FONDAZIONE TEATRO LIRICO TRIESTE

Rigoletto: un mancato

DI MICHELE GIRARDI (*)

1. «Tutto il sogetto sta in quella ma- soluto libertino del tutto disinteressato ledizione» delle sorti dei propri sudditi.2 Si rese dunque necessario straniare la vicen- Nel 1850 Verdi ricevette una terza com- da per evitare che, assistendo alle ge- missione dalla Fenice di Venezia, dopo sta di un sovrano indegno, crescesse l’Attila (1846) e quell’Ernani (1844) che il diffuso rancore verso Ferdinando I, insieme con il Leon di Castiglia aveva imperatore d’Austria, e si risvegliasse- ridestato quello di San Marco, simbo- ro i sentimenti irredentisti dell’inquieta lo di una città sottomessa, ma non an- cittadinanza veneziana, dopo l’effi mera cora doma. Scelse come soggetto Le esperienza repubblicana del 1848. Non Roi s’amuse (1832) dramma in versi servì peraltro mutare l’epoca dell’azio- di Victor Hugo, scrittore decisamente ne (il secolo XVI) ma solo il luogo (da sgradito alle monarchie europee, ma Parigi a Mantova) e il rango del perso- l’intenzione fu prontamente osteggia- naggio nobile (da Re a Duca): superfl uo ta dalla Direzione centrale d’ordine precisarne la casata, altra non potendo pubblico con parole forti, poiché la tra- essere che quella dei Gonzaga. La Man- ma a essa sottoposta era improntata a tova del Rinascimento, in fi n dei conti, è una «ributtante immoralità ed oscena ancor più adatta della Francia all’intrec- trivialità».1 Subito Verdi esercitò forti cio dell’opera, visto che la storia d’Italia pressioni su Piave, incaricato del libret- è zeppa di esempi che la rivelano come to, affi nché riuscisse a conservare il ca- ambiente estremamente congeniale alla rattere e le «posizioni» di un dramma corruzione politico-morale destinata a a cui teneva particolarmente, al punto rimanere impunita. da rifi utare con fermezza ogni proposta Piave e Verdi riuscirono invece a man- alternativa da parte della direzione del tenere la gobba piazzata da Hugo sulla teatro. Il suo atteggiamento fu decisivo schiena del buffone Triboulet: la sbi- perché lo stesso Marzari, presidente lenca immagine scenica del cantante degli spettacoli della Fenice, si adope- traduceva con muta eloquenza l’ugua- rasse per far approvare il progetto, piut- glianza metaforica fra la difformità fi - tosto che rescindere il contratto che lo sica e quella morale, consentendo allo legava al compositore. spettatore di comprendere immediata- Per meglio comprendere la portata de- mente uno dei presupposti della trama. gli intenti di Verdi val la pena di scor- Il censore aveva disapprovato anche il rere sinteticamente le obiezioni dei fi nale dell’opera: sotto il pugnale del si- censori, a cominciare dal divieto di far cario Sparafucile cadeva la stessa fi glia calcare le scene al Re di Francia Fran- di , Gilda, che si sacrifi cava al cesco I, dipinto da Hugo come un dis- posto del Duca. Il suo corpo veniva poi

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Litografi a con il ritratto di Victror Hugo realizzata intorno al 1835.

