Francesco Lamendola

La volata folle di Strasburgo, 1973

Il 21 maggio 1973 la carovana compatta dei ciclisti imbocca la strada che entra nel cuore di Strasburgo, dopo una tappa di ben 239 km. coperti a velocità turistica, perché la , squadra della maglia rosa , non vuole sorprese, e le squadre che mettono in lizza dei buoni velocisti, come la Rokado e la Brooklyn, l’hanno ingabbiata affinché possa risolversi in volata. Così, i pochi tentativi di fuga sono ripresi uno dopo l’altro e il gruppone giunge a ranghi serrati all’imbocco del grande viale in vista del traguardo, i cui ultimi 250 metri sono in temibile pavé. C’è stata qualche caduta nel corso della giornata, niente di grave, indice però di un diffuso nervosismo; il tempo è grigio, freddino, come capita talvolta, in questa stagione, nell’Europa centrale. Il Giro d’Italia, quest’anno, è caratterizzato da un percorso atipico: è partito da Verviers, in Belgio, ha attraversato il Lussemburgo, è entrato in Germania fino a Colonia, passando poi nella la Francia nord-orientale, quindi sconfinerà in Svizzera, entrerà in Italia da Aosta, scenderà fino a Benevento, risalirà a Forte dei Marmi, a Verona, si arrampicherà ad Auronzo di Cadore e si concluderà sul lungomare di Trieste, dopo 20 tappe e un prologo, per complessivi 3.800 km. La partenza dal Belgio si spiega con la forte presenza belga fra gli iscritti e soprattutto con la strapotenza dell’astro del momento, il belga Eddy Merckx, detto il Cannibale per la sua smania di vincere tutto senza lasciare nulla agli altri: indosserà la maglia rosa, infatti, dalla prima all’ultima tappa, senza mai levarsela neanche per un giorno. Ed eccoci all’imbocco del viale conclusivo di Strasburgo, sotto le fronde fitte degli alberi: i velocisti hanno già guadagnato le posizioni strategiche, tenendosi il più possibile al riparo del vento, pilotati dai compagni di squadra meno veloci, che si sacrificano per loro: questi gregari non hanno solo il compito di tirare la volata agli sprinters, ma anche quello, inconfessabile man non meno importante, di “chiudere” gli spazi ai velocisti delle squadre avversarie, di ritardarli in ogni maniera possibile, di tagliar loro la strada a qualsiasi costo, anche a rischio di qualche capitombolo. C’è nell’aria un’atmosfera da resa dei conti: si capisce subito che sarà, come si dice in gergo, una volata con il coltello sotto la sella delle biciclette, senza riguardi per nessuno. Chi ha qualcosa da perdere si tiene indietro, tira prudentemente i freni per non lasciarsi coinvolgere nella bagarre, anche se nessuno potrebbe immaginare l’inferno che sta per scatenarsi. Quando parte lo sprint, pare di trovarsi a una corrida: Merckx dirà di non aver mai visto niente del genere nella sua carriera e minaccerà di ritirarsi dalla corsa, perché, parole sue, in volate come questa si rischia l’osso del collo, prima o poi ci scappa il morto; così non è possibile andare avanti, gli organizzatori devono fare qualcosa, prendere severi provvedimenti. C’è chi si afferra per la maglia e cerca di tirare indietro l’avversario; chi prende la spinta appoggiandosi sulle spalle del vicino; chi prende a gomitate i concorrenti e chi si butta nella mischia come un kamikaze, quasi avesse voglia di suicidarsi. Qualcuno cade, e altri cadono sopra le biciclette e i corpi stesi a terra: è un miracolo che nessuno ci lasci la pelle, evidentemente c’è un Dio pietoso che veglia sui pazzi, sugli ubriachi e sui velocisti scatenati. Tre uomini della Rokado hanno guadagnato le posizioni migliori: Gustaaf Van Roosbroeck, Gerben Karstens e Rik Van Linden: belgi il primo e il terzo, olandese il secondo. È quasi una partita giocata in famiglia, anche se altri velocisti son riusciti a infilarsi nei varchi giusti e appaiono decisi a disputare la vittoria a questo terzetto: Marino Basso della , della Brooklyn, Pierino Gavazzi della Jolly Ceramica. Ma De Vlaeminck, più che uno , è un passista veloce; Gavazzi è un giovane ancora un po’ inesperto; Basso, invece, è il campione del mondo in carica, ha vinto il titolo l’anno prima, a Gap, bruciando sul filo di lana il connazionale , con un rush finale memorabile, una cosa da lasciare allibiti. 