Se proseguissi, lo farei sviluppando l‟“Idea di una Università” di cui parliamo da tempo.

1 In Il Sabato del 2 novembre 1991, nella Rubrica “SanVoltaire” (allora con il titolo “L‟apartheid del sapere”), poi raccolta in libro: Giacomo B. Contri, SanVoltaire, Guaraldi, Rimini 1994.

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Venerdi 12 gennaio 2007

M’AMA NON M’AMA

Siamo appena andati alle nozze di due amici, o conoscenti.

Si amano?, come possiamo saperlo?

Che loro lo dicano non vale nulla, lo sappiamo da millenni.

Che si facciano regali e sacrifici è sempre sospetto.

E allora come sapere?

Aspettiamo sei mesi, massimo dodici, per osservare, che cosa?: non l‟eventuale nascita del bambino, che come tale non è il segno dell‟amore (riparlerò presto di questo antico e terribile errore).

Osserviamo, dal pubblico e non con spionaggio interno, d‟alcova o comunque intra moenia:

che sono diventati più svegli (o “intelligenti”), oppure no; che sono diventati più belli (non “belli dentro”), anche in abbigliamento, gusti…, nell‟abitazione compresa, oppure no; che parlano più riccamente, oppure no; che hanno acquisito novità intellettuali, e politiche, oppure no; che trattano meglio gli amici, attuali e potenziali, oppure no; che sono cresciuti, anche con variazioni, nel lavoro - anzi, che hanno bonificato la loro tradizionale idea di lavoro -, oppure no; che il loro conto in banca è più promettente, oppure no; che gli amici non devono intervenire a fare i pompieri di incendi coniugali (come i preti da secoli), oppure sì; che non si ostacolano nelle nuove idee che nascono autonomamente in ciascuno - ossia che essi non partono dall‟obiezione reciproca sia pure “a fin di bene” -, oppure sì. aggiungete ogni altro indice di incremento di ricchezza, e di non decremento di essa (terremoti o tsunami, anche economico-sociali, a parte); correggete pure in meglio le precedenti formulazioni, aumenterà il sapere; osservate che, per una volta, in questa lista i sessi non sono neppure menzionati (anzitutto nella lugubre forma verbale del “debito coniugale”).

Ora sappiamo che si amano, o non si amano (qui parlo con tolleranza per il corrente e riflessivo amar“si” come sposar“si”).

Noi psicoanalisti serviamo questo sapere, il passaggio a esso: il che ci rende perfino antidivorzisti (il divorzio interiore è la regola di molti antidivorzisti).

I nostri primi nemici sono coloro che brandiscono la parola “amore” senza riscontro nel profitto, o “centuplo”.

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Sabato 13 gennaio 2007

ANIMA GEMELLA

Che orrore!:

le anime gemelle sono fratelli siamesi: o muoiono ambedue, o uno dei due, o comunque ci ambedue.

E‟ solo uno dei tanti orrori linguistici, e logici, che come Teorie infestano e infangano molto praticamente, come premessa teorica, le nostre vite:

“la mia metà”, “l‟amore platonico”, “l‟altra metà del cielo”, “godimento e gioia”, “bella dentro”, “quanto bene vuoi”, “la marcia in più”, “povero bambino”, “La Mamma!”, “mangia che‟ ti fa bene”, “i fidanzatini”, “onesto lavoratore, buon padre di famiglia”, “saltare la cavallina”, “ti ho dato la vita” e cento altre, alcune già segnalate in questa sede.

Se avete pensiero estenderete personalmente, per competenza individuale, la lista, con un‟estensione che vi sorprenderà: fino a chiedervi, spero, quale ne è la logica, come tale astratta, comune.

Estendere la lista significa fare il Tribunale Freud, e come vita quotidiana nonché pubblica.

La lista riguarda personaggi (noi compresi) al di sopra di ogni sospetto, e specialmente nella “Storia del pensiero”, ufficialmente al di sopra di ogni sospetto.

Chiamo “Ordine giuridico del linguaggio” quello emendato da questi orrori, e rinnovato da questa emendazione.

Le preterie morali - a 360 gradi, religiose, laiche, laicistiche, ateistiche, occidentali, orientali… - hanno legato la morale ai sessi ossia ai suddetti orrori, anziché a questa lista linguistico-logica (al Sesto comandamento anziché all‟Ottavo): in cui tutti hanno tutto da perdere, sessi inclusi.

Ma situare i sessi nella pura natura è solo un altro orrore.

La morale è un fatto di lingua.

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Domenica 14 gennaio 2007

DOMENICA 14 gennaio 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Il disagio della civiltà OSF 10

Predica

Non nominare il nome di Dio invano

“Verrebbe voglia di mescolarsi alle schiere dei credenti [quelle della Vienna cattolica degli anni ‟20 del secolo scorso, NdR] per rivolgere, ai Filosofi che credono di salvare il Dio della religione sostituendolo con un principio impersonale, oscuro e astratto, il monito „ Non nominare il nome di Dio invano! ‟ ”

Greci & Associati.

Ma non preoccupiamoci!, continueremo cretinizzati per i prossimi millenni: la nostra angoscia è sedata e, al contempo, assicurata.

Poi c‟è chi lamenta che le analisi sono lunghe: ma non sono lunghe, esse combattono un‟impari battaglia contro il lunghissimo cattivo infinito, l‟infinito cattivo (che è quello della psicopatologia).

“Taglia!”, si dice popolarmente, o anche: “Che cretino sono stato!”: una verità che il “pensiero critico” ha sempre rifiutato, in nome dell‟“autocritica”, comunista o no, facendosi acritico o ipocrita.

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Lunedi 15 gennaio 2007

GIORNALISMO, PSICHIATRIA, DELITTO. IL CASO DI ERBA

L‟opinione pubblica italiana e mondiale è informata di questa folie à deux di Erba, con tre assassinati senza movente cioè con “purezza”, ma con dimostrata nonché confessata premeditazione di lunga data, unita come tale a capacità di intendere e volere.

Non sorprende che, almeno per ora, la Difesa non si sia ancora appellata all‟infermità mentale (diagnosi di psicosi paranoica) con la correlata incapacità eccetera.

Psichiatria e Cultura-giornalismo non si piegano all‟evidenza dell‟onnipresenza, in ogni delitto, della capacità e dell‟imputabilità correlata: seguirebbe l‟obbligo logico di distinguere imputabilità diverse sì nella specie, ma identiche nel genere.

A monte, c‟è imputabilità nella produzione di psicopatologia e, il caso più negato, nella produzione di un bambino autistico, per addossarne la responsabilità a una volontà imperscrutabile di Dio (o della natura: siamo sempre al solito Deus sive natura).

Le chiacchiere sul perdono lo sono perché si può perdonare sì (condonare la pena), ma solo un imputato reo confesso, e confesso aldilà di ciò che gli imputa il sistema giudiziario vigente.

Un mondo in cui l‟imputabilità fosse radicalmente rivista, distinguendone le specie, sarebbe un altro mondo perché farebbe notizia, non anzitutto il delitto ma la capacità o facoltà in esso.

Il nostro è un mondo in cui tutti sono trattati, e trattano gli altri, come incapaci di intendere e volere: è un trattamento che sta tra i presupposti del delitto.

Tempo fa una fonte autorevole ha consigliato che sarebbe meglio impiccarsi piuttosto che scandalizzare un bambino: il cui primo scandalo sta proprio nell‟essere trattato come incapace di intendere e volere, ossia come privo di quel principio di piacere che è la fonte stessa del giudizio.

Gli assassini di Erba ne erano palesemente privi.

Considero il delitto che non paga più grave di quello che paga, perché è “puro” cioè kantianamente “morale” cioè estendibile alle masse: è dunque corretto il titolo del romanzo di Michael Gregorio “Critica della ragion criminale” come parte della ragion pura.

Poco fa ho concesso la diagnosi di psicosi paranoica, che allo stato degli atti mi sembra corretta: ma ci avviciniamo sempre più alla psicosi pura (ne ho scritto ancora abbastanza recentemente).

Per la psicosi pura, come per la legge morale kantiana, il Quinto comandamento (“non ammazzare”) non ha alcun valore di principio.

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Martedi 16 gennaio 2007

OLFATTO: PROFUMI O DEODORANTI ad-olescenza aut adol-essenza

Tengo a segnalare, come per la maggior parte di questi articoli, che quanto segue è lo sviluppo del tema di una seduta odierna, in altri termini: scrivo come il mio stesso paziente potrebbe fare (e allora perché non lo fa?): la seduta psicoanalitica si nutre di universo.

Combatto da tempo una battaglia linguistico-etimologico-filosofica per sostenere che “adolescenza” proviene dal latino oleo (odorare come dare odore) nel frequentativo olescere ossia - ma questo lo concludo io - profumare come si dice di un fiore.

Il partito opposto è già schierato: “olezzo”, il “non olent” vespasiano.

Questa battaglia meriterebbe un saggio di storia della lingua, compreso il latino e anche il greco antico, nei suoi rapporti con la storia della filosofia a partire da Platone (il “Bello”).

Ciò premesso proseguo. Il prefisso ad- sottolinea l‟azione del propagare profumo: mi riferisco agli effetti olfattivi del mutamento endocrino di una certa età, che sono registrati - anzi: registrabili ma con opposizione - come profumo.

Ciò anche nei ragazzi, ma per ragioni esplorabili esso è maggiormente avvertito nelle ragazze.

I genitori - come chiunque, compreso il compagno di banco - se ne accorgono, ma non sempre con favore.

Forse la madre di Biancaneve ha iniziato a odiarla in modo esplicito proprio in quel momento, imputando alla figlia ad-olescente un cattivo odore da deodorare.

Sorge l‟alternativa, tanto quotidiana quanto etimologico-filosofica:

se profumo allora bene (e bello); se cattivo odore allora deodorante, con confusione tra deodoranti e profumi (ho conosciuto pochissimi che abbiano netta le distinzione, anche nella haute che consuma profumi molto costosi).

Al figlio o figlia che ci casca resta solo una povera alternativa minore, tra una vita di deodoranti e l‟ancora peggiore adol-essenza (“o la borsa o la vita”), ossia il puzzolente Narciso.

Gli adol-essenti radicali non sono ad-olescenti, puzzano e basta: Narciso è il testimonial mitico, mistico e plurimillenario dell‟essenzialismo, il “bello dentro” che olezza nel suo piscio in cui si specchia (vedi l‟articolo “Bello dentro” del 9 gennaio, e passim).

La “femmina balba” di Dante è la fanciulla in quanto da deodorare: e Beatrice è solo una deodorata (Purgatorio, 19, 7-33: “mostravami „l ventre; / quel mi svegliò col puzzo che n‟uscìa”, sottolineatura mia): Beatrice è solo una deodorata, e prima ancora abbiamo deodorato la Madonna di Luca 1 (non abbiamo deodorato la “Maddalena”, ma solo a condizione di delirarla come prostituta a fin di bene, del che all‟Inferno stanno ancora sghignazzando, e le prostitute anche).

Conosco genitori che chiamerebbero la figlia “Deodorata”, e così il figlio.

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La posizione del trattino distingue il principio di piacere, che è giudizio (profumo), dalla Teoria (olezzo), che decapita il giudizio, ossia fa da epi-stéme (cioè sopra-stante) che opprime e uccide il giudizio.

La parola “bello” segue nella storia la medesima distinzione: nel secondo caso sovrasta fin che morte non sopravvenga.

Do importanza primaria all‟olfatto (indicazione già di Freud), e proprio come giudizio e facoltà primaria di esso.

La vecchia canzone di Claudio Villa, “Profumi e balocchi”, interpretava bene la cultura sudaticcia che precede il sudore fisico: negava che al bambino importano poco i balocchi, ciò che gli importa è la mamma bella.

C‟è più peccato originale nella cultura sudaticcia che nel biblico “sudore della fronte”: diciamo allora “Mi puzza” tale cultura, quella dell‟adol-essenzialismo

Questo articolo pesca lontano nella storia della mia vita: da bambino adoravo il profumo di incenso, allora molto usato in chiesa.

Per me era e resta un profumo, e ne respingo l‟interpretazione esclusiva come di un deodorante dai cattivi odori del “popolo” nel Tempio: che invece andrebbe deodorato anzitutto dall‟ordinaria cultura del suddetto popolo (una cultura che da sempre accomuna destra e sinistra).

Ancora oggi detesto nel ricordo quella madre che disse di “adorare il puzzo del suo bambino”: chissà se è diventato autistico?

Pulsione olfattiva, pulsione uditiva, pulsione verbale: queste le ho inventate io (con orgoglio).

Nel bambino piccolissimo è palese la facoltà di distinguere tra suono e rumore, anche nella voce dei genitori (ho molto materiale al riguardo che non ho ancora ordinato).

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Mercoledi 17 gennaio 2007

IL MODERNO DEL GENERAL CADORNA

Una canzonetta dell‟epoca dei miei nonni, forse di era fascista, suonava:

Il General Cadorna ha scritto alla Regina se vuoi veder Trieste te la mando in cartolina!

La Modernità è come la Trieste della canzone: continua a non accadere, e così il laico (ma i laici odierni si predicano “laici”: evviva l‟ontologia!).

Non bastava la scienza, né la democrazia, né il “libero pensiero” che rimuove il pensiero come già si faceva prima, benché con mezzi diversi.

A farli accadere, laico e Modernità, ci hanno provato in due, ma si è dovuto e voluto tornare indietro.

Il Medioevo continua: occorre una storiografia che distingua Medioevi diversi, parzialmente confliggenti tra loro.

Queste annotazioni riguardano la medioevale vita personale e quotidiana di ognuno oggi.

Rossella o‟Hara - “Non ci voglio pensare oggi, ci penserò domani” - continua a rappresentarci.

Però Rossella resta interessante: il singolo rimane, anche fallito, anche nel peggio, anche nel vandalismo assoluto, l‟unica sede autorevole, benché esautorata e autoesautorata, delle dimensioni dell‟universo, senza un‟epi-stéme ossia une sede sopra-stante.

Con tale sede individuale sono pacificamente e liberamente compatibili delle autorità: la schiavitù moderna viene dall‟epi-stéme, non dall‟autorità, che è anch‟essa una sede individuale, e che è maligna solo quando si fa forte del sopra-stare epi-stemico (o Teoria, qualcosa di diverso e più incrollabile della marxiana Ideologia).

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Giovedi 18 gennaio 2007

L’AMORE PER BUSH E LA FILOSOFIA

Tutti amano Bush, anche i suoi nemici più accaniti.

Lo amiamo perché ci ha dato la guerra, e noi andiamo pazzi per la guerra (lo annotava già Dostoevskij), anche solo nel suo spettacolo, nel darci argomenti di cui discorrere, nel farci sentire intelligenti all‟opposizione: ma diciamolo!, anche nel far colare il sangue compreso il nostro (quando facciamo colare il nostro, lo chiamiamo “amore”).

La critica che pratichiamo da secoli è impotente perché è priva di critica, ipocritica, ipocrita.

Nessuno ama Bush più di chi ha scritto “La verità è nel dolore”, ossia una diffusissima Teoria sadomasochista che passa per sapiente, intelligente, spirituale (nella quale si è cercato di arruolare perfino Giobbe).

Se esistesse una Modernità (vedi articolo precedente, 17 gennaio), questa Teoria figurerebbe nel Tunnel dell‟orrore di Disneyland: anzi - che idea! - tale Tunnel potrebbe modernizzarsi come il defilè delle Teorie che ci inquinano, inaugurando così una nuova ecologia.

La psicoanalisi, nel Pensiero di natura, è il Manifesto della nuova Ecologia.

Secondo la nostra Idea di una Università, una tale Ecologia della mente (inventata da Freud non da Bateson) sarebbe il nuovo metodo di insegnamento della storia della Filosofia, che è poi una storia della Psicologia (l‟Ontologia è solo una Psicologia mascherata); e d‟altra parte la Psicologia odierna è Filosofia con altri mezzi (sto dando soluzione a uno dei principali e cupi pasticci della storia del pensiero).

Nella patologia circa dolore e morte, il nostro è il mondo dell‟interclassismo e della coincidentia oppositorum che si fanno la guerra.

Tra tutti coloro che hanno fatto un‟analisi, o almeno letto Freud (“Il problema economico del masochismo” per esempio, o “Lutto e melanconia”), quanti hanno acquisito questa facoltà critica?, ossia uno spunto di Modernità.

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Venerdi 19 gennaio 2007

IL CLUB DELLO CHAMPAGNE le “leggi non scritte” di Antigone e l’esigenza originaria

Non esistono leggi non scritte (non poste), né esigenze originarie: ma procediamo con ordine.

Nel 1994 fondavo, con altri, l‟entità detta “Studium Cartello” ma che mi piaceva chiamare “Club dello champagne”: ecco perché.

La singolarità dello champagne è che il gusto e, in modo contingente ed effimero, l‟esigenza di esso, non precede, non è originaria nel senso di già data: è un avvenimento, come tale una ricchezza.

Anzi è un avvenimento raro: volesse il cielo che l‟umanità fosse un Club dello champagne!

Sarebbe l‟umanità stessa, il Club dello champagne, ma essa continua come storia, la storia del fallire quanto al riuscirvi: J. Lacan giocava bene con le parole quando accostava s‟historiser e s‟hystériser, storicizzarsi e isterizzarsi.

Ed è un avvenimento non naturale: bisogna farcisi, pervenire a nutrirlo e nutrirvisi (non si tratta di educazione o addestramento, né di abitudine).

E‟ un avvenimento anche l‟esigenza del vino (e con questo lo champagne ha qualcosa in comune), ma essa si stabilisce in modo continuo, non in modo effimero o libetale (ecco la “libido” come libertà): se ci fosse un eterno, l‟effimero del bene ne sarebbe la virtù.

Tra vino (ce ne sono di eccellenti) e champagne c‟è lo spumante: ma chi confondesse champagne e spumante meriterebbe un lungo periodo di rieducazione in stile maoista (ma è aldilà da venire una rivoluzione capace di questo genere di violenza: finalmente avremmo la… rivoluzione!)

Di originario nel senso di precedente c‟è la facoltà, veramente divina, di realizzare questo avvenimento: il cui tempo non è dunque quello del passato né del futuro, bensì quello del futuro anteriore.

Posto un tale avvenimento, ecco costituita un‟esigenza fondamentale.

L‟antica, astratta, visionaria e in fondo stupida parola “felicità” non ci illuderebbe più.

A questa parola corrisponde, almeno nella cultura di massa, la metafora del bicchiere colmo, più volgarmente della pancia piena, o del cento di soddisfazione per un contenitore vuoto, magari in edizione spirituale.

La metafora del bicchiere nega la soddisfazione, il satis, perché solo la ricchezza - l‟eccesso non di troppo - soddisfa.

L‟unica razionalità dell‟anoressico è il rifiuto della metafora del bicchiere.

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Ma poi si smarrisce, e rifiuta lo champagne ossia di passare a un‟esigenza (ma non inventerei la champagne-terapia).

Per anni ho avuto a che fare con l‟espressione “esigenza originaria, o fondamentale”, che è della stessa famiglia dell‟idea antigonea di preliminari “leggi non scritte”, non positive o poste bensì presupposte, anteriori, ideali e imperative: ne è negata la facoltà, capacitas.

L‟umanità si distingue dalla natura proprio per il fatto di non avere affatto esigenze, bensì per questa facoltà infinita, quella di passare all‟esigenza come un inedito e come ricchezza.

Quando l‟umanità crede di avere esigenze preliminari, pretese magari in abiti di modestia, inizia ad ammalarsi.

Partito dalla critica di Antigone, poi il pensiero di natura ha riconosciuto la facoltà legislativa, o positiva, individuale (due Diritti, il primo dei quali non è l‟antico “diritto naturale” astratto e presupposto, in ultima analisi antigoneo).

Nella Civiltà i sessi non sono mai passati a champagne, con la sola alternativa di passare a perversione.

Compromissoriamente sono passati a nevrosi, ossia allo status di Barbera popolare, “concupiscenza”.

Chi l‟avrebbe detto che lo champagne è la metafora della moralità?

Non posso dire che tutti i partecipanti dello Studium Cartello, o Club dello champagne, bevano champagne.

Ecco tutto (impliciti a parte).

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Sabato 20 gennaio 2007

“SOFFRO”

Posti di fronte a una simile dichiarazione, siamo messi alla prova più grave, la tentazione per il pensiero: ecco il senso di “non ci indurre in tentazione”, una prova insostenibile.

E‟ tutta la Cultura a fare pressione contro le nostre fragili difese.

Fragile è il nostro gusto per la verità, anche e soprattutto nell‟uso più corrente di questa parola, senza biechi svolazzi ideali nella V maiuscola dei Filosofi.

Questa dichiarazione è moneta - spesso falsa - corrente, e noi ci prestiamo ad essa come tanti Pinocchi di tanti Gatti e tante Volpi.

Moneta corrente specialmente nella psicopatologia: l‟isterico, il perverso, lo schizofrenico, il paranoico, il “depresso”, soffre?, il genitore di figlio autistico soffre?

E poi c‟è la Teoria del “dolore di vivere”.

Ciò che osservo era già nelle prime osservazioni di Freud (captatio benevolentiae in nome della sofferenza).

Quella sul dolore è la menzogna più di base (come si dice “base popolare”) che io conosca.

Un po‟ di verità sarebbe assicurata se fosse dichiarata l‟angoscia, ma anche in questo caso divento esigente: la vera angoscia è raramente riconosciuta (come il senso di colpa), aldilà dei drammatismi delle “crisi d‟angoscia”, o “di panico”, o dell‟“angoscia libera”.

Per alleggerire, mi permetto un ricordo tenero unito a stima.

Mio padre, un intellettuale di rango benché sfortunato (auto-infortunatosi, insomma un bel nevrotico ossessivo), aveva un suo pacchetto di battute di spirito colte che ricordo sempre con piacere: in particolare, andava pazzo per il latinorum proprio perché il latino lo conosceva bene.

Tra le battute, forse d‟epoca, figurava:

“Ella… s‟offre!”

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Domenica 21 gennaio 2007

DOMENICA 21 gennaio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Introduzione alla psicoanalisi 27, La traslazione OSF 8

“[…] ricaviamo un‟impressione chiarissima della lotta violenta che si svolge nella vita del paziente […]: è una lotta psichica normale, su un terreno psicologico omogeneo [sottolineature nel testo, ndr], tra i motivi che vogliono mantenere il controinvestimento [ossia antieconomici, ndr] e quelli che sono pronti ad abbandonarlo. I primi sono i vecchi motivi che a suo tempo hanno imposto la rimozione; tra i secondi si trovano quelli sopravvenuti di recente, che si spera decidano il conflitto […]. Siamo riusciti a riaccendere il vecchio conflitto che ha portato alla rimozione, a sottoporre a revisione il processo [sottolineature mie, ndr] a suo tempo concluso. I nuovi argomenti di cui disponiamo sono, in primo luogo, l‟ammonimento che la precedente decisione ha condotto alla malattia, e la promessa che una decisione diversa aprirà la strada alla guarigione; in secondo luogo, l‟enorme cambiamento avvenuto sotto ogni profilo dai tempi di quel primo rifiuto […]. Possiamo così lusingarci di guidare il conflitto rianimato a un esito migliore di quello della rimozione […]”.

Tre brevi commenti:

1. nella parola “processo” (di secondo grado, o di appello come ho imparato da J. Lacan), si condensa tutto ciò che è “psicoanalisi”: questa è Tribunale Freud, che trova la sua estensione nel Pensiero di natura e nell‟Ordine giuridico del linguaggio, e che nella psicoanalisi come divano trova la sua applicazione terapeutica; in questo processo si incontrano tre contenziosi: a. personale, b. tri-generazionale, c. plurisecolare;

2. ho sottolineato l‟aggettivo “normale” per esplicitare la dignità (concetto giuridico) che Freud riconosce all‟uomo di questa lotta, ossia la facoltà di venirne a capo, avvalendosi della partnership con un altro;

3. ho sottolineato l‟aggettivo “omogeneo”, che dice la parità delle forze in campo nel conflitto, non la necessaria schiavitù del soggetto in quanto soggetto a forze sovra-stanti (credenza corrente e culturalmente rinforzata).

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Lunedi 22 gennaio 2007

SUORA O ACROBATA?

Un esempio di analisi, e un esercizio per il lettore.

Non sto facendo lo spiritoso: è l‟alternativa ricordata da una mia giovane paziente come un suo pensiero all‟età di cinque-sei anni, allorché si domandava che cosa avrebbe fatto da grande.

Parto dalla conclusione: a cinque anni aveva intellettualmente scoperto la distinzione tassonomica tra genere e specie: suora e acrobata erano due specie diverse (e solo apparentemente opposte) di un medesimo genere.

Prima specie, la suora: ci tornerò subito; seconda specie, l‟acrobata, con diverse sottospecie: acrobata, ballerina di danza classica, pattinatrice di pattinaggio artistico, potremmo aggiungere ballerina di tango hard.

Per rapidità, diciamo che le due specie hanno in comune di essere molto… abbottonate, benché con capi di abbigliamento, e mezzi di comportamento, opposti: infatti le sottospecie della seconda specie alludono al sesso in modo vistoso (vistoso sì, ma solo biologicamente o ufficialmente: infatti la ballerina del tango, magari applauditissimo, potrebbe essere nei peggiori rapporti con il suo ballerino, e perfino potrebbero essere lei lesbica lui gay, ambedue rigorosissimi nel reciproco apartheid).

Il genere è in questo caso l‟assenza radicale della differenza dei sessi dal rapporto, un‟assenza giocata nella suora dall‟inibizione della differenza, nell‟acrobata dall‟esibizione di essa.

Con altre ma non meno impegnative parole: la mia paziente aveva scoperto nell‟infanzia la differenza tra habitus e abito e, nell‟ abito, quello della suora e quello della ballerina.

Ma c‟è habitus e habitus : in uno, appena rappresentato, la differenza dei sessi è affidata alla mascherata sessuale (inibitoria o esibitoria); nell‟altro… ma vedete un po‟ voi, io ne parlo da anni valorizzando la freudiana “castrazione”.

Mi perdonino i colleghi medici: nel primo caso di habitus, il genere è il camice in astratto (purché ci sia un camice); le specie sono due camici scenicamente opposti, per esempio o da suora o da baby doll (conosco molte storie da baby doll finite malissimo).

Il secondo caso di habitus (ma ripeto: vedete un po‟ voi), è quello in cui, suora o non suora, la donna con-pone l‟habitus, non per -ità (femminil-ità o maschil-ità) ma per differenza.

Nella storia di noi umani, con aggravante religiosa, la differenza tra diversi habitus, poi tra habitus e abiti (suora o acrobata), decide di due specie di umanità: la patologia è abiti, tipi, è tipologica, e tutta la tipologia è patologia; solo la varietà, come tale individuale, è normale, normativa non imperativa: è sconfortante osservare che tutta la nostra Cultura, anche giuridica, con l‟eccezione di H. Kelsen, continua a confondere la norma con il comando.

Poi si finisce nelle “quote rosa” in Parlamento, suore o acrobate.

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Non penso proprio che, se fossi Papa, darei disposizione alle suore di vestire attillatissime calzamaglie, ma non perché queste siano peggio.

Semmai mi preoccuperei del fatto che “prete” (come “suora”) è da secoli una tipologia, abito fino a “clergyman”.

Ricordo un‟amica che domandava, indipendentemente dai suoi costumi sessuali (sconosciuti), quale fosse la differenza tra lei e una suora: nessuno dei presenti si provò a rispondere, anzi penso che non avessero neppure capito la domanda.

Un giorno commenterò il sapiente serial “Chiara di notte” (prostituta) nel fumetto “Skorpio”.

Tra i tipi “suora” e “acrobata” la prostituta sta in mezzo, con profitto commerciale.

Noi non conosciamo i costumi della Regina di Saba, ma sappiamo con assoluta certezza che non era una p…a: semplicemente perché era una regina, e le regine non fanno commercio, almeno di questo… tipo (la prostituzione sta nel commercio non nell‟atto: tutti lo sanno, tutti lo rimuovono).

Naturalmente il problema della mia paziente è quello di cambiare habitus, quanto all‟abito è già un‟esperta.

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Martedi 23 gennaio 2007

“IMBRANATO”, O LA FILOSOFIA DELLA VITA QUOTIDIANA

Ho scoperto lentamente l‟importanza di questo aggettivo gergale italiano, “imbranato”, dopo averlo sentito pronunciare più volte sul divano autoreferenzialmente.

Un giorno ho reagito con un “Eh no, troppo facile!”: è quel troppo facile che rende le cose difficili, un mezzo della rimozione, caso particolare di “Sono fatto così!”

Esso è stato celebrato dal romanzo settecentesco di Choderlos de Laclos “Les liaisons dangéreuses: “Supera ogni mio volere”.

“Sono imbranato” è della serie “Sono stonato”, “timido”: vero che si può essere stonati, ma è un sintomo perché basterebbe una minima cura della voce per non esserlo; idem per la timidezza che è sintomatica.

Non sottilizzo sulla distinzione tra sintomo e inibizione: inoltre ci sono voci che nella loro bruttura offensiva sono peggio, sono degli attentati all‟umanità circostante e udente.

Nella serie pongo anche “Sono intelligente”, solitamente più pensato che detto (ogni puzzolente e demente Narciso lo pensa): attenzione a predicare ai propri figli “Sei imbranato!”, “Sei bello!”, “Sei intelligente!”, l‟orizzonte è l‟infanticidio.

Narciso è uno che è stato predicato “Bello”, ma non ha potuto sbarazzarsi di questa male- dizione.

Dovrò esaminare il caso “Sei buono!” (c‟è un antico precedente che menzionerò).

“Sono imbranato!” è anche detto più scherzosamente “Sono stato malato da piccolo!”: attenzione a come si scherza.

Sono tutti esempi della Filosofia, psico-pato-filosofia, della vita quotidiana, tutti Predicati dell‟Ente, o della Cosa: siamo tutti filosofizzati, poi Filosofi inconsapevoli, poi i Filosofi sono passati alla coscienza, la coscienza dell‟incoscienza.

Degno di nota è il fatto che il soggetto si sottomette facilmente, e perfino volentieri, a questa autopredicazione, specialmente se sembra modesta.

E‟ da riesaminare il caso “Sono peccatore!” come predicato dell‟ente anziché come confessione dell‟atto, perché potrebbe giustificare purulentemente, puri-lutulentemente, ogni criminalità.

L‟autistico prende su di sé il suo predicato fino a militarlo: ricordo il caso grottescamente contraddittorio di quel quindicenne mutacico che scriveva lettere in buon italiano in cui dichiarava di “non potere parlare” (seguono lacrime esistenziali: io girerei con il piattino).

Tutto ciò è veramente Filosofia, Ontologia praticata.

La psicoanalisi è nata come l‟altra Filosofia, non come Psicologia in “dialogo” con la Filosofia.

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E‟ stato J. Lacan a mettermi su questa strada, con il suo “Discorso del Padrone-Maître”.

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Mercoledi 24 gennaio 2007

“SOFFRO” (bis): IL DESIDERIO DELL’INFERNO

Rinvio al precedente “Soffro”, sabato 20 gennaio 2007.

Interrogato dalla domanda consueta “Come va?” o “Come stai?”, uno risponde metodicamente “Male!” o simili (e ne porta “prove”), eppure sta in buona salute, insieme a vari indici socio- economici accettabili (inoltre si vede bene che non è schizofrenico né “borderline”).

Piuttosto che riconoscere l‟angoscia si farebbe impalare: un antico desiderio che incontra sempre schiere di volenterosi aspiranti a soddisfare la bisogna.

Penso agli “ameni spassi” del Duca di Gloucester (poi Riccardo terzo), quando non sono ameni.

Ricordo quel paziente psichiatrico di Ambrogio Ballabio che se la spassava passandosi il ferro da stiro sulle braccia.

Gode così, dunque attenzione a non beatificare il “godimento”: non tutti i godimenti sono di buona famiglia (con le famiglie dei godimenti, J. Lacan se l‟è cavata non male, ma neanche benissimo).

E‟ uno che ha scoperto come tanti (isteria) che il dolore paga, cominciando dal farla pagare.

Mi sovviene il detto: “Battere il mea culpa sul petto altrui”.

La sofferenza “tira”, tira sempre, la si beatifica, è un fattore dell‟economia mondiale (ma quale economista se ne è mai occupato?)

Ci sono poi isterici beati che cadono nel proprio stesso tranello, e per raggiungere la credibilità si procurano tutti i mali possibili, fino a perdere pezzi.

Marx era inferocito (ne “L‟Ideologia tedesca” se ricordo bene) verso i “cristiano-sociali” tedeschi che volevano trattare le classi lavoratrici, anzitutto la classe operaia, come classi di “poveri” e dunque sofferenti: aveva ragione, perlomeno perché non partiva dalla Cultura del sadomasochismo e della formazione reattiva.

Sono del tutto contrario alla concezione misericordiosa del Welfare.

Non posso dare torto a J. Lacan quando diceva che “il desiderio dell‟uomo è l‟inferno” (anche in paradiso).

Il desiderio di guarigione resta una novità impensata e impraticata, e contrastata.

Conoscete un Filosofo o uno Psicologo che fa questi ragionamenti?

Brutta coppia: io li salvo facendone una cosa sola (come già Freud).

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Giovedi 25 gennaio 2007

TI SPUTO!, O: AVIS AUX AMATEURS

Avviso agli amatori: lasciate ogni speranza!

Dico seriamente: non c‟è nessuna speranza che vengano ascoltate le cose ovvie, semplici, facili, terra terra che diciamo, neanche Verità con la maiuscola ma semplici truismi (era già successo a Freud).

Un solo esempio, valido per tutto il mondo e tutti i livelli di istruzione.

Se c‟è un‟idea stupida, balorda, o nel migliore dei casi da nevrotico ossessivo perso, è quella che le prostitute amano, magari male, magari peccaminosamente o “parzialmente” ma tant‟è, “amano!”, commercialmente certo, ma amano: con una battuta, è un‟idea da TSO (Trattamento Sanitario Obbligatorio).

Parlare di delirio sarebbe correttezza, ma ancora mite.

Anche le “ragazze” si rotolerebbero dal ridere.

Le “ragazze” hanno un‟attenuante (oltre alla necessità di reddito e spesso allo sfruttamento): perlomeno esse non dicono l‟infamia di Antigone “Lo faccio per amore non per odio” (la formula generale della formazione reattiva), e si limitano al commercio.

Eppure è un‟idea indistruttibile, dunque lasciate ogni speranza.

E‟ un‟idea che si è assestata soprattutto sul terreno della storia cristiana, per una ventina di secoli, e non possiamo farci niente: oggi è forse più forte di prima.

In tanti secoli di predicazione, esegesi, iconografia, la “Maddalena” avrebbe “molto amato” perché prostituta.

Un‟idea che ha un‟aggravante, per i cristiani ma non solo loro: il fatto che questa idea viene attribuita a Cristo stesso, che avrebbe giudicato la “Maddalena” degna di perdono proprio per il suo “amore” di p…

I Vangeli narrano che Cristo durante l‟arresto è stato anche sputato: ebbene, attribuirgli una tale idea è uno sputo non solo più grave, ma aggravato dalla sua recidiva per due millenni.

Una sola razionalità è rintracciabile, la ricerca di un‟attenuante blindata: cretinizzato Cristo, siamo giustificati nell‟essere tanto cretini.

Come si può parlare di “Intelligenza”?, parlo della Psicologia del Novecento: è l‟intelligenza del cretino (così, almeno sappiamo di che cosa si parla da un secolo).

Lasciate ogni speranza! (sulla quale prossimamente).

Ho l‟occasione per una nuova definizione di “psicoanalista”: uno che capisce le ragioni dell‟indistruttibilità di tanta offensiva stupidità.

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Venerdi 26 gennaio 2007

SANZIONE DEL PARRICIDIO

Ripropongo un caso reso noto da P. Lemoine nel 1977, già riferito nel mio “La tolleranza del dolore. Stato, Diritto, Psicoanalisi”, 1977 e 1984.

Lo riassumo all‟estremo con un commento.

Alla Facoltà di Medicina di Mosca in un anno imprecisato della tarda era staliniana, comunque non prima del 1952, ebbe luogo una Conferenza sul libro di Stalin “Il marxismo e i problemi della linguistica”, 1952, che sosteneva la tesi (interessante anche per noi oggi) che il linguaggio non è una sovrastruttura ideologica ma un mezzo di produzione (non sono diventato stalinista, e del resto neppure la tesi lo è). Nella discussione uno studente si alzò a domandare “quando mai il compagno Stalin avesse studiato la linguistica”. Subito dopo scomparve: diversi anni dopo qualcuno seppe, incontrandolo casualmente a Parigi, che il suo intervento gli era costato sei anni di Siberia. A Parigi aveva iniziato un‟analisi, motivandola in questi termini all‟amico d‟altri tempi appena riincontrato: “La domanda che mi pongo fin dall‟inizio del trattamento è di sapere perché quel giorno ho fatto ciò che ho fatto”.

Commento

Non è certo il caso di sospettarmi di accondiscendere ai metodi polizieschi staliniani, osservo però che l‟intervento di quello studente non aveva nulla della dissidenza politica, e nemmeno del dibattito nella materia: era una polemica di ben altra specie, ignorata (ma ci sono più specie di ignoranza) dal suo autore.

Interpretava bene P. Lemoine un tale atto come parricidio da parte di un ossessionato dal padre, aggiungendo che se il senso dell‟atto sfuggiva al soggetto, “in uno Stato totalitario non sfugge alla polizia”.

Queste cose non succedono nei paesi democratici - o meglio non succedono così: il parricidio non sfugge a nessuno, polizia a parte -, ma c‟è sanzione e sanzione.

Non è ancora stata scritta una giurisprudenza del parricidio (il primo e unico peccato o reato secondo Freud):

nella sua casistica (ampissima), nelle sanzioni cui va incontro in modo effettivo (tenacemente e attivamente ignorate dal reo), patologia inclusa come sanzione (la patologia è staliniana anche in regime democratico: 1° è intollerante, 2° non perdona), e nelle azioni, indubbiamente non benefiche, che se ne producono.

Ma si tratta della giurisprudenza di un altro e distinto Diritto.

Poscritto (sulla patologia che non perdona)

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Il perdono è la sospensione, o l‟annullamento, della sanzione, integro restando il giudizio (esempio: l‟omicida può uscire di prigione, ma rimane il giudizio “omicidio”):

ebbene, la patologia è sanzione (spesso crudele e senza fine), nella rimozione del giudizio.

Si possono perdonare coloro che fanno confusione sul perdono?

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Sabato 27 gennaio 2007

L’AZIONE DI CON-TRISTARE

Mi sono imbattuto nel verbo latino contristare, grazie a un analizzando che mi ha ricordato l‟ammonimento benedettino “noli contristare” (con numerose altre fonti).

Si potrebbe sì tradurre “non essere melanconico” (la melanconia è l‟antica tristizia), ma quel verbo produce un‟esplicitazione che poi solo Freud ha scoperto con la distinzione tra lutto e melanconia:

ossia che questa non è uno stato psichico (errore predicativo - “essere” - della psichiatria) bensì un‟azione, e un‟azione pubblica , sociale (“con”), un atto politico.

Le dottrine politiche non si rendono conto dell‟estensione del campo del “politico”.

Non è cosa diversa da “noioso”: non esistono persone che “sono” noiose, ma persone che compiono l‟atto ostile del produrre noia.

Anche annoiare è politico: esiste dunque un immenso partito trasversale dei melanconici, noiosi, querulomani, paranoici non psichiatrici, …: qui c‟è corrosione-corruzione della Città, vandalismo politico diffuso.

La psicopatologia è tra le istituzioni della Civiltà: essa si regge sul Mondo delle Idee patogene ossia dannose.

… San Benedetto avrebbe buttato giù dalle scale molti cristiani odierni che hanno fatto della melanconia l‟antefatto religioso dell‟umanità, anziché giudicarla come peccato grave (“accidia”).

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Domenica 28 gennaio 2007

DOMENICA 28 gennaio 2007 in anno 150 post Freud natum

Ripropongo la lettura della domenica precedente, con un nuovo commento (invito a rileggere i tre precedenti):

S. Freud Introduzione alla psicoanalisi 27, La traslazione OSF 8

“[…] ricaviamo un‟impressione chiarissima della lotta violenta che si svolge nella vita del paziente […]: è una lotta psichica normale, su un terreno psicologico omogeneo [sottolineature nel testo, ndr], tra i motivi che vogliono mantenere il controinvestimento [ossia antieconomici, ndr] e quelli che sono pronti ad abbandonarlo. I primi sono i vecchi motivi che a suo tempo hanno imposto la rimozione; tra i secondi si trovano quelli sopravvenuti di recente, che si spera decidano il conflitto […]. Siamo riusciti a riaccendere il vecchio conflitto che ha portato alla rimozione, a sottoporre a revisione il processo [sottolineature mie, ndr] a suo tempo concluso. I nuovi argomenti di cui disponiamo sono, in primo luogo, l‟ammonimento che la precedente decisione ha condotto alla malattia, e la promessa che una decisione diversa aprirà la strada alla guarigione; in secondo luogo, l‟enorme cambiamento avvenuto sotto ogni profilo dai tempi di quel primo rifiuto […]. Possiamo così lusingarci di guidare il conflitto rianimato a un esito migliore di quello della rimozione […]”. Nuovo commento:

Ecce homo, o il profitto

L‟idea di “uomo nuovo”, questa stessa espressione linguistica, ha già fatto sufficienti anzi pletorici danni (“rivoluzionari”): non condanno l‟espressione, mi preme il concetto.

Si tratta di poter dire “ecce homo” senza essere cristianucci o chierichetti.

Questo passo di Freud, così come tutto Freud, lo dice, senza… eccetera (rimando a precedenti scritti).

“Ecce homo”, ecco il profitto iniziale (o eredità) riscoperto come finale.

C‟è un altro profitto: il sapere, e memoria, del conflitto.

Il conflitto lo avremo sempre con noi, in noi e fuori di noi: il sapere della patologia, o del conflitto, è come tale pacifico, paci-fico, produttivo di pace.

Detesto il pacifismo dell‟ignoranza del conflitto, produce violenza color confetto (confetto fa rima con conflitto).

L‟analisi non finisce bene quando continua a prevalere l‟ignoranza del conflitto.

Questo sapere si condensa nella parola “processo”, ma in quanto d‟appello.

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Lunedi 29 gennaio 2007

LA GRATA MODERNA. O LA LIBERAZIONE ”DA” BAMBINO

Prendo dal mio intervento al recentissimo Convegno di Ancona: “Child: pensiero, figlio, civiltà” di questo sabato 27 gennaio, promosso dall‟Associazione I.C.A.R.O. e dallo Studium Cartello.

In esso ho dato un suggerimento, almeno per non sbagliare tutto e subito con un bambino: il che facciamo tutti e subito già per il solo fatto di chiamarlo “bambino”, baby, bi-bi, enfantillage verbale plurimillenario che insieme a tutti gli altri compone il nostro infantilismo adulto (l‟infantilismo è solo adulto, al bambino non viene neppure in… mente, tantomeno in cervello).

Una mia paziente ha recentemente rintracciato la duplice ragione del suo fastidio da “bambina” per il fatto di venire soprannominata “Bambi” da piccola: in questo soprannome, oltre all‟offesa dell‟infantilizazione, scompariva la desinenza differenziale, non tipologica o da gender, che in bambi-na o bambi-no è ancora presente.

Ho suggerito la fantasia di trovarsi nel 1760 in una sala con al clavicembalo il Mozart dei suoi primi saggi di composizione, intorno ai quattro anni di età, e di supplementarla con quella di una grata monastica interposta tra esecutore e pubblico.

La grata fisica significa, o almeno dovrebbe significare, il primato della percezione uditiva su quella visiva, con subordinazione senza abolizione di questa.

Nei monasteri di clausura del passato - con poche eccezioni, come quella dei Certosini -, la grata riguardava le monache, e qui c‟era un equivoco, che oggi permane secolarizzato anche nella pornografia: infatti non è la visione a fare la donna, commercio a parte.

Chi l‟avrebbe detto che proprio Freud ha reintrodotto la grata? (ecco la fonte del mio suggerimento): infatti l‟asimmetria tra divano e poltrona è una grata funzionale, non materiale, senza discriminazione tra uomini e donne, ossia il pensiero che la differenza sessuale è anzitutto uditiva, intellettuale, prima che visiva.

Meglio ancora: che non precede il predicato “da” uomo e “da” donna, bensì precede la differenza: i sessi sono non nel predicato sessuale (“da”) ma nella differenza (se non capite non preoccupatevi: va così da millenni).

Mozart non era un bambino prodigio: grazie alla mia fantasiosa grata vi risparmio la stupidità storica e collettiva del qualificarlo tale (bambino = “da” bambino è un predicato criminale che ci fa tutti pedofili).

Grazie a essa il primo dato di cui prendere nota è che lì c‟è un musicista, o un musicante (parola che prediligo grazie ai fratelli Grimm), non un “bambino”.

Chiamiamolo pure bambino prodigio (o magari “genio”, e non ripeto la mia critica al riguardo): ma allora lo sono tutti (l‟altro ieri alla TV ho provato pietà per un bambino che a quattro anni di età recitava a memoria l‟Inferno di Dante: un caso completamente diverso dal Julien Sorel di Stendhal).

“Prodigio” lo sono tutti perché (ormai mi ripeto) a quattro anni di età ogni bambino (con eccezioni sì ma psicopatologiche) è così poco “baby” da avere già:

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1° non solo acquisito la lingua, che è qualcosa di più complesso della musica, accettando senza obiezioni gli apporti esterni a lui, ma con un grado di autodidattismo che poi non incontreremo mai più; 2° ma perfino da essersi fabbricato lui il clavicembalo corporale: nel suo chiamare a raccolta (vera sin-fonia materiale anzi biologica) un alto numero di organi e apparati (laringe con corde vocali, faringe, lingua, guance, labbra, naso, apparato respiratorio diaframma incluso, muscolatura varia eccetera, sistema nervoso), egli ha fatto tutto da solo (anche il “bel canto” gli è inferiore, anzi lo prende a modello pur ignorandolo).

Ho scritto “egli”, ecco l‟io: non c‟è altro io.

Il bambino ha fatto tutto questo giocando d‟anticipo su Cartesio (senza neppure conoscerne l‟esistenza: era Cartesio a ignorare l‟esistenza del bambino), sulla linguistica e la filosofia del linguaggio; come pure su tutta la filosofia anteriore (e successiva).

Poi lo “freghiamo”, ossia lo ammaliamo da quei malati che già siamo prima di lui.

In fondo Freud, e noi con lui, siamo gli autori del libro della Genesi in seconda edizione, più un giudizio sulla Storia come seguito del danno, insieme al pensiero che si può finire-concludere bene perché “bambino” significa avere cominciato bene.

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Martedi 30 gennaio 2007

UN TIPO EQUILIBRATO (“EQUILIBRIO” 1°, SEQUITUR)

Un tipo equilibrato è un tipo da TSO (in altri tempi avremmo detto “da manicomio”).

Motiverò subito la battuta: premetto soltanto che do appena inizio a una serie di interventi sul tema “equilibrio”, un tema letteralmente im-menso ossia ancora da misurare in tutta la sua portata: esso riguarda politica, economia, diritto, fisica, astrofisica, chimocofisica eccetera, e naturalmente psicologia, insomma tutto.

Già da giovanissimo ero sospettoso di questa parola: non mi piaceva venire definito “equilibrato”, e neppure “intelligente”: mi è capitato più volte di ricevere questo dubbio onore, tanto che poi sono poi diventato critico di questo predicato che ci ha tutti infestati attraverso la Psicologia novecentesca.

La suddetta battuta è motivata dal fatto che la schizofrenia catatonica, la psicosi bifase, la demenza, e in generale la psicopatologia, sono, con differenze e gradazioni, soltanto equilibri più o meno spinti: esse non si lasciano s-quilibrare da niente, da nessun ec-citamento che da molti anni traduco “vocazione” (non sto a parlare della sordità funzionale come caso-principe dell‟equilibrio patologico: uno psicoanalista è uno che si lascia ec-citare dal dire del suo paziente).

Eccitamento-vocazione significa dare un seguito fruttuoso cioè s-quilibrato, ossia un profitto (economico), non una pura scarica (accompagnata da divorazione o distruzione) che è la concezione corrente e plurimillenaria del godimento.

Eccitamento-vocazione significa l‟altra civiltà rispetto a quella della causalità.

L‟equilibrio è il burqa dei vermi (“sepolcro imbiancato”): ma una donna non è un verme, neppure un verme “rosa”, il suo burqa ha un altro senso, quello derivante proprio dal fatto di non essere un verme (o una farfalla: non cambia nulla).

(continua: sull‟equilibrio, e anche sul burqa).

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Mercoledi 31 gennaio 2007

VIVA LA CINA

Da tempo raccolgo materiali sulla Cina.

Nel riconoscere che mi interessa, osservo in me un senso di familiarità, come verso luoghi noti da sempre, niente di orientale, esotico, niente cineserie, ci sono sempre stato senza esserci mai stato.

Per ora osservo soltanto che nella stampa se ne parla con termini da agonismo sportivo, quello di una lunga maratona (rammento la “lunga marcia”) in cui un concorrente si è già portato nel gruppo di testa e, senza forzare, continua a portarsi avanti in attesa paziente del momento dell‟inevitabile sorpasso.

In fondo il Presidente Deng Xiaoping ha solo raccolto il testimone, come in una maratona a staffetta, della marcia del Presidente Mao Tsedong dandogli il cambio, e l‟attuale Presidente Hu Jintao sta proseguendo nel cambio.

Non mi aspetto che i Dirigenti siano buoni, ma che agiscano a favore della mobilità di tutti (è il mio concetto di Diritto).

Facciamo, da individui ossia pensanti, come la Cina: portiamoci avanti anche noi, anzi più rapidamente ancora, ossia come se il sorpasso fosse già avvenuto, cioè aldilà di “La Cina è vicina” di Marco Bellocchio.

Non dico: W la Cina, bensì: viva la Cina.

Parlo del passaggio dalla geopolitica all‟universo politico: quella è rotonda, questo è piatto come una superficie infinita, senza profondità, in quanto modello del pensiero (il mai finito tolemaismo finisce solo qui).

Sono due diversi imperialismi, dunque W l‟imperialismo a distinzione fatta.

“Arricchitevi!” (Deng Xiaoping) non ha una sola interpretazione.

Sarebbe bene guarire dalla stupida fantasia patologica del “villaggio globale” o del maso chiuso esteso a tutto il globo, un francobollo sperduto tra le stupide galassie.

Il provincialismo assoluto del villaggio è il modello stesso o l‟anima del totalitarismo o Utopia, da Platone a Tommaso Moro.

Almeno i cinesi non si sono fatti incantare dal piffero di Platone, cui preferisco quello di Hamelin che ha liquidato sì topi ma non bambini, e li ha rapiti sì ma solo dal villaggio di imbroglioni pidocchiosi.

Il formicaio è tale non per il numero miliardario di formiche, e ripeto la mia formula del pensiero (“di natura”) come legge universale di moto del corpo, sulla scorta di Freud:

siamo in tre:

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il mio corpo (pensiero incluso), il corpo di un altro (pensiero incluso), e il Chi! che sono nel mio godimento passivo (come quando leggo un romanzo ossia ogni cosa degna di nota), senza contare tutti gli altri (centinaia o miliardi).

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Giovedi 1 febbraio 2007

IO SONO L’ALTRO DI UN ALTRO, E I PACS

Grande è la confusione.

Inizio da una mia frase che qualcuno mi ha appena rammentato: “Io sono l‟altro di un altro”.

Nell‟azione, “io” designa l‟avvocato del “di” ossia del rapporto.

Non esiste “rapporto” che in quanto produttivo, non ci sono rapporti che di produzione, quale che sia il prodotto, magari spirituale (o intellettuale: non faccio differenza).

I cic-ciac sensoriali, per esempio sessuali, non sono rapporti (lo capiscono tutti): inversamente, se essi esistono nel rapporto non sono più cic-ciac, sensoriali restando.

In che… rapporto sono i sessi (biologici) col rapporto?

Essi ci sono non autonomamente, autoreferenzialmente, in sé, come enti, “narcisisticamente” - chi ha mai esplorato o anche solo sospettato il narcisismo della bella ontologia? - ma in virtù della loro differenza.

Solo nell‟uomo(-donna) la differenza sessuale assume dignità (in ogni significato, logico prima che morale).

Dico la differenza, non il predicato sessuale (“da” uomo, “da” donna): la sessual-ità come predicato delirante, comune a uomo e donna, è come tale e per definizione omosessuale, uni- sessuale.

In quanto sessual-ità, l‟eterosessualità è solo una variante come lo è l‟omosessualità (è l‟argomento gay, corretto se fosse corretta la premessa: ex falso sequitur quod libet).

Siamo tutti omosessuali come si dice “omnes peccavimus”.

Non c‟è sessual-ità normale, perché anormale è proprio il predicato “sessualità”: che poi è un imperativo, “superio” millantato da millenni come natura o istinto.

Normale è solo l‟apprezzamento della differenza come tale (con l‟eccezione dell‟ap- prezzamento o prezzo commerciale ossia prostitutivo), comunque l‟apprezzamento si esplichi: “quello” celebre è solo uno tra altri, contingente, infrequente, di breve durata, in fondo poco diffuso e soprattutto poco apprezzato: le donne lo sanno molto meglio degli uomini.

E‟ un apprezzamento della differenza, con… indifferenza per il versante di essa sul quale ognuno si trova collocato per un puro capriccio del caso biologico (pressappoco cinquanta e cinquanta, come nel lancio della moneta).

L‟autodefinizione secondo il versante è solo un caso, ho detto, di “narcisismo”, di cui l‟omosessualità è solo un correlato ontologico (Platone se ne intendeva, non i platonici).

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Più popolarmente: fa bene l‟amore chi è altro dell‟altro anche nella differenza, apprezzando nel suo pensiero l‟eventualità di trovarsi al posto del partner sessuale.

“Sessual-ità” è uno dei mille errori (Teorie) presenti nella lingua, ossia ciò (una astratta “-ità”) che i due versanti avrebbero in comune in equidistanza da essa.

Le morali sessuali sono tutte omosessuali: e oggi il nodo è venuto al pettine, nelle piazze, nella prima pagina dei giornali, nei Tribunali.

Si disputa di Pacs (e di matrimonio omosessuale), ma è una disputa deplorevole e ignorante.

Posto che “famiglia” significhi un‟associazione tra due con un progetto o statuto implicante e non escludente la differenza sessuale, una tale associazione (“una sola carne”) è ancora di là da venire: finora nella Storia ci sono stati solo Pacs non famiglie, e la discussione odierna tra famiglia e Pacs è solo una discussione interna all‟ambito di Pacs millenari.

Noi stessi cristiani abbiamo sì tentato di porre in essere una tale associazione, fondandola come “sacramento”, ma siamo da molti secoli rimasti impotentemente fermi al palo (palo omosessuale o prostituivo).

Non so se questa associazione esisterà mai (nel “Regno dei cieli”?), ma oggi essa esiste solo nelle sue catastrofi.

Il “sacramento” continua a restare un auspicio, malgrado la legittima protesta di un Pio IX che si arrabbiava (“Sillabo”) alla comune idea anche cristiana che il “sacramento” fosse la crema religiosa sulla torta civile.

Bisogna ricominciare tutto da capo (non da zero), ossia da conclusioni.

Può sembrare strano che queste cose le dica uno psicoanalista cioè un freudiano: invece è normale...

Ma Freud sapeva stare solo davanti alla “maggioranza compatta” (kompakte Maiorität).

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Venerdi 2 febbraio 2007

OBBLIGO DI RISPOSTA

C‟è solo nella tortura.

“Maleducato!”, dice il torturatore: come ti permetti di non rispondere alla mia domanda?

Ce n‟è abbastanza per fare diagnosi e autodiagnosi di sadismo.

La formazione reattiva si riconosce quando la pretesa di risposta è sostenuta da un soprappiù di cortesia e sorriso sulle labbra.

Spesso lo fanno i genitori con i bambini, e gli educatori.

L‟educazione che fa obbligo di risposta è sadica, sostenuta sul soprappiù di valore del “bene” dell‟educando (tutti i mali vengono dal fare il bene: il bene viene dal fare in modo che esso si produca per mezzo dell‟altro, idea che faceva impazzire Kant).

C‟è aggravante della pretesa di risposta, o confessione: quando essa è esigita in nome della verità, per esempio (cito): “Il bambino deve sempre dire la verità alla mamma, perché la mamma dice sempre la verità”.

Allorché un secolo fa ho udito questa enormità non credevo alle mie orecchie: più tardi ho osservato che l‟obbligo di dire la verità non era affatto esteso al padre, anzi.

Si osserva che il bambino quanto torna a casa racconta volentieri di sua iniziativa, senza obbligo di risposta né di “bene” o “verità”.

Si è parlato del “silenzio di Dio”: per sua fortuna se lo può permettere, altrimenti tortureremmo anche lui.

Non che “Dio” (non mi piace questa parola, “il Signore” va già molto meglio) non risponda: ma sotto condizioni formali di cui parlerò un‟altra volta, scusandomi per la momentanea aria di oscurità, che detesto.

Nella Storia si è affermata anche la pretesa della risposta prima della domanda: questa pretesa si è chiamata Inquisizione.

C‟è stata solo un‟eccezione - anche di ciò parlerò un‟altra volta -, quella di Freud, che definisco l‟unico Inquisitore riuscito (la storica Inquisizione non è stata soltanto un‟infamia: è stata un fallimento).

Lo psicoanalista non è uno che tace, ma uno che non ha né fa obbligo di risposta.

Il suo paziente non patisce l‟obbligo di confessare: ha il piacere di confessare ciò che neppure sapeva di sapere.

Sviluppi ulteriori: la distinzione tra rispondere-a e rispondere-di; la distinzione tra responsabilità e imputabilità.

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Uno che si sente responsabile del suo Paese o del Mondo sarà un tiranno dei peggiori.

La modestia, la moralità, è nell‟imputabilità: Kant (principio di responsabilità) è immorale.

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Sabato 3 febbraio 2007

VERONICA AND SILVIO, O LA POLITICA

Vorrei non essere imprudente nel concedermi di pubblicare due associazioni letterarie appena venutemi: l‟una con “Sylvie and Bruno” di Lewis Carroll, l‟altra con “Antigone” di Sofocle.

(premetto che non sono schierato nella disputa; che non sono berlusconiano; e che in certe strutture e alternative della Civiltà può capitare a chiunque di cadere).

La prima associazione è abbastanza labile, e si riduce alla molteplicità di mondi contemplati, tre in Carroll (il secondo e il terzo sono l‟Ultra-Paese e il Paese delle Fate, salvo interpretarli come scissione interna a un secondo mondo); (trascuro la Teoria dei tre mondi di K. Popper); nella seconda associazione i mondi sono due, quello privato o meglio interiore delle “leggi non scritte” di Antigone, e quello pubblico o meglio esteriore delle leggi scritte di Creonte.

Ma la distinzione tra interiore e esteriore rende precari ambedue i mondi, rappresentati fin troppo ovviamente anzi banalmente e meccanicamente da una donna e un uomo, rosa e blu.

Un particolare anti-piccante: Sylvie e Bruno sono, alternativamente, due fate o due bambini (che, “si sa”, non hanno sesso, angioletti, fate o fatini).

Neanche voglio essere informato, nemmeno se lo fossi, delle vicende personali delle due personalità menzionate, sono psicoanalista proprio perché non ho simili curiosità: se qualcuno proprio vuole informarmi delle proprie vicende, deve pagarmi perché io ne prenda nota come notaio (in altri termini, la distinzione pubblico/privato non mi appartiene, meno ancora quella tra esteriore e interiore).

Tutto ciò che so e mi serve sapere è ciò che tutti sanno: che la Lady in questione e questionante non è né mai è stata la First Lady di un First Man (senza predestinazione delle First Ladies a diventare delle Hillary o delle Jacqueline), pur non mancando Lei delle qualità per esserlo degnamente.

Non dico di più: mi basta osservare che le distinzioni tradizionali tra pubblico e privato o, peggio, tra esteriore e interiore, è il principale problema politico di tutto il Mondo e tutta la Storia (non c‟è “Italietta”, salvo che tutto il mondo lo sia).

Scrivendo ciò che scrivo faccio politica.

La discrasia, diciamo così, cui il mondo ha appena assistito è un evento politico non fausto, e non di cronaca politico-salottiera.

Il “Rosa” non è politica benché sia entrato per quote in Parlamento: che significhi “Cosa” come il celebre “das Ding” dei Filosofi?, entrati in Parlamento grazie alla “Cosa” o alla sua negazione.

Ricordo che nel finale dell‟“Antigone” Creonte cerca in ritardo di fare ammenda con Antigone (non finisce bene).

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L‟“Antigone” non è una tragedia ma una tragicommedia.

Lo psicoanalista non è un guastafeste ma un guastatragedie (lo dico non per la prima volta). Vorrei non essere imprudente nel concedermi di pubblicare due associazioni letterarie appena venutemi: l‟una con “Sylvie and Bruno” di Lewis Carroll, l‟altra con “Antigone” di Sofocle.

(premetto che non sono schierato nella disputa; che non sono berlusconiano; e che in certe strutture e alternative della Civiltà può capitare a chiunque di cadere).

La prima associazione è abbastanza labile, e si riduce alla molteplicità di mondi contemplati, tre in Carroll (il secondo e il terzo sono l‟Ultra-Paese e il Paese delle Fate, salvo interpretarli come scissione interna a un secondo mondo); (trascuro la Teoria dei tre mondi di K. Popper); nella seconda associazione i mondi sono due, quello privato o meglio interiore delle “leggi non scritte” di Antigone, e quello pubblico o meglio esteriore delle leggi scritte di Creonte.

Ma la distinzione tra interiore e esteriore rende precari ambedue i mondi, rappresentati fin troppo ovviamente anzi banalmente e meccanicamente da una donna e un uomo, rosa e blu.

Un particolare anti-piccante: Sylvie e Bruno sono, alternativamente, due fate o due bambini (che, “si sa”, non hanno sesso, angioletti, fate o fatini).

Neanche voglio essere informato, nemmeno se lo fossi, delle vicende personali delle due personalità menzionate, sono psicoanalista proprio perché non ho simili curiosità: se qualcuno proprio vuole informarmi delle proprie vicende, deve pagarmi perché io ne prenda nota come notaio (in altri termini, la distinzione pubblico/privato non mi appartiene, meno ancora quella tra esteriore e interiore).

Tutto ciò che so e mi serve sapere è ciò che tutti sanno: che la Lady in questione e questionante non è né mai è stata la First Lady di un First Man (senza predestinazione delle First Ladies a diventare delle Hillary o delle Jacqueline), pur non mancando Lei delle qualità per esserlo degnamente.

Non dico di più: mi basta osservare che le distinzioni tradizionali tra pubblico e privato o, peggio, tra esteriore e interiore, è il principale problema politico di tutto il Mondo e tutta la Storia (non c‟è “Italietta”, salvo che tutto il mondo lo sia).

Scrivendo ciò che scrivo faccio politica.

La discrasia, diciamo così, cui il mondo ha appena assistito è un evento politico non fausto, e non di cronaca politico-salottiera.

Il “Rosa” non è politica benché sia entrato per quote in Parlamento: che significhi “Cosa” come il celebre “das Ding” dei Filosofi?, entrati in Parlamento grazie alla “Cosa” o alla sua negazione.

Ricordo che nel finale dell‟“Antigone” Creonte cerca in ritardo di fare ammenda con Antigone (non finisce bene).

L‟“Antigone” non è una tragedia ma una tragicommedia.

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Lo psicoanalista non è un guastafeste ma un guastatragedie (lo dico non per la prima volta).

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Domenica 4 febbraio 2007

DOMENICA 4 febbraio 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di: S. Freud Dostoevskij e il parricidio OSF 10

Rinvio al precedente “Sanzione del parricidio” di venerdì 26 gennaio.

Queste pagine di Freud sono im-mense (significa non-misurate ancora), tanto da dover venire lette, non riassunte; ma non sono e-normi perché invece pongono una norma (cioè positiva, non antigonea), che continua a restare inedita nella giurisprudenza (ma diciamo sempre che qui si tratta della giurisprudenza di un primo e distinto Diritto, non quello detto “naturale”).

Le morali parlano di “peccato”: Freud le ha sfidate asserendo che non esiste altro peccato, colpa non senso di colpa, che il “parricidio”, e senza alcun bisogno di sporcare la moquette con il sangue di papà.

Ma all‟occorrenza anche questo, come nel caso di stupidi Maso(-chisti), o dei fratelli Karamazov appunto (stupido anche il padre).

I Karamazov, tutti padre compreso, sono un‟associazione per delinquere - anche nei loro “alti” discorsi, per esempio quello di Ivan sui bambini -, papà compreso.

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Lunedi 5 febbraio 2007

NON COPIARE!

Da bambino alle scuole elementari - ma non dovrebbero esserci scuole “superiori” bensì scuole sempre più… elementari: è cattiva l‟imposizione della distinzione tra semplice e complesso - vigeva l‟imperativo “Non copiare!”, e così oggi (non è cambiato nulla).

Già allora ne ero critico, anche se la mia critica non era ancora consolidata, cioè dovevo ancora passare dal principio di piacere al principio di realtà, ossia al sapere che avevo già… Ragione.

Ne ero critico pur non avendo bisogno di copiare dal compagno di banco, ma solo perché, provenendo da una famiglia colta, non ne avevo bisogno semplicemente perché partivo dall‟avere già copiato.

Se fossi un insegnante insegnerei il copiare (non “a” copiare), e boccerei quelli che copiano male, o non copiano affatto.

La nostra patologia comincia dal non copiare più, dal non prendere più, dal narcisismo dell‟abbandonare il realismo iniziale del modus recipientis, o del principio di arricchimento.

La storica “Psicologia della percezione” malgrado i suoi onesti meriti è stata pidocchiosa, perché si è ben guardata dall‟esplorare e dall‟insegnare in solido il duplice significato della parola “percepire” (questa scissione è plurimillenaria, e informa di sé l‟“educazione”).

La psicoanalisi è una psicologia della percezione non pidocchiosa.

L‟uomo sano è quello che nel percepire (sensoriale) percepisce: la mancanza del duplice significato significa invidia.

Un esempio “alto” con virgolette: Van Gogh ha cominciato copiando, sapendo che bisognava saperlo fare, e senza fatica né didattica nell‟apprendere a saperlo fare (sto segnalando la parola ap- prendimento: il vandalo non vede perché apprendere se non prende senza per questo essere ladro).

Si tratta di riunire conoscenza e prendimento.

Diventato il “grande” Van Gogh, non ha neppure rischiato di peccare di superbia.

E‟ il superbo quello che non copia, e non progredisce: il narcisista è cretino (o “demente”, Kraepelin) perché non copia più.

“Grande” va sempre posto tra virgolette: è il predicato dell‟ignoranza, non quella di ciò che viene predicato ma del predicante.

Quando ho bisogno di idee ricomincio a copiare (il primo della serie resta Freud, copiante che copio), ossia ad alimentarmi del frutto del lavoro di un altro.

Oltretutto, così non cado nella tentazione di avere un punto di vista, una Weltanschauung (Freud ha scritto di non averne): i punti di vista sono in-vidiosi, e intolleranti.

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Quando leggo, anzitutto un romanzo, copio attivamente, come in tutte le copiature.

Come analista raccomando di notare, annotare, prendere nota, copiare (sogno, lapsus, eccetera), cioè dal proprio stesso pensiero né più né meno che se fosse il pensiero di un altro: ecco tutto.

L‟analista stesso copia dal suo paziente, che poi invita a ricopiare.

Copiare, annotare, non è speculare, verbo maledetto.

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Martedi 6 febbraio 2007

DISPREZZO PER IL CORPO

Il disprezzo per il corpo è una menzogna, anche in quelle filosofie e religioni che dicono di disprezzarlo, di negargli apprezzamento.

Non è disprezzo per il corpo, lo è per il pensiero, nei suoi eccellenti rapporti iniziali con il corpo: c‟è attacco all‟iniziale pace civile tra pensiero e corpo, che in virtù del pensiero è da subito trasfigurato in aldilà dell‟organismo.

Tali buoni rapporti sono mantenuti, malgrado tutto, anche nella patologia nevrotica, nei suoi sintomi corporei e nei comportamenti sintomatici o coatti stabili: in cui c‟è delega del pensiero al corpo, come sede degli arresti domiciliari del pensiero nella sceneggiatura sintomatica.

L‟attore, separato dallo sceneggiatore, non è soggetto, la recita reale non è reale.

I personaggi non sono in cerca d‟autore: l‟autore è rimosso, o diviso tra attore e sceneggiatore.

La rimozione in quanto quella di Rossella o‟ Hara (“ci penserò domani”) riguarda il “penserò” ossia il soggetto dell‟atto di pensiero, non il “ci” o il contenuto, che è conservato nel sintomo o nell‟agire sintomatico, eternizzato (nello psicotico e nel perverso scompare la relativa mitezza inibitoria della nevrosi).

(Riparleremo dell‟“eternità” come del nome plurimillenario della rimozione anche per i prossimi millenni, anziché della sinergia e continuità tra oggi e domani: non sono interessato a un‟eternità che non sia il tempo, non kantiano, di questa sinergia e continuità).

Il mio paziente continua a restare “paziente” (non mio ma della sua patologia), non perché non riconosce, magari lentamente e a fatica, il contenuto del suo pensiero, bensì di esserne il soggetto grammaticale-autore-attore senza più drammaturgia (quella nevrotica, con differenza tra isteria e ossessione).

E‟ il soggetto di un conflitto: questo è reale, e drammatico: è il dramma tra reale (conflitto) e angoscia.

Il dramma nevrotico evita il… dramma e il reale, lo isola nella sfera del sintomo (ma come biasimarne il soggetto?).

I millenni restano sceneggiature, “gran teatro del mondo” come è stato detto da uno che se ne intendeva.

Il bambino non è cartesiano: non ha un problema mente/corpo perché parte già dalla soluzione prima del problema, che è patologico (del bambino non cartesiano ho appena scritto in ”La grata moderna o la liberazione „da‟ bambino”, 29 gennaio).

Il disprezzo per il corpo con incuria per esso è solo disprezzo per gli altri, tutti, universo.

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Non è disprezzo dell‟“alto” per il “basso”: questa distinzione è tra le Teorie patogene o sceneggiature storiche e mondiali, e il “basso” avrebbe ragione di sporgere querela per diffamazione classificatoria: è l‟ostilità dell‟Ideale intoccabile, senza merito (o demerito), non imputabile, per il pensiero nel suo merito o demerito ossia imputabile.

Questa ostilità inesorabilmente attacca i sessi, fino a non potere neppure menzionarli linguisticamente se non con offesa (anche se mondanizzata), nel migliore dei casi con imbarazzo.

Nella perversione, in cui l‟Ideale è forte, si diventa capaci di qualsiasi bassezza o spregevolezza corporale.

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Mercoledi 7 febbraio 2007

CHE GIOVA NE LE FATA DAR DI COZZO?

Ora un tocco di trivio pornoliceale, critica non pedante di questo verso dantesco, Inferno IX, 97.

Ancora oggi adoro il mio Liceo, quando andavamo coltamente svillaneggiando o dissacrando non dico tutto, ma tutto ciò che meritava di esserlo, nella buona tradizione dei Carmina Burana.

Mi censuro, tra l‟altro, dal dire come finiva Beatrice: me ne trattengo per un residuo del sospettissimo “comune senso del pudore” (per esempio a proposito dell‟asserito “pare”, che?, “tanto gentile e onesta”): in fondo aspiravamo soltanto a esorcizzarla, a farla tornare nell‟inferno da cui era uscita.

Nel caso qui menzionato, l‟endecasillabo con metrica rispettata diventava:

“Che giova nelle fate dar di c…?”

Eravamo bravi!

Bravi non tanto per la colta trivialità, quanto perché non era gratuita: infatti così turpiloquiando rifiutavamo l‟idea di “fata” plurale di fatum, destino, che esiste solo come patologia, compulsione (del destino ho scritto in precedenza).

Volendo insistere nel genere, aggiungo che lo sostituivamo con le “fate” che, come spesso si dice delle donne, “lo” rompono sì, ma al destino cioè al compagno compulsivo (anticamente Santippe): ma purtroppo ciò non basta a romperne la rigida e eterna quanto impotente e ridicola dimensione fallica, sono compulsive anche loro (bella famiglia!)

Oltretutto eravamo ortodossi contro un Dante eterodosso nella sua Teologia-Teoria di Dio come “fata”, compulsivo anche lui (“quella voglia / a cui non puote il fin mai esser mozzo”, IX, 94-95), algoritmo inesorabile quanto demente: un Dio malato, o istintivo cioè appunto coatto, che ci vuole malati contrapponendo la “salvezza” alla guarigione (da sbattezzarsi!), che fa il paio con la geometrica Trinità alla fine del Paradiso, con la figura o “effige” di Cristo in esilio dalla seconda Persona-cerchietto cui ortodossamente dovrebbe essere strettamente identico, facendo saltare la geometria (da sbattezzarsi! bis).

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Giovedi 8 febbraio 2007

E’ BENE CIO’ CHE FINISCE BENE

o degli opposti destini del turpiloquio.

Ne faccio un uso moderatissimo (non perché io sia pulzello), e motivato come nell‟articolo precedente, che pure mi è stato rimproverato.

Allora non trovo di meglio che fare di peggio.

Del resto lo fa già la lingua italiana (lingua non gergo in questo caso) con il suo genius sermonis mai individuato: essa è portatrice di un insospettato sapere su una porzione della dottrina psicoanalitica.

E‟ un sapere senza soggetto di cui mi faccio il soggetto.

A pochi è divenuta nitida la dottrina del “fallo”, ossia la distinzione e contrapposizione:

tra un onesto e modesto organo maschile, erroneamente detto “pudendum” o “vergogna” per ragioni non morali ma appunto “falliche” ossia per un disturbo del pensiero di cui qualcuno, non il destino, è imputabile - idem al femminile, e l‟astrazione o predicato “fallo”: folle!

Ebbene, grazie al genius sermonis italiano si è generato l‟epiteto “testa di…”, ma eserciterò la prudenza dicendolo in francese: “tête de phallus”, anche se dubito che un francese capirebbe.

Qualsiasi italiano sa:

che l‟epiteto è riferito alla testa, in “alto”, non al “basso” delle pudenda, che esso è imputabile, a pari merito, tanto a uomini quanto a donne, ossia che prescinde dalla differenza dei sessi.

Eccolo, il “fallo”.

L‟espressione coltamene turpiloquiante designa, e inconsapevolmente diagnostica, un tipo di pensiero, “alto”, perfettamente compatibile con i “bassi” istinti.

Quale pensiero? (anzi Teoria inquinante il pensiero).