14 FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI TRIESTE rinchiuso in un sacco e consegnato al seguita da una progressione cromatica mandante dell’omicidio. Nell’opinione che porta al vibrante lamento dei violini di Verdi questa era una ‘posizione’ chia- nel registro acuto. Questo brano è un ve: in questo modo il buffone non avreb- puro gesto sonoro che prepara magi- be ravvisato subito la fi sionomia del suo stralmente lo sviluppo dell’intero dram- nemico, e la sorpresa nell’aprire il ma- ma: Monterone romperà l’allegria della cabro involucro sarebbe stata ancora festa (n. 2) intonando la stessa nota più atroce. «Ora mi guarda, o mondo!.. (Do) per scagliare la sua invettiva con- / Quest’è un buffone, ed un potente è tro il Duca che gli ha sedotto la fi glia, questo!..»: aveva creduto, e confessato e contro il buffone che gli rifà il verso in modo indimenticabile al pubblico, di per schernirlo. La sequenza iniziale sconfi ggere un signore dispotico e ar- viene poi connotata nella scena succes- rogante, ma il peso della cruenta beffa siva, quando Rigoletto ripensa a quelle ricade invece su di lui, annientandolo. parole rientrando a casa, e sosta decla- Il contestato sacco rimase, mentre fu mando «Quel vecchio maledivami!...» gioco forza cambiare il titolo origina- (n. 3). L’impianto armonico è pressoché riamente prescelto, La Maledizione, che il medesimo, ma da qui in poi la sesta ec- metteva in primo piano un concetto bol- cedente risolve sull’accordo maggiore e lato come blasfemo. Verdi leggeva in non su quello minore. Il procedimento questa chiave Le Roi s’amuse, e lo aveva sembra enfatizzare un moto dell’animo scritto sin dall’inizio a Piave: del protagonista, come volesse scaccia- re dalla mente un terrore privo di fonda- Tutto il sogetto è in quella maledizione mento, quando l’implacabile narrazione che diventa anche morale. Un infelice sonora del preludio non concedeva spe- padre che piange l’onore tolto alla sua ranze, quasi che di una tragedia fosse fi glia, deriso da un buffone di corte che l’esodo, e non il parodo. Il motto è reso il padre maledice, e questa maledizione più cupo nella ricorrenza perché confi - coglie in una maniera spaventosa il buf- nato nel registro grave e meno teso nel- fone, mi sembra morale e grande al som- la scansione metrica rispetto all’inizio mo grande.3 dell’opera. Il protagonista viene bruscamente Ma i cattolicissimi censori, uomini di interrotto da Sparafucile, che diver- politica e di lettere, non avevano ben rà strumento della sua vendetta, ma calcolato il potere della musica: la paro- il motto torna in due punti chiave del la rimase in alcuni momenti pregnanti successivo monologo di Rigoletto (n. 4, del libretto che assunsero un rilievo «Scena e duetto»), introducendo la fre- gigantesco nella partitura, dove Verdi mente dichiarazione del suo odio verso tese un arco semantico a partire dal l’umanità («O uomini!... o natura!...»), e conciso preludio in Do minore. Esso è prima che egli entri in casa, per trovare costruito su un ritmo puntato, scandito nelle braccia della fi glia quella pace che da trombe e tromboni sulla fondamen- il mondo esterno gli nega. tale, cui gli altri ottoni, insieme a legni Questi richiami, allusi o precisi che e timpani, rispondono con una sesta siano, tracciano un arco concettuale eccedente che risolve sull’accordo di che congiunge in modo indissolubile tonica.4 Indi il declamato si sposta sul- la maledizione di un padre oltraggia- la dominante e sfocia in una cadenza, to, Monterone, al sicario, all’odio e alla

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stessa paternità del gobbo. Il preludio è sia seguita soltanto nel n. 8 «Scena ed dunque l’argomento di una tragedia in- Aria» del Duca di Mantova (1. «Ella mi canalata su un percorso obbligato che fu rapita» 2. «Parmi veder le lagrime» prosegue nel fi nale primo, dove il mot- 3. «Duca, duca? – Ebben?» 4. «Possente to s’ode nuovamente quando il buffone amor mi chiama»)5. Non è certo un caso torna sui suoi passi mentre i cortigiani che tale trattamento spetti al personag- stanno per rapire Gilda («Ah, da quel gio più a senso unico di tutta l’opera, e vecchio fui maledetto!»). Subito dopo il che un dato formale venga poi ad essere grido straziante di Rigoletto («la male- tradotto in puro dramma: causa princi- dizione!») sigla le ultime battute, in cui pale del meccanismo per cui si giunge il richiamo al motto è affi dato a una cel- alla catastrofe, il libertino agisce, e nel- lula puntata e la ‘parola scenica’ emerge l’unico momento in cui sosta a rifl ettere in tutta la sua pregnanza. è capace solo di sentimenti convenzio- Nell’atto successivo la sequenza dell’ini- nali, a differenza di tutti gli altri perso- zio viene allusa dal movimento armoni- naggi dell’opera, ivi comprese seconde co (disteso melodicamente sulle note parti come i fratelli borgognoni, l’uno