1 E tutti sono in cerca di affermazione o di rivincita: per ciascuno di loro il traguardo di Strasburgo è un obiettivo irrinunciabile, chi ha una fama da difendere, chi una posizione da conquistare: tutti si sentono chiamati alla vittoria, a nessuno pare che il prezzo da pagare per raggiungerla sia troppo alto, che il rischio sia eccessivo. Sono dei desperados, nel senso letterale del termine, specialmente i due leoni ruggenti della Rokado, Karstens e Van Linden: due velocisti “puri” che non vanno tanto per il sottile in fatto di correttezza, l’uno classe 1942, dunque già trentunenne (e trent’anni non son pochi, in questo sport), rotto a tutte le astuzie e già in guerra aperta coi controlli antidoping; l’altro appena ventiquattrenne, astro fiammingo in ascesa, destinato a una brillante carriera di sprinter; armati entrambi di una estrema ambizione, quella del professionista ormai verso la fine e quella della giovane promessa impaziente di farsi un nome, due galli nel medesimo pollaio i quali, però, stranamente sembrano andare di perfetta intesa. Il loro nemico dichiarato è Marino Basso: hanno giurato di non farlo mai vincere, sostengono che l’italiano è “antipatico”; evidentemente non gli perdonano il fatto di portare sulle spalle quella maglia di campione del mondo, della quale, forse, si sentono altrettanto degni, e dunque defraudati nel loro buon diritto. Una grande corsa ciclistica a tappe è un po’ come la scolaresca d’un collegio: vi prosperano amicizie e inimicizie memorabili, ripicche, invidie, gelosie; sono cose che si capiscono bene solo dall’interno, vivendo nell’ambiente, condividendo il sudore e la fatica, i sogni e le speranze, ma anche le cocenti delusioni e le amare sconfitte. E pur di non far vincere Basso, i due sprinter della Rokado sembrano disposti a tutto. Mentre Walter Riccomi capitombola sull’asfalto (l’ambulanza lo porterà dritto all’ospedale), ecco che Karstens, dopo aver “chiuso” il francese Ducreux, ripete l’impresa ai danni di Basso e, come se non bastasse, prende la spinta puntandosi con la mano sulla spalla del compare Van Linden, poi catapultandosi letteralmente verso il traguardo, che taglia per primo in mezzo a urla e maledizioni, con Dierickx che impreca contro Borgognoni e lo stesso Karstens che, fermatosi oltre la linea bianca, sferra un pugno a un tecnico che l’ha rimproverato per lo scherzetto fatto a Ducreux. Ma Basso non sta nella pelle, ha subito alzato il braccio per segnalare le scorrettezze di cui è stato vittima e lancia bestemmie contro Karstens: vuol fare a pugni con lui, che però si tiene a distanza; intervengono altri corridori e li separano prima che i due giungano alle mani. Tutti brontolano e protestano: Van Linden, che ha tagliato il traguardo al quarto posto, fa l’indiano e dice ai giornalisti che lui non sapeva nulla, che a un certo punto si è sentito afferrare per la maglia da Karstens; Merckx si dice indignato e sconcertato, annuncia che non intende rischiare oltre il collo per colpa di quei pazzi scatenati; Basso non si dà pace, il suo sistema nervoso è in crisi e in una delle prossime tappe, dopo la volata di Milano, in cui Karstens vincerà di nuovo su di lui, scoppierà a piangere di rabbia, e De Vlaeminck un po’ lo consolerà, un po’ lo sfotterà, dicendogli: «Ma cosa vuoi piangere, va’ là!», e lui dovrà rimangiarsi le lacrime e fare lo spavaldo. Invece è proprio sconsolato, lo hanno visto tutti. Mentre sul traguardo infuriano ancora le polemiche, diversi corridori tagliano la linea bianca a piedi, trascinando le biciclette fracassate, con i corpi pesti e sanguinanti, uno addirittura senza le scarpette: eppure, miracolosamente, nessuno si è fatto troppo male. Comunque la volata folle di Strasburgo è stata troppo banditesca, bisogna dare un esempio, frenare un po’ i bollenti spiriti degli sprinters, altrimenti, la prossima volta, chissà cosa succederà e come andrà a finire: la giuria non può far finta di nulla, e poi ci sono innumerevoli reclami. Pertanto, nel giro di pochi minuti, la decisione è presa: tanto Karstens che Van Linden vengono retrocessi agli ultimi due posti del plotone di testa per le evidenti scorrettezze compiute (si vede che le improbabili giustificazioni di Van Linden non hanno convinto nessuno) e multati di 50.000 lire – che all’epoca sono pure qualcosa - mentre la vittoria è tolta a Karstens ed assegnata a tavolino al secondo arrivato. Ma qui scatta la beffa: perché il secondo è Van Roosbroeck, l’altro uomo della Rokado: la vittoria, pertanto, resta sempre in casa della squadra di Karstens e Van Linden; e Marino Basso, col suo terzo posto, passa al secondo, il che è quasi una beffa, anzi, è proprio una beffa in piena regola, visto che, in una volata regolare, quasi certamente avrebbe vinto lui… Seguono Gavazzi, Parecchini e De Vlaeminck. Questa la salomonica decisione dei giudici d’arrivo, e la partita è chiusa.