Esso è come una mutazione genetica cancerogena:

prima i due onesti e modesti sessi naturali sono catturati in una comune essenza (poi, inversione o seconda menzogna, trasferita in supposti “istinti” naturali), detta sessual-ità, ossia i distinti sessi nelle loro rappresentazioni ingenue cadono sotto la rappresentanza di un‟astrazione indebita, poi segue un infame “rispetto” dei due sessi, già distinti per natura, distinguendoli secondo possesso aut mancanza di una prerogativa, ossia formalmente un delirio, il delirio di una “mancanza” (presente in tutte le psicopatologie, in alcune delirio effettivo).

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Una Teoria ostile - non ai sessi di cui si infischia, ma al rapporto: a tutti i rapporti a partire da uomo e donna - si è fatta avanti come un esercito occupante il territorio.

“Nudi” è un‟idea delirante tanto filogenetica (storia nel mito biblico delle origini) quanto ontogenetica (storia dall‟infanzia).

“Fallo” designa una tale Teoria, quella che, avvalendoci della nostra brava trivialità italiana, possiamo rigorosamente definire una Teoria del c…

Quante Teorie nella Storia del “Pensiero” meriterebbero la qualificazione di Teorie del c…? (a partire da Platone).

Essa è nata con il peccato originale, nel e dal primo divorzio e, a quanto costatiamo, oltre che plurimillenaria resta indistruttibile.

Da molti anni cerco di mostrare, con modesto successo, che la “castrazione” freudiana è castrazione sì, visto il contenuto sessuale, ma lo è come castrazione intellettuale da un‟infame Teoria che ci affligge tutti in tutta la Cultura.

E‟ bene accorgersi che il turpiloquio la dice lunga: se preso bene cioè nel suo senso, è bene ciò che finisce bene.

Si tratta di finire, fine, meta, Ziel, conclusione logica e pratica o soddisfazione: è il Pensiero di natura.

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Venerdi 9 febbraio 2007

UBI BENE IBI PATRIA, O L’INDIGNAZIONE IMMORALE

Da una Personalità eccellente che non nomino, anni fa ho sentito condannare questo adagio, e con forti toni di indignazione morale.

La frase è attribuita a Erasmo da Rotterdam, e condensa una frase di Cicerone (“patria est ubicumque est bene”).

All‟epoca in cui ho sentito la condanna ero in grado di non scandalizzarmi per lo scandalo: quello di uno che non poteva accettare che il concetto di padre (“patria”) fosse non primario, ma logicamente secondario a quello di bene.

Ma se è secondario, allora “padre” non designa una sostanza in sé che implicherebbe astrattamente “il Bene”, il vecchio buon summum bonum, ma inversamente: c‟è padre se si produce ciò cui si applica il giudizio “buono”, che significa soddisfazione senza Ideale nemico della soddisfazione.

E‟ su questa via che collego padre e eredità (“Padre” significa aut eredità aut parricidio, ossia delitto già nel “padre”, vedi Karamazov).

Questo pensare logico è già nel bambino, cui può benissimo accadere di chiamare “papà”, senza lapsus, chiunque madre compresa: il bambino, finché è sano, sa rivolgersi a tutti gli sportelli come “paterni”, ossia ubi bene eccetera.

“Bene” significa tutti i possibili sportelli del giudizio “buono”, senza esclusioni reciproche tra sportelli.

Il bambino non è un contemplativo ma un attivo.

E‟ il figlio a dire il padre.

Avete mai notato l‟aria di sufficienza, compassione, compatimento fino a volterriana tolleranza pacificamente annoiata con cui i bambini ascoltano certi discorsi degli adulti, per poi astrarsene sovranamente? (come e più che in certe prediche, non solo religiose).

Il detto pone riparo dalle ideologie patriottiche (o matriottiche) che nel secolo scorso hanno fatto più cadaveri di quanti Gengiz Khan potesse immaginare (mi scuso con Gengiz Khan, che non era un sanguinario ma un imperialista, come Alessandro Magno o i Romani).

Pone riparo anche dalla nostalgia, che è un vizio non una virtù (in proposito Freud ha scritto “Lutto e melanconia”).

Capisco, solo per tolleranza senza comprensione, quell‟indignazione immorale.

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Sabato 10 febbraio 2007

I PACS DI KANT

La famiglia kantiana è un Pacs eterosessuale in partenza proteso sul Pacs omosessuale in arrivo.

Dico da anni che siamo tutti kantiani, Kant ha vinto: solo pochi psicoanalisti, come me, resistono ancora (contro la “maggioranza compatta”, Freud).

Ma prima leggiamo (dalla “Metafisica dei costumi” di Immanuel Kant2):

“Il rapporto sessuale è l‟uso reciproco degli organi e delle facoltà sessuali di due individui. Il rapporto sessuale è: o quello che obbedisce alla pura natura animale, o quello che si conforma alla legge. Questo secondo caso è il matrimonio [eh no!, ndr], cioè l‟unione di due persone di sesso diverso per il possesso reciproco delle loro facoltà sessuali durante tutta la loro vita. [Quanto allo] scopo di procreare, l‟uomo che si sposa non è obbligato a proporsi questo scopo per rendere questa unione legittima [qui Kant fa il furbo: non si tratta di scopo ma di non obiezione all‟evento]. Quando un uomo e una donna vogliono godere reciprocamente, devono necessariamente unirsi in matrimonio, e questa necessità è imposta loro dalle leggi giuridiche della ragione pura. In questo atto [sessuale] l‟uomo riduce se stesso a una cosa, il che è contrario al diritto dell‟umanità che risiede nella sua propria persona. Questo diritto è possibile alla sola condizione che, mentre una delle due persone è acquistata dall‟altra proprio come una cosa, questa a sua volta acquisti reciprocamente l‟altra: così essa ritrova di nuovo sé stessa, e ristabilisce la propria personalità” [nel migliore dei casi questo è pugilato!, ndr].

Avevo già commentato: frigor concupiscentiae, rigor mortis.

E‟ noto che Kant ha escluso da sé ogni donna, in matrimonio, in libero amore, o semplicemente in conversazione: ma, stante la sua premessa, almeno è stato coerente (ma la coerenza non è una virtù in sé: la criminalità morale è coerente).

Meditate bene questa lunga citazione: allora avrete una crisi di angoscia e una notte insonne, ambedue benefiche come segnali.

La famiglia kantiana - ripeto - è il primo Pacs, preceduto da più secoli di famiglie-Pacs come quelle kantiane.

Ora, facciamoci logicamente cristiani per un momento: la questione è quella di che cosa distingua la famiglia di era cristiana dall‟essere stata soltanto il primo Pacs.

Il sacramento del matrimonio è stato istituito proprio per rispondere alla questione, e ciò, anche se pochi mi ascoltano, è avvincente.

Prima il matrimonio era per i potenti, i plebei si arrangiavano: ma allora i loro coniúgi erano solo o ammucchiate di pecore o Pacs.

I Pacs sono inevitabilmente plebei (oggi direi: piccoloborghesi, ma ormai è una parola proibita).

2 Prendo da: Giacomo B. Contri, “SanVoltaire”, Guaraldi, Rimini 1994 (raccolta della Rubrica “SanVoltaire” in Il Sabato, 18 febbraio 1989).

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Il sacramento diceva: vediamo se “una sola carne” può riuscire o soltanto fallire (e la Storia parla di fallimento).

Io psicoanalista sono per la riuscita.

Nel “Sillabo” Pio IX se la prendeva con il Liberalismo (che fosse comunista?, non sono il primo a chiedermelo).

Tra l‟altro condannava come grave errore l‟idea che il sacramento fosse solo acqua santa o crema religiosa sulla torta civile.

Mi sono chiesto se non parlasse alla nuora liberale perché la suocera cristiana intendesse.

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Domenica 11 febbraio 2007

DOMENICA 11 febbraio 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Supplemento metapsicologico alla teoria del sogno, Lutto e melanconia OSF 8

Istituzioni

Nell‟uno e nell‟altro articolo figura l‟espressione “le grandi istituzioni dell‟io”.

Invito a cercarla nella lettura dei testi, semplicemente per ricominciare a farsi la bocca, o l‟intelletto, alla parola “istituzioni” in quanto reintrodotta per nuovissima via, quella di Freud appunto, oltre a quella pedante dei soliti discorsi sulle istituzioni.

Piena novità: nel pedante antico o moderno, all‟individuo umano non è connessa alcuna istituzione, alla persona fisica è sempre rifiutato lo status di persona giuridica, ossia essa continua ossessivamente a venire classificata come perdente e mancante.

Se Freud ha ragione, allora si ragiona da capo.

Da anni propongo il “Tribunale Freud”, cui è dedicato il Corso dello Studium Cartello di quest‟anno: come istituzione di un io sempre esautorato, destituito (psicopatologia), de-istituito.

Eppure in un primo tempo (Genesi) sembrava che gli spettasse come sua competenza pubblica di “dare i nomi alle cose” cioè anche agli atti, ossia la competenza linguistica come anzitutto competenza legislativa.

Poiché tale competenza legislativa è stata proposta come volontà di “Dio”, destituire l‟uomo è destituire Dio stesso.

Ma allora a che serve cantare il “Te Deum” se non per dargli dell‟imbecille? (bestemmia plurisecolare ma ben paludata).

L‟ateismo è niente a paragone della bestemmia dei credenti.

Ecco perché parlo di Ordine giuridico del linguaggio.

Il dibattito dell‟“Antigone” è un dibattito tra le massima Istituzioni, non tra una povera “ragazza” e l‟Istituzione dello Stato: Sofocle ha il colpo di “genio” di farlo recitare tra individui in carne ed ossa, ambedue patologici ossia nessuno all‟altezza della sua Istituzione.

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Lunedi 12 febbraio 2007

SPAZZATURA E “SOCIALE”: LA SCARITA’

Si dice “lavorare nel sociale”.

Una persona che ricevo mi ha riferito un suo lapsus di lettura: di fronte a un contenitore della spazzatura recante la scritta “Scatole”, aveva letto “Sociale” (nel suo lavoro ha a che fare con quel bravo “Sociale”).

Si è ben guardata dal biasimarsi per il lapsus, al contrario lo ha condiviso, e io con lei.

Come vorrei che questo lapsus, e giudizio, fosse generale!, e ciò perché il pensiero che lo produce è universale (discuteremo un‟altra volta di universale e generale).

Ciò che ammetto è soltanto che un piatto di minestra (ben cucinato) e un tetto (decente) non si rifiuta a nessuno (siamo lontani da un simile Welfare), ma non la frivola oppure malvagia illusione che il piatto e il tetto, magari conditi con psicologica gentilezza da operatori del “Sociale”, mobilitino qualcuno: potrebbero perfino incattivirlo.

Solo la ricchezza mobilita ossia genera salute e il desiderio di essa.

Per mobilitare e mobilitarsi alla salute bisogna porre in vigore il detto “a chi ha sarà dato, a chi non ha sarà tolto anche quello che ha”, avis aux amateurs.

E sapendo che senza questo non si può andare aldilà del piatto o del tetto: l‟“aldilà” comunque inteso è di ben altra costituzione.

Quelli del “sociale”, pulitamente detti “ospiti”, loro sì che sanno, sanno che è una bugia, che sono degli scarti: scarità non vogliono.

Se sono spazzatura o rifiuti dell‟Ordine pubblico, non li si chiami con altro nome: a questa condizione si potrebbe arrivare a farsi una nuova idea dell‟Ordine pubblico medesimo, e di chi è incaricato di occuparsene.

Aldilà del piatto o del tetto la ragione dell‟occuparsene, se non è già perversa in partenza, rischia di diventarlo alla fine: come tutte le “vocazioni” a curare poveri diavoli perché poveri diavoli (e in generale: a curare i malati perché malati: parlerò poi della Medicina).

I poveri diavoli non amano né apprezzano la miseri-cordia (l‟amore è fatto di ben altra pasta: è cosa da ricchi), e finiscono, poveri restando, per specializzarsi come diavoli (consiglio: non date mai le spalle ai vostri presunti “ospiti”, che sanno riconoscere il sadismo della scarità).

Caso particolare: ho visto molti piatti di minestra ai “barboni”, e va bene, ma basta con la credenza nella figura del “Santo bevitore” di Joseph Roth, che è o una sciocchezza o una bugia.

Uno psicoanalista non fa la scarità: la scarta.

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Martedi 13 febbraio 2007

IL BUTROQUE E LA PECHERONZA: NOI E IL LINGUAGGIO

Nessuna scoperta è più importante di quella di essere cretini, o meglio di esservi stati corrotti per dolo altrui:

“intelligenza” è solo quella che fa seguito a questa scoperta, ossia si parte dalla ricostruzione.

Ma un passo alla volta.

Ho scoperto che nell‟infanzia ero un lacaniano inconsapevole, perché?: proprio grazie al butroque e alla pecheronza.

Che significato hanno?: ma appunto non ne hanno, e io mi pendolavo in mente queste due parole, anzi neanche parole ma suoni ossia significanti senza significato: lo sapevo e dunque ero lacaniano perché avevo già un sapere sulla divisione o sbarramento tra significante e significato (in de Saussure si tratta solo di distinzione).

Non ne soffrivo effetti patologici perché non me ne importava nulla, ossia non c‟era stato da parte mia né investimento né controinvestimento.

Inoltre, dato che del Butroque non mi importava, potevo benissimo vivere con una incrollabile fede in esso, come in Gesù bambino o Babbo natale (nella mia biografia il secondo mi è stato risparmiato).

Conosco moltissime fedi fatue in qualche Butroque.

I due modesti arcani mi si sono presto svelati:

il primo derivava dal canto liturgico “Tantum ergo” nel punto in cui ci si rivolge alla terza Persona come “procedenti ab utroque” (cioè procede dalle due precedenti), diventato per me, come per quasi tutti, “a Butroque”, con la maiuscola ossia come ente superiore;

il secondo aveva una fonte meno eccelsa, rammento vagamente che qualcuno aveva fatto un volo pindarico, non referenziale, con l‟espressione “l‟ape che ronza”: più cretino di cosi!, ma questo “cretino” può condurre alla gravità estrema.

Non è vero che viviamo in “Alice nel paese delle meraviglie” (L. Carroll sbagliava), bensì in un mondo di Pecheronze e di Butroque patogeni e specialmente sadici.

E‟ questo il rapporto che abbiamo con la lingua, che, come ripeto da anni, esiste anzitutto a livello di frase, non atomico.

Pensiamo anche solo alla frase tanto “concreta”, “Parla come mangi!”: non sappiamo che cosa diciamo, perché la gente mangia male proprio come parla male, e non per penuria materiale o educativa.

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Caso estremo, sarebbe assurdo dirla all‟anoressico, perché sarebbe invitarlo al mutismo cioè a raddoppiare la patologia, semmai gli dirò: tu mangi esattamente come parli, anche se fai l‟intellettuale.

Termino con un altro esempio di significante che distorce, fino al ridicolo, il significato.

Un certo dramma teatrale novecentesco, molto raccomandato un tempo per l‟edificazione spirituale della gioventù, recava la frase enfatica: “la bella straniera che ti dà il suo corpo senza dire il suo nome”, e da giovinetti edificati credevamo di intuire arcani significati dietro l‟allusione erotica.

Ma per nulla, rileggete la frase e vi riconoscerete facilmente una definizione tanto rigorosa quanto popolare ossia da lingua comune: chi è “la bella straniera eccetera”?

Risposta ovvia: è una prostituta d‟oltremare o dell‟Est europeo, o romagnola come quella del “Carlo Martello” di Fabrizio De André.

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Mercoledi 14 febbraio 2007

1° LA MAMMA 2° LA FIGLIA 3° LA GONNA o l’ecumenismo perverso

Dal divano mi viene riferita la testimonianza dell‟adepto di una religione a adepti di un‟altra religione.

Il parlante riferiva, o credeva di riferire, la concezione delle donne nella sua tradizione, consistente in una graduatoria:

prima la madre, poi la figlia, infine la gonna.

Lì per lì ho creduto che mi venisse narrato un lapsus, ma non era così: il nostro bravo donnaiolo e pessimo gonnaiolo (pessimo perché gonnaiolo) intendeva fare lo spiritoso, niente lapsus.

Ecco un esempio della sconfessione o rinnegamento (Verleugnung) con cui Freud caratterizza la perversione: l‟errore gonna-per-donna, momentaneamente riconosciuto, viene poi disconosciuto e asserito ufficialmente, approfittando dell‟espediente sociale di una dubbia comicità.

La perversione come genere si realizza qui nel feticismo come specie: la gonna come indumento è della serie mutandine, reggiseno, calze, scarpe eccetera (contiguità con il corpo).

Non c‟è che l‟abito da sera a non potersi trasformare in feticcio: per questo scrivevo che Adamo e Eva la sera vestivano l‟abito da sera, e osservo che un tale abito ha funzione pubblica.

Tutti gli elementi della serie sono bene rappresentati dalla celebratissima foglia di fico (magari distinta in blu e rosa): la foglia è monosessuale, cioè omosessuale anteriormente alla distinzione tra etero- e omo-sessuale.

Feticismo iconografico, e “sacro”.

Ripeto ciò che già ho detto: il feticcio non è la mutandina (o tanga) sulla ragazza, è la mutandina in-vece della ragazza.

L‟umanità è riuscita a tenersi in qua dal feticismo solo concependo la donna (in actu exercito) come prostituta, benché legittimata.

Invece madre e bambina sono “salve” dai sessi: ma allora non c‟è salvezza nella “salvezza”.

Non c‟è credenza o miscredenza, religione o laicità, che sia venuta a capo di tutto ciò: ecumenismo perverso.

Tanto tempo dopo la foglia di fico è venuto Don Giovanni con la mediazione di Santa Beatrice: “Purché porti la gonnella” (Don Giovanni è Parsifal al Supermercato).

L‟immoralità di Don Giovanni non sta nell‟avere delle donne, ma nel non averne nessuna.

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Giovedi 15 febbraio 2007

VITA E’ PENSIERO

Vita è pensiero: un semplice accento (“è” invece che “e”, tutt‟altro che l‟“essere o non essere” di Amleto) fa tutta la differenza tra la vita e la morte:

il corpo morto (corpse in inglese) è tale perché non ha più pensiero, questo non anima più un body.

C‟è corpo, non cadavere, quando il pensiero lo anima, ne legifera la legge.

La distinzione tra anima e pensiero, la più antica vessazione dell‟umanità, deve cessare.

Ma non penso che cesserà, se non nel pensiero di alcuni: se vogliamo sperare, è meglio ripartire dal disperare, o dal cessare di pensare la speranza come un bisogno.

La psicopatologia, aldiqua della morte, è l‟incertezza del pensiero in quanto legislativo (come si dice “incertezza del diritto”), il suo dis-orientamento istituzionale, il suo smarrimento o perplessità.

Presenza o assenza dell‟accento è l‟alternativa della Civiltà (non ricito Freud).

Per caricare i toni: che me ne farei di un‟eternità da morto?, o di una resurrezione da idiota assoluto?, ossia con un corpse delirato come intatto di cui viene dolosamente o almeno sarcasticamente delirata un‟anima?

Faccio lo sconto a Platone: era un sarcastico, forse non proprio doloso, in ogni caso un tentatore, ma di successo.

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Venerdi 16 febbraio 2007

EMOZIONI DEL PENSIERO

Precede il breve articolo “Vita è pensiero” di ieri.

E‟ secondaria la scelta lessicale tra “affetto” e “emozione”: primario è il fatto che la Teoria delle emozioni, quella di una “sfera” emotiva distinta dal pensiero - si tratta sempre del neo-tolemaismo delle sfere: lavorativa, sessuale… separate da quella intellettuale, - è solo un caso della Teoria appena descritta, “Vita e pensiero”, centrata sulla congiunzione “e” che non congiunge nulla, non fa rapporto che significa movimento e produzione.

Quante migliaia di millenni occorreranno ancora per concepire che l‟atto sessuale riuscito è un atto intellettuale, esente da qualsiasi istinto ossia dalla distinzione tra “sopra” e “sotto”?, cioè che i sessi non sono oggetto della legge ma la compongono.

Angoscia, senso di colpa, noia, fastidio, melanconia, tenerezza, nostalgia - oppure: pace -, che si dicano affetti o emozioni, sono vita del pensiero, gli ineriscono formalmente.

Analogia: la forma assunta dalla mano che stringe il bicchiere è l‟affetto della mano, la forma del suo investimento.

L‟analogia finisce quando il bicchiere (o il corpo del partner) è pensato come l‟oggetto della mano: la mano potrebbe stringere, infrangere il bicchiere e sé stessa (sorte comune dell‟amore narcisistico o innamoramento).

La forma, o l‟affetto, si estende tra l‟investimento e la meta di profitto: l‟oggetto sarà rispettato e accresciuto.

A questa forma conviene la parola “amore”, oggi ecumenicamente impraticabile.

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Sabato 17 febbraio 2007

LOGICA E EMPIETA’

I Logici sbagliano perché non vogliono saperne dell‟empietà logica della patologia, cioè del fatto che questa è (pato-)logica anche nell‟incolto.

Essa è algoritmicamente rigorosa e implacabile.

In questo J. Lacan, con la sua “Logica del fantasma” e i suoi “Matemi”, ha visto giusto benché a modo suo.

Un Logico che non conosca l‟isteria è ancora lontano dal proprio titolo professionale.

La patologia è iper-logica: essa perviene, come esito o conclusione rigorosa, fin là dove non arrivano i logici, cioè al corpo trattato come alfabeto logico (questo era già il primo Freud, quello dei “Saggi sull‟isteria”).

La psicoanalisi è quella parte della Logica che manca alla Logica ufficiale per potersi considerare completa.

Ciò dicendo do un contributo all‟Enciclopedia come Ordine giuridico del linguaggio.

Sono cose che ho già detto e scritto: le ripeto perché ne sento l‟urgenza quotidiana, in particolare nelle analisi che conduco, che pongono di fronte alla ferreità logica di un contraddirsi permanente e flagrante.

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Domenica 18 febbraio 2007

DOMENICA 18 febbraio 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Tre saggi sulla teoria sessuale OSF IV, 477 specialmente

La nevrosi negativa della perversione, e lo psicoanalista

Suggerisco di leggere il paragrafo “Nevrosi e perversione”, la cui distinzione è lo scibboleth della storia della psicoanalisi.

La conclusione freudiana “la nevrosi è la negativa della perversione” va riconosciuta tra gli enunciati maggiori di una Scienza moderna che si voglia tale: la fisica einsteiniana non le è scientificamente(-logicamente) superiore, benché posta in un alloggiamento distinto della Scienza.

Questa frase connota lo psicoanalista ben più che il consueto uso mollaccione della parola “inconscio” che lo riduce a inconscietà, a profondità rispetto alla superficie.

Si veda in particolare nel testo la distinzione linguistica tra “pulsione sessuale normale” e “sessualità anormale”: ebbene, ecco un esempio del fatto che il Pensiero di natura aiuta Freud (cioè opera nel suo medesimo senso) a risolvere certe sue difficoltà, per esempio quella suddetta: è la “sessualità” stessa, l‟“-ità” astratta dei sessi come Teoria di una sfera o di un istinto, a essere anormale (anormalità del pensiero).

La storia mondiale della morale, e dell‟ambigua distinzione morale/etica, non ha mai saputo distinguere la perversione: e siamo sempre lì.

Il cristianesimo - cui continuo a restare iscritto e alcuni mi chiedono perché mai -, ha finora fallito proprio su questo punto: nel non sapere distinguere la perversione, e ciò malgrado i suoi enormi e plurisecolari sforzi di formulare una dottrina morale che tenga.

Nella sua storia si è arrivati fino all‟educazione sadica delle masse cristiane, cattoliche o protestanti o “ortodosse”, per il fatto di rappresentare la pena come fisica (autos da fé pubblici, inferno di torture fisiche).

La “corruzione della gioventù” consiste nel persuaderla di avere istinti sessuali, o “sessualità”.

La Storia della civiltà è l‟ignorata storia della distinzione reale tra nevrosi e perversione: sia nella Civiltà come astrazione superiore che nella vita personale ingannata da questo “superiore”.

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Lunedi 19 febbraio 2007

IL “NON POSSUMUS” DEL BAMBINO

Il primo “non possumus” non è del Papa: è del bambino.

Il desiderio cui non rinuncia, quale che ne sia il contenuto, lo difende - fino a che non viene sconfitto - fino a diventare l‟inventore della bugia diplomatica (che poi gli viene rimproverata, persecutoriamente, come menzogna di cui pentirsi).

L‟amore comporta la difesa di almeno un punto di non negoziabilità con il partner.

Foss‟anche che si lavi i denti: basta che venga meno a questo per concludere che non c‟è amore alcuno (si noti l‟esempio minimalista che ho scelto).

E‟ la rinuncia a un tale punto - che non è “di principio”, impuntamento, perché il principio di piacere non fa questioni di principio, non si impunta - la “rinuncia pulsionale” freudiana (Triebverzicht).

Una tale rinuncia è stata anche chiamata “cedere sul proprio desiderio”: che è l‟obiettivo della persecuzione del bambino.

Non negoziabilità non significa conflitto: al contrario, gli pone termine.

L‟innamoramento, è proprio questo punto che fa cadere, cade la testa (“perdere la testa”): un soggetto vi ammette la negoziabilità del non negoziabile, e ciò fa passare all‟odio esplicito quello già implicito nell‟innamoramento, attraverso l‟apertura del conflitto (che spesso inizia come “dialogo amoroso” con concessioni reciproche tra partner).

Ci sono negoziati che finiscono con la guerra (sono persuaso, non da solo, che è cominciata così la Seconda guerra mondiale).

La persecuzione attacca proprio questo punto: e infatti l‟innamoramento è persecutorio, l‟astratto oggetto detto “innamorato” non lascia in pace.

Poi verrà la paranoia come lo scenario stesso dell‟amore puramente presupposto, incondizionato (“la mamma è la mamma”, “il padre è il padre”).

Il Quarto comandamento non compie l‟iniquità di comandare l‟amore per i genitori perché lo “sono”, ontologia persecutoria: predica la tolleranza di onorare i genitori anche nel caso in cui non lo meritano affatto.

Il bambino, che tale punto ha e difende con ogni mezzo, è il primo dei perseguitati: e il primo mezzo della persecuzione è l‟inganno amoroso, l‟Ideale amoroso.

L‟amore, se è e quando è, non è incondizionato, as-soluto.

Lo psicoanalista è il difensore in secondo grado per una difesa fallita nel primo.

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Martedi 20 febbraio 2007

IL BAMBINO E LA MORTE

Della morte il bambino ha il pensiero, non una Teoria.

E‟ un altro modo per dire che le angosce sono di vita, non di morte.

Il bambino ne ha cognizione fattuale (scomparsa di persone anche care), rimanendo nel pensiero di natura (“principio di piacere”) come pensiero di profitto che ammette anche il caso della perdita e del lutto ad essa relativo, senza angoscia.

Anni fa dopo avere detto ciò in una sala pubblica, un signore anziano prese la parola per addurre a sostegno il caso del nipotino cinquenne che gli aveva rivolto pacificamente la domanda: “Nonno, tu quando muori?” (molti altri esempi anche diversi sono raccoglibili).

Osservo che quel nonno ha accettato la domanda altrettanto pacificamente, ossia senza corrompere il pensiero del bambino (non c‟è corruzione morale che come corruzione intellettuale).

In tale momento (non necessariamente cronologico) al pensiero del bambino viene imposto l‟inganno peggiore, quello amoroso: quello dell‟amore in quanto dovere (come la morale kantiana del dovere in quanto dovere), che abbiamo anche chiamato amore presupposto.

Nel caso, può venirgli contrapposto che nelle relazioni di parentela, presuppostamente amorose, certe cose non si pensano neppure, e non si dicono; insieme, il pensiero è gettato nell‟incertezza per il sospetto che si sia trattato di un auspicio di morte; infine, questa condanna è anche minaccia al bambino di venire sanzionato con la perdita dell‟“amore”, quello puramente presupposto all‟astrazione “figlio”, “padre”, “madre” eccetera, sottratto furtivamente all‟essere il nome di una relazione.

Così, il primo e più grave danno è fatto: l‟amore è passato da nome non indispensabile di una relazione di profitto (che può registrare perdite), a neoplasia del pensiero come Teoria di un presupposto privo di verifiche: l‟angoscia ne risulta, come timore di perdita, non di qualcuno o qualcosa, ma di un oscuro oggetto detto “amore”.

Questo è il terrorismo primario (ho detto “terrorismo”).

Poi la morte stessa subirà, per ricatto al pensiero da parte dell‟angoscia, una simile mutazione cancerosa: si formerà la Teoria dell‟opposizione morte/vita, al posto del pensiero di profitto come unico legame con la vita, senza l‟ingombro della “dialettica” con la morte (anche Hegel sbagliava in proposito).

Con altre parole, il bambino - o l‟uomo sano - non ne fa un dramma: non ha paura della morte, non per “infantile” incoscienza, e soprattutto senza l‟ambigua figura del coraggio.

Il suo rapporto con la vita non passa per l‟opposizione vita/morte.

Il timore della morte, e l‟idea di angoscia di morte, segue all‟angoscia come corruzione del pensiero ossia come Teoria.

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Non ne fa un dramma proprio come con i sessi, che apprezza precocemente.

Con la morte succede come con i sessi: dopo l‟angoscia questi vengono isolati in una sfera teorica detta sessual-ità, come pretesto illogico per dedurre morali sessuali (anche la Teoria gay è una morale sessuale, e vive della premessa “sessualità” quanto la morale eterosessuale).

Dicono gli esegeti biblici che Adamo e Eva sarebbero morti: ma non se ne davano pensiero anzi Teoria.

E‟solo dopo lo Scivolone originale che hanno cominciato anzi continuato a scivolare, insomma si sono grecizzati farneticando sull‟Eternità.

Solo gli Ebrei si sono rifiutati alla farneticazione teorica ellenizzante, e fra questi Gesù, di cui dirò una prossima volta: nella sua asserita “resurrezione” e soprattutto “ascensione” non ha affatto realizzato la greca “eternità”: una simile idea sarebbe da… rogo.

Sessualità, mortalità, eternità sono della stessa famiglia: brutta famiglia!

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Mercoledi 21 febbraio 2007

GLI DICO DI NO

Gli dico di no, altrimenti godrebbe con il mio consenso.

Gli resterà solo di farmi violenza: ossia di essere un idiota.

Anche io godrò, grazie alla violenza.

La soddisfazione non esiste: la guerra è il suo surrogato.

Così falliremo tutti.

Solo ai matti si dice di sì (“Ditegli sempre di sì”: Eduardo).

Conoscete un‟eccezione a questa regola?

Benvenuta l‟eccezione come nuova regola.

“Gli” è intercambiabile con “le”.

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Giovedi 22 febbraio 2007

IL BAMBINO E LA MORTE (BIS). E I GRECI

Seguito dell‟articolo “Il bambino e la morte” (martedì 20 febbraio).

L‟“eternità” come risposta - non richiesta - alla morte, è un‟antica truffa (greca): si è fatta avanti come offerta anticipando la domanda (cattiva economia perché, in questo caso, non verificabile).

Per gli adol-essenti Greci il bambino non esisteva, e ciò fin quasi a ieri (a lungo abbiamo dovuto attendere Freud, prima del quale il bambino non esisteva).

La doppia concezione greca dell‟eternità, trasmessa incessantemente fino a oggi, è solo un travestimento teorico dei due modi “eterni” dell‟angoscia, che sono di plurimillenaria e comune esperienza (ma la gente comune, e ugualmente i filosofi, non riconoscono il travestimento):

1° quello nevrotico, continuo, con incrementi e decrementi, tumescenze e detumescenze: eternità della rimozione (domani-domani-domani…);

2° e quello perverso, pietrificato (l‟espressione “angoisse pétrifiée” è di J. Lacan), solo presente: eternità della perversione.

(I soliti Eraclito e Parmenide, poi Platone, e Aristotele, e via via fino a Hegel, Kant, Heidegger, senza menzionare molti altri).

Tra l‟altro ho un ricordo personale del “bello” angoscioso mare greco (ovviamente non faccio discendere l‟angoscia dalla natura).

Naturalmente su questa enormità che scrivo dovrei scrivere un libro enorme, ma ad essere sincero non ne ho più voglia: non voglio contribuire anch‟io all‟eternità, e preferisco questi brevi articoli.

Aggiungo che per fare apologia del “Bello” bisogna essere o un mistificatore o un mistificato: solo un bambino può usare questa parola come aggettivo restando al di sopra di ogni sospetto (potrebbe usarne qualsiasi altra secondo il principio che tutti gli sportelli linguistici sono buoni finché non sono corrotti in predicati dell‟essere, che poi corromperanno il bambino).

Dai Greci in poi si crede di parlare di essere, tempo, eternità, ma in verità si parla dell‟angoscia, così onnipresente in tutto il pensiero greco: il pensiero greco altro non è che il pensiero deformato in Teoria dell‟angoscia e dall‟angoscia, ordine non giuridico del linguaggio.

Il potere mondiale, mondano e storico dell‟angoscia è tale, che non meraviglia che l‟intera storia del cristianesimo ne abbia risentito da capo a fondo - non sapendo venire a capo dell‟angoscia cui, pure, Gesù offriva soluzione prêt à porter -, e che in essa tanto affidamento sia stato dato proprio ai Greci, salvo varianti interne per sembrare critici (Platone o Aristotele) e perfino democratici (Scuola di Atene).

In tanti anni ho conversato, o almeno cercato di farlo, con innumerevoli persone a pedigree filosofico, anche legate da confidenza reciproca, del rapporto tra filosofia greca e angoscia: li prendeva… l‟angoscia, palese nell‟inibizione del pensiero e della parola, alla sola idea di lasciare lo

74 psicofarmaco grecizzante o ellenista (parlarne male sì, lasciarlo no, come tanti che passano la vita a parlare male dei genitori).

Osservo ancora (ne ho già scritto, come di tutto questo) che Gesù, antiellenista flagrante, aveva offerto altra soluzione.

Si è continuato a presentarlo come un santone imbecille, né intellettuale né razionale né colto né economista né giurista (come in effetti è nei celebri testi).

Gesù - non parlo di fede ma di concetti - “risorgendo” e soprattutto “ascendendo” come uomo, non ha affatto stupidamente realizzato l‟“eternità” greca, nell‟una o nell‟altra variante, ritornando dal tempo umano all‟“eterno” divino (“non nominare il nome di Dio invano!”): ha realizzato un profitto proprio, l‟uomo come profitto di Dio.

Ho ripetuto cento volte che solo un Dio imbecille sarebbe risorto come uomo se questo non fosse stato un profitto: dunque, a prendere alla lettera la storia evangelica, Gesù non si è sacrificato ma, a parte qualche costo, ci ha guadagnato.

Se c'è “vangelo” cioè buona notizia, è questa: una razionalità impensabile per i Greci.

La pretesa “eternità” è priva di profitto, e di pensiero: è il vero nichilismo.

Dopo secoli di grecismo, il Capitalismo è stato il solo vero progresso filosofico, buttando tutto in profitto (Marx è arrivato qui, non per benedire il Capitalismo ma per segnare il punto).

Finalmente non c‟era più filosofia che come economia, e diritto.

Ma economisti e giuristi non se ne sono accorti: e soprattutto, oggi, non se ne accorgono i comuni individui che noi siamo.

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Venerdi 23 febbraio 2007

CHE PIOLA DI FIOLA !

Si tratta del sogno in cui una ragazza rimprovera il fidanzato di trattarla come una “piola”: già nel sogno è noto che la lettera p sostituisce la lettera f iniziale di “fiola” cioè ragazza nel dialetto familiare alla sognatrice (dunque un piolo grammaticalmente femminilizzato).

Mi è facile ricordare il vecchio film “Rocco e i suoi fratelli”, in cui la madre dice al figlio: “Trovati una bella maschietta!”

Possiamo essere certi che tutti i Rocco del mondo troveranno delle maschiette, anche se la madre è una “terrona” illetterata come nel film: la sua epistemologia è superiore all‟Epistemologia, e chissà che non ne dia la forma.

(Nel portarsi la Madonna in cielo, Dio doveva essere terribilmente sicuro del fatto suo, e anche di lei).

Nel rimprovero del sogno, cioè nell‟insoddisfazione, è denunciato un errore del pensiero (di soddisfacente in questo sogno c‟è l‟esigenza di correzione dell‟errore).

Ho appena accennato a due distinte fonti dell‟errore, l‟uomo e la madre: qui trascuro la loro articolazione (in cui non c‟è padre, né nel padre né nella madre).

Dell‟errore accennato si segnala la stupidità, ma incoercibile, e universale (non mi impegno ora con l‟universalità, mi accontento dell‟osservazione della sua notevole frequenza anche in intelletti non stupidi).

Il fidanzato cui è rimproverato l‟errore potrebbe benissimo essere un navigato latin lover.

Inoltre non è l‟esperienza percettiva del bambino, né dell‟adulto, a metterlo sulla strada di un tale errore, che è dunque interno al lavoro intellettuale.

Tralascio una digressione sulla lingua tedesca e sulla funzione in essa del neutro “das”: già Freud osservava che in tedesco la ragazza si dice das Mädchen (così come il bambino di dice, sempre al neutro, das Kind: il neutro offusca la differenza sessuale nell‟oggi e la rimanda eternamente al domani, omosessualità dell‟Eternità).

Ci sono errori - che sarebbero comici se non fossero sanguinari - che si commettono per impotenza logica, o del pensiero (i Logici non hanno mai considerato il caso, e ciò non li avvalora).

Il mondo di questi errori, il Mondo in quanto questi errori, è il mondo del loro puntellamento reciproco: tutto si regge per puntelli (sulla “Dialettica”, sul “Sistema”, sullo “Spirito”, Hegel si illudeva).

Rifiuto di spiegare il modo di produzione di questo errore: perché dovrei lavorare solo io?

Solo una parola sull‟universalità dell‟errore: potrebbe non essere commesso?

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L‟accento va posto non sulla stupidità dell‟errore, ma sull‟invincibilità del suo rigoroso modo di produzione.

Noi passiamo la vita a stupidamente contraddirci - “noi” sia del popolo che dell‟inclita, interclassisticamente -, e ad offenderci se qualcuno ce lo fa notare.

Freud ha trovato la via per evitare l‟offesa mantenendo l‟imputazione.

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Sabato 24 febbraio 2007

CARNEVALE E CLERICALISMO UNIVERSALE

Oggi è Carnevale: la cui mascherata serve solo a mascherare che è tutto l‟anno a essere una mascherata.

E‟ finta su finta.

Carnevale è la festa della preposizione, che chiamerei tipologica, “da”, predicato dell‟ente: “da” uomo, “da” donna, “da” intelligente o almeno “da “ intellettuale, “da” scemo, “da” prete, “da” laico, “da” religioso… (la lista è lunga).

Il tutto nobilitato seicentescamente come “gran teatro del mondo”.

Tra le pecche delle chiese c‟è di avere vestito il prete “da” prete, cui è seguita la faccia “da” prete e il linguaggio “da” prete (fenomeni arcinoti).

Ma il clericalismo non è specialmente né anzitutto dei preti: è il mondo del “da”, la tipologia (o la patologia, lo ripeto da anni).

Una prostituta non è meno clericale, perché opera “da”: è solo un‟Orsolina “da” strada (lungi da me dal biasimare le Orsoline, purché non siano “da”).

La lista prosegue in “da” professore universitario, so cosa dico: J. Lacan diceva “Discorso universitario”, ancora lontanissimo dall‟essere compreso perché tale Discorso non comporta né l‟essere colti né l‟essere universali.

E poi c‟è “da” Dio, ancor meno compreso ma tant‟è, credenti e non credenti continuano a praticare il “Discorso divino” con l‟aiuto dei Greci: carnevalata divina di lunghissimo periodo.

L‟infantilismo adulto ha inventato la tipologia-patologia “da” bambino.

I sessi non riescono a uscire dalla mascherata sessuale: è come mascherata che è omosessuale (anche nell‟eterosessuale), insomma tutti balli in maschera.

Ho già ricordato più volte che J. Lacan ha chiamato “semblant” la mascherata del “da”.

Ricordo un fumetto dei primi anni ‟70: Marylin Monroe su un palcoscenico fa strip: prima si toglie gli indumenti, poi la pelle e resta lo scheletro, poi lo scheletro e resta niente, ma non è finita: poi si toglie… niente e ricompare lo scheletro, poi si toglie lo scheletro e ricompare il corpo nudo, poi si toglie il corpo nudo e ricompare… Marylin.

Tollero il “da” medico (camice) quando si tratta di esercizio stretto della professione: il clericalismo è il camice (anche “da” prostituta, che anche nuda indossa il camice “da” prostituta) fuori dal suo limite stretto.

E‟ l‟assenza o presenza del “da” a distinguere lo psicoanalista dallo psicoterapeuta: lo psicoanalista è la speranza che tutto l‟anno non sia più una mascherata.

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Dal clericalismo carnevalesco del “da” è esautorato, destituito, de-istituito, il pensiero in quanto elaborante, fruttifero, senza limiti.

(Parlo del pensiero in quanto Istituzione, ma proseguirò domani).

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Domenica 25 febbraio 2007

DOMENICA 25 febbraio 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Ogni testo riguardante la de-istituzione del pensiero (rimozione, perversione, censura, …) OSF passim, e in fondo tutto Freud

La pietra scartata (Salmo 118, 22), o l’Istituzione negata

Freud è l‟unico uomo della nostra Era avanzata (non dico “progredita”) che sia stato seguace metodico e fedele di questo versetto del salmo 118: “La pietra scartata dai costruttori è diventata pietra angolare”, mantenendosi esente da ogni obbedienza religiosa (tralascio l‟esegesi).

Il Corso 2001-2002 dello Studium Cartello era appunto intitolato: “La pietra scartata: il pensiero”.

Presumiamo di potere affermare che non c‟è progresso che nella re-istituzione dello scartato.

Il verbo “scartare” è qui tradotto come “destituire”: c‟è de-istituzione del pensiero dall‟essere Istituzione della Civiltà.

Con una formula già introdotta: l‟uomo sano (almeno rispetto alla patologia) è l‟uomo istituito come san(t)a sede del Diritto (da sempre parliamo di un duplice Diritto, il primo dei quali non è quello tradizionalmente detto “naturale”).

La destituzione fin dal bambino del pensiero come Istituzione a pieno titolo, è operata dall‟“alto”, da un cielo delle stelle fisse che è un cielo di costellazioni teoriche o Teorie che abitano la lingua e la storia del… pensiero, e si riproducono in essa corrompendo la facoltà o competenza illimitata del pensiero.

Scartata, la “pietra” non giace inerte:, è attiva fino al vandalismo o guerra intestina, “pietra d‟inciampo” (Isaia 8, 14): mondo di patologia, errore, delitto.

Di “buono” nelle perversioni c‟è che in esse l‟“altezza” di questo cielo è irrisa dalla bassezza delle pratiche più disgustose o ridicole, da stercorarie a esibizionistiche passando per le feticistiche, pseudonobilitate dal masochismo “morale” che è la Teoria della moralità del dolore: chi mai saprebbe pentirsi di nutrire e diffondere questa Teoria come di un delitto?

Se questo fosse il Cielo abitato da Dio, Povero Dio come povero diavolo: tutt‟al più sarebbe il Direttore di una Clinica psichiatrica universale.

Nella pietrificazione eterna di questo cielo, Dio eternizzato è pervertito.

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Della re-istituzione della “pietra” abbiamo fatto un programma di lavoro: un programma cui molti sono i chiamati, ma pochi vi si sono eletti.

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Lunedi 26 febbraio 2007

LE TRE INCONSISTENZE: POLITICA, LOGICA, INDIVIDUALE

I giornali di mezzo mondo parlano in prima pagina della crisi politica italiana (di cui ometto i nomi non per brevità ma perché li considero irrilevanti, maschere come ho appena scritto in “Maschere e clericalismo universale”, sabato 24 febbraio).

Non penso proprio che lo farebbero se fosse per mestiere giornalistico: potrebbero ritenere che ci sono cose più serie di cui parlare, e rimandare la notizia alle pagine interne, o in coda al telegiornale.

Uno che tenga a un‟astratta “italianità” potrebbe sentirsi lusingato, ma non mi sembra il caso: non è lusinghiero eccellere nel pericolo.

Penso che invece la crisi italiana sia mondialmente sentita un segnale serio come lo è l‟angoscia in quanto segnale di un pericolo: il nostro caso di inconsistenza potrebbe riguardare tutti, nel principio cioè “in casa”, non nelle conseguenze.

La parola “inconsistenza” è complessa, duplice ma “in solido” (molti contesterebbero proprio questo): - popolarmente significa mancanza di solidità, - in matematica significa contraddittorietà (di un sistema di postulati, e non devo disputare ora della distinzione tra logica e matematica).

Noi psicoanalisti incontriamo la duplice inconsistenza ogni giorno, dopo averla incontrata in noi stessi (o almeno ce lo si augura: parlo dell‟analisi del futuro analista, impropriamente detta “didattica”).

Non sto facendo un cortocircuito tra individuale e sociale (molto praticato nella storia della psicoanalisi, e soprattutto non risolto, da un secolo), ma solo proponendo un ripensamento, o anche solo un pensamento se uno non vi ha mai pensato una prima volta.

Il circuito (non corto ma neppure lungo-circuito) è ciò cui lavoriamo da anni.

Termino con la seguente osservazione sempre fatta in analisi, un‟osservazione cui la riflessione tradizionalmente filosofica è impreparata e impreparante: che quell‟inconsistenza come contraddizione che quotidianamente incontriamo, insieme all‟altra inconsistenza, e con flagranza come si dice “flagranza di reato”, non è così pulita o “a tavolino” come ci insegnano sui banchi di scuola: i suoi effetti sono patogeni e brutali, antieconomici, miserabili materialmente e intellettualmente.

I due significati di “inconsistenza”, popolare e matematico (oppure logico), si incontrano, ma come nella fissione nucleare.

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Martedi 27 febbraio 2007

GIORNALISMO PERFEZIONATO: IL PUZZO FEMMINILE

Dal divano ricevo una notizia da prima pagina e da telegiornale (non mi è dato di menzionare la fonte, il che farei su liberatoria: diciamo che lavoro anche per conto terzi).

Io ho un‟idea di giornalismo perfezionato che giudico appropriata, che pratico da vent‟anni, e da tempi recenti in questo Blog.

La notizia: in una classe liceale un Prof., novello Platone da amore platonico, “spiega” che nel periodo delle mestruazioni le ragazze puzzano, e nella sua dedizione missionaria e caritatevole al sesso femminile regala a ognuna di esse un fiore.

E‟ molto tempo che non faccio un TSO.

Profumo come contro-odore., deodorante (ne ho scritto in precedenza).

Constato e penso che il divano vale a fini giornalistici almeno quanto le Agenzie di stampa Ansa, Dire, Asca, Adnkronos…

Nell‟operare come psicoanalista e come scrivente mi considero un operaio non un maestro: però mi considero maestro di un giornalismo inedito.

La pecca degli psicoanalisti salvo eccezioni è di aver perso il senso universale della psicoanalisi.

La guarigione sta nel passaggio a tale senso, ossia che non si tratta mai di “panni sporchi da lavare in famiglia”, infame detto che la dice lunga sulla corrente idea di famiglia: i panni sporchi stanno nella lingua.

La pedofilia evita gli odori dell‟ad-olescere, sta su un versante anziché un altro di un‟unica linea di demarcazione: l‟atto del Prof. e quello del pedofilo sono due facce della stessa medaglia.

Per giudicare l‟atto del Prof. ci vuole il Tribunale Freud, il Tribunale ordinario non darebbe il luogo a procedere come invece per la pedofilia.

La “sensazione” olfattiva sgradevole del Prof., e di chiunque altro, è non una sensazione ma un‟allucinazione olfattiva: che deriva non dal sentito ma dall‟ostitlità a ciò cui esso allude.

La notizia è tanto più da prima pagina in quanto potremmo pensare a un Referendum sull‟imputabilità del Prof.: ognuno faccia le sue predizioni sul suo esito, sarebbe veramente un dibattito pubblico e politico (ma non ho alcuna speranza che sarà mai fatto).

Il Don Giovanni di Mozart sente “odor di femmina”: in ciò giudica il Prof. nel suo avere pre- giudicato che è cattivo odore.

L‟errore è il medesimo verso i due sessi, non ne riguarda uno solo, perché la novità ormonale dell‟adolescenza li riguarda ambedue anche olfattivamente: l‟errore (come tutti gli errori) è indifferente alla differenza dei sessi.

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La storia dell‟etimologia e della lingua è molto imbarazzata sulla parola “ad-olescenza”, sul verbo latino olere e sul suo derivato olescere.

Segnalo Cicerone che scriveva, in accordo sotterraneo con il Prof.: “(mulieres) bene olent quia nihil olent” che si traduce “hanno buon odore perché non sanno di niente”, ossia se sanno di qualcosa puzzano (bisognerebbe riscrivere la biografia di Cicerone: che cosa ha davvero fatto nella sua vita?)

Il mio giornalismo è tanto attuale quanto plurimillenario (come quello di Freud).

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Mercoledi 28 febbraio 2007

GIORNALISMO PERFEZIONATO (bis): UN ATTO PATOGENO

Insisto con il titolo precedente, benché esso intitoli implicitamente tutto questo Blog, e anzi tutta l‟opera freudiana.

Prima di dare la nuova notizia completo l‟articolo precedente, rammentando che il più illustre precedente di quel Prof. è Dante nel sogno della “femmina balba” (Purg.XIX, 7-33):

… e mostravami ‟l ventre; quel mi svegliò col puzzo che n‟uscia (32-33).

La notizia Un diciassettenne disfasico ricorda - nei primi colloqui con un‟analista, Raffaella Colombo che mi fa riferito questo caso - il tempo e il fatto da cui ha avuto inizio la sua patologia, accompagnata anche da mutismo e “testa vuota” nelle interrogazioni e nelle prove scritte: ma dal momento del sorgere del ricordo egli diventa repentinamente ben parlante.

All‟età di cinque anni agli scolari della sua classe materna era stato assegnato il compito di scrivere il proprio nome incidendolo sul pezzo di argilla che stavano plasmando: egli aveva scritto il proprio, Lorenzo, con una trovata ingegnosa di cui era stato subito fiero: aveva iscritto la o di “Lo” nell‟angolo retto della L, e senza avere nozione dell‟antichità di questo espediente grafico (latino e medioevale).

Ebbene, una fetida maestra commentò: “Non sa neppure scrivere il suo nome!”

Interpreto questo atto come mosso dall‟invidia, sadismo: il bambino aveva osato avere un‟idea, e buona.

Effetto dell‟atto: la perdita della certezza, nel bambino, della propria facoltà di pensiero.

Anche in questo caso non posso che ripetere che è una fortuna che il Tribunale ordinario non abbia competenza in questa specie di reati, perché non si salverebbe nessuno.

Se fossimo stalinisti manderemmo questa maestra al gulag per rieducarla?: sbaglieremmo, non per mancato rispetto dei diritti umani, ma perché su un tale soggetto l‟educazione o rieducazione non ha alcuna efficacia, e ne faremmo l‟ennesima santerella sadica, ossia la specie peggiore di umanità.

Poco sopra ho posto in corsivo “ricordo”: ripropongo quella deduzione illuminante di J. Lacan per cui “Il paziente non guarisce perché ricorda, ma ricorda perché guarisce”.

Ma attenzione a guarire!: può essere tentazione a tornare indietro.

Freud osservava che la guarigione è sentita come un pericolo: quale morale ha mai saputo contemplare questo caso?

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Giovedi 1 marzo 2007

QUESTO BLOG E IL MESSIA

Mi interrogano sul senso di questo Blog quotidiano: in verità non dovrei rispondere, non per superbia ma per ragioni tecniche ossia perché non sono un Prof. ma un produttore (di “pezzi”, sparsi ma con Ordine).

So per esperienza che ogni volta che ho risposto (da “Prof.”) ho sbagliato: ma in questo caso prendo la domanda dal lato del pensiero che essa mi ha occasionato (quanti gli errori commessi dalla posizione magistrale!)

Lavoro quotidianamente alla e con la mia vita psichica come vita giuridica ossia come vita normalmente costituita.

Lo faccio per mezzo di almeno due operazioni (ce ne sono poi almeno due altre):

1. reintegrazione nel testo (Freud usa la parola “interpolazione”) di ciò che è stato censurato (in questa frase è condensato tutto ciò che ne è di “inconscio” e “coscienza”),

2. individuazione dei nessi di imputazione.

In altri termini lavoro come mia normale vita psichica quotidiana all‟Ordine giuridico del linguaggio, o all‟Enciclopedia del pensiero di natura.

Ciò potrebbero fare - o meglio disporsi a fare - tutti, ma ho già osservato che se molti sono i chiamati pochi però sono quelli che si autorizzano a esservi eletti (la selezione è autoselezione, lo diceva Maria Delia Contri anni fa).

Sento persone che lamentano incessantemente l‟insoddisfazione: non è il caso di chi fa questo lavoro come una forma di respirazione (in cui non c‟è fatica salvo enfisema psicopatologico), mentre nell‟insoddisfazione c‟è arresto di questo lavoro (rimuginazione).

Un tale Ordine fa trovare posto a ogni ente perché lo dispone al frutto staccandolo dal narcisismo greco dell‟ente: è un Regno senza apartheid (il nostro Mondo recente ha ricominciato con un apartheid non sudafricano, anzitutto tra uomo e donna in forma nuova rispetto a decenni fa).

Ma immagino che se arrivasse ora il Messia non troverebbe un posto dove posare il capo, e che per trovarlo dovrebbe (con iperbole biblica) aprirsi la strada a colpi di spada delle sue schiere celesti.

A proposito di Messia, venuto o venturo, osservo che se anche fosse già venuto cioè se avessimo ragione noi cristiani (sto facendo eco a una battuta di Amos Oz), non se la prenderebbe più di tanto per come sono andate le cose cioè male, direbbe: “Sarà per la prossima volta!” (non per buon cuore ma per logica, bisognerà riparlarne).

Infatti quasi da due millenni anche noi cristiani facciamo come se non fosse mai venuto, mentre gli Ebrei almeno dicono di aspettarlo ancora.

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Variante: sono duemila anni che lo rinneghiamo, perché l‟oggetto del rinnegamento (perversione) è il pensiero, e come minimo (nevrosi) abbiamo fatto promoveatur ut amoveatur (in paragone Pietro e Giuda sono stati peccatori minori, empirici, capaci di cambiare idea).

Pensiero umano o divino, non fa differenza, perché il pensiero in quanto tale non comporta questa distinzione: nel pensiero “cielo” e “terra” sono la medesima cosa (Freud: “L‟uomo non è una costruzione a due piani”).

Rispondo alla domanda di partenza: Hegel aveva la sua idea di preghiera, io la mia: l‟ora è il labora del pensiero (e dato che non lo facciamo da svegli, cioè dormiamo tutto il giorno, perlomeno lo facciamo nel sonno come “sogno” in cui vegliamo), dunque in questo Blog prego-lavoro - senza religione - a preparare la terra, per quel tanto che ne ho facoltà, e anche per il Messia, almeno per non obbligarlo a passarci tutti a fil di spada.

Per finire con un collegamento non esplicito: l‟oscurissima, mistificatissima, incredibilissima parola “amore” se mai acquistasse significato e senso, sarebbe per virtù logica del pensiero.

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venerdi 2 marzo 2007

CAUSA PERSA

Solo un appunto:

tutte le cause sono perse, ma è perché siamo persi nella causa.

Il linguaggio politico otto-novecentesco ci ha malamente “aiutato” a perderci nella causa: ma la causa-cosa va molto più lontano nel passato, nella storia del “pensiero” filosofico.

“Causa persa” come si dice matto perso, o drogato perso, e soprattutto innamorato perso.

Perso, o anche smarrito, o disperso (in mare, il mare delle Teorie, quelle greche per prime).

E nel futuro?:

rimando al mio “Un uomo che ha futuro”.

Si tratta di passaggio a un Ordine non perso nella causa.

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Sabato 3 marzo 2007

L’ INTELLIGENZA DELL’ HOMO DEBILIS

Inizio con oggi a parlare di intelligenza, un primo passo soltanto.

L‟intelligenza che crediamo di conoscere è solo quella dell‟uomo debile: gli antropologi si sono narcisisticamente beati a inventare l‟homo sapiens, ma si sono ben guardati dallo scoprire l‟homo debilis.

Esso è quello delle “tipologie” di intelligenza (oggi siamo arrivati a nove).

Se fossimo intelligenti la parola “tipologia” ci insospettirebbe: la patologia è tipologica, e secondo me ogni tipologia è patologica . Per ora, propongo due test di intelligenza già esistenti sul terreno da millenni: : 1. chiamo il primo “test del gatto”: che stupidamente consideriamo intelligente, perfino sovrano, solo perché non ci prende neanche in considerazione, e per questo lo crediamo “superiore” (osservazione già di Freud), mentre è perfino più stupido del cane, che perlomeno si lascia addomesticare cioè ha facoltà di fare suo qualcosa che gli viene da fuori di lui. Naturalmente non è l‟addomesticamento la mia idea di ap-prendimento: il cane non sa prendere, non ha affatto ciò che chiamo modus recipientis, capacità intellettuale di prendere cioè intelligenza. La mia opinione sugli antichi Egiziani non è molto alta, proprio per avere divinizzato il gatto.

2. il secondo test è talmente noto che la nostra debilità balza in prima pagina proprio per il fatto di non assumerlo come tale: è il rapporto uomo-donna, il cui quadro intellettuale nonché fattuale è disperante anzitutto quanto alla possibilità di un‟intelligenza. Io arriverei a farne il solo test di intelligenza, a costo di rischiare la conclusione che l‟umanità è ontologicamente stupida.

Per ora termino qui.

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Domenica 4 marzo 2007

DOMENICA 4 marzo 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Tre saggi sulla teoria sessuale OSF 4

Nevrosi negativa della perversione Bambino perverso polimorfo

Segnalo in particolare la tesi (Primo saggio, Le aberrazioni sessuali, p. 477):

“la nevrosi è la negativa della perversione”.

E anche (Secondo saggio, La sessualità infantile, p. 500):

“il bambino [ha una] disposizione perversa polimorfa”.

Ma qui è il moralista a essere in pericolo perché, se non coglie la buona occasione per tenere finalmente la bocca chiusa, si esporrà nella sua formazione reattiva cioè nella sua peversione morale: che è la perversione peggiore proprio nella sua ambizione universalistica anzi imperialistica.

Freud è al servizio del ripensamento di una moralità, urgente anzitutto per l‟educatore - l‟uomo più esposto di tutti alla perversione - prima ancora che per la maggioranza di noi gente comune, che siamo solo dei poveri peccatori al dettaglio.

Il bambino non è scandalizzato dal suo essere perverso polimorfo, né lo è perché sarebbe stato scandalizzato: lo scandalizzare i bambini, di cui è stato detto che piuttosto sarebbe meglio suicidarsi, è cosa molto diversa.

In proposito Vera Ferrarini mi ha fornito questo passo di Carlo Emilio Gadda:

Carlo Emilio Gadda nel 1946, raccolto nel testo I viaggi la morte, Garzanti 1958, ha scritto sotto il titolo “Psicoanalisi e letteratura”

“Un dolcissimo slogan costituisce l‟enunciato-base delle nostre deduzioni verbali sull‟argomento, ed è „la divina innocenza dei nostri fanciulli‟. A codesta postulata innocenza Freud contrappone sgarbatamente un suo solforoso teorema: „Il bambino è il perverso polimorfo‟. E si studia di dipanare il groviglio dei rapporti psichici tra il bambino e la madre, tra il bambino e la balia. E sostiene che i suoi labbruzzi siano incitati a suggere non soltanto da un sano e romanamente acquisitivo appetito, ma anche da una tal quale alessandrina voluttà. E, poi, è un perverso, ed è tale in più direzioni. Nel prendere e nel restituire. Poveri e cari lattanti! Il motto oltremondano li diffama.

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Poco prima aveva notato come la psicoanalisi fosse duramente repudiata, e press‟a poco come un ritrovato arbitrario, denigrante l‟umana gentilezza, nonchè beninteso il decoro latino e la stabilità di Monte Mario”.

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Lunedi 5 marzo 2007

“GRANDE”, O L’INFANTILISMO

Due anzitutto sono le parole di cui conviene ridurre al massimo la frequenza d‟uso, se non proprio abolirle.

Sto parlando di una delle più importanti decisioni intellettuali e pratiche che uno possa prendere nella sua vita, forse la più importante: quella di non usare più certe parole, espressioni, non solo stereotipi e tic verbali ma modalità e procedure linguistiche, e simultaneamente di adottarne di nuove.

Ne dipende la salute, e l‟unica salute che conosciamo: non quella su modello medico, regressiva, bensì quella progressiva che è l‟approdo alla guarigione da un errore forzoso, o psicopatologia (se esiste progresso, questo si chiama guarigione).

Quelle due parole sono: “grande” e “espressione”.

Sull‟esprimere come nemico del nutrire ho scritto in precedenza.

Sulla “grandezza” (ora non mi sto occupando di fisica, nè della storia di questa parola nella storia della fisica), dico che è corretto e onesto parlarne solo in negativo: per dire che non esiste qualcosa di più grande del pensiero individuale, salvo impoverimento patologico di questo.

Cominciavo a accorgermene quando, nel 1977, pubblicavo il mio primo libro sul diritto (“La tolleranza del dolore”), avendo sott‟occhio un‟illustrazione seicentesca del “Leviatano” di Th. Hobbes: la figura di un Principe il cui corpo è composto del corpo dei sudditi, e dunque più “grande”.

Lo Stato non ha “grandezza” maggiore del pensiero individuale, né Dio (ho dalla mia perfino il libro della Genesi: “A immagine e somiglianza”): molti mi concederebbero la prima asserzione, non la seconda, ossia giocano su due tavoli logici.

Compio ora un passaggio un po‟ rapido perché questo non è un Trattato: considerare “grande” quell‟immensa banalità pulverulenta che sono le galassie, è un segno non di Dio ma solo di infantilismo, che continua a perdurare e che era già durato per tutto il tempo in cui si stabiliva la dimora di Dio aldilà della sfera delle stelle fisse.

Ci sono anche le Istituzioni dell‟infantilismo, anzitutto la religione, che dovremmo studiare proprio come si studiano le Istituzioni di diritto romano: ricordando che l‟infantilismo è dell‟adulto, non del bambino; che il bambino non è religioso, e se lì per lì è disposto a credere qualsiasi cosa, con affetto e senza obiezioni, è solo per senso logico del linguaggio (non mi spiego), e senza che gli importi niente di Babbo natale né di Gesù bambino.

Gesù la faceva finita con la religione.

Il bambino diventa religioso dopo l‟angoscia, o il senso di colpa.

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Tutti i predicati divini, a partire da “grande”, valgono quanto un pugno di mosche: Dio è misericordioso perché non gli salta la… mosca al naso (per come lo si predica ossia “Signore Signore…”).

Come psicoanalista posso sopportare tutto, anche di essere definito ciarlatano (Kurpfurscher lo si diceva già di Freud, che si divertiva e non ne era offeso), ma non di essere definito “grande” psicoanalista (qualcuno bontà sua l‟ha fatto).

Non è metafora dell‟amore l‟abbraccio, della mamma o della sfera delle stelle fisse.

Converrebbe diventare seri, cessare di essere seriali.

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Martedi 6 marzo 2007

LA DONNA FACILE E L’ECONOMIA

Una donna non è mai nuda: quando fa l‟amore con me il suo abito sono io.

Per il resto indossa l‟abito da sera.

Non voglio rinnovare un dibattito ormai vecchio: aggiungo soltanto che se il burqa fosse un abito da sera non troverei da ridire.

Io ho almeno un primato: sono l‟unico a fare apologia della donna facile.

Le donne sono difficili, e ciò mette in difficoltà anche loro, ma pochi sono gli uomini che sanno farne donne facili, cioè facilitare anche sé stessi: il risultato è la diseconomia mondiale.

Se la donna difficile fosse un prodotto dell‟uomo, dubito della salvezza di questo.

La donna facile - quella che non parte dall‟obiezione di principio al servizio da rendere all‟altro - sarebbe un fattore decisivo di uscita dalla crisi economica.

Non è affatto vero che le prostitute sono donne facili: sono difficili come tutte le altre, ma il passaggio dal rapporto al rapporto commerciale produce l‟illusione di facilità, illusione stupida come tutte ma tenace.

Il commercio sessuale non produce ricchezza: questa produzione richiede facilità (è un truismo economico).

Personalmente sono per la donna mannara: cioè una che con me fa il processo inverso a quello fatto da Medea con quell‟idiota di Giasone, piccoloborghese privo di sovranità (Shakespeare ragionava come me).

La dimensione piccoloborghese nell‟antichità greca andrebbe scoperta.

Capisco che Hegel non riuscisse a “sistemare” la donna se non come sorella astratta (Antigone): Marx, cui pure continuo a tributare la mia stima, ha ereditato la difficoltà di Hegel, peraltro già di Kant, e via regredendo.

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Mercoledi 7 marzo 2007

TUTTO IL MONDO E’ PROVINCIA

Dobbiamo a Freud, benché per mano mia, la definizione di “provinciale” aldilà del semplice connotato geografico (ma era lui stesso a osservare che le patologie sono “dialetti”): provinciale è un pensiero che ne confina un altro.

Lo confina rispetto a sé stesso (non perché lo critica), come si dice “Certe cose non si pensano neppure”.

Esiste qualcuno che si salva dal provincialismo?

Più che Paese, tutto il mondo è provincia, a ogni livello: Freud resta un massimo pensatore politico.

La rimozione, il rinnegamento, la censura, lo producono: producendo danno.

Non esiste una Teoria esente da provincialismo.

Il θεωρέιν greco è provinciale.

Anche l‟idea di universo in quanto fisico è provinciale.

La distinzione psicologia/filosofia, psicoanalisi/filosofia, è provincialismo reciproco.

La coppia “alto/basso” è provinciale, come la coppia “ideale/reale”.

Un tempo dicevamo “piccoloborghese”, poi ci siamo vergognati di dire ancora un po‟ di verità.

La storica filosofica “coscienza”, in quanto non si lascia fecondare (Freud diceva “interpolare”) dal pensiero censurato (bene o male detto “inconscio”), è provinciale.

La libertà, dicono, non va molto lontano: ma la coatta patologia, e la coscienza in essa, fa al massimo un giretto, ossia solo un giro (ripetuto) e di brevissimo raggio.

Le stesse fantasia di distruzione, più o meno realizzate, vanno poco lontano nel loro banale semplicismo.

“La Religione” (sottolineo l‟astrazione) è instrumentum regni, dicevamo un tempo: ma lo è in quanto instrumentum sedationis (angustiae cioè dell‟angoscia).

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Giovedi 8 marzo 2007

VINO DALL’UVA, SANGUE DA UNA RAPA: LA METAFISICA

La metafisica è una cosa troppo seria per lasciarla ai metafisici di professione.

L‟espressione triviale “sangue da una rapa”, aldilà della sua contumelia contiene una verità, quasi quella di “vino dall‟uva”: vi si tratta di produzione meta-fisica, e di metafisica come produzione.

Ricordo che anni fa in un‟azienda vinicola piemontese fu promosso un simposio, una cena- conversazione, tra persone variamente impegnate, intellettuali, professionisti diversi, artisti. L‟azienda era gestita da intellettuali che avevano impresso questo mutamento alla loro vita.

Nella discussione qualcuno (per la precisione il sottoscritto) sostenne - ottenendo reazioni molto contrastanti tra loro - che si ha un bel dire che il vino è tanto più buono quanto più é “naturale”, perché proprio il vino è un eccellente esempio del meta-naturale rispetto al fisico o naturale (i gestori dell‟azienda erano inferociti con me, perché la “naturalità” del loro vino era il loro slogan commerciale).

Recentemente (“Il club dello champagne”, 19 gennaio) ho addotto anche l‟esempio dello champagne come un‟escalation nella già metafisica del vino.

Il vino (aiutiamoci pensandolo come quello delle metafisiche figlie incestuose di Lot) è nato nel momento non naturale in cui qualcuno ha pensato che dalla rapa dell‟acino potesse generarsi qualcosa, il vino appunto, che non era affatto implicito né potenziale nell‟acino: più il processo lavorativo materiale, ma ricordando che il pensiero stesso è già lavoro (la patologia è rifiutarsi al lavoro di pensiero).

Il vino non è natura bensì neoformazione della civiltà (come la ruota o la benzina, che non è affatto un derivato naturale del petrolio, benché senza petrolio non si possa fare).

Dopodiché si osserva che anche la metafisica può commettere errori, come quello di derivare sangue dalle rape: come sarebbe bello se l‟errore si riducesse tutto alla nota sciocchezza!, mentre il sangue dalla rapa è solo una metafora della perversione, diversamente dal vino come derivato dell‟uva.

Ho assistito cento volte al celebre gesto filosofico del filosofo realista: fieramente in piedi dietro la Cattedra, dava una grande manata sulla medesima affermando con foga avvocatizia “Questo è un‟evidenza!”

Non che io ne dubitassi, ma quel gesto trascurava l‟evidenza dell‟evidenza, ossia che il tavolo o cattedra non è natura ma prodotto formale del lavoro: la realtà-realtà è il tavolo, non la materia ancora indifferente (legno, ferro, pietra, plastica…) con cui è costruito.

Il Dio biblico stesso è un metafisico: non lo è per avere creato, ossia per avere messo lì qualcosa aldiqua di sé stesso, ma per avere generato ossia aldilà di sé stesso.

Per i Greci il lavoro era servo, al massimo salvavano un po‟ il vaso dell‟artigiano: lasciavano servo il pensiero, cioè noi asserviti alla loro metafisica nemica del lavoro.

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Idem per i sessi: la loro esistenza umana è puramente metafisica a partire da acini, anche se poi se ne è fatto rape da cui far colare il sangue: la perversione è anch‟essa metafisica, non natura deviata.

La vergogna di tutte le morali è quella di trattare la sessualità come natura, con il mistificatorio e perfino delirante pseudoconcetto di “istinto”.

Ripeto l‟inizio, che la metafisica è una cosa troppo seria per lasciarla fare ai metafisici di professione, che ce ne derubano: basta scoprirla come pratica quotidiana di tutti fin da bambini, nel bene o nel male.

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Venerdi 9 marzo 2007

METAFISICA E PSICOANALISI

Con i miei pazienti discorro di metafisica.

E‟ la metafisica in cui consiste la loro patologia (una metafisica di compromesso), ricollocata in quella metafisica che si condensa, densissimamente, nel divano.

Freud la chiamava “metapsicologia”, ma è lo stesso concetto: egli è il primo metafisico nuovo della storia (ce n‟è quanto basta per volerlo morto, senza spargimento di sangue).

Sono i metafisici di professione a ignorare, e precisamente il fatto che c‟è metafisica e metafisica, e che ce n‟è di patologiche: proprio questo non vogliono sapere, o pensare.

Ecco la “resistenza”: è metafisica.

Come si vede sono un fan della libertà, che è libertà del pensiero, anche nel caso di quello più coatto perché gli rimane la libertà di discorrerne con un altro cioè di riaprire il processo.

Sulla libertà del pensiero la moderna “libertà di pensiero” non è andata molto avanti, come già prima le speculazioni sulla libertà (“libero” o “servo” arbitrio riguardano la guarigione o salus del pensiero).

Penso di essere, con Freud, uno dei pochi metafisici viventi, insieme ai miei pazienti che però non hanno ancora compiuto il passaggio a saperlo.

Come pure a sapere che con loro è il Mondo a distendersi sul divano.

La patologia, in sé perversa, non è contro-natura ma contro-pensiero (di natura): ciò ne fa la metafisica che domina il Mondo.

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Sabato 10 marzo 2007

DIFFAMAZIONE, STUPRO, MOLESTIE AL TRIBUNALE FREUD

Sono i reati più comunemente commessi nella vita quotidiana, contro grandi e piccini, al di sopra di ogni sospetto ossia i peggiori.

Sono reati commessi con la lingua: si mettono le parole addosso come si mettono le mani addosso, ma con effetti più duraturi, anzi infiniti salvo guarigione dall‟ ordo disordinato dell‟odio logico ossia linguistico.

“Odium logicum” è stato il titolo di un nostro Seminario di Il Lavoro Psicoanalitico diversi anni fa: nessuno ha mai voluto saperne di questa regione della Logica, anzi ho il sospetto che la Logica sia formalmente formata da questo non volerne sapere.

Ne uccide più la parola che la spada.

Parlo di effetti in ultima analisi economici, materiali e come tali anche corporei: nulla va lasciato all‟introspezione.

La pedofilia corrente è solo un caso particolare e minore della “pedofilia” veramente patogena: tra virgolette, perché l‟essere davvero pedo-fili è auspicabile, e rarissimo.

Non fidatevi di chi dice “Io amo i bambini”: ancora l‟associazione per delinquere “Karamazov”.

Ripeto: è meglio se tali reati sono giudicati da un Tribunale eccezionale (ma non meno universale), perché se il Tribunale penale ordinario avesse facoltà di giudicarli - e non la ha per intrinseca incompetenza e solo per questo - il gulag sarebbe la nostra comune residenza.

Sono reati da Ultimo Giudizio: da molti anni dico che il Tribunale Freud ne partecipa per anticipazione, nel tentativo di cessare di farla troppo lunga.

Si parla di “morale” da millenni, ma dunque: a quando una morale?

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Domenica 11 marzo 2007

DOMENICA 11 marzo 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Ancora: “L’uomo Mosè e la religione monoteistica”, e tutto quanto OSF 11

Freud con Gesù

Sta per uscire il libro “Mosè, Gesù, Freud” presso le Sic Edizioni (dopo il Convegno con il medesimo titolo a Rimini, 20 maggio 2006): ne prendo occasione per tornare sull‟“accusa” di “filocristianesimo” a Freud, e non perché io sia animato da pii sentimenti, bovini come sempre (Carducci: “T‟amo pio bove, e mite un sentimento…”).

Precocemente battezzato e catechizzato, sono stato lungamente istruito nelle questioni del cristianesimo, tra le quali quella della storicità del personaggio-Gesù (un bel giorno non ne ho potuto più).

Per mia fortuna sono stato risparmiato dalla passionale foga a testa bassa dell‟apologetica e, forte del prescinderne - e anche da ogni imperativo fideistico - è risultato al mio attivo un formidabile aiuto di metodo.

Ho così potuto lavorare a mente calma, non dico “fredda” né kantianamente “pura”: nessun pensiero è stato più inesorabilmente ostile al pensiero cristiano, e freudiano, che il pensiero kantiano.

Intendo che ho lavorato su una batteria di proposizioni dotate di senso estratte da quei celebri quattro libretti: ottenendo come risultato l‟esistenza storica di un pensiero consistente (nel duplice significato di solido e non contraddittorio), un‟esistenza posta generalmente in dubbio, anzitutto dai cristiani nei secoli.