La2 e Fa=, che fanno parte della sesta sicario l’altra prostituta. eccedente e risolvono sul Sol, che qui Scorrendo l’indice dei numeri il dato funge da perno), e accompagna Monte- che balza subito agli occhi è la schiac- rone che viene condotto al carcere. Alla ciante prevalenza di forme dialogiche. comparsa del genitore che di fronte al Ben cinque sono infatti i duetti (nn. 3- ritratto del Duca si dichiara impotente 5, 10, 14), di cui tre di fi la al prim’atto: e desolato, perché a nulla la sua maledi- in essi Rigoletto compare quattro volte, zione è servita, il buffone si trova nella e in tre casi insieme alla fi glia. Si può stessa situazione dell’uomo che poc’an- ben dire che la sua fi gura venga defi ni- zi aveva atrocemente deriso: lo schema ta all’interno di un sistema di relazioni ritmico passa dal padre condotto alla col mondo intimo dei propri affetti, in prigione all’altro che raccoglie la mis- aperta dialettica col mondo esterno in sione di vendetta, creando la prospetti- cui talora si specchia, ed è il caso di va del fi nale ultimo. «La maledizione!» Sparafucile in cui vede, con orrore, un è ancora una volta l’urlo di rabbia e do- suo doppio. «Ma in altr’uomo qui mi lore che Rigoletto scaglia contro il cielo cangio» sussurra dolcemente prima di prima che cali il sipario, e accoglie in sé rientrare in casa: tuttavia il mondo fa- sia il modello offerto dal fi nale primo, miliare disattende le sue aspettative, sia quello ritmico che regge il motto. perché Gilda gli disobbedisce ben due volte, prima palpitando per il giovane 2. «Una sfi lza interminabile di duetti» che incontra nel recarsi in chiesa, e poi non partendo per Verona, ma immolan- Fra tutti i capolavori di Verdi, Rigoletto dosi in luogo dell’amato. è quello più sperimentale dal punto di Di queste novità formali Verdi parlò vista della drammaturgia musicale, pri- chiaramente a Borsi, motivando il suo ma dell’ultima stagione creativa. Se ne rifi uto ad aggiungere nuovi pezzi soli- scorra l’impianto generale per cogliervi stici: come la tradizionale «solita forma» qua- dripartita dell’aria («1. Scena 2. Adagio ho ideato il Rigoletto senz’arie, senza 3. “Tempo di mezzo” 4. Cabaletta») fi nali, con una sfi lza interminabile di

16 FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI TRIESTE duetti, perché così ero convinto. Se qual- lui. È dato di cui tener conto il fatto che cuno soggiunge: «Ma qui si poteva far nell’ambito della struttura pentapartita questo, là quello» ecc. ecc. io rispondo: del duetto («0. Scena 1. “Tempo d’attac- Sarà benissimo, ma io non ho saputo far co” 2. Adagio 3. “Tempo di mezzo” 4. meglio.6 Cabaletta»), la Scena, normalmente in stile recitativo con carattere introdut- Bell’esempio di nonchalance, si direbbe tivo all’azione successiva, sia occupata quasi che il compositore voglia accredi- dal grande monologo «Pari siamo», a tare il primato di un impulso provenien- sua volta direttamente agganciato al- te dall’inconscio. Ma già obiettando l’incontro precedente con Sparafucile, ai primi strali piovutigli addosso dalla e che il Tempo d’attacco sia segnato dal censura, aveva scritto a Marzari: motivo ottimistico dell’orchestra in Do maggiore, che accompagna l’abbraccio che le mie note, belle o brutte che siano fra padre e fi glia: tale gesto imprime al non le scrivo mai a caso e che procuro brano seguente il sapore di un’illusione sempre di darvi un carattere.7 di conforto e pace del tutto irreale.10 Quando padre e fi glia torneranno ad in- E in seguito manifestò in molte circo- contrarsi, nell’atto successivo, ben altra stanze l’opinione che Rigoletto fosse «il è la situazione, e quei fondati timori che miglior sogetto in quanto ad effetto» agitavano il buffone si sono infallibil- per le «posizioni potentissime»,8 «più mente tradotti in realtà. Qui la struttura rivoluzionaria, quindi più giovane, e è assai complessa, visto che dalla Scena più nuova come forma e come stile»9 in versi sciolti (con l’eccezione dell’in- dell’Ernani (l’altro dramma di Hugo serto corale dei cortigiani, in versi otto- ridotto da Piave). Chiunque abbia avu- nari) si passa direttamente a un lungo to a che fare con Verdi sa come nulla Adagio che principia con l’appassionata egli lasciasse al caso, e questo telaio di confessione da parte di Gilda («Tutte le dialoghi su cui è intessuta l’azione non feste al tempio»), una gemma melodica trova il solo riscontro nelle peculiarità nel genere patetico, tale da commuo- del soggetto, ma fa parte di un progetto vere chiunque. Non però il genitore, generale. messo di fronte al fallimento delle sue L’ossatura di Rigoletto è dunque fatta di legittime aspirazioni, che seguita im- duetti, forma dialogica per eccellenza, precando: ma li si guardi meglio, e vi si scoprirà che manca proprio quel confronto che (Solo per me l’infamia essi sollecitano, e che solitamente fa a te chiedeva, o Dio ... lievitare il dramma. Dialogo non c’è di Ch’ella potesse ascendere sicuro tra padre e fi glia: nel loro primo quanto caduto er’io ...) incontro egli mostra tutta la sua preoc- cupazione per la precarietà del loro de- ed è rivendicazione solitaria, un a parte stino, le riversa addosso tutto l’affetto di otto versi in partitura dal carattere di cui è capace, e le fornisce, non senza eroico, che viene così a cozzare contro esitazioni, qualche scarna informazione l’elemento patetico di Gilda. Anche po- su un passato che par quasi non esistere, chi istanti dopo, quando è il momento perché annullato nel presente, l’unico di consolare la fi glia per l’onta appena tempo che sembri contare qualcosa per subita, il padre altro non fa che tradurre

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Jean Clouet, Ritratto equestre di Francesco I re di Francia. Firenze , Uffi zi. Il re protagonista del dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo, cui si ispira l’opera di Verdi, si identifi ca con Francesco I di Francia.