2 Questa la conclusione della terza tappa; ora bisogna raggiungere Ginevra, a 400 km. di distanza, con una trasferta fuori gara; domani la quarta tappa partirà di lì per giungere ad Aosta e, finalmente, iniziare il percorso in territorio italiano. Sarà sempre Gerben Karstens a vincere, in volata, la quinta tappa, con arrivo al velodromo di Milano; Van Linden si aggiudicherà la settima, sul traguardo del Lido delle Nazioni, e la diciassettesima, a Verona; anche De Vlaeminck farà sue due tappe, a Benevento e a Bolsena (alla fine, gli italiani vinceranno solo cinque tappe) e l’altro velocista belga, , ne vincerà un’altra, ad Alba Adriatica. Tanta gloria per i velocisti, dunque: con Karstens impegnato a farsi perdonare dal socio Van Linden lo strattone di Strasburgo, pilotandolo con successo in altre due memorabili volate, sempre con una spregiudicatezza ai limiti del regolamento. E Marino Basso? Di sconfitta in sconfitta, pare che la linea del traguardo sia diventata, per lui, tutt’uno con la barriera dei sogni. Davanti ai suoi tifosi delusi e amareggiati, deve inventarsi ogni volta una nuova scusa: gli è uscita la catena della bicicletta, i compagni di squadra non l’hanno favorito nella maniera giusta, mentre Karstens e Van Linden, più Van Roosbroeck, quelli sì che si tirano la volata l’un con l’altro… Che cosa può dire, che c’è una congiura contro di lui per non farlo vincere? La congiura c’è, ma un vero sprinter i varchi li trova lo stesso, non ha bisogno della cavalleria degli avversari, li mette tutti quanti in riga e, soprattutto, non fa mai la vittima, per nessun motivo al mondo. Il guaio è che Basso è un passionale e un orgoglioso: dopo la vittoria ai mondiali aveva promesso sfracelli e adesso la parte del perdente gli va stretta, lo rende malinconico e un po’ patetico: un velocista deve credere in se stesso, non accampare scuse; ma per credere in se stesso, deve vincere, vincere contro tutto e contro tutti: se no, che razza di velocista è? Un velocista a scartamento ridotto, un eroe mortificato dalle impietose e beffarde risatine degli avversari: ruolo che assolutamente non si addice al ventottenne vicentino, guascone per istinto e per senso teatrale, che ormai guarda al podio del vincitore con un misto di rancore e d’incredulità. Ma ecco che arriva anche per lui, finalmente, il gran giorno della rivincita: la più plateale, la più solenne delle rivincite: quella nell’ultima tappa del Giro, sul traguardo che vale più di tutti gli altri, in riva al lungomare di Trieste, dopo i tapponi dolomitici che hanno definitivamente incoronato Eddy Merck, il Cannibale, re del Giro anche quest’anno (lui ancora non lo sa, ma la sua straordinaria carriera sta per finire: non senza aver vinto cinque volte al Giro d’Italia, cinque volte al , una alla Vuelta spagnola, tre volte ai Campionati del mondo, due volte al Giro delle Fiandre, sette volte alla Milano-Sanremo, tre alla Parigi-Roubaix e tre alla Gand-Wevelgem, tre alla Freccia Vallone). Sarà lì, a Trieste, il 9 giugno, al termine della ventesima tappa partita da Auronzo di Cadore, dopo quasi 200 km. di corsa, che Marino Basso riuscirà ad aggiudicarsi la vittoria, mettendo in fila tutti quanti con una progressione prepotente, bellissima, da album, levando il braccio destro come a schiaffeggiare l’aria: secondo Sercu, terzo Van Linden, quarto Pietro Gambarotto, quinto , sesto quel diavolo di Karstens. E che soddisfazione, per Basso, avere umiliato la coppia Karstens-Van Linden proprio nell’ultimo sprint, lui, che aveva dovuto mandar giù tanti bocconi amari, al punto da non osare quasi più fare promesse a quanti ancora credevano nella sua resurrezione; lui, che aveva mancato tante, troppe occasioni, una dopo l’altra, a cominciare da quella volata folle e stregata di Strasburgo, lassù in Alsazia, venti giorni prima, col Giro appena cominciato!... E la cosa si sarebbe ripetuta anche nel Giro dell’anno successivo, il 1974: di nuovo una serie di sfortune, di beffe, d’insuccessi; di nuovo una occasione mancata dopo l’altra, anche se non ci saranno più né Karstens, né Van Linden, cui poterne attribuire la colpa; e, di nuovo, la rivincita superba nell’ultima tappa, quella di Milano, con una volata magistrale. Poi, la sua carriera non farà che declinare. Cosa strana: anche il suo arcinemico, Gerben Karstens, sta ormai sparando le ultime cartucce, e i suoi successi si fanno sempre più rari. Ma anche lui riuscirà a chiudere in bellezza, nel Tour del 1976, vincendo due tappe, l’ultima delle quali, quella del trionfo conclusivo, sui mitici Champs Elysées… E Rik Van Linden? Il fiammingo continuerà a macinare vittorie su vittorie per suo conto, ovunque: al Tour, al Giro, alla Vuelta, nella Gand-Wevelgem, nella Freccia Vallone; per chiudere infine la sua carriera, nel 1980, con un palmarès degno d’un vero campione dello sprint…

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