Un pensiero non solo consistente, ma anche innocente ossia non produttivo di inganni discorsivi: i Logici non sono mai stati forti in in-nocenza, e questa è la loro brutale debolezza, diversamente dal logico Freud.

Un pensiero anche completo; e razionale - “Ragione” non è una sola: “La” Ragione assoluta ha già fatto tutti i danni -, razionale non ellenizzante, senza bisogno alcuno di prendere a prestito Ragione dai Greci.

E‟ un pensiero metafisico sui generis, e senza una mortificante ontologia: l‟ontologia se riferita a uomini e Dio, aldilà degli enti della natura e degli enti matematici, è solo un camposanto eterno (ci resta solo da contare i cadaveri storici dell‟ontologia).

In un tale pensiero gli “enti” sono, d’entrée de jeu, o materie prime o forze-lavoro (il “Padre” stesso è definito nel pensiero di Gesù come forza-lavoro: “lavora sempre”) - senza possibile confusione tra esse -, e come lavoro libero non servo (per i Greci il lavoro è solo servo).

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Nel Gesù-pensiero c‟è finalmente scoperta dell‟uomo (già biblica), di quell‟uomo che invece era reso mero oggetto di fede dalla Teoria dell‟anima al posto del pensiero, e del pensiero in quanto produttivo.

Tale scoperta dell‟uomo (“L‟albero-uomo si giudica non dall‟ente-albero ma dai suoi frutti ossia dal prodotto del suo lavoro”) ha poi dovuto attendere diciotto secoli per trovare un pensiero amico, quello di Freud, che ha proseguito nella medesima scoperta dell‟uomo (vedi miei scritti precedenti).

A Gesù c‟è voluto molto per trovare un amico, un amico nel pensiero.

La fonte dell‟imbarazzo dei cristiani (e di molti altri) verso Freud deriva non dal pensiero cristiano ma dalla Teoria greca, che nella scoperta dell‟uomo ossia della sua legge di moto non ha mosso un passo (…), o peggio.

Appena morto Gesù lo abbiamo consegnato, anziché ai giuridici Romani ai teorici Greci, assai più perfidi in tecniche crocifissorie.

Ho già fatto la domanda: io freudiano sono credente?, miscredente?, cattolico? (rinvio nel mio presente Sito alla finestra intitolata “Cristiano?”).

Non faccio astuzia sospensiva e rispondo:

1° sono cristiano nel senso del pensiero di Gesù (e la mia ragione non abbisogna d‟altro), a prescindere metodologicamente da storicità e fede (è l‟esistenza di un pensiero a farne la storicità, non le fotografie foss‟anche quelle di Frank Capa),

2° sono cattolico (come oboedientia o iscrizione cui ho ritenuto di non rinunciare, così come non rinuncio all‟oboedientia freudiana come iscrizione al Libro degli psicoanalisti), perché sono:

a. papista, b. messista (da “messa”), c. dogmatico (i dogmi sono una batteria di proposizioni dotate di senso).

In ciò che ho detto brilla per la sua assenza un termine:

non sono teologo: da quasi due millenni la Teologia (cioè la Teoria - storicamente greca - in una delle sue possibili confezioni storiche) ha preso il posto del pensiero di Cristo.

Quando noi cristiani diciamo “omnes peccavimus”, dovremmo dirlo a partire dal peccato storico detto “Teologia”.

Così come non sono psicologo, se non in quell‟identità di psicologia filosofia e diritto che chiamiamo “psicoanalisi” ricapitolata nel Pensiero di natura.

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Lunedi 12 marzo 2007

DICO: PANSESSUALISMO!

Erano bei tempi quando noi psicoanalisti venivamo accusati di pansessualismo: prendevamo su di noi questo peccato dell‟umanità malata (come suoi curanti), ma ne venivamo accusati.

Io e Colleghi chiamiamo questo peccato “sessual-ità”, che non designa affatto i sessi ma la Teoria plurimillenaria e ubiquitaria che in natura esisterebbe una causalità sessuale detta “istinto”: è solo un caso di diffamazione delle persone sessuate, ossia di tutti.

L‟errore “sessual-ità” è entrato in Parlamento e nelle piazze: non doveva ma è successo, e ciò dovrebbe ammaestrarci.

In fondo la forza della Teoria gay è proprio questa Teoria, in quanto sostenuta e praticata acriticamente anche nel fronte opposto, considerato e “stimato” come moralmente ineccepibile: imprevista coincidentia oppositorum.

Dico da molto tempo che i sessi, per essere vivibili, non devono avere voce in capitolo (ossia figurare positivamente nella legge) in quanto tali: la Cultura gay ha prodotto il passaggio alla voce in capitolo.

Colui che ha detto “ama et fac quod vis” ha visto logicamente giusto: “ama” - qualsiasi cosa significhi, e questo significato è oggi più oscuro di ieri - sta per una condizione tale che allora (se- allora) si potrà (moralmente) fare qualsiasi cosa di qualsiasi cosa, sessi compresi, senza eccepibilità.

La recente manifestazione pro i Dico-Pacs (ma se fosse stata contro sarebbe stato lo stesso) è stata semplicemente un atto di pornografia di massa politicamente trasversale (le femministe del passato, con pollici e indici minacciosamente congiunti e sollevati, erano più proponibili e perfino gaie): ricordo un comics pornografico di anni fa che rappresentava una città con vie e piazze gremite di folla in tutte le possibili varianti porno, e questa rappresentazione era più gaia della suddetta cupa manifestazione.

C‟è poi il fatto (ci verrò prossimamente) che la sessualizzazione pubblica - condivisa dai fronti opposti - dei Pacs-Dico è un caso di iniquità sociale di massa: i Pacs - a condizione che non vengano sessualizzati - potrebbero essere per milioni di persone un‟occasione di risparmio (affitto, bollette,…), cioè di autofinanziamento, a buon fine tanto individuale quanto sociale (come minimo aumenterebbero i consumi).

Sarebbe un importante caso di spostamento del Diritto a favore dell‟individuo-imprenditore, dunque una quarta categoria rispetto alla consueta terna: Grandi-Medie-Piccole imprese.

Questo spostamento, la Civiltà che conosciamo non lo vuole, oppure non ne è capace.

Volere?, capacità?: ecco un caso di incapacità di volere (e, va da sé, di intendere).

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Martedi 13 marzo 2007

PICCOLOGRANDE: DELLA SOVRANITA’

Da millenni l‟umanità va avanti (faccio per dire) con la coppia piccolo/grande: ha sbagliato fin dall‟inizio.

E‟ così che ci si è impedito di pensare la sovranità aldilà del feroce mestiere dei Sovrani storici.

Perlomeno, resta traccia mitica di un precedente inizio (Genesi) in cui questo errore non esisteva, in cui veniva premesso che al “piccolo” rapporto tra uomo e donna era affidata la “grande” legislazione universale.

Il piccolo Kant pensava in grande (anche se la sua via era in decisa opposizione alla nostra): la fonte e sede della legislazione universale egli la pensava individuale.

Che cosa c‟è di più macro del micro-chip?

Che cosa c‟è di più macro della cosiddetta “microeconomia”? (tutta da rivedere).

Viviamo ancora nella sterminante desolazione della grandezza: il Nazismo l‟ha recitata “alla grande” (una delle espressioni più odiose o maligne che conosco).

Ho già fatto osservare che il “piccolo” Davide aveva già vinto il “grande” Golia prima ancora di cominciare, un minuto o un millennio prima.

Senza equivoci con Davide, si osserva anche che il piccolo gay di pochi decenni fa ha conquistato la grande politica fino a condizionarla.

Ho la consuetudine metodica di prendere Dio a paragone: ebbene, penso che Dio, se esiste e come condizione per esistere, non se ne faccia nulla della coppia categoriale piccolo/grande.

La “grandezza” di Dio rispetto alla nostra “piccolezza” (chiamata “creaturale: cose da sbattezzarsi!) è il primo equivoco del credente, e anche del miscredente: su questo punto non ho mai visto un laico.

Ebbene, facciamo come lui, o Lui, con la minimaiuscola o la maximinuscola.

Neanche a Dio piace la solitudine (non si capisce: pazienza, a una prossima volta).

Di quell‟errore millenario vive ancora il Diritto che pure venero, con la distinzione tra la piccola “persona fisica” e la grande “persona giuridica”.

Finirla a ogni livello con piccolo/grande: questo sì sarebbe un passo in avanti, progresso.

Ma non possiamo aspettarcelo dalle Istituzioni che conosciamo.

La strada buona non è - non perché sia cattiva - quella dei diritti civili.

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Quando Freud si dice capace di restare solo davanti alla “maggioranza compatta”, non fa l‟eroico piccolo di fronte all‟onnipossanza del grande.

L‟esperienza politica recente e in generale novecentesca è che anche la maggioranza è impotente, distruzioni e censure a parte come l‟unico e impotente potere.

Io lavoro con il microchip di una formula a due posti notati S e A (che chiamo “pensiero di natura”, ricapitolazione di Freud).

Solo pochi vi hanno preso posto.

Secondo me avranno fortuna.

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Mercoledi 14 marzo 2007

DEBITI: INSEGNARE IL “PADRE NOSTRO” AI GENITORI

Passiamo la vita a pagare debiti altrui (da bambini quelli degli adulti): con l‟aggravante di giustificare il pagamento come amore, o almeno compassione o tenerezza (presto o tardi sarà la tenerezza del macellaio per la carne, sadismo).

E‟ il solito equivoco sul Quarto comandamento: che non impone affatto il dovere di amare i genitori, ma consiglia di onorarli - anche quando non lo meritano - per il vantaggio di non sprecare la nostra vita nella vendetta infinita.

Sono debiti infiniti perché la loro trasmissione senza fine li toglie dall‟imputabilità, che significa finirla lì: il debitore-trasmissore - come dell‟Aids - non passa per la via indicata dal Padre Nostro, “rimetti a noi i nostri debiti”, che implica il loro riconoscimento, cioè l‟imputabilità assunta.

Nella psicoanalisi l‟imputabilità, propria o altrui, è la via della guarigione.

Non arrivo a dire che la psicoanalisi l‟ha inventata Gesù Cristo (mi propongo però di esplicitare il nesso), ma arrivo a prolungare così il Padre Nostro: “come noi li rimettiamo ai nostri debitori, e non li mettiamo addosso ai nostri figli”.

Fino a, se ci accorgiamo di averlo fatto, includere questo fatto tra i debiti da riconoscere perché ci siano rimessi.

Ogni figlio dovrebbe insegnare il Padre Nostro ai genitori.

Ripeto la distinzione che faccio da più di dieci anni tra confessione sacramentale e psicoanalitica:

nella prima si confessano i propri debiti, nella seconda - Tribunale Freud - quelli impostici da altri: sappiamo quanto si resiste a riconoscere il secondo caso: il ricatto angoscioso dell‟“amore” è più brutale e universale dei ricatti della Mafia.

In ciò che dico è in vigore un mio vecchio ricordo di C. Musatti, che alla domanda “Che differenza c‟è tra confessione e psicoanalisi?” rispose che lui non era cattolico e dunque non gli toccava di rispondere: non vedevo perché, non era una questione di fede ma di logica. (ero giovanissimo: ciò che devo a questo ricordo non ha prezzo).

Per credenti e non credenti, la rivelazione del Padre non è conclusa, oppure siamo regrediti impensabilmente a prima di essa, ma mi correggo: impensatamente.

Tutto torna al pensiero, il nemico del Nemico.

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Giovedi 15 marzo 2007

“MI PENTO E MI DOLGO DEI TUOI PECCATI”

Proseguo l‟articolo di ieri (“Insegnare il Padre Nostro ai genitori”) commentando un lapsus appena riferitomi in via amichevole:

recitando la preghiera nota come “Atto di dolore”, la mia amica anziché “miei” aveva detto “tuoi”.

Ce ne sarebbe per un‟intera analisi: perché l‟analisi è fare il giro del Mondo, il mondo del peccato dell‟altro, individuando la propria implicazione in esso.

Potremmo anche dire il peccato del padre: ma come errore de patre, intorno al padre, da parte dei detti “padri”, delle dette “madri”, dei male-detti “figli”, figli e figlie.

All‟errore de patre Freud ha dedicato “Totem e tabù”, romanzo storico del padre-nella-crisi (concetto formulato in “Il pensiero di natura”), con padre asserragliato nel Palazzo d‟inverno dietro la mitragliatrice (non-gode delle donne), figli che lo assaltano, donne a guardare alla finestra, epilogo invidioso-melanconico.

In prima approssimazione aforistica, “padre” ha molti sportelli, tutti, anzi è il Manifesto di tutti gli sportelli.

Il padre è il Finanziatore, come principio di autofinanziamento: approfittare di ogni occasione come finanziamento, magari marginale, per profittare con partner.

E‟ il principio contrario all‟invidia, che è universale e nemica di tutti gli sportelli, insieme alla superbia e all‟avarizia:

ossia il principio che tutto è terra promessa (eredità ma in progress), aldilà dell‟antica rivelazione.

Non è detto che Deng Xiaoping si rendesse conto della portata di ciò che diceva con il Comandamento non capitalistico ma ipercapitalistico: “Arricchitevi!”, rivolto urbi et orbi e a tutti i livelli, e senza predeterminare il contenuto della ricchezza.

L‟iconografia plurisecolare ha sempre sbagliato a rappresentare il padre come un anziano, e la madre come matrona aldilà della differenza sessuale.

L‟eredità di cui parlo è “a babbo vivo” e non meno giovane dei figli.

Il peccato è Teoria contro pensiero, scandalo anzitutto per i bambini: in questo senso la psicoanalisi è rara dottrina morale (raccolta dal Pensiero di natura come de natura).

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Venerdi 16 marzo 2007

In Libreria la terza edizione, accresciuta, di

Giacomo B. Contri

IL PENSIERO DI NATURA Dalla psicoanalisi al pensiero giuridico

SIC EDIZIONI

Si può ordinare in tutte le Librerie e Punti Feltrinelli in Italia

Informazioni: [email protected] Ordini: [email protected]

Presentazione (quarta di copertina)

Il pensiero di natura si propone, dal 1994, come riedizione del pensiero psicoanalitico, e in quanto tale freudiano, come pensiero giuridico. Ciò significa che c‟è un Primo diritto di competenza individuale. Con altre parole: al soggetto sano è riconosciuta competenza universale - perché “diritto” significa universo non provincia né geografica né dello spirito -, fino al gioco linguistico: san(t)a sede del diritto.

Il concetto che lo inaugura è quello di legge di moto di corpi. Ve ne è una e una sola - risultante dalla rielaborazione dei quattro articoli della pulsione freudiana: spinta, fonte, oggetto, meta - che individui quei corpi che la tradizione linguistica chiama “umani”. Il pensiero (detto di natura), non la vecchia “anima”, fa l‟uomo. Al più potremmo concedere che lo anima. La vecchia “anima” consegnava l‟uomo alla natura (diciamo “homo sive natura”) derubandolo del pensiero.

Non si tratta del diritto naturale antico o moderno, presupposto, bensì di un diritto positivo ossia posto. Se quello ha potuto essere ricondotto alla formula “Fa‟ il bene”, questo risponde alla formula: “Non fare „il Bene‟, bensì fa‟ in modo - chiamato modus recipientis - che il bene si produca come bene-ficio per mezzo di un altro”. Aforisticamente: “Il Bene” fa male, come tutto ciò che è non posto ma presupposto. Freud definiva la psicoanalisi “scienza senza presupposti”.

E‟ un pensiero che abbatte un dogma soprattutto contemporaneo: lo steccato tra Filosofia e Psicologia, che ossessiona e asserve gli uomini in un divide et impera di cui è perfino proibita la messa in discussione. Freud l‟ha fatta, primo nei secoli.

Posto il pensiero di natura, la parola “psicoanalisi” resta riservata alla sua applicazione nella cura.

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Sabato 17 marzo 2007

NON ABBRACCIATEVI !

Non abbracciate i bambini, salvo che ve lo chiedano (è di loro competenza).

Noi equivochiamo il desiderio del bambino, che non è di essere contenuto ma di venire portato, trasportato: l‟amore è di trasporto (meglio che la ridicola parola “transfert”).

Si dice bene “provo trasporto per qualcuno”: l‟amore di “transfert” è amore, e almeno in analisi non ci sono abbracci, non per pudicizia (il vecchio errore di S. Ferenczi deriso da Freud).

Non abbracciatevi neppure nel fare l‟amore: ciò che erroneamente chiamate abbracciarvi è solo una vestizione che vede l‟amante come abito, habitus come formalità con materia.

Non ce l‟ ho con il verbo abbracciare, che adoro se detto alla francese, embrasser.

Lo sporco compito di negare la formalità dell‟amore, anche nel fare l‟amore, è affidato da millenni alla bugiarda idea di “istinto”, che condanna la “cosa” a sistemarsi nella prostituzione (che almeno ha compenso), o nello stupro (privo di gusto), o nel dovere morale (il triste “debito coniugale” che è solo prostituzione morale): nessuna morale è mai uscita da questa sistematica.

Ci hanno provato senza successo anche i Teologi morali, con le loro noiose stomachevoli canzonette sull‟amore che subordina e “salva” il sesso.

Tutte le morali sono inquinate dalla maldicenza sui sessi, resi obbligati a presentarsi alla dogana morale: ma la morale riguarda solo la frase (Ottavo comandamento), il resto segue.

La perversione (strategia) attacca i sessi (tattica).

In “Amore e Psiche” Apuleio ragionava bene: il narrativo buio d‟alcova non era censura della visione, meno ancora dell‟atto, ma primato della forma dell‟atto: Psiche sbaglia perché ingannata dalle sorelle invidiose.

C‟è forma e forma: anche il contenitore (“abbraccio”) è una forma (geometrica), ma è forma di sopruso, forma chiusa e, come si dice per comune buon senso linguistico, soffocante.

Guarda caso, l‟eccellente espressione “coppia aperta” è stata subito gettata sotto cattiva stella: perché c‟è rapporto solo e proprio perché la forma che rende possibile la coppia è aperta (universo).

La storia della famiglia è male-detta proprio in questo.

Anche i coniugi più affezionati, più “una sola carne”, ed eroticamente più inventivi, se tali sono è perché pensano la loro relazione appunto come relazione, ossia come eremitica, tra eremi in rapporto tramite un medium (non una medium fattucchiera), dove il medium è la frase.

L‟amore, se è, è nella forma di una frase ben fatta: consistenza, innocenza, disposizione (come si dice mettere a disposizione: invento il neologismo “disponenza”).

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Una tale frase è valida anche per altri, tutti gli altri: è questa validità universale per un altro a fare l‟amore.

Un esempio del migliore lascito di un genitore al figlio, è la frase che questo gli sente dire al telefono con uno sconosciuto.

La pseudorelazione a-tu-per-tu è un cortocircuito o “contatto” odioso fino a mortale.

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Domenica 18 marzo 2007

DOMENICA 18 marzo 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Psicoanalisi OSF 10

Padre e Psicoanalista (a proposito del “figliol prodigo”)

Dio, si sa, è Babbo in tutte le religioni, anche come Manitù o Wakantanka: data l‟oscurità plurimillenaria del significato della parola “Padre” (J. Lacan aveva ragione), perché non chiamarlo anche così?, predicato più predicato meno…

Chissà se vi riesce un esercizio puramente logico: quello di trattare anche “Psicoanalista” come predicato di Dio (questa sola idea innervosisce molti, ma di converso anch‟io tremo all‟idea che un Teologo futuro scriva un saggio intitolato “Dio Psicoanalista”!)

Questa mia omelia domenicale sembrerà rubare il mestiere ai preti, ma non è così come si vedrà in conclusione.

Inizio rettificando due tradizionali equivoci di esegesi, predicazione, arte (anche il “meraviglioso” Rembrandt dell‟Hermitage in ciò ha completamente sbagliato con il suo buon papà- mamma che abbraccia), che derivano dai tradizionali errori sul significato di padre e figlio: : 1. anzitutto si trasmette senza parere l‟idea che quel figlio è scappato con la cassa o qualcosa di simile, ossia che ha commesso un illecito: niente di più falso, infatti il figlio si rifà a un Diritto positivo (a noi ignoto), e il padre ne conviene senza obiezioni;

2. non è affatto vero che il padre, poi, lo accoglie per gran cuore, cuore di papà: questo è solo il padre idiota, e meraviglia la costanza plurimillenaria di questa bestemmia pia.

Un breve intermezzo sulla parola “prodigo”: non può essere la traduzione corretta, perché la prodigalità, che non è nevrotica oblatività, è una virtù, fa frutto.

Dico la conclusione prima di argomentarla: questo padre è “padre” non perché è lo stupido “buono” della tradizione, bensì perché, osservato quello che c‟era da osservare, nomina il figlio, finalmente figlio certo perché accertato, Presidente del CdA.

Ciò è esegeticamente indiscutibile, perché al figlio vengono conferiti: a. vitello grasso (cerimonia ufficiale, non piatto di minestra), b. abito di gala, c. calzature corrispondenti, d. not least anello ossia sigillo: tutto ciò testimonia di una solenne cerimonia di investitura ufficiale, non di un privato atto di cuore-da-babbo-natale (cose da infarto teologale).

Ma perché questo padre - e ciò lo definisce come padre - gli conferisce ogni potere?

La risposta è scritta nella parabola, e mi ripeto: perché osserva.

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Osserva che questo figlio ritorna dotato di una competenza o un sapere che prima non aveva: una competenza quanto all‟errore: quale?

In fondo, questo figlio potrebbe avere commesso delle operazioni sbagliate, per esempio in Borsa, perdendo tutto: ebbene, torna con sapere finanziario.

Ma prendiamo pure la narrazione nel suo buttarla più in morale: “dissolutezza”, “lussuria”, e va bene: che significa?:

il solito: 1: prostituzione, ossia concezione prostitutiva del rapporti (anche nelle migliori famiglie), 2. cattive compagnie, ossia concezione oblativa (non prodiga) dei rapporti, cioè farsi ingannare dagli “amici” (chiunque, genitori compresi).

Ciò significa fare male i propri affari, nevrosi con dosaggi diversi, come sempre, di ossessione e isteria.

Ebbene, questo figlio torna con sapere al riguardo.

Il padre dunque fa suo il criterio di “analizzabilità” proprio dell‟analista: il riconoscimento almeno albeggiante della propria imputabilità e di quella altrui, e questo è sapere, competenza, secondo verità (nell‟imputabilità il sapere è riconosciuto come verità).

Non deve sfuggire che qui l‟eredità è “a babbo vivo”: “padre” non designa il vecchio rispetto al giovane.

Non c‟è né padre né analista per “grande cuore”, perché questo produce solo perversi: rammento che J. Lacan diceva che “Il faur réfuser l’analyse aux canailles”.

Correlo questa parabola con quella dei talenti, o della partnership non a somma zero (ricordo l‟intervento di L. Flabbi).

PS Ho esposto queste idee al Corso dello Studium Cartello di ieri, sabato 17 marzo: mi hanno poi informato di una coincidenza “misteriosa”, ossia che nella liturgia cattolica di oggi ricorre proprio questa parabola (Luca 15), ma non credo proprio di avere ricevuto una mistica rivelazione.

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Lunedi 19 marzo 2007

“NON AVETE DA PERDERE CHE LE VOSTRE CATENE”

E‟ forse il solo errore di Marx: la credenza (proprio lui!) nell‟esistenza del desiderio di perderle.

Il desiderio di perdere (verbo da commentare) le proprie catene non esiste in natura, e se un giorno apparisse sarebbe un “miracolo”: che traduco “sorpresa” senza spirito miracolistico - mentre scarto “stupore” perché questa parola non è svincolabile dagli stupefacenti -, e che, più positivamente, è un avvenimento, un “accadere psichico” nel linguaggio di Freud.

Nessuno più di noi psicoanalisti è testimone quotidiano del fatto che la caduta delle proprie catene è sentita come perdita, o anche, osservazione di Freud, che la guarigione (unico significato della parola “libertà”) è sentita come una minaccia, o una perdita (ecco il commento invocato sopra).

Si presti attenzione a chi lamenta sempre le proprie catene: la costanza del lamento le sostiene con il clangore dello scuoterle innaffiandole con fiumi di lacrime (non quelle del coccodrillo, che perlomeno ha mangiato: dovremmo inventare San Coccodrillo come il protettore dell‟anoressia, ma anche della bulimia).

Le catene sono psicofarmacologiche, ansiolitiche: gli psicofarmaci sono catene che incatenano catene precedenti (ma non sono manicheo: se servono si usino, ma senza mentire in proposito).

Anche gli stupefacenti lo sono, un po‟ più in là (ora non dettaglio il “là”).

Un tale desiderio - di guarigione-libertà - è trascendente la natura, come lo è la legge di moto dei nostri corpi: non parliamo d‟altro chiamandola “pensiero di natura”, e contestando l‟“istinto” come delirio e menzogna teorica.

Su questo punto Marx non era così avanti come credeva nella critica della religione, e neppure Feuerbach.

A volte chiamiamo “fede” o “fedeltà” quella nelle catene: io ho una migliore opinione di ambedue.

Restiamo millenariamente indietro sui rapporti tra libertà e angoscia.

Chi vi parla di libertà separatamente dalla guarigione, come minimo vuole rubarvi il portafoglio.

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Martedi 20 marzo 2007

L’EDUCAZIONE IRREDENTA

Per redimerla cioè riscattarla c‟è una prima condizione (negativa):

rifiutare senza pietà tutto ciò che va sotto tale nome da un secolo, e che oggi si chiama “Formazione”, che tende a metastatizzare ogni campo dell‟esperienza. Un secolo è poco: risaliamo almeno a Rousseau. (ho appena fatto telegrafico riferimento al Corso dello Studium Cartello di sabato 17 marzo, con le relazioni di Maria Gabriella Pediconi e Maria Delia Contri).

Se scrivessi un Inferno post-dantesco, sarebbe il Mondo della Formazione.

O anche, il Mondo della coppia Natura/Cultura: questa coppia è bene rappresentata dalle sbarre orizzontali e verticali di una prigione.

La trasmissione veicola sempre virus, e ci sono educatori che sono autentici hacker: “I love you” è il più antico virus dell‟umanità, perché è sull‟amore che si mente.

Freud prediligeva questa citazione di Goethe (Faust, parte prima), che dice una seconda condizione (positiva):

“Ciò che hai ereditato dai padri, (primo tempo) fanne tuo profitto affinché sia tuo possesso.” (secondo tempo)

I miei padri (“filogenesi” con la parola erudita freudiana: e perché non “tradizione”?) non sono migliori di me, né io dei miei padri.

Un‟eredità è ambigua, ha i suoi debiti, anche come vizi occulti: “rimetti a noi i nostri debiti come noi non li trasmettiamo ai nostri educandi” dovrebbe essere la preghiera del mattino degli educatori, gente a rischio educativo come gli educandi.

L‟educatore dovrebbe sapere i suoi vizi, non per trasmetterli meglio (perversione).

La seconda condizione è individuale e attiva: si tratta di farsi fonte e sede, o autorità, dell‟eredità stessa, se del caso anche come fonte del giudizio di condanna, o del beneficio d‟inventario.

O anche titolare: se faccio mia con profitto un‟idea di Aristotele, di Freud, o di chiunque altro, Aristotele o Freud sono io sotto altro nome.

Nel tesoro, non quello dell‟eredità nel primo tempo bensì del profitto nel secondo, non c‟è proprietà privata ma comunione di beni.

L‟educazione è redenta a condizione di riconoscerla come zoppicante ancella al servizio del passaggio del soggetto a libera fonte (la Quelle freudiana valorizzata dal Pensiero di natura).

E‟ stato detto che tutto si può convertire a bene, anche i peccati, anche quelli che ci hanno resi malati: ecco la psicoanalisi nella sua funzione di giudizio per il possesso fruttifero dell‟eredità.

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Devo a Raffaella Colombo il prezioso suggerimento della citazione goethiana.

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Mercoledi 21 marzo 2007

METAFISICA METAFAMIGLIARE, O TRASCENDENZA EDIPICA

Il concetto di “complesso edipico” rimane un test universale, anzitutto di intelligenza (dubbia).

Da un secolo l‟incomprensione di esso testimonia che il tempo passa per niente, o peggio per tornare indietro (più in generale: si registra progresso nel regresso all‟occultismo, e in sedi insospettabili).

L‟attaccamento a papà e mamma non ha nulla a che vedere con l‟Edipo, anzi consegue alla sua distruzione, come pure il bambino sempre tra le braccia della madre; nulla di più antiedipico del sogno in cui un soggetto si “vede” con la madre a letto sì, ma soffrendo di mal di testa o altri mali (cosa non si farebbe pur di non fare…).

Ecco due sogni tra i più propriamente edipici che io conosca:

1. (forse ne ho già detto) una figlia sogna di attendere il padre giovane di ritorno dalla guerra, intenzionato a sposare da lì a poco, e dunque padre solo nel tempo successivo: è letterale che la sognatrice ha preso il posto della nubenda, quello della giovane donna e fidanzata che solo poi sarà una madre;

2. un figlio fa un sogno con lieve pennellata erotica insieme a una ragazza, che si rivela poi come la propria madre ancora nubenda grazie a un certo dettaglio e marchio del sogno stesso: anche in questo caso si tratta di assunzione del posto del partner e solo successivamente padre.

Si tratta di assunzione di un posto in una relazione di forma universale tra posti (ecco l‟universalità del complesso edipico).

In ambedue i casi è probabile che i genitori almeno per una volta abbiano detto ai figli qualcosa di buono dell‟altro genitore con riferimento all‟epoca prefamigliare (dopo basta, e a volte neanche questo).

Di posti si tratta, i posti di una relazione che non esisterebbe senza di essi.

Eccolo il complesso edipico, massimamente disponibile alla relazione esogamica in-finita perché esso non è il ricalco delle relazioni famigliari (anzi esso rende esogamica perfino un‟endogamia eventuale); i sessi vi sono implicati non per l‟oggetto che costituirebbero, ma per l‟assenza di obiezione a essi nella loro differenza.

L‟omosessualità è una conseguenza della distruzione del complesso, non una deviazione da chissà quale legge naturale.

La legge di moto completa dei corpi include l‟“Edipo” (frase troppo rapida).

Ci sono degli sciocchi che pensano questo complesso come stupro domestico (o anche solo fantasia di esso), o pedofilia domestica: il test di intelligenza funziona, non per l‟orgoglio degli “intelligenti”.

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Il complesso edipico come lo conosciamo dalle analisi, con l‟eccezione di sogni come i precedenti, è gli spezzoni, più frigidi che incendiari, risultanti dall‟esplosione o distruzione di esso.

Ma anche Edipo aveva il complesso edipico malato (di cui è figlia Antigone).

Notevole come i sessi nell‟Edipo riuscito sono liberi dalla legge (perché sono nella legge, la compongono): il connubium, quando lo è, è sempre castum, non in-cestuoso.

L‟“Edipo” così rivisitato è solo uno dei nomi dell‟amore.

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Giovedi 22 marzo 2007

IO BAMBINO DI STRADA, E ROUSSEAU

Sono stato bambino di strada e di lettura, oltre che di casa-scuola-chiesa: leggevo, senza educatori alla lettura, tutto quello che mi capitava a portata di mano e occhio, e ciò mi serve ancora oggi (per la verità l‟educatore era mio padre, ma solo perché amava i libri e li lasciava a disposizione, senza avere da ridire).

Leggendo ciò che J.-J. Rousseau ha scritto sulla lettura nell‟infanzia, non posso che prendermi legittimamente come fonte competente nel giudizio: Rousseau è stato un nemico della mia infanzia, con l‟aggravante di tentarmi ad assumere su di me la sua Teoria, facendomi biasimare la mia infanzia (una tentazione in cui cadono tutti, poi sono dolori alla lettera).

Se ci fosse riuscito avrebbe fatto di me un altro Rousseau, magari peggiore (la trasmissione dell‟errore è un‟escalation).

Rousseau odiava la lettura, cito dall‟Emilio:

“Io odio i libri…”,

“Togliendo così tutti i doveri ai fanciulli, tolgo lo strumento della loro più grande miseria, cioè i libri. La lettura è il flagello dell‟infanzia… Appena a dodici anni Emilio saprà che cos‟è un libro…”.

(chi vorrà verificherà di persona i macabri testi citati: devo le citazioni a Maria Gabriella Pediconi, dall‟edizione Laterza del 1963 a cura di A. Visalberghi, rispettivamente a p. 160 e p. 120).

Qualcuno potrebbe credere di giustificare Rousseau facendo notare che egli toglieva i libri in quanto “doveri”, ma anche questa è un‟aggravante: che per i fanciulli i libri siano “doveri” è solo una Teoria, che da bambino io non avevo e che nessuno si è sognato di impormi (ho avuto fortuna).

C‟è leggere e leggere, è la distinzione tra studio e lettura: il fatto che Rousseau ne mancasse peggiora la sua diagnosi, che significa giudizio (Rousseau era un perverso).

A proposito di questa distinzione (decisiva per la salute psichica) aggiungo un‟altra testimonianza (personale come ogni testimonianza): in quarta ginnasio ho appreso che l‟anno dopo a scuola avremmo studiato “I Promessi sposi”:

subito ho deciso che li avrei letti per mio conto durante le vacanze estive imminenti, nella certezza (presto verificata) che a scuola me li avrebbero rovinati facendomeli studiare.

Poscritto:

sono stato un bambino-massa (questa espressione è un‟invenzione linguistica mia), e me ne rallegro: per dirla tutta, non ho avuto psicologi “tra i piedi” a occuparsi dei miei disagi e delle mie emozioni, così poi ho potuto occuparmene da me;

già a otto anni in famiglia mi chiamavano “il pensionante”, e almeno in questo avevo cominciato bene la mia vita: vero che poi, come tutti, sono stato deviato dalla retta via, ma ogni volta che poi

117 ho operato bene è stato quando vi sono tornato (riconosco il mio debito ai Fratelli Grimm, la mia seconda Bibbia d‟infanzia come già di Freud, ma ancora non lo sapevo).

118

Venerdi 23 marzo 2007

IL SINEDRIO GRECO SOTTO LA CROCE

Gli Ebrei di tanti secoli fa, di uno così non sapevano che farsene, e soprattutto non volevano farsene, ed è finita come è finita: però per una volta soltanto, poi sono andati per la loro strada, drammatica e di successo allo stesso tempo.

Poi e subito è ricominciato tutto da capo, ma da un‟altra parte: sotto la croce, nei secoli successivi, non ci sono stati più gli Ebrei ma i Greci.

Introduco l‟idea (ma la sostengo già da anni) con il Vangelo di Marco, il più antico evangelista:

“I sommi sacerdoti con gli scribi [il Sinedrio, ndr], facendosi beffe di lui, gridavano: „Ha salvato altri ma non può salvare sé stesso! Il Cristo, il re d‟Israele, scenda ora dalla croce affinché vediamo e crediamo‟ ” (Mc 15, 31-32).

Mel Gibson nella sua “Passione di Cristo” condensa la scena mettendo queste parole in bocca a un Caifa come personaggio davvero ben riuscito: un capo politico-religioso che vede il successo di una lotta lungamente e duramente combattuta: era riuscito a mettere spalle al muro Gesù, un pericoloso individuo e i suoi - ridotti infine a un gruppo di braccati -, non un profeta magari più radicale di altri e con pretese divine (un pazzo mistico in più non poteva impressionare molto): era o prendere o lasciare, a muso duro.

Nel film Caifa è una bella figura di solido e crudele militante dell‟altra sponda, senza concessioni, conflitto all‟ultimo sangue: è l‟unica figura del film che mi sia piaciuta, crudele sì ma fuori dal sadomasochismo che ispira l‟intero film: almeno in tale figura Gibson non è stato, forse involontariamente, quell‟antisemita che si è detto.

Non penso proprio che l‟evangelista Marco potesse immaginare di avere narrato una scena sulla cui falsariga pochi decenni dopo si sarebbe storicamente scritta una nuova sceneggiatura con personaggi mutati: i Greci, Parmenide e Platone e tutti gli altri.

La crocifissione evangelica è stata solo la prima, non la più grave.

Dostoevskij, esperto non innocente di crimine, con il Grande Inquisitore ne aveva capito qualcosa:

che c‟è un conflitto con Gesù che non è all‟ultimo sangue ma all‟ultimo pensiero: duemila anni di storia.

La prima crocifissione postevangelica (duratura nei secoli) è quella logica non fisica, teorica non giuridica, che è consistita in una sostituzione: quella della rivoluzione logica cui Cristo aveva sottomesso l‟“amore” - già noto fino alla nausea a tutta l‟umanità -, con l‟eros greco-platonico, e da parte proprio dei cristiani.

Salvo poi, excusatio non petita, sovrapporre a questo amore, inferiore e umano, un “amore” superiore e divino:

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ma come è possibile che non ci si sia accorti per secoli che così si installava l‟amore nella scissione tra due amori?

Osservo che, graficamente, i due assi dell‟amore, orizzontale e verticale, fanno una croce: è la croce dell‟innamoramento, che qualsiasi idiota innamorato potrebbe riconoscere sulla sua pelle e nella sua angoscia.

“Dio innamorato!” è la bestemmia peggiore che io conosca, sputi e chiodi.

Il Sinedrio greco ha dato subito il cambio al Sinedrio ebraico, e con le medesime parole di Marco.

Noi psicoanalisti non legittimiamo (come fanno tutti) la croce dell‟amore, fino a interrogare radicalmente significato e senso di questa parola, così come quelli della parola “Padre”.

Su amore, sessi, padre, noi cristiani siamo allo sbando, come tutta l‟umanità.

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Sabato 24 marzo 2007

STORIELLA STORIOGRAFICA SUL VIZIO DI FAMIGLIA

Questa storiella, o “barzelletta”, mi è stata raccontata da uno dei preti più noti, non solo in Italia, mio amico ricambiato (questo momento della sua vita me l‟ha raccontato solo in un tempo avanzato di essa, prima non l‟avrebbe fatto).

Sento il bisogno di mettere sull‟avviso: nella sua volgarità fuorviante, la sua condensazione fa risparmiare decine di libri sulla storia della famiglia.

Faccio precedere il racconto, un po‟ da osteria:

Nel primo Novecento è in corso un pellegrinaggio a Santiago de Compostela. In una delle tappe (innumerevoli) i pellegrini, verso sera, arrivano stremati a un paesino, in cui ognuno va in cerca di ospitalità per la notte. Ultimi, un prete e una suora bussano a un uscio, dove gli viene proposto una soffitta con due pagliericci, prendere o lasciare. Senza scelta, i due si accomodano e si distendono. Qualche minuto dopo, la suora lamenta: - “Padre, ho freddo!” Al che il prete risponde con cortese materialità, andando in cerca di una coperta che le distende addosso. Poco dopo si ripete: - “Padre, ho freddo!” Il prete risponde con il medesimo affabile automatismo. Per la terza volta: - “Padre, ho ancora freddo!” Questa volta il prete, prete di mondo, si desta e domanda: - “Sorella, vuole forse dire che lei e io potremmo fare a marito-e-moglie?” - “Sì!”, risponde la “sorella”. Subitanea risposta del prete: - “E allora, ma vattela a prendere te la coperta!”

Si osserva la duplice mutazione che fa seguito con automatismo non più affabile a “marito-e- moglie”: quella del comportamento, e quella espressiva, fino all‟offensiva incuria linguistica (di cento specie: qui prevale la grossolanità, ma ci sono “finezze” non meno grossolane).

La storia di massa della famiglia non poteva venire raccontata con più deprimente efficacia.

La dice lunga, questa storiella, sull‟esito generale dell‟istituto famigliare, e sulla cosciente ma non critica accettazione del fatto (impotenza della coscienza).

La “tomba dell‟amore” non è la famiglia - come con-iugio tra due che hanno sposato - bensì la logica delle frasi sull‟amore (e sui sessi): un coniugio degno di questo nome si fa ancora attendere (conosco eccezioni).

Ho scritto “che hanno sposato”, non che “si sono sposati” (cui segue fallimento).

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Non condivido Pacs o Dico come sdoppiamento, avvoltoio di un fallimento, perversione della nevrosi: sessual-ità in due versioni.

Per fortuna la Chiesa sta ancora, come sempre fino a oggi, con la nevrosi: ma è bene sapere che la nevrosi non vince anche quando è eroica (comunque sempre meno).

Una Chiesa perversa non me la vedo: oso dire, quanto a infernalità, che “portae perversionis non praevalebunt”, ma per grazia non sua, altrimenti prevarrebbero.

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Domenica 25 marzo 2007

DOMENICA 25 marzo 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Aldilà del principio di piacere OSF 9

Persona senza persona, o l’anticoncezionale del pensiero

“L‟ultima cosa rimasta da personalizzare sono le persone” (Bucchi, vignetta di Repubblica di venerdì 23 marzo: non l‟ho mai conosciuto ma lo considero da anni un compagno).

E‟ ciò che cerca di fare la psicoanalisi, ossia “Un uomo che ha futuro” come titolavo un mio saggio ancora recente.

“C‟era una volta che morire era facile”, anni fa traducevo così una frase di “Aldilà del principio di piacere” di Freud (“Die damals lebende Substanz hatte das Sterben noch leicht”, GW 40).

E‟ già il caso del bambino (ci tornerò), niente della morte da Taliban-kamikaze, in generale del suicidio.

E‟ anche il caso del vivere l‟oggi come l‟indomani della morte: ossia morte scontata (da “sconto”, estinzione di un debito) come nuovo punto di partenza.

Passiamo subito al mortifero delle Teorie patogene: l‟Eternità mortifera del tempo, l‟Anima mortifera del pensiero, la Sessual-ità mortifera dei sessi.

Le Teorie sono paranoiche (vivono e fanno vivere di angoscia): esse sentono ostili il tempo, il pensiero, i sessi (è J. Lacan ad avermi reso sensibile alla “conoscenza paranoica”).

Perfino i Paradisi (che sono Teorie) detestano l‟uomo (da de-testare ossia sconfessare: infatti nel nostro Mondo tutti si de-testano, sconfessano l‟altro).

Le Teorie sono l‟anticoncezionale del pensiero: peccato che certe autorità morali non le condannino come condannano gli anticoncezionali.

Due e opposti sono i significati di “pulsione di morte”: quello di pulsione di pace (“sorella morte”), e quello di bacillocultura dell‟odio (ancora Freud).

E‟ bene morire alla morte, alle Teorie mortali: anzitutto alla morte degli istinti di conservazione individuale e della specie (“istinto sessuale”), che non esistono che come ignorate Teorie: vita e sessi non si reggono su istinti, oscura “natura”: questo sì è oscurantismo, perdurante anche tra i Lumi.

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Quante! le persone sul mio divano che a trent‟anni vivono, non dico neppure come se ne avessero centotrenta o l‟età dei patriarchi, ma vivono per la morte pre-concetta, ossia senza lavoro anzitutto come lavoro del pensiero o intellettuale cioè senza futuro.

Arrivo alla persona come persona: quella che inizia a esistere come Istituzione sovrana superiorem non recognoscens: in ciò nulla di anarchico né di astrattamente ribellista: la Teoria della superiorità delle Istituzioni all‟individuo (o al pensiero) è anch‟essa un esempio di paranoia.

Con i termini un po‟ freddi della dottrina giuridica: c‟è persona solo quando questa passa da persona fisica a persona giuridica, superiorem non recognoscens.

Questa era già un‟idea cristiano-paolina ma, già prima, di Genesi.

Questa persona come Istituzione, non sarà ai diritti umani che farà appello, né al diritto naturale: da anni sostengo che c‟è sì un primo e distinto Diritto rispetto a quello corrente, ma non “naturale” che poi significa ideale e ideologico, bensì positivo ossia posto dalla persona stessa (“Pensiero di natura”).

In queste cose, omnes peccavimus da millenni.

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Lunedi 26 marzo 2007

IL VERO SCANDALO, O LE VALLETTE MISSIONARIE

Lo scandalo rivelato da Freud è una verità semplice: che l‟intera umanità aspira a sbarazzarsi di quel fastidio cosmico che sono i sessi: il resto è mistificazione psicomorale.

Non siamo affatto lussuriosi: siamo sessuoclasti, impotenti (anche sintomaticamente) a fare passare i sessi a lusso, guarendo dalla miseria intellettuale della presunta lussuria, come illusione morale di essere gonfi di desideri sessuali (e via con le fantasie erotiche, o il porno su Internet).

La morale plurimillenaria risulta sovvertita dalle radici.

Le Vallette di Vallettopoli - giovani, belle e magari un po‟ stupide salvo un training televisivo di bigotte buone maniere erotiche, suore a rovescio -, che altro sono se non le Missionarie della Teoria erotica che siamo lussuriosi?, o istintivi.

Che care Amiche!

Millenni di incomprensione del Sesto comandamento.

La purezza quanto ai sessi non è né quella astensionistica, né quella stupratoria o prostitutiva kantiana, ma discende tutta dalla purezza delle labbra parlanti: in materia di sessi siamo tutti disfasici.

L‟omosessualità è solo la disfasia rilanciata.

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Martedi 27 marzo 2007

DEFORMAZIONE GENETICA E DELLA LINGUA: IL TERRORISMO

Do qualche esempio facile di contributo all‟Ordine giuridico del linguaggio, cui è dedicato Think!

Si tratta di parole con uso non solo spostato, scorretto, ma anche iniquo, lesivo, da Tribunale Freud.

Un primo esempio è la parola “mani-polazione”, con cui diffamiamo le mani.

Idem per “intellettualizzazione” e “intellettualismo” con cui diffamiamo l‟intelletto, e per “individualismo” con cui diffamiamo l‟individuo: è come individuo che preparo formalmente un posto occupabile da un altro che lo sappia occupare, cioè con incremento (formalmente cioè senza schiavitù).

Non mi sono ancora accinto all‟indagine complessiva dell‟iniquità linguistica, proprio come il ministero di Grazia e Giustizia fornisce i dati sull‟andamento della criminalità.

La lingua esiste a livello della frase, non del fonema o della parola: parole come quelle sopra uccidono le frasi e i loro abitanti.

Il primo ucciso è l‟intellettualismo infantile, che nessun intellettuale ha mai eguagliato.

Mani e intelletto in coppia sono gli apparati del lavoro: solo il lavoro fa frutto e fa fruttare il frutto, quello per cui è stato detto che “l‟albero si giudica dai frutti”.

Poi c‟è l‟azione senza frutto: essa de-forma, non manipola.

La definizione di violenza è quella di azione senza frutto: la morte, o il vandalismo, o il terrorismo, priva della forma.

Propongo un criterio: la “manipolazione” genetica o della natura è esecrabile quando nel suo sfruttamento della natura la defruttifica, la rende incapace di dare frutto.

Non serve più la parola composta “bio-etica”: l‟etica è il bio che frutta.

Non c‟è manipolazione linguistica né manipolazione genetica”: c‟è de-formazione, linguistica o genetica.

Parliamo male (intellettuali compresi), deformiamo, quando le nostre frasi sono costruite secondo Teorie (ne parlo da anni, qui abbrevio).

Dunque: manipoliamo la lingua per toglierne o guarirne la deformazione.

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Mercoledi 28 marzo 2007

VENIRE-MENO: LA RAGIONE DI UNA SCIENZA

Non conosco verbo più onnicomprensivo - venire-meno - per designare tutti, ripeto tutti, i nostri inconvenienti (fatene una lista come vi riesce, purché includa la psicopatologia): veniremeno come un sol verbo.

La parola “inconveniente” saprebbe sostituire la parola “disagio” (Unbehagen) di “Il disagio della civiltà” di Freud.

Osservo che, non solo linguisticamente ma concettualmente, in “veniremeno” e “in-con- venienti” ricorre il verbo “venire”.

Il veniremeno si oppone (realmente) al convenire, cioè all‟avere un luogo comune.

Essere o non essere d‟accordo, mettersi o non mettersi d‟accordo, non dicono bene, nel loro fare una faccenda di disputa o di mistificatorio “dialogo”: si dà soltanto essere in accordo come si dice essere in una stessa stanza, stesso spazio fisico e luogo logico.

Veniremeno è il nome del concetto semplice di tutta la psicopatologia: alla cui base sta sempre la nevrosi, distinta in isteria e ossessione (vengono poi paranoia, e in generale psicosi, e perversione, riparleremo della “psicopatologia precoce”):

la parola-frase dell‟isteria è: “s-vengo”, non solo nel senso comunemente inteso, ma anche nei sintomi fisici e nel discorso quotidiano;

la frase dell‟ossessione è: “proverai a venire, ma agirò in modo che tu non possa arrivare, o restare”.

Sul divano dello psicoanalista, e ancora più nel mondo, è immensa la difficoltà a riconoscersi nell‟una o nell‟altra frase: almeno con divano ci proviamo.

Volendo dare rilievo all‟espressione tradizionale “esame di coscienza”, la parola “veniremeno” ne designa il criterio di esame.

“Venire-meno” è una formula linguistica che non mi sembra inferiore alla formula della gravitazione universale di Newton.

Si tratta di uno dei massimi contributi alla Scienza della Psicopatologia, insieme a un altro: ai tre termini freudiani (inibizione, sintomo, angoscia), ne ho aggiunto un quarto: fissazione, in quanto fissazione non a una persona ma a una Teoria.

Il venire-meno è la ragione della psicopatologia: con quella facciamo scienza di questa (in linguaggio kantiano: Ragion pratica).

Parlo di una Scienza comune, che tarda e, penso, continuerà a tardare: come siamo tardi!, e continueremo così.

Provo piacere a poter riassumere in tanto poche righe il lavoro di anni.

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Giovedi 29 marzo 2007

TOLKIEN E CRISTO

“Il Signore degli anelli”, saga nordico-medioevale anziché greco-antica (“L‟Iliade”, saga dell‟innamoramento), vale aldilà dei meriti che gli sono stati riconosciuti.

Vale per la sua idea semplice e per la semplicità della sua idea: l‟anello, simbolo di legame o patto o alleanza (anche coniugale), è un anello mortifero, e schiavizzante, dopo lo prime illusioni iniziali per non mettere sul chi-va-là.

“Tessorrro mio…!”: tutti i nevrotici, cioè tutti, sono dei Gollum, anche se “normalmente” si fermano prima (Bilbo) o Frodo (dopo); psicotici e perversi sono solo varianti, arroganti o burbanzose.

Il romanzo pone anche la questione semplice e pratica: come liberarsi dell‟anello malefico (“legame di iniquità” biblico), e risponde con una soluzione fisica, la lava incandescente del vulcano.

E‟ il vulcano in cui è stato fatto: dunque fare che sia dis-fatto ciò che è stato fatto (antica citazione).

Osservo subito e facilmente che è una soluzione banale, idiota perfino, e proprio questa banalità non deve sfuggirci: quella della grandezza, della potenza (fisica).

Non ho detto che Tolkien è banale, bensì che mette in scena la banalità risibile dell‟onnipotenza fisica.

Non occorre esaurirsi in sforzi intellettuali per capire che il legame di “amore” dell‟anello è quello, istupidente e debilitante fino alla melanconia e alla deformità fisica, dell‟innamoramento: chi è legato dall‟anello “perde la testa”, definizione corretta e anche popolare dell‟innamoramento, un mostro alla lettera come i mostri di Tolkien, analogo non identico a un fenomeno fisico (la malefica freccia di Eros, mentito rapporto causa-effetto).

La melanconia (Freud: “Lutto e melanconia”) è una se non la conclusione sull‟amore mentito.

Digressione ricapitolativa di cento cose già dette. la speculazione filosofica di ogni tempo è preceduta e condizionata da un pensiero sull‟amore (almeno Platone, nella sua disonestà, in ciò è stato disonestamente onesto); la “Psicologia delle masse” di Freud - nel suo riconoscere nell‟innamoramento una massa a due cioè un‟associazione per delinquere - è una delle principali opere della storia della Filosofia.

Per concludere. Nel suo semplice e semplicistico appellarsi all‟onnipotenza (del vulcano), Tolkien coglie la pecca storica della Teologia di tutte le religioni: la parola “onnipotenza” è impotente nell‟afferrare la soluzione, cioè la differenza tra banale potere sulla natura e potere logico di soluzione: qualificare l‟onnipotenza come “divina” e “misteriosa” è un puro espediente verbale, finché non si riveli la differenza di pensiero: se Dio non sa pensare la soluzione, cioè se non è affidabile per la sua intelligibilità, è solo il vulcano dei vulcani (robetta muscolosa!)

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“Vulcano”: occultismo, panteismo, misticismo, banalità (come le galassie).

L‟occultismo inizia dall‟occulto “perdere la testa” in cui consiste l‟innamoramento.

Ma chissà poi perché tocca in sorte proprio a me, freudiano, psicoanalista, farmi campione dell‟ortodossia: lo osservo da anni.

“Cristo” - anteriormente a divinità e perfino storicità - risponde a Tolkien: con un risposta razionale, e senza mutuazione da una Ragione avvelenata dall‟anello di Tolkien come quella greca: infatti dell‟amore con le sue catastrofi si parlava già da molto molto tempo.

La condizione per non gettare Cristo nell‟immondizia delle santonerie e delle profeterie, è quella di riconoscerne il pensiero come inaudita correzione dell‟amore mentito da sempre.

Noi cristiani, e tutti gli altri, ci siamo cascati fin dal secondo giorno: è l‟unico errore che abbiamo commesso (in paragone le Eresie sono secondarie, nel senso di derivate).

Tutte le patologie sono patologie dell‟amore, e così tutti gli errori.

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Venerdi 30 marzo 2007

“SONO STONATO!”: O LA GHIGLIOTTINA O LA CURA

Sono un uomo di modesta cultura musicale e canora, ma una cosa so: che “sono stonato” così come “sono imbranato” (e cento altre frasi predicative della medesima classe), sono mistificazioni approvate dalla Cultura come dis-Ordine giuridico del linguaggio.

Un educatore che dicesse queste frasi a un bambino meriterebbe la ghigliottina, salvo sospensione della pena all‟ultima ora, per dargli ancora una possibilità (ho sempre saputo di essere un Robespierre tollerante, non rousseauiano ma volterriano).

Lo so per esperienza nel senso più sperimentale della parola.

Infatti molti anni fa, essendomi stato fatto credere che ero stonato, ho scelto una canzone qualsiasi e mi ci sono applicato per mio conto, facendo lo spelling sonoro, per emettere correttamente le note: da lì a poco la voce mi usciva bene senza stonatura alcuna (benché ciò non bastasse per assicurarmi una carriera nel “bel canto”).

Nessuno (salvo un‟eccezione) mi aveva mai detto che la voce, come qualsiasi altra cosa, va curata, elaborata, come il giardino di Voltaire (cosa impensabile per l‟intolleranza educativa di Rousseau, correlata alla ghigliottina di Robespierre, si legga François Furet): e ancora oggi provo affetto per quell‟eccezione, che in gioventù mi aveva giudicato una bella voce di basso.

La psicoanalisi non è cura medica: è cura perché fa avere cura, anche con effetti medici o terapeutici.

All‟opposto, prevale ovunque il vandalismo verbale e intellettuale, anche se non soprattutto a livelli “alti” e con una volgarità che nemmeno il volgo ha (e non penso anzitutto allo spam televisivo, “troppo facile!”).

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Sabato 31 marzo 2007

L’AUTORITA’ DI IPSE DIXIT

“Non c‟è più nessuno autorevole”: è stato dichiarato recentemente da un intellettuale degno di attenzione (lui lo diceva a proposito dell‟Europa, ma io sono meno limitativo).

“Autorità” era parola già oscura in passato: almeno i Romani antichi sull‟auctoritas ragionavano meglio di chiunque altro dopo: legittimità, validità, anteriormente all‟uso della forza.

Nella modernità essa è entrata in un oscurantismo peggiorato nonostante i “Lumi”, quanto alla fonte dell‟autorità del dire o fare: dunque non c‟è nulla di più attuale.

L‟autoritarismo europeo novecentesco senza autorità - Hitler aveva autorità?, volete fargli questa concessione? - è senza pari nella storia.

La critica moderna del principio di autorità - scambiata per le botte, l‟arroganza, il dogmatismo - non aveva fatto bene i conti logici e linguistici, nonché politici.

Etimologia a parte (molto usata soprattutto da Filosofi per evitare le questioni), attaccare l‟autorità in generale è anche attaccare l‟autorità dei bambini, che dicono la loro in proprio, o come fonte, ossia con autorità: “principio di piacere” - ma chi l‟ha mai osservato? - significa autorità: ma continuiamo ad essere così stupidi, come già gli antichi Egiziani, da pensare autorevole il gatto ma non il bambino.

E non penso solo al bambino, ma al lavoratore (su ciò resta tutto da dire).

Non c‟è, io penso, questione morale e politica maggiore di questa: con quale autorità io parlo?

Ammalare è un verbo transitivo (non c‟è autoreferenziale ammalarsi): è sinonimo di esautorare, esplorato per primo da Freud.

Da un secolo almeno (con precedenti plurisecolari) si fa uso della scienza, e dell‟“epi-stéme” cioè del sovra-posto o prevosto laico, per esautorare la competenza psicologica individuale: è la storia della Psicologia novecentesca: la scienza posta contro l‟autorità del soggetto, l‟unica autorità in materia di psicologia.

Nel peggiore dei casi l‟individuo sarà un criminale, non un ignorante (i veri criminali se ne intendono).

L‟esautorazione è precoce: questo, l‟intellettuale summenzionato non lo avrebbe detto, ossia non sapeva il precedente di ciò che denunciava.

Ma già non lo sapeva l‟“autorità” criticata benché male dalla modernità (ecco un esempio di “secolarizzazione”).

“Ipse dixit” lo pronuncia regolarmente l‟analista ogni volta che apre bocca al suo paziente parlandogli di lui (ma chi, in precedenza, avrebbe detto questo?)

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Il principio di autorità non è dei potenti o dei “grandi”: esso non presuppone la distinzione piccolo/grande.

La san(t)a sede dell‟autorità è individuale, anche nel criminale (capacità delittuosa).

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Domenica 1 aprile 2007

DOMENICA 1 aprile 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Discorso al B‟nai B‟rith OSF 10

Eremita, Istituzione del pensiero

Rinvio alla Home page, parte intitolata “Eremita e operaio”.

In questo Discorso Freud dichiara di essere duplicemente grato all‟Ebraismo: qui ne sottolineo il secondo motivo, l‟averne tratto la capacità di essere “sempre pronto a passare all‟opposizione e a rinunciare all‟accordo con la „maggioranza compatta‟ ”.

A questa frase ne associo un‟altra: “Per aderire alla teoria psicoanalitica bisognava avere una notevole disponibilità ad accettare un destino al quale nessun altro è avvezzo come l‟ebreo: è il destino di chi sta all‟opposizione da solo” (“Le resistenze alla psicoanalisi”, OSF 10).

All‟una e all‟altra mi sono sempre riferito: ora ne accenno qualche sviluppo.

E‟ palese che “solo” e “opposizione” in Freud non hanno a che vedere con il barricadero o l‟anarchico, e in generale con qualche disordine: il disordine egli lo trova massicciamente nella psicopatologia come nella Civiltà, “Disagio della Civiltà” potrebbe tradursi anche “Disordine della Civiltà”.

Freud è uomo d‟Ordine, ma appunto: quale?, e non è nella natura che lo cerca (cioè nella morte, o nell‟entropia che significa fine del lavoro).

E‟ lui stesso a dichiarare che il compito della psicoanalisi è un lavoro di Civiltà (Kulturarbeit, ma non discetto ora di Kultur e Zivilisation).

Quanto alla “maggioranza compatta”, non è della maggioranza democratica che Freud parla, bensì di quella maggioranza che è compattata dalla Teoria: il presente Discorso è del 1926, e da lì a pochi anni si sarebbe imposta all‟Europa e al mondo la maggioranza compattata dala Teoria del Nazismo.

“Solo” non significa neppure ritiro “eremitico” in quel significato che è tanto gradito appunto alla maggioranza compatta.

Significa invece una posizione: quella di un Giudice dalla giurisdizione illimitata benché con poteri limitatissimi: è a partire da ciò che abbiamo inventato il “Tribunale Freud”.

Quanto ai poteri, bisogna riconoscere che anche quelli del nostro mondo sono molto limitati, violenza a parte: sul “potere” - lo rendo manifesto da anni - l‟oscurità è massima (se i “Potenti” dovessero contare sul loro potere si suiciderebbero in massa).

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Freud è un uomo che si è fatto Istituzione: senza attendere i “diritti umani”.

Anche Giobbe si è fatto Tribunale, come ho dimostrato.

Ecco l‟“eremita” di cui parlo.

Non voglio dilungare, e solo per questo non mi fermo sul “giusto” nei millenni.

La figura o meglio vocazione dell‟eremita risale ai primi secoli dell‟era cristiana.

La sua fioritura iniziale è durata poco, sia per ostilità della maggioranza compatta che per autodigestione.

L‟eremita è stato una formidabile occasione sprecata: la stessa dottrina dell‟amore non sarebbe finita così male (oblativa o nevrotico-ossessiva), se le sue incipienti possibilità fossero state esplorate, ma c‟è stata subito censura (su eremita e amore).

Dunque: Freud eremita.

Anche Leopardi è stato recentemente definito così (“Eremita dell‟Appennino”): non il Leopardi stupidizzato come il lirico disperato (che poi trova il solito Dio-occulto-scemo infinito che lo salva).

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Lunedi 2 aprile 2007

SISTEMATICO / VANDALICO: E DUE TEST DI AFFIDABILITA’

Importa scoprire che i due termini, sistematico e vandalico, sono una coppia fissa, l‟uno rimanda per opposizione all‟altro: il vandalo è semplicemente un fuori sistema, e il sistematico esercita un vandalismo d‟insieme.

Il vandalo è un collaboratore inconsapevole dell‟altro, sta dalla stessa parte anche se sembra militare nel partito opposto.

Ci sono gli opposti estremismi, gli opposti vandalismi, gli opposti sadismi: è un grande momento nella vita di una persona quando scopre il sadismo dei buoni, che chiamiamo “formazione reattiva”.

Sto parlando di una verità simultaneamente individuale e politica (non esiste pubblico / privato).

Freud diceva semplicemente che per l‟Ordine basta che non vi sia un escluso, una pietra scartata, qual che sia il contenuto della pietra scartata volta per volta.

Il principio dell‟Ordine è dunque semplice.

Per massimo di chiarezza, diceva che per l‟Ordine occorre prendere come cosa propria anche sogno o lapsus: che a loro volta nascono già da un‟istanza d‟ordine, ossia non sono sistematici né vandalici ma pacifici (la pace, se è, è universale non sistematica).

Non fidatevi di chi non raccoglie con favore i propri sogni e lapsus: è un inaffidabile (come minimo mi deruberà).

Con ciò Freud offriva due test cosmici e pratici, alla portata di tutti e senza costi.

Ciò significa non fidarsi della paranoia o paradossìa, che odia l‟ortodossìa di sogno e lapsus (i vecchi psichiatri chiamavano, correttamente, “sistematici” i deliri paranoici).

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Martedi 3 aprile 2007

SUBLIMAZIONE: IL PASSAGGIO AL QUA-QUA DEL PREDICATO

“Qua-qua” significa ripetizione compulsiva o ossessiva, senza significato.

Presento un sogno di portata universale (come tutti): è il merito logico del sogno, e del sognatore malgré lui: nell‟imminenza della cerimonia nuziale il candidato sposo fa indossare alla candidata sposa il proprio impermeabile, cui l‟abito da sposa viene sovrapposto: alla proprietà “sposa” è stato sostituito il predicato “in-permeabile” (da “meato”).

L‟umanità intera dovrebbe venire edificata da questo sogno.

Alla donna-sposa sì, ma predicata dall‟impermeabilità, potranno seguire in modo cogente tutte le possibili conseguenze sintomatiche e comportamentali derivanti da questo predicato: le fortunate eccezioni alla cogenza dipenderanno dalle residue facoltà di compromesso del soggetto il cui esito chiamiamo “nevrosi”, ossia noi comune umanità.

C‟è stato passaggio di stato, ma quale?: non a quello giusto, giuridico, dalla donna alla sposa, in cui una donna mantiene tutte le sue proprietà acquisendone una nuova, bensì a quello ontologico dell‟in-permeabile.

Dall‟abito gradevolmente effimero della sposa, aperto a ogni eventualità, alla divisa militante dell‟impermeabilità che limita gli eventi.

Il risultato, ma già premessa, è “La Madre”, ossia non una donna con un uomo e figli eventuali appresso, ma un‟astrazione che tratta quella donna come puro supporto biologico (come si parla di supporto cartaceo o elettronico): in-esistente così come in-permeabile.

Diventano calcolabili le conseguenze sul figlio come astrazione susseguente: Freud parlava del figlio come risarcimento, che poi significa risarcirsi sul figlio nel destino a catena di astrazione su astrazione.

In fondo dovrebbe meravigliare che non siamo tutti degli psicotici: dunque elogio l‟eroismo nevrotico, che però non fa il peso.

Si tratta di sublimazione in analogia con il cambiamento di stato fisico di certe sostanze (es. canfora), dallo stato solido a quello aeriforme o di vapore, senza fondere ossia senza passaggio allo stato liquido (processo reversibile).

Ma la sostanza fisica mantiene le sue proprietà senza loro alienazione in un predicato che le innalza per toglierle: “promoveatur ut amoveatur” è la formula latina della sublimazione morale o culturale, non fisica.

Il passaggio del concetto di “pulsione” a concetto di legge giuridica, la fa finita con il passaggio da natura bassa (“istinto”) a idealità alta ossia la “sublimazione”.

Può anche darsi che nell‟omonimo articolo Freud abbia fatto qualche concessione, ma già intrinsecamente corretta dall‟insieme del suo pensiero (“l‟uomo non è una costruzione a due piani”).

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Nella sublimazione una Teoria della natura (istinto, causalità naturale) corrompe la natura, non la rispetta: la vecchia frase “Io rispetto mia moglie” che significa?: e le altre donne no? (ecco la Teoria prostitutiva delle donne, “Madre” a parte).

Ogni corruzione è ontologica: solo il Diritto rispetta (noi ne distinguiamo due), perché in esso l‟ente fa lui, noi non lo predichiamo.

“La Madre” designa un occulto potere plurimillenario, paragonabile nei suoi effetti allo schiavismo antico o moderno, o se si vuole al capitalismo selvaggio: Gesù è il solo caso a me noto che vi si sia opposto (in due episodi) con la solita vis polemica: non che i cristiani lo abbiano molto ascoltato, al solito (bensì sublimato).

Quando la donna passa al predicato, tutto diventa possibile - e non è una buona notizia - in coppia con il dostoevskiano “più nulla è possibile”: è dalla donna-impermeabile che si produce perversione e omosessualità.

Da buon figliolo devoto e pio quale sono, ho già cercato di dimostrare che la Madonna è esente dalla donna-madonna o almeno angelicata: ciò detto, mi figuro benissimo un gruppo gay che recita il Rosario, così come tempo fa, e forse ancora oggi, la Callas era l‟angelo degli omosessuali.

Sto dando un contributo all‟odierno mondiale dibattito furioso sulla famiglia come - sì o no - unico legame tra uomo e donna.

Mi accorgo all‟ultimo momento che “candidato” proviene da “candido” ossia vestito di bianco: attenzione alla purezza, si dice anche “puro veleno”.

Anche il “qua-qua” ossessivo è candido, puro come sceglieva di dire Kant: è la “purezza” a porre la questione morale, non a risolverla (il Nazismo prediligeva questa parola).

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Martedi 10 aprile 2007

IL COMUNISMO DI S.TOMMASO E LA SALUTE

Parto da un punto di applicazione del comunismo di Tommaso d‟Aquino, non dalle premesse per non affaticare il pensiero.

Il pensiero è diventato sempre più affaticabile, ossia diagnosi di nevrosi, perché il pensiero sano né si affatica né affatica, anzi è riposante: il sogno - cioè un caso di pensiero: millenni perché qualcuno se ne accorgesse - protegge il sonno.

Tommaso d‟Aquino era un comunista dichiarato.

Egli esigeva con forza di logica comunista (Somma Teologica, II-II o Secunda secundae, Quaestio 66 da 1 a 9 e specialmente 6), che un Magistrato di fronte a uno imputato di furto sì, ma per stato di necessità - la sopravvivenza fisica sua o dei suoi familiari -, lo doveva rilasciare, non per motivi morali, non per perdono giudiziale, non per attenuanti generiche ma per la pura e semplice ragione, non di non avere commesso il fatto, bensì perché questo fatto non costituiva reato (di furto).

La premessa comunista generale di Tommaso è di “Diritto naturale”: la terra è bene comune sempre e comunque e, benché poi la proprietà privata di essa trovi le sue ragioni (Diritto positivo) atte a configurare la fattispecie “furto”, a certe condizioni (qui lo stato di necessità) le ragioni della proprietà privata recedono per tornare al comunismo primitivo, in cui non c‟è furto.

Non ho svolto ricerche da storico, ma proprio non credo che in qualche tempo un cattolicissimo Magistrato abbia mai dato retta a Tommaso (dichiarando il non-luogo a procedere): ciò in secoli in cui la Somma Teologica veniva ufficialmente collocata sullo stesso piano della Bibbia e, insieme, in secoli in cui il “furto” - ma non-furto secondo Tommaso se per stato di necessità - doveva essere all‟ordine del giorno e di massa (carestie, epidemie, guerre, o altri fattori più “strutturali”).

Ma a spiegare non basta la nequizia della storia e degli uomini della storia.

Non gli hanno mai dato retta, non per timore dell‟ancora lontanissimo comunismo marxista- leninista, né dei “Fraticelli” evangelico-giustizialisti o dei Valdesi né, più tardi, degli anabattisti- müntzeriani.

Non l‟hanno fatto perché non lo si poteva, per fallacia dell‟argomento comunista di Tommaso: perché il bene non è la terra (mi ricorda ancora Rossella o‟ Hara), né la terra è la fonte del bene: il bene non è il dato, la “cosa”, l‟oggetto, bensì è il frutto o prodotto della terra risultante dall‟iniziativa o impresa.

E il primo atto dell‟iniziativa è di pensiero: quanti millenni ci sono voluti perché il pensiero passasse dalla natura dell‟acino alla meta-natura del vino?

Il pensiero è lavoro: ma il lavoro salariato, ancorché giuridicamente libero, non è pensiero ossia impresa.

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Diversi secoli dopo Marx innovava sì tutti i termini in gioco, salvo uno: il suo comunismo non contemplava come fattore strutturale l‟iniziativa, l‟impresa, in ultima analisi il pensiero, benché lui fosse uno dei più forti e ascoltabili pensatori della nostra epoca.

Il “bene” non è la terra ma il prodotto dell‟artificio sulla terra: è all‟atto dell‟artificio che si applica la distinzione tra vizio e virtù.

“La terra” rende anoressici.

In Marx l‟iniziativa, o il pensiero, non è tra i mezzi di produzione del comunismo.

E noi siamo qui.

Ricordo una delle mie prime pazienti, di origine “terrona”, che “La” chiamava “la natura”: proprio per questo era isterica, perché “La” credeva natura, un “bene” per gli uomini e perfino sommo (che stupidi!), senza rendersi conto che da millenni (da prima di Elena di Troia) non c‟è nulla che sia più meta-natura, cioè che il pensiero vi ha fatto un inventivo lavoro (adoro la donna inventiva, dai cinque anni ai cinquecento: non la “Donnamadre”, cui il Comunismo novecentesco ha fatto più concessioni che il mio Parroco).

“La natura” rende impotenti, oppure omosessuali.

Un lavoro da Primo diritto distinto dal Secondo, non il “Diritto naturale”.

La nostra illimitata attenzione alla psicopatologia riposa sul fatto che essa, in tutte le sue forme, è accomunata dalla rinuncia a imprendere per mezzo di (almeno) un altro per una meta fruttuosa: il suo principio è antieconomico, nemico dell‟appuntamento.

La salute è principio economico, lavora all‟appuntamento.

(segue: lo dovrebbe a lungo).

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Mercoledi 11 aprile 2007

PSICOANALISI, WEB, COMUNISMO

Continuerò poi l‟articolo precedente “Comunismo”: non un‟utopia, non un sogno diurno né un incubo notturno (non fanno differenza).

Lo definisco come ciò che continua a fallire (certi fallimenti sono dei mostruosi crack!).

Questo fallimento inizia da lontano, fin dal bambino: “Non accettare doni dagli estranei”, “Che cosa credi di sapere?”, “Non leggere se non…” e cento altri esempi: sono tutte limitazioni o censure delle fonti (delle materie prime), compreso il proprio pensiero come fonte.

E‟ il fallimento del provincialismo: provinciale è stato (ci tornerò) anche il Comunismo marxista malgrado il suo internazionalismo: ma i suoi avversari non sono stati meno provinciali e sanguinari (con provincialismo spiritualistico anziché materialistico).

In queste pagine ho più volte riferito materiali acquisiti dai miei “pazienti”, sogni, lapsus, altri pensieri.

L‟ho fatto nella piena osservanza del segreto professionale ma, scontato questo, come se le sedute fossero in presa diretta sul Web, ossia di interesse universale: è ciò che ho imparato come psicoanalista (lo dicevo già diversi anni fa asserendo che la psicoanalisi non è claustrofilica bensì agorafilica).

Non mi considero presuntuoso se dico che ho inventato l‟idea di un nuovo Giornalismo.

C‟è guarigione quando c‟è questo passaggio dal chiostro psichico all‟universo del pensiero: ecco il Giornalismo, notizia valida per tutti.

La psicoanalisi abolisce la provincia detta “interiorità” (o almeno l‟interiorità come proprietà privata di quel mezzo di produzione che è il pensiero), non fosse che perché rende manifesta la semplice verità che tutti i segreti sono di Pulcinella: il paranoico si oppone a questa ovvia verità (secondo me lo Spionaggio esiste anzitutto per negarla).

Essa reintegra nell‟universo del pensiero la pietra scartata dal pensiero (censura, rimozione, anche di pensieri altrui): è lo scarto a fare provincialismo (“certe cose non si pensano neppure”) cioè patologia.

Sullo sfondo di ciò che dico c‟è l‟Ordine giuridico del linguaggio o il comunismo del pensiero, competente ma senza proprietà privata dei mezzi di produzione di questo.

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Giovedi 12 aprile 2007

“LA LINGUA BATTE…”, E LA MEMORIA

Segnalo un errore comune e tenace:

non c‟è una sola memoria, ce ne sono due: una è quella della lingua che batte proprio e solo perché il dente duole, poi ce n‟è un‟altra.

La prima è quella, rimuginativa, ossessiva, compulsiva, di ciò che è andato male: esempio comune e perfino banale: lo studente rimugina sull‟esame andato male, mentre ricorda sì ma solo contingentemente e non compulsivamente l‟esame andato bene.

L‟altra è quella di ciò che è buono o andato bene (è la memoria del “principio di piacere”, con nulla di istintivo, naturale o “profondo”): si rimuove non il male ma il bene: nella patologia se questo ricomparirà come memoria, sarà sotto luce di male (sogno d‟angoscia, incubo).

La memoria della lingua che batte è uno dei migliori mezzi di autodiagnosi di psicopatologia.