18 FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI TRIESTE il suo impulso in un’esortazione lirica poche, feroci battute. A differenza del dove, ancora una volta, prende sulle sue nobile Monterone, il padre plebeo non spalle ogni responsabilità: va apertamente a reclamare giustizia, a prezzo della propria vita, ma agisce Piangi, fanciulla, e scorrer come agirebbe il suo signore, pur coi fa il pianto sul mio cuor. limiti del suo rango. Peraltro il buffone può solo beffare, Ma la piena incomunicabilità tra i due e l’unico modo in cui può realizza- diviene ancor più chiara nella cabaletta re i suoi propositi è quello di servirsi di questo secondo duetto, quando Ri- del pugnale di un sicario. Per questo goletto rimane sordo alle invocazioni l’unico duetto in cui egli intrattiene un di pietà e perdono della fanciulla, e dal reale rapporto di scambio con un altro suo angolo della scena si lancia in un personaggio dell’opera è quello con solitario, fremente, inno di morte per il Sparafucile, grande pezzo drammatico suo nemico. Gilda si limita a riprendere in cui ogni convenzione salta per aria, la melodia del padre, come aveva fatto essendo costruito su un lungo dialogo nella corrispondente sezione del primo in stile parlante: sopra le voci dei due duetto («Veglia, o donna» – «Quanto af- interlocutori scorre una sinistra melo- fetto! ...»), quasi che la sua volontà s’an- dia in Fa maggiore di un violoncello e nullasse di fronte a lui. un contrabbasso. Tutto è scuro, tutto è In questo percorso il Quartetto, in cui sinistro: la tessitura degli archi che ac- il buffone cerca di distogliere la fi glia compagnano su una fi gura ostinata, cui dal sentimento d’amore per il Duca con si aggiungono nella seconda parte cla- l’esempio, è ulteriore conferma che non rinetti e fagotti, non passa mai il Do3 se esistono canali d’intesa: l’articolazione non nelle ultime battute, dunque le voci per opposizioni incrociate di registri insieme ai due archi gravi si fondono in vocali (soprano e baritono contro mez- un mare di cupezza. zosoprano e tenore) e di luoghi scenici Questa strategia dei duetti, da cui man- (l’interno dell’osteria contro la deserta ca un confronto diretto fra servo e si- sponda del Mincio) è l’ideale premessa gnore, enfatizza dunque la solitudine di al terzo e ultimo duetto, quando al padre Rigoletto: nella mancanza di dialogo col non resta altro da fare che raccogliere Duca è il buffone a farsi carico di una di- dalla morente l’ultima straziante con- mensione interiore gigantesca, proprio fessione («L’amai troppo ... ora muoio perché ognuno va per la propria strada per lui!...»), e di ricevere una vana con- a partire dall’inizio. Il signore interferi- solazione. rà sempre con le sorti di Rigoletto, ma I duetti padre/fi glia sono dunque il car- come una volontà immanente. dine di una prospettiva drammatica da cui Rigoletto par quasi cercare ad ogni 3. «Una maniera del tutto nuova, costo conferme della solitudine ch’è vasta, senza riguardo a convenien- marchio del suo stato: «Solo, difforme, ze di sorta» povero». Col Duca, poi, non ci sono duet- ti, né avrebbero senso: l’unico momento Parole verdiane che sono tutte un pro- in cui signore e buffone sono insieme è gramma, specie «senza riguardo a con- la festa, quando dividono la scena con venienze di sorta»,11 adattissime dun- tutti gli altri cortigiani e scambiano que al trattamento formale subito da Le

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Roi s’amuse e da cui sortì Rigoletto. Esse in considerazione ritenendolo adatto per peraltro non sono riferite al dramma di un’opera, ma fu solo quando dovette ab- Hugo, ma a un soggetto amatissimo da bandonare temporaneamente il Re Lear Verdi, che proprio in quegli anni prese che se ne innamorò. È troppo immagino- più seriamente in considerazione, tanto so supporre che la nuova vampata d’en- da incaricare Cammarano di trarne un tusiasmo per il dramma di Victor Hugo libretto. Si trattava della History of King abbia avuto origine dallo stesso impulso Lear, e la prescrizione accompagnava creativo che aveva spinto