Questo errore accade nella vita personale, nella storiografia, nella narrativa, nei discorsi politici.

Ma c‟è un nuovo passaggio da fare: la lingua che batte, non batte sul male subìto ma sull‟errore agito: non odio chi mi ha ingannato, ma chi io ho ingannato; non chi mi ha fatto del male ma chi ho danneggiato.

La rimuginazione, la compulsione, nega l‟imputabilità, ne prende il posto: il riconoscimento di questa soltanto assicura la guarigione cioè la pace: ecco il significato di “guarigione”, o salvezza-salus: non concedo più nulla alla distinzione spiritualistica tra salvezza e guarigione, distinzione che definisce lo spiritualismo con le sue masse di cadaveri giustificati.

Una canzonetta milanese (“Porta romana”) dice che “resta [in memoria, ndr] la fregatura del primo amore”, per negazione della propria imputabilità nelle malefatte di Eros (“perdere la testa”, “colpo di fulmine”): quantomeno l‟imputabilità del giudizio “Ci sono cascato!”

Ma il “primo amore” non è la ragazza: è la madredonna come si dice (male) “madrelingua”.

La vendetta ha come matrice il medesimo errore, penso al più celebre film sulla vendetta “C‟era una volta il West” di Sergio Leone: l‟“eroe” vendicativo dedica rimuginativamente, ossessivamente, vent‟anni alla vendetta, e alla fine butta via, oltre ai vent‟anni, donna e ricchezza.

Si ricordi l‟immagine filmica di lui bambino con sulle spalle, pesante, incombente, il grande fratello, maestoso, forte, eroico benché vittima: questo bambino è un Caino che odia il grande fratello, ma poi devia l‟odio sull‟assassino del fratello: non si giudica come imputabile (magari avendo valide ragioni).

Il perdono (che è esaltazione del giudizio con caduta della sanzione) è addirittura buon senso, per non gettare la propria vita.

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Se gli porgo l‟altra guancia, e quello ci casca, è perduto!

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Venerdi 13 aprile 2007

CHE COSA MI ATTRAE DI UNA DONNA?

Il “bello” è che se lo chiede anche lei!

In generale, le sue risposte non sono più felici di quelle dell‟uomo.

(Osservo che non ho domandato: che cosa mi attrae “in” una donna).

La peggiore delle risposte è: “La Donna”, semplicemente perché non esiste, se non come Idea persecutoria (G. Leopardi, J. Lacan).

Se fosse per la natura saremmo tutti frigidi (tale è la natura), e ci saremmo estinti dopo Adamo e Eva.

Allora abbiamo inventato dei trucchi in forma di Teorie compulsive, obbliganti, imperative, quelle dei due istinti (di conservazione della specie o “sessualità, di conservazione individuale) gabbati come causalità naturale, per tirare avanti, “tirare a campare”: stampelle, nel migliore dei casi.

E‟ ovvio il debito del trucco teorico al peccato originale: un errore ma produttivo, cioè un compromesso (con il peccato).

“Partorirai nel dolore” fa il paio con “concepirai nell‟errore”.

Penso che sia per un‟oscura intuizione di un errore latente, che una certa morale ha continuato a ritenere irriducibilmente inquinato l‟atto sessuale, anche nella più benedetta delle coppie (Agostino).

Ma tutte le morali sessuali sono pornografiche, per il solo fatto di venire formulate (a rigore non ci sarebbe bisogno di visitare i siti porno su Internet).

In fondo le morali sessuali sono oscene: una morale degna di questo nome dovrebbe avere l‟Ottavo comandamento come fondazione (l‟“impurità” del Sesto ne deriva, non è autonoma).

L‟atto sessuale continua a restare non riscattato: la soluzione oggi culturalmente prevalente è la sua banalizzazione come natura (la natura è il banale per eccellenza).

La cultura morale-sessuale resta pan-sessualista, ossia la non-soluzione del pensiero rigurgita (“ritorno del rimosso”) da tutte le parti.

Il male del sesso consiste tutto nell‟averne costituito il problema anziché coglierlo… ma dire così è già concedere all‟errore, dunque riprendo: anziché coglierne la differenza come occasione di soluzione nella contingenza (l‟omosessualità respinge precisamente il profittare dell‟occasione offerta dalla differenza): la differenza serve come ancilla il rapporto.

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La psicopatologia, primariamente ostile al rapporto in quanto fruttifero, colpisce secondariamente quell‟ancella di esso che è la differenza sessuale trasformandola in Termopili (da difendere o stuprare, offendere).

La differenza, come tale, non è “dentro”, la bella “interiorità femminile”!, visione mistica o testa di Medusa: è tutta fuori.

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Sabato 14 aprile 2007

LACAN E TOLKIEN

Rinvio al precedente articolo “Tolkien e Cristo”, giovedì 29 marzo, che proseguo.

Nessuno ha mai capito niente dell‟“oggetto a” (objet petit a) di J. Lacan, e del resto lui ha fatto apposta perché così fosse, e lo ha anche dichiarato deridendo i seguaci (“ce n’est que moi qui en ai le maniement”).

Tolkien è di aiuto al riguardo: infatti lui e poi J. Lacan trovano soluzione nella caduta dell‟oggetto come sua dissoluzione:

ma non si tratta dei più diversi e onesti oggetti che troviamo o produciamo, bensì dell‟oggetto trans-formato in causa (cause du désir):

la caduta in Tolkien avverrebbe grazie a una banale forza fisica non importa quanto “grande”, un grande risibile vulcanone da Luna Park con grandi temperature come ogni onesto vulcano (i bambini sono divertiti, non stupiti);

la caduta in J. Lacan avverrebbe non si sa grazie a che, ma certo - almeno questo! - non grazie a una forza fisica (ma ciò che J. Lacan dice mantiene valore, secondo me).

In ambedue i casi si esige che ci sia caduta della Caduta:

quella nel “Bene” astratto, Ideale, astratto dal giudizio buono/cattivo per esempio sulla fatidica mela, che diventa fati-dica cioè causa solo nella Caduta.

Astratto cioè dal Principio di piacere, individuale come ognun sa, universale nel suo ambito di validità.

Fino a tale caduta della Caduta siamo tutti dei Gollum - “Tessorro mmio…!” - cioè dei nevrotici, complici riottosi del Nemico, che è una Teoria come forza di occupazione più potente di un esercito:

Tolkien e J. Lacan hanno capito, in modi diversi, che non basta lo sbarco in Normandia né la Resistenza.

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Domenica 15 aprile 2007

DOMENICA 15 aprile 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Sulla sublimazione OSF passim

La sublimazione pornografica

Chiarisco d‟emblée il concetto di “sublimazione” con esempi facili e noti, che impongono un brusco “cala-cala” a questa altisonante parola della migliore Cultura moderna.

Non l‟arte, non il lavoro teorico (non dico “di pensiero”), ma la pornografia ne è il caso più universalmente noto e praticato, e pubblicamente approvato malgrado infrequenti e ipocrite proteste religioso-moral-educative: ma sì, proprio la pornografia, e in tutte le sue varianti anche estreme.

Fare l‟amore non è pornografico.

Anni fa c‟è stata a Bologna un‟impegnata mostra sul “Nudo” nell‟arte: ne ho tratto la conclusione che il Nudo nell‟arte fallisce, e ciò per l‟arte è un merito: ho già scritto che la nudità è un pensiero delirante fin dal peccato originale: i patiti di moralità non dovrebbero prendersela con essa ma con il delirio conseguente al suddetto peccato.

Non che nella pornografia il nudo riesca: infatti essa è insoddisfacente, tanto che la domanda commerciale di essa è “ancora-ancora!” cioè infinita: ecco il lato docente della pornografia: essa dovrebbe insegnarci a non idealizzare troppo l‟infinito, parlo dell‟infinito non matematico ma mistico (una confusione plurimillenaria).

Orwell aveva capito bene che la pornografia serve a intrattenere le masse (i “Prolet”).

Il Pubblico, ufficiale o ufficioso, è determinante per la sublimazione e per il suo concetto: il Movimento gay lo ha capito perfettamente.

Ma la pornografia ufficiosa - più ufficiale dell‟ufficialità - è solo il primo gradino della sublimazione, e talora è bonariamente al servizio di un certo know how per inesperti.

Molto oltre nell‟escalation, gli autos da fè sono stati coltivazione e educazione sadica delle masse, massima sublimazione.

Il loro pubblico poteva ben esclamare con Plotino: “Il fuoco è bello” (Enneade I, 6, “Sulla bellezza”): cave più che canem la platonico-plotinica “Bellezza”.

Sublime è l‟amore cortese con il suo feticismo e la sua implicita omosessualità (“Guido, io vorrei che tu e Lapo ed io…”):

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l‟era dell‟amore cortese è stata uno spartiacque nella storia della Civiltà: fatemi il nome di uno scrittore morale dell‟epoca che abbia trovato da ridire!

La pedofilia si comprende come sublimazione, ossia come perversione della rimozione della differenza sessuale.

Nella Storia nessuna morale è mai riuscita a riconoscere la perversione (come fattispecie), e a “fare i conti” con essa (tra virgolette: io non mi perderei a farli).

Quasi a tutti dispiace sollevare i veli: non del corpo - che non è mai tanto velato come quando è ingenuamente nudo - ma della mistica.

Laplanche e Pontalis osservavano correttamente che la parola “sublimazione” designa una “lacuna” nel pensiero psicoanalitico anzitutto freudiano (poi gli psicoanalisti sono andati pazzi per le debolezze freudiane anziché lavorare come lui).

Malgrado le sue incertezze, Freud ci aiuta a cogliere il nesso tra la sublimazione e la Cultura che conosciamo.

C‟è voluto J. Lacan per decidere Freud al giudizio impietoso e certo su sublimazione e superio (in quanto l‟imperativo osceno e feroce dei godimenti forzati).

Non che Freud abbia mancato di correlare esplicitamente la sublimazione con la perversione, il che significava distinguere la pulsione dall‟eventuale destino perverso di essa.

“Sublimazione” significa perversione della forma: il Nemico è nemico della forma (giuridica, che significa rapporto) in quanto la forma è allo stesso livello del corpo; e promuove la sublimazione in quanto “superiore”, “alta”, “ideale” (non fidatevi di chi usa queste parole).

Freud è stato il massimo critico della distinzione alto/basso: “L‟uomo non è una costruzione a due piani”.

Il Pensiero di natura decide anche J. Lacan nel senso della forma (con che brevità lo dico!, ma ormai da anni: leggete il testo).

Il Pensiero di natura risolve la difficoltà di Freud che, pur avendo distinto unico nella storia del pensiero, l‟oggetto dalla meta come il terzo e quarto articolo della legge di moto del corpo (“pulsione”), non aveva però portato a termine tale distinzione: ecco ciò che fa il Pensiero di natura, con il suo non essere più debitore del “narcisismo” cioè del piano inclinato verso la perversione.

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Lunedi 16 aprile 2007

“ONLY YOU”, LE DONNE E LA TRINITA’

A “Only you” segue quel “can make this world seem right” che segnala l‟errore di sempre, la finta del “sembrare”.

Tutti conoscono questa canzone terrificante, ma pochissimi la qualificherebbero così.

Non mi sembra che in decenni, o secoli, la canzone sia cambiata.

Non conosco canzoni, neppure religiose, che siano venute a capo: a capo, in ultima analisi, dell‟angoscia.

Il Reverendo Kierkegaard ne è venuto a capo sì, ma facendosene una ragione: una ragione al peggio, ossia mettendo in capo il non venire a capo (oggi si chiama “disincanto”).

J. Lacan lo ha detto con i titoli di due Seminari: “… o peggio” (1971-72) e “Ancora” (1972-73).

“Only you” sembra rivolto a qualcuno, ma a qualc‟uno solo, Uno: La Donna, La Madre, Dio, l‟Uno-e-basta dei Filosofi (single sarebbe già meglio), che non basta neppure per il pane in tavola.

Faccio uno dei miei episodici e controllati salti teologici come espedienti didattici: anche per i non cristiani è logicamente intelligibile che la dottrina trinitaria rifiuta l‟“only you” perché, se sono in tre, allora per nessuno di essi può darsi il caso dell‟“only you”: semmai sarebbe il caso di only two, o magari only twou: almeno per questa importante dottrina non è desiderabile essere al posto di only you, nemmeno per l‟eventuale “Dio”.

Nella formula del Pensiero di natura non si dà “only you” perché essa ha due posti: uno lo occupo io, l‟altro lo occupa chiunque sappia occuparlo degnamente senza che sia io a selezionarlo come only (nell‟only non può essere degno nessuno).

Rifiuto un Dio only you: e, nella dottrina trinitaria, lo rifiuta anche lui.

Non intendo portare attentato alla consolidata istituzione della monogamia: consolidata sì ma rimasta millenariamente incerta anche per i suoi fans.

Volendo difendere la monogamìa, la una è una in mulieribus ossia tra tutte le donne, ossia le rappresenta tutte, non come insieme ma una per una.

In questo Blog ho già scritto della bontà di quel sogno in cui qualcuno sogna di fare l‟amore con una donna, una dell‟Universo: entro questa dimensione infinita potrebbe anche capitargli di sognare, perché no?, anche la sua sposa, o compagna (senza di che essa non vale un… fico malgrado l‟eccellente metafora.

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Martedi 17 aprile 2007

I MIEI MAESTRI, IL MIO PARROCO, E IL PERMESSO

Ho avuto almeno un privilegio, quello di Maestri (non “del sospetto”) come Freud, Lacan, Marx, Kelsen, Weber, Kant come maestro-avversario (ne sto omettendo alcuni, non per censura).

Però sarei iniquo se non menzionassi anche il mio non celebre Parroco di seconda infanzia (6- 11): che meraviglia di Parroco!: egli è stato, oltre mio padre, un maestro di logica.

Perché?: perché era l‟incarnazione del “No!”, a tutto: anzitutto alle donne - assenti assolutamente nei suoi sermoni, tutt‟al più menzionava pudicamente la Madonna -, ma poi anche alle cose più alla portata parrocchiale di noi bambini: i comics o fumetti erano “no!”, anche quelli della “buona stampa” cattolica; così come era “no!” il cinema in sala non solo pubblica ma anche parrocchiale, che tollerava appena; e anche la normale agitazione ludica di noi bambini.

Ma non lo sto esaltando perché era un burbero benefico (e lo era), bensì perché il suo “no!” così perentorio e assoluto mi ha coadiuvato nel pensiero: infatti se tutto era “no!”, allora toccava a me vedermela, il campo era libero: bene e male erano affar mio.

Ricordo ancora con affetto che, di conseguenza, al suo cinquantesimo di sacerdozio gli ho fatto un regalo spropositato: all‟età di dieci anni gli ho mostrato la mia riconoscenza regalandogli una pianeta con il denaro che avevo guadagnato per mezzo della mia prima attività imprenditoriale (un traffico di chincaglieria raccattata e venduta).

Per le mie Zie adorate - dello stesso stampo: “No!” a tutto - ho ancora lo stesso affetto, e per la medesima ragione.

Ma perché affetto?, e non masochista?, quale era l‟oggetto del loro “No!” così assoluto?: ebbene, l‟oggetto del “No!” non era questo o quello: era la domanda di permesso.

Permesso è ciò che è universale senza chiederlo (è il concetto di permesso giuridico).

Da anni so che i Logici non hanno molta simpatia per il permesso giuridico, che significa: non si domanda ciò che è già giuridicamente permesso alla competenza individuale, o anche: non domandarmi ciò che è già tuo.

Non domandare quando si tratta di prendere iniziativa.

Se avessi domandato al mio Parroco il permesso di diventare psicoanalista, lui mi avrebbe denunciato al Sant‟Uffizio: solo poi ho capito che in tale caso mi avrebbe denunciato non per la psicoanalisi, ma per avergli domandato permesso.

Non avendolo fatto, anni dopo mi avrebbe certamente mandato dei pazienti.

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Se mi trovo con amici su una spiaggia estiva, e con tanti bambini in giro, se uno di questi si getta in acqua io mi astengo da ogni mossa, salvo un‟occhiata paterna per contrarietà alla mortalità infantile: ma se uno di loro me ne chiede il permesso, io gli rispondo inflessibilmente “No!”: l‟esperienza mi ha mostrato che i più svegli non mi stanno neanche a sentire, e che gli altri li seguono a breve (poi mi apprezzano).

Le “ragazze” mi piacevano già allora, ma non erano il mio primo pensiero: e in effetti a nessuna ragazza piace essere il primo pensiero, oggetto dell‟idiozia teorica dell‟istinto come permesso naturale di cui domandare permesso morale.

La “donna oggetto” giustamente deprecata dal femminismo storico, è “oggetto” non per il solito maschio cretino e inibito, e a volte stupidamente brutale, ma per la Teoria, maschile quanto femminile, che produce l‟oggetto, eterosessuale o omosessuale non importa: è solo mercato in quanto il mercato non della prostituzione ma della Teoria, ossia il vero mercato generalizzato della prostituzione.

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Mercoledi 18 aprile 2007

L’UMORISMO NERO DI J. LACAN, E LA GALLINA

Il lacaniano “Tesoro del significante” significa urna funeraria, anzi peggio, sepolcro imbiancato con vermi dentro: dunque è un‟espressione colta per una realtà miserabile (Freud diceva “armer Teufel”, povero diavolo).

Non si capisce J. Lacan senza coglierne la dimensione di umorismo nero, confinante con la melanconia.

Quel Tesoro è anche il “Tessorro mio!” di Gollum nel “Signore degli anelli”.

E‟ il tesoro delle Teorie, identico nella nostra testa e nella Cultura.

Nessuna delle due è più “grande” dell‟altra: il che, poiché con questo tesoro abbiamo un cervello di gallina, la dice lunga sulla grandezza della Cultura.

L‟uomo colto non è figlio della Cultura, né d‟altronde della Natura: Natura e Cultura non fanno figli.

E non fanno ricchezza: quello è il Tesoro dei poveri.

Per esso non c‟è pietà né carità possibile: approfittando ancora di Tolkien, diciamo che il Regno di Mordor - né magico né mistico ma logico a rovescio con produzione di occultismo - si espande, e noi lo abitiamo, poco coltamente.

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Giovedi 19 aprile 2007

DUEMILA ANNI DI SESSO DI TROPPO

In una seduta di ieri è tornato, come spesso e in fondo sempre, invincibilmente, l‟argomento dell‟istinto (già detto “inclinazioni sensibili”), ossia l‟oscuro campo delle nostre patetiche sconfitte.

Attraversando questo argomento potremmo fare l‟intera storia del pensiero e dei costumi, e insieme delle nostre vite quotidiane.

Rammento ciò che dico da anni: non c‟è istinto (menzogna sulla natura) ma la sua Teoria indimostrata e indimostrabile, come disturbo o patologia.

Qualcuno mi obietta che sull‟argomento mi ripeto: non è così, è l‟argomento a ripetersi compulsivamente, ossessivamente, io lo raccolgo senza ripetermi.

Dirò ora qualcosa di parzialmente inedito da parte mia, in forma di una semplice telegrafica annotazione storiografica su lungo periodo, l‟annotazione di una contraddizione flagrante:

1° da un lato, i Vangeli documentano che quel tal Gesù non voleva lasciarsi impigliare in questioni di morale sessuale (vedi Adultera, Samaritana, “Maddalena”, Marta e Maria, la Madonna stessa), in altre parole egli disponeva nel suo pensiero, benché ante litteram, della freudiana “castrazione” come ablazione chirurgica non dei sessi ma della Teoria “sessual-ità”, e lo ha detto nella parabola degli eunuchi: egli si diceva “eunuco” nella testa (“regno dei cieli”), cioè privo della mentita istanza sessuale supposta nella natura, ed “eunuco” proprio appena dopo avere condannato le altre due specie di eunuchismo (fisico e psichico): con ciò inaugurava una nuova era dell‟umanità, come era salutare cioè in salute (“istinto” significa patologia).

2° dall‟altro, la nuova era è durata pochissimo: sono anzitutto le lettere di S. Paolo a documentare che invece i cristiani si sono lasciati impigliare fin dal giorno dopo: poi sono seguite le idee peggiori, o più stupide, per esempio le fantasie di pii monaci aggrediti, “tentati”, da ideazioni erotiche che chiamerei piuttosto erotomani, patologiche.

Impigliare anche in Eros come amore, quantunque solo umano e “naturale”, cui farebbe seguito quello soprannaturale: obietto che io sono per la chiarezza dei concetti e l‟univocità delle parole, e che “amore” o è parola univoca o è priva di significato.

Se sviluppassi questa annotazione scriverei una “Storia della sessualità” tutt‟altra da quella di M. Foucault.

La Teoria dell‟istinto è più clericale di tutti i clericalismi storici, religiosi e non: non solo clericale ma moralista, anzi la base stessa del moralismo, cioè Kant: non il Parroco, salvo che il Parroco sia diventato kantiano.

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Venerdi 20 aprile 2007

“LI AMMAZZO TUTTI !”, E L’ECONOMIA

Lo abbiamo visto succedere tre giorni fa in una Università degli USA, con trentatre morti in pochi efficienti minuti di fuoco.

In guerra gli avrebbero dato la medaglia.

La frase del mio titolo (“Li ammazzo tutti!”) è la frase-pensiero-programma non dell‟omicida anzitutto: essa preesiste in moltissimi, e l‟abbiamo anche sentita pronunciare effettivamente più volte, e anche accolta con un sorrisino idiota come per uno scherzo (gli scherzi non scherzano).

Lo studente più o meno americano era solo uno tra i moltissimi che hanno questo pensiero, benché uno dei pochissimi che lo mettono in pratica al verificarsi di certe condizioni che gli danno l‟OK: noi siamo ignoranti di queste condizioni, e allora facciamo Talk-show sull‟argomento.

In questo omicidio di massa il primo dato d‟osservazione è l‟astrattezza dell‟azione o, come si dice, “niente di personale”.

Ho cercato una categoria e l‟ho trovata nella parola “fatuità” (gli psichiatri del passato si sono serviti di questa parola, opportunamente benché con portata limitata): specialmente in questo Blog porto alla luce la fatuità di frasi “buone” ossia maligne della lingua (come “ „La Mamma‟ vuole bene al suo bambino”) da cui può venire dedotto tutto e il contrario di tutto.

Forse, fino a poco prima, quel ragazzo era noto come un normale “bravo ragazzo”; oppure, a cose fatte, qualcuno ha opportunamente ricordato le sue “tare” (antiquata parola biologistica) per dire che bisognava sospettare: sarebbe meglio sapere che i più inaffidabili sono quelli che “non farebbero male a una mosca”.

Guardiamoci dall‟invenzione di test predittivi di potenziali assassini in base alla ricerca statistica: sarebbero solo la premessa a futuri Lager preventivi: sano non è chi non ha “tare” ma chi le riconosce, senza negarle né rinnegarle “scherzando” (è la perversione, che parla di “ironia”).

La formazione reattiva (ma non ho più voglia di spiegarla) è sempre pronta: essa agisce sempre in modo appariscente, inapparente solo per l‟idiozia dei nostri sorrisini che rifiutano di vedere ciò che appare (finiamola di distinguere essenza e apparenza).

Non bisogna cercare “sotto”: il sopra basta, e con micidiale abbondanza.

Assisto quotidianamente al sadismo esercitato per decenni da qualcuno su qualcun altro, bambini di preferenza ma non solo, in specie alla fabbricazione precoce di bambini autistici.

Sto ancora facendo del giornalismo, quello che i giornalisti non hanno fatto: un lungo réportage con tanti esempi non di massa, quotidiani, “umili”.

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Non è diverso per i disastri economici: assistiamo a milioni anzi miliardi di casi di microeconomie recessive, o microdiseconomie: non è una metafora, è la mia definizione di psicopatologia.

Sono diseconomie anche perché si credono “micro”: è a livello dell‟individuo che bisognerebbe tornare all‟economia politica.

Il nostro è un mondo di guerra civile latente in cui alcuni passano a dichiararla patente (l‟episodio americano) con atto individuale unilaterale.

Il frequente suicidio seguente l‟omicidio conferma la fredda verità freudiana che il suicidio è solo un omicidio spostato su se stessi: in questo caso i due atti sono fraternamente uniti: ah la fraternité!

Nulla è più pratico del pensiero, e della sua frase: è perché era possibile-pensabile che è diventato realtà: se qualcosa è possibile-pensabile succederà, anzi succede già.

Di buono, in questa notizia, c‟è che anche il pensiero non omicida, paci-fico, è possibile (anche se resto tra i pochi a pensarlo, con Freud): si tratta della costruzione di un pensiero economico individuale.

Fin da bambino faccio letture sulla Prima guerra mondiale: tra le tante me ne resta in mente una che sottolineava la fatuità con cui è iniziata tale Guerra: eserciti di milioni di soldati che partivano marciando con entusiasmo canterino per i più micidiali fronti mai conosciuti.

La Grande guerra condiziona ancora oggi il nostro presente.

La fatuità è quella caduta per cui si abbandona il pensiero per una Teoria.

Fatuità seriosa e seriale, non seria: antica, già greca, ne riparleremo.

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Sabato 21 aprile 2007

“FEMMINILE”, E LO PSICOANALISTA

Non sono femminista (ho conosciuto uomini femministi: mi sembravano un po‟ buffi): spero però di essere abbastanza femminile.

Sto semplicemente approvando l‟uso che Freud fa dell‟aggettivo “femminile” riferito a ambedue i sessi (“castrazione”, ma non ripeto).

Si tratta da parte di Freud di una doppietta di significati in successione: precede quello ingenuo di fecondazione (della terra da parte del seme), segue le metafora della donna fecondabile come la terra (idea scientificamente falsa, ma resta la metafora): ecco “femminile”, anche se le donne “femminili” in questo senso sequenziale sono poche, gli uomini figuriamoci!

Si tratta del “femminile” del modus recipientis del Pensiero di natura, come il modo della produzione di profitto in una partnership non a somma zero, ossia in un rapporto che sia tale.

E‟ in questo femminile che può esserci, asimmetricamente, la celebre “parità dei sessi”.

Questo modo mi risparmia la parzialità dell‟omosessualità, perché è nel modus recipientis che recepisco le donne, o almeno quelle che a tale modus si prestano (infrequentemente): dico quelle che si prestano, non che si vendono: non per regola morale bensì logica, semplicemente perché tale modus non si presta alla compravendita o prostituzione.

Trovo interessante nonché inattesa questa rivelazione: che, per sapersi accompagnare a una donna, un uomo deve essere femminile, senza alcuna rinuncia a ciò che lo distingue come uomo.

Femminile è lo psicoanalista (se lo è, psicoanalista intendo), perché la sua legge - meglio che “regola” - è quella di tale modus.

E‟ noto che lo psicoanalista, anche di sesso maschile, frequentemente è sognato come prostituta: ma ciò è soltanto per compromesso diurno, tra il sognarlo correttamente al femminile e la deformazione di questo pensiero da parte di quell‟incosciente che è la coscienza, che deve o prostituire la donna o idealizzarla come Madre.

“Fallico” è ogni pensiero e atto che si rifiuta a tale modo, così che - facendo per una volta buon uso della brava trivialità tutta italiana - possiamo dire a rigore che in tale rifiuto tutti, senza riguardo per la differenza sessuale, sono teste di…

L‟intelligenza è fecondabilità.

La psicosi è il rigetto (Verwerfung in Freud) del modus recipientis.

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Domenica 22 aprile 2007

DOMENICA 22 aprile 2007 in anno 150 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Bisogna insegnare la psicoanalisi all’Università? OSF 9

La paranoia degli psicoanalisti (con l’eccezione di Freud)

Gli psicoanalisti sono sempre stati paranoici ossia persecutŏri - salvo Freud - riguardo alle Istituzioni (anzitutto lo Stato, o il Diritto statuale, e tra altre l‟Università).

Ciò è documentato dalla divergenza tra l‟agio di Freud e il disagio della maggior parte dei suoi seguaci riguardo al Diritto, quanto alla libertà giuridica di esercitare la psicoanalisi.

Lo si vede nel dibattito promosso dallo stesso Freud nel 1927, a proposito del suo libro del 1926 “La questione dell‟analisi laica, Die Frage der Laienanalyse”, dibattito in cui egli è stato lasciato quasi completamente solo da parte dei fedelissimi ( e non solo in questo).

Non era un dibattito di bottega: in esso gli psicoanalisti condividevano la “normale” paranoia civile, quella del “piccolo” cittadino o “piccoloborghese” che si paragona ma senza comune termine di paragone con il “grande” Stato (o magari Impero, anche se non è la medesima cosa).

Ne abbiamo scritto, anche con ampia documentazione della divergenza, nel libro: “La questione laica. Ragione legislatrice freudiana e ordini civili”, con testi non solo miei ma di Ambrogio Ballabio e Maria Delia Contri (Sic Edizioni, Milano 1991).

Quel disagio con divergenza è stato confermato in anni recenti dalla stupefacente asserzione e credenza (a partire dalla Francia) di numerosi psicoanalisti europei: secondo la quale gli psicoanalisti sarebbero “fuori legge”. “extraterritoriali”, “extragiuridici”, “anarchici”, nel loro praticare e insegnare la psicoanalisi, fino a nuovo ordine: quello in cui lo Stato abbia “finalmente” legislato sulla psicoanalisi medesima (cose da “non credo alle mie orecchie!”)

Questa credenza che rasenta il fanatismo testimonia una patetica ignorantia iuris: perché è giuridico, ossia valido per l‟intera comunità giuridica, ogni atto, quale che sia, che non sia esplicitamente proibito dalla legislazione vigente: è il concetto di permesso giuridico (quello che fa giuridico e non totalitario il diritto), che non impone di attendere né di domandare alcuna autorizzazione giuridica, salvo che la legge già lo imponga: è già giuridica la chiacchierata che chiunque può fare al caffè con chiunque altro, salvo che una nuova legge la proibisca (cattivo segno): che è giuridica significa anche che ha tutela giuridica, ossia i chiacchieranti possono legalmente chiamare la Polizia contro eventuali disturbatori.

La paranoia psicoanalitica sulle Istituzioni da cento anni (con il tipico misto di arroganza e furbizia del paranoico), dice il problema sempre irrisolto della psicoanalisi, che non è affatto un problema interno alla psicoanalisi ossia di bottega:

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è quello del sapere pensare il pensiero come esso stesso Istituzione, non inferiore - e neppure spiritualisticamente o “interiormente” superiore - a ogni altra Istituzione.

Ciò resta impensato, ma mi chiedo: perché mi devo sentire coraggioso solo perché dico cose non solo facili ma perfino ovvie? (in questa domanda sono preceduto da Freud).

Non confondiamo Istituzione e Collettivo (o “massa”): il Collettivo è stato il peccato del Novecento, e non c‟è chi non lo abbia commesso sotto le bandiere più diverse.

Sto sviluppando, con Freud e documentatamente, il problema di una Civiltà che sia consensualmente e pacificamente tale.

Da questi sviluppi può nascere, anzi ne è già nata, una nuova Idea di Università, che coltiveremo presto.

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Lunedi 23 aprile 2007

RIPRENDERO’ LUNEDI’ 30 APRILE

Ho bisogno di tempo: dedicherò questi sette giorni a terminare un saggio intitolato:

Istituzioni del pensiero come inaugurazione di un nuovo passo di cui sarà data notizia.

Andava già in tale senso l‟articolo domenicale di ieri.

Buona settimana!

Chi vorrà potrà nel frattempo passeggiare per i precedenti otto mesi di questo giornalismo.

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Lunedi 30 aprile 2007

CREAZIONE INTELLIGENTE, O L’IPODOTATO DIVINO

[Riprendo pubblicando il § 3° di “Istituzioni del pensiero”, breve saggio-manifesto che introdurrà l‟imminente Rivista omonima dello Studium Cartello].

Superati i colonialismi, perdura il Colonialismo antico e moderno: quello sull‟uomo, cioè l‟avversione alla sovranità individuale ossia all‟individuo o al pensiero come istituzione legislativa, e come tale capace di confrontarsi senza minorità con le Istituzioni.

Ora un‟allegoria, o parabola.

Passiamo, solo per un momento come puro espediente espositivo, per il dibattito creazione/evoluzione per il quale alcuni al mondo vanno pazzi.

Concediamo pure tutto al creazionismo come ipotesi di lavoro: Dio ha creato la natura.

Ma questo è un problema, non per noi ma per Lui: infatti la natura in sè è una banalità, dunque fin qui non potrei prenderlo sul serio neppure se mi comparisse davanti in tutto il suo igneo splendore ossia come fenomeno da baraccone (per esempio il vulcano di Tolkien): ma, a giudicare da certi testi biblici (non dai Greci), se egli esiste un idiota non deve essere (se fosse un “assolutamente Altro” sarebbe un perfetto idiota, e un idiota perfetto non ha esistenza).

Una bella stellata, se la apprezzo, altro non è che un arredo del mio terrazzo la sera, tanto quanto i vasi di fiori e il mio gatto: prenderla come segno di una presenza superiore ne fa un segno sì, ma di infantilismo nostro (non quello dei bambini), ed è uno dei casi in cui somministrerei il Litio per sedare i furori teo-maniacali.

Un Dio così non potrei ascoltarlo, ma solo onorarlo ugualmente come farei con un padre malato del morbo di Alzheimer, in obbedienza al Quarto comandamento (“onora il padre e la madre”).

Qualcuno dev‟essersi accorto che qualcosa non andava nella banalità dell‟onnipotenza creativa, e ha proposto un nuovo concetto: Dio ha creato sì, ma con un “disegno intelligente”.

Concediamo ancora tutto, ma con la domanda: quale “disegno intelligente”?

Passate in rassegna tutte le possibili risposte, al mio esame ne è rimasta in piedi una sola.

Che il settimo giorno abbia riposato, può significare soltanto l‟unico significato del riposo: quello di lasciar fare ad altri (l‟insonne è un Atlante che vuole reggere il mondo da solo).

Come ha fatto?: lo dice il Libro della Genesi.

La risposta è davvero semplice, a partire dall‟osservazione che tutti gli enti naturali sono dotati o equipaggiati di proprie leggi di moto, fisiche o biologiche (dette “istinti”): loro non devono né possono metterci proprio niente.

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Ebbene, eccolo il colpo di genio, o meglio di intelligenza, divino: arrivato al momento di porre quell‟ente che poi distingueremo come “uomo” solo grazie a ciò che sto per dire, egli ha interrotto l‟opera di dotazione creativa, lo ha fatto ipodotato, insufficiente (con un linguaggio ancora recente: lo ha fatto non narcisistico).

L‟intelligenza divina sopraggiunta alla creazione banale ossia non intelligente, sta proprio nel fatto di averlo creato incompleto, privo di mezzi precostituiti per arrivare in porto ossia alla meta (il Ziel freudiano): così facendo, anzi non facendo, lo ha dotato di un felice difetto di dotazione, di una felix non culpa bensì lacuna: non essendo equipaggiato di leggi di moto date in natura, deve pensarci da sé con un lavoro legislativo: è questo il significato, secondo me, del biblico “dare nomi alle cose”, o della lingua come ordine giuridico o legislazione.

Legislazione, non tecnica: ma su questa cripto-allusione tanto platonica quanto tardomoderna (Heidegger tra altri) dovremo tornare (i nostri anni e decenni vivono di questo equivoco).

Affinché non morissero di stenti in ventiquattr‟ore, egli ha alienato loro una propria prerogativa o facoltà come un‟eredità: il pensiero (“a immagine e somiglianza”, ossia appunto un‟eredità).

Intendo “pensiero” nell‟unica definizione ragionevole che ne conosco (cfr.§ 1° sulla porta aperta): esso è facoltà e facoltà legislativa, o modo di produzione di leggi in quanto leggi di moto del corpo, dotate di universalità senza di che non c‟è legge.

Dall‟ipodotazione nella legge naturale alla legislazione: da una povertà alla sovranità.

J. Lacan, che in ciò che dico mi ha ammaestrato, si è però solo avvicinato da lontano a ciò che dico, parlando di “prematurità della nascita, prématuration de la naissance” dell‟uomo (ispirandosi al filosofo-zoologo svizzero A. Portmann).

Ecco l‟uomo come istituzione istituente.

E la freudiana “pulsione” - legge positiva, cioè posta, di moto dei corpi - fu.

Anni fa formulavo il medesimo concetto con una frase diversa: “… e Dio non creò l‟inconscio” (senza confondere inconscio e pulsione), in “La questione laica”, Sic Edizioni, Milano 1991.

Ritengo che Freud, come ripeterò nel § 4°, avrebbe approvato questo mio espediente espositivo, senza per questo concedere nulla a una religione: del resto lui stesso si prendeva per Dio senza essere paranoico.

Non nascondo il mio… pensiero: il pensiero come facoltà legislativa autonoma - e insieme pattizia, non oppositiva né bellicosa - è l‟unico mistero osservativamente presente in natura: definisco il “mistero” come una “cosa” che non ha causa: è solo nella psicopatologia che il pensiero è causato (ecco l‟“oggetto a” di J. Lacan come cause de la pensée o “cause du désir”).

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So bene che la maggior parte dei miei interlocutori diretti o indiretti negano l‟esistenza di un pensiero senza causa: ne ho ricavato la conclusione che non è mai esistito nella storia della Filosofia, o della Psicologia, altro dibattito che questo.

Se Dio ha avuto il potere di creare, conservando anche nel seguito il non meno banale potere d‟intervento sulla natura, si può commentare che ci ha risparmiato la fatica di produrre noi la materia precedente la materia prima, che già è frutto del lavoro ossia del pensiero.

Ipodotati, cioè privi per grazia di mezzi precostituiti per arrivare in “porto”, antica metafora platonica: tutti calmi, fermi, sedati, o l‟equivocissimo “equilibrio” tanto economico quanto psicopatologico (non conosco uno più equilibrato di uno schizofrenico catatonico, o Narciso).

“Porto-portare” è la doppietta linguistica dell‟ideologia anzi Teoria istintiva, psico-fisico- biologica, di Dante, con il quale un Dio creatore non banale potrebbe solo essere in disaccordo: Dante infatti getta l‟intera esperienza anche divina nella piattezza della banalità, quando assegna istinti a tutto e tutti Dio compreso, dunque un animale superiore (con il premio di consolazione di promuoverlo poi come “infinito” rispetto al finito creaturale), anche nell‟amore (Par. I, 103-120):

Tutte nature… … si muovono a diversi porti per lo gran mar dell‟essere, e ciascuna con istinto a lei dato che la porti. Né pur le creature che son fore d‟intelligenza, quest‟arco [l‟istinto, ndr] saetta, ma quelle c‟hanno intelletto et amore.

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Martedi 1 maggio 2007

1° MAGGIO, FESTA DI QUALE LAVORO?

Basta leggere gli articoli economici dei giornali per sapere che i lavoratori di tutto il mondo non solo non ce la stanno facendo, ma stanno perdendo il terreno conquistato fino a qualche decennio fa (ora sorvolo sul declino dei sindacati e sulle polemiche quanto all‟opportunità di celebrare ancora il 1° Maggio).

Promosso dalla 2° Internazionale, il primo 1° Maggio come festa del lavoro è stato celebrato in numerosi paesi fino a oggi a partire dal 1890.

Più o meno in quegli anni andava formandosi ad opera di Freud la scoperta - dico proprio “scoperta” - di un altro lavoro: il lavoro di pensiero, e del pensiero come lavoro produttivo oltre il marxiano “lavoro socialmente necessario”.

Questa scoperta avrebbe potuto-dovuto essere più rivoluzionaria della rivoluzione scientifica culminata in Newton (invece niente), trattandosi della scoperta di un lavoro senza il biblico “sudore della fronte” - il “sogno” stesso è un esempio di tale lavoro nel sonno ossia senza fatica alcuna -, eppure come lavoro produttivo (di conclusioni o soddisfazioni della specie “Eureka!”).

Un autore comunista russo degli anni ‟20, M. Rejsner, chiamava l‟inconscio (il cui concetto fa parte del medesimo concetto di lavoro) “un lusso”, non quello dei lavoratori del 1° Maggio.

Eppure la gran parte dell‟umanità continua a non riconoscere il lavoro del suo pensiero senza sudore, e con ciò si danneggia con le sue stesse mani.

Freud si è spinto a definirlo come Kulturarbeit ossia lavoro di Civiltà, una Civiltà che ancora non conosciamo.

Abbrevio rammentando che il 1° Maggio si fanno comizî: ma è “comizio” - comitium da comes o compagno o partner - anche il pensiero quando è lavoro a due posti per due o infiniti partner (è la definizione del “Pensiero di natura”).

Abbrevio maggiormente: come applicazione, un‟analisi è un comizio di due comites, su pubblica piazza anche se tra quattro segretissime mura, non un cic-ciac intimo tra psicologo e paziente, né confessionale senza grate.

Nel caso del confessionale, preferisco la grata: questa infatti è simbolo dell‟Universo perché essa evita il cic-ciac spirituale, l‟a-tu-per-tu visivo- visionario-innamorato, l‟ignobile “contatto umano” come prostituzione senza sesso: essa conta sulle parole anzi sulle frasi (il linguaggio è frase) che come tali sono atti, benefici o contundenti come tutti gli atti.

Un‟analisi è agorafilica, non agorafobica né claustrofilica.

Un‟analisi volge alla sua conclusione quanto l‟analizzando realizza la pubblica piazza (non Campiello).

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L‟analista a sua volta è tale quando anch‟egli, in anticipo sull‟analizzando, realizza la pubblica piazza, fino a parlare in seduta come se lo ascoltassero tutti (salvo sua vergogna, che deriva dal pubblico della piazza): se ciò che l‟analista dice non riguarda tutti, non riguarda neppure il suo “paziente”.

Rispetto alla libertà del lusso-pensiero di Freud, Marx è lo scopritore della libertà astratta e coatta moderna, quella dell‟“individuo umano astratto” risultante dalla rivoluzione giuridica dell‟abolizione della servitù della gleba, fatta per passare all‟astratta libertà contrattuale di vendere sul libero mercato la propria forza lavoro.

Queste sono anche premesse per capire che cosa significa, e se significa, la parola “sinistra”.

Marx non era “di sinistra”.

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Mercoledi 2 maggio 2007

DIO PARLA ITALIANO

[L‟intelligenza di questo articolo presuppone quello precedente di lunedì 30 aprile, “Creazione intelligente, o l‟ipodotato divino”.]

Dicendo che parla italiano non nego che è anche poliglotta anzi onniglotta, nonché af-fabile in ambedue le direzioni (senza puzza al naso): non gli si addice l‟ineffabilità, salvo che non esista, ma questo è un problema suo non mio: la mia relazione preliminare con lui è tutta nella frase “Se ci sei batti un colpo”, che significa fargli posto, cioè non sono religioso (e non ho la disonesta soluzione della scommessa di Pascal) bensì aperto a ogni esistenza compresa la sua specialmente se mi porta profitto:

dico però che anzitutto parla italiano: perché?

Ho raggiunto questa logi-comica certezza per il fatto che il suo Comandamento primario (vedi articolo precedente) trova la sua migliore formulazione linguistica proprio in un noto idiotismo italiano la cui brillantezza non mi consta in altre lingue: “Tirare a campare”.

Potrei procedere allo stesso modo con l‟esortativo “Arrangiatevi!”, verbo che significa prendere rango, posto, anzi fare il posto, abitare non in affitto, ossia una civiltà con moralità: in proposito è stato detto che “il figlio dell‟uomo non ha dove posare il capo”, ma non è un detto deprimente: significa che gli tocca l‟iniziativa del procurarselo.

Dovrebbe attirare attenzione e sospetto proprio il disprezzo con cui viene intesa e pronunciata una frase tanto complessa e colta come “tirare a campare”.

Infatti: 1° “campare” significa prendere campo, posto, abitato, 2° “tirare” designa un‟azione compiuta da davanti, un motore a trazione anteriore: si distingue tanto da causa (da dietro) quanto da attrazione o attrattiva (da davanti) che non è un‟azione ma una passione (passiva): ossia le due opposte versioni dell‟oscurantismo e occultismo dell‟“istinto” (come sempre basso e alto).

Il verbo “tirare” traduce Trieb freudiano meglio di pulsione (spinta da dietro), e J. Lacan proponeva di tradurre con haler cioè appunto tirare: si tratta di produzione, ossia azione, della propria attrazione, cosa perfettamente nota nella relazione domanda-offerta, ambedue azioni. (Se scrivessi in lingua tedesca, ne verrebbe un articolo storico-linguistico sui destini linguistici dei verbi treiben e ziehen: per es. si dice “sich treiben lassen” cioè lasciarsi o farsi trasportare; inoltre treiben significa anche trafficare, commerciare).

Ma qui conviene fare ancora e più attenzione, perché si apre la “forbice” tra distinte e confliggenti Civiltà: da un lato c‟è l‟arrembaggio piratesco, in cui ci si fa tirare dal grappino lanciato (ma l‟immagine è comunque istruttiva), dall‟altro c‟è la precostituzione di un posto davanti a noi, tale che un altro ci tirerà per il fatto di occuparlo fruttuosamente per un affare condiviso.

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Il Comandamento dei comandamenti chiama alla “pulsione” freudiana come trazione provocata: potremmo dire “fatevi le pulsioni vostre” come si dice “fatevi i fatti vostri”, o “gli affari vostri”.

Così finiscono le sabbie mobili morali di: egoismo/altruismo, interesse/disinteresse, passione/spassionatezza.

Quanto al “tirare” sessuale, continuiamo a stare nel Medioevo moderno semplice successore del Medioevo precedente.

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Giovedi 3 maggio 2007

GIOVENTU’ D’ORATA

“La gioventù”, da quando esiste come categoria sociologica, non è dorata bensì d‟orata, presa all‟amo, al “ti amo” dell‟amo da pesca.

Viene bene anche in francese: jeunesse dorade anziché dorée (la dorade è l‟orata, e qualsiasi francese apprezzerebbe il gioco di parole).

Non so se avete mai visto un pesce am-ato dall‟amo, in particolare nel momento il cui il pescatore strappa l‟amo dal palato o dall‟esofago: è la più comune esperienza dell‟amore, da grandi e piccini.

L‟individuo tra tutti più inaffidabile è quello che non ha risolto l‟equivoco micidiale tra amo e… amo, l‟equivoco che usa la parola “amore” come parola doc mentre è da sempre fuori controllo.

Chi più chi meno, venire al mondo è essere stati… amati: quasi impossibile non abboccare.

La freccia di Eros prima ferisce, poi si toglie solo strappandola come l‟amo.

C‟è perfino chi teorizza il crimine dei crimini: che amare è (far) soffrire.

In era cristiana si è perfino teorizzato che la prova dell‟amore di Cristo starebbe nella sua sofferenza; teoria poi seguita dal quella dell‟amore di madre come sofferenza: un giorno, indubbiamente nella prossima reincarnazione, riscriverò la Divina Commedia avendo come argomento gli atti, delitti o meriti, dell‟amore.

Quello dell‟amo-Re è il Regno del masochismo sadico. in cui il tradimento non segue ma precede.

E‟ falso che Cristo ha introdotto l‟amore (è l‟amo quello che si introduce con fellonìa): lo ha corretto.

Poi Freud ha fatto distinzione nell‟equivoco.

Da molto tempo si… ama così “la gioventù”: e ciò per tutto il Novecento - organizzazioni giovanili dei partiti e delle chiese, “Giovinezza giovinezza primavera di bellezza!” -, ma già secoli prima: per non dire della gioventù eroica omerica, carne da macello o amori che fanno scoppiare la guerra, anzi che scoppiano in guerra (la grande idiozia sessantottina era lo slogan “Fate l‟amore non fate la guerra”).

Il ‟68 è stato gioventù d‟orata, già pescata dall‟amo di promesse non mantenute dai padri: vero che il ‟68 ha fatto dei buoni numeri, ma poi coloro che ne sono venuti fuori è perché o hanno imparato a pescare a loro volta, o perché si sono vendicati dei loro pescatori.

Si veda anche ciò che ho appena scritto ieri 2 maggio (“Dio parla italiano”) sul grappino d‟arrembaggio nella sua analogia con l‟amo: infatti nella pesca amorosa ci si fa tirare dall‟amato arrembato (o “oggetto”).

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La nostra Civiltà non può farcela, né può volerlo: vero che ha saputo più o meno riconoscere lo sfruttamento del lavoro (ma non la sua umiliazione), e la miseria indotta dalla Civiltà stessa (ma non la miseria intellettuale), ma non sa riconoscere che la gioventù d‟orata sta allo stesso livello.

Lavoro-ricchezza-amore sono solidali e covarianti: essi sono della medesima stoffa, o pasta, o materia, o sostanza (a scelta): i millenni sono colpevoli di avere negato all‟amore tale identità di stoffa (o materia eccetera), consegnandolo allo “spirito”, o al “sentimento”, o a San Remo.

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Venerdi 4 maggio 2007

AFFIDABILITA’, FEDE, PSICOANALISI

Mi ci sono voluti anni per venire a capo della parola “affidabilità”, e prima ancora per scoprirla.

Ometto molti passaggi, che sarebbero una sorta di autobiografia logica, per arrivare subito alla sua definizione, raggiunta per conoscenza (osservazione) e giudizio sul conosciuto.

L‟affidabilità è il giudizio raggiunto per unione di due giudizi: di consistenza, o non contraddizione, di innocenza, che è anche un giudizio predittivo (non solo non ha nuociuto, ma non nuocerà).

A questi due giudizi primari se ne aggiungono altri: di non ingenuità, di non banalità, …

So che molti mi obietterebbero che un tale giudizio di affidabilità è impossibile.

Osservo che ne parlo come conoscenza e giudizio, ossia che non la presuppongo (nei genitori, nei maestri, negli amici, nei politici, nei logici …, neppure in Dio).

Medesime osservazioni per l‟amore, almeno nel senso che solo l‟affidabile ha titolo per pronunciare questa parola: la prudenza nel farne uso testimonierà a suo favore; è lui il “prossimo” (cioè il più vicino).

Il comportamento economico compone l‟affidabilità.

Ingente la conseguenza per la fede, poco importa che uno dica di averla e un altro di non averla: importa se sa che cosa ha o non ha, un sapere rarissimo.

La conseguenza è la stretta sinonimia di affidabilità e fede: a ognuno di elaborare le conseguenze di questa conseguenza: tra esse, “salta” il bisogno di distinguere tra ragione e fede: quello di affidabilità è un giudizio razionale.

Finalmente la frase “Non c‟è più religione!” diventerebbe una buona notiizia, e la fede una cosa seria: non contraddizione e non nocività rendono credibili asserzioni provvisoriamente non accessibili; mi rifiuto a ogni altro significato della parola “fede”.

Propongo che “psicoanalista” significa affidabile (più precisamente: un caso di affidabilità): negare l‟affidabilità e negare l‟analista è tutt‟uno: in lui consistenza e innocenza sono simultaneamente in ognuno dei corni della sua regola “tecnica”, o meglio norma: norma di non omissione (l‟omissione produce contraddizione e danno), e norma di non sistematizzazione (la sistematizzazione organizza ufficialmente l‟omissione, con produzione di contraddizione e danno).

I giudizi di affidabilità e inaffidabilità sono da Tribunale Freud.

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Sabato 5 maggio 2007

FAMILY: DAY AFTER

Abbrevio dopo secoli di lungaggini patetiche, più che tragiche.

Mi sono già dichiarato contrario allo sdoppiamento della forma giuridica del coniugio (matrimonio / Pacs o Dico) in quanto implicante i sessi (ma sarebbe meglio se li esplicasse).

Ripeto però che per parlare di “famiglia” - parola italiana che include il gruppo “gl” della parola mo”gl”ie che mi ricorda il gorgoglio dell‟annegato: preferisco “sposa” -, bisognerebbe ripartire dal day after della sua storia, che è stata una brutta storia, sulla quale non è più il caso di praticare alcuna pietà apologetica.

La storia della famiglia è patetica, una storia di com-patibilità, di patire insieme.

La storia della famiglia è la storia dell‟amo di famiglia di cui ho scritto ancora recentemente, avente l‟anello anulare come caso particolare di quello di Tolkien: peccato!, perché mi piacciono gli anelli.

Se proprio abbiamo ancora qualche aspirazione anzi ambizione in proposito, possiamo solo ripartire dal day after della famiglia.

Tanto tempo fa noi cristiani abbiamo avuto un‟idea che poteva essere una buona idea, supplementare, quella detta “sacramento”, ma non ne abbiamo fatto gran che: solo una crema religiosa sulla torta civile, anche se poi diciamo il contrario per darci un tono.

In sé era, o poteva essere, un‟idea laica di profitto in una partnership: invece è stata messa a servizio della sopportazione, o della “valle di lacrime” tra uomo e donna cioè della povertà.

Non si tratta di provarci ancora (“Provaci ancora Sam”), cioè di ripetere coattivamente un pensiero rimosso, ma di provarci (non mi illudo, né pro né contro).

Oggi sposo (non “mi” sposo).

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Domenica 6 maggio 2007

DOMENICA 6 maggio 2007 in anno 151 post Freud natum Sigmund Freud è nato proprio il 6 maggio 1856

Lettura di una citazione:

S. Freud Il mio tempo deve ancora venire. Ma per ora è già passato. S. Freud, lettera a Arnold Zweig, 28 gennaio 1934

Freud legislatore

Oggi è il 151° dalla nascita di Freud, non più il 150°.

Lo celebro definendolo nel suo atto principale anzi unico: Freud è legislatore.

Chi avesse dei dubbi sul fatto che Freud si prendeva come “a immagine e somiglianza di Dio”, nonché come legittimo discendente del “Libro”, ora è servito: basta quella citazione e questa definizione.

Cadeva dunque bene la battuta di J. Lacan: “Amici cari, un giorno dovremo dimostrare l‟esistenza di Freud”.

Per riconoscerlo legislatore, è sufficiente costatarne il riordino dell‟esperienza a ogni livello ottenuto grazie al duplice principio di non omissione e non sistematizzazione, dal quale è atteso proprio un ordine: l‟ordine non deriva dal comando che anzi dis-ordina: è riduttivo vedere in questo duplice principio soltanto la regola anzi la norma “tecnica” della psicoanalisi: in questo modo sfugge la tecnica stessa e la si riduce al solito cic-ciac “psicoterapeutico”.

La sistematizzazione - anche quella dei filosofi, dei politici, degli “spirituali” - altro non è che il comando risultante dalla necessità di occultare “onestamente” l‟omissione (che da anni chiamo “la pietra scartata”, compreso il “capello del capo”): cave non il povero canem ma chi si è sistematizzato come onesto, buono, amoroso.

Sistematizzazione significa anche organizzazione: se continuassi farei la storia dei massacri novecenteschi (sanguinari o/e spirituali); sistematizzazione e anarchia colludono, malgrado il loro conflitto storico.

Il disordine - del pensiero, del corpo, della società - risulta dall‟omissione, o dall‟imperativo della censura che censura anche le tracce della censura: in lontani tempi personali dicevo a qualcuno: va tutto bene ma mi sento male.

Con eccesso di concisione ripeto: l‟imperativo disordinante e opprimente è il “superio” come un nome contingente dell‟imperativo del godimento:

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nessun moralista lo riconoscerebbe: è ciò che ne fa un moralista, mentre lui continua a credere di esserlo perché proibisce di godere: è uno dei massimi meriti di J. Lacan l‟avere riconosciuto nel “superio” l‟imperativo “osceno e feroce” dei godimenti forzati, cioè pur sempre una legislazione (non tutte le legislazioni sono di buona famiglia).

Ho sempre rifiutato (con H. Kelsen) la concezione del Diritto come comando, o anche solo “regola” tra persone perbene: una norma non è comando né regola.

Ho avuto interlocutori che si sono detti “d‟accordo” con me, ma riducendo l‟omissione a parzialità: guardarsi, come dal cane, da chi si dice “d‟accordo”: chi asserisce qualcosa, o qualcuno, è partigiano ossia parziale: sono partigiano della mia compagna, e lo sono di Freud senza fare confusione: sono partigiano di chi mi aiuta a non omettere, o censurare.

Il peccato di omissione, e l‟omissione come peccato, è almeno configurato nel Confiteor, come quarto dopo pensiero, parola, azione: io correggo collocandolo come primo e come mandante degli altri tre.

Una legislazione come quella freudiana non c‟è mai stata: il suo tempo “deve ancora venire” come aldilà nell‟aldiqua.

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Lunedi 7 maggio 2007

NEVROSI, DIRITTO, INFERNO: “BUGIARDO!”

Un mio paziente ha detto (rappresentando così ogni altro): a una certa età ormai io ero giudicato così: “Tu sei questo!”

Cento gli esempi di “questo”, che solitamente sono uniti in composizioni di vari “questo”, a loro volta collocate sui versanti isterico o ossessivo della nevrosi (ma c‟è anche composizione di isteria e ossessione).

Un esempio frequente se non costante è il caso in cui “questo” è “Bugiardo!”, mentre si trattava dell‟onesto caso di un bambino che tornato a casa raccontava selettivamente quello che gli piaceva raccontare, senza sottostare al sadico imperativo di “Dire tutto”.

“Bugiardo!” è una vera e propria fattispecie di reato, ma in questo caso è una fattispecie in cui il reo è l‟accusatore di una falsa imputazione.

Ma per giudicare il reato di un tale accusatore occorre un Primo diritto: nessun Tribunale se non il Tribunale Freud potrebbe pronunciarsi su un tale reato; la psicoanalisi è un tale Tribunale, intitolato a Freud; il Corso dello Studium Cartello di quest‟anno, dedicato al Tribunale Freud, vede operare questo anche fuori dell‟analisi, in tutti i tempi, le latitudini e longitudini.

Posta la menzogna del configurare come mentitore l‟innocente, poi può darsi passaggio o peggio conversione della vittima alla perversione: allora la vittima passerà a mentitore in proprio, che non giudicherà più il suo carnefice essendosi alleato con esso: ma avrei dovuto dire inversamente: l‟alleanza con il carnefice è la perversione.

A quel paziente ho replicato (in un solo momento ma non in un solo tempo) che nel suo prendersi per “Questo”, ossia mentitore, si trattava della malefica conclusione di un processo iniquo di 1° grado, e che l‟analisi è il suo ricorso in appello.

Le “Psicoterapie” sono tutte accomunate dal non potere o volere capire la Psicoanalisi come processo di 2° grado.

Come psicoanalista ammetto anche la Cassazione, senza aspettare l‟Ultimo Giudizio.

Se aspettassimo l‟Ultimo Giudizio, il Paradiso sarebbe la perversione, identico all‟Inferno.

Con semplice buon senso Freud si è rifiutato a fantasia paradisiache: voleva risparmiarci l‟Inferno identico al Paradiso, quello della nevrosi convertita alla perversione; rammento l‟adagio di Freud: “La nevrosi è la negativa della perversione”.

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Martedi 8 maggio 2007

PEDOFILIA ALLE PORTE DELLA CITTA’ DEI PAPI

Sulle imputazioni di pedofilia a Rignano Flaminio (Roma) sono del partito innocentista: non aspetto il giudizio della magistratura, e non mi perdo nel garantismo.

La grande stampa si è comportata con ragionevole prudenza, e diffondendo sensati motivi di perplessità e perfino di critica.

Ma ora ricominciamo da capo.

Il reato di pedofilia è diventato cosa da ultimo girone dell‟inferno: anche i peggiori delinquenti in paragone si sentono un po‟ sollevati, e in carcere riservano ai pedofili le pene appunto dell‟inferno.

Chi ha sospettato che qui ci sono dietro i soliti fratelli Karamazov?: fate qualsiasi cosa a chiunque, ma non ai bambini.

Allora io invento un nuovo “fantasma”, il fantasma di Gilles de Rais, (1404-40, “Barbablù”), barone francese quattrocentesco e commilitone di Giovanna d‟Arco, reo confesso di stupro, tortura, omicidio di bambini e adolescenti in numero da ottanta a centoventi (stime al ribasso).

Non dubito che fosse pedo-filo: amava sadicamente i bambini, e senza la copertura dell‟amatoria formazione reattiva di molti uomini, e donne.

Il Processo a Gilles de Rais (“Gilles de Rais e il tramonto del Medioevo”, Einaudi 1998) lo ha riconosciuto colpevole e condannato all‟impiccagione con i suoi complici.

Ma proprio quel processo documenta l‟enorme lacuna dell‟elaborazione morale di era cristiana: che è stata complessa e persino fine (in particolare nella dottrina dei vizi capitali), ma radicalmente inetta a individuare e distinguere, tra i peccati, la fattispecie generale della perversione, e proprio come perversione dell‟amore: pedofilia, sadismo, masochismo, feticismo e not least “amore cortese”, peraltro nella sua correlazione con il feticismo: anche Parsifal e Blanchefleur sono pedofili, e insieme sugli altari dello spiritualismo cioè lo Spirito della perversione (lo Spirito trinitario ha il suo da fare per demarcarsi).

Ebbene, se proprio si deve allora nessuna pietà, nessuna pietà per la perversione dell‟amore, pedofilia pedagogica inclusa: ma allora la pedofilia odierna finisce in coda.

La prima e generale pedofilia produce il trauma infantile, quello in cui il bambino si trova tra l‟incudine dell‟amore solo presupposto negli adulti, brutalità al miele, e il martello dell‟inganno: l‟intelletto infantile non può reggere.

Diceva correttamente Gesù: piuttosto che scandalizzare i bambini suicidatevi (autoimpiccagione con annegamento): i bambini hanno sette vite come i gatti, è solo alla menzogna sull‟amore che non possono resistere.

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Conosco solo disastri amorosi, e il primo abuso di minore è abuso amoroso: è dunque vero che il reato di pedofilia è da ultimo girone.

Anche Dio è un po‟ arrabbiato: se il suo amore è solo presupposto, per definizione o predicato, allora finirebbe pedofilo anche lui (e i preti pedofili sarebbero dei fedeli rigorosi).

Prevedo che un Teologo scriverà un libro intitolato “Teologia della pedofilia”: ma sarebbe solo un‟antologia: in fondo è già scritto.

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Mercoledi 9 maggio 2007

SACRO FETICISMO PEDOFILO

Rincaro sull‟articolo di ieri (che consiglio di leggere o rileggere prima di questo): in fondo lo avevo iniziato quindici anni fa (in “SanVoltaire”, Guaraldi, Rimini 1994, articolo “Santa pornografia” del 4 aprile 1992).

Ne attualizzo due paragrafi in successione:

“[…] ci voleva proprio una Bibbia moderna, persino ecumenizzante, cattolicissima, la celebre Bible de Jérusalem, per farne una grossa. Si tratta della traduzione di Ezechiele 16, 7: là dove le edizioni in maggioranza traducono letteralmente, in particolare la cosiddetta “Clementina” del Concilio di Trento - “pilus tuus germinavit” cioè germogliarono i tuoi peli -, in quella si traduce “la tua capigliatura (chevelure) divenne abbondante”. Incredibile!, le vie della perversione sembrano infinite, ecco perché fanno concorrenza all‟Onnipotente.

“Di che si tratta? Del passo in cui Yahvè parla del popolo che ha scelto come di una figlia adottiva, la disconosciuta, corpo insanguinato gettato nel campo, da lui raccolta e riconosciuta perché vivesse, crescesse e diventasse desiderabile nel suo desiderio di Padre per il desiderio di tutto il mondo, un desiderio che subordina a sé una frigida sanguinosa natura che mi ricorda quella che „geme nell‟attesa della rivelazione dei figli‟. Nel passaggio suaccennato, il testo descrive appunto il momento del passaggio puberale.”

La traduzione di quell‟insospettabile biblista non era un lapsus bensì un atto perverso: sapeva, ma non poteva ammettere (“La mia cara bambina!…: capelli come feticcio in-vece dei peli pubici, e infatti il pedofilo sceglie la bambina ossia priva di essi).

La perversione dell‟amore, il delitto dei delitti, è rinnegamento della differenza sessuale.

Oggi siamo agli autos da fè “laici” per pedofili (bella secolarizzazione!): con imputabile disattenzione per la lunga marcia della perversione, per esempio attraverso l‟amor di figlia del biblista: alla fine si brucia il pedofilo odierno nel suo atto banale, stupido, povero, astratto, talora dimostrativo, il sottoproletario e pesce piccolo della perversione come la mandante di lui armer Teufel o povero diavolo della perversione, che poi è solo un nevrotico che per angoscia ha perso il filo dell‟angoscia.

Non sto spostando il rogo dall‟atto fisico all‟atto di pensiero (e di parola, perfino di esegeta): sto spostando il giudizio dal primo al secondo - il giudizio se lo è risparmia il rogo -, estendendolo all‟atto di omissione del pensiero: ossia il peccato dell‟inquisitore del passato o del presente, che faceva o fa pagare il peccato del suo pensiero ad altri: la sua è ignoranza colpevole, non excusat.

L‟ignoranza non è risolta dalla Formazione: esiste Formazione all‟ignoranza (oggi ne trabocchiamo).

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Giovedi 10 maggio 2007

PIO XII, PIO XIII, … NICEA E FREUD

La causa di beatificazione di Pio XII è appena terminata, manca solo la firma papale (la penultima).

Pio XII è stato il Papa della mia infanzia e prima giovinezza, avevo sedici anni quando è morto, nel 1958, e gli sono ancora debitore.

So che molti Ebrei ne parlano con poco favore a dir poco, ma secondo me farebbero meglio a ripensarci, comunque liberi tutti.

Ma capisco le difficoltà nascenti dall‟osservazione di Freud che il Nazismo odiava Ebraismo e Cristianesimo in un sol mazzo (non due mazzi).

E‟ il solo Papa a me noto che abbia tenuto conto della logica a ogni piè sospinto (l‟eventuale presenza di errori non fa obiezione di principio).

Diversi anni fa in un Seminario psicoanalitico ne ho citato un intervento a un Congresso sanitario internazionale nei primi anni „50, in cui prendeva posizione contro la tentazione sadomasochista presente anche in casa cattolica: una tentazione allora presente attraverso la cattiva “questione” se fosse moralmente lecita l‟analgesia: questione dedotta dal paralogismo che se la malattia è volontà divina, allora non è da contrastare.

E‟ da lui che ho preso il gusto per l‟ortodossia (da anni io parlo di “ortodossia del soggetto” anteriore a Chiese e Partiti), per poi farne man bassa logicamente.

Infatti, posto che i dogmi (non mi interessa la Teologia dogmatica) sono proposizioni elementari dotate di significato (il dogmatismo si oppone ai dogmi trattandoli come postulati), ho poi scoperto quello che considero il massimo dogma cattolico: quello del Credo (Nicea, 325) che distingue tra genitus - generato ossia “figlio” come giuridicamente erede - e factus - o creato ossia causalità naturale.

Non che qualcuno si sia accorto della sua portata (mi sto elogiando?): ma è un fatto che così facendo il cristianesimo cattolico introduceva, senza essere capito anzitutto dai suoi, la più ingente novità del pensiero che io conosca nell‟intera storia del pensiero, da Parmenide e perfino Omero a oggi.

Non conosco rivoluzione maggiore: la Storia del cristianesimo è reazionaria rispetto a tale rivoluzione.

Da molti anni sviluppo il pensiero che l‟uomo freudiano è genitus non factus, in particolare che nella sua legge di genitus è privo di istinti ossia non factus con leggi naturali di moto: è meta-naturale ab ovo: alimentazione, sessi, …, anche nella psicopatologia o nel delitto o peccato.

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E‟ notizia recente che alla Clinica ostetrica “Mangiagalli” di Milano i crocefissi sono stati rimossi e sostituiti con quadretti Madonna-bambino, per non urtare la sensibilità delle donne extracomunitarie: penso che Pio XII non sarebbe stato d‟accordo, e che piuttosto avrebbe preferito rinunciare ai crocefissi, magari dopo una lunga battaglia contro i soliti laicisti cattivi assetati di sangue cristiano: sarebbe stato contrario a mammizzare il mondo sia pure in nome della Mamma-Madonna: la peggiore iniquità imposta alle donne è la loro maternizzazione (poi si sono vendicate più di Medea con sofferente implacabile sorriso materno sulle labbra).

Penso che Pio XII non avrebbe scritto “Mater et Magistra”.

Almeno qualcuno dovrebbe ricordare che a più riprese Gesù si è opposto con insopportabile durezza alla propria maternizzazione (poi i secoli sono passati per niente).

Benché obtorto collo mi rendo disponibile a venire fatto Papa (calcolate voi l‟infimissimo valore frazionario di questa probabilità): per questa eventualità ho già pronto un nome: Pio XIII.

Del resto, sono sempre stato un devoto dei “Pii”, da Pio IX in poi.

Amo la cattedra di S. Pietro perché non è una cattedra universitaria.

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Venerdi 11 maggio 2007

DOMANDE EROTICHE, E IL COSMO

Inizio con due domande, sempre rimaste senza risposta, o neppure formulate:

1. l‟atto sessuale serve a qualcosa?, eccezion fatta per la fecondazione, e anche per la prostituzione in cui serve al reddito del(la) professionista: più esigentemente ci si può domandare se sia un atto: J. Lacan lo escludeva;

2. il godimento che in modo contingente gli si correla (spesso raggiunto in autonomia), merita la sua tradizionale analogia con il “sommo bene”?, che, essendo sommo, è un imperativo.

Rammento la mia formula della moralità nella vita sessuale soddisfacente: nulla la comanda (né la natura né Dio bensì, come annotava J. Lacan, solo l‟oscenità del “superio”) e nulla la proibisce: ma allora come si fa?

Limitandomi all‟induzione (seguita da facile deduzione), innumerevoli sono i casi di relazione “clinica” tra pensiero di sommo bene sessuale e impotenza sessuale.

La scoperta freudiana dei sessi, insieme a quella dell‟autonoma vita sessuale nell‟infanzia senza bisogno di educazione sessuale (niente “angioletti”), è che poi la principale aspirazione dell‟umanità sarà quella a disfarsi della differenza sessuale come del massimo fastidio dell‟umanità: aspirazione seguita da tutte le possibili forme del “farla fuori” come ben si esprime la lingua italiana: si va dai modi più “civili” e “morali”, all‟autoerotismo, allo stupro, alla prostituzione talvolta prostituta compresa (Jack lo squartatore), fino ad altre forme ancora.

Prima la forma “spirituale”, nota ma poco indagata, soprattutto nel suo esito di “amor cortese” o perversione teorizzata al di sopra di ogni sospetto.

Poi, in tempi recenti, è venuta alla ribalta la forma pedofila: la faccenda si è progressivamente rivelata sempre più grossa: ciò a partire dalla comune osservazione che a una persona di buon senso, o a un comune nevrotico, non potrebbe neppure venire in mente, neanche quando gioca con i bambini nudi sul “lettone”, li porta in bagno, li lava, li veste, gli mette la supposta.

La pedofilia origina dal dogma malefico dell‟umanità - malefico anzitutto per le donne -, il dogma “Matern-ità”, o “La Madre” distinta dalla donna (eventualmente con figli): è il caso in cui questa astrazione senza referente ha sostituito la donna perché il figlio ha tamponato come feticcio la differenza sessuale: è il caso del figlio come “risarcimento” - ancora Freud - che le pagherà tutte (spesso con convinzione).

Tanto anni fa ho visto un film americano intitolato “Bloody Mama”, in cui la “Mama” è il capo di una banda di gangster composta dai figli: potere assoluto di un‟astrazione (muoiono tutti ammazzati).

Il pedofilo è solo il povero mandatario o esecutore di un mandante:

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non dico “una” mandante solo perché non c‟è più differenza, ossia l‟origine di tutta la storia.

Facile l‟annotazione di sapore freudiano: il pedofilo si sdoppia tra “La Madre” che lo ha “amato” (sadicamente), e un bambino qualsiasi come proprio equivalente (come “angelo” senza sesso, senza peli, vedi articolo precedente).

E‟ questo il “pansessualismo” (generale, non psicoanalitico): fissazione alla differenza in quanto da abolire, e odio paranoico per la persecuzione risultante dall‟insuccesso dell‟abolizione.

Mi espongo a sentenziare che con la pedofilia siamo “alla frutta” della Civiltà, ossia al male- detto “amore” anche e soprattutto tra adulti.

Secondo me la pecca del femminismo con il suo Movimento di Liberazione della Donna sta nel non avere saputo chiarire: liberazione da che?: dall‟astrazione asessuata e inquinante “La Madre” o “Matern-ità”, depersonalizzante e anche economicamente impoverente: ritengo che un economista potrebbe fare la storia economica dell‟apporto della “Matern-ità” alla miseria delle nazioni, nonché individuale.

Non ho bisogno di dimostrarmi contrario al Partito pedofilo olandese, NVD o Partito di “Carità Libertà Diversità”: osservo solo che siamo alla coincidentia oppositorum.

Ultima domanda: perché Gesù non era pedofilo malgrado il suo dichiarato interesse per i bambini?: risposta: grazie alla sua ribadita polemica (tre volte almeno) contro la Matern-ità, che significa il figlio come “cosa” della madre anziché soggetto di diritti (ereditari): il Gesù di P. P. Pasolini nel “Vangelo secondo Matteo” è invece un potenziale pedofilo, figura di adulto che sta lì a zuzzerellare con i bambini; idem il Gesù di Mel Gibson nella sua stupida, e peggio, relazione con la madre; in altri film Gesù è uno schizofrenico, un paranoico, un melanconico, un isterico…

Tutti sanno che viene definito “Salvatore”: dalla pedofilia senz‟altro.

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Sabato-Domenica 12-13 maggio 2007

SABATO DOMENICA 12-13 maggio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Poscritto alla “Questione dell’analisi laica” (male tradotta “dei non medici”) OSF 10

Lo handicap universale

Di questo drammatico e politico testo che consiglio di leggere per intero, una frase parecchi anni fa (1977, “La tolleranza del dolore, Stato Diritto Psicoanalisi”) mi ha guidato, forse aldilà delle sue intenzioni:

“Non sarebbe più economico sorreggere il difetto dall‟esterno piuttosto che riformare dall‟interno? Non so dirlo, ma…” [sottolineature mie].

Nel mio lungo lavoro l‟“esterno” è diventato il Pensiero di natura come pensiero a pieno titolo nella Storia del pensiero, ricapitolativo della psicoanalisi come trattamento individuale o l‟“interno” freudiano: io li ho portati sullo stesso piano (niente sfera o contenitore/contenuto) e alla medesima dimensione (niente grande/piccolo né collettivo/individuale, il Diritto non è il Collettivo).

Nell‟antichità è stata introdotta la “corrispondenza” occultista Microcosmo-Macrocosmo: ma questa corrispondenza brutale (non di “amorosi sensi”) esiste solo nella patologia, ossia quando il mondo è uno schifo: in cui il “piccolo” si rifà, vandalicamente ma sinergicamente, sul “grande”: micro- e macro-cosmo sono complici anche nel terrorismo.

Osservo ciò che tutti sanno, ossia che il terrorismo obbedisce a Ideali (sono gli Ideali che sono terroristici?: io penso di sì): come si vede la Filosofia anche speculativa è sempre molto pratica.

Il Pensiero di natura libera la psicoanalisi, già avversa all‟occultismo (“profondo”), da residue tentazioni.

Sto parlando - da decenni - della prima iniquità della Storia: quella che nel linguaggio giuridico corrente è chiamato pulitamente “persona fisica” distinta dalla “persona giuridica”: ecco lo handicap universale: poi gli handicappati ricevono i “diritti umani”, ma sempre e solo come handicappati: riparlerò del diritti umani come piatto di minestra per i poveri.

Si tratta di distinguere Mondo da Universo: Mondo significa paranoia (“Il mondo che mi circonda”), almeno per le sue dimensioni grande/piccolo: mentre le dimensioni dell‟Universo (non fisico) non sono superiori a quelle della mia scatola cranica.

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Lavoro, con Freud, per l‟uomo senza lo handicap universale del “micro” (microcefalo: i microcefali sono cattivi).

Il pensiero individuale può essere Istituzione non meno delle massime Istituzioni.

Questo handicap è l‟essenza dell‟infantilismo: l‟idea di una “grandezza” superiore alla mia (per esempio quella delle stupide galassie): nemmeno la grandezza di “Dio”: se “Dio” è quello che ritengo di sapere e che mi hanno insegnato, non mi domanda di meglio: allora la pittura barocca ha sbagliato tutto: l‟uomo come l‟inferiore o l‟handicappato di “Dio”, o il suo bambino (ecco il Dio-Mamma-Beatrice).

Noto che la superbia è una conseguenza di questo infantilismo, e che la modestia è conseguenza della sua caduta: se nulla mi è superiore, a nulla e soprattutto nessuno sono superiore.

Non faccio svalutazione ma fine della sopravvalutazione.

Non concedo nulla a un‟astratta idea di universalità, e tantomeno di cosmopolitismo: si tratta del pensiero quando è economico, giuridico, logico.

A “adulto” preferisco “laico”: titolo di Freud (“La questione dell‟analisi laica”, 1926) che va unito al fatto che il bambino è modello insuperabile di laicità, che gli adulti hanno nel meno grave dei casi rimosso, e che nel migliore dei casi potranno riscattare.

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Lunedi 14 maggio 2007

IL CLUB DELLO CHAMPAGNE OVVERO: ORA LABORA

Approfitto di un‟occasione imminente per una sorta di meditazione che è anche una rettifica (ci provo da almeno dieci anni ma con scarso successo).

L‟occasione: domani sera, martedì 15 maggio, a Bologna sarà presentato “Il pensiero di natura” alla sua terza edizione accresciuta: lo presentano Pier Francesco Galli e Alessandro Gamberini, Oratorio S. Filippo Neri, via Manzoni 5, Bologna, ore 21.

Ebbene, ho maturato col tempo che non sono né desidero essere un maestro (già J. Lacan si era scontrato con questo), tantomeno nella tradizionale relazione tra Maestro e Teoria: sono diventato critico della Teoria, da cui faccio discendere la psicopatologia; sostengo che non esiste Teoria freudiana, che lo status di questa è legislativo non teorico, così come il Diritto è legislazione non Teoria (che questa parola resti riservata alle Scienze dette “dure”).

Non ho fatto opera di maestro ma di operaio (al più “mastro” ma non Geppetto), di produttore, benché non del lavoro “socialmente necessario” (Marx): potrei anche dire “redattore” nel significato proprio di questa parola, attore secondo che rielabora un lavoro già fatto da un primo preso come materia prima: è un deuteragonista non un protagonista.

Lo psicoanalista, quando lo è, è redattore, deuteragonista.

Sono i due posti di Soggetto e Altro soggetto come fonti congiunte, colleghe, coniugi, del pensiero di natura come legislazione o diritto positivo per il profitto (come nella parabola dei talenti).

Operaio non specializzato ma generico (da genus), universale: competente in una legislazione valida non perché deve esserlo per tutti, ma perché lo può può, ecco lo shift della libertà (dunque non quella kantiana che “deve”): che segue non precede l‟imputabilità: lo spiritualismo la vuole precedente.

Il pensiero di natura è un atélier, un‟istituzione (disertabile).

Ne faccio discendere l‟“Idea di una Università” (prossimamente).

Il divano dell‟analista non è un letto, tantomeno un “lettino” (formalmente un delirio): è un posto distinto da un altro cui è però correlato, perché le frasi che ne provengono (in virtù della norma analitica) sono aperte all‟intervento progrediente di un altro che è un deuteragonista (ecco l‟“interpretazione” analitica).

Ma nella sua vita lo psicoanalista farebbe bene a essere il più spesso possibile protagonista come lo è l‟analizzando, benché in un tempo successivo a quello del divano: è la posizione da cui è possibile attingere al tesoro, in sé e fuori di sé.

Dio stesso, se esistesse e non anche lui come nevrotico ossessivo, desidererebbe non essere sempre protagonista, vorrebbe l‟alternanza delle posizioni:

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del resto in un corretto concetto di preghiera, ossia quando la domanda sia logicamente well formed e non puro piatire da drogato o tam-tam ossessivo o religioso, Dio è deuteragonista (ascolta la forma della domanda): la preghiera sta nella forma del lavoro, costruire frasi a due posti: così come è a due posti un letto coniugale, ambedue occupabili nella contingenza: ma la maggior parte dei coniugi vivono in un lettino (inevitabilmente si buttano fuori).

Si tratta di un atélier con-divisibile per la sua natura di pensiero di natura, un convent o convention laico anche di persone a migliaia di chilometri di distanza, ossia un legame sociale: non è indispensabile la col-laborazione, al legame sociale basta l‟equi-lavorazione.

Auspico Amici del pensiero di natura, non correligionari né compagni di partito: amico è chi porta acqua al mulino e non deruba il mulino della sua acqua: poste queste due sponde everything goes: non c‟è amicizia che in un Diritto: non ce n`è abbastanza in quello statuale perché questo corrisponde con legittimità all‟espressione “o per amore o per forza”.

Più di dieci anni fa chiamavo il Pensiero di natura “Club dello champagne”: composto di produttori e consumatori di questo senza divisione di classe tra essi.

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Martedi 15 maggio 2007

RIPRENDERO’ LUNEDI’ 21 MAGGIO

Il nuovo testo che sto preparando - “Istituzioni del pensiero” - mi sta dando del filo da torcere, e spero di torcerlo bene (affinché tenga).

Andavano comunque in tale senso più articoli precedenti, in specie quello di ieri 13 maggio “Il Club dello champagne”, quello di sabato-domenica 12 e 13 maggio “Lo handicap universale”, quello di domenica 6 maggio “Freud legislatore”.

A presto.

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Lunedi 21 maggio 2007

VITA PSICHICA COME VITA GIURIDICA

Che “la vita psichica è vita giuridica”, come da tempo asseriamo, è facile da sapere (fin da bambini), non è da capire: che la si deva spiegare è già segno di uno screzio patologico.

Siamo stati abituati male da millenni a pensare in termini di relazione tra le parole e le cose: la relazione che primariamente fa la lingua è quella tra le parole e gli atti.

La lingua esiste a livello delle frasi: le parole sono frasi e le frasi sono atti.

Non esistono frasi neutre (“universitarie”): faccio seguire una lista di getto, non ordinata, rivedibile, completabile, suddivisibile per categorie:

amichevoli, ostili, produttive, distruttive, orientanti, disorientanti, inclusive, esclusive, edificanti, scandalose, censorie, deprimenti, eccitanti, mobilitanti, vocative, istruttive, arricchenti, impoverenti, rimuoventi, neganti, rinneganti, offensive, difensive, omissive, dissolventi, assolventi, dichiarative, testimoniali, inquinanti, predittive, puriificanti (con equivoco eventuale, vedi Kant), moralizzanti (idem), banalizzanti, consumabili, organizzative, pedagogizzanti, istituenti, imperative, normative, impegnative, promissive, approvanti, promuoventi, inibenti, istiganti, condannanti, oranti, piatenti, teorizzanti, idealizzanti, noiose ossia annoianti (come il depresso è deprimente ossia attivo), amorose con equivoco eventuale ossia il più grave dei delitti: “Eros” è il nome mitico per una frase distruttiva del pensiero, con l‟effetto di fare “perdere la testa”.

J. L. Austin è celebre per un libro dal titolo “Come fare cose con parole” (How to do things with words), ma ha trascurato-censurato la domanda più semplice e drammatica: “Come fare azioni con parole” (How to do acts with words).

Una frase altamente patogena, se attecchisce, è: “Tra il dire e il fare…”.

Il primo delitto è linguistico.

Aforisma istantaneo: un amico del pensiero non ha figli malati: l‟amore inizia e prosegue con la cura del dire (quasi inutile aggiungere che non è questione di buone maniere).

Ciò è altrettanto vero per la frase o le poche frasi cui è riconducibile un lungo discorso, anche speculativo: mi riferisco all‟intera storia della filosofia: Platone è mio imputato, non semplicemente uno con cui non sono d‟accordo in dotti Simposi.

La frase che distingue Filosofia da Psicologia, Ragione da Pensiero, interiore da esteriore, alto da basso, ragione da emozione, ragione da istinto, affetto da emozione, …, è imputabile.

Dio stesso è mio imputato, anche quando la mia sanzione è la gratitudine.

È già atto la premeditazione della frase come atto.

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La frase riconosciuta come atto apre l‟universo come universo dell‟imputabilità, o l‟universo giuridico del linguaggio.

In questo il Giudice è l‟iniziale parte lesa (oppure beneficiata), terzo tra le altre due parti, l‟imputato e l‟universo come Giuria.

La Psicoanalisi, e prima ancora il Pensiero di natura come quello che la istituisce, fa del soggetto un‟istituzione giudicante: ripeto: solo chi giudica può perdonare, inversamente la vendetta è lacuna del giudizio.

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Martedi 22 maggio 2007

L’AMORE DEL MULINO

L‟amore lo è del pensiero di un altro. non è una definizione oscura né mistica: il pensiero di un altro è un mulino, che fa la farina.

Inutile sottomettere il pensiero di un altro a test validanti: valore è la farina (valore d‟uso?, di scambio?, ?).

Ozioso discettare sull‟“essere” del mulino: se farina, allora è un mulino. Idem per la natura: si parte dal frutto, o dalla materia prima risultante dal lavoro: la natura non è… ancora (Parmenide non è dei nostri): le galassie non sono, se non un pugno di polvere moltiplicato per la banalità di un numero spropositatamente alto.

Il primo lavoro è di pensiero: la vinificazione inizia dal pensare che da quegli acini si potrà passare non solo alla consumazione ortofrutticola ma alla produzione trascendente la natura.

L‟amore è una norma fatta di tre norme solidali: 1. portare acqua al mulino, 2. non distogliere acqua dal mulino, 3. non distruggere il mulino.

Senza questa triplice norma, la parola “amore” è solo spazio sprecato nel vocabolario.

Sprecato o peggio, ossia l‟Eros greco o innamoramento (con l‟eccezione dell‟Eros di “Amore e Psiche”): Eros è contro-natura perché ne distoglie il pensiero.

Ciò detto, non si distinguono amore e amicizia.

Senza l‟amicizia del mulino, “dagli amici mi guardi Iddio”:, dal che risulta una definizione inedita di “Dio”: sussidio contro l‟errore sull‟amore ossia contro la fonte di tutte le nostre patologie: se Dio non sa cavarsela con le sideranti perfidie dell‟amore, non vale niente in tutta la sua onniscienza e onnipotenza.

Mi adopero affinché esistano Amici del pensiero di natura.

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Mercoledi 23 maggio 2007

“LA MAMMA HA MALE AL MIO STOMACO”

Apprendo da Vera Ferrarini, che mi permette di pubblicarla e commentarla, questa frase di un bambino di cinque anni.

Il quale non ha commesso un lapsus ma formulato un pensiero: il lapsus potrebbe sì prodursi, ma solo molti anni dopo.

Quel bambino dimenticherà, e se gli andrà bene ritroverà questo pensiero da adulto attraverso un‟analisi.

Si tratta di un pensiero cosciente, ma ancora privo della facoltà di difenderlo: il “principio di realtà” è tale facoltà, per il resto il bambino era già perfettamente realista.

Tra poco scriverò dello habeas corpus (niente fretta): intanto osservo che il bambino ha osservato di essere stato privato del corpus (lo stomaco in questo caso), ovviamente nel suo pensiero perché è il pensiero a habere il corpo.

E‟ ancora l‟angoscia come minaccia di perdere un amore che non esiste, “simbiosi”: è “La Madre” a essere in simbiosi col figlio, ma non è la parola giusta: parassitismo, non simbiosi.

Da un lato qualcuno ha pagato i propri debiti sul conto altrui; dall‟altro qualcuno ha prestato il proprio conto ai debiti altrui, per “amore”.

L‟angoscia è dell‟altro, che la fa pagare in nome dell‟“amore”.

E‟ la guerra che da sempre dura ancora, come strage degli innocenti: rettifico: degli ingenui, l‟innocenza non precede, essa segue la fine dell‟ingenuità.

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Giovedi 24 maggio 2007

1977, E L’AMORE

[Ho inviato questo articolo a una Rivista, richiestone di un breve commento sul “77” di cui oggi tanti scrivono a trent‟anni di distanza].

Si fatica a ricostruire “il 77”, anche più del lontano “68”: si è trattato di anni miei in ambo i casi: ma non ci sono anni che non siano stati miei (finirò con una testimonianza).

Tempo fa ho parlato del Sessantotto all‟Università di Urbino: vi ho sostenuto che erano anni dei figli di una promessa: i figli sono andati a riscuotere, nel bene o nel male (ci sono anche promesse mal fatte).

I sessantottini avevano ancora una lingua cioè comune: il 77 non aveva più lingua.

Si è allora passati al detto nefasto “Tra il dire e il fare…”, che nega il dire come il primo dei fare.

Si è così arrivati sia all‟atomizzazione in gruppi difformi ed effimeri detti anche “Movimenti”, sia a quel fare in-vece del dire che è stata la P 38, e senza che ci fosse alcuna Rivoluzione d‟Ottobre in vista: Tex Willer vestito da Lenin, commedia al sangue (“Anni di piombo”): non ho alcuna compassione escusatoria per il terrorismo.

Ma restava almeno una parola, in cui la parola era ancora alla parola benché emersa inattesamente: infatti del 77 ricordano tutti l‟episodio “scandaloso” e “eversivo” dell‟accoglienza collettiva a Luciano Lama, leader storico della CGIL, da parte degli studenti dell‟Università di Roma il 17 febbraio, per mezzo della declamazione collettiva del gioco di parole:

“L‟ama non L‟ama”.

Ecco la parola “amore”, sbucata fuori così.

Il gioco era piccatamente spiritoso benché rumoroso, ma l‟intero establishment di allora non solo comunista non lo ha sopportato, meno della picca di un alabardiere o del proiettile di una P 38.

In questo gioco gli studenti erano ancora dei sessantottini alle prese con promesse andate a vuoto, di cui Lama era assunto come rappresentante.

Era sì un gioco sovversivo, ma non era la sovversione delle armi bensì quella, sia pure in minime ed effimere tracce, del pensiero.

Per una volta il “politico” e il “personale” - una tipica coppia di allora - erano venuti in contatto, ma pericolosamente non pacificamente, con una deflagrazione come da contatto tra materia e antimateria.

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“Amore”: ancora oggi a trent‟anni di distanza sostengo che senza un orto-pensiero sull‟amore, questa parola è la madre di tutti i veleni, anche politici.

Nel 1977 iniziavo ciò che faccio ancora oggi: rifare “nel mio piccolo” lingua e concetti in coniugio elastico e indissolubile: era il mio primo libro, dedicato al diritto ossia alla questione dell‟ordine, dal titolo gaddiano “La tolleranza del dolore. Stato Diritto Psicoanalisi”, per dire che per essere tolleranti bisogna non essere masochisti.

Poscritto

Nell‟articolo summenzionato non ho trovato spazio per l‟annotazione seguente:

In quegli anni il PCI andava cancellando-rinnegando dai suoi monumenti il nome di Marx, nella sua forma di intelligenza: notabene: non esiste “L‟Intelligenza”, come vorrebbe la “Psicologia”, ma forme di intelligenza, alcune delle quali molto de-formate.

Il rinnegamento porta male ben più del malocchio: erano anni in cui il rinnegamento, o perversione, si avviava a diventare la forma generale della Cultura di oggi (su premesse antiche).

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Venerdi 25 maggio 2007

LIBERTA’ SESSUALE, PAUPERISMO, INFERNO

Benché sia raro, può capitare di trovare un gioiello anche nella spazzatura.

Rammento una scena da film fine anni ‟50 o inizio ‟60, di cui non ricordo il titolo ma solo il protagonista, Laurent Terzieff.

Quattro baldi giovinastri romani, pariolini o da quartieri alti, iniziano la loro notte brava su una lussuosa macchina scoperta lanciata sui viali, dove immancabilmente individuano una bella prostituta, davanti alla quale si fermano:

Terzieff si sporge con la domanda: - Sei libera? Risposta: - Sì! Replica: - Viva la libertà! e la macchina riparte sfrecciando.

Osservo che nella battuta sparisce la prostituta (non dico la donna).

Qui lo sceneggiatore ha visto giusto, e io mostrerei questa scena anche nell‟educazione sessuale delle scuole e nell‟istruzione morale delle parrocchie: ecco perché, a conferma di una mia lieta previsione precedente, non mi faranno Papa, e neppure Ministro della Pubblica Istruzione: la mia laicità quasi non ha corso, a fronte dell‟equi-clericalismo di clericalismo e laicismo.

Resto con l‟agostiniano “Ama [condizione] et fac quod vis [libera conseguenza] ”.

Ma la parola “amore” continua a rimanere quella di una lingua sconosciuta, salvo che sia una parola da derubricare da ogni lingua: essa rimane sostenuta solo dal fanatismo dell‟innamoramento (o del sadismo mascherato di sacrificio).

Posta la condizione, nella libera conseguenza mantengo che: nulla la causa e nulla la proibisce: richiamo il mio paragone con lo champagne: pochissimi lo apprezzano, bugie a parte.

Ma continuiamo in ogni tempo, con un fanatismo (associato al precedente) che batte tutti gli altri, a credere che la causi un istinto e che la proibisca una legge morale: accompagnata dalla solita educazione, laica o religiosa, che tappa le falle degli opposti fanatismi (istinto e morale).

Il fanatismo religioso è semplicemente al rimorchio del fanatismo istintuale e “amoroso”, non ha autonomia.

J. Lacan è stato l‟unico a capire che in ambedue i casi si tratta del “Superio”, imperativo “osceno e feroce”, l‟unico che “sforza a godere”:

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Kant è con Sade.

Non deve sfuggire il tocco di ricchezza del film: solo il ricco può liberamente pensare quella battuta: l‟istinto è la Teoria dei poveri, al di sotto di panem et circenses.

Si sa, i ricchi non entreranno nel Regno dei cieli, ma neppure i poveri pauperisti: ma soprattutto, nel più profondo degli Inferni finiranno i Clericali in quanto i Teorici dell‟istinto, della Teoria che fa i poveri.

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Sabato-Domenica 26-27 maggio 2007

SABATO DOMENICA 26-27 maggio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud La questione dell’analisi laica (malamente tradotta “Il problema dell‟analisi condotta da non medici”: la laicità continua a farsi attendere) OSF 10

Essere all’altezza, senza bassezza

Questa opera di Freud designa e colloca lo psicoanalista altrove rispetto al divano, in strada o in piazza, alla forgia o al foro, identico restando nell‟una o nell‟altra posizione.

Ogni anno che passa scopro con sempre maggiore estensione che Freud l‟ha fatta veramente grossa.

I secoli hanno oppresso e oscurato il pensiero in quanto giuridico, o “de natura”, prima con il Diritto naturale, poi con i Diritti umani: c‟era un‟altra strada, sempre evitata (nevroticamente, psicoticamente, perversamente, e soprattutto teoricamente).

Negli anni abbiamo scritto, facendo seguito all‟averla fatta grossa di Freud, due libri: “La questione laica” e “Libertà di Psicologia”.

Salvo eccezioni rare, gli psicoanalisti non sono mai stati all‟altezza di Freud sulla questione: si è cercato di camuffare questo fatto con il dissenso antifreudiano, secondo la supposizione che il dissenziente sarebbe all‟altezza di ciò da cui dissente, il che è falso: non si guarisce dalla nevrosi perché si dissente da essa come dalla gastrite (e ancora!: andiamo pazzi per le nostre patologie organiche!), né si è freudiani-psicoanalisti perché ci si dichiara “d‟accordo” con Freud.

Gli psicoanalisti non sono ancora all‟altezza di Freud: non solo uno per uno, ma nella loro forma associativa, sempre la stessa (l‟Associazione di diritto privato).

Se il concetto di lobby non fosse già stato proposto, potrei proporlo io psicoanalista (che imprudenza!) progredito al pensiero giuridico detto pensiero di natura: infatti ho proposto la lobby o “amicizia” degli “amici del pensiero di natura” (con limitato successo).

Da anni abbiamo inventato-posto l‟“Avvocato della salute”, sulla base dell‟avere individuato che lo psicoanalista già lo è per definizione, e senza essere necessariamente iscritto all‟Albo degli Avvocati, come non dei Medici né degli Psicoterapeuti:

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lo “Psicoterapeuta” non esiste, non più degli asini che volano, dato che questa pseudocategoria da due soldi designa almeno venti pratiche diverse: l‟“Albo degli Psicoterapeuti” è l‟Albo dell‟inesistenza, un cupo prodigio giuridico.

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Lunedi 28 maggio 2007

LO HABEAS CORPUS FREUDIANO

Ho una nuova occasione per tornare su “Il pensiero di natura: dalla psicoanalisi al pensiero giuridico”, perché questo libro (Sic Edizioni) sarà presentato mercoledì 30 maggio alla Libreria Feltrinelli-Duomo di Milano alle ore 18 dall‟Avvocato Giuliano Spazzali e me medesimo.

Avrò anche l‟occasione di presentare tale pensiero come lo sdoppiamento, reso possibile da Freud, di quel nuovo Principio, progredito tra storia medioevale e storia moderna, che è noto con il nome di Habeas corpus, solennemente affermato nello Habeas Corpus Act inglese del 1679, poi nella Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo dell‟Assemblea Generale delle Nazioni Unite del 1948, e passato in tutte le Costituzioni occidentali.

Ho appena parlato di questa nuova formulazione del pensiero di natura al Corso dello Studium Cartello dello scorso sabato 19 maggio, in quanto né “diritto naturale” né “diritti umani”.

Vero, nello Habeas corpus si tratta del principio di inviolabilità personale, di garanzia delle libertà personali del cittadino assicurate costituzionalmente.

Ma Freud si accorgeva, e noi con lui, che per habere corpus ci vuol altro che lo Habeas corpus: il corpo resta ancora “corpo vile” (ricordo l‟espressione “in corpore vili”) se non è il soggetto stesso a farsene il Costituzionalista in relazione all‟universo, con proprio benché mite potere giuridico.

E‟ quello stesso Freud che, grato per l‟accoglienza ricevuta in Inghilterra nel 1938 che lo scampava dall‟annessione dell‟ alla Germania nazista, scriveva (in “L‟uomo Mosè e la religione monoteistica”) che sì, certo, nella libera magnanima Inghilterra era libero di parlare e scrivere (reden und schreiben), ma aggiungeva:

“quasi dicevo: pensare ” (bald hätte ich gesagt: denken), pensare cioè: avere corpo.

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Martedi 29 maggio 2007

LE LACRIME SADICHE DI OPPENHEIMER

Il sadico è chi piange sulla sua vittima, e confessa con quella forma di confessione che Freud ha chiamato “sconfessione”, o perversione.

Dopo le biografie di A. Einstein e di N. Bohr, A. Pais ha pubblicato la biografia di R. Oppenheimer (“Oppenheimer”, Mondadori).

Questi è stato il Direttore del Laboratorio di Los Alamos, da cui sono uscite le due bombe A che il 6 e 9 agosto 1945 hanno distrutto Hiroshima e Nagasaki totalizzando duecentomila cadaveri.

Lo stesso Oppenheimer ha poi avuto il 17 marzo 1946 una conversazione con il Presidente americano Harry Truman, che aveva dato l‟ordine operativo, in cui gli ha “confessato”: “Sento che abbiamo le mani macchiate di sangue”.

Molto spirituale!, e “morale”!

Truman lo ha correttamente detestato con disgusto, con le parole dette al Sottosegretario di Stato: “Non portarmi più quell‟individuo. Dopotutto, lui non ha fatto altro che fabbricare la bomba. Sono io che l‟ho fatta scoppiare!”

P. Odifreddi ha commentato: “Rozza superficialità del politico”, “Tormentata complessità del fisico”: aveva torto: passi il commento su Truman che ha dichiarato la sua responsabilità (non virtù), ma questi ha quasi fatto la diagnosi che ho fatto io: tormentato sì, ma per “tormento” sadico ossia tortura.

Quella di Oppenheimer non era la confessione di un soldato (che non era), né di uno scienziato (che sapeva al millimetro le conseguenze letali della “Bomba”, idem gli altri scienziati del Laboratorio), né di un Capo politico (caso di Truman): era la (s)confessione di un uomo che considerava sue le vittime, cioè (s)confessava che aveva goduto.

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Mercoledi 30 maggio 2007 AMICI

Io non ho amici.

Amici: pericolo! (Amitié: danger!, J. Lacan).

Ho come amici coloro che sono amici di ciò di cui sono amico:

1° portano acqua al mulino,

2° non distolgono acqua dal mulino,

3° non distruggono il mulino.

Il mulino non è casa-bottega, ma questa dipende da quello.

Il mulino non è neppure gruppo.

Il mulino è legame sociale, di ognuno con tutti (non “tra tutti” o insieme), anche nemici.

Non: Meglio soli che male accompagnati, bensì: Con il mulino non c‟è solitudine.

L‟eremita, intendo quello di cui ho parlato in questo Sito, non è solo.

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Giovedi 31 maggio 2007

VILTA’: DEL PENSIERO

La viltà è del pensiero, solo del pensiero.

Essa fa il corpo vile (corpus vile), lo avvilisce in ogni senso.

Anche e anzitutto platonicamente.

Nichilismo corporale: non habeas corpus.

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Venerdi 1 giugno 2007

EROTISMO, PORNOGRAFIA, ECONOMIA

Un sogno: in cui per la prima volta nella vita della persona compare pacificamente la parola “erotismo”, sempre rifiutata dalla sognatrice come equivalente a “pornografia”.

La medesima ha iniziato dal commentare che la pornografia è vietata ai minori: ho subito aggiunto che l‟erotismo lo è anche agli adulti.

Nel lessico conservo la parola “erotico” solo perché non abbiamo di meglio (la lingua fa quel che può), e perché rifiuto di spezzare l‟amore in due porzioni su verticale, alto e basso: l‟amore, se è, è subito meta-fisico, ovviamente terreno (“Dio” se esiste non sta al piano sopra come si è creduto per millenni: e quanto all‟invisibilità, avrà lui i mezzi tecnologici per realizzarla).

La parola non designa né l‟amore platonico, né il Dio-cecchino e terrorista del mito greco (Apuleio a parte).

Designa il corpo che si propone all‟altro affidabile senza obiezioni né pretese, in particolare: senza il delirio di pretese o esigenze o destini naturali o concupiscenze o istinti: si propone per una meta di profitto comune, ossia l‟atto meta-naturale di introdurre nella natura una meta di cui questa costituzionalmente manca.

La metafisica storica ci ha privati di questa meta-fisica.

La mancanza di meta propria della natura, ossia che la definisce, è un caso unico di felice buco in bilancio che potrebbe essere messo all‟incasso differito in forma di mobilitazione libera delle risorse, anzitutto di pensiero:

Solo il Capitalismo lo ha fatto, con il danno risultante solo dall‟essere club esclusivo: ma a Scuola si insegna solo a diventarne funzionari in rigida gerarchia, non a diventare capitalisti (l‟errore del Comunismo).

La pecca dei “preti” di tutti i tempi, latitudini, religioni, è stata quella di rifiutarsi all‟economia, come dire che “Dio” non si sporca le mani con cose tanto terrene.

Figuriamoci con i sessi!

“Satana” è il nome mitico del Nemico dell‟economia politica e dell‟erotismo, nonché del diritto.

Con assoluta mancanza di cervello si disputa ancora di “omo” e “etero” in termini di natura: alla cultura gay va riconosciuto un merito logico, quello di avere portato all‟esplicito l‟implicito omosessuale plurimillenario della teoria dell‟istinto naturale (c‟è bullone, “maschio-femmina”, da ambedue le parti).

Si disputa di relativismo: quale maggior relativismo che un delirio naturalistico?

I sessi sono presenti nel corpo erotico alle condizioni delle coltissime non-pretesa e non- obiezione, condizioni della loro vita e della loro moralità.

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L‟erotismo è rappresentato nel modo migliore dall‟abito da sera insieme alla voce: ricordo Proust: “Appena l‟ho sentita aprire bocca (a un ricevimento aristocratico) avrei preferito che la tenesse chiusa”.

Il corpo è come tale erotico: quando non lo è, è perché c‟è disturbo, anche morale.

Le morali sessuali - antierotiche come tali - restano pornografiche, prostitutive, e sottaciutamente omofile: le morali dovrebbero freudianamente castrarsi, ossia rinunciare a specificarsi come morali sessuali.

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Sabato-Domenica 2-3 giugno 2007

SABATO DOMENICA 2-3 giugno 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Bisogna insegnare la psicoanalisi nell’Universita? OSF 9

Oppure fare l’Università

E‟ un articolo che inizia dall‟intrepidezza della modestia freudiana:

“è chiaro che lo psicoanalista può fare senz‟altro a meno dell‟Università senza perderci nulla”.

Si legga e rilegga questa frase per più giorni consecutivi.

Non essendo Freud anarchico ma uomo di un Ordine ancora inesistente, la frase significa che dando per esistente l‟Università abbiamo venduto la pelle dell‟orso prima di averlo preso:

prima di averlo preso da un millennio cioè dall‟Università medioevale, seguita senza enormi novità da quella moderna:

la Scienza moderna è stata un progresso, l‟Università moderna no (come dire che non sono affatto omologhe).

Seguiamo anche il filo chiaro di J. Lacan l‟oscuro, che qui è perfettamente freudiano:

“Non si tratta di sapere se la psicoanalisi è una scienza, ma che cosa sarebbe una scienza capace di includere la psicoanalisi”.

Si tratta ancora della “pietra scartata” che, o resta scartata, o viene reintrodotta come “pietra angolare”.

Freud ha introdotto una scienza con meta (Ziel), là dove la scienza è definita dalla mancanza di meta nella natura:

quella di Freud è scienza di ciò che accade quando nella natura si introduce un fine.

La cura o tecnica psicoanalitica ne è il caso applicativo, ossia una novità insospettata dal malato e dal medico.

Entro breve riparleremo dell‟“Idea di una Università”.

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Lunedi 4 giugno 2007

AMORE E INTIMITA’: IN INTERIORE FOEMINA

Ricordo ancora quando nasceva, anni ‟70, “L‟intimo” per designare la biancheria personale e altri dettagli sull‟asse femminile.

Il senso di comico è stato immediato (per mia fortuna).

Ho già parlato della distinzione, radicale, tra profumi e deodoranti.

In nostro soccorso è venuta Roberta, in particolare Michelle Hunziker, che Dio la benedica!: graziosa sì, interiore no.

Ricordo inoltre che subito mi è sovvenuto Agostino, con il suo “In interiore homine habitat veritas”:

accettabile, benché con riserva, solo se “interiore” significa pensiero: come tale, se non è rimosso, il pensiero è piazza non bordello, così “intimo”.

Ma che succede se, con facile nonché democratica variazione, il detto diventa “In interiore foemina habitat veritas”?: seguono le peggiori nefandezze:

già Dante individuava in “interiore foemina” il purulento dello spirito, l‟“intimo” della donna; quante madri, sostenute da padri inconsistenti, professano ai figli che la madre è la santa sede della verità? (“dolorosa” come sempre ossia moralmente purulenta).

Siamo ancora qui.

L‟intimità uccide l‟amore, poi i sessi.

Anche un fico è esteriore (come tutto quanto).

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Martedi 5 giugno 2007

L’ORDINE DI UN ALTRO

L‟esperienza normale - intendo salutare: la statistica ci vuole male, malati - è quella in cui ci si iscrive nell‟ordine di un altro - con e per vantaggio -, e senza più storie patologiche, mistiche, trascendentali, sull‟“Altro” con la maiuscola.

Da tempo ne porto due esempi (vedi articoli precedenti): quello della lettura avvincente; e quello della domanda rivolta al partner: “Cosa facciamo stasera?”

Questi due esempi non sono minori degli esempi ufficialmente più impegnativi, politici o religiosi: l‟appuntamento mancato con “Dio” non è più grave dell‟appuntamento mancato con l‟amico o amica (amico fino a un minuto prima dell‟appuntamento mancato).

Per entrare nell‟ordine di un altro bisogna saperci fare, perché il suo ordine non è comando: “sia fatta la tua volontà” non significa portare le dita alla visiera, ma domandargli la disponibilità di farmi posto nei suoi progetti, con la conseguenza di modificare anzi rinnovare i suoi progetti.

La domanda con-pone l‟ordine dell‟altro.

La guarigione psichica è uscire dalla patologia dell‟opposizione di principio all‟ordine dell‟altro.

Il “realismo”, parola malamente cara ai filosofi, è conoscere l‟esistenza dell‟altro nel suo ordine: non riguarda la percezione della natura bensì la cognizione del lavoro dell‟altro.

Entro nell‟ordine dell‟altro per profitto condiviso: ecco il “test di realtà”.

L‟insonnia è opposizione di principio all‟ordine dell‟altro: anche stanco morto non cedo a dire “Fa‟ tu”, un “Tu” che nel sonno è universale.

L‟angoscia non prende il vento dell‟ordine dell‟altro, perché lo presuppone non lo con-pone, e in questo senso è teologale: “Lui sì che sa, e può, e vuole, e ama, ossia mi minaccia la privazione del suo amore presupposto” (è “La Madre” plurimillenaria).

La nevrosi (isterica e ossessiva) è disordine rispetto all‟ordine presupposto ossia disordinato di un altro: s-vengo, non vengo.

Il contratto seda angoscia e patologia con l‟egualitarismo dei posti: il contrattualismo non è patologico, ma la patologia è contrattualista.

Ma certo, l‟altro nel cui ordine entrare deve essere affidabile: le condizioni di affidabilità sono oggi sotto massima censura (ne ho già parlato e ne riparlerò).

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Mercoledi 6 giugno 2007

MADONNA

Una recente conversazione con persone al di sopra di ogni sospetto fideistico, ha occasionato questo appunto complesso.

La Madonna, così dicono, piace a tutti, credenti e non credenti, cristiani e musulmani, e aggiungo anche ebrei: ma è meglio pensarci due volte.

Ne connoto la personalità (concetto pubblico) scegliendo tre episodi salienti, tra i peraltro pochissimi, del racconto evangelico assunto semplicemente come racconto:

1° quello iniziale noto come “Annunciazione”: in esso questa giovanissima al massimo dodicenne (all‟epoca non si amava perdere tempo), gode di una duplice facoltà:

a. nell‟ordine deliberativo o volitivo: in una decisione della massima importanza - per sé, per l‟umanità, per l‟Altissimo - decide tutto da sola, senza consultarsi con nessuno (genitori, saggi, autorità diverse, né con il fidanzato-sposo): insomma bella autonomia, aveva corpus senza aspettare lo storico habeas corpus;

b. nell‟ordine intellettivo, o della capacità di intendere oltre la precedente capacità di volere: essa si giudica all‟altezza di intendere che si tratta proprio dell‟Altissimo, non di un‟allucinazione, né di quel cialtrone di Giove che ogni tanto scendeva in terra a dragare ragazze. Come ha fatto? (ora non rispondo, ma lo farei per paragone con Rebecca sontuosamente interpellata come candidata allo sposalizio con Isacco). Senza una tale facoltà sarebbe solo una piccola pia scema di paese, psichicamente soggiogabile a dare l‟utero in affitto a un Giove casto sì ma non meno cialtrone, e inservibile per i posteri (credenti e non credenti). Cose da sbattezzarsi!, e in effetti si sono sbattezzati in molti, e non è escluso che quelli che restano ci stiano pensando (di fede mi intendo, e in giro ne trovo poca, anche nei “migliori”).

2° prendo come secondo episodio quello che narrativamente viene terzo, noto come “Nozze di Cana”. In esso lei, in casa d‟altri, si arbitra di dare ordini alla servitù: salvo interpretare il fatto come rozza arroganza, resta l‟idea che in quella casa era riconosciuta come donna di alto rango (“Madonna”), più del figlio che per il momento restava ancora in ombra.

3° il terzo episodio viene cronologicamente a mezza strada narrativa: è quello in cui il figlio dodicenne ha appena compiuto il suo primo atto pubblico (“Gesù fra i Dottori” ossia l‟esame di Dottorato), e lo ha fatto in piena autonomia (come già la madre in 1°) senza neppure avvertirne i genitori, sparendo dalla loro vista (sottolineo vista). Qui si produce l‟unica pecca di questa donna tentata dalla Madre Ideale, il Serpente dei serpenti: che rimprovera il figlio, con il drammatismo isterico dell‟inquietudine o del recitativo dell‟angoscia, di non averli avvertiti (al plurale perché è presente anche il padre). E allora Gesù replica con una di quelle piazzate mozzafiato in cui era specialista: “Provateci ancora una volta e vi tolgo il saluto!”, papale-papale.

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D‟accordo, poi il testo cerca di salvare capra e cavoli dichiarando che in seguito si è comportato da bravo figliolo. Ma è chiaro che da quel momento non c‟era più “mamma” (e chissà da quanto tempo prima). Non male questo figlio che rimette al suo posto la mamma, per il semplice fatto di ricollocarla come donna (di solito occorre una lunga analisi, quando va bene).

Riprendo dall‟inizio: così rivisitata, la Madonna vi piace ancora?: anzitutto se privata del rappresentare per l‟Umanità la Maternità ideale?, sostituto di una pratica incombenza pro tempore.

Confesso che già nella mia infanzia la Madonna-Madre ideale mi stava sullo stomaco (parlo di stomaco sintomatico), ma non osavo dirlo, anzi neppure pensarlo.

Qui inizierei un lungo capitolo se non libro sulla storia della nevrosi in era cristiana: che è anche una storia di padri imbelli, incapaci di contrastare la divisione donna/madre, iniquità delle iniquità: la fissione donna/madre non è meno deflagrante delle fissione nucleare.

A sua volta il padre imbelle si razionalizza nel Padre Ideale, delirio secondario alla Madre Ideale: il “Padre nostro” non è un tale delirio, anzi offre l‟uscita da esso.

Termino senza un lungo libro, ricordando che la tradizione vuole la Madonna “bella” sì, ma come?: per paragone con la delirante “bellezza” della natura, sole, luna, stelle, ricordate?: “Bella tu sei qual sole, bianca più della luna, e le stelle più belle…” (anche l‟utero è natura).

Ma prendere la natura a modello della bellezza è un segno di angoscia poi patologia, aperta sulla perversione: infatti perché mai, nella natura, un verme sarebbe meno bello di un cigno o di una galassia, e questa più bella di una deiezione?

Bellezza come fecaloma cosmico: Platone, “Simposio”.

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Giovedi 7 giugno 2007

TI RACCOMANDO A DIO

Dal divano ho appena raccolto una fantasia di tempo prima a mio riguardo come psicoanalista:

di giorno svolgevo il mio ufficio, la sera pregavo per i miei pazienti cioè li raccomandavo a Dio (il che ovviamente non ho mai fatto, e la persona cui alludo non ne dubitava malgrado il dubbio).

Ma la fantasia ha interesse (religiosa?, delirante?, o altra possibilità ancora).

In ogni caso, importa sempre il nocciolo di pensiero:

quale?

Il fatto è che - vi meraviglia? - ancora una volta Freud ci ha preceduti.

Tale nocciolo è stato formulato dal robusto e insospettabile miscredente Freud, che dichiarava il suo assenso al detto di un celebre medico cinquecentesco, Ambroise Paré (1510?, 1517?-1590), chirurgo personale di tre re di Francia, un interessante personaggio:

“Je le pansai, Dieu le guérit” (Io l‟ho curato, Dio lo ha guarito), assenso confermato dal commento: “L‟analista dovrebbe accontentarsi di qualcosa di simile”.

Come è logicamente pensabile che Freud abbia detto questo?, tenuto conto che egli non avrebbe mai mandato i suoi pazienti a Lourdes (con lui W. Allen):

e ciò coerentemente con l‟ortodossia cattolica, che riconosce il miracolo in caso di patologia organica, ma non lo riconosce in caso di patologia psichica:

il che significa che non ha alcun senso che il credente più fervido chieda a Dio di miracolare la sua psicopatologia (o pensi di curarla recitando Salmi e Avemarie).

Prossimamente su queste pagine:

a questa domanda dedicherò la prossima omelia sabatodomenicale del 9-10 giugno.

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Venerdi 8 giugno 2007

IL GOVERNO E I ROSARI DEI BRIGATISTI

Fin dall‟antica Roma l‟Italia resta il primo paese al mondo - almeno nel rappresentare al mondo le difficoltà di questo -, specialmente per le sue catastrofi: ma non ho un‟idea necessariamente catastrofica delle castrofi (“catastrofi” matematiche a parte).

Parto dalla vignetta di Ellekappa di Repubblica 7 giugno - in occasione di Governo qui Governo là, Guardia di Finanza, squallori camerali eccetera -, l‟indomani di un imbarazzante indecoroso dibattito parlamentare privo di parlare sia pure polemico, puro qua-qua su ambedue i fronti: essa può servire se presa bene (non melanconicamente cioè tutti contro tutti, guerra civile):

- Un giorno questo polverone che avvolge il Paese si diraderà. - E allora potremo finalmente vedere se esiste ancora il paese.

Un Paese esiste se ne esiste la rappresentanza.

Il freudiano che sono sa che un corpo esiste se ne esiste la rappresentanza (Vorslellungs- repräsentanz), non la rappresentazione: ecco ciò di cui non si vuole sapere da millenni.

Io associo, freudianamente, le due rappresentanze, di comunità e di corpo individuale.

Lenin aveva predetto l‟estinzione dello Stato (“Stato e rivoluzione”), ed è difficile dargli torto.

Il terrorismo BR è puro fideismo mistico nell‟esistenza inestinguibile dello Stato: io lo condannerei, invece che all‟ergastolo, a recitare dieci rosari al giorno.

Dello Stato trovo ragionevole sostenere, nel senso di darle sostegno, l‟esistenza: sono per la “concezione giuridica dello Stato” kelseniana, senza distinzione tra Stato e Diritto: non è lo Stato(-diritto) a sostenere me, sono io che lo sostengo, sapendolo o non sapendolo.

Torno al mio adagio di trenta anni fa: “Il buco tra l‟impotenza e la prepotenza non è mai stato colmato” (“La tolleranza del dolore: Stato, Diritto, Psicoanalisi”).

Poteri forti?, deviati?: ma no!, la domanda è se esistono poteri, ossia qualcuno che può qualcosa, salvo la ripetizione coatta di prepotenze e impotenze già note.

La guerra stessa non è più espressione del “Potere”, ammesso che lo sia mai stata: anziché disquisire ancora di guerra giusta o ingiusta, bisognerebbe parlare di passaggio dalla guerra dell‟impotenza alla guerra della prepotenza.

Quando un individuo si pone queste domande, diventa istituzionalmente pari alle Istituzioni.

E ciò perché diventa capace della massima questione: quella dell‟affidabilità.

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Sabato-Domenica 9-10 giugno 2007

SABATO DOMENICA 9-10 giugno 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Tecnica della psicoanalisi. Consigli al medico, § c OSF 6

Comitato di Salute pubblica

non quello di Robespierre ma di Freud: la psicoanalisi (la tecnica psicoanalitica) è Comitato di Salute pubblica per gente che meriterebbe la ghigliottina (lo diceva già Amleto), ma che proprio grazie alla psicoanalisi non la meriterà più, né continuerà a imporla ad altri, che pure la meriterebbero.

Ho preannunciato questo articolo in quello di giovedì 7 giugno, da rileggere prima di questo, citando l‟enigma di Freud che consentiva con il detto di Ambroise Paré:

“Je le pansai, Dieu le guérit” (Io l‟ho curato, Dio lo ha guarito), oggi con una rettifica, anzi un‟ equivalenza traduttiva:

“Io l‟ho trattato (pansai da panser), Dio lo ha guarito”.

Ho già riferito la battuta di J. Lacan:

“Non voglio che mi si ami: voglio che mi si tratti bene” (Je ne veux pas qu’on m’aime: je veux qu‟ on me traite bien : ecco il vero J. Lacan).

Equivalenza di curare-trattare-salvare-amare : non c‟è amore nella Medicina, anche se essa ci serve come ancilla: nel caso della medicina io Medico dico volentieri “Viva la servitù” (con il che non incremento le mie amicizie tra i Colleghi medici, che si vorrebbero padroni della salute).

Che c‟entra “Dio” con il miscredente Freud?

C‟entra sì, non con il “Dio” dei Greci traditori, ma con il “Dio” - comunque lo si chiami, ma certo non “L‟Essere” - del Libro detto Genesi.

Dividiamo quel detto o frase in due momenti, posti e persone (in essa è già così):

1° “Io l‟ho trattato”. la tecnica o “regola psicoanalitica fondamentale” contiene già le condizioni della guarigione, semplicemente perché le pone: un‟analisi è un rapporto validamente posto, salute già in atto, starà al paziente renderlo effettivo, o efficace. La salute o normalità è:

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non omettere (non aggredire), e non sistematizzare (non generalizzare l‟aggressione), ossia una nuova concezione dell‟ordine: l‟Ordine, se è, è giuridico non sistematico (“Sistema giuridico” è un ossimoro).

Sarò troppo conciso come altre volte: è una regola di consistenza e innocenza.

Ancora più concisamente: insieme, le due fanno l‟affidabilità.

2° “Dio lo ha guarito”. Qui “Dio” è il soggetto stesso “a immagine e somiglianza di Dio”: che guarirà se entrerà motu proprio nell‟Ordine della salute.

Tempo fa ho usato una frase-trappola: “Non creda che io possa guarirLa (o curarLa, o amarLa…)”: il fatto è che La amo curo guarisco solo ponendone le condizioni, in quanto già valide e efficaci per me (Freud vi ha insistito molto).

Ciò è vero anche per “Dio”, quello con cui simpatizzo da sempre: Dio non salva, cura, guarisce, ama, ma pone delle condizioni, in seguito alle quali si potrà simpatizzare con lui (come Giobbe) nell‟amore e nella salute.

Nella psicoanalisi si realizza il detto antico e moderno: “Homo homini Deus”.

Ambrosie Paré metteva ancora del fideismo là dove noi (psicoanalisti) non ne abbiamo più bisogno: e non per rifiuto di credere all‟innocente e non contraddittorio.

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Lunedi 11 giugno 2007

I LAPSUS DEI POLITICI E IL PIU’ ANTICO VELENO POLITICO

E‟ abbastanza frequente che, come tutti, anche personaggi pubblici di ogni specie commettano in pubblico dei lapsus: sappiamo che si correggono frettolosamente per far dimenticare l‟”incidente” (mentre era una vera incidenza politica): accade a volte che, in privato, un intimo glielo faccia notare: se mal non l‟incoglie ci scherzano sopra.

Ma non c‟era niente di privato: “privato” è solo una classificazione ad hoc o di comodo, bidone di rifiuti considerati come neppure riciclabili.

Non ci vorrebbe molto a scrivere un libro che li raccolga (avrebbe più fortuna delle “Formiche”: se troverò il tempo forse lo scriverò io), magari con una seconda parte di narrazione dei sogni di questi personaggi: alcuni, se intervistati, forse si lascerebbero andare, benché io dubiti in anticipo della sincerità dei racconti: ma uno psicoanalista che sappia il fatto suo dovrebbe accorgersene, ossia dovrebbe conoscere la diagnosi differenziale dei finti sogni (nella letteratura o nel cinema non ho mai trovato sogni degni di questo nome).

Non si tratta di “privato”, ma di scoperta del fatto che, in politica, degli uomini anzi dei cittadini non si sa quasi niente, e non si vuole saperlo, a partire da sé stessi.

Sarebbe il primo libro di una nuova era politica, cui il mio Blog è dedicato: ho già scritto che lo considero giornalismo.

Lapsus e sogni segnalano un universo di mete, ragionamenti, giudizi, interessi, contraddizioni non banali, atti come atti mancati o riusciti, che mirano ad avere voce in capitolo (ecco il “desiderio”): che è capitolo di massimi sistemi, non di microeconomie psichiche.

Si tratta anche della scoperta che il “Pubblico” continua a essere costruito come censura, non del privato ma dei massimi sistemi.

Con questo non dico affatto che la politica deve o dovrebbe dare la felicità, anzi una tale idea è il massimo incubo politico: bensì che la politica non ha ancora fatto ciò che dovrebbe fare per essere tale: riconoscere costituzionalmente la competenza psicologica individuale, la libertà di psicologia come e più che la libertà di espressione, di associazione eccetera: con altre parole ancora che, o la competenza psicologica è individuale - come quella del conto in banca -, o non esiste competenza psicologica.

Ufficialmente si ammette che tra le conquiste della Civiltà vi sia che nessuno vorrebbe una Filosofia di Stato o una Religione di Stato: ma c‟è Psicologia di Stato, e come monopolio di Stato, sotto le apparenze del pluralismo disciplinare (come il monopolio delle sigarette con pluralismo di marche):

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: ecco lo “Statalismo”, l‟unico che rimane, parrocchialismo nel “globale”.

Negli anni ho raggiunto la convinzione che “La Psicologia” è il dogma che proprio come dogma fa da unico fattore (nemmeno il Capitalismo) che tiene insieme, fin che dura, il nostro mondo così com‟è.

Si osserva che questo pluralismo di facciata del monopolio ha tendenze e forze egemoni individuabili (magari domani saranno altre).

E‟ la mancanza di libertà costituzionale di psicologia, non il malgoverno, a produrre indifferenza e disaffezione politica, e perfino malgoverno.

E‟ ciò che è mancato fin dall‟alba del pensiero politico: peggio, è non mancato ma proibito, peggio, è censurato il pensiero: Platone è stato il primo autore di questa censura per mezzo dell‟“anima” o “psiche”, parola che, non a caso, compone proprio la parola “psico-logia”, e per questo censura la psicologia surrogandola con un veleno o, in era elettronica, un virus: l‟anima è la censura del pensiero (che ormai pleonasticamente chiamo “di natura”).

Freud è arrivato proprio a questo punto: era il politico nuovo.

Ma di Freud resta un nido di rondinini che pigola sempre più piano.

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Martedi 12 giugno 2007

LE RAGAZZE DI AMSTERDAM

Ho notizia dal divano delle celeberrime ragazze-vetrina di Amsterdam, ragazze pure nella loro più che discintezza: mi faccio l‟idea che siano ben selezionate nell‟essere non solo belle ma brave, capaci di portamento non pornografico benché nude.

La vetrina è tutto, separa due momenti logicamente ben distinti:

1° le “ragazze” (queste virgolette sono motivate) sono oggetti, sì, ma nulla a che vedere con la donna-oggetto di pratiche tutt‟altro che misteriose, perché sono puri oggetti di contemplazione, cioè in excelsis non nella Suburra; e notabene, contemplazione gratuita, ossia questo primo momento non è affatto prostituivo: tra vetri e grate non c‟è differenza di forma ma solo di materia;

2° dopo di che potrà avvenire come secondo momento il solito commercium sexuale, ma con separazione assoluta, ab-soluta, dal primo momento.

Questi “oggetti” o “cose” sono pure incarnazioni di una “cosa” mentale e misteriosa del visitatore: abbiamo qui una buona occasione per cogliere la metafisicità del pensiero, anche quello del più ignorante o rozzo coureur de femmes.

Sovviene che nelle analisi il passaggio più difficile, e raro, è a cogliersi come astrazioni ambulanti, comandate da pensieri dominanti: ignoranti o rozzi anche noi psicoanalisti, che ci siamo limitati a chiamarli “fantasmi”.

In fondo queste ragazze sono delle anime (platoniche, che altro?), nude come ogni anima che si rispetti, raccomandabili per visite guidate di scolaresche e parrocchie.

La tentazione peggiore è all‟occultismo, o al misticismo, e come tentazione di massa.

In fondo, quella scatola di vetro è un Tempio, il Tempio di un pensiero dominante e delirante: quello di “La Donna”, che non esiste: Leopardi se ne intendeva, beffardamente; l‟Ideale della Donna è la forma più antica di terrorismo.

Il primo benché nascosto correlato del sesso dopo il peccato originale è la mistica: l‟idea di istinto sessuale, nella sua inconsistenza, resta incrollabile perché ne fa parte.

Chi l‟avrebbe detto che la ragazza di Amsterdam rappresenta la Virgo Ideale?: mostro inesistente, neppure come Madonna.

Per questo insisto che non esiste donna che in abito da sera: in caso di sospetto che sia un travestito non è indispensabile vedere, basta udire, sentir parlare, intendo il senso non il suono.

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Mercoledi 13 giugno 2007

CAPITALISTA E PSICOANALISTA

Un appunto, sviluppabile a piacere.

Malgrado le loro distanze astronomiche, o submicroscopiche, ambedue questi soggetti sono imprenditori: semplicemente perché si autorizzano da sé.

Che sia imprenditore, è riconosciuto facilmente solo il primo: infatti non c‟è un Albo né un Ordine degli imprenditori, come non c‟è una Facoltà obbligatoria per imprenditori, mentre invece c‟è Facoltà obbligatoria per medici.

Eppure il mondo è dei capitalisti, non dei medici.

La frase “autorizzarsi da sé” riferita agli psicoanalisti - abbastanza consueta in passato, intendo un equivoco passato lacanizzante, ma senza che se ne cogliesse il senso giuridico - oggi è caduta in desuetudine.

Inoltre, non è mai stato fatto l‟accostamento dello psicoanalista al capitalista.

Fosse vero che gli psicoanalisti sappiano fare una loro Confindustria!, non importa se di poche migliaia di persone in tutto il mondo (non di più).

Lo psicoanalista, che non dovrebbe essere maestro di niente, per logica dovrebbe essere esempio semplice di imprenditoria come virtù normale per ognuno (imprenditoria non bricolage).

Resta ancora tutto da fare.

Nulla è perduto fuorché l‟onore.

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Giovedi 14 giugno 2007

SCIOGLILINGUA

Un semita chiamerà sempre antisemita un non semita che racconta una barzelletta antisemita inventata da un semita.

Ci sono poi le barzellette anticattoliche nate in Vaticano: un quotidiano che anni fa ne ha pubblicato un‟intera pagina, si è attirato la protesta ufficiale della Santa sede.

Ma le due specie di storielle sono molto diverse per struttura logica.

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Venerdi 15 giugno 2007

ANZIANITA’ DEL PENSIERO ?

“Anziano” è definito dai parametri di età e condizione sociale e spesso fisica (più dopo che prima): ma c‟è anzianità del pensiero?: che è l‟umorismo nero inapparente della “pace dei sensi”, cimitero fin dai verdi anni; c‟è poi quel “Nirvana” di cui parlerò, idea che non condivido ma che trovo logicamente degna che con essa ci si confronti.

La nostra Cultura anche politica e sindacale è anzianistica, nonché anziana e molto:

auguro sì a tutti una onorevole pensione (ma “lasciate ogni speranza…”), però la nostra Cultura politica e sindacale continua a veicolare un‟idea pensionistica della vita; convengo con la critica del precariato selvaggio, ma anch‟essa veicola l‟idea pensionistica del posto fisso (“dalla culla alla bara”); osservo che nessuno contrasta l‟idea di “vita” come quella che si desume dall‟espressione mortifera “ciclo della vita”; annoto che la melanconia (canzoni napoletane) può essere di giovanissimi, e continuare poi così tutta la vita (ma difendo i Napoletani, meno melanconici di molti altri); arrendiamoci a concludere che è anzianistica la Cultura dei tre tempi di vita tanto della Sfinge quanto di Edipo, i quali coincidono nella vecchiezza del pensiero: la stessa delle ninne-nanne, in cui il bambino è un vecchietto con il biberon; termino la serie rammentando che Dio, quando è rappresentato, lo è come anziano: il Padre come anziano, con Madre come matrona attempata (“età canonica”).

All‟inizio della serie c‟è (con precedenti più remoti) la vecchiezza immanente all‟Ellenismo dominante il pensiero da almeno duemilacinquecento anni: il primo giovane, almeno nell‟era cristiana, è Freud, infine anziano e mortale sì ma con discrezione, con lavoro fino al giorno prima.

Non c‟è né infantilismo né anzianità del pensiero sano, e nemmeno mortalità: la sua pace dei sensi è vita dei sensi, che non devono niente a nessuno perché non sono coatti se non nella patologia.

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Sabato-Domenica 16-17 giugno 2007

SABATO DOMENICA 16-17 giugno 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Rimozione, sconfessione, rigetto (e Teoria) OSF passim

Menzogna e logica

La rispettabilissima Logica è l‟incompetenza istituzionale sulla menzogna.

Il secolare nonché plurimillenario “Paradosso del mentitore”, non fa onore ai Logici né alla storia della Logica: “Io mento” non riferisce una menzogna.

Neppure Aristotele si intendeva di menzogna, che pure è contraddittoria.

Non si addomestica la menzogna: che è paradosso ma doloso (cola il sangue e cola l‟anima).

Il massimo problema è se è possibile non mentire: da parte mia ho già risposto parlando di imputabilità.

Che la nostra vita sia un tessuto di menzogne è un truismo triviale, ma contestatissimo: solo i perversi riconoscono questa verità., sì, ma pervertendo anche questa.

Non c‟è verità che in una imputazione, o anche: non c‟è “La Verità” (come non c‟è “La Donna”), ma solo la verità prodotta in Giudizio.

Si cerchi la menzogna in rimozione, sconfessione, rigetto, e soprattutto nella produzione di Teoria.

Non conosco menzogna maggiore della distinzione della verità in due specie di verità.

Distinzione che fa il paio con la distinzione dell‟amore in due specie di amori, alto e basso come sempre, o la debilità in cielo e in terra.

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Lunedi 18 giugno 2007

LA TRINITA’ DELL’IO

Io sono tre!

Ne ho parlato anzi riparlato l‟altro ieri, sabato 16 giugno, nel Corso dello Studium Cartello, al termine del quale una persona mi ha chiesto di scriverne di nuovo.

Ne prendo occasione da una frase appena raccolta dal divano: “Io sono io!”

Niente affatto, anzi peggio: è una frase patologica, psicotica (Narciso, la più antica cartella clinico-psichiatrica).

Perlomeno, il cristianesimo è arrivato alla trinità, facendo dire a Dio: “Io non sono (d)io, io sono tre!”, ossia almeno Dio non è monoteista.

Non disquisisco qui di identità, o di coincidenza, o di confrontabilità delle due frasi, quella di Dio e la mia.

Quest‟ultima l‟avevo già mostrata appoggiandomi al caso comune della lettura avvincente, come lo può essere quella di un romanzo (ma anche di altre specie di libri, ricordo i tempi di certe mie full-immersions in Kant, Kelsen, “naturalmente” Freud eccetera).

Nella lettura io sono tre:

1° sono Chi!, quello che legge, terza persona pronominale. Ricordo il bambino piccolo che parla di sé in terza persona: non è infantile, lo diventerà solo a patologia iniziata con oblio del Chi!: “es” è Chi! rimosso, che poi torna a casa sua sì, ma sfondando la porta.

2° sono l‟Altro, che nel caso della lettura è il pensiero condensato nel libro. Nella lettura io sono ciò che leggo. Se si tratta di audizione di qualcuno che parla, io sono ciò che ascolto (se davvero ascolto, evenienza rara). Ciò non necessita l‟assenso, e ne do un caso estremo, quello della lettura del “Mein Kampf” di A. Hitler, che non mi ha avvinto anzi quasi subito annoiato (vi ho fatto una relazione qualche anno fa: ma un assenso c‟è sempre anche nel massimo dissenso: è l‟assenso al mio avere finalmente afferrato il di che si tratta, cosa poco comune: chi ha veramente afferrato l‟essenza del Nazismo?)

3° sono quell‟io che procura, a mo‟ di Procuratore legale o Avvocato, le condizioni della lettura: il libro anzitutto, e le circostanze favorevoli alla lettura, oltre a togliere in contraddittorio quelle sfavorevoli: per il resto, come io mi metto poi onestamente a riposo in un ozio virtuoso. meno l‟io agisce, meglio è.

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Tralascio ora di trattare della coscienza (nella sua distinzione dall‟io) come Notaio (ne ho già scritto) che, dopo la sua momentanea funzione notarile ossia pubblica, nel sano fa come il mio gatto mentre leggo, ossia le fusa, che non mi disturbano affatto, anzi.

Questa trinità è il Pensiero di natura: invece della patologia di io-es-superio (e anche: invece della patologia di inconscio-preconscio- conscio), la trinità di Chi!-l‟Altro-io, cioè un pensiero con un solo orientamento: non contraddittorio né conflittuale, non in guerra nemmeno nella guerra, non diviso tra pensiero- “inconscio” e pensiero-“coscienza”.

La guarigione - salute-salvezza - è il passaggio a questa trinità.

Per decenni abbiamo recitato litanie psicologiche - et patatì et patatà -, tra le ultime quella del self: dove avevamo la testa?

La psicoanalisi è riscatto della testa, o la sua redenzione: non c‟è redenzione senza redenzione della testa.

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Martedi 19 giugno 2007

TRINITA’ DELL’IO E PSICOSI

L‟articolo di ieri, “La trinità dell‟io”, fa da precedente a questo.

Ho già fatto osservare che se la storia della Psichiatria almeno fino a E. Kraepelin, ha avuto cospicui meriti descrittivi e nosografici, essa ha però avuto l‟inconsapevole demerito di farci credere, a volgo e inclita, che la psicosi è quella che va dallo psichiatra (questa credenza resta tenace anche in M. Foucault).

Non è così: gli psicotici di psichiatria e manicomio (parola del passato) sono solo, mi si consenta l‟espressione, i “povericristi” della psicosi, che hanno messo il piede in fallo e sono scivolati nel fosso senza più possibilità di risalire, i drop-out della psiche.

Poi, anzi prima, ci sono gli psicotici, che sono quelli di “Io sono io” definiti nell‟articolo precedente: essi abitano, come tutti, strade, piazze, case.

Il sapere psicopatologico precede e supera il sapere psichiatrico.

Non ripeto quanto già elaborato in tanti anni: la psicosi non clinica, la diagnosi differenziale tra psicosi e nevrosi e tra nevrosi, e tra perversioni e psicosi tanto affini tra loro.

Di passaggio: gli Altri che possono occupare il posto dell‟Altro nella mia trinità, possono variare secondo le opportunità, l‟iniziativa, la voglia: ma l‟importante è che essi non sono pre-fissati, ma sono prelevati dall‟universo, non dalla situazione (per esempio famigliare), così che posso aggiungere “senza contare tutti gli Altri”: l‟universalità non abbisogna della globalità, o “tuttità”: i no-global, mancando di questa distinzione, peccano di provinciale se non di casereccio, indiani metropolitani.

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Mercoledi 20 giugno 2007

ISTITUZIONI DEL PENSIERO

Di una lettera, appena inviatami da Maria Gabriella Pediconi, trattengo una parte che è un contributo.

Caro Giacomo,

le scrivo a proposito di Istituzioni del Pensiero, sapendola al lavoro sul Manifesto della nuova rivista intitolata appunto “Istituzioni del Pensiero”: una parola già freudiana, ma ancora mai scritta nella storia del… pensiero. Uomo ovvero istituzione come scrive continuamente nel suo Blog, lei che ha scritto “Una logica chiamata uomo”. Avvincente. Ora: una istituzione chiamata uomo.

Recentemente mi sono imbattuta in una scheda su Marie-Louise Von Franz, nota junghiana. L'autrice della nota, Laura Ottonello, a un certo punto scrive quanto riporto qui di seguito:

“Riflettendo sul significato di istituzione in senso lato, sia essa incarnata nel lavoro, nell‟organizzazione, nella nazione, nel ruolo o altro, l'autrice [Marie-Louise Von Franz] osserva che essa costituisce una variante dell’archetipo della madre divorante [corsivo mio]; l‟uomo che ne è prigioniero resta infantile, legato, in una pericolosa condizione d‟inerzia psicologica. I sogni intervengono a compensare un atteggiamento cosciente troppo unilaterale.”

Trovo che questa posizione della Von Franz rilevi una teoria delle istituzioni molto diffusa nella lingua e nella cultura correnti: anche il concetto di istituzione è stato fagocitato dalla teoria presupposta LaMamma. Niente iniziativa, tutta protezione: istituzione ... coccodrillo! È stato Lacan a rendere efficace la metafora della mamma-coccodrillo con le fauci spalancate.

Qui viene bene un'altra lettura: si tratta dell‟intervento di Augusto Romano, pronunciato recentemente a Torino in occasione della pubblicazione presso Boringhieri degli indici analitici degli scritti di Jung. Lo trovo molto interessante. Parla bene di Jung, ma sempre in paragone, per differenza, con Freud, e le differenze le azzecca tutte: - Freud sta sul padre, Jung anticipa tutto lo spostamento alla teoria della madre oggi in voga; - Freud sta per l'eziopatogenesi, che vuol dire imputabilità, mentre Jung sostituisce l'eziopatogenesi con il ricorso al mito e agli archetipi, che vuol dire teorie presupposte. Complimenti al prof Romano: ha fatto centro! Peccato che lui consideri tali spostamenti come avanzamenti, mentre rappresentano precise regressioni. Il prof. Romano aggiunge anche un breve racconto autobiografico, circa la diffusione del pensiero di Jung in Italia che lo ha visto tra i protagonisti, tanto da vantare il grande successo attuale del pensiero junghiano. Il successo di Jung: il successo delle teorie che è tornato a seguire una volta abbandonato il sentiero freudiano. Ricordo con precisione nel carteggio Freud-Jung le lettere che documentano questo repentino mutamento di direzione, con Freud che resta di sasso. Aggiungerei che si tratta di attualità psicoanalitica […]

Cordialmente. Sua Gabriella

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Giovedi 21 giugno 2007

IMMATURA MATURITA’

Da Vera Ferrarini ricevo notizie, anzitutto di due titoli degli attuali Temi di Maturità:

“Il canto XI del Paradiso di Dante” “I luoghi dell‟anima”

E poi di alcuni commenti ricevuti da Lei per sms:

Uno con la battuta sagace:

“La lingua batte dove il Dante duole”.

Poi un altro commento, tra diversi altri:

“Sai che detesto la vostra polemica contro l‟anima. Ma in questo caso che orrore. L‟anima non ha luoghi, non ha radici, non ha itinerari che non siano palesemente isterici […]. E alla fine ha ragione Contri”.

La questione, per Vera Ferrarini e per me, è se saremo bruciati in nome della Teoria di Dante (non l‟ortodossia della Chiesa), o se saremo beatificati per averne denunciato la radicale eterodossia.

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Venerdi 22 giugno 2007

META SESSUALE E COMICA DRAMMATICA

Il cenno che sto per fare si vuole breve, per fare effetto di contrasto con le illimitate e insospettate conseguenze cui afferirebbe se sviluppato:

vige una Teoria che è un‟istituzione del pensiero - non delle migliori -, diciamo un pilastro: è quella che presuppone in natura una meta sessuale (maschile), ossia un finale orgastico preceduto da tutti i possibili antecedenti remoti e prossimi, comicamente detti “preliminari” (preliminare un bacio?, quale che sia).

E‟ la Teoria di un dovere da assolvere verso la natura: una tassa ancorché reputata gradevole, non a torto ma neppure di regola.

Va osservata, in questa Teoria, la coincidenza di oggetto e meta: è dalla distinzione tra oggetto e meta che ha preso le mosse il Pensiero di natura, una distinzione che restava tutta da fare.

Ne soffrono anche le morali sessuali - che tali sono perché ne soffrono -, dalla più rigorista (pretesca o razionalista) alla più “libertina”: non spendo l‟aggettivo “moralista” perché lo sono ambedue (Kant è con Sade), ossia perverse.

Questa Teoria contamina di sé l‟idea stessa di ricompensa (dopo tante fatiche… preliminari!).

Anche la Teologia ne è stata compromessa, con il delirio di un mistico orgasmo eterno, umano o divino: se ne è accorto nella sua sagacia W. Allen (“Tutto quello che avreste voluto sapere…”).

Vi si associano le più triviali metafore calcistiche: “goal!” con orgasmo da Stadio, comicizzato tanto da Sade quanto da A. Sordi.

Domanda: chi poteva avere interesse a introdurre nel mondo una Teoria perfida che comporta perdita per tutti?

Altro è la Teoria dell‟esistenza naturale del desiderio sessuale, altro è sapere che tutti i desideri sono sessuali, ossia dipendenti dalla differenza dei sessi: ecco perché Freud ha chiamato sessuali le pulsioni, a partire da quella orale cioè dalla legge di moto del mangiare umano, in cui nessuno intravede la presenza della differenza dei sessi.

Ciò lascia libero non coatto il contingente e non naturale desiderio sessuale.

Com‟era poco cortese, e anche poco intelligente, l‟“amore cortese”, che si opponeva alla meta sessuale ma solo per fare di peggio.

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Sabato-Domenica 23-24 giugno 2007

SABATO DOMENICA 23-24 giugno 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud L‟avvenire di un’illusione OSF 10

Un uomo di fede

Io lo sono.

Osservo che duemila anni fa (una datazione non qualsiasi) la parola “fede” ha avuto istantaneamente un moto sussultorio con mutazione di significato.

Lo dico e ripeto da tempo: Gesù non ha fondato una religione quantunque nuova, ma ha posto fine alla religione (sappiamo che non gli ha dato retta nessuno), e alla fede propria della religione.

Ma a sussulto compiuto si è subito cominciato a tornare indietro, e si è ripreso, con un taglio più netto di prima, a scindere fede da affidabilità, che è un giudizio razionale (di consistenza e innocenza: ho già introdotto questa coppia su cui tornerò ancora e ancora): è la contraddittoria e perfino bizzarra nonché confusa storia del cristianesimo.

I Vangeli presentano un uomo che ha ragione: essi sono un seguito incessante di dispute su chi ha torto o ragione, ossia razionali perché per avere torto bisogna prima collocarsi nella ragione, avere ragione: un pazzo non si disputa: “Ditegli sempre di sì”, titolava Eduardo il suo mirabile film su un paranoico, ossia la fede separata dall‟affidabilità (non sono pochi a pensare Gesù come un divino paranoico).

Risultato: un Gesù hollywoodiano che si predica anche nelle parrocchie: schizofrenico, isterico, ossessivo, santone, ebete, insomma inaffidabile ossia non credibile.

In fondo il Profeta Mohammed ha solo fatto il “castigamatti”.

Separata la fede dalla razionalità dell‟affidabilità, si è poi dovuto mendicare Ragione altrove, e per di più da una parte dove era contraddittorio cercarla: infatti in Gesù (come poi in Freud) non c‟è nulla di ellenizzante, e per nascondere la razionalità di questo fatto si è avuto la da-benaggine colpevole di giudicarlo “paradossale” (un esempio per tutti: Ch. Moeller, “Saggezza greca e paradosso cristiano”).

La Modernità però non ha fatto nulla per sanare la scissione con laica salute: l‟ha soltanto secolarizzata, ossia ha cambiato tutto perché tutto restasse come prima: in ciò non trovo un guadagno, ma soltanto un progresso nelle forme della penuria.

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Capisco l‟antipatia dei “preti” - di ogni forma di religione ma anche di laicità - per la psicoanalisi: non perchè questa fa perdere la fede, ma perché ripropone la questione dell‟affidabilità che loro avevano perso e fatto perdere.

Ci voleva proprio uno psicoanalista per riparlare seriamente di fede?, sembra di sì.

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Lunedi 25 giugno 2007

IL SOGNO DELL’ “UOMO SPOSATO”

E‟ il sogno dell‟“uomo sposato”, non celibe, che ho appena udito dal divano: le virgolette sono mie, e fanno parte dell‟interpretazione proposta: non è stato sognato un uomo fattualmente sposato, bensì è stato pensato il concetto di “uomo sposato”, indipendentemente dallo stato civile e anteriormente a questo.

Ho fatto osservare alla sognatrice o meglio narratrice del cosiddetto “sogno”, che questo si contrapponeva al titolo di una delle opere più note di M. Duchamp: La Mariée mise à nu par ses célibataires, seguita da una variante, La Mariée mise à nu par ses célibataires, même.

Maritata con un celibe !?

Parlo dell‟uomo “celibe” ossia se non proprio inesistente, almeno inconsistente: spesso celibe anche se sposato e con figli, “onesto lavoratore, buon padre di famiglia” (si cerchi fra i miei titoli precedenti).

Ecco in che cosa un uomo serve una donna, se la serve e per quel momento in cui la serve: si tratta non di servirla nell‟“amore cortese” - perverso, feticista, alternantemente sadico o masochista -, bensì di difenderla dal fantasma o Teoria di castrazione (nel corpo) e di non castrazione (nel pensiero): in difetto di ciò finirà nell‟alternativa tra il suddetto amore cortese e la brutalità (o più semplicemente stupidità).

Una donna sarà sempre accusatrice spietata dei suoi celibi.

Se esistesse un santo, sarebbe un uomo sposato qua talis.

Molti uomini sposati, ho detto, sono dei celibi a vita, omosessuali: il movimento gay ha ancora campi sterminati da occupare, e con la foga missionaria che lo caratterizza: il movimento gay è nato, con autorevole attestazione storiografica di S. Agostino, prima di quest‟ultimo (l‟ho documentato nel mio “Il pensiero di natura”).

Gesù era indubbiamente un uomo sposato: poi i cretini della storia gli hanno fatto sposare la Maddalena, con tanti bei Gesùbambini.

E‟ ovvio che non sono neppure per le “nozze mistiche”, brrr!

“Complesso edipico” - la grande chance e miniera non sfruttata dei nostri primi anni di vita - , prima della sua distruzione invidiosa significa, rispettivamente, uomo sposato o mariée prima delle nozze fin dall‟infanzia: senza di che le nozze, come da sempre si verifica, saranno disastrose oppure masochisticamente “virtuose”: scegliete voi - spero di no - tra due scelte senza scelta.

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Martedi 26 giugno 2007

IN PACE CON LA COSCIENZA?

Istruiamo noi stessi istruendo un processo contro una frase che nell‟ingenuità senza innocenza abbiamo creduto buona:

“In pace con la propria coscienza” (morale s‟intende).

Quando è con la coscienza che si deve e anzitutto essere in pace, ciò significa dover fare pace o patteggiare con un cane che ringhia - che non solo abbaia ma morde - a protezione della censura, e rende così in-conscio cioè non-sdoganato l‟“inconscio”, che è solo il nome di un sapere esiliato (“pietra scartata”) e non ammesso al rientro.

Ecco l‟imputazione processuale alla coscienza presuntuosa, e delirante, designata da quella frase: è imputazione di menzogna, falsa testimonianza: essa mente sulla pace, perché la vuole come pace con “lei” anziché come pace tout court, che significa pace con i simili, con il corpo, con il cibo, con i libri, con i sessi: e il test della pace è il frutto o benefìcio, il frutto, non la sedazione dell‟angoscia, che si ottiene anche con gli psicofarmaci (ancora abbastanza onesti), con gli stupefacenti, e con la guerra (in guerra dolore e morte sono psicofarmaci dell‟angoscia).

Le esazioni ringhiose della scrupolosa coscienza non amano il frutto, ma solo povertà, sofferenza, masochismo, sopravvivenza, rassegnazione.

Il più scrupoloso dei professionisti è il torturatore.

La coscienza, per non essere un puro nemico, è lei che deve mettersi in pace con il frutto, pace economica: per questa via la coscienza sarà in pace o “in regola” con me, e poi io con lei ma solo a questo punto finale, non iniziale (la violenza è nell‟inversione dei tempi).

Il test che la mia coscienza è in regola, è il paragone che ne ho fatto con il mio gatto: quando leggo, lavoro o altro ancora, fa le fusa, non disturba (al più salta sul letto mentre sono in tenera compagnia), e non dà consigli: io so già che fare, mentre la coscienza che consiglia non ama il sapere: uno dei peggiori interventi clastici della coscienza si ha quando impone la domanda “Che fare?” a chi già sa che fare, o impone una questione di scelta a chi è già in moto.

C‟è quella battuta attribuita a Andreotti in un‟intervista: Domanda: - Come la mette con la Sua coscienza? Risposta: - Non saprei, non la uso mai! Qui l‟umorista è molto benevolo verso Andreotti: ne fa uno psicoanalista. (che ovviamente proprio non è).

Non c‟è nessun rapporto tra amore e coscienza, perché l‟amore comporta il sapere (ciò che l‟amante non perdona è solo l‟ignoranza dell‟amante).

La coscienza, è lei che va messa in pace, quella pace su cui è una vera incosciente, incompetente.

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Mercoledi 27 giugno 2007

UOMINI ABBORRACCIATI

“Uomini abborracciati alla bell‟e meglio”:

è la traduzione che ho dato, negli “Scritti” di J. Lacan, all‟espressione francese “hommes baclés à la six-quatre-deux” che traduceva quella tedesca “flüchtig hingemachte Männer”, dal Caso del Presidente Schreber (“Memorie di un malato di nervi”).

In spagnolo, ubriacone si dice borrachòn (da borraccia), e il mondo è pieno di ubriachi astemi (l‟Esercito della salvezza non salva).

Sono tutte espressioni popolari ma formali: esse denunciano l‟assenza di formalità (Kafka vi ha scritto due racconti almeno) propria dell‟ubriaco, e che lo definisce anche da astemio.

Uomini abborracciati, padri inesistenti e inconsistenti.

Cui corrispondono, non simultaneamente né simmetricamente, donne spiegazzate e furenti, anche se con il sorriso sofferente e il rosario tra le dita.

Si tratta dell‟uomo al ribasso, cui risponde una donna ribassista (è vendetta).

Non abborracciato è l‟uomo che non ha “sé” (cioè non ha “narcisismo”), ossia l‟uomo che si aspetta all‟uscita dal passaggio per un altro, dopo un appuntamento come fonte di profitto.

Non c‟è che appuntamento aut non-appuntamento, anche nei “discorsi” più impegnativi (esempio: nel “dialogo” platonico non c‟è alcun appuntamento): non ci sono altri massimi regimi come si dice “massimi sistemi”: Galileo credeva di avere scritto un “Dialogo sopra i massimi sistemi”: era ancora da scrivere.

E‟ anche stato detto:

chi si cerca si perde, chi si perde si salva.

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Giovedi 28 giugno 2007

ZATTERE, NAVI, PONTI (PLATONICI)

Una volta ho percorso a piedi il ponte di Brooklyn:

ai tempi degli Indiani - Manhattan è stata comprata dagli Indiani -, avrei potuto attraversare l‟East River su canoa anziché sulla platonica zattera o nave (vedi “Fedone”).

Arrivato dall‟altra parte, “aldilà”, ricordo che mi sono voltato indietro: solo per scoprire che mi trovavo allo stesso punto, solo simmetricamente opposto, ossia che era diventato aldilà il punto di partenza.

Idem se invece che a Brooklyn fossi arrivato in “Cielo”.

Da millenni proiettiamo in… Cielo la nostra divisione psichica (o “spirituale”: sono sinonimi).

Zattere, navi, ponti, ascensori, astronavi eccetera, servono solo, quando sono metafore, a mascherare la scissione in noi tra aldilà e aldiqua, tra sopra e sotto:

il “cielo delle stelle fisse”, o il kantiano “coelum stellatum”, è in noi non sopra di noi.

Siamo sempre sulla terra, Messia compreso e in prima fila.

Un merito di Freud, oltre a “Dio”, è di avere collocato la donna sulla terra e mai più altrove, ossia di averla fatta finita con “La Donna” come aldilà (lo odiamo per questo): shakespearianemente, non c‟è nessun verone da salire per arrivare alla bella, né corda necessaria per arrivarci (se non per impiccarsi): rammento gli scherzi liceali su Giulietto e Romea, ossia l‟innamoramento: e anche sulla donna come “nave-scuola”, ossia la prostituta come peccato necessario per arrivare alla purezza di “La Donna” (Teoria morale perversa comune a tutte le morali).

Forse troppo aforisticamente: la rettitudine platonica sostituisce la vagina con il retto (“Simposio”, Alcibiade): è semplice rett-itudine, o la Teoria cloacale esperita da Freud.

Se continuassi, lo farei su una batteria di termini correlati:

conoscenza/sapere, Messia, Cristo, ascensione, Greci, partnership, profitto, salvezza-salute, Dio maligno, patologia, corpo come aldilà o habeas corpus.

A seguire.

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Venerdi 29 giugno 2007

L’ALTEZZA E LA SUPERBIA

L‟universo è una superficie infinita cui solo la superbia, non l‟altezza, pone limiti.

I limiti sono solo patologici: quelli fisici sono solo un suggerimento per inventare qualcosa.

La patologia scava delle fosse e li chiama amore, o fedeltà: sono i manicomi che nessun Basaglia farà chiudere.

La superficie infinita (non lo spazio chiuso, non la sfera) è la condizione dell‟abitare (“etica”).

L‟altezza è quella del pensiero all‟altezza dell‟universo: si sa che la parola “altezza” è impiegata per designare il sovrano, che è un‟istituzione.

La superbia uccide la sovranità, o il pensiero illimitato, o non inibito.

Narciso, nemico dell‟Universo (umano: per quello fisico va… pazzo!), incarna la stupidità (dementia) della superbia.

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Sabato-Domenica 30 giugno-1 luglio 2007

SABATO DOMENICA 30 giugno-1 luglio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di: S. Freud A scelta OSF a scelta

Diventare l’uomo

Invento questo neologismo, condensazione di inventare e diventare.

Non è corretto dire che l‟uomo è stato creato (ripeto per la millesima volta che non sono interessato a vecchie storie teofilosofiche).

L‟uomo è stato inventato, e ciò per ottenere un primo prodotto che fosse “a immagine e somiglianza”, a partire da materiali organici e inorganici come materie prime (sorvoliamo ora sul dispositivo produttivo): un prodotto capace di servire da nuova materia prima per un passo successivo.

Quale passo successivo?

Lo si comprende se si pongono in continuità, anziché volerne la discontinuità, i due miti o racconti detti “Testamenti”: nel primo l‟uomo è stato inventato affinché nel secondo potesse (chi?, ma “Dio” naturalmente!) diventarlo (donde la condensazione “dinventarlo”), per poi restare tale.

Insomma, la continuità dei due miti narra il desiderio “divino”: quello di diventare uomo (“incarnazione”): ma ormai possiamo trattare “divino” come pleonasmo: “desiderio” basta, quello di dinventare l‟uomo.

Altrimenti per quale ineffabile stupidità “divina” sarebbe rimasto uomo? (o sostenere che lo sarebbe rimasto?)

Tutto ciò equivale a dire che per avere pensiero ci vuole corpo: altrimenti panteismo cioè Dio = natura (Spinoza): idea che Maria Delia Contri propone da prima di me.

Dinventare l‟uomo è la soluzione “divina” al nichilismo (già greco).

Ma Freud non ha avuto bisogno di fare questi passaggi per scoprire il corpo come “trans”, aldilà: rammento il nostro libro “Aldilà: il corpo”, cioè la “pulsione” come legge di moto o pensiero o istituzione del pensiero.

Non sono primariamente interessato alla disputa bimillenaria tra ebraismo e cristianesimo: è anche in questo che sono con Freud, in quella sua singolarissima sintesi miscredente tra ebraismo e cristianesimo (che gli viene obiettata da ambedue le parti).

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Presto rincarerò - sempre più difficile! - parlando freudianamente dell‟incomprensibile “transustanziazione”, così bene documentabile nell‟isteria (ma anche e più ancora nella salute).

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Lunedi 2 luglio 2007

INTER NOS SACERDOS…

“Inter nos sacerdos no se ghe badatur”:

vi lascio alla facile traduzione di questa infamia linguistica (nata in Seminario o giù di lì, cento anni fa o giù di lì).

Era un latinorum così iperbolicamente strafalcionesco che neanche il più ignorante degli studenti potrebbe escogitarlo:

dunque la frase è stata coniata da qualcuno che se ne intendeva, che aveva l‟algoritmo della stupidità linguistica spinta.

Ho notizia di questo detto pretesco sia da preti conosciuti confidenzialmente, sia e prima da mio padre nella mia infanzia:

un uomo colto cui sono debitore, in particolare anche del gusto per il latinorum terroristico come questo, e più in generale per le barzellette esponenzialmente stupide, così trascendentemente stupide da far gettare la maschera alla finta stupidità del loro inventore:

che è poi quella di un teatro popolare che non esiste più, come quello di Franco Franchi e Ciccio Ingrassìa tra altri.

Ma in questo caso, la frase che cosa significa?

Il fatto è che significa:

significa “Non è vero niente!”, detto dal prete che l‟ha inventata.

E‟ una delle cento frasi della perversione (Verleugnung, Freud), pronunciata con un sorriso d‟intesa.

Questa frase è Storia.

Viviamo tutti di “Non è vero niente!”, e da secoli che saprei numerare.

La psicoanalisi è nata come replica a questo “Non… !”

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Martedi 3 luglio 2007

RECLAMARE IL CORPO

Una persona che ricevo mi ha proposto una nuova traduzione di “habeas corpus” di cui lei aveva sentito parlare da me:

al momento opportuno ne presenterò l‟identità (non che ora io la nasconda).

La traduzione proposta è:

reclamare il corpo (la faccio mia).

In termini più astratti:

questo reclamare è un diritto che conferisce diritto cioè costituisce rapporto (non oggetto, neppure sessuale).

Poi e solo poi, a volte anzi contingentemente, può darsi il caso di reclamarlo anche sessualmente.

Ma pochissimi uomini sanno reclamare il corpo di una donna, intendo onorarla nel suo corpo:

riparleremo del corpo vile, “in corpore vili” riferito alla donna.

L‟amore cortese credeva di onorarla perché la lasciava… perdere, cioè non la reclamava, ossia metamorfosava il non reclamarla in perversione.

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Mercoledi 4 luglio 2007

PUERI DE GREGE PORCUS o la prigione dello spirito

Non so che cosa saprei fare se fossi imprigionato, o agli arresti domiciliari, e forse pubblicamente disprezzato (ossia un caso diverso da quello di Sofri), magari dopo un assai discutibile iter giudiziario.

Non mi arrogo di sapere rispondere, nemmeno se fossi un santo: in ogni caso se fossi un santo questa situazione non mi piacerebbe affatto, perché se mi piacesse sarei un masochista e dunque non un santo: un santo giudica anche i suoi giudici (non meno giudiziariamente di loro, il che chiamiamo “Tribunale Freud”).

Ma cerco e trovo almeno un principio di orientamento, eccolo:

penso che farei il… porco!

Naturalmente sto giocando sulle parole ma con rigore, riferendomi al più celebre porco della storia, Orazio, che proprio così si autodefiniva:

Epicuri de grege porcus (Epistole, I, 4, 16).

Ma non mi bastano Epicuro, Orazio, i Carmina Burana: e meno ancora mi bastano in condizioni di deprivazione sensoriale, dico dunque con Freud:

Pueri de grege porcus

(con il favore della lingua italiana in cui “porco” è anagramma di “corpo”, e di quella latina in cui “porcus” è anagramma di “corpus”: a Epicuro e Orazio l‟anagramma mancava),

perché la “cute” epicurea non ha esistenza, se non grazie alla rappresentanza che il pensiero ne assume (Repräsentanz, Vorstellungsrepräsentanz): è questa assunzione lo habeas corpus freudiano, come sappiamo anche dall‟isteria, capacissima di deprivare la cute della sensibilità, cioè di imprigionarla dall‟interno (ma almeno resta della competenza personale).

Freud è ripartito da quell‟intellettualissimo porcus che è il bambino, che un giorno passerà alla stazione eretta, come gli animali nella filogenesi.

Ma con una differenza dalle scimmie: il passaggio alla testa in alto non è solo fisico ma crudelmente istituzionale, l‟istituzione alto/basso, con perdita anzi rinuncia (Verzicht) all‟istituzione sana di quando la testa era ancora sulla… terra:

insomma diventa una testa sublime, super-egoica, che fa rinunciare alle pulsioni (Triebverzicht) non anzitutto nel loro contenuto (olfattivo per esempio) ma nella loro forma di leggi per la soddisfazione (chiamiamo “pensiero di natura” tale forma, capacissima di investirsi in nuovi contenuti fino a inventarli).

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Invece sublimazione e superio cambiano la forma, capacissimi restando di mantenere i vecchi contenuti (per esempio stercorari - come nella “Merda d‟artista” di P. Manzoni -, e in generale perversi).

E‟ il passaggio alla distinzione spirituale tra alto e basso, una distinzione che fa dello spirito un losco figuro irresponsabile, che ben si guarda dall‟assumere la rappresentanza della cute, del corpo: non c‟è mai stato un corpo prigione dello spirito: c‟è solo il caso di uno spirito che si fra prigione del corpo, sceriffo brutale: lo spirito “alto” è l‟aguzzino peggiore.

La via di soluzione è quella di “tornare come bambini” cioè al puer porcus-corpus con la sua avanzata facoltà formale di elaborare, restando sulla terra, ogni contenuto nonché mezzo della terrena sensibilità.

Gli eremiti delle origini stavano nel deserto, come i beduini (diciamo così): tra beduino ed eremita non c‟è contraddizione, però c‟è un passo.

Un eremita non ha moglie né figli, il che non gli preclude la paternità e l‟umanità al maschile o al femminile secondo i due versanti della differenza sessuale: noto che non ho detto secondo i due sessi, fissati nella loro “ità”.

Su queste pagine ho valorizzato il posto di eremita: l‟analista è eremita in uno spazio a due posti.

Anche l‟amante.

Freud era e resta fonte di moralità.

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Giovedi 5 luglio 2007

R. E LA PEDOFILIA PIU’ GRAVE

R. è l‟iniziale del nome di una bambina di meno di due anni.

Un giorno il padre ha iniziato la seduta insistendo a parlarmi di R.

Non l‟ho lasciato proseguire, intimandogli:

“Lasciamo in pace R.!”

Ho così impedito che le si mettessero le parole addosso, peggio delle mani:

si tratta di stupro verbale, in cui quasi nessuno saprebbe riconoscere il caso più grave nonché generale di pedofilia:

ecco perché occorreva il “Tribunale Freud”.

In quella seduta parlava un figlio che per tutta la vita si è lasciato mettere le parole addosso (dalla madre nel suo caso), per poi ripetersi automaticamente (Wiederholungszwang) mettendole addosso alla figlia.

Ho concluso la seduta con il commento:

“Da grande R. non saprà mai quanto dovrebbe essermi grata!”

Eccomi padre per l‟ennesima volta (“a babbo vivo”).

Ho perso il conto del numero dei miei figli.

Un giorno chiederò le royalty (ma non coltivo questa illusione):

la prima volta che ho introdotto questa battuta, era per dire che un Freud redivivo potrebbe chiedere le royalty a molti, anzitutto agli psicoanalisti, e anche agli psicoterapeuti.

Gli psicoanalisti sono azionisti dell‟Azienda Freud, e anche gli psicoterapeuti, e perfino gli psicologi, anche quando passati alla concorrenza (spesso sleale).

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Venerdi 6 luglio 2007

PER NON ANDARE IN AMORE

Ebbene sì, capita di spararsi al piede per non andare in amore: un tempo capitava che un soldato si sparasse al piede per non andare in guerra: questo secondo caso è noto e compreso, non lo è il primo anche se è quello più frequente e vistoso.

Dico “amore” solo come nome di un nuovo Ordine che chiamo regime dell‟appuntamento: non innamoramento, che è solo la più tradizionale obiezione all‟amore, o di sparo al piede.

Ho come esempio il caso di una paziente che ha riconosciuto di avere come categorie dello spirito (un Giornale direbbe: come rubriche) ospedali, malattie, anzianità; anche in ipocondria, melanconia, e la serie continua, ci si spara al piede per non andare in amore; nel suicidio nulla di diverso, solo che si cambia il piede con la testa.

Non ho detto “per non andare in sesso”: in tutti questi casi - che insieme fanno il Mondo - il sesso serve solo strumentalmente e cinicamente, come oggetto sì ma contundente a servizio dell‟obiezione di principio che è obiezione all‟amore: per sabotare l‟amore l‟umanità ha sempre diffamato i sessi, del tutto indifferente all‟alternativa - anche negli spiriti pii - tra frenesia sessuale o astinenza, né più né meno che a quella tra testa o croce; se i sessi, calunniati innocenti, potessero si costituirebbero parte civile.

Se fossimo multati ogni volta che diffamiamo linguisticamente i sessi - specialmente se a fin di bene e con accenti morali - lavoreremmo tutto il giorno per pagare le ammende, e il buco in bilancio si risanerebbe più che con la politica fiscale: ovvero, come da sempre dico, sui sessi possiamo solo fare silenzio in capitolo (anche nel capitolo della nostra testa).

La psicoanalisi è un caso di amore, e con trasporto (non la ridicola parola “transfert”).

L‟amore, se è, è ordine giuridico, quello che non può darsi nel diritto che conosciamo (o crediamo di conoscere).

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Sabato-Domenica 7-8 luglio 2007

SABATO DOMENICA 7-8 luglio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di: S. Freud La questione dell’analisi laica (bis) OSF 10

Le Déjeuner sur l’herbe e il diritto

Consiglio ancora questo libretto di Freud: a ottant‟anni di distanza esso rappresenta l‟impensato degli psicoanalisti, forse l‟impensabile: a me è servito a ripensare, non più anzitutto la psicoanalisi ma il diritto stesso, e la psicoanalisi stessa nel rovesciamento.

Nell‟articolo “Per non andare in amore” del 6 luglio u.s. ho rifatto cenno al diritto.

Oggi provo ancora a facilitare l‟intelligenza - ma è proprio qui la resistenza: la patologia è professionistica nel rendere difficile il facile - scegliendo il notissimo “Le déjeuner sur l’herbe” di Édouard Manet (1862-63).

Ma è solo per strafare: avrei potuto scegliere la pittura o fotografia di un qualsiasi pic-nic nella natura (ah la “natura”!), magari con donna nuda come natura anch‟essa, stupidi!: da quando in qua una prostituta nuda è natura, essendo merce cioè cultura?

Come è naturale tutto questo!, e dunque extragiuridico!: lo pensano in tanti anche colti, ecco perché stupidi (la stupidità è culturale, non naturale).

Che cosa fanno i picnicchisti tanto naturalisti?: un atto giuridico anche di maggiore portata di un contratto di compravendita.

Potrei aggiungere al quadro di Manet il sottotitolo “Il diritto”.

Infatti i picnicchisti tanto naturalisti hanno compiuto l‟atto più giuridico tra tutti, avendo fatto ricorso al principio giuridico generale di permesso giuridico, quello per cui è giuridico anche, e anzi anzitutto, tutto ciò che non è giuridicamente proibito, compreso respirare (figuriamoci tutto il resto!)

Ne è dimostrazione il fatto che nessuno potrebbe arbitrarsi di sloggiare quelle persone dal prato demaniale (non proprietà privata) o disturbarle: il diritto se sollecitato (per esempio chiamando la polizia contro gli sloggiatori o disturbatori) interverrebbe, per dovere guiridico, a tutelare il permesso giuridico di cui quelle persone si sono avvalse, quello di possedere uno spazio pubblico benché in modo effimero.

Neppure l‟autorità pubblica potrebbe legittimamente sloggiarli, salvo dichiarati motivi di ordine pubblico.

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Le quattro chiacchiere che due fanno in treno, o all‟angolo della strada, vivono di diritto.

Per non dire delle “quattro chiacchiere” psicoanalitiche!

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Lunedi 9 luglio 2007

INGANNI QUOTIDIANI: DONO, OSPITALITA’

Dal mio divano ho sentito aderire alla Teoria che dono e ospitalità rendono debitori i loro beneficiari.

Niente di più falso:

gli amici che invito a pranzo onorano la mia tavola, la mia casa, la mia persona, come io li onoro invitandoli.

Se l‟onore è ciò che penso io e non la sciocchezza che pensano molti, non siamo astrattamente pari, perché c‟è stato guadagno di ciascuno, cioè non “somma zero” come dicono gli economisti.

Quando mi inviteranno loro, non sarà reciprocità né scambio:

all‟estremo, loro potrebbero essere sempre e solo ospiti a casa mia (o io a casa loro).

Se il donatore mi pensa suo debitore in seguito al dono, lo giudico un ricattatore e ricuso il dono:

se volessi fare lo spiritoso polemico e acido, dopo la cena a casa sua gli pagherei il conto come al ristorante.

In questi inganni, i figli ci cascano sempre:

“Ti ho donato la vita!”:

frase da ergastolo!

Dio, se esistesse, non potrebbe dire una tale frasaccia:

un padre non elargisce doni ma condivide l‟eredità, ossia sulla stessa terra.

Insomma Dio, se esistesse, non farebbe valere il suo essere Dio, e non direbbe come qualsiasi boss:

“Lei non sa chi sono io!”

Se ne infischia di essere Dio, a parte certe prerogative attinenti al suo status:

cioè onnipotenza e onniscienza, i soliti servomeccanismi celestiali, comodi non lo nego, ma anche bau-bau per spaventare i bambini.

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Martedi 10 luglio 2007

ANORESSIA E ISTINTO DI CONSERVAZIONE

Qualche notte fa è morta nel sonno una giovane anoressica (conseguenza del danno biologico prodotto dall‟anoressia).

Pochi giorni prima incontrando una conoscente l‟aveva salutata immediatamente, senza preamboli, dicendo:

“Peso n chili!”:

carta d‟identità fissa ed esclusiva, a muso duro.

L‟anoressia è suicidio au ralenti, omicidio a rovescio come ogni suicidio.

Tende al suicidio, eppure ha dalla sua una scoperta in sé buona e altamente valorizzabile:

che non esiste istinto di conservazione individuale, ossia che non è la natura a comportare di mantenersi in vita.

Ripeto, una scoperta in sé entusiasmante:

quella di avere un corpo che, per avere una legge di gravitazione come gli altri corpi della natura, deve recepirla, o andarsela a cercare, o guadagnarsela, magari in prestito, o in comodato, o in omaggio (non in elemosina), o per consulenza (in ciò l‟amore è consulenziale).

E‟ come per avere un lavoro:

bisogna riceverlo o cercarlo.

Non siamo ancora usciti dal contado della mente:

non abbiamo ancora capito che nasciamo inurbati, non contadini neppure nella medioevale campagna della servitù della gleba.

L‟anoressia gioca male la sua migliore carta.

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Mercoledi 11 luglio 2007

LA FORZA DEL DESTINO

“Destino” è una parola che non mi è mai piaciuta, oggi posso dire perché.

La forza del “destino” è quella di dare un nome a una causalità che non esiste, fingendo una scienza occulta.

Essa disconosce il fallimento, e nega la pensabilità della soddisfazione.

Il fallimento, indesiderabile, ha pur sempre del buono come ne ha il delitto, pure indesiderabile:

nel delitto c‟è premeditazione cioè pensiero, imputabilità ossia la migliore delle buone notizie perché significa che comunque c‟è stato atto, non pura impotenza;

nel fallimento c‟è precedenza dell‟almeno pensabilità della riuscita, non pura impotenza di atto e pensiero (che è atto).

Non c‟è destino in nessuna delle due versioni di esso, da dietro o in basso, da davanti o in alto:

che trovano perfetta sintesi nella nota espressione popolare o triviale “Mi tira!”

Da secoli faccio osservare che non ci sono mete dettate da istinti, semplicemente perché non ci sono istinti (sessuali, di conservazione individuale):

conosco credenti più scandalizzati da questa negazione che da ogni altra.

Per decenza sorvolo sull‟idea pornografica di un‟attrazione dall‟alto.

La soddisfazione, o conclusione discorsiva, o meta del moto, se è è un business:

naturalmente ci sono anche cattivi affari, o affari fallimentari.

Si congiungono soddisfazione, meta, riuscita, logica:

una congiunzione ancora mai riuscita alla… Logica, che resta in fame d‟aria.

Non c‟è “destino” come sinonimo di meta di un moto, se non nel caso di una frase iniziata da uno e conclusa da un altro, e in quanto frase di un‟azione, e un‟azione senza contraddizione ossia come azione possibile, cioè potente non impotente:

logica è anzitutto una frase a due posti, aristotelicamente impensata (è una tale frase l‟“amore”).

Il presente articolo è preceduto da quello del 5 giugno 2007, “L‟ordine di un altro”.

Se applicassi alla psicoanalisi la parola “liberazione”, lo farei per ravvisarvi la possibilità di una liberazione dalla Teoria del destino.

Meraviglia a dir poco che dei cristiani abbiano potuto fissarsi sulla Teoria del destino:

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se io cristiano dovessi concludere - ma non è la mia conclusione - che il cristianesimo fa destino, mi sbattezzerei per la contradizion che nol consente.

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Giovedi 12 luglio 2007

UÌTTENGSTEIN E LETTINO

Che cosa hanno in comune?

“Uìttengstein” si riferisce a un ricordo, quello di una persona (con laurea benché di valore modesto) che, in anni ormai passati, partecipava a dibattiti colti in cui tra gli eroi del pensiero figurava immancabilmente L. Wittengstein (il fatto che oggi non figura più tra i top ten non mi fa dolere lo spirito).

Ebbene, non importa che quella persona non ne avesse alcuna conoscenza di prima mano, ma solo il fatto che in quei dibattiti intervenivano accreditati cultori di quell‟Autore, che pronunciavano correttamente il suo cognome, con la V-W italo-tedesca e non con la U-W italo-inglese.

Ma costui non voleva sapere-udire nulla e continuava, nei suoi sciocchi e ignoranti interventi, a pronunciare “Uìttengstein”:

ci si domanda come fosse possibile questa furibonda resistenza al sapere per semplice udire, al recepire gratis.

Accomuno questa resistenza a quella di chi continua a chiamare “lettino” il divano dello psicoanalista, con resistenza al sapere-vedere:

in cui non c‟è possibile equivoco tra lettino infantile o ospedaliero e divano salottiero, due cose percettivamente concettualmente e praticamente più lontane delle più lontane galassie.

Conosco persone di classe intellettuale che da più di quarant‟anni non hanno cambiato una parola, né un giro di pensiero, né lasciato cadere qualcosa, né fatto posto per qualcosa di non presupposto, neppure una volta.

Censura e rimozione, sistematizzazione e reiezione, sono rimaste intatte vita natural durante.

Da anni parlo dell‟“obiezione di principio”, identica in sapienti e ignoranti.

E io che sono rimasto fedele al biblico “Cieli nuovi e terra nuova!”, fino alla caduta della distinzione tra cielo e terra!

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Venerdi 13 luglio 2007

SABATO DOMENICA 14-15 luglio 2007 in anno 151 post Freud natum

[In clima di rilassamento da vacanze, anticipo a venerdì l‟articolo di sabato-domenica.]

Lettura di: S. Freud Per la storia del movimento psicoanalitico OSF 7

“Non ci siamo!”, a Berlino

Rispondo a un‟eccellente questione di Raffaella Colombo, formulata in occasione di un imminente viaggio di alcuni di noi a Berlino per partecipare al Congresso internazionale dell‟IPA (International Psychoanalytic Association).

Per evitare lungaggini nel ricostruire il contesto della questione, informo solamente che essa riguardava il nostro esserci tenuti fuori da Associazioni psicoanalitiche come la SPI anzitutto (Società Psicoanalitica Italiana), cui pure avremmo avuto non difficile accesso, per invece costituirne una nuova (capace di non finire nello sbandamento giuridico della psicoanalisi mondiale, in opposizione alla posizione di Freud).

En passant segnalo che, nello scritto suggerito sopra, Freud fa il Papa, per poi progressivamente congedarsene.

La storia del Movimento psicoanalitico in questo 2007 è riassumibile nella frase:

“Non ci siamo!”,

cioè restiamo al di qua di Freud e della psicoanalisi in quanto freudiana (era già il giudizio storiografico di J. Lacan).

Dire questo non è obiezione, meno ancora ingiuria, né presunzione o sufficienza, è semplice realismo, e sarebbe irrealista chi scagliasse la prima pietra, anche solo un sassolino.

Non ci siamo quanto al pensiero, e a Freud come il primo amico del pensiero (individuale, che altro?)

Pensiero è ciò che fa reale il reale:

il corpo è morto cioè non più reale quando si è separato dal pensiero, anche pochi secondi dopo (il body, non il corpse o cadavere, è reale);

vita è pensiero, mentre “vita e pensiero” è derealizzante in nome di un realismo volgare.

Il pensiero è lo habeas corpus fondamentale.

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Per “esserci” occorre il senso (intrinseco) del disegno freudiano, quello di una distinzione analoga (generica analogia) a quella tra relatività generalizzata e relatività ristretta, ossia tra il pensiero e questo stesso pensiero resuscitato nella norma o regola fondamentale della psicoanalisi.

Sono psicoanalisti, indipendentemente dall‟appartenenza associativa, tutti coloro: 1° che riconoscono la psicoanalisi come freudiana, 2° che lavorano col divano, 3° che, su quel divano, ci sono stati loro prima dei loro clienti.

Le Associazioni psicoanalitiche non sono Istituzioni (di cui ho la migliore delle opinioni), non ci siamo:

ciò non rende disdicevole né sconsigliabile farne parte con la modestia del “non ci siamo”, in specie quanto all‟uscire dalla privatezza (tanto giuridica quanto come dimensione dello spirito).

Mi avventuro a dire che nessuno più di me desidera che la psicoanalisi, se “generalizzata”, passi a istituzione, il che non è e, temo, mai sarà.

Certo, ci sarebbe bisogno di un‟istituzione a difesa del pensiero come istituzione: cioè un‟Avvocatura di cui il mondo manca, anche solo nella forma povera dell‟avvocato d‟ufficio.

C‟è stato un tempo in cui vagheggiavo, in spe contra spem, che una tale istituzione a difesa del pensiero potesse essere (quella) cristiana, ma i fatti mi contraddicono, e più in tempi recenti che in tempi lontani, in cui la rimozione ha preso subito preso il sopravvento (ma resto, in spe contra spem, con Nicea: “genitus non factus” e “procedit”).

Ammetto senza vergogna che il pensiero di Cristo mi ha fatto sperare.

Nella mia vita odierna non ho altro fare che lavorare, lavorare quotidianamente la lingua cioè la vita quotidiana mia e di tutti.

246

Lunedi 16 luglio 2006

IL MULINO DEL DIAVOLO

“Per le corna del Diavolo!” ho replicato in una recente seduta a qualcuno che pensava di dover portare acqua al mio mulino:

“Perché mai lei dovrebbe portare acqua al mio mulino, o al mulino di Dio, o di Allah, o del Diavolo, o di chi vuole lei, se non fosse il suo stesso mulino?”

I Teologi stessi se non operano con questa domanda non sono persone serie, idem i Filosofi, gli Psicologi eccetera.

Ammetto anzi affermo di avere un‟idea universale di mulino (non “globale”):

si vede che sono comunista!, con variazione sui “mezzi di produzione” come il pensiero stesso.

Il maggiore nemico del pensiero è stato Platone, che gli ha opposto la Teoria:

e siamo sempre a questa opposizione bellica:

e la psicopatologia fu, guerra tra pensiero e Teoria.

Se un Dio esistesse non avrebbe un suo mulino separato, e se così fosse non potrebbe importarmi di meno.

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Martedi 17 luglio 2007

ERRORI SULL’AMORE

Per iniziare:

tra le più stupide idee al mondo c‟è quella per cui il padre amerebbe in modo paterno e la madre in modo materno:

pazienza se fosse solo un‟idea stupida, invece è malefica, o patogena, e con “patogeno” intendo de-moralizzante;

inoltre, la distinzione tra amore paterno e materno è già divorzio (i figli di questa distinzione sono figli di divorziati, e divorzisti anch‟essi fin dalla tenera età).

Tra gli atti peggiori della Psicologia novecentesca c‟è stata la separazione tra Psicologia e Morale, come pure quella tra Psicologia e Filosofia.

Ma questa separazione pesca lontano:

nella separazione (qui importa poco moderare dicendo “distinzione”) tra due amori:

amore umano o basso (Eros, innamoramento così poco… erotico, vedi Romeo e Giulietta) e amore alto o divino.

Questa distinzione è platonica, intendo omosessuale, anzi gay (Platone è il Santo dei gay).

Ma la Psicologia novecentesca ha fatto di peggio, producendo la distinzione tra sfere:

quella delle emozioni e quella dell‟intelligenza, e ci vuole un Tribunale (il “Tribunale Freud”) per giudicarne.

Non conosco una Logica capace di individuare questi errori, che sono errori formali non “emozionali”.

Ma da tempo dico di più:

la parola “amore” va sovvertita, e assunta e riconosciuta semplicemente come il nome designante quella parte della Logica che manca alla Logica per potersi considerare completa, meglio ancora riuscita.

Mi spingo fino a una tesi:

che non ci sono errori dell‟amore ma errori sull‟amore, più ancora:

che tutti gli errori sono errori sull‟amore, e con ciò ho appena proposto una dottrina dell‟errore.

Dell‟amore gli uomini hanno sempre parlato, e anche delle sue catastrofi (a partire dall‟Iliade, parabola della comune esperienza che si comincia facendo l‟amore e si finisce facendo la guerra):

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non si tratta né mai si è trattato di introdurre l‟amore nel mondo, ma di correggere l‟errore su di esso.

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Mercoledi 18 luglio 2007

IL N’Y A PLUS LE CŒUR

E‟ una battuta di J. Lacan che ricordo dal 1974 a Roma.

Proprio approfittando di essere a Roma, la città dei Papi, disse:

“Les prètres disent toujours les mêmes choses : mais il n’y a plus le cœur”, ossia è il cuore che gli manca.

A un occhio e un orecchio avveduti potrebbe apparire curioso che proprio lui, psicoanalista, scegliesse la parola “cuore”, ma lo ha fatto per semplice parlar popolare, il che peraltro faceva spesso se non di regola (malgrado le apparenze).

Per il resto, considerava patologica la separazione intelletto/cuore, come già Freud fin dall‟inizio:

rammento l‟importanza che questi assegnava alla separazione rappresentazione/affetto (Vorstellung/Affekt),

una separazione teorizzata oggi, anche nel mondo della psicoanalisi (gli psicoanalisti sono ricattabili), con la distinzione tra le “sfere” dell‟intelligenza e dell‟“emozione”.

Cuore e intelletto sono due nomi della stessa cosa, il che è ben detto in espressioni come “metterci la testa”, “starci con la testa”:

i mali cominciano quando si perde la testa, come nell‟emozione idiotizzante dell‟innamoramento:

è vero che nell‟innamoramento non c‟è affetto ma emozione, dunque l‟emozione esiste, ma non è buon segno.

Se J. Lacan avesse detto “Les prètres [etc.] mais il n‟y a plus l‟entendement, o anche l‟intelligence”, avrebbe detto la stessa cosa.

Il fatto è che anche e proprio les prètres hanno separato, cioè hanno perso la testa:

salvo poi lamentarsi che non li sta più a sentire nessuno, e che essi esistono sempre meno:

sono appena reduce da un viaggio nella Francia centrale, desolantemente piena di chiese chiuse, non per colpa di Robespierre, ma del precedente Robespierre intra moenia.

Questa separazione risale lontano, molto lontano, ma non conosco uno storico che sappia rispondere da quando:

avremmo la storia della rimozione.

Noi psicoanalisti lavoriamo alla ricomposizione della divisione (ricomposizione o pace, non sutura, che comporta perdita):

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è la strada giusta, ma non è il caso di delirarne il successo, però disegnarlo sì, tutt‟uno con il desiderarlo, e il desiderio è diffusivo.

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Giovedi 19 luglio 2007

QUANTO DURA UN ERRORE ?

Un errore dura almeno qualche millennio:

e non è detto che basti, gli errori si rilanciano, si riciclano, attraverso le generazioni.

Non esiste questione più vasta:

una volta la chiamavano miticamente la questione del “peccato originale”.

Elenchiamone solo alcuni:

l‟“innamoramento” come amore, mentre bastano pochi mesi perché emerga la sua radice d‟odio,

“il Bello” come astrazione irrelata, che rende bello non solo il classico rospo, ma anche le feci di Socrate (“Simposio”),

l‟“anima” come nemica del pensiero, o suo perverso sostituto,

e l‟elenco può facilmente continuare (l‟“ideale” eccetera).

La guarigione dalla psicopatologia dipende dalla fine di questi errori:

un‟analisi è già un successo quando essi cominciano a essere riconosciuti come tali.

Sono, questi e altri, errori che risalgono di alcuni millenni, ma poi c‟è stato qualcosa di più grave:

essi si sono riaffermati, anzi imposti, come “zizzania” in era cristiana, in cui hanno trovato terreno di cultura.

Platone era la zizzania prevista da Gesù, fatta per soffocare il buon grano:

ma poi è stata sostenuta come amica del buon grano, abbraccio mortale, ossia, con la battuta che ho già usato, “cose da sbattezzarsi!” (il che, logicamente, prima o poi fanno tutti).

Noi psicoanalisti (ma lo siamo?) vorremmo risolvere errori millenari in pochi mesi, o pochi anni:

che pretesa!:

ecco la differenza tra psicoanalisi e psicoterapia.

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Venerdi 20 luglio 2007

A COSA SERVE UNA DONNA

Una donna non serve a niente.

Ma non penso che si capisca ciò che ho detto, da millenni:

non ho fatto una constatazione, né formulato una legge (anzi le donne servono fin troppo, a sfavore loro e anche mio che ho la ventura - non ho scritto sventura - di essere un uomo):

invece ho detto un auspicio, una voce del desiderio.

Quando una cosa serve a qualcosa - ed è proprio questo a farla “cosa” - serve o all‟uso o allo scambio, ambedue “valori” dell‟economia classica:

nel primo caso si tratta del solito cic-ciac che, quando funziona, termina con l‟orgasmo (non dovrebbe sfuggire l‟implicito prostituivo di questo servire, anche nelle migliori famiglie c‟è economia di scambio anche quando non traspare, come nel Diritto di famiglia di Kant);

nel secondo caso abbiamo la prostituzione propriamente detta, in cui la donna si scambia con del denaro (che il cliente termini o no come sopra è affar suo).

Se invece non serve a niente, allora cominciamo bene, o come si dice “cominciamo a ragionare”.

Perché così si cambia ragione o regime, quello della con-venienza, o com-piacenza, con profitto o frutto, senza perdita.

Il frutto è quello che risulta da una compagnia per il profitto, la cui mancanza fa la Miseria delle nazioni (un libro con questo titolo smithiano non è ancora stato scritto, io cerco di scriverlo da anni).

Un‟infamia dei secoli sta nel pensare i bambini come frutti, fructus ventris.

I bambini non sono frutti, altrimenti si ricomincia da capo come con la donna:

uso o scambio, mangiarli o venderli.

I bambini aut sono frutti aut sono eredi, che né si mangiano né si vendono se non nel “proletariato”.

a un mese dalla nascita, l‟erede è già adulto, come sa qualsiasi Tribunale.

Ricordo quella brava battuta di Bucchi di parecchi anni fa, in cui compare un Berlusconi sogghignante che dice:

- Questi comunisti io non li capisco: perché si ostinano a mangiare i bambini, quando si possono benissimo vendere?

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Quasi nessuno capirebbe che sto anche criticando la metafisica e ontologia seicentesca, con la donna come caso particolare di “ente” o “cosa” ontologica, avente come necessario destino il “valore”, poi distinto in valore d‟uso e valore di scambio, pornografia metafisica.

In questa ontologia, anche Dio finisce p…na (ciò è già stato scritto, non dico da chi: “Gott ist eine Hure), non fosse che come p…na scopica, contemplativa, con logico destino perverso (feticistico).

Con la mia compagna mi potrò all‟occasione, e senza obiezione reciproca di alcuna specie, permettere dei lussi - la moralità sta già tutta nell‟essermi compagna per il frutto -, compreso “quello”, anche se nessuno capisce il “quello” fuori dall‟uso o dallo scambio ossia dalla prostituzione.

La lussuria è nemica del lusso anche sessuale:

la lussuria è robetta, tutt‟al più si “eleva” da proletaria a piccoloborghese.

Solo la Regina di Saba potrebbe chiamarsi “ancella” di Salomone, senza umiliarsi ossia senza perdere in sovranità.

Potrei ricominciare da capo ripartendo dalla domanda “A cosa serve un uomo”, una domanda che agli uomini non piace, anzi non gli viene neppure in mente.

Dei sessi importa solo la differenza, non il versante.

Da millenni affermiamo il versante negando la differenza.

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Sabato-Domenica 21-22 luglio 2007

SABATO DOMENICA 21-22 luglio 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Studi sull’isteria, e molto altro OSF 1, e passim

La transustanziazione freudiana

Freud ha proposto, posto sotto gli occhi, la conversione, ma quella del corpo, nel sintomo di conversione isterica (paralisi, anestesia, iperestesia, contrattura), ossia la scoperta che il corpo può esistere in un altro stato, e propriamente umano, rispetto agli stati ammessi dal mondo della causalità naturale:

isteria significa, con una difficile parola del passato, transustanziazione, un altro corpo rispetto al corpo conosciuto dalle scienze.

Il seguito della nostra ricerca ha poi trovato che la conversione del corpo prima che isterica- patologica è normale-normativa:

il corpo umano esiste come transustanziato ad opera della forma del pensiero che ne fa la legge.

Ciò significa dare torto a Dante in “O animal grazioso e benigno”:

l‟uomo è da subito transustanziato rispetto all‟animale.

Non mi immischio con teologia né fede, né compio abuso né irriverenza, in questo momento in cui mi accingo a trattare come puro concetto un termine introdotto dalla teologia cattolica, quello di “transustanziazione”.

Questa idea mi è stata suggerita recentemente dal Prof. Roberto Righi di Firenze, Docente di Filosofia del Diritto, dopo la lettura del mio “Il pensiero di natura” come il pensiero che appunto “transustanzia” il corpo medico-biologico.

Sostengo che, via Freud, scopriamo il corpo umano come transustanziato in corpus nobile rispetto al corpus vile della medicina (l‟espressione “in corpore vili” nasceva per designare quei cadaveri di gente di poco conto che gli anatomisti d‟altri tempi usavano per i loro studi anatomici).

C. E. Gadda è stato forse lo scrittore più sensibile fra tutti alla miseria del corpo vile in quanto quello della causalità naturale, o della “creaturalità”, e ancora oggi mi meraviglia di avere saputo dare, trent‟anni fa, un titolo gaddiano al mio primo scritto sul Diritto, “La tolleranza del dolore”, 1977, anche con una citazione gaddiana tolta da “La cognizione del dolore”:

“Inturpito da una cagione malvagia operante nella assurdità della notte, e complice la fiducia o la bontà stessa […] Questa catena di cause riconduceva il sistema dolce e alto della vita all‟orrore dei

255 sistemi subordinati, natura, sangue, materia: solitudine di visceri e di volti senza pensiero. Abbandono […] L‟ausilio dell‟arte medica […] dissimulò in parte l‟orrore”.

Gli ha risposto Freud, noto a C. E. Gadda, con il corpus nobile perfino nella patologia isterica.

Do un rapido riassunto della dottrina cattolica ufficialmente affermata nel Concilio lateranense IV (1215):

essa sostiene che la materia farinacea dell‟ostia consacrata è “transustanziata” nel corpo di Cristo (idem per vino-sangue). La spiegazione razionale era affidata alla teoria aristotelico-tomistica (“ilemorfismo”), secondo la quale la materia è determinata dal suo principio formale o forma sostanziale o principio costitutivo. Nel caso dell‟ostia questa unione inscindibile tra materia e forma si realizza miracolosamente. In tempi recenti è stata anche usata la parola “conversione”, quella della sostanza del pane nella sostanza del corpo di Cristo (idem per vino-sangue).

Il Protestantesimo ha variamente dissentito, ma ora tutto ciò non ci interessa se non per ritrovare un precedente della transustanziazione freudiana, che merita di venire chiamata con lo stesso nome ma senza ricorso miracolistico né fideistico.

Non ricomincio a illustrare da capo il lavoro di anni:

il pensiero (detto “di natura”) fa da legislatore della legge di moto dei corpi umani altrimenti senza legge (ecco l‟“orrore” gaddiano con la “solitudine” e l‟“abbandono” del corpo).

Neppure mi ripeto sul pensiero che ordina (Writ) “habeas corpus” alle pure leggi naturali che ne sono prigione facendone un corpus vile, non nobile ossia umano.

Mi sto così confrontando con l‟intera storia della Filosofia, dicendo che con ciò il pensiero dell‟ente (ontologia) passa tutto sotto il pensiero come pensiero dell‟atto, ossia come pensiero giuridico, che rispetta l‟ente per il semplice fatto di non sindacarlo3.

Il corpus diventa nobile, anche nella patologia isterica, ope legis e non ope naturae.

I medici hanno un bel dire che vorrebbero trattare i malati come persone e non come animali:

il medico non riuscirà mai a trascendere il veterinario, per quanto sia rispettoso dei diritti umani, della deontologia, della privacy.

E‟ stato Freud il medico con facoltà di trattare il malato come persona nel suo corpo come corpus nobile ossia già istituzione, cioè “persona” senza più distinzione tra persona fisica e persona giuridica.

Resta sbalorditiva la resistenza della storia dell‟umanità al riconoscimento del corpus nobile o, più semplicemente, umano, o transustanziato, ossia la tenacia (propriamente patologica) nel trattenere questo corpo nella prigione della maledizione della Teoria platonica di esso:

3 Possiamo anche dire “predicarlo”: la logica del predicato non è sempre rispettosa dell‟ente, non attende il suo atto cioè la sua presentazione, ma lo censura in anticipo quando si tratta di atto, ed è questa la censura. Se Dio esistesse, capirei se mandasse il Diluvio, tanto più quanto più assoluti gli attributi predicati a suo riguardo: è questo che significa “blasfemo”.

256

è a questa Teoria che è indirizzato il writ o ordine di habeas corpus da parte del pensiero, anche se questo è privo di potere coercitivo.

Platone impone il corpus vile contro il corpus nobile, con la copertura dell‟“anima” come censura del pensiero. Noi cristiani abbiamo sì saputo pensare in qualche modo la transustanziazione (in modo miracoloso), ma siamo stati incapaci di pensare la transustanziazione umana, pensiero che dobbiamo a Freud.

Penso che questo sia il principale sospeso anzi inadempienza della storia del cristianesimo, e a quello che vedo non ho alcuna speranza (intendo che non ho speranza naturale cioè illusione: già da bambino apprendevo che semmai la speranza è teologale, o non è: ma ora smetto altrimenti mi danno del… cattolico). Pazienza, vorrà dire che utilizzeremo il Purgatorio ossia i tempi supplementari (se poi dovessi concepire un Paradiso, non sarebbe certo quello dantesco, bensì quello di una tale adempienza, ossia la caduta della patologia).

Storicamente il cristianesimo, visto in controluce, altro non è che questa inadempienza, che è la medesima di tutte le confessioni cristiane e di tutte le religioni o illusioni senza futuro:

l‟ecumenismo esiste solo in negativo, e non direi mai “Mal comune mezzo gaudio”, perché l‟intolleranza è del mal comune, o della pietra scartata in comune.

La massima evidenza della transustanziazione si ha nei sessi umani:

in natura non esiste nulla di simile (negli animali essi si riducono a eiaculazioni precoci o “sveltine” frigide da ambo i lati, peraltro raramente), ossia nulla di tanto trascendente la funzione, anche nell‟esercizio della funzione.

Il pessimo stato in cui versa l‟umanità si documenta, oltre al resto, nella quasi incapacità di parlarne con rispetto, e senza angoscia o conflitto.

(ringrazio Raffaella Colombo per la rilettura e correzione del “manoscritto”).

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Lunedi 23 luglio 2007

VACANZE ESTIVE

Riprenderò sabato 1 settembre.

Non che questa scrittura quotidiana mi stanchi, mi accompagna piuttosto: ripeto la mia formula che “Siamo in tre”.

Da settembre u.s. a oggi calcolo di avere superato i trecento articoli: stimo che siano leggibili, per compagnia, anche in vacanza.

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Sabato 1 settembre 2007

THINK!

Think ! riprenderà lunedì 3 settembre.

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Lunedi 3 settembre 2007

UN NUOVO INIZIO, E L’“OGGETTO”

Da questo anno si tratterà di un nuovo inizio (non per la prima volta).

Se un uomo fosse guarito, questo sarebbe un nuovo inizio.

“Inizio” è una parola che significa “Uomo”, anche se qualcuno ha già iniziato prima di lui.

Chiunque abbia iniziato prima di me, il suo inizio non mi è causa, né comando, né oggetto, bensì sollecitazione, occasione, vocazione, “eccitamento”.

Se la storia dell‟umanità ha n millenni, essa è solo il mio ieri, cioè sono io che la legittimo, anche se mi ferisce o uccide.

In questa ripresa d‟anno, ri-inizieremo dall‟individuare meglio l‟Avversario nell‟Oggetto, nel plumbeo cielo stellato dell‟Oggetto che ci fa obiezione.

Che cosa è l‟Oggetto?, il medesimo nei Filosofi e in Freud nella serie motrice Eccitamento- Fonte-Oggetto-Meta, detta “pulsione”: è il fascio di luce (come tale oggetto innocente) che se abbagliante acceca la retina; o ancora il fascio di luce (oggetto innocente) che entrato in camera oscura annerisce la pellicola; o il nocciolo di ciliegia (oggetto innocente) che entrato in trachea soffoca.

L‟Oggetto è una mutazione cancerogena, o patogena.

Non c‟è evenienza, anche linguistica, che non possa passare a tale mutazione: donde gli Oggetti “alti” detti “L‟Essere”, “La Conoscenza”, “La Morale, “L‟Educazione”, “L‟Amore”…; ma sì, anche “Dio”; e a pari titolo gli oggetti “bassi”.

Tutti sanno, ma non sanno di saperlo, ciò che dico, perché tutti hanno esperienza dell‟innamoramento (almeno quello infantile per l‟Oggetto “Madre”): in cui aldilà dei sensibili occhi dell‟amante allucino o deliro o presuppongo “L‟Amore”, l‟Oggetto che mi perderà.

Prima di me, J. Lacan individuava l‟Oggetto “Televisione” (1974) tra gli altri, e noi lo possiamo fare anche meglio oggi che è diventata sempre più Televisione-spazzatura: io la guardo, ma soprattutto lei mi ri-guarda facendo di me un idiota, espropriato del pensiero.

(A tra breve un Saggio esteso su tutto ciò).

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Martedi 4 settembre 2007

L’OGGETTO “CONOSCENZA”, E L’ESISTENZA DEL VENEZUELA

Un giovanissimo sugli undici-dodici mi ha raccontato divertito questa storiella: a Scuola la Maestra domanda a un bambino: - Dove sta il Venezuela? Risposta: - Ma sì, a pagina sessantotto del Libro di geografia!

Lascio a ognuno di immaginare che cosa accadrebbe nei rapporti internazionali se le cose andassero secondo questa risposta, cioè secondo il “Discorso universitario” lacaniano almeno fiutato da quel giovanissimo: per esempio, dopo l‟annessione dell‟Austria da parte della Germania nazista, alla domanda - Dove sta l‟Austria?, avrebbe dovuto rispondere: - Ma sì, stava a pagina n del Libro di prima!

Nella risposta della storiella, il Venezuela ha solo rappresentazione: nel Libro di geografia, poi più su nei programmi scolastici che prevedono quel Libro, poi più su nei programmi nazionali e Internazionali sull‟istruzione, poi più su ancora nell‟Idea o Oggetto “Istruzione” o “Educazione” o “Conoscenza”che pre-vede, contempla in sé stessa, il Venezuela.

Così mal ridotto, il Venezuela potrà solo, nel migliore dei casi, farsi presente come l‟inconscio del Venezuela, ossia con tutti i mezzi buoni o cattivi (all‟occorrenza anche la guerra) per rendersi presente allo scopo di contrastare la censura rappresentativa di esso da parte della “Conoscenza” come Oggetto superiore o ideale o mistico che si degna di rimirarsi nei suoi enti che in esso si rimirano, tra cui il Venezuela.

Almeno quanto al Venezuela, sappiamo che esso non esiste affatto nella sua rappresentazione nel Libro Mistico, ma nella sua rappresentanza giuridico-politica, quella che pensa poi da sé, libera dal Libro, alle proprie rappresentazioni, come Istituzione che solo come tale ha rapporti con altre Istituzioni.

Il Venezuela sta qui come analogia con i nostri corpi individuali, “normalmente” esistenti in Libri di biologia e Trattati di morale che lo rappresentano, senza voler sapere che esso ha già rappresentanza (nel pensiero).

(Segue domani).

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Mercoledi 5 settembre 2007

L’OGGETTO, L’ANORESSIA E MICHELANGELO

Ieri ho progredito nell‟illustrare l‟Oggetto come l‟obiezione o l‟avversario, oggi continuo.

Mi servo spesso di frasi banali per mostrare il Potere logico e politico, senza parere, della banalizzazione: una è “Mangia ché ti fa bene!”, che condensa in sé appunto senza parere: predizione (scienza) e prescrizione (morale) unite: sembra niente invece è… Tutto (Conoscenza e Morale), accoppiata di Leggi totalizzante come Oggetto imponente.

Senonché, “ecco tutto”, noi non mangiamo affatto secondo l‟una o l‟altra Legge (bisogno biologico, dovere morale di sopravvivere), bensì mangiamo per un‟altra Legge: mangiamo per (principio o legge di) piacere, nel doppio significato di sostantivo e di verbo ossia per piacere a qualcuno, o per legge di moto a soddisfazione o meta.

Predizione e prescrizione ne prescindono, ne astraggono: allora il pensiero omesso censurato resta come coscienziosissimo “inconscio”.

Anzi l‟Oggetto non è, si riduce al pre-scindere stesso, l‟a-strarre stesso, l‟Oggetto è obiezione pura, obiezione al pensiero (almeno ora sappiamo cos‟è: il “superio” non è se non come obiezione).

L‟Oggetto è il Libro in cui siamo previsti, Legge di predizione e prescrizione versus altra Legge, l‟unica che ci fa mangiare.

Il Libro, dice lui, mi conosce, e mi ama, conosce il mio bene: allora è un criminale: ma siamo tutti tentati, fin dalla Tentazione originale, a convertirci-corromperci al Libro che conoscerebbe il nostro Bene (distinguo questo Libro dalla Bibbia).

L‟anoressia è razionale nel suo fare obiezione all‟Oggetto come obiezione, ossia ragiona che se “mangia ché ti fa bene” allora non mangio.

Capita di veder mangiare bene tanto in senso estetico quanto morale (intendo rispetto “religioso” per il cibo): esempio tra tutti l‟amabile bambino di Bruegel in “Pranzo di nozze”, 1567-68, Kunsthistorisches Museum di Vienna, che in un angolo seduto a terra raccoglie con un dito il sugo rimasto in fondo al piatto: vedere mangiare bene dà soddisfazione (benché in un angolo, il bambino mangia in società, ossia ha un mangiare commensale).

L‟errore dell‟anoressia è di continuare a sacrificarsi per la Teoria o Astrazione o Oggetto (predizione più prescrizione) contro il quale combatte ma come carne da macello, con odio ma come vittima, come un soldato all‟antica che si getta baionetta innestata contro le schiere del Nemico: rinuncia a imputare (l‟Oggetto nella sua peraltro inconsistenza, che neppure merita baionette, e d‟altronde non ne ha: al riguardo il nostro è puro fideismo).

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Michelangelo (Giudizio universale, Sistina) è un forte precursore della psicoanalisi, per avere imputato l‟Oggetto nella bestemmia della trasformazione di Cristo in Sommo Oggetto, Sommo Bene, Astrazione Massima: ne ho ormai parlato cento volte: i Discepoli lo guatano severamente, S. Bartolomeo gli rivolge contro il coltello che lo ha torturato, la Madonna lo ricusa: quello di Michelangelo è un Giudizio universale rovesciato: l‟imputato è l‟Oggetto cui è stato ridotto Cristo come figura dell‟Oggetto astratto, predittivo e imperativo.

Michelangelo non solo non è blasfemo, bensì mostra come blasfema la riduzione di Gesù a Sommo Oggetto, Sommo Bene, Anticristo, predizione e prescrizione del bene (“Mangia ché ti fa bene!”)

L‟anoressia potrebbe guarire a partire da Michelangelo, dalla sua critica dell‟Oggetto sommo, senza più sacrificio polemico a esso: la guarigione è cessazione della fissazione all‟Oggetto, o Teoria, che nella patologia permane accanitamente.

Non vorrei essere Dio nel cielo della contemplazione o Sommo bene: potrei solo essere eternamente odiato.

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Giovedi 6 settembre 2007

IN-CESTO”: L’AMORE SENZA L’OGGETTO “AMORE”

Rispondo al divano da fuori del divano.

“Incesto” - che ora prendo sul versante della figlia - significa il pensiero di avere il proprio padre oppure fratello come partner o sposo: dico sposo, non atto sessuale: “sposo” - se significa qualcosa oppure non significa nulla - implica sì l‟atto sessuale, ma come contingenza e non necessità: l‟implicazione è priva di obiezioni del pensiero in ambedue i versanti, senza che “sessuale” abbia alcunché a che vedere con un istinto, così come bere champagne non è un istinto (ma a dire il vero conosco pochi capaci di analogare sessi e champagne).

Ma è vero che nella Cultura non esiste proibizione maggiore che quella dell‟incesto (Freud), sempre accompagnata dalla sua idiota assenza di ragioni, che si riducono sempre e solo alla frase: “certe cose non si pensano nemmeno”.

Questa frase dice impensatamente bene che è questa e solo questa la proibizione: non a farlo ma a pensarlo (è quasi comico rilevare ciò in persone di liberissimi costumi, anzi in “libertini” come De Sade).

Chi è il padre o il fratello? (sulla loro distinzione tornerò): è il primo uomo incontrato (“Adamo”, e prima che Adamo diventasse scemo), incontrato nella non-obiezione di principio al rapporto, e in particolare nella non-obiezione riguardo ai sessi (dovrò correggermi su “particolare”), e con due posti a sua disposizione, di cui uno è il suo e l‟altro quello di un partner di sesso differente.

Così descritto, l‟incesto (padre o fratello) non riflette affatto i rapporti famigliari: è una porta aperta sull‟universo, senza limiti, prototipo di rapporto, il partner incestuoso rappresenta l‟universo della differenza dei sessi (non “L‟altra metà del cielo”, universo diviso).

La proibizione dell‟incesto proibisce l‟universo, non una torbida o in-cestuosa relazione.

Ravviso una relazione da sondare di tutto ciò con la Filosofia nella sua plurimillenaria sorda incapacità di pensare il rapporto.

Noto che nell‟incesto non c‟è innamoramento, ossia il torbido - eccolo - Oggetto “Amore” presupposto, che trova un‟applicazione nell‟Ideale imperativo di “Amore famigliare”: osservo da anni che il buon senso del Quarto comandamento non prescrive affatto di amare i genitori, ma solo di onorarli (anche quando non lo meritano).

L‟incesto dà risposta all‟amore platonico che è la Teoria omosessuale dell‟amore: solo l‟amore incestuoso evita l‟omosessualità (e la pedofilia).

Continueremo a chiamarlo in-cesto ossia non casto?: secondo quanto detto, l‟in-cesto è una virtù.

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Venerdi 7 settembre 2007

CASTRAZIONE, O L’INTOLLERANZA DELL’OGGETTO

Una seduta di ieri mi dà un‟occasione per oggi, grazie a un sogno tipico, di quelli che fanno innervosire i non-simpatizzanti di Freud: è quel sogno di castrazione in cui il sesso femminile viene presentato come il risultato di un‟amputazione (ossia un‟apparente sciocchezza).

Come sempre, ripercorro il processo logico che ha come prodotto un pensiero che, come in questo caso, è risibile e assurdo: eppure è serio, tragico benché tragicomico, a giudicare dalle catastrofi che ne conseguono altrettanto logicamente.

Al posto di comando del processo (non dico la pulita “premessa” aristotelica che accuratamente evita la logica del comando) c‟è una Teoria che chiamo l‟Oggetto onni-vedente, in-vidioso, sovrastante e devastante, quella dell‟Uno intollerante del Due: non tollera il due dei pensieri, dei partner, dei Chi!, dei lavori, delle materie prime con-lavorate, delle iniziative, non tollera il rapporto in quanto produttivo di profitto di cui è l‟Oggetto-obiezione, il Nemico.

Con la sua logica tutta militare va poi a colpire selettivamente come obiettivo tattico quel caso unico e universale di “due” che è lì in natura, natura buona-buona, la differenza sessuale: che tra gli uomini normali (pochissimi) acquista la vocazione di araldica del Due, come l‟araldo antico annunciava Sovrano e Sovrana (non ho detto “di quei due” che credono ancora nell‟occultismo dell‟“istinto sessuale”).

Pur di colpire il Due, ogni mezzo è lecito, dal più brutale al più stupido al più angelico se non “santo” (che brutta fine fanno i santi!) lo fa con la sotto-Teoria della Monosessualità originaria, stupida come la luna, che in sé non regge al primo esame, ma che si regge sulla logica delle bombe.

L‟Oggetto è totalitario: la sua ragione non sente ragioni.

Sono sempre più persuaso che la prima formulazione dell‟Oggetto sia quella dell‟Amore a fonte unica, L‟Uno o il Sole (anch‟esso stupido come la luna), il Sole dell‟Amore: all‟uopo l‟Oggetto ha sempre strumentalizzato le madri, spesso consenzienti anzi collaborazioniste: ma in fondo non importa troppo che, secondo i casi, lo si chiami Amore, Essere, Conoscenza, Educazione, o altro verbismo ancora.

Non ho abbandonato la parola freudiana “castrazione”, ma le ho fatto compiere un salto: come castrazione benefica, non del corpo da un organo, bensì del pensiero dalla Teoria (“Sessual-ità” = Monosessualità = Omosessualità) che lo occupa e opprime.

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Sabato-Domenica 8-9 settembre 2007

SABATO DOMENICA 8-9 settembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Dostoevskij e il parricidio OSF 10

Pochissimi hanno osservato il sottotitolo di questa rubrica sabato-domenicale: essa colloca l‟era freudiana entro l‟era cristiana.

Sorprende che questo scritto di Freud non sia consigliato a tutti gli studenti delle scuole secondarie.

Freud è la leva (non dico il punto di appoggio) per sollevare il mondo dalle sue sorti, malandate da quando - e possiamo dire da sempre, ma con costruibile periodizzazione dei tempi lunghi e troppo lunghi, e anche dei tempi brevi, quelli delle nostre vite personali - sono state aperte le porte al cavallo di Troia dell‟Oggetto sopravedente, Potenza di occupazione, l‟Uno nemico del Due ossia del rapporto: ecco perché “Timeo Danaos et dona ferentes”, e i Danai sono i Greci con il loro esercito non solo di Agamennone ma di Platone: i Troiani siamo noi.

Entro tale periodizzazione, l‟era più gravemente concessiva al suddetto Cavallo - ci vorrebbe un film intitolato “Un Oggetto chiamato cavallo” - è stata l‟era cristiana come massimo di salvezza e massimo di dannazione: zeppa di stupidi Priami (o Re Lear) che fanno entrare il cavallo.

Eppure tale era aveva inizio proprio da uno che metteva in guardia dalla zizzania (teorica) che soffoca il buon grano (del pensiero): la “zizzania” è l‟Oggetto Uno (vedi l‟articolo precedente, e i precedenti), Teoria,. Ideale, Irrealismo.

Se c‟è un realismo, si chiama pensiero (basta l‟osservazione del bambino): solo il pensiero è realista, non oggettivista: anche quando viene occupato, sbarrato, diviso a opera dell‟Oggetto, il pensiero resta, sta, indistruttibile, e per esempio lo chiamiamo “inconscio” come ha fatto Freud, svergognando così quell‟incosciente che è la coscienza quando fa la collaborazionista di quell‟Occupante che è l‟Oggetto con l‟“oggettività” del “sopra” e nessun‟altra: noi psicoanalisti usiamo le parole come psicofarmaci, infatti se non usiamo quelle quattro o cinque parole (per esempio “inconscio”) ci viene l‟angoscia da disidentità, non sappiamo più chi siamo.

Menziono la Storia del cristianesimo solo perché è quella di una iniziale introduzione assolutamente inedita del Padre, introduzione che è stata subito fonte di conflitti, non dico inenarrabili ma non narrati:

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senza Freud essi resterebbero non narrabili: infatti all‟inizio di tale Storia il Padre veniva contrapposto alla Teoria greca del predicato (in cui “Padre” sarebbe solo un predicato dell‟Ente “Dio”), perché nell‟inedito il Padre è tale semplicemente perché ha un Figlio, e un Figlio in quanto erede ossia con-rettore del Regno insieme al Padre.

Per un Greco ciò era impensabile nel senso di off-thinking, proibito pensarlo.

E‟ stato un momento importante della mia vita quello in cui ho scoperto che noi cristiani siamo i peccatori peggiori della Storia, per avere ridotto grecamente la paternità di Dio a un predicato dell‟Oggetto divino, rinnegando il rapporto in cui l‟erede è eguale (senza egualitarismo o égalité) alla fonte dell‟eredità, “a babbo vivo”.

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Lunedi 10 settembre 2007

INFANTICIDIO, POPOLO, CORPO, ABORTO

Dal “Dictionnaire des idées reçues” (Dizionario delle idee comuni) di G. Flaubert :

alla voce “Infanticidio” si legge il gelido referto storico-sociologico:

“Lo si commette solo fra la gente del popolo.”

Consiglio di rileggerlo, e ancora e ancora.

Non voglio scrivere un Trattato, ma solo accennare alla lunga lista di questioni che da qui si aprono, tra le quali:

popolo, “buon popolo” (chi lo ha mai visto?), massa, proletariato …, “popolo”, “sovranità popolare”, “Diritti umani”, “rispetto della persona umana” (brrr!) …, aggiungo solo la questione dell‟aborto: in effetti lo si commette solo fra gente del popolo (io sono antiaborista, ma gli antiaboristi ci hanno mai pensato?)

Non mi piace il “popolo” di Pellizza da Volpedo.

Non concludo, ma termino con un‟osservazione di vecchia data e fattibile da tutti: con referto gelidamente analogo a quello di Flaubert, e in buona compagnia con C. E. Gadda, osservo che il “popolo” della frase di Flaubert non è mai stato così bene rappresentato come nell‟inferno della stanza d‟attesa gremita di un medico, o di un pronto soccorso.

Ecco il corpus vile - nella sua distinzione da uno habeas corpus finalmente dignitoso e conclusivo, che è quello di Freud - da cui la Medicina continua a essere definita, per poi definirne i malati, che dico?, gli uomini.

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Martedi 11 settembre 2007

“VERUM CORPUS” IN MORTE DI PAVAROTTI

Al funerale di Luciano Pavarotti il tenore Andrea Bocelli ha cantato l‟“Ave verum Corpus” musicato da W. A. Mozart.

Estrapolo dal significato patente, dogmatico, di “verum corpus” nell‟Inno liturgico - quello di Cristo nell‟eucarestia - il significato latente o concetto intelligibile, senza il quale perderebbe significato, con o senza fede, il dogma cattolico riducendosi a puro flatus vocis, o “significante” nell‟uso lacaniano di questa parola.

Rinforzo ciò che dico rammentando che lo stesso J. Lacan dà “Padre” come il sommo significante senza significato: il che rende vana ogni religione che al Padre faccia riferimento.

Perché abbia senso dire verum Corpus bisogna che sia pensabile un… vero corpo.

Ora, che cosa non è vero corpo è descritto con patetica perfezione da C. E. Gadda in “La cognizione del dolore”:

“[…] inturpito da una cagione malvagia operante nella assurdità della notte; e complice la fiducia o la bontà stessa […] Questa catena di cause riconduceva il sistema dolce e alto della vita all‟orrore dei sistemi subordinati, natura, sangue, materia: solitudine di visceri e di volti enza pensiero. Abbandono”.

Quando ho letto questa frase (“senza pensiero”) nel 1977, io già freudiano non l‟ho più lasciata.

Gadda parlava del corpus vile, celebrato nell‟espressione “in corpore vili”, ossia il corpo del medico.

E qui Gadda continua appena dopo: “L‟ausilio dell‟arte medica […] dissimulò in parte l‟orrore”.

In questo corpus vile non c‟è verum corpus, ossia c‟è solo un corpo da veterinario, che è il problema irrisolto del medico.

C‟è verum corpus solo nel corpo freudiano, quello che ha come legge di moto una legge non esistente in natura, bensì metafisica o metapsicologica: anche nella psicopatologia, anzitutto nell‟isteria, viene asserito il verum corpus, a costo di pagarlo caro.

Se il corpo di Cristo era semplicemente “in carne e ossa” (ossia il corpo di Gadda), è tutta una storia fasulla e priva di interesse, ancora la vecchia storia platonica dell‟anima o magari dello spirito sopra il corpo vile.

Il corpo “in carne e ossa”, o il corpo del medico, perfino peggiore del corpo degli schiavi, è ancora un corpo senza Habeas corpus, in stato di arresto illegale.

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Tutto il Cristianesimo, e tutto il resto - e naturalmente la psicoanalisi - si giudica su questo punto.

Rinvio anche al mio precedente “La transustanziazione freudiana” del 21-22 luglio 2007.

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Mercoledi 12 settembre 2007

SABBIA E SABBIE MOBILI

Parliamo ancora di sabbia, deserto, Beduini.

Nell‟ottimo film “Lawrence d‟Arabia” (basato su documenti storici), il Principe Feisal obietta giustamente a Lawrence che agli Arabi il deserto non piace affatto, a differenza dal romanticismo europeo, perché nel deserto non c‟è niente.

A qualcuno può però capitare di trovarsi nel deserto, per forza o (ma può succedere?) per amore.

Se fosse per amore, sarebbe solo nel caso della scoperta della distinzione tra sabbia e sabbie mobili: tra sabbia (non amabile) e le sabbie mobili dell‟“Amore” astratto, ideale, superno, senza rapporto fruttifero.

E‟ il caso storicamente universale della sabbia mobile “La Madre” che inquina la donna, insabbiandola.

E‟ la per-fidia amorosa di cui appena parlato, tradimento, HIV dello spirito, attacco alla buona fede senza difesa.

La per-fidia è il primo delitto.

La corruzione libertina dell‟amore (letteratura francese settecentesca) fa solo il verso alla perfidia pia, santa e sofferente, la peggiore.

La sabbia, o deserto, può diventare nuovo punto di partenza per il giudizio, ossia per diventare scienziato della distinzione tra sabbia e sabbie mobili (dell‟amore).

Forse diventerebbe finalmente e incipientemente concepibile l‟amore, inconcepibile da millenni.

Continuo a coltivare un pensiero difeso dalla perfidia dell‟Amore Sommo: che chiamo “Pensiero di natura” come quel pensiero che ha il criterio, anche critico, dell‟affidabilità, senza buona fede ingenua.

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Giovedi 13 settembre 2007

GIUDITTA MANNARA

Le donne mi piacciono mannare.

Bisognerebbe fare ripartire tante cose da una verità facile, ma resa difficile dall‟essere negata dai più e dalla Cultura:

che le donne possono essere altrettante Giuditte, e alla bisogna senza scrupoli.

Non dico delle assassine, né delle Meduse (c‟è un articolo di Freud in proposito): vero che abbondano le une (vedi la perfidia pia di cui ho appena scritto) e le altre, ma ciò dipende soprattutto dall‟inettitudine degli uomini.

Ma non credo di essere stato capito: io dormirei volentieri con una Giuditta, e senza timore di finire come Oloferne (salvo il caso di esserlo, o un Bill to kill), inoltre in una Giuditta così abile nell‟uso delle armi avrei un‟amorosa e sagace guardia del corpo permanente (con reciprocazione);

idem con una Salomè, anche se mi chiamassi Giovanni Battista: pur di non commettere l‟errore di Giovanni B., che Gesù non avrebbe commesso: infatti, perché mai sdrucciolare su una vicenda politico-morale tanto dozzinale e locale?

Posso immaginare l‟una e l‟altra come tenere inoffensive e appassionate amanti, bisogna sanguinaria a parte.

Sono ragionevolmente certo che Maria di Nazaret era della medesima stoffa: dunque non “La Mamma”, a parte una tentazione subito bloccata da un figlio che non era da meno.

Ho menzionato tre donne capaci di distinguere tra amore e innamoramento.

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Venerdi 14 settembre 2007

SENZA SCRUPOLI

Gli scrupolosi sono proprio… senza scrupoli.

Ogni assassino di professione è scrupoloso nel suo esercizio, così come i torturatori professionisti.

Lo scrupolo è una patologia, proprio come i cerimoniali ossessivi e altri sintomi (non sto dicendo che la criminalità è un sintomo).

Eppure l‟espressione “essere senza scrupoli” è diventata segno o sospetto di criminalità, o almeno di immoralità e inaffidabilità.

Il linguaggio è colonizzato da questi equivoci che corrompono il pensiero.

C‟è tutta una famiglia di espressioni come questa: “capace di tutto”, “dove andremo a finire?”, “certe cose non si pensano neppure” - proseguite voi la lunga lista -, tutte espressioni della censura o inimicizia contro il pensiero.

Sono espressioni della violenza di una Cultura che cancella scrupolosamente le tracce della propria censura.

Una persona sana e morale è senza scrupoli.

Non esistono santi scrupolosi.

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Sabato-Domenica 15-16 settembre 2007

SABATO DOMENICA 15-16 settembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di: S. Freud Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci OSF 5

Non è guarendo l‟artista (dagli Ideali-Oggetti: parola su cui insisto da qualche tempo) che lo si priva della sua facoltà di artista: questa è solo una favola comoda per sedicenti artisti.

L‟articolo freudiano su Leonardo riguarda la sublimazione, questione apertissima anche per Freud, e noi abbiamo lavorato a concludere le non-conclusioni di Freud: in breve, troppo in breve: conclusione o meta, che è il quarto articolo della legge di moto detta “pulsione” - o pensiero che chiamo “di natura”, ma anche il sapere distinto dalla platonica Conoscenza -, non è sublimazione: sublimazione non è soddisfazione, è insoddisfazione per meta mancata, o sovrapposizione di meta e oggetto.

Freud si è appoggiato sul caso di Leonardo come nuova insoddisfazione dopo quella religiosa. io ho poi preso il caso di Gesù (secondo i testi e niente più).

Il caso di Gesù preso secondo la lettera di quei quattro scarni libretti, è quello di uno che ha reso note le condizioni della sua personale soddisfazione: sia di quella presente all‟epoca cui si riferiscono i libretti, sia di quella oggi presente nonché futura nel caso che si creda alla sua ascensione come evento reale: infatti è improponibile che, a missione compiuta, egli abbia cambiato pensiero: parlare agli altri, parlava di sé in saecula saeculorum, con meta senza oggetto e senza obiezione al Padre, o anche senza inibizione sintomo angoscia fissazione (i quattro termini della patologia).

Nella soddisfazione dichiarata da Gesù non c‟è traccia di sublimazione: ciò non ha impedito nei secoli che l‟“ascensione” sia stata incessantemente proposta come sublimazione (Gesù un Leonardo della religione!), felicità divina come predicato ontologico!

L‟era cristiana resta irrisolta proprio per la confusione della soddisfazione con la sublimazione.

C‟è uno scritto di Freud su Gesù, recentemente scoperto e pubblicato, su cui dovremo tornare.

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Lunedi 17 settembre 2007

ANGOSCIA E TATUAGGIO

Il tatuaggio è una promessa di fedeltà eterna a un amore che non c‟è: ci sono più forme storiche di tatuaggio, invito a elencarle.

L‟angoscia è la minaccia irresistibile di perdere l‟amore che non c‟è: ecco che cosa significa che l‟angoscia è senza oggetto.

Eravamo stati sedotti - no: corrotti - a credere nell‟Oggetto “Amore”.

Minaccia per ogni disobbedienza anche solo pensata, anzi proprio perché pensata, al Decalogo di un tale Amore: in tutti i suoi articoli, ma anzitutto al primo: “Non avrai altro Amore al di fuori di me”.

In paragone, il Decalogo biblico e il Dio che gli corrisponde è un paradigma di mitezza e misericordia: l‟angoscia pesa più di dieci Diluvi.

Il tatuaggio significa che mi imprimo il segno di una Presenza assente alla quale dedicherò la vita, con tutti i sacrifici miei e altrui.

Occultismo del massacratore o del massacrato.

“Mi tatuo dunque è”.

Mafia o Yakuza dell‟Amore.

Con questo astrattissimo Oggetto (tra altri Oggetti nel Cielo stellato dell‟Oggetto), ci si dà una Causa: purché sia tale non importano i costi, ossia le vittime.

Se esiste il coraggio, questo è del pensiero, che a questa minaccia cede.

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Martedi 18 settembre 2007

IL SACCO O CAPOLINEA, E LA FINE DELL’ANALISI

Una persona che frequenta il mio divano da non breve tempo, mi ha posto la legittima questione della conclusione della sua analisi (o meglio credeva di pormela): lo ha fatto dicendomi che gli pareva proprio di avere “vuotato il sacco” (una metafora già criticata da J. Lacan).

Gli ho risposto che ancora non c‟eravamo, e proprio per il fatto di avere in mente una tale metafora finitista, o ragionierista.

Mi ha dato retta, pur sembrandogli oscura la mia risposta, e non mancando di obiettare che se l‟analisi non può essere finita, allora è infinita (questione già freudiana).

Tempo dopo ci è tornato sopra, col dirmi che ormai era al “capolinea”.

Gli ho fatto osservare che le due metafore, sacco e capolinea, si equivalgono.

E che ambedue equivalgono al suo permanente dichiararsi uno che lavora per “obiettivi”, i quali appunto hanno un “capolinea” (rammento che di questi tempi sto insistendo sul tema dell‟Oggetto- oggettivo-obiettivo-oggettualità).

Ho poi domandato, già certo della sua risposta al ribasso, se guardasse dei film e soprattutto se leggesse dei libri (non solo romanzi ma in generale tutte quelle letture che non si fanno per obiettivi o utilità).

E ho aggiunto che l‟esempio della lettura è la soluzione alle sue irrisolte metafore da me giudicate patologiche, e per l‟appunto da risolvere per considerare conclusa l‟analisi.

E infine, che la sua analisi sarebbe stata conclusa quando egli fosse diventato un lettore, ossia qualcuno che non ha più l‟alternativa tra serie finita e serie infinita, tra finito e infinito.

E‟ l‟amore: non c‟è amore finito e amore infinito (“umano” e “divino”).

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Mercoledi 19 settembre 2007

MEDICO ANZI VETERINARIO

Al mio medico domando di comportarsi con me da buon veterinario.

Cioè di avere cura del mio corpus vile, e che lo faccia con rispetto anzi onore: e senza immischiarsi nel mio corpus nobile ossia umano, che è debitore, nel suo moto fino alla sua estetica, del mio pensiero, che è il mio primo curante quando si associa convenientemente al pensiero di un altro: questa associazione conveniente è l‟unico caso che meriti la parola “amore”, di cui la psicoanalisi è un esempio.

Il medico neanche si sogni, sia pure alla lontana e metaforicamente, di essere un buon Samaritano: quest‟ultimo non è un medico bensì un economista, che rifà ordine in un universo che è stato economicamente depresso in un punto, e un giurista, che ristabilisce le condizioni per i rapporti (l‟essere in vita).

Non sto accusando i medici di comportarsi male (casi a parte), ma sto osservando che la maggioranza dei pazienti sono troppo… pazienti: ossia patiscono, oltre alla malattia, anche un‟atavica umiliazione (del loro pensiero), accompagnata da un presupposto di ignoranza invincibile.

Allora fanno del medico non un soggetto che sa (certe cose), ma un Soggetto-supposto-sapere, qualsiasi cosa egli sappia davvero.

E perfino un Soggetto supposto amare: Dio stesso si rivolterebbe all‟idea di essere supposto amare.

Proprio questo “Soggetto supposto” è quell‟Oggetto sovrastante, oscurante, occulto, di cui vado parlando da tempo: quando andiamo dal medico, ci andiamo sovrastati da un tale Oggetto (in ciò lui non è meglio di noi).

A un onesto sapere sovrapponiamo una Conoscenza presupposta (è la “Conoscenza” platonica, Oggetto avverso al sapere, Oggetto sempre carognamente aldilà): il sapere è a portata, la Conoscenza istericamente no.

Peggio che istericamente: la medicina come modello sociale e amoroso è un crimine.

Lo psicoanalista è medico (e Freud continua a chiamarlo Arzt ossia medico) amico del corpus umano o nobile, con salvaguardia conseguente anche del corpus vile: egli esercita tale professione da economista e giurista, senza predizione né prescrizione (“me l‟ha ordinato il medico”).

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Giovedi 20 settembre 2007

MEDICINA ANTI-PATICA

Anni fa, quando ho proposto a Colleghi medici le considerazioni fatte ieri e che faccio oggi, ho incontrato forti resistenze: ebbene, oggi rincaro.

Gli atti medici e chirurgici in sé stessi sono tutti da Codice Penale, ossia degli illeciti, in quanto producono lesioni (in modo ovvio quelli chirurgici, ma anche quelli medici: infatti gli antibiotici uccidono la flora batterica): gli atti medici non sono omeopatici, e neppure allopatici, sono anti-patici ossia fanno male: fanno male contro mali maggiori, il che li giustifica, perfino con plauso.

Basta saperlo.

Ciò detto, mi iscrivo tra quella maggioranza di persone che approvano la Medicina ufficiale, e che ufficiale la vogliono (laurea, esame di Stato, Ordine professionale), e con molte riserve sulla medicina omeopatica.

Ma occorre anche sapere che l‟autorizzazione giuridica del medico è di specie diversa da quella di altre professioni: essa è analoga a quella delle professioni autorizzate all‟esercizio della violenza legittima dell‟Ordinamento giuridico (polizia, esercito, guardia carceraria, guardia di finanza…), come violenza legittima per la difesa della comunità giuridica: il medico è autorizzato a un particolare, e onorevole, esercizio della violenza legittima.

A molti Colleghi medici dispiacciono queste semplici osservazioni, e quasi tutti i cittadini ne sono sorpresi.

Non accetto che si dica che la medicina è un esercizio dell‟amore per il “prossimo” o per l‟umanità: non voglio Figure “buone”, Oggetti superiori, voglio che “buono” sia un giudizio dato volta per volta, non il predicato stabile di un Ente fuori controllo (ente medico in questo caso).

Ho citato chissà quante volte quella frase di Freud: “Non sono diventato Medico per amore dell‟umanità, mai stato così sadico!”

La psicoanalisi non è né omeopatica né anti-patica, è allopatica: cura per mezzo di un partner ossia un àllos: cioè usa solo mezzi normali, anzi di una normalità inedita che restava da inventare: essa tratta con anticipo i malati - tecnicamente - come persone sane, senza illecito neppure quello autorizzato del medico.

La psicoanalisi intima “habeas corpus!” al medico (sono troppo oscuro?, troppo chiaro?)

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Venerdi 21 settembre 2007

LA CARROZZERIA DI PLATONE

Da giovanissimo ascoltavo con disagio questo dubbio complimento rivolto alle ragazze: “Che bella carrozzeria!”

Ma era l‟epoca in cui tenevo per me le mie riserve, che erano molto più rilevanti di quanto sapessi.

Dire “carrozzeria” è un inganno, per la subdola aria di designare una realtà sensibile per i nostri occhi, lasciando tutt‟al più liberi di pensare criticamente che si tratta di una metafora di dubbio gusto (debole libertà!)

Ma una carrozzeria è un abitacolo (come quello dell‟auto), tale che, se il suo abitante è un corpo umano, questo si riduce all‟orrore di un corpo scorticato della pelle, un orrore sedato solo se figura su un atlante anatomico per studenti di medicina (è il corpo del delirio psicotico, cioè di una certa Ideazione).

Qui “carrozzeria” non designa affatto l‟involucro dell‟auto, bensì un‟Idea o Oggetto astratto con funzione nichilizzante e necrofila nei riguardi della realtà sensibile del corpo.

E‟ il problema di tutti i pensatori di Paradisi: luoghi dell‟orrore eterno?, con un Dio Sommo Führer di morti viventi?

Visto l‟orrore, il “Bello” è tutto annullato o risolto in “carrozzeria”, non ha più alcun significato (J. Lacan avrebbe detto che è un puro significante), idem per il “Vero” e il “Bene”, sottratti come sono all‟essere giudizi.

La pornografia è uno storico alleato di questa carrozzeria, ecco perché tiene, anche con l‟ipocrisia dei suoi Catoni di destra e sinistra, credenti e non credenti (non vi siete mai chiesti perché sono più gettonate le prostitute convertite?)

E‟ annullato anche “umano”: da anni faccio osservare che solo Freud ha scoperto il significato di “umano”, per il solo fatto di avere scoperto una legge di moto di corpi o forma dinamica (detta “pulsione”) inesistente in natura: dire “vita” non basta.

Ci sono donne di apparentemente pregevole aspetto, e anche capaci di curarlo, che si considerano degli insetti cioè enti biologici a prescindere dalla differenza sessuale: siamo ancora e sempre alla separazione della bellezza dai sessi.

La differenza sessuale non è parte della carrozzeria: questa censura proprio il fatto che la proprietà “bellezza” riferita a un corpo umano è debitrice della differenza sessuale.

“Bello”, “Anima”, “Carrozzeria”, è Platonismo popolare: lo Zombie è un‟invenzione già platonica, non c‟era bisogno di arrivare alle Antille con il loro Voodoo.

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Il mio titolo “La carrozzeria di Platone” si associa a un buon saggio di J. Derrida “La farmacia di Platone”, ossia Platone avvelenatore: filosofia della miseria e miseria della filosofia.

Diotima e Alcibiade nel “Simposio platonico” sono attori della Farmacia e Carrozzeria di Platone.

Ecco un altro Oggetto-obiezione del Cielo plumbeo degli Oggetti ideali: ne ho già enumerato diversi, e sono molti di più, tra i quali “Genio”, o “Intelligenza”, Oggetti che ne uccidono più che la spada.

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Sabato-Domenica 22-23 settembre 2007

SABATO DOMENICA 22-23 settembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Un ricordo d’infanzia di Leonardo da Vinci (bis) OSF 5

Corpus vile

Associo a questo breve articolo quelli di venerdì 21 settembre, “La carrozzeria di Platone”, e di sabato-domenica 15-16 settembre.

In questo, pongo a contatto due passaggi del saggio di Freud:

1° quello in cui cita Leonardo: “L‟atto del coito e le membra a quello adoprate son di tanta bruttura… [eccetera]”,

2° e quello in cui commenta il disegno in cui Leonardo rappresenta da anatomista un coito more geometrico in cui, appunto, un pene si trova, chissà perché, in una vagina.

Ho detto “Chissà perché”, infatti la natura non ha una legge che spinga in tale senso uomini e donne (e peraltro pochissimo gli animali, che sono un modello di castità naturale salvo rare “sveltine”).

Il corpus vile dell‟orrore dell‟anatomia scorticata seda sadicamente Leonardo dall‟angoscia (impensabilità) del coito tra corpi non vili, che anche nel coito si onorano (impensabile!).

L‟amore cortese, con tutto il suo brutale “onore” cavalleresco ossia omicida, non sapeva onorare una donna.

L‟anatomia rappresenta (Vorstellung) il corpo senza saperne assumere la rappresentanza /Repräsentanz).

Corpo-oggetto si oppone al corpo-partner: in quello c‟è obiezione a questo, cioè alla differenza dei sessi come degna di interesse (morale, intellettuale).

Alleggerisco la pressione rammentando la vecchia battuta attribuita alla giovane sposa pia: “Non lo fo per piacer mio, ma lo fo per piacere a Dio!”: è una bestemmia, inconscia ma frequentissima (che sia un Voyeur?, se non un pedofilo?): battuta buona per cristiane, musulmane (è la logica battuta delle Urì), laiche, atee, insomma non si salva nessuno.

O può esserci salvezza?

Ma non c‟è salvezza senza salvezza della differenza sessuale (non quella di Leonardo).

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Lunedi 24 settembre 2007

SODOMA E GOMORRA CELESTI

Dall‟inizio di settembre vado preparando il terreno al Giudizio Universale sull‟infernale cielo stellato dell‟Oggetto, quello omicida come un Cielo tolemaico o “stellato”, sì, ma rimasto intoccato dalla storia della Scienza: per questa nuova critica del tolemaismo occorreva Freud.

Non avremmo psicopatologia senza Oggetto.

Se trattato come Oggetto, Dio stesso dovrebbe arrabbiarsi più che con le vecchie Sodoma e Gomorra, che dopotutto apprezzavano ancora l‟oggetto sensibile.

Ho già scritto che Tolkien rappresenta bene l‟Oggetto nell‟Anello, di cui siamo o eravamo tutti dei Gollum (Gollum è la nevrosi, anche nella psicosi e perversione).

Oggetto incombente come incubo di succubi (ossia malati).

Oggetto mortifero per pensiero e corpo con un solo colpo.

E‟ visione contro udito, musica contro parola.

Parlo sempre di un‟alternativa, tanto di Civiltà quanto di vita personale.

Quanto dura un‟analisi?: tre giorni, tremila anni? (un vero psicoanalista è più per tre giorni): dipende dal Giudizio Universale sull‟Oggetto nemico, Teoria, Ideale, di cui la Civiltà anche religiosa resta alleata, anzi succube.

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Martedi 25 settembre 2007

STAMINALI, FANTASCIENZA, VITA ETERNA, ANGOSCIA

Non ricordo se ho già scritto questa Nota, forse ne ricordo un appunto non pubblicato, in ogni caso repetita…

Sappiamo da molto che una Fantascienza ben controllata fa corrette proiezioni temporali, e ora ne farò una: tutti hanno sentito parlare delle “staminali”, cellule primarie che possono svilupparsi in tutte le direzioni biologiche, tessuto nervoso, cutaneo, epatico, osseo eccetera, e già oggi hanno qualche piccola applicazione terapeutica.

Diamoci il tempo opportuno di ricerca pura e applicata, decenni?, un secolo, due?: ed ecco la fontana dell‟eterna giovinezza nonché salute corporea.

La Bioetica stessa in tutte le sue versioni non saprebbe che dire, perché per impedirlo dovrebbe introdurre una eutanasia a tempo (proibito vivere dopo una certa età).

Tra parentesi, forse passeremmo a una nuova epoca della lotta di classe, perché sarebbe cosa da ricchi, ma per il momento sorvolo su un tale scenario.

Le staminali ci obbligano a pensare in modo nuovo - mi correggo: semplicemente a pensare - la questione del nostro desiderio in relazione al tempo, e anche a quello di Dio se esistesse.

Ci interessa una tale prospettiva?, davvero?

Dio stesso non sarebbe più quello che ci riporta in vita e ci ridà miracolosamente la salute, fine di Lourdes: resterebbe, finalmente!, la sola questione che interessi e che abbia mai interessato, quella della soddisfazione, compresa quella di Dio, questione evitatissima o malamente risolta, e ci voleva un comics, “John Doe”, per riproporla (Teologia e Filosofia hanno cambiato sede, e io approvo).

Il Buddismo è ateo ma senza passare per la Filosofia occidentale moderna, bensì semplicemente perché non si fida neppure della felicità di Dio, ossia non ha alcuna certezza che Dio possa non essere angosciato (non sa che farsene della certezza apodittica ossia per definizione, e in ciò ha ragione).

La questione della soddisfazione si pone nel suo ineludibile legame col tempo: l‟idea greca di eternità serve solo ad annullare la questione, è uno psicofarmaco metafisico di cui il pensiero greco è la Multinazionale nonché la Psicofarmacologia.

Io non sono islamico solo perché l‟Islam non pone, e proibisce di porsi (per quanto ne capisco), una simile questione anche per Allah-Dio: invece sono cristiano (e insieme freudiano) perché Cristo è una tale questione, in confezione unica con una proposta di soluzione.

Ma in fondo, ormai, siamo tutti islamici, o in alternativa buddisti.

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Mercoledi 26 settembre 2007

UN ONESTO SOGNO, E L’ “INCONSCIO”

Ecco un onesto sogno: ma lo sono tutti (“onesto” è un buon aggettivo, molto sottovalutato).

È anche un sogno (che significa pensiero) che si presta al didattico.

Sulla scena di esso compare alla sognatrice un uomo conosciuto da breve tempo, un uomo degno, connotato per lei solo da tratti positivi, favorevoli, e credibilmente tali.

Tale uomo da qualche tempo si è proposto a lei anche con dichiarazioni amorose affidabili, afferenti al coniugio, e lei non dubita della gradevole serietà della profferta.

Eppure nel sogno, senza che in esso sia presente alcun tratto o atto sfavorevole, egli è presente sotto il segno di una minaccia (oscura), angoscia.

Da quando lo conosce, lei è soggetta a vaginiti temporalmente connesse a incontri (non dico necessariamente sessuali) con lui.

Poi ricorda che lo stesso sintomo si era presentato quattro anni prima: allorché il suo compagno di allora e ancora attuale le aveva proposto di sposarla, e allorché poco tempo dopo durante una vacanza comune lei aveva “temuto” di esserne incinta.

Al primo sogno se ne aggiunge subito un altro contemporaneo: figura ancora la sua cistite come figlia, ma in esso la cistite primaria è della madre, ossia il pensiero della figlia è “La mia cistite è la tua” (il che usiamo chiamare “identificazione”).

Già dall‟analisi sapevamo che fin dall‟infanzia della figlia la madre era, o era diventata, militantemente e odiosamente avversa alla relazione di una donna con un uomo.

Ed ecco il momento didattico, che deve sempre e solo restare secondario cioè derivato: sono due le accezioni di “inconscio”: 1° l‟inconscio è il pensiero, o desiderio fresco e onesto, di questa giovane donna di avere un compagno: pensiero indomito, ma che si difende dall‟angoscia con fragili compromessi; 2° c‟è poi l‟inconscietà dis-onesta dell‟avversario che è censura di questo pensiero o desiderio, avversario che si nasconde dietro tutti i veli anche “santi”, per non farsi riconoscere come censura o malvagità con l‟arma irresistibile dell‟angoscia: ecco i due significati di “inconscio”.

Alla base troveremo sempre la Teoria detta “Sessual-ità” come imperativo (teorizzato come naturale), latore di un‟obiezione, non al “fare sesso” bensì al rapporto che, quando è, è privo di obiezioni. tanto allo champagne quanto al “fare sesso”: che è un‟espressione un po‟ sommaria, ma alla quale non ho obiezioni fondamentali, dato che, come dico da anni, il fare sesso “nulla lo comanda e nulla lo proibisce”, ossia non è una legge della natura, né della morale.

Certo, questa è una verità che fa rabbia, molta, moltissima, fino all‟intolleranza estrema: l‟intolleranza attacca - non dico che origina - come intolleranza della differenza dei sessi:

284 le altre e storiche intolleranze seguono.

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Giovedi 27 settembre 2007

PROSTITUZIONE E BESTEMMIA

Della prostituzione non è mai stato chiarito dai moralisti quale ne sarebbe la fattispecie morale: da questa oscurità dipendono le nostre principali incertezze nonché patologie morali.

1° In essa si tratta di commercio in senso stretto, in cui il contenuto della merce non sta al primo posto: da un lato c‟è una merce astrattamente considerata, come ogni merce, e dall‟altro un equivalente non meno astratto, solitamente ma non esclusivamente monetario; 2° c‟è poi l‟estrema estensione del campo di tale commercio sessuale, solo che si faccia caso al fatto che il denaro è solo uno dei tanti casi di pagamento, e neppure quello statisticamente principale: ci sono pagamenti in status sociali e economici e morali, professionali, e psicologici o spirituali.

Tornando al contenuto, la prostituzione è solo un caso di autonoleggio: non sto facendo del detestabile umorismo, perché si tratta, più precisamente, di noleggio di carrozzerie così come ne ho scritto in “La carrozzeria di Platone” di venerdì 21 settembre.

Ecco la fattispecie morale: la prostituzione non vende corpo (ecco l‟errore plurimillenario): vende carrozzeria, o Oggetto astratto.

Vende Platone: le prostitute sono delle platoniche.

Bisognerebbe portarle in Cattedra: anche se non credo che accetterebbero, dopotutto guadagnano più dei Proff. Universitari (che insegnano Platone).

Sul rapporto prostituzione-bestemmia tornerò presto.

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Venerdi 28 settembre 2007

PROSTITUZIONE E BESTEMMIA (seguito)

Completo l‟articolo di ieri.

Invece di disquisire sul concetto di bestemmia, tutt‟altro che chiaro e definito, ne esamino due.

La prima, “Dio sublime!”, non sarebbe ritenuta tale da quasi nessuno, ma non ripeto ciò che penso di sublime e sublimazione (in breve, equivale a “Dio perverso!”).

La seconda è quella, arcinota ma di oscura ovvietà, che associa al nome dell‟Altissimo un nome suino: il trattarsi di un animale non ha a che vedere, infatti nessuno troverebbe da ridire se l‟animale fosse il leone o l‟aquila, vettori di metafore di forza, coraggio, regalità: vero che il maiale non le supporta, ma ne supporta altre di non minore valore, come la ricchezza, la bontà, perfino la generosità (di questo animale si mangia quasi tutto, e in tempi di tradizioni contadine la sua macellazione era una festa di paese).

Le osservazioni appena fatte non potrebbero essere contrastate neppure da quelle tradizioni religiose che vietano di alimentarsene.

I nostri plurimillenari errori sulla prostituzione, e in generale su tutto ciò che fa capo alla “sessualità”, si sono tradotti in bestemmie sulla persona di Gesù, almeno due (anche se non mi illudo che ciò che dirò ammorbidirà le dure cervici).

Una fa capo alla tradizionale esegesi, predicazione e iconografia, che vede (allucina) nella “Maddalena” una prostituta (ma dove abbiamo la testa?): ma fin qui non c‟è ancora bestemmia, senonché c‟è poi escalation nell‟errore, e a scuola ci insegnavano che se errare humanum, perseverare diabolicum come appunto nel caso presente: infatti, quando Gesù asserisce che “Molto le sarà perdonato perché molto ha amato”, gli facciamo dire (noi) che ha amato come prostituta, cioè lo riteniamo anche lui istupidito dalla ridicola ideologia secondo cui le prostitute “amano” (anche le “ragazze”, commentavo un tempo, si sbellicherebbero), insomma, gli diamo dello stupido, naturalmente “sublime” (da quasi due millenni).

L‟altra sta nell‟interpretazione delle sue parole “Chi guarda una donna con concupiscenza ha già peccato in cuor suo”: è l‟idea corrente, invincibile e fasulla che “concupiscenza” significhi istinto (sessuale) ossia causalità naturale, e tale idea attribuiamo anche a Gesù: non mi dilungo a confutare la sciocchezza dell‟attribuzione, osservo soltanto che questa reca in sé una bestemmia: se infatti fosse un istinto, il suo affacciarsi almeno momentaneo sulla scena del pensiero sarebbe automatico e come tale non imputabile, e Gesù, nel condannarlo, sarebbe o stupido (come sopra) o iniquo (vedete voi quale è l‟ingiuria peggiore).

Stiamo a noi: o siamo stupidi, o siamo imputabili (blasfemi).

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Sabato-Domenica 29-30 settembre 2007

SABATO DOMENICA 29-30 settembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di: S. Freud L‟avvenire di un‟illusione OSF 10

La ragione di Bin Laden missionario

Tra le “grandi” dimensioni del mondo e quelle personali, c‟è non solo contiguità, ma identità.

Facciamo ora un ampio benché rapido giro in cielo prima di atterrare sulla terra da cui non ci siamo mai staccati.

La ragione di Bin Laden sta in una formula che ho appena inventato:

I = C – P dove I sta per Islam, C per Cristianesimo, P per il pensiero proprio a Cristo pensatore (idea negatissima, dove andremmo a finire?)

Bin Laden ha ragione allorché, Urbi et Orbi come il Papa, invita gli occidentali cominciando dagli americani a convertirsi in massa all‟Islam (lo aveva già fatto Ahmadinejad): spiritualmente infatti siamo già lì da molto tempo, a un passo dall‟Islam, come si dice “fatto trenta facciamo trentuno”. In tempi storiograficamente rintracciabili è vero che C è – P:

1. in fondo l‟Islam potrebbe integrare almeno il Paradiso dantesco nel corpus letterario e anche teologico islamico, a condizione di pochi e forse non indispensabili emendamenti;

2. a sua volta Dante era stato anticipato da Anselmo d‟Aosta all‟inizio del secondo millennio dell‟era cristiana, il primo islamico quasi dichiarato di questa: il suo celebre “argomento” recita che Dio è ciò di cui non si può pensare nulla di più “grande”, ossia “Dio è grande” che è l‟incipit del Corano, da cui segue tutto del Corano e dell‟Islam (e Anselmo ne fa discendere tutti gli attributi divini e ogni altra cosa del cristianesimo) 3. ma in fondo già il Profeta Mohammed (“Maometto”) aveva constatato C – P, e ciò gli è bastato per passare all‟equazione C – P = I: l‟equazione l‟ho scritta io, ma non ne sono geloso e non fatico a prestarla al Profeta, che continuo a considerare il massimo genio religioso dell‟umanità, a partire dal constatare sociologicamente che almeno nella sua area geografica (Arabia) il Cristianesimo era già diventato C – P.

Cristo invece aveva preso tutt‟altra strada: l‟aveva fatta finita con la religione e il sacro, mentre con l‟ellenismo l‟avevano già fatta finita altri ebrei prima di lui e lui con loro.

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In fondo “cristianesimo” dovrebbe significare riscatto (red-enzione) del corpo, cioè tornare nella libera disponibilità di esso come in uno habeas corpus anteriore, per emendazione del pensiero debilitato da una presupposta imputazione non giudicata (“peccato originale”): omnes peccavimus?: chi l‟ha detto?, giudicatemi!

Dio stesso ha ritenuto un profitto per lui diventare e restare uomo, è questa l‟unica buona notizia o “Vangelo”.

Dal peccato imputato (non ancora giudicato) risultava un corpo asservito alle condizioni della causalità naturale (bisogno, patologia medica, medicina, dolori del parto) e sociale (lavoro socialmente necessario o servo, “sudore”), e un pensiero assoggettato alla psicopatologia (sintomo, inibizione, angoscia, fissazione, documentati tra le conseguenze della Caduta), incapace di farsi legge del corpo (habeas corpus).

Anche Freud ha fatto un ampio giro per il cielo, senza “ucci ucci sento odor di cristianucci”, e senza mai perdere di vista la terra, con la formula (mia):

R = C – P dove R sta per Religione, di cui l‟Islam è solo la principale interpretazione almeno a livello mondiale, dico “Religione” come Oggetto astratto che ci sovrasta, anche con l‟imperativo a pensarne presuppostamene bene; C sta per corpo; P per il pensiero individuale sotto attacco.

Cristo essendo “asceso”, almeno narrativamente, con il nostro corpo, ciò significa che non si è mai staccato dalla terra: possiamo dire “Finalmente un atterraggio!”

Resta da capire che se un uomo fosse veramente guarito, sarebbe invisibile per i nostri ciechi occhi visionari: infatti a partire dall‟indomani dell‟ascensione corporea del sullodato, abbiamo ricominciato tutto da capo, tornando a ellenizzare tutto, diventando platonici, ricostituendo il Cielo infernale dell‟Oggetto persecutorio.

Devo ora trascurare la forza che ha nell‟Islam l‟idea di istinto sessuale, natura naturalmente maschile (tutti sanno ciò che diciamo con Freud, che non c‟è istinto sessuale), con Urì come gentili carrozzerie: se fossi una donna islamica porterei il burqa anche a Londra, almeno coprirei pudicamente non le grazie femminili bensì il mortifero predicato “carrozzeria”.

Non è questione di “diritti umani”.

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Lunedi 1 ottobre 2007

Corso Studium Cartello 2007-08 AMORE, IMPUTABILITÀ, TECNICA

Sta per iniziare il Corso annuale dello Studium Cartello. Testo introduttivo e informazioni da oggi: www.studiumcartello.it .

Alcune parole per introdurne il senso, anche quello dell‟insieme del nostro lavoro cioè un legame sociale (detto “Amici del pensiero di natura”).

Esso è già stato presentato nel modo migliore con una frase di Leopardi filosofo:

“Non possiamo sapere né congetturare di cosa sia capace la natura umana messa in circostanze favorevoli” (“Zibaldone”, 4166).

Il medesimo senso di “circostanze favorevoli” è reso da Freud:

“Le nuove generazioni, se educate con amorevolezza e ad avere grande stima del pensiero [sott. mia], avendo sperimentato fin dai primi anni di vita i benefici della civiltà, avranno certamente un diverso atteggiamento verso di essa, la sentiranno come il loro patrimonio più inalienabile e saranno pronte a sopportare i sacrifici, di lavoro e di soddisfacimento pulsionale, necessari per preservarla. Potranno fare a meno della coercizione e si differenzieranno poco dai loro capi [sott. mia]. Se finora in nessuna civiltà [sott. mia] sono mai esistite masse umane di qualità siffatta, ciò è dovuto alla circostanza che nessuna civiltà ha ancora trovato gli ordinamenti atti a [sott. mia] influire sugli uomini in questo modo, e fin dall’infanzia […]. L‟esperimento non è ancora stato fatto [sott. mia]” (“Avvenire di un‟illusione”, OSF 10, 438-439).

Noi, messi in circostanze sfavorevoli, diventiamo poi specialisti a renderle ancora più sfavorevoli, anzitutto economicamente (psicopatologia) in tutti i significati della parola “economia”: anzitutto, restiamo nell‟impensabilità di un‟esperienza senza angoscia, o senza sedazione dell‟angoscia (l‟unica “felicità” concepita da millenni).

I due passi parlano, dopo l‟Illuminismo che si illudeva anch‟esso, di una Modernità ancora non avvenuta né pensata: restiamo al… Medioevo: è il senso del Seminario di J. Lacan “Ancora” (1972-73), che significa “Siamo sempre lì”.

Il senso del nostro lavoro, come persone prive di Potere, è l‟elaborazione delle “condizioni favorevoli”, per uno e per tutti.

Tale senso merita anche il nome “vocazione” come usata da M. Weber (Beruf) per dire che il Capitalista è l‟erede laico dell‟ora et labora benedettino: c‟è un punto in cui mi distinguo da M. Weber, ma non sto scrivendo un saggio: in breve, per M. Weber il laico è secondario, o “secolarizzato”, mentre per me è primario benché subito attaccato e ammalato nel pensiero.

In questo mio Blog dall‟inizio di settembre non faccio che sostenere, e anticipare, l‟idea che occorre risolvere Freud, e noi con lui, nella quaterna legale spinta-fonte-oggetto-meta, liberandoci

290 dal Cielo infernale dell‟Oggetto, per un nuovo ordinamento in cui al posto dell‟Oggetto prevalgano partner-lavoro-pensiero-profitto, in modo che gli oggetti nella loro pregevolezza restino nella contingenza.

In questa nuova legge, l‟“inconscio” non è più ciò che comunque era in quella vecchia, ossia pensiero: pensiero sì ma diviso e rimandato e impotente, benché ancora valido in quanto indomabile nel suo eroismo sconfitto.

Con Freud l‟eroe è il bambino - è il Piccolo Hans, non Achille nel suo stupido vanaglorioso eroismo -, non l‟adolescente greco con il suo adol-essenzialismo pateticamente metafisico.

Il senso del nostro lavoro è anche un legame sociale, quello degli Amici del pensiero di natura come ordinamento di una Modernità.

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Martedi 2 ottobre 2007

IL MALE DEL “BENE”, E IL GIORNALISMO

In questo nuovo inizio d‟anno, riassumo il nostro “dogma” di partenza, che è un‟alternativa: dogma già del bambino, poi della psicoanalisi, poi del pensiero di natura: “Il bene non si tratta di farlo, ma di agire in modo che si produca come profitto per mezzo di un altro”, ossia si tratta di promuovere un appuntamento produttivo con un partner.

“Il Bene” ideale o astratto è l‟Oggetto malefico plurimillenario, che occupa le nostre vite come un esercito d‟occupazione, o un Regime totalitario.

“Il Bene” as-soluto è un Oggetto matrice dei peggiori relativismi: come sempre, è la competenza individuale nel giudizio a essere sconfitta: il bambino è uno sconfitto.

Lo diceva già il racconto delle origini (Genesi): dal giudizio “buono” al “Bene” pre-giudiziale e presupposto.

L‟Inferno è “Il Bene” ab-solutus, indiscernibile, ingiudicabile: “Il Bene” è infernale: si vede che Dio perdona davvero, se non ci ha ancora annegati tutti per averlo definito come “Sommo Bene”.

Le donne invece non ci perdonano, noi uomini, quando le prendiamo come Sommo Bene: le catastrofi amorose dipendono, non dalle donne, bensì da “La Donna” (stupidità maschile), che nella sua non-esistenza esercita la più nefasta delle assenze.

Piuttosto che “Il Bene”, preferisco retrocedere al materialismo volgare e ingenuo, quello del sindacalista d‟altri tempi che diceva che “Il bene si giudica dalla busta-paga”: quantomeno sosteneva il solo “punto di vista” che tenga, quello economico.

Anche questa volta faccio del giornalismo: leggendo il Quotidiano, o guardando il Telegiornale, vedrete sempre in opera questa alternativa.

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Mercoledi 3 ottobre 2007

LA TEORIA, O LA PRIGIONE DEL CORPO: GUARIRE DA PLATONE

Prendo come esempio la Teoria dell‟anoressia: faccio osservare che non ho scritto: la Teoria dell‟anoressica(-o): questa se la trova in “testa”, inoculata, trasmessa, come un virus nel computer.

“Trasmissione” non designa sempre un bene.

Tale Teoria è formulabile con chiarezza e distinzione: si mangia per bisogno (tra i deliri teorici c‟è anche quello del bisogno o fabbisogno sessuale, con una frigidità analoga all‟anoressia).

Un certo padre diceva alla figlia, poi anoressica ma che prima apprezzava il cibo: non si vive per mangiare, si mangia per vivere (all‟… Inferno!).

Si mangia per “pulsione” (ecco Freud), ossia si mangia per una legge di moto corporeo il cui principio è di piacere ossia che ha la meta (o conclusione del moto) come soddisfazione (non l‟inverso).

Quella frase di un pessimo sedicente “padre” è la Teoria educativa dell‟alimentazione.

L‟anoressica non sostiene affatto la Teoria che la assassina, al contrario la riconosce come ostile e la combatte: ma la combatte suicidandosi, come un kamikaze che può liberarsi dal nemico solo uccidendosi con esso (Sansone prima dei Giapponesi e dei kamikaze islamici).

Ecco dunque un esempio di Teoria come Oggetto occupante, incombente e persecutorio, ed ecco in generale la Teoria come prigione del corpo: non è l‟anima a essere nella prigione del corpo, è il corpo a essere nella prigione della Teoria: Platone è iniquità e menzogna: quasi duemila anni fa noi cristiani ci siamo cascati in maggioranza per ingenuità, in qualche caso ci siamo stati per cattiveria.

La Teoria è l‟anima… malvagia del corpo.

Guarire è guarire da Platone: questa è una definizione, non una battuta.

La psicoanalisi ha iniziato dall‟intimare lo “habeas corpus!” (portamelo qui!, liberalo!) alla Teoria che ha imprigionato proditoriamente il corpo, ossia senza né imputarlo né imputarsi.

Noi lavoriamo alla Magna Charta dell‟Ordine giuridico del linguaggio, con lo habeas corpus che gli è proprio e che precede logicamente quell‟altra e quell‟altro.

Termino con un esempio “popolare”di Oggetto: io non bacio una donna (neanche quando la bacio), e non… eccetera (seguono tutte le espressioni correnti, per lo più deplorevoli), e neppure (come ho scritto inadeguatamente in un primo tempo) onoro il corpo di una donna:

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bensì onoro una donna nel suo corpo, come la onoro nella sua casa, nel suo giardino, nel suo pensiero, nelle sue parole, nella sua cucina: questa è una serie, come si direbbe passare da una stanza all‟altra, senza stanze proibite: ho appena descritto gli atti puri del 6° Comandamento.

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Giovedi 4 ottobre 2007

AMORE MATERNO, O L’OSCURANTISMO UNIVERSALE

Gli Illuministi non erano arrivati a tanto, intendo sull‟oscurantismo: qui si tratta di oscurantismo universale e attuale, di Medioevo che continua (ma l‟Illuminismo non ha saputo criticare l‟occultismo).

Oscurantismo nel significato più semplice e diretto della parola: anziché sapere che cosa significa la parola “amore”, né se significhi, la si oscura però mantenendola, e si oscura anche la nostra ignoranza di essa, “chiarendola” con una parola oscura per eccellenza, “madre”, approfittando del puro dato biologico.

Nei millenni, “Madre” è la parola dell‟oscurantismo e dell‟occultismo (il Nazismo, non da solo, ne ha fatto grande uso, ma già la storia della letteratura, e delle religioni).

Nei millenni nessuna parola è stata tenuta più al buio di queste due (madre, amore) che, come i ciechi evangelici, non possono farsi né fare da guida.

Ho citato più volte J. Lacan quando diceva: “Non voglio che mi amino, voglio che mi trattino bene (Je ne veux pas qu’on m’aime, je veux qu‟on me traite bien)”.

Alle donne non è mai stata risparmiata la sacra ingiuria “Madre” in quanto distinta da donna: ecco perché nell‟ultimo anno mi sono fatto Avvocato difensore di Medea: ma è sempre difficile difendere la vittima quando si è alleata con l‟offensore.

“Madre” (che in sè è solo biologia, proprio come “Padre” cioè una democratica cellula per parte), se significa, significa proprio ciò che significa “Padre”: fonte di eredità, di possesso legittimo, oppure nulla.

A costo di gettarmi nella favolistica: una regina non è una madre, è una donna come Queen Victoria, con tanti figli.

Chissà, forse anche la Madonna ha il potere di mandare il Diluvio universale come sanzione della sua blasfema maternizzazione: la maternizzazione della Madonna è il principale delitto della storia del Cristianesimo: a dodici anni suo figlio era già d‟accordo con me.

Dire che la Madonna è Madre di tutti, è la formula cristiana del parricidio.

Tra le eredità, una donna così come un uomo può far ereditare al figlio o figlia, tra altre cose, il pensiero benefico della differenza sessuale: ma in generale tutto è fatto affinché in ciò figli e figlie siano massacrati. (o che il “complesso edipico” sia distrutto).

Non c‟è delitto che non si compirebbe pur di uccidere la portata universale della differenza dei sessi.

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Venerdi 5 ottobre 2007

LA “BELLA” INDIFFERENZA ISTERICA, E LA VOCAZIONE O ECCITAMENTO

Se il vino che mi piace fosse isterico diventerebbe aceto, anzi peggio perché a me piace anche l‟aceto di vino, e allora ricomincio: vorrebbe che diventassi astemio (astinente, anzitutto dal pensiero non dalle solite… cose), perché così non lo(-la ) ec-citerei, caso in cui la-lo chiamerei fuori dalla bottiglia aprendola: l‟allusione è scoperta, ma non è anzitutto sessuale: se fosse anzitutto sessuale, sarebbe omosessuale, come tutto lo spiritualismo.

Se io non aprissi la bottiglia in eterno, ossia non la soll-eccitassi, non saprei mai sa il vino è diventato acido: santa acidità eterna, l‟isteria sopporta il tempo solo come bottiglia chiusa.

L‟isteria è intollerante: non tollera di venire citata, chiamata.

Purché non sia chiamata, potrebbe perfino entrare nel mio letto a luci rosse (esperienza corrente, nell‟esperienza comune come nella letteratura e nel cinema).

L‟isteria si mette al posto di Dio biblico sostituendo al 5° Comandamento (“Non ammazzare!”) uno nuovo (“Non eccitare!”): cioè proibisce la prima virtù morale, che è ec-citare cioè chiamare, una virtù veramente… divina, la se-duzione o vocazione: ma chi mai ha reso sinonime queste due parole?, la Civiltà è isterica.

Ho sempre osservato che l‟isteria ce l‟ha con Dio, anche quando recita rosari.

La “ „bella‟ indifferenza” isterica non è credibile: è una linea dura e pura (questa è un‟endiadi?, pensateci), espressione usata in passato per i Comunisti con la loro “linea” appunto dura e pura.

Continuerò, in particolare sulla “Bellezza”, ossia uno tra i tanti Oggetti infami che vado tolemaicamente disegnando nel loro Cielo infernale.

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Sabato-Domenica 6-7 ottobre 2007

SABATO DOMENICA 6-7 ottobre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Studi sull’isteria, Dora OSF 1 e 4

Sulla bellezza

Pongo una questione mai posta: che ne è della bellezza in una bella donna isterica?

Come ogni psicoanalista non faccio il Prof., non “spiego” la lezione, non propongo la mia Teoria, bensì pongo adeguatamente la questione al mio cliente (spazientito con me nel mio volerlo… non paziente) che, come ogni cliente, ha sempre ragione: a una tale donna (in più casi) ho posto in seduta la domanda: in che cosa si sentisse diversa da un bell‟insetto, ottenendo la risposta: insetto sì, bella no.

Evviva la verità!. fino a un certo punto l‟isterica è intellettualmente brava, come è documentato nei casi di Freud per primo.

Non saprei che farmene di un Paradiso pieno di Urì isteriche, anzi, le Urì sono delle isteriche in servizio permanente effettivo (la questione è stata posta alla lontana e non molto bene dal film “Blade runner”), dei Cyborg femminili o dei Graal di delizie, fabbricati da Chrysler e programmati da Microsoft.

Dico queste cose come prolegomeni a ogni possibile disquisizione sulla “Bellezza”, su cui ci si estenua da migliaia di anni senza esito.

Aggiungo che non si potrà disquisirne separatamente dall‟eccitamento, che nell‟uomo(-donna) è vocazione, non causa: la storia del pensiero al riguardo è la storia di questa separazione.

Spingo questa discussione fino a Dio: se Dio non è eccitante non merita alcun interesse, neppure se fosse qui di fronte a noi in tutto il suo stucchevole splendore: potremmo solo rispondergli per logica “Spostati ché mi togli la visuale!”

La “ „bella‟ indifferenza isterica è l‟indifferenza a tutto e tutti dell‟Oggetto “Bellezza” (rinvio all‟articolo di ieri), che ci massacra fin da Elena di Troia.

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Lunedi 8 ottobre 2007

UN MOTO CHIAMATO “AMORE”

Ancora un‟introduzione al Corso dello Studium Cartello “Amore, imputabilità, tecnica” che inizierà sabato 20 ottobre (www.studiumcartello.it).

Il primo passo del Corso sarà quello di riconoscere nella parola “amore” una delle massime oscurità plurimillenarie (e al buio ogni nefandezza è possibile), e di dubitare che essa abbia significato e senso: si tratta di un dubbio non ossessivo, mentre al contrario l‟ossessivo va… pazzo per l‟amore.

Dante ha torto a scrivere “L‟amor che move il sole e l‟altre stelle” ossia la natura: se muovesse qualcosa, sarebbe quella meta-natura che chiamiamo “uomo”: l‟uomo non è natura o creatura, almeno questo da Freud dovremmo avere imparato (la materia è un‟altra cosa).

Ne propongo, per lavorare a partire da un‟idea chiara e distinta, una definizione: “amore” non designa un motore o una causa, cioè l‟oscura tautologia di sempre (l‟amore è… l‟amore), neppure come attrattore o attrattiva, - osservo che l‟espressione triviale “mi tira!” è applicabile tanto all‟eterosessualità quanto all‟omosessualità, quanto alla masturbazione e infine perfino a Dio come at-tiratore benché superiore (pornografia spirituale) -, bensì designa un moto non inibito nella meta, cioè è il nome di un moto senza causa (Oggetto) del moto, mentre la causa avoca a sé l‟effetto abolendo il soggetto come una fonte di esso (Quelle), ossia è un moto senza esclusioni o scarti (“pietra scartata”), senza censura o dogana, senza divisione del pensiero a partire dal rigetto dell‟eccitamento (ripeto ancora che nell‟uomo l‟eccitamento è una vocazione, senza alcun debito religioso in questa parola), e dall‟analisi sappiamo che tutto ciò che viene scartato era una buona idea, mentre il moto inibito da un agente o “trauma” imputabile, a sua volta non è innocente, delinque, offende, mente, impoverisce, divide.

“Amore” è il nome, anzi un nome fungibile, della legge di moto cui siamo pervenuti grazie all‟elaborazione dell‟istituzione legale freudiana articolata in spinta-fonte-oggetto-meta detta “pulsione”, che è il nome di une legge senza causa, legge di cui il soggetto è una fonte (abolita dalla causa), un nome fungibile o intercambiabile, infatti perché non uscire dall‟enorme discarica di equivoci in proposito dicendo semplicemente “trattare bene”? (J. Lacan), e non c‟è “bene” che nella conclusione senza resti di un moto corporeo: “Il Bene” come “L‟Amore” è solo uno degli oscuri Oggetti del Cielo infernale, fonte peraltro del “relativismo” più scalmanato, tutto e il contrario di tutto, Inferno e Paradiso intercambiabili.

Va da sé, per conseguenza, che l‟espressione “amore narcisistico” è l‟ossimoro dell‟umanità, e non perché “amore oggettuale” vada meglio: noi psicoanalisti, al riguardo, siamo in difficoltà e oscurità con la restante umanità.

Si vede come ancora una volta è a Freud che dobbiamo ricorrere, in questo caso per la possibilità del concetto di “amore”.

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Per celare lo stato di cose si è sempre ripiegato nella torbida individuazione dell‟amore in “La Madre”, o “La Donna”, ossia il più opprimente tra gli Oggetti astratti del suddetto Cielo infernale, opprimente anche per le donne e le madri, paragonabile a una bacillocultura totipotente come le staminali embrionali.

La principale fonte di delitto (o “peccato”) è l‟omissione, perché ha l‟alibi “non ho fatto niente!” (indifferenza, disinteresse): tra le omissioni, strategica è quella della differenza dei sessi.

Questo breve articolo resterà l‟unico della settimana: riprenderò lunedì 15 ottobre.

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Martedi 9 ottobre 2007

UN MOTO CHIAMATO “AMORE”

Come annunciato, resta valido fino al prossimo lunedì 15 ottobre il precedente articolo “Un moto chiamato amore”.

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Lunedi 15 ottobre 2007

LO HANDICAP MASCHILE, O L’OGGETTO “UOMO”

Dopo una settimana sabbatica, riprendo in tono leggero.

Gli uomini sono gli handicappati nei confronti della donna: e lo sanno, le donne anche (ma tutti mentono).

Lo sono, non fosse che per i loro problemi di prova (la “prova d‟amore”), di prestanza (tutti sanno di che sto parlando).

E‟ l‟uomo il sesso debole, e non viene perdonato come è documentato da millenni di vendetta della donna-Furia: tanto più Furia nella formazione reattiva come “santa donna”, pia buona misericordiosa sacrificale sofferente (nei casi più coerenti segue figlio autistico). la frase “la Madre ama” è pura vendetta in quanto Teoria contro l‟uomo, anzi contro la differenza: la distinzione tra amore materno e amore paterno aggrava la situazione sistematizzandola: con annullamento del significato della parola (divide et impera).

Si tratta di vendetta senza Diritto, che come tutti sanno proibisce la vendetta, il che dice che al Diritto non siamo ancora arrivati: intendo un Primo diritto, positivo non “naturale”, di cui parlo da… millenni.

J. Lacan non diceva altro con “L‟uomo è il sesso debole riguardo alla perversione”.

Dall‟inizio di settembre non faccio che parlare del Cielo infernale dell‟Oggetto, e oggi domando: quando “Uomo” è Oggetto?, e rispondo: quando corrisponde all‟ Oggetto o Ideale o Imperativo “Sii uomo!”, ossia un predicato (come lo è “Sii donna!”).

In termini clinici, che uso raramente, è un imperativo psicotico: può finire in strage (spesso attestata dal giornalismo), anonima e perlopiù di massa ma non necessariamente (ci tornerò).

A differenza dal regno animale, in cui ci si infischia quasi assolutamente della differenza dei sessi, “uomo” quando non è sottomesso all‟Inferno celeste non significa altro che differenza dalla donna: fino all‟intercambiabilità, logica non biologica (non sono per la chirurgia sessuale).

Questa sarebbe una buona notizia, un valido pensiero, potrebbe portare bene ad ambedue come una grazia: invece no.

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Martedi 16 ottobre 2007

STRAGI E SAGOME

Questo articolo appartiene al contesto del precedente, in cui figura già la parola “strage”.

Uno sogna di fare una strage, a freddo e su sconosciuti, ecco il contenuto rilevante del sogno: sagome, come al cinema la silhouette in ombra di uno della fila davanti che si alza per uscire: non è puramente scherzoso il pensiero “Lo ucciderei!”; “che sagoma!”, si diceva un tempo senza sapere che cosa di diceva, come al poligono di tiro.

Infastidito a dir poco dal dover prendere nota di essere latore di un tale pensiero, il sognatore ha “dedotto” che allora bisognerebbe mettergli le manette, o magari condannarlo a morte.

Ho osservato che invece il Codice Penale dispone la sanzione solo a fatto accaduto, diversamente sarebbe stragista anch‟esso: questa bilateralità (nel sognatore) conferma l‟esistenza di un pensiero stragista.

Mi toccherà correlare il pensiero stragista con l‟Oggetto o Ideale o Imperativo “Sii Uomo!”: questo Imperativo si apre a ogni possibile esito.

Se di esso è fonte il padre, in nome del Padre Ideale si potrebbe perfino uccidere il padre reale, anch‟esso reso sagoma vuota dal Padre ideale, al grido “Che sagoma mio padre!”

La sagoma abolisce il corpo, non si limita a imprigionarlo come in un‟anima di ferro.

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Mercoledi 17 ottobre, 2007

DALL’ADOLESCENZA ALL’ADOL-ESSENZA

Da parte mia, questo è un gioco di parole quasi trentennale (“Lacan in Italia”, 1978).

Da un sogno recente è risultato che la ragazza “puzza” (vecchia storia, già Dante).

E‟ possibile individuare con precisione l‟epoca biologica individuale che dà pretesto a questo giudizio malevolo e odioso (anche nelle “migliori famiglie”): è l‟adolescenza in quanto ad-olescenza, dal latino olescere cioè odorare, che per i latini significava profumare: e ciò come semplice conseguenza gradevole del mutamento ormonale della pubertà (vale anche per i ragazzi).

Il nesso olfatto-sesso fa impazzire, fino alla maldicenza sul sesso con la mediazione dell‟olfatto.

Se è il padre a operare la maldicenza, farà distinzione nella figlia tra dall‟ombelico in su e dall‟ombelico in giù.

Perversione, ma ancora popolare non militata.

Inizio del disamore con pretesto di amore sublime (il sopra del sotto).

E‟ il Cielo della perversione, o dell‟Oggetto (l‟Amore sublime in questo caso)..

In fondo la pedofilia si allea al rimorchio, cioè in subordine a questa maldicenza: lo fa regredendo al bambino come pre-ad-olescente ossia inodore (salvo che sia odore di m…, e qui potrei citare per l‟ennesima volta Platone), ossia è meno imputabile della Teoria perversa che serve e applica.

Si dice che la gioventù è Ideal-ista, essenziale, ma ahimè non è una buona notizia: e sto anche parlando della storia moderna delle Sezioni giovanili dei Partiti, e anche delle Chiese.

Più di tutti, è stato il Nazismo a fare uso politico micidiale dell‟ adol-essenza (la Hitlerjugend).

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Giovedi 18 ottobre 2007

CANNIBALISMO E ANORESSIA

Inizio da un buon sogno cannibalico (non ne dico di più).

Il cannibale dell‟etnologia apprezzava non solo la carne, ma anche le virtù (il pensiero) assunte insieme a tale alimento, cioè si alimentava completamente, pasto veramente completo (“non di solo pane vive l‟uomo”).

“Ti mangerei!” è una dichiarazione d‟amore migliore di tante altre, idealizzanti, e d‟altronde è spesso apprezzata: in essa non c‟è nulla di sadico né di omicida, meno ancora di sagoma: le sagome non si possono mangiare (vedi articolo di martedì 16 ottobre): il pensiero stragista dell‟articolo precedente non è cannibale ma “puro” (attenzione alla “purezza”!)

L‟anoressico che facesse un tale sogno sarebbe sulla via della guarigione.

Cristo ci ha consigliato il cannibalismo sulla sua persona: se ne intendeva!

Mangiare il suo corpo comportava mangiare il suo pensiero: il che da duemila anni quasi nessuno ha fatto, ossia noi cristiani siamo stati pessimi cannibali, pessimi cristiani, buttandola in mistica anzichè in pensiero.

Prima di Freud, solo Cristo ha valorizzato il cannibalismo: era un pensatore, cosa negata da quasi venti secoli.

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Venerdi 19 ottobre 2007

ARBITRIO

La storia della parola “arbitrio” basterebbe a fare da filo conduttore per una storia della paranoia, ma anche dell‟isteria: “che cosa vuole da me?”: e se non ci fosse nessuno a volere qualcosa da lui? (tutto parte da qui).

Una volta si disputava tanto se l‟arbitrio fosse libero o servo: Lutero rispondeva non-libero bensì servo, ma io proprio perché psicoanalista non sono luterano.

Ma certo la tentazione a dargli ragione è generalmente fortissima, e sotto-sotto anche i cattolici più doc gli danno ragione (sarebbe facile dimostrarlo).

Un po‟ di onestà e verità non guasterebbe: quella di riconoscere che della libertà non sappiamo niente (o quasi, ma è una concessione a denti stretti): non che la Modernità non abbia fatto qualcosa, ma non gran che.

Negli ultimi secoli, solo Freud ha risollevato la questione del libero arbitrio, nella forma della questione che sono io a formulare: se il pensiero esista solo come causato, anzitutto in quanto educato o formato, e questa è la questione maggiore del nostro tempo: se l‟educazione tiene il primo posto, allora servo arbitrio.

Siamo dei coatti (patologici), non degli arbitrari, cioè siamo nella miseria psichica.

La libertà ha una condizione tecnica: il che è odiato da ogni spiritualismo, che vuole la libertà come un predicato dello spirito, senza tecnica alcuna (senza mediazione, senza lavoro).

E‟ una condizione tecnico-giuridica che sostengo da molti anni: la libertà dipende dall‟imputabilità (l‟ho imparato da H. Kelsen).

Se l‟arbitrio fosse, sarebbe anzitutto pensiero, logico cioè universale (senza contraddizione) quando non è coatto:

Servo arbitrio significa servo-pensiero: J. Lacan è stato l‟esploratore del servo-pensiero.

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Sabato-Domenica 20-21 ottobre 2007

SABATO DOMENICA 20-21 ottobre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Introduzione alla psicoanalisi, Lezione 1 OSF 8

Raccomando una citazione, con la caratteristica “semplicità” freudiana (che ricorda la vecchia “semplicità” evangelica, mah!)

“Nell‟insegnamento della medicina siete stati abituati a vedere [sottolineatura mia]. Vedete il preparato anatomico, il precipitato nella reazione chimica, l‟accorciamento del muscolo come risultato della stimolazione dei suoi nervi. Più tardi viene presentato ai vostri sensi l‟ammalato, i sintomi del suo male, gli esiti del processo morboso, in numerosi casi persino gli agenti della malattia allo stato puro. Nelle discipline chirurgiche siete testimoni degli interventi con i quali si presta aiuto al malato, e potete tentarne voi stessi l‟esecuzione. Anche nella psichiatria la presentazione del malato, con la sua mimica alterata, il suo modo di parlare e il suo comportamento, vi forniscono una quantità di osservazioni che lasciano in voi impressioni profonde. Così il docente di medicina svolge prevalentemente la parte di una guida e di un commentatore che vi accompagna attraverso un museo mentre voi ottenete il contatto immediato con gli oggetti [sottolineatura mia] e siete certi che la vostra convinzione dell‟esistenza dei nuovi fatti sia frutto della vostra percezione. Ma ahimè4, tutto va diversamente nella psicoanalisi. Nel trattamento analitico non si procede a nient‟altro che a uno scambio di parole [sottolineatura mia] tra l‟analizzato e il medico. Il paziente parla, racconta di esperienze passate e di impressioni presenti, si lamenta, ammette i propri desideri e impulsi emotivi5. Il medico ascolta, cerca di dare un indirizzo ai processi di pensiero del paziente, lo esorta, sospinge la sua attenzione verso determinate direzioni, gli fornisce alcuni schiarimenti e osserva le reazioni di comprensione e di rifiuto che in tal modo suscita nel malato. I parenti incolti dei nostri malati, inoltre, cui fa impressione solo ciò che si può vedere e toccare - di preferenza azioni come quelle che si vedono al cinematografo -, non trascurano mai di esternare i loro dubbi che „soltanto con dei discorsi si possa concludere qualcosa contro la malattia‟ [sottolineatura mia]. Naturalmente questo è un modo di pensare tanto ristretto quanto incoerente. Si tratta di quelle stesse persone che sono sicurissime che i sintomi dei malati „non sono altro che immaginazioni‟ ”.

Il Pensiero di natura è in progresso su Freud, che nella legge di moto detta “pulsione” collocava ancora l‟oggetto (spinta-fonte-oggetto-meta).

Ma nella tecnica psicoanalitica, o psicoanalisi come applicazione nella cura del Pensiero di natura, Freud era già passato al Pensiero di natura: non l‟oggetto bensì due partner di un lavoro produttivo a partire da una materia prima (non oggetto).

4 Questa è l‟unica correzione che faccio alla traduzione OSF, in cui si traduce “purtroppo”: qui Freud fa della comicità, o del motto di spirito (la parola tedesca è “leider”). 5 Correggo la precedente nota, e protesto: Freud non ha scritto “impulsi emotivi” bensì “Gefühlsregungen”, ossia impulsi di sentimento: Freud ha parlato di affetti, e sentimenti, senza mai concedere nulla a una “sfera” degli affetti.

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Non che sull‟oggetto Freud non fosse già critico (per esempio, ma non solo, nel segnalare la debole alternativa tra amore narcisistico e amore oggettuale), ma non quanto bastava per evitare ai seguaci di precipitarsi nel baratro dell‟Oggetto.

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Lunedi 22 ottobre 2007

IL MISTERO E IL GATTO

“Mistero” designa il rapporto del mio gatto con me.

Adilà della ricerca di cibo (tre volte al giorno) e carezze (frequentemente, perlopiù la sera), il mio gatto sta seduto al mio fianco e più spesso sul mio tavolo, mentre mangio o leggo, avvertendo una presenza, e presenza autonoma, inaccessibile a “lui” (con indispensabili virgolette), come presenza ineffabile.

Va de sé: io imputo la parola “ineffabilità” come un delitto della storia.

Da molti secoli i credenti abusano della parola “mistero”.

Essi lo fanno analogando - ma significa: confondendo - il rapporto uomo-Dio al rapporto gatto- uomo (ciò vale anche per il cane).

Sono cose da non… credersi!, ma tant‟è.

Non è affatto il caso del bambino nei confronti dell‟adulto.

Ma quando il bambino comincia a crederlo, questo è il segno che è già (stato) ammalato.

C‟è un caso, e uno solo, in cui avvaloro razionalmente senza misticismo (che è quello del mio gatto o cane) la parola “mistero”.

Tale caso è quello in cui essa designa il pensiero senza causa.

Che esista pensiero senza causa tutti dubitano (a partire dal dubbio ossessivo), intendo l‟intera Storia del… pensiero.

Al pensiero senza causa non “crede” nessuno.

Ma per me non è un dato di fede bensì di osservazione, a partire dal bambino, che non è né mai è stato il gatto dell‟adulto.

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Martedi 23 ottobre 2007

NOIA: QUESTIONE PSICOLOGICA, MORALE, POLITICA, TEOLOGICA

[Scritto per una rivista].

Riferisco un‟esperienza condivisa con molti, il cui sapore non è meno filosofico che psicologico: nella mia seconda infanzia, non nella prima, invidiavo il cane dei vicini nel giardino sottostante la mia finestra, perché lui non si annoiava, non aveva il problema di sapere che fare.

In questo momento, il bambino prende a domandare (alla madre, poi ad altri intendo dei boss) che cosa deve fare.

Che cosa è successo? In lui si è ammalato il rapporto con il tempo: prima il tempo era al servizio del bambino, che non sentiva il bisogno di riempirlo, il tempo era preventivamente benefico come tante altre cose (aveva ancora un rapporto ereditario con il reale); poi il tempo è caduto sotto l‟imperativo o dovere di riempirlo: mi viene spontanea l‟analogia con i lavoratori della vigna evangelica: che attendono senza angoscia né noia che qualcuno li chiami.

Si tratta di due specie diverse e opposte di attesa.

Nel mio caso, per fortuna sono diventato presto un grande lettore, di mia iniziativa ossia non per vincere la noia, il braccio di ferro con il tempo: leggere è una risorsa, è farmi chiamare da ciò che coltivo.

Osservo che il tempo della noia ha due tempi: il primo passivo, si subisce la noia; il secondo attivo, si diventa noiosi ossia attivi nell‟annoiare come atto contundente: la noia è una questione morale.

La noia è anche una questione politica, vedi il “Che fare?” di Lenin: il comunismo stalinista oltre al resto è stato noioso.

Di passaggio, e pronto alla discussione: poche cose trovo noiose come il mare greco: dal quale il pensiero greco si distingue solo perché la noia la milita.

La frase “Non ho il tempo di annoiarmi” annota ma scorrettamente la relazione della noia con il tempo: si dovrebbe poter dire “Ho il tempo di non annoiarmi”: è lo schiavo a non avere il tempo di annoiarsi.

La noia è il clima spirituale dell‟Utopia (ancora Platone, poi T. Moro), in cui qualcuno dà comandi a tutti (gli dice che fare) affinché nessuno abbia il tempo di annoiarsi.

E‟ il bambino dell‟iniziativa, ossia senza noia, quello che piaceva a Gesù (il bambino della prima infanzia, òi mikròi): non il Gesù che zuzzerella con i bambini nella “Passione secondo Matteo” di Pasolini.

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La noia è anche una questione teologica: in Paradiso ci si potrebbe annoiare? (parlo dei Novissimi): l‟eternità platonica è una truffa, perché propone di annullare la noia (e l‟angoscia) annullando il tempo.

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Mercoledi 24 ottobre 2007

FACCI SOGNARE PADRONE !

“Facci sognare!”: che idea balorda di politica!, e di vita personale.

Peggio che balorda, barocca: perché, come dico da tempo, “barocco” significa: non è vero niente!

Il più barocco dei barocchi è stato Calderon de la Barca, che ha scritto uno dei drammi più noti al mondo, “La vita è sogno”, per sostenere - individualmente, politicamente, teologicamente - che non è vero niente!: ossia l‟idea tradizionale, non freudiana, di “sogno”: Calderon è stato il massimo cronachista della sua epoca, ha segnato il goal del nichilismo.

Appunto, non il sogno freudiano (che è il nostro di tutti) che non è affatto un “sogno” come Freud ha tenuto a precisare pur avendo conservato la parola.

La distinzione è specialmente marcata in quel “Facci!”: infatti i nostri sogni nel sonno sono interamente opera nostra, pensiero in atto in ordine a una meta: nessuno ci “fa” sognare, mentre “facci” sognare è andare in cerca di un padrone.

Nel “Facci!” si domanda qualcuno che semini Oggetti come i Doni di Pandora: almeno si domandassero panem et circenses!

I grandi Capi del Novecento hanno fatto sognare molto, anzi è questa la funzione del Capo nella psicologia delle masse.

La freudiana “Psicologia delle masse” andrebbe scritta una seconda volta, non per correggerla neppure in una virgola, ma per aggiornarla: perché oggi la psicologia delle masse ha fatto… progresso, non per la felicità delle masse.

“Psicologia delle masse” di Freud dovrebbe diventare un testo-base di una nuova cultura politica.

Che idea balorda quella di “sinistra” pronta a diventare di “destra” (caso di Mussolini), ma conservando Ideali di “sinistra” se non “rivoluzionari”.

Una modesta consolazione mi viene dal sapere che Marx e Lenin non erano di “sinistra”.

Ricordiamo che Mussolini ha cominciato da leninista: infatti una canzone di era fascista diceva: “Lo dico anch‟io / che ho sbagliato / quand‟ho gridato / viva Lenìn!”.

Sarebbe bene ri-pensare da-capo, non dal Capo o dall‟Oggetto.

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Giovedi 25 ottobre 2007

AMOR DI FRASE

Solo una frase può amare.

Si può amare solo una frase.

In altri termini: ancora una volta è vero che “in principio era il verbo”, frase.

Dire che l‟amore è frase, è dire che l‟amore è logico, e logica: siamo tutti degli illogici, Logica ufficiale compresa.

La persona dell‟amato o dell‟amante è il correlato indiretto, mediato, della frase, è beneficiario solo mediatamente.

Una frase è trattamento, atto: ci sono anche, e soprattutto, maltrattamenti, atti malevoli, con esclusione dell‟amore.

Questione: primariamente, l‟amore è l‟incluso della frase o l‟escluso?

L‟innamoramento, ufficialmente privo di frase, è nemico dell‟amore: è mutismo autistico.

La resistenza è quella di una frase al passaggio a tutt‟altra frase.

L‟amore è passaggio da una frase a un‟altra.

La psicoanalisi attualizza l‟altra frase, quella dell“amore di trasporto” (“transfert” fa cattiva frase).

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Venerdi 26 ottobre 2007

LA COMPETENZA GIURIDICA E ECONOMICA DELL’INDIVIDUO

E‟ il titolo della Conversazione promossa da Gabriella Pediconi all‟Università di Urbino (vedi www.studiumcartello.it, News di ottobre).

Il titolo termina con la domanda: Esiste?, ed è vincolato al mio “Il pensiero di natura”.

Certo esiste e riconosciutamente: la domanda riguarda i suoi limiti, e anzitutto l‟esistenza o no di tali limiti.

Esempi: qualsiasi cittadino italiano può diventare Presidente della Repubblica (e del Consiglio Superiore della Magistratura), come pure Imprenditore, anzi il campo dell‟imprenditoria è più ampio perché in esso non è esigita l‟elezione né l‟autorizzazione (il che noi diciamo, con Freud, anche per gli psicoanalisti), inoltre non ha limiti territoriali: scherzando ma non troppo, possiamo dire che imprenditori e psicoanalisti sono o almeno sarebbero colleghi.

Il pensiero di natura, senza e con le virgolette, è e asserisce una tale competenza illimitata: salvo riconoscerla limitata sì ma “solo” patologicamente (non giuridicamente), con il risultato che siamo dei “buoni a niente” (J. Lacan, “L’homme est un bon à rien”).

Tuttavia in tale Conversazione a me piace essere l‟ultima ruota del carro:

non solo perché un tale tema mi precede ed esiste anche senza di me, ma anche perché si può dimostrare che basterebbe coltivare tale tema a fondo - ma so che non esiste “fondo” bensì soltanto limitazione come inibizione - per ottenere come risultato la psicoanalisi e il pensiero di natura (inversione logica).

Lo psicoanalista è solo il supplente di una competenza universale inibita e negata, quando non esplicitamente avversata: a volte viene il sospetto che si debbano supplire anche gli psicoanalisti.

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Sabato-Domenica 27-28 ottobre 2007

SABATO DOMENICA 27-28 ottobre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud A piacere

CHI E’ ?

Questa domanda è triplice:

1° chi rappresenta? (si tratta di un recente ritrovamento a Londra, 2006, con attribuzione certa);

2° di chi è figura una tale figura?;

3° chi è per essere stata scelta in questa Rubrica sabato-domenicale?

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Lunedi 29 ottobre 2007

L’ ORGONE E IL DOCETISMO

W. Reich pensava all‟”Orgone” come a una unità dell‟energia vitale sessuale data in tutta la natura, come Ideale o Oggetto estrapolato dal nostro umano e pregevole (benché non per tutti) orgasmo.

A Freud piaceva poco che si compromettesse in tal modo la sua “libido”, che nulla aveva a che fare con la libidine, in quanto era piuttosto un nome del pensiero in quanto fautore del rapporto, con la sessuale componente logica detta “castrazione” (assenza di pretese sessuali), e con eventuale sanzione premiale anche sessuale: non c‟è rapporto sessuale, il rapporto, se è, precede: ecco la castità psicoanalitica, che nulla ha da ridire contro l‟orgasmo se non quando è assunto come Ideale o Oggetto: che peraltro non favorisce l‟orgasmo se non sottoproletario e perfino accattone, la camporella va già meglio malgrado le zanzare.

L‟“orgone” era il nome reichiano per contemplare il Cielo dell‟Oggetto: abbastanza infernale, nel suo caso, da condurlo a morire in prigione per truffa, in Pennsylvania nel 1957, per i suoi “accumulatori orgonici” quali condensatori dell‟“energia orgonica” (in forma di bare) capaci di curare anche i tumori.

Era un tipo dotato, W. Reich, ma era caduto nell‟Oggetto come si direbbe cadere in palude.

Non era un truffatore bensì un truffato militante (come tutti più di tutti), nel suo caso per avere trattato l‟orgasmo come Sommo Bene: e in ciò era preceduto da secoli dalla Teologia, e Teologia mistica, che nell‟orgasmo trovava il modello stesso del godimento di Dio: per cui Dio sarebbe Uno che gode in eterno come un… pazzo, e come godimento senza partner: l‟assenza di partner essendo assunta come criterio di moralità ontologica.

W. Reich è stato in fondo un Teologo secolarizzato (e inconsapevole).

La parola “orgone” dice bene che cosa è la celebre “concupiscenza”: non il contingente, non necessario, ingiudicabile e fresco desiderio sessuale, ma l‟orgasmo sublimato come Ideale, ossia una Teoria lesiva e imputabile: ecco perché nel Vangelo la concupiscenza è imputata, ossia non la natura nelle sue inesistenti “inclinazioni”.

Ora dovrei passare al docetismo (nella sua sottospecie orgonica), per mantenere la promessa del mio titolo, ma sarà per un‟altra volta: resta che il docetismo (suggerisco di informarsi) è la più interessante di tutte le eresie, e in fondo l‟unica: esso ha un‟infinità di applicazioni, molto pratiche e storiche e quotidiane, e non solo né anzitutto teologiche.

So di stare affrontando la massima questione dell‟umanità: se l‟orgasmo non è il Sommo Bene, in che consiste la soddisfazione?, e ha senso chiederselo?

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Martedi 30 ottobre 2007

LA DUPLICE RADICE DELL’ETERNITA’

Le due radici sono l‟angoscia e l‟orgasmo (questo articolo fa seguito a quello di ieri):

1° una radice dell‟eternità (cioè una Teoria) è l‟angoscia: la soluzione alla quale è cercata nella rimozione, che cerca l‟eternità benché ancora nel tempo, con tentato annullamento di questo nel perenne rinvio all‟unità temporale successiva, a un futuro senza futuro (è il “domani” di Rossella o‟ Hara come esempio insuperato di rimozione): ciò fin che dura, e non dura: ed ecco il “ritorno del rimosso”, cioè il debito rinviato non è più rinviabile, come tutti i debiti;

2° l‟altra radice è l‟orgasmo che offre, come illusione per il pensiero, di colmare la lacuna (c‟è ancora il tempo benché svuotato) per mezzo dell‟idea di una estaticità extratemporale con (almeno!) una soddisfazione: è un segreto di Pulcinella che l‟estasi mistica è orgastica, e non illusoriamente in tale caso: ciò che è illusorio è l‟idea che essa rappresenti un momento di eternità senza tempo, solo perché per un momento il pensiero fa vacanza: quando questa idea è coltivata nella fissazione (“eterna”), abbiamo il godimento dell‟idiota (“jouissance de l’idiot”), orgasmo perenne senza contingenza, vacanza eterna del pensiero (ecco l‟idiota).

La rimozione tenta di realizzare l‟eternità nel tempo orologiaio o lineare kantiano, e anche volgare.

Il tempo del futuro semplice (“sarà”) è il tempo dell‟angoscia, il tempo del futuro anteriore (“sarà stato”) è il tempo della soddisfazione, che l‟eternità annulla: è il tempo di lavoro-profitto-rapporto, uniti tra un primo e un secondo tempo.

Nella mia infanzia era celebre il film “Dio non paga il sabato” cioè un‟affermazione iniqua: secondo me non va bene se non paga già dal lunedì: tutt‟al più è da discutere se paga sotto forma di salario, sempre basso come tutti sanno.

W. Allen ha ironizzato su tutta questa storia di orgasmi psico-teo-mistici (“Tutto quello che avreste voluto sapere sul sesso ma non avete mai osato chiederlo”): si tratta dell‟episodio in cui uno scienziato pazzo offre al suo giovane bell‟assistente un orgasmo temporale di quattro ore, riducendolo così a un mostro di deformità e contratture degno della creatura del Dr Frankestein del romanzo di M. Shelley.

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Mercoledi 31 ottobre 2007

IL MEDICO E L’INIQUITA’ MEDICO-TEOLOGICA

Freud ha coerentemente continuato a chiamare “Medico, Arzt” lo Psicoanalista, anche quando questo non aveva fatto gli studi di medicina.

I medici sanno distinguere nei loro pazienti, chi più chi meno finemente, tra patologia medica e psicopatologia, dopo di che si regolano come possono, più o meno secondo scienza e coscienza: o gli somministrano qualche ansiolitico, o li mandano da uno psicologo o psicoterapeuta, o raramente da uno psicoanalista.

A volte, ma molto più raramente, pensano logicamente di diventare - se ciò fosse sarebbe per forza di logica - dei Nuovi medici: proprio come ha fatto Freud che appunto come Medico ha iniziato, e ha continuato a condizione di un passaggio da un modo a un nuovo modo.

Ne è venuto lo psicoanalista come nuovo medico, nuovo come nuovo modo, il quale non abbisogna degli studi medici, che pure approva senza riserve: tanto da non considerare - notabene - la psicoanalisi come una “medicina alternativa”.

La psicoanalisi è quel caso di habeas corpus che libera il corpo dalla sua prigionia nella causalità naturale, nel rapporto causa-effetto proprio della medicina, e non perché questa sbagli - per aprire un nuovo processo puramente umano libero dalla causalità.

So di una giovanissima anoressica, una credente cattolica, che al tentativo di curarla ha obiettato che solo Dio potrebbe farlo, ossia per miracolo: ho sentito poche bestemmie più gravi: in essa Dio viene accusato di agire con gli uomini secondo il determinismo causa-effetto in cui, come nel caso del miracolo, Dio si pone al posto della causa: non ho obiezioni se si tratta di carcinoma, ma le ho tutte se si tratta di anoressia, o di isteria, o di schizofrenia: e la cosa curiosa è che almeno in questo la tradizione cattolica è con me e con Freud (ossia a Lourdes Dio miracola solo malattie a base organica).

Dio, se esiste, non dovrebbe venire accusato di sostenere la prigionia causa-effetto: l‟ateismo in paragone è un peccato veniale: Dio potrebbe ritenersi offeso dall‟essere pensato come un imprigionatore iniquo nella causalità.

Conoscevo una schizofrenica persa, che passava il tempo pregando, cioè tra l‟ansiolitico e il teatro: non rifiuto valore alla preghiera, ma ne parlerò una prossima volta.

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Giovedi 1 novembre 2007

PREGHIERA: ARROGANZA E SAPERE

Usa dire “togliersi i sassolini dalle scarpe”: ma qui mi sto togliendo un macigno (do seguito all‟articolo di ieri).

La preghiera è sempre stata concepita religiosamente: questo è un errore storico colossale, anzi immenso (che significa mai misurato).

Si tratta di una domanda rivolta a qualcuno che ha un potere dispositivo: ma quale domanda?

E‟ triplice:

1° e‟ rivolgersi direttamente alla più alta istanza esistente (Sultano, Imperatore, Re, Principe, o almeno Presidente o Capo del governo, cosa ormai debole anzi debile), non a un‟istanza intermedia e tantomeno a uno strapelato;

2° proprio per questo l‟orante potrebbe venire accusato di essere un presuntuoso, un superbo, un arrogante che guarda in “alto” (“Come ti permetti?”): invece è un ad-rogante (domandante) senza arroganza (già Giobbe);

3° se non è uno stupido che non sa quello che fa, egli formula la sua domanda o petizione con competenza o sapere, e sapere formale, ossia è un intellettuale: formula una domanda formalmente adeguata al pensiero o desiderio o volontà del destinatario di essa: infatti non ha senso rivolgere al Principe una petizione che non sia conforme al suo Regno ossia alla sua volontà in quanto Principe.

Allora la preghiera comporta sapere tale pensiero: chi prega, se prega, sa.

Constato che siamo degli incompetenti in fatto di preghiera.

Ci sarà un seguito: Macbeth, Regina di Saba, Madonna, Rivoluzione francese, Rivoluzione d‟ottobre eccetera.

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Venerdi 2 novembre 2007

LA LUNA E LA PULSIONE

“Che fai tu luna in ciel?”, beffardamente domandava Leopardi, avendo già risposto ancora prima di domandare: “Nulla!”

Finalmente il buon senso del buon non-senso!: niente di drammatico o tragico, ossia isterico, in questo: la “disperazione” leopardiana è semplicemente il candido rifiuto dell‟accattonaggio di speranza.

La speranza non è un‟esigenza o una domanda in natura: se è, è un‟offerta alla natura: questa frase è troppo densa?, troppo breve?, comunque sarà da riprendere: in ogni caso è un‟alternativa in cui cambia tutto.

Natura, il tuo nome è banalità!: non banale è la banalizzazione né più né meno che il crimine, constatazione ovvia come dire che la ferocia non è nella natura degli animali ma solo tra gli uomini: nel bene o nel male, essi sono meta-natura, e senza resti.

La questione del senso nella natura l‟ha introdotta Freud per primo con la cosiddetta “pulsione”: con essa la natura si fa individualmente una questione di soddisfazione.

La natura è frigida, e immobile in quanto catatonica: quale che sia il suo moto, essa non è legislativa del suo moto, mentre nella pulsione c‟è competenza individuale nella legislazione del moto del corpo.

In particolare, nella natura i sessi sono assolutamente frigidi, al più con rare eiaculazioni precoci come tra cavalli.

Ripeto che cambia tutto: la psicopatologia stessa è interna a questa verità.

In fondo lo psicoanalista (= freudiano) dice truismi odiati.

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Sabato-Domenica 3-4 novembre 2007

SABATO DOMENICA 3-4 novembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Ho bisogno di liberare una settimana: riprenderò lunedì 12 novembre, in attesa lascio intatto l‟articolo di sabato-domenica 27-28 ottobre.

Aggiungo solamente un rimando: questo breve articolo richiama il Corso dello Studium Cartello 2000-2001 dal titolo “Chi! inizia”: dove “Chi!” prende il posto, nella guarigione, dell‟impersonale e forzoso “Es” freudiano nella psicopatologia e nella Cultura che le corrisponde.

Siamo poveri di Chi!

Nell‟immagine qui riprodotta si passa dall‟orrenda metafora visionaria e occultista del “Volto”, alla rappresentazione pittorica di connotati individuabili e descrivibili come quelli di una formale personalità, come tali non oggetto della percezione visiva e tanto meno visionaria prima della scoperta intellettuale di tali connotati.

Duemila anni di latente e latitante occultismo e docetismo sono tanti!

Lettura:

S. Freud A piacere

CHI E’ ?

(Vedi quadro di Caravaggio di Sabato Domenica 27-28 ottobre)

Questa domanda è triplice:

1° chi rappresenta? (si tratta di un recente ritrovamento a Londra, 2006, con attribuzione certa);

2° di chi è figura una tale figura?;

3° chi è per essere stata scelta in questa Rubrica sabato-domenicale?

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Lunedi 12 novembre 2007

SI VIVE PER MANGIARE

Un padre che predicava ossessivamente - veramente: predicava - che si mangia per vivere e non si vive per mangiare, aveva la figlia anoressica: e l‟anoressia non perdona, si vendica, a partire dalla corretta premessa che il padre aveva torto anzi mentiva, perché invece si vive per mangiare: quella dell‟anoressica è una giusta critica divenuta però polemica a vita, una polemica che si ritorce contro sé stessa e contro tutti a un tempo: è solo per questo che l‟anoressia è una patologia.

Non sto predicando a mia volta, né contropredicando, anzi sto dicendo un‟evidenza comune: sorvolando per ora sul caso di coloro che sopra-vivono alla soglia di povertà, noi quando mangiamo, e più volte al giorno, non mangiamo affatto per vivere, non mettiamo neppure in conto il bisogno o fabbisogno alimentare, ma semplicemente sappiamo senza neppure pensarci che esso sarà colmato: ossia, collocato il cibo nel complemento, mangiamo per supplemento cioè per il piacere di mangiare, viviamo per mangiare: abbiamo delle preferenze, inventiamo perfino l‟aperitivo.

Spingiamo la domanda fino a chiederci: quale è l‟aperitivo del mattino?, lo assumiamo?

Nel caso del mangiare il bisogno è biologico, e la materia sensibile è biochimica e chimica.

Insomma, con rapido linguaggio freudiano mangiamo per “pulsione” (orale), o principio di piacere, di cui il principio di realtà è semplicemente un aggiornamento, non una rinuncia.

Non compio un passo oltre ma mi mantengo allo stesso livello intellettuale, se dico che non si legge per studiare (complemento, bisogno sociale o professionale), ma che si studia per leggere (supplemento, principio di piacere): si legge per profitto, e senza esami di profitto: senza di che diventiamo gli anoressici del sapere né più né meno che gli anoressici del cibo.

Leggere è alimento non metaforicamente, né più né meno che il cibo.

Annotiamo la comunione tra mangiare e leggere: non sono a livelli diversi, basso e alto, ambedue fanno l‟uomo colto nel principio di piacere, poi di realtà: cambia la materia sensibile, da biologica a grafica (ma non ho detto che ogni materia è sensibile): se qualcuno vi diffama la parola colta “piacere”, interrompete la conversazione con lui: non ho detto “uccidetelo!”, avrà anche lui il suo tempo, auguriamogli non millenario.

Da sempre si dice “basso ventre”, con equivoco tra pancia e sesso: stupidi nevrotici che siamo!, ma solo perché li accomuniamo nel basso.

Ma il sesso ha un vantaggio sul ventre:

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del cibo c‟è fabbisogno (anche se quando mangiamo neppure ci pensiamo), mentre del sesso non c‟è alcun fabbisogno: quante volte l‟ho paragonato allo champagne?, di cui non c‟è fabbisogno alcuno.

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Martedi 13 novembre 2007

CONTEMPLAZIONE CRIMINALE

L‟articolo precedente verifica che “non di solo pane vive l‟uomo” (non si tratta di alto e basso).

Fine del delirio di un “istinto di conservazione”: oltretutto vivere per mangiare serve la conservazione individuale molto meglio dell‟imperativo “mangiare per vivere”.

L‟imperativo contiene la benché grossolana consapevolezza che la causalità naturale dell‟organismo è inetta a farci mangiare: ma anziché riconoscere questa verità sostituisce alla legislazione del principio di piacere un comando, fingendo che sia una legge naturale: l‟imperativo fa causa, non naturale.

Se il soggetto non prende la strada dell‟obiezione al comando (anoressia), si sottomette ad esso (con soluzioni o patologie diverse).

Approfitto della lingua per far scoprire che l‟osservanza del precetto sposta il soggetto a osservatore di esso ossia a suo contemplante: l‟imperativo diventa Oggetto come Oggetto di contemplazione (e via con la Mistica!)

In fondo, nulla di diverso dall‟osservanza di una ricetta medica o dietetica, salvo che qui si tratta di osservanza di un imperativo morale, o immorale, non cambia nulla: è stato I. Kant a sostenere, ahimè persuadendoci, che la moralità dell‟imperativo sta tutta nell‟essere imperativo (“Devi!”).

Quando il comportamento sessuale segue il medesimo schema del “mangiare per vivere”, la sua legge è lo stupro: del resto, c‟è un modo di mangiare che lo ricorda; astinenza alimentare e sessuale in quanto tali non correggono nulla, anzi la morale del sacrificio sacrifica.

Tutti gli Oggetti del Mondo dell‟Oggetto obbligano allo spostamento contemplativo: scopriamo così che anche nel peggiore agire siamo dei contemplativi!, anche Hannibal Cannibal come già Jack the Ripper.

L‟Oggetto sublime diventa ineffabile: non perché non sia dicibile, ma perché per dirlo lo dovremmo dire per quello che è, menzogna e inganno, anche piuttosto volgare.

Lo ripeto soltanto: il corpo sottomesso all‟Oggetto è il corpo sottratto alla cura del pensiero, pura natura, corpo vile, prigioniero del comando come potenza occupante: è qui che noi psicoanalisti, privi di ogni Potere, intimiamo “habeas corpus!”, chiamando il malato ad associarsi alla medesima intimazione: è in questa associazione che una psicoanalisi riesce.

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L‟espressione “essere per la morte” di Heidegger si addice a questo corpo, e come morte eterna anche per chi crede nella vita eterna.

Non cambio argomento se osservo, sullo stesso terreno anzi sulla stessa terra - non indistinta ma senza dislivello tra terra e cielo - che per molti miei confratelli cristiani è inammissibile proprio quell‟asserzione di fede che di questa è l‟alfa e l‟omega, ossia che Gesù sarebbe non solo risorto, - fin qui avremmo solo un banale corollario dell‟onnipotenza divina, come si dice “Lui sì che può!” -, ma soprattutto asceso come uomo per il desiderio di restarlo come guadagno, il che significa, senza possibili e equivoci, con sensibilità-motricità-pensiero-linguaggio, che comportano il tempo.

Ho già scritto che l‟idea di eternità senza tempo è solo un antico trucco speculativo per aggirare la questione dell‟angoscia in quanto legata al tempo, ossia per promettere sì salvezza ma senza salute, cioè Gesù sarebbe un divino idiota ossessivo con una concezione sacrificale anziché conveniente dell‟amore.

Ciò che è degno di nota nell‟asserzione, è il fatto che questa include, appunto come asserzione, la certezza della possibilità di una vita senza angoscia, legata come questa è al tempo, - dire che Dio è eterno è dare la magra assicurazione solo per definizione che almeno lui non è angosciato -, cioè la salvezza come salute, che è la meta coltivata da Freud: il credente nel suo dubbio proprio sull‟asserzione di fede, viene allora menomato del contenuto del credere, e dunque diventa un miscredente al quadrato benché in deplorevole buona fede.

La meta non è Oggetto bensì salute, la salus senza distinzioni, nuovo regime, dopo di che fac quod vis.

Freud amicus, non Plato.

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Mercoledi 14 novembre 2007

LA CATTIVA ISPIRAZIONE

La cattiva ispirazione è come la contemplazione criminale (articolo precedente).

La cattiva ispirazione è come la cattiva Idea: ci sono buone idee, ma è l‟Idea con la maiuscola - l‟Oggetto-guida della contemplazione - a essere cattiva, e fino allo stupro se non al massacro: è solo per un‟Idea che si fa un genocidio: la Mafia è non più onesta, ma meno disonesta, perché perlomeno non è animata da Ideali.

La parola “ispirazione” è massimamente equivoca: Van Gogh non si ispirava, copiava (è noto), e proprio ciò ne ha fatto Van Gogh; Michelangelo nel Giudizio della Sistina ha copiato Signorelli a Orvieto, non si è ispirato: le Scuole di tutti i tempi hanno sempre volgarmente sbagliato condannando il copiare (dal libro o dal compagno di banco).

Il fanatismo è ispirato.

L‟“identificazione” - vecchia parola freudiana - è solo cattiva ispirazione: essa trae ispirazione da un Oggetto malato, improduttivo, infecondo: nel noto esempio freudiano, c‟è identificazione alla tosse dell‟amica come Ideale per non avere un fidanzato: diciamola così, si identifica nella tosse ma non indossa i tanga dell‟amica: mentre chi copia, copia una buona idea, non un Ideale: in questo caso diventa un assassino, o un suicida (è Freud ad avere scoperto l‟equivalenza).

In fondo il segreto di Hitler è stato quello di essersi posto nel luogo (banale) dell‟Oggetto, cui tanti si sono ispirati facendosene autonomamente comandare ancora prima di ricevere specifici comandi massacranti: ma non voglio approfittarmi di questo torvo esempio storico, ve ne sono altri ufficialmente nobili, o morali.

La moralità rimane ancora da pensare, da millenni.

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Giovedi 15 novembre 2007

UOMO INGANNABILE

A parte l‟homo erectus, l‟homo sapiens eccetera, l‟homo esiste come ente ingannabile: da millenni lo si inganna fin dall‟infanzia, ma non c‟è stato Filosofo che lo abbia annotato, continuando a diffamarlo come “animal” foss‟anche “grazioso e benigno” (Dante).

Ingannabile lo è non come animale benché razionale “uomo” significa niente di animale: ma millenni di bestialità intellettuale, anche di celebri Filosofi, confermano ciò che dico, che è un ente ingannabile fino a credersi animale.

Però il fatto che esiste come ingannabile, malgrado tutto non è una cattiva notizia quantunque drammatica: 1° perché ciò significa che potrebbe anche non essere ingannato, anche se non conosciamo eccezioni, 2° e soprattutto che, a partire dal suo essere ingannabile, il suo rapporto con la verità passerà tutto per l‟imputabilità (dell‟ingannatore).

Donde il Tribunale Freud.

Fine della “Verità” come Oggetto di contemplazione, esente dall‟imputabilità.

Il libro della Genesi è con me, non con Platone.

Platone, il grande Ingannatore con i suoi Oggetti sublimi (Bene, Vero, Bello), non potrebbe essere contento di ciò che scrivo: odiava l‟imputabilità, e anche il lavoro (che concepiva come solo servile).

Noi Cristiani siamo stati cretini, tanto da farci ingannare subito da Platone (chrétien-crétin).

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Venerdi 16 novembre 2007

L’ATTACKAMENTO

Quella dell‟attaccamento è la Teoria (Bowlby sulla scorta della Teoria delle relazioni oggettuali, Abraham, Klein, Balint, Winnicott, Fairbairn…) di un legame (madre-bambino) come il legame primario o modello universale di tutti i legami.

Cose da TSO!

L‟attaccamento è pensato sul modello dei bisogni fisiologici, e ovviamente correlato con la Teoria delle emozioni: dove avevano la testa?

C‟è un solo attaccamento, quello dell‟Attak o magari Attack, colla sì ma con assonanza con la parola italiana Attacco!, e con la parola tedesca Attacke, che significa aggressione seguita poi da occupazione militare, a sua volta seguita dagli attaccamenti collaborazionisti che risultano dall‟occupazione stessa.

L‟idea dell‟amore come attaccamento è una sporca idea: vero che l‟ Attak è duro, ma poi si sbriciola:, e non va bene né duro né sbriciolato: prima tiene ma… duramente, poi crolla (esperienza comune).

Nell‟amore come attaccamento mi attacco al mio attaccante: l‟alleanza col nemico è sempre stata nota, ma non si è mai osato a riconoscerla già nel bambino.

L‟“attaccamento” di cui si favoleggia nell‟omonima Teoria psicologica ritenuta psicoanalitica, come pure nel linguaggio triviale che si considera “concreto”, altro non è che attaccamento a un Oggetto astratto (l‟Oggetto “Amore”), quello di cui parlo da tempo.

C‟è favola nel fatto che si crede favolisticamente che l‟attaccamento sia affezione a una persona: mentre “persona” significa relazione formale, non l‟ignobile cic-ciac dell‟attaccamento, o del “contatto”, o dell‟“empatia”.

Le prostitute hanno capito almeno questo: fanno sì cic-ciac commerciale, ma sanno che in questo “contatto” non c‟è attaccamento, né empatia, né amore.

Nell‟attaccamento c‟è annullamento della persona.

Tornerò sul “concreto”.

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Sabato-Domenica 17-18 novembre 2007

SABATO DOMENICA 17-18 novembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Concludo l‟articolo proposto due volte, con domande, i sabato-domenica 27-28 ottobre e 3-4 novembre.

CHI E’ ?

(Vedi quadro di Caravaggio di Sabato Domenica 27-28 ottobre)

Per cominciare, si tratta della Vocazione dei santi Pietro e Andrea, solo recentemente attribuita con certezza a Caravaggio: Esposizione a Roma, Termini Art Gallery, 22 novembre 2006-31 gennaio 2007, accompagnata dal Catalogo “Come lavorava Caravaggio”, Viviani Editore, Roma 2006; nella Presentazione del Catalogo viene osservata “una tipologia speciale e insolita della figura di Cristo: è il meno che si possa dire (ma come sono timidi i Critici e Storici dell‟Arte!)

Non deve interessarci il “Chi” ufficiale del dipinto, bisogna invertire la prospettiva: se Caravaggio, o mille altri pittori, avesse dipinto la faccia di un imbecille, ciò poteva solo significare che per Caravaggio Gesù era un imbecille (Caravaggio era troppo bravo per sbagliarsi, e così Michelangelo).

E allora anziché ridurci, come si fa da sempre, alla risposta ufficiale “Ecco un Gesù” seguita da tante immaginette imbecilli, vediamo il Chi rappresentato ancora prima di conoscere il titolo del dipinto.

Vediamo un individuo, non un tipo; un retore, un logico, un politico, che sa accompagnare il suo discorso con gesti, con mimica, e con le mani vistosamente (gestualità senza gesticolazione incolta); è un colto, perfino sofisticato; è un moderno, all‟epoca un Romano (certo non un Greco), al Foro o al Senato, potrebbe chiamarsi Caio o Giulio o Cesare, o Cicerone, o Catilina, appunto un retore, un logico, un politico; Caravaggio lo ricava dal suo dire effettivo e individuale (nei Vangeli), non da ciò che poi è stato supposto essere, lo riconosce interessante per ciò che dice, non per ciò che simbolizza o per una tipologia; dico “ciò che dice”, non “La Parola” mistica e occulta; lo rappresenta come un uomo solido e capace, che sa il fatto suo, che sa ciò che dice e come lo dice, con accuratezza, nitidezza, e appunto individualità; compresa l‟accuratezza nel vestire, nel radersi (chiaramente si rade, non è glabro); ha una faccia con nitidezza discorsiva, non da mistico occultista “Volto”; la fa finita con un Gesù Santone-Profetone-Dione hollywoodiano, niente di ieratico né di sacrificale né di autistico (il Gesù tradizionale è un autistico se non uno schizofrenico, o un paranoico); non mette in scena un Oggetto ideale, un occulto “Volto”; associo ma solo per sinpatetica opposizione questo Gesù di Caravaggio al sarcastico Oggettone, anabolizzato pompiere celeste, cui Michelangelo riduce Cristo nel Giudizio della Sistina, che ho commentato più volte:

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se Michelangelo lo avesse disegnato come uno Scarafaggio divino, la sua impietosa critica della Cristologia corrente con la correlata iconografia non sarebbe stata diversa.

Ecco di chi è figura una tale figura, e con ciò dico che non sono iconoclasta, ma neppure barocco (coincidentia oppositorum).

Ma perché ho scelto una tale figura?, dato che non sono un cristianuccio?, ricordate “Ucci ucci sento odor di cristianucci” ?

Risposta, che do da anni: perché qui Caravaggio rappresenta un pensatore, ossia l‟unica ragione per cui Gesù mi interessa: qui abbiamo una faccia che rappresenta i connotati del pensiero, non un mistico stupido stupidizzante “Volto”.

Poi, per afferrare tutto questo, c‟è voluto Freud.

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Lunedi 19 novembre 2007

IL GOVERNO IN FUMO, O LA TEOLOGIA POLITICA

Leggiamo su tutti i giornali di oggi, domenica 18 novembre, che il Comune di Napoli ha proibito il fumo nei parchi di Napoli, con massima pubblicità nazionale, e con ammende.

Premesso che adoro Napoli e i Napoletani come li ho conosciuti, penso che Totò e Eduardo avrebbero pensato come me.

Posso capire, senza approvare, che negli USA il fumo sia proibito nei quartieri-bene di San Francisco, San Diego eccetera, e forse perfino nel deserto intorno a Las Vegas: ma a Napoli!, con il problema di tonnellate di immondizia marcescente nelle strade, su cui il Comune non ha potuto legiferare efficacemente nulla.

E‟ il problema del Potere, o del Governare, come tale: in difetto di Governo, resta solo da dimostrare che il Governo esiste, così come si dimostra che Dio esiste, fede per le masse, proletarie ma anche (piccolo-)borghesi.

Ma non sto parlando della declassata Italia anzitutto meridionale: parlo del Mondo per esempio degli USA: dopo anni dall‟invasione dell‟Irak, e della dimostrata sciaguratezza economica e politica di questa risibile e sanguinosa e costosa e pericolosa strategia, sono pervenuto alla persuasione che questa brillante iniziativa dell‟Amministrazione americana aveva il medesimo scopo del Comune di Napoli, quello di dimostrare l‟esistenza di un Governo.

Non sto parlando soltanto dell‟ultimo ventennio della storia politica nazionale e mondiale, perché con questo ragionare risalirei fino alla dimostrata dissennatezza della Prima Guerra Mondiale, da cui discende ancora il nostro presente mondiale e individuale.

Allorché Freud ha parlato dell‟impossibilità di governare (insieme a quella di educare e di psicoanalizzare), non era depresso bensì logico nonché politico: infatti impossibilità non significa impotenza, significa impensabilità fino a nuovo ordine: ordine di pensiero.

Che la nevrosi possa essere curata è questione non meno rilevante ed estesa di quella del governo del paese e del mondo.

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Martedi 20 novembre 2007

IL CELLULARE DELL’OSSESSIVO

Ripropongo la mia formula della nevrosi ossessiva o ossessione, nella sua distinzione da quella dell‟isteria o nevrosi isterica: questa è “Aspettami io non vengo” (in generale non-venire in ogni senso possibile, tra i quali lo svenire comunemente inteso), quella è “Ti aspetto ufficialmente, ma agirò in modo che tu non possa venire”.

Giorni fa ne ho proposto un esempio in cui molti si sono riconosciuti, infatti hanno subito riso: la nostra Civiltà recente ha prodotto il cellulare, ma poi e spesso il suo proprietario “dimentica” di attivarlo, o lo lascia da qualche parte, così che il chiamante non troverà nessuno, cosa drammatica o almeno fastidiosa se era inteso un appuntamento.

Cento le tecniche discorsive dell‟ossessione: come quella del parlare così fitto da non lasciare intervallo temporale tra la fine di una frase e l‟inizio di un‟altra, in modo che l‟interlocutore non potrà intervenire che a prezzo di un‟interruzione, non c‟è posto per lui, non può venire anche se invitato.

La concezione tradizionale della logica non prevede appuntamenti: la logica già antica obbedisce all‟imperativo “Che altri non c‟entri!”: la logica è nata nemica dell‟amore, con la menzogna che sono due “sfere” distinte.

La disputa (disputatio, dialettica medioevale) finge l‟appuntamento simulandolo con il tavolo delle trattative, o con la teoria dei giochi, o con la mistica dell‟armonia prestabilita: l‟amore, se è quando è, non è armonia prestabilita; l‟amore ossessivo, “oblativo”, impone l‟armonia prestabilita, producendo danno per tutti.

Un altro esempio di tecnica ossessiva è quella del “dialogo” in cui un interlocutore si affretta a dichiararsi d‟accordo o in disaccordo, poco importa: tra i due casi il più interessante è quello del dichiararsi d‟accordo, perché con esso si pretende di mostrare di avere capito in anticipo, cioè di non essere disposto a recepire nulla (recepire, lucrare, è il senso dell‟appuntamento): ma spesso anche il dichiarare disaccordo dichiara la presunzione di avere capito in anticipo.

Il mettersi d‟accordo e il disaccordo sono gli opposti estremismi contro l‟essere in accordo come si dice essere in una stanza (formale e non solo fisica).

Isteria o ossessione, si tratta sempre di riduzione del Patto a concertazione (anche bellica) tra confini patteggianti.

Quando ciò succede tra uomo e donna, è già finita prima di cominciare.

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Mercoledi 21 novembre 2007

VISTA E VISIONARIETA’

Oggi ho un provvisorio handicap visivo, e devo essere breve in un appunto succinto.

Approfitto dell‟occasione odierna di un intervento oculistico appena ricevuto, dopo il quale prenderò a vedere meglio se non bene, fino a riprendere la guida dell‟auto alla quale ho dovuto rinunciare da due anni.

Fin qui una buona notizia.

Invece sarebbe una cattiva notizia quella di una visione ulteriore, visionaria, contemplativa, di un Oggetto tanto più brutale in quanto propone la sua pura contemplabilità oltre i miei occhi percipienti.

Desidero percezioni - percettive e economiche a un tempo-, non visioni.

Tutta la Psicologia novecentesca è l‟enorme errore, se non delitto, del non correlare percepire sensoriale e percepire economico.

Non sono un allucinato, né un occultista, né un mistico swedenborghiano.

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Giovedi 22 novembre 2007

L’ALTRA CIVILTA’: OCCHIO O ORECCHIO

L‟altra Civiltà è pensabile, anzi è già pensata e praticata.

Non oppongo occhio e udito: tra essi è una questione di primato, non di opposizione.

Nel primato dell‟udito abbiamo un‟altra civiltà, o meglio la avremmo: infatti, all‟opposto, da millenni (Platone) prevale malignamente l‟occhio, il theoréin, la contemplazione, l‟Oggetto Sommo.

E, “in solido”, abbiamo l‟amore corrotto come innamoramento, occhi negli occhi: l‟innamoramento è teoréin, non la favoleggiata astratta “concretezza” degli innamorati; l‟innamoramento si impone come la corruzione dell‟amore nella civiltà del primato della visione.

Nel primato della visione l‟occhio è malocchio, e occhio per occhio: finisce con la morte, almeno del rapporto mai iniziato.

La celebre “concupiscenza” non è istinto, ma primato della civiltà della visione.

Quando l‟orecchio si fa avanti, si cerca di respingerne la legittima pretesa dando sì posto all‟orecchio, ma solo in quanto musicale, sorta di delirante visione uditiva.

Nella civiltà del primato dell‟udire, nell‟occhio avrebbe primato la lettura, cioè l‟intelligenza come intus-legere.

Nell‟altra civiltà i sessi non sono più compromessi.

L‟altra civiltà è pensabile, anzi è già pensata e praticata: è il caso della psicoanalisi, come modesta ma unica rappresentanza odierna dell‟altra civiltà.

Noi psicoanalisti ne siamo all‟altezza?: è una domanda retorica.

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Venerdi 23 novembre 2007

IMBECILLE E CATTIVO

Continuo a (ri-)fare la lingua, come già avrebbero dovuto fare Adamo e Eva: certo lo faccio nel mio “piccolo”, ma che senso ha dato che rifiuto “grande”?

Imbecille e cattivo fanno coppia: rammento più conversazioni - che erano risse camuffate - in cui sono stato inascoltatamente contestato per avere sostenuto che il Diavolo - questione di concetto non di esistenza - è un idiota: la dura replica più volte ricevuta è che il Diavolo è intelligente, molto intelligente, diabolicamente intelligente.

Io mantengo che è un idiota, ossia l‟idiozia come operazione intellettuale e culturale, con tanto di addetti appositamente pagati.

C‟è la stupidità nevrotica, c‟è il “perdere la testa” dell‟innamoramento, c‟è… e non è finita.

La civiltà dell‟udire (articolo precedente) vincola l‟intelligenza al rapporto tra partner, dico partner non oggetti della visione reciproca: è narcisistico anche l‟amore “oggettuale”, in cui l‟altro è solo la parete o Oggetto che rimanda- riflette la mia palla.

L‟intelligenza della Psicologia novecentesca e ancora odierna è solo uno degli Oggetti che ci sovrastano, riflettono e idiotizzano.

La civiltà della visione fa della stupidità uno dei fattori della civiltà, proprio come la povertà resta uno dei fattori della civiltà.

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Sabato-Domenica 24-25 novembre 2007

SABATO DOMENICA 24-25 novembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Qualsiasi pagina sul sogno OSF

Sogno e stomaco

Scrive G. Flaubert (1821-1880) nel “Dizionario delle idee comuni” che consiglio a tutti come livre de chevet:

“Incubo [intende sogno, ndr]: viene dallo stomaco”.

Quando qualcuno sa dire una cosa tanto intenzionalmente e provocatoriamente idiota facendosi prendere sul serio, merita il primo posto in una biblioteca d‟eccellenza.

Così facendo ha inventato un test che umilia tutti i test finora prodotti (psicologici, per gli esami universitari, per i concorsi anche di Rambo, eccetera).

Freud ha soltanto osservato, umiliando i millenni, che il sogno - che non è affatto un “sogno”, ha precisato - è semplicemente un caso si pensiero: che come tale va trattato, come pensiero ossia logicamente.

La viltà intellettuale del Novecento sta nel non avergli rivolto obiezioni logiche: “La Logica”, ufficialmente presumentesi tale, non è stata all‟altezza del suo nome presunto da millenni: Aristotele ha il nostro rispetto, ma non è il nostro Filosofo, così come non è Virgilio il nostro accompagnatore.

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Lunedi 26 novembre 2007

SCACCHI, GUERRA, ECONOMIA, INTELLIGENZA (FLAUBERT)

Ancora da G. Flaubert (come ieri), “Dizionario delle idee comuni”:

“Scacchi: Immagine della tattica militare. Tutti i grandi Condottieri erano abilissimi [giocatori]. [e soprattutto]: Troppo serio come gioco, troppo futile come Scienza”.

Notevole, notevolissimo, se solo si prende nota del fatto che G. Flaubert è morto nel 1880, mentre la Teoria dei giochi, detta anche Strategia, è nata più di sessant‟anni dopo, nel 1944, con il libro “Theory of games and economic behavior” di J. von Neumann e O. Morgenstern del 1944 (un matematico e un economista).

La stessa guerra in Irak è stata decisa strategicamente (matematicamente) sulla base della Teoria (matematica) dei giochi: e ormai sappiamo che - spargimento di sangue a parte che a nessuna Strategia importa - non è stata una “mossa” molto intelligente.

L‟intelligenza continua a essere rimandata (= rimossa).

Anni fa osservavo che le stesse nevrosi ragionano strategicamente:

fallimentarmente.

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Martedi 27 novembre 2007

’68: I FIGLI DI UNA PROMESSA

Riporto ciò che ho scritto per una Rivista sul ‟68: ho riassunto il nocciolo di ciò che ne ho detto all‟Università di Urbino (13 dicembre 2003).

Nel Maggio francese io “c‟ero” (rue Gay-Lussac, fiamme, auto ribaltate, vetrine sfondate…, ma anche cose degne di considerazione).

In quegli anni - non più i nostri - i “giovani” erano discendenti di una promessa, cristiana comunista fascista laica laicista (penso di essere esperto di età della promessa): ma sulla promessa la Bibbia (Genesi) è stata chiara e distinta: la buona promessa è quella vincolata all‟eredità ossia al possesso legittimo, e infatti promessa era una Terra designata con precisione (ora non sto parlando dello Stato di Israele, che comunque considero indiscutibile): senza questo vincolo una promessa è un‟illusione, o peggio un inganno cioè un dolo: è l‟eredità a fare Legge o Patto: la sola promessa è simulazione detestabile.

Un bel giorno sono andati a riscuotere, ma hanno trovato solo promessa, non eredità: i padri dei sessantottini (oggi è come dire gli Assiro-babilonesi) erano stati latori - senza saperlo, concediamolo - di una promessa senza eredità: ebbene, i loro “figli” li hanno poi sanzionati, e gli hanno fatto vedere i sorci verdi, e così ai loro insegnanti: risultato: una Scuola e Università distrutta anche anzi soprattutto in quel poco in cui valeva qualcosa.

Dopo la Terra promessa è venuta la parabola dei talenti (e anche “erediteranno la terra”), quanto mai ebraica nel suo preventivare il raddoppio del capitale legittimamente acquisito: la maggior parte dei padri non sono ricchi, ma per essere padre basta essere uno che racconta logicamente ai figli la parabola dei talenti: forse diventeranno come il figliol prodigo, che però aveva riscosso legittimamente l‟eredità, inoltre anche un errore confessato fa capitale, d‟esperienza almeno: oggi abbiamo tanti babbi e mamme (“figure paterne” e “figure paterne”, ruoli: che figura!): il padre non è definito dal sesso ma dall‟eredità, che fa paterna anche una donna restando donna meglio di prima: un uomo e una donna se qualcosa hanno in comune, è il padre.

In questa parabola l‟eredità è “a babbo vivo”: questo avrebbe dovuto essere il proprio del cristianesimo (a me c‟è voluta la psicoanalisi).

Nel febbraio ‟68 bussavo alla porta di J. Lacan, 5 rue de Lille: lui ha passato la vita a meditare sul padre benché non conclusivamente, io ne ho raccolto la meditazione come eredità, penso concludendo.

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Mercoledi 28 novembre 2007

FIORI, GATTI, STELLE

Ammetto senza difficoltà la creazione, e non vedo perché no: ovvero: regno vegetale, regno animale, regno minerale (con esplosioni nucleari, banalità fisica tra mille altre).

Il regno umano non è creazione: ecco ciò in cui sono freudiano.

Anni fa una mia “amica” molto spirituale-cristiana, a cena con altri mi ha obiettato il mio caro gatto di casa: le ho risposto che io amavo Dio più di lei: lei lo amava solo nel regno vegetale (fiori), mentre io lo amavo anche nel regno animale (gatti): non mi è diventata più amica: in breve, le avevo fatto una diagnosi di zoofobia, e la cosa non le è piaciuta, credente o non credente.

I tre regni, che senso hanno se lo hanno? (risparmio citazioni di Leopardi): è quello che il mio terrazzo conferisce loro quando ricevo degli amici: lì i fiori, qui il gatto, “lassù” le galassie, se la serata è tersa.

La creazione non ha altro senso che questo: quello che deriva dal mio terrazzo.

Ossia è l‟uomo a conferire senso alla natura, non la natura a conferire senso all‟uomo: in fondo, non si discute d‟altro da millenni.

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Giovedi 29 novembre 2007

UN SOGNO COME TRIBUNALE ECCLESIASTICO

Una paziente, o cliente, sogna di recarsi insieme al marito nell‟appartamento effettivamente poi occupato dalla coppia dopo il matrimonio, e sito al secondo piano dello stabile:

senonché nel salire le scale è assente la seconda rampa, anzi è assente solo per lei mentre gli altri, marito compreso, riescono a proseguire.

Qui l‟“inconscio” - cioè il pensiero rimasto sempre valido, ma troppo costosamente e timidamente impegnato a spendersi per giocare la censura, ossia per tenere conto della Forza di occupazione - ha agito come un Tribunale Ecclesiastico:

ha concluso che non c‟era stato nessun matrimonio, con sentenza di nullità.

Nel pensiero di questa donna - e indubbiamente anche del marito - mancava il pensiero “coniugio”, e dunque non c‟era stato coniugio.

Resta poi da distinguere tra nevrosi e psicosi:

qualcuno capisce qualcosa di ciò che dico?.

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Venerdi 30 novembre 2007

PII DESIDERI, O LA DOLOSA E DOLOROSA FORTUNA

Questa espressione , “Pii desideri”, ha avuto molta fortuna: ma pochi sanno che all‟origine non significava affatto desideri illusori o flaccidi.

Essa dava titolo, Pia desideria, al libro principale del 1675 di P. J. Spener, teologo protestante fondatore del movimento detto Pietismo come corrente luterana: trovo superfluo dare illustrazione da banchi di Scuola, come pure ribadire che io non sono affatto un Pietista.

La parola “desideri” ha avuto cattiva sorte, e i desideri anche, in coppia con la parola “amore”, e l‟amore anche.

Circa questo, rammento la… fortuna avuta dall‟espressione “amore platonico”: essa è passata a significare l‟“amore” tra due timide animucce gemelle, spirituali all‟estremo fino a non sfiorarsi neppure: mentre significa (Platone) la co-itazione omosessuale maschile, considerata però tanto tanto spirituale (anzitutto tra maestro e discepolo), fino a far sì che se ne “acquisisce virtù” (ancora Platone, “Repubblica”).

C‟è qualcosa di millenariamente doloso nella “fortuna” delle parole.

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Sabato-Domenica 1-2 dicembre 2007

SABATO DOMENICA 1-2 dicembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Ogni pagina OSF

L’a-uomismo

Mi sono già pronunciato nella forma del concetto, ossia laicamente, su parole di aura religiosa:

1. scarto ogni uso della parola “mistero” quando questa non significhi qualcosa che non è causato, non prigioniero di un ordine causale, qualcosa che inizia come fonte, e il solo fatto di questo genere a me noto è il pensiero, e Freud è il primo uomo che si è liberato della prigionia dell‟anima, a favore del pensiero;

2. scarto ogni uso della parola “fede” quando questa non significhi giudizio di affidabilità: potrei prendere in considerazione un cosiddetto “Dio” - sottolineo cosiddetto - se si proponesse realmente, anzitutto discorsivamente, secondo i connotati dell‟affidabilità: li ho già enumerati e descritti: innocenza, consistenza ossia non contraddizione o non paradosso, non ingenuità, et coetera; rifiuto l‟Imperativo “avere la fede”, “La Fede” come Oggetto incombente; è come laico, ossia nel giudizio, che posso avere fede (il che significa che fino a oggi ce n‟è poca a dir poco); “Dio” è una parola non-consueta per l‟Ebraismo, resa poi desueta da Gesù: è solo dopo quest‟ultimo che essa è diventata consueta, in era cristiana, sulla scorta dei Greci e in contrasto con l‟Ebraismo, anche con quello innovativo dello stesso Gesù (che peraltro non aveva fede alcuna).

3. Mi è ora offerta l‟occasione di pronunciarmi sulla parola “ateismo”, da un articolo recente su un importante e stimato teologo cattolico odierno, in cui si parla di fede, mistero, ateismo.

Fin da giovanissimo questa parola mi lasciava indifferente - era un‟epoca in cui la parola andava forte -, eppure non ero affatto un indifferente (e così oggi).: si sono già persi secoli su questa parola, e su versanti opposti della “barricata”; così come si continua a perdere tempo tra creazionismo e evoluzionismo: l‟interessante non è la creazione della natura, ma la generazione dell‟uomo, in cui è implicata, non implicante, una materia alle cui leggi il generato non si sottrae.

Devo ancora a Freud le premesse per scoprire (non dedurre, tanto meno teologicamente) l‟uomo come genitus (erede) e non factus.

Se spartiacque ha da essere (non come barricata, con armi da fuoco anche solo dialettico), esso non è tra teismo e ateismo, né tra fede e ateismo o non-credenza, bensì tra uomo, cioè uomo- pensiero, e a-uomismo (neologismo mio):

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a-uomismo significa che l‟uomo è natura, soggetto alle leggi causali di questa, indifferentemente alla distinzione tra creazione e evoluzione: rispetto all‟uomo questa distinzione è frivola.

Grave non è tanto il panteismo di B. Spinoza, Deus sive natura, bensì l‟homo sive natura, che M. Foucault ricavava correttamente proprio da Spinosa.

Freud è l‟unica difesa moderna nei confronti dell‟a-uomismo moderno, ma già antico e perfino teologico: insomma, grande è la confusione sotto il cielo: tanto grande che Spinosa è stato preceduto nel sive natura dal cattolicissimo F. Suarez: che farebbe “Dio” senza uomo?, Povero Dio!: in ciò sono superortodosso, perché - almeno così si dice - Gesù ha desiderato, e come desiderio personale, di restare uomo in saecula saeculorum.

“La Fede” come Oggetto incombente, imperativo, non giudizio, è patogena come tutti gli altri Oggetti incombenti: “La Madre”, “L‟Amore”, “La Donna”, eccetera, nel plumbeo Cielo di stelle fisse dell‟Oggetto ideale e imperativo.

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Lunedi 3 dicembre 2007

MATERIALISMO, ACINI, PETROLIO, DONNE (E UOMINI INUTILI)

Torniamo al materialismo, anzi arriviamoci (finalmente!): infatti Marx non c‟era veramente arrivato, pur contrapponendolo correttamente all‟idealismo- oggettivismo: da quanto è che parlo del Cielo infernale dell‟Oggetto?

Oppongo materia a oggetto.

La materia è materia prima, ossia “cosa” sì ma che contiene lavoro investito: prima non c‟era materia, ma solo percezione sensibile indifferente (isteria tecnica, non ancora patologica).

Esempi:

1. l‟acino d‟uva dapprima non era materia, ma solo percezione (perceptum) di un “coso” non di una “cosa” (il massimo errore della Storia della Filosofia), ma poi qualcuno ha pensato (cioè ha investito un lavoro) che lo si poteva mangiare, e da allora l‟uva fu, materia prima, non solo per la consumazione ma anche per il commercio; questo processo si è poi perfezionato grazie al lavoro di pensiero che da questa materia prima si poteva passare metafisicamente - non naturalmente - al vino, e ancora più metafisicamente allo champagne, che è un aldilà rispetto al vino;

2. ancora un secolo fa il petrolio non era materia ma solo percezione sensibile, anche un po‟ fastidiosa, al più buona per i mangiafuoco delle fiere: poi qualcuno ha pensato (mi pare dopo l‟invenzione del motore a scoppio) che poteva diventare carburante ossia passare a materia prima, e da allora il petrolio fu (si noti il verbo “essere”);

3. non continuo con gli esempi salvo uno: un giorno, sulle donne, qualcuno dev‟essersi detto: “to‟ che idea!” (la differenza), e la donna fu (non dico proprio come l‟acino e il petrolio).

Non so quante donne apprezzeranno l‟essere considerate materie prime, ma fossi loro (e perché no?, anche se biologicamente a me è andata in modo diverso) ci penserei anzi ripenserei.

Il problema degli uomini è diverso: è quello di essere flüchtig hingemacht (Presidente Schreber commentato da Freud), abborracciati alla bell‟e meglio, tiré à la six-quatre-deux come traduceva J. Lacan, insomma inutili.

Per quanto le donne possano essere delle s…, l‟imputabilità è anzitutto degli uomini a partire da Adamo: che le donne non perdonano, cosa che gli uomini non capiscono, e fin dai Padri della Chiesa che in ciò hanno sbagliato tutto.

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Martedi 4 dicembre 2007

IMBRANATO

Voce gergale alpino-veneta, che significa imbrigliato, inibito nel moto.

Essa rende un cattivo servizio: penso di renderne uno buono ai miei pazienti quando non glielo lascio passare proprio in quanto vorrebbe significare “sono fatto così”, cattiva anzi malvagia “oggettività”.

Cioè è una voce della censura, censura del fatto che prima c‟è stato un trauma che ha reso imbranato.

Il trauma di cui parlo è imputabile: è contro l‟imputabilità che agisce la censura.

L‟essere imbranato mi ri-guarda: è un oggetto che guardo affinché mi guardi a sua volta, e comandi.

Idem “intelligente” o il contrario, “buono” o il contrario, eccetera.

“Imbranato” è un avvenimento, databile, quantunque inibitore di avvenimenti.

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Mercoledi 5 dicembre 2007

IL PIZZO ALLA MAFIA CELESTE

Ognuno può stilare la lista delle rinunce o dietro-front che compie - pena l‟angoscia - in ossequio a quello che ormai chiamo il Cielo infernale dell‟Oggetto, obiectum-obiezione - obbedito con obbedienza contemplativamente cieca -, rinunce non meno di pensiero che pratiche, fino a danni descrivibili e calcolabili economicamente, quando non ematicamente.

Le costellazioni, o Oggetti, o Ideali presupposti di questo cielo fisso sono i più diversi, anche con variabilità individuale: al primo posto continuo a porre L‟Amore presupposto, ma subito arrivano La Sessualità, La Donna, La Madre, ma anche L‟Intelligenza, La Conoscenza, L‟Università, La Grandezza, Il Bello…: tutti coloro che afferrano questo concetto saranno in grado di proseguire da soli l‟elenco.

Di getto aggiungo anche: La Fede: è stata questa La Fede - J. Lacan avrebbe scritto Lafede, lafoi e perfino l‟a-foi - ad aver fatto versare tanto sangue, insieme a La Religione.

Sono rinunce accompagnate da vere e proprie negazioni o deformazioni perfino della realtà più ovvia delle cose.

La ferocia dell‟Oggetto si manifesta crudamente quando questo è Il Figlio ideale: il figlio reale, per l‟irrilevanza che assume in paragone con l‟Ideale, potrà con indifferenza esser fatto diventare un autistico, o uno psicotico: che sono dei manufatti (con tecniche appropriate descrivibili): in questa crudezza di linguaggio mi allineo retoricamente a questa etica feroce.

Facendo concessione per una volta all‟umorismo nero, è appropriato considerare quelle rinunce come il pizzo pagato alla Mafia celeste: l‟ammontare del pizzo può arrivare all‟estremo: ma a sua volta la si farà pagare, anzitutto arruolandosi a modo suo nella Mafia.

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Giovedi 6 dicembre 2007

BEATE EMOZIONI

La Teoria delle Emozioni è semplicemente un regresso oscurantista e patologico rispetto a Freud, che nella separazione tra le “sfere” di affetto e intelletto individuava l‟essenza stessa della psicopatologia: ossia che la salute, se è o può essere, è l‟unità formale di pensiero e affetto: l‟affetto è la forma che la mano assume quando stringe un coppa, e cento altri esempi, tra i quali, e per ultimo, quello di un corpo nella relazione erotica con un altro corpo.

Gli affetti sono la vita del pensiero: non c‟è “vita e pensiero” (errore millenario).

Ci sono più affetti: angoscia, noia, malumore…

C‟è l‟affetto del pensiero sano?, visto che i precedenti sono affetti del pensiero patologico.

Invito i miei lettori a pensarci.

Dico da anni che “sano” può venire scritto “san(t)o”, fuori parrocchia e senza barocca concettosità: un tale affetto non è certo il dolciastro confetto “gioia” della tradizione spiritualistica, che detesto fin da giovanissimo.

La distinzione cuore / intelletto, cuore / pensiero, teorizza, stabilizza, e perfino beatifica la psicopatologia, in sede laica quanto religiosa, indifferentemente.

Ho imparato a desiderare ben altri san(t)i.

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Venerdi 7 dicembre 2007

CHE PSICOANALISTA!

Uno psicoanalista lo è a partire dal momento in cui non ammette più questa esclamazione, supposta estimativa, a suo riguardo: valida sì a riguardo di medici, chirurghi eccetera, cioè specializzazioni: uno psicoanalista non è specialista, è genericista.

Lo è dal momento in cui si riconosce come un assertore di truismi negati: e non chiedetemi il significato di “truismo”, informatevi: se lo farete - pochissismi lo fanno o lo faranno - scoprirete che cosa significa negare un truismo, il che quasi tutti fanno.

L‟accento è tutto spostato sulla negazione, l‟altra grande figura logica insieme alla contraddizione: Aristotele non merita il Nobel per la logica, semplicemente per non avere concepito la negazione (ci voleva Freud per completare la logica).

Risolta la negazione - cosa ancora impensabile! - tutte le verità sono truismi: ossia alla portata di tutti, senza due livelli di verità, né specialisti della Verità: l‟idea di due livelli della verità è il massimo della menzogna.

La menzogna è la Verità fatta Oggetto.

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Sabato-Domenica 8-9 dicembre 2007

SABATO DOMENICA 8-9 dicembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Mi manca il tempo per questo sabato-domenica, riprenderò lunedì 10 dicembre.

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Lunedi 10 dicembre 2007

O PSICOANALISTA O PENSIONATO

Lo psicoanalista è come Dio: non va mai in pensione: iperbole: neanche se avesse il morbo di Alzheimer, figuriamoci se il morbo di Parkinson!

E‟ stato Dante, non da solo, a mandare Dio in pensione (con l‟Alzheimer divino): in pensione ab aeterno.

I Vangeli definiscono Dio - anzi, non più “Dio” bensì Padre - permanentemente al lavoro, e per questo mi piacciono: vero che l‟inizio della Bibbia dice che a fine settimana faceva il week-end, venerdì sabato o domenica poco importa, ma io farei una correzione quantitativa: a fare la creazione Dio avrà lavorato sì e no un giorno, e con la mano sinistra - che noia!, che banalità!, sempre le stesse cose naturali tutt‟al più con variazioni sul tema! -, e per il resto ha fatto altro, se esisteva, altrimenti non potremmo prenderlo per una persona seria: fatto altro, ossia un altro lavoro.

I Governi, specialmente il nostro, hanno il problema delle pensioni (un‟altra volta parlerò del lavoro a partire da J. Rifkin, “La fine del lavoro”), e io non ho certo l‟algoritmo socio-economico della soluzione: semplicemente essi non tengono conto del fatto che una persona psichicamente sana non va mai in pensione.

Salvo patologia: quante giovani donne hanno sognato di avere l‟età della nonna?: il che la dice lunga sulla “pensione”, ossia sull‟annullamento del tempo: il vero nichilismo è l‟idea di eternità.

Ecco i vecchi Greci!, vecchi fin dall‟infanzia: anzi dall‟adolescenza: dell‟infanzia non sapevano - né volevano sapere- nulla.

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Martedi 11 dicembre 2007

L’AMORE E I SUOI FACIN(AM)OROSI

Dice una celebre frase di un celebre passo: anche se uno dà il suo corpo alle fiamme - per esempio anzi soprattutto per una causa, ovviamente “giusta”: un eroe insomma -, ma non come atto di una singolare articolazione dell‟amore - anzi: di una singolare articolazione detta “amore” -, l‟atto non solo non ha valore, ma per di più è ridicolo, un atto da “trombone”.

Esiste anche un caso peggiore, che chiamiamo “formazione reattiva”: molto pericolosa, sono dei facin(am)orosi: per chi non lo sapesse, “facinoroso” viene dal latino facinus che significava, almeno correntemente, delitto.

Importa poco che in quel passo un tale amore sia lessicalmente distinto come “carità”: il primato del lessico inganna sempre, perché tale primato è trombone ossia puro suono: è la sua articolazione come pensiero a distinguerlo.

Qui siamo traditi da un‟antica tradizione di pensiero - meglio: tradizione di Teoria come sostituto del pensiero - che malignamente distingue intelletto da passione (e pone l‟amore nella passione).

Solo un pensiero può essere amoroso: l‟amore, se è, è una sequenza ordinata, riconoscibile in tutti i suoi articoli, logico.

Una sequenza con lavoro, benché non catena di montaggio: un sogno che mi è appena stato narrato correla lavoro (inventivo) e amore, e perfino tecnica.

L‟innamoramento non ha a che vedere, è fuori, “fuori di testa” come correttamente si dice.

Brutta cosa lavorare per una “cosa” o causa, cioè l‟Oggetto occupante come una Forza di occupazione.

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Mercoledi 12 dicembre 2007

CINQUECENTO x UNO: PSICOSI PURA E SERIAL KILLER

Il pensiero può prendere più strade e assumere più forme: le une e le altre sono in piccolo anzi piccolissimo numero (non è vero che tot capita tot sententiae): i pensieri sono in numero limitato, descrivibili e enumerabili.

Ho già scritto della psicosi pura partendo dalla costatazione popolare, molto più rilevante di quanto si crede, che “non tutti i matti sono in manicomio”: ne ho spinto la rilevanza fino a commentare che, se così, allora la storia della Psichiatria e della Psicopatologia malgrado i suoi meriti (fino agli anni venti del Novecento, non dopo) ci ha reso un cattivo servizio: quello di farci credere che la psicosi sia quella che passa per lo Psichiatra, mentre questa è solo quella che si è infortunata, ha messo un piede in fallo.

Ora prendo la psicosi pura dal lato del serial killer, e tanto più quanto più questo non bada a spese: spese altrui, naturalmente.

Ne prendo un esempio di cui i giornali hanno parlato diversi anni fa: un americano ne aveva ammazzati trecento già appurati (si sa che gli americani amano i grandi numeri, ma ora hanno la concorrenza orientale), ma forse cinquecento.

Dopo l‟arresto quest‟uomo aveva raggiunto in carcere una posizione invidiabile: rispettato da sceriffo e guardie, con cella ben fornita e con comodo di ragazze, fondava il suo benessere carcerario sui parenti delle vittime, che lo corteggiavano anche con donativi per ottenere informazioni su dove avesse sepolto i corpi delle vittime (si rivolgevano a lui anche parenti di vittime scomparse forse non uccise da lui): insomma un onesto lavoratore che aveva cumulato una onorevole pensione e si era assicurato una serena vecchiaia.

Uno così ha formulato un ragionamento, un pensiero: un morto conta per uno (a parte i familiari), dunque cinquecento o più assassinati sono solo uno moltiplicato per cinquecento, il che a quell‟uno non importa perché lui conta per uno, dunque l‟assassino ne ha assassinato solo uno benché per cinquecento.

Difficile contestare il ragionamento, ma quale?, e quale sarebbe un altro ragionamento?

Il primo lo chiamo il ragionamento della sagoma (ne ho già scritto), come al poligono di tiro, e non c‟è differenza tra una o cinquecento sagome.

Poi c‟è l‟altro ragionamento, quello per cui non ci sono sagome ma solo partner (affari), anche solo potenziali: è il senso, oscurato da tutta la predicazione plurisecolare, della parabola del Samaritano.

Lo psicotico puro non è un malvagio, e neppure un sadico: è uno che si è buttato sul versante della sagoma e non del partner.

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Ce l‟ho con i Paradisi: niente partner, tutti sagome, tutti morti: la pulsione di morte non l‟ha inventata Freud: le ha solo dato il nome.

Nel Paradiso di Dante sono tutti morti, Dio compreso.

Non approvo l‟astrattezza dell‟espressione “tenere alla vita” quando non significa strettamente “tenere alla pelle”, e ho tenuto a ben distinguere pelle da carrozzeria, e insieme ho tenuto a precisare che non si mangia per vivere ma che si vive per mangiare (sono due articoli precedenti e recenti).

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Giovedi 13 dicembre 2007

DESIDERIO “DI” UN FIGLIO

Sarebbe bene non desiderarlo affatto: “di” è genitivo oggettivo, ossia il Figlio come oggetto, anzi Oggetto come ne parlo da tempo, Ideale che comanderà il destino, sempre infausto in quanto destino, del figlio reale.

Che cosa sia l‟Oggetto-figlio lo ha detto Freud molto tempo fa: risarcimento, rivendicazione, vendetta, pretesa…

Ricorda l‟espressione “sposarsi”, eccellente per designare la doppia faccia del “narcisismo”: che tale resta anche quando c‟è un marito o una moglie nella realtà esterna, ossia che esiste illusoriamente se non allucinatoriamente: sono pochi a scoprire di essere (per un altro) un‟allucinazione: l‟innamoramento è allucinazione.

Parlo di aborto psichico del figlio: alludo al primo posto ai bambini autistici, seguiti da molti altri.

Poi c‟è il genitivo soggettivo, ossia desiderio “del” figlio come desiderante o pensante: è il caso del figlio come titolare del proprio pensiero: come si dice titolare dell‟azienda, in cui pensiero e libido coincidono.

Questo pensiero ha come motto “Ubi bene ibi patria”: che vincola il padre al bene, non il bene al padre, e al bene come bene-ficio, ossia non a un “Bene” o Oggetto astratto come nella frase “ti voglio Bene”.

Ecco il pensiero del figlio: che comporta 1° lavoro, senza limite presupposto nè alle 2° materie prime, né 3° ai partner possibili, ossia un pensiero ereditario non tradizionale (non locale bensì universale).

E‟ un pensiero patrio perché neppure la Patria gli funge da limite presupposto, e neppure la lingua anche se ne conosce una sola, quella detta, chissà perché “materna”: solo uno psicotico ha davvero una lingua “materna” e non patria.

Un figlio così è desiderabile da genitori che abbiano il buon senso di non averlo affatto come oggetto di desiderio.

L‟aborto psichico precede l‟aborto reale.

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Venerdi 14 dicembre 2007

CASTI SOGNI

I sogni - cioè il pensiero nel suo lavoro quotidiano-notturno - sono casti, lo si constata, non pornografici: salvo eccezioni esistenti sì ma motivabili volta per volta: per esempio quando la mia paziente mi voleva eccitare,o “arrapare”, o “attizzare”, o scandalizzare: come si può pensare di scandalizzare uno psicoanalista?, che se è scandalizzabile non è uno psicoanalista, anzitutto se si lascia attizzare da sogni a luci rosse (che ingenuità!)

Entro questa castità del pensiero sano, la vita sessuale è sottintesa, senza limiti né ricatti in più o in meno, il che significa che il sogno(-pensiero) ne rifiuta il trasferimento a questione morale: quando c‟è pensiero non servono preti, magari preti laicisti mangiapreti: nell‟Ottocento e Novecento ce ne sono stati tanti, perché il moralismo non è monopolio dei preti ufficiali: come I. Kant ha splendidamente dimostrato, benché con il mio dissenso sulle sue conclusioni preceduto da quello di Freud.

La questione morale sui sessi, moralista o “libertina” a pari merito, inizia solo quando i sessi sono rubricati come “Sessualità” (o “concupiscenza”), ossia come Oggetto imperativo: si deve o non si deve, coincidentia oppositorum nel “si deve”.

Dire così serve ad annotare l‟inutilità dei millenni sulle questioni fondamentali, visto che siamo ancora lì: e poi ci si lamenta della durata delle analisi!

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Sabato-Domenica 15-16 dicembre 2007

SABATO DOMENICA 15-16 dicembre 2007 in anno 151 post Freud natum

Lettura di:

S. Freud Aldilà del principio di piacere OSF 9

Perfezione, pulsione di morte, invidia

C‟è perfezione e perfezione: una è ostile, mortale, invidiosa: è quella che non si presta a un‟elaborazione ulteriore, talento sepolto.

E‟ la perfezione dell‟Ideale o Oggetto - cui solo si addice l‟espressione “valle di lacrime” -, in cui l‟unico stato perfetto del corpo è la sua (dis)soluzione finale come riduzione di esso alla perfezione dello stato inorganico, perfetto a modo suo, ossia la “pulsione di morte” di Freud: come morte della pulsione, in quanto “pulsione” è solo un nome della legge di moto dei corpi (umani, non altri); la pulsione di morte freudiana ha due sensi opposti.

Una pulsione di morte è semplicemente il correlato dell‟anima platonica: sono due opposte e complici perfezioni come si dice “opposti estremismi”.

Qui la morte è diventata Ideale anch‟essa, e Ideale puro come pura è la cenere (dunque fare attenzione alla “purezza”).

Da nessuna parte più che nella storia del Cristianesimo ha trovato sviluppo la tentazione, veramente inconscia, al non-tempo, al non-moto, e in definitiva al non-corpo ossia alla pulsione di morte.

Nell‟eternizzarsi quantunque terreno del Cielo dell‟Oggetto, a chi non vi sia subordinato non resta che errare senza melanconia ma pacificamente fino a tale riduzione: come il non svegliarsi domattina, pensiero pacifico del bambino ancora sano, pronto a svegliarsi dopo avere dormito, ossia non ancora angosciato; molti secoli fa degli esegeti dicevano che Adamo e Eva sarebbero morti pacificamente.

Ma questo Cielo infernale non è eterno né onnipotente: quanto alla sua onniscienza neanche parlarne, esso è la Cultura dell‟ignoranza.

Not least: in una condizione senza moto e senza tempo, il che è dire senza corpo anche se ne restasse la parvenza, non ci sono sessi: finalmente!, finalmente la vittoria e la perfezione dell‟invidia.

Chi può dire:

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“Dov‟è o invidia la tua vittoria?”

L‟Oggetto o Ideale è in-vidioso, malocchio.

C‟è poi l‟altra perfezione, quella di un moto corporeo che va a buon termine (perficere, soddisfazione) non una sola volta ma, se fosse, volta per volta in saecula saeculorum: nel pensiero di natura il corpo non ha un programma presupposto a termine.

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Lunedi 17 dicembre 2007

LAVORO E FALLIMENTO

Ho mandato questo articolo a una Rivista, ma lo propongo qui in anteprima.

C‟è sì differenza tra fallimento (il rischio maggiore tra i rischi d‟impresa) e delitto o peccato: ma questa differenza si annulla a fronte a un fatto duplice: il fallimento può venire riconosciuto, confessato, proprio come il delitto; le sue ragioni possono venire conosciute, tesaurizzate, capitalizzate come nuovo sapere, almeno come know how: mancare quel riconoscimento e questa conoscenza, ecco un peccato bifronte consistente nel gettare via l‟esperienza (ciò è imputabile, cioè il fatto di non curarsi).

Il figliol prodigo, ripeto da anni, si ripresenta al padre sì umile, ma al tempo stesso forte di questa duplice competenza fatta di riconoscimento e conoscenza: ecco perché ho concluso, con l‟esegesi dalla mia parte, che un figlio così competente - finalmente vero figlio - il padre lo ha nominato Presidente del Consiglio di Amministrazione dell‟Azienda.

L‟ignoranza su peccato e fallimento è un vizio, quello di superbia che si veste sempre di cattiva umiltà: esiste anche una superbia dei poveri, ma nessuno ne vuole sapere, anzitutto come superbia psicopatologica.

Il sapere su peccato e fallimento non lo si impara all‟Università, ma è un sapere superiore a quello universitario: il vero rischio è quello della suddetta ignoranza, colpevole peraltro.

Sono anni che vorrei trattare unitariamente i discorsi economici di Gesù: parabola dei talenti, parabola del fattore infedele, parabola del buon Samaritano, l‟asserzione che l‟albero non si giudica dall‟albero ma dai frutti, l‟asserzione del “centuplo”, e la serie non termina qui: queste cose io le insegnerei alla Bocconi e in ogni High School of Economics, e non solo in Parrocchia: anzi il vero difetto delle Parrocchie è che non vi si insegna ciò che si potrebbe insegnare anche alla Bocconi (non vale l‟inverso).

Il sapere sul fallimento dovrebbe estendersi a quanto c‟è di fallito in ciò che ufficialmente consideriamo riuscito.

E soprattutto a quanto c‟è di fallito nelle nostre vite personali: allora non saremmo più depressi, anche quando le consideriamo fallimentari.

Se esistesse un “Signore” degno di questo nome, sarebbe un… Signore, ossia un Signore del successo (come nei suddetti discorsi economici), non uno che elargisce piatti di minestra ai poveri, anche se piatti ricchi (cosa che comunque non succede mai).

Va in questo senso la “povertà” francescana, che non è l‟elogio dei pidocchi: un vero “povero” francescano, e cristiano, è per la produzione di fichi, non per l‟ontologica anoressia oziosa dell‟albero solo.

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Nelle analisi abbiamo a che fare con fallimenti coatti (“inibizioni”), ancora prima che con sintomi.

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Martedi 18 dicembre 2007

TEMPO E ANGOSCIA

Due pensieri metafisici raccolti dal divano (ma perché non dalle chiacchiere di Métro?):

1. “da bambina mi pensavo come se avessi l‟età della nonna”,

2. una madre ha detto alla giovanissima figlia: “Verrà il giorno in cui non avrai più questa noia”: intendeva le mestruazioni, ossia le augurava la menopausa: sottolineo “noia”.

Ho appena scritto molte righe a commento: su tempo e angoscia, eccitamento, Oggetto, godimento, eternità, morale, et coetera: ma perché pubblicarle?, perché non fate voi?

Non sono un Maestro: sono un lavoratore come ognuno potrebbe essere.

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Mercoledi 19 dicembre 2007

MISTICA, E R. BARTHES

Quando sento questa parola, “mistica”, non mi fido, come nel caso di altre: mistero, fede, amore.

Ciò non toglie che le assumo anzi le difendo, ma solo nella precisa misura in cui ne do un significato chiaro e distinto.

Così, con “mistero” designo ciò che non ha causa: e al primo posto pongo il pensiero, anche se nei millenni, e oggi forse più che ieri, tutto è fatto a tutti i livelli affinché esso esista solo come causato, e precisamente comandato.

Quanto a “fede”, ho già scherzato dicendo che ci voleva proprio un feroce psicoanalista come me per proporne l‟unico possibile concetto nitido: quello di giudizio di affidabilità, di cui ho anche dato la composizione: giudizio di innocenza, di non contraddizione, di non ingenuità (ci sono anche altri fattori).

Sull‟amore, ho proposto che non lo è né l‟amore detto “narcisistico” né quello detto “oggettuale”: questo non è meno narcisistico di quello, e quello non è meno oggettuale di questo: in ambedue i casi ha il primato quell‟Oggetto ideale di cui parlo da mesi: se la parola “amore” ha titolo alla sua esistenza, è solo per designare una partnership non a somma zero, e con profitto per tutti i partner: la psicoanalisi ne è un‟applicazione.

Per “mistica” mi collego ai “Frammenti di un discorso amoroso” di R. Barthes (che ricordo anche come mio ex Directeur d‟études a Parigi), che connette l‟amore a mistica e ritmo.

Ne convengo, a condizione che l‟amore, se è, non è il ciarpame spirituale del “perdersi nell‟amato” ossia nell‟Oggetto: questa idea di mistica è solo una sciocchezza se non un crimine.

C‟è un altro caso, di cui ho più volte parlato, quello del “Fa‟ tu!” (o “Dì tu!”, o “Pensa tu!”), con saputa nonché modesta alternanza o ritmo, non il suddetto ciarpame mistico a senso unico.

Nella mistica di un tale “fa‟ tu” non si tratta di ozio di uno dei partner, ma di assunzione di ciò che l‟altro fa senza obiezione di principio a ciò che fa: potrebbe anche essere “Dio”, la norma non cambia.

Ecco mistica e ritmo uniti: meglio del “Fort-da” freudiano citato da R. Barthes, che non è affatto amoroso.

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Giovedi 20 dicembre 2007

UN ANNO DOPO …

Quasi tutti i matrimoni prevedono la presenza degli amici degli sposi.

Almeno alcuni di loro si chiedono se questi si amano.

Due sono i casi, basta aspettare un anno:

1° dopo un anno gli amici assisteranno sbalorditi al fatto che i due si detestano in tutte le variabili del caso: i meno sagaci si diranno: “Ma come!, erano così innamorati!”: appunto!

2° dopo un anno gli amici osserveranno: che i due sono diventati più belli, più intelligenti, più pacifici, più ricchi eccetera: e allora concluderanno, correttamente, che si amavano.

L‟amore è un dato di osservazione.

Ci sarebbe anche un terzo caso, molto comune, quello in cui i due si sopportano: ma anche questo è un dato di osservazione, che rientra come variante del primo caso.

L‟importante è che “amore” abbia o no significato.

L‟amore è fare posto all‟altro, affinché sia attivamente occupato: dico posto, non donativi quantunque benvenuti contingentemente: non è il dono il segno dell‟amore.

Fare posto è il caso della psicoanalisi: è lo psicoanalista a fare posto per primo (lo chiamiamo tecnica psicoanalitica).

La guarigione è che il “paziente” passi a fare posto anche lui, cosa non assicurata in partenza: in partenza isteria, ossessione, non lo fanno, seguite dai loro succedanei (psicosi, perversione).

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Venerdi 21 dicembre 2007

FURTO, PRENDERE

Virtuoso non è chi non ruba, ma chi prende-apprende-imprende senza furto.

Il furto è solo la forma illecita del prendere, che come tale è lecito e morale (ora non ri- disquisisco sulla loro distinzione o meno), nonché lucrativo.

Insomma, il pensiero del comunismo non è finito dopo il … Comunismo, né dopo Tommaso d‟Aquino, comunista a modo suo (Quaestio sul furto in stato di necessità, di cui parlerò).

La filosofia greca è la negazione stessa dell‟economia e del profitto (e della libertà).

Tutte le Scuole dovrebbero essere scuole di economia: anche nelle discipline letterarie, giustamente chiamate “materie” come ogni altra, ovviamente materie prime ossia elaborabili.

Voglio parlare presto del libro di J. Rifkin. “Fine del lavoro”, collegandolo con la fine dell‟imprendere sostituito dalla managerialità.

Il primo e principale furto ha come prime vittime i bambini: è il furto della titolarità del loro pensiero come facoltà imprenditoriale: quella titolarità che è poi ciò che li fa figli.

La patologia è il principale fattore della miseria delle nazioni.

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Sabato-Domenica 22-23 dicembre e Natale 25 dicembre 2007

SABATO DOMENICA 22-23 dicembre 2007, e Natale in anno 151 post Freud natum

AUGURI DI NATALE

C‟è solo una ragione per sostenere che la psicoanalisi non poteva venire inventata da Gesù: per essere poi inventata da un altro ebreo come lui, dopo un lungo e logico tempo di latenza.

La ragione è che la nevrosi, e l‟inconscio che ne è la condizione ancora normale, hanno avuto il loro massimo sviluppo, benché moderatamente preesistenti, proprio nel cristianesimo: ciò per la rimozione ad opera del pensiero greco - dico bene “rimozione”, alle calende greche cioè mai - del pensiero, ripeto “pensiero”, di Cristo.

Poi il ritorno del rimosso non è stato mite: per esempio come sangue versato (“Le royaume du Christ est un royaume de sang”).

La massima anzi unica questione teologica è: come possano essere mantenute le promesse bibliche e evangeliche, se non c‟è guarigione dalla nevrosi: ora, questa guarigione è impossibile per miracolo divino: ciò che dico ha già il beneplacito divino, perché la psicopatologia è patologia della libertà, non guaribile per causalità quantunque dall‟Alto.

Il mio augurio natalizio è di lasciar cadere la necessità della rimozione del pensiero di Cristo, di quello di Freud, e del mio soprattutto (i tre vanno insieme): in questo “mio” ogni bambino potrebbe riconoscersi (col tempo), non sono presuntuoso.

L‟uomo narrato dai Vangeli - incarnazione, pensiero pubblico, resurrezione, ascensione - è un caso unico di habeas corpus rispetto alla condizione umana di corpo prigioniero delle catene teoriche imposte al pensiero.

Sottolineo “narrazione”: fede o non fede, essa asserisce desiderabilità di essere e restare un uomo, asserzione nientemeno che come Rivelazione: incredibile!?

Il pensiero di Cristo (mi ripeto): non è con Parmenide: infatti “l‟albero si giudica dai frutti”, non dall‟albero ossia dall‟essere o essere dell‟ente, e non è con Platone: infatti ha voluto rimanere uomo cioè corporeo in saecula saeculorum, mentre per Platone il corpo è una prigione (dell‟anima, e siamo ancora lì).

Come abbiamo potuto noi cristiani cercare di imprigionare il pensiero di Cristo nel pensiero greco? (è una vera questione), e infatti non ci siamo riusciti: esso deborda da ogni parte proprio come fa l‟inconscio.

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Auguri di habere corpus!

Per scansare equivoci mistici, corpus significa: sensibilità, motricità, pensiero, linguaggio.

Ciò che ho appena scritto sarebbe, universitariamente parlando, da libro di quattrocento pagine: ma non ne ho voglia né tempo, una vita basta.

Riprenderò lunedì 7 gennaio 2008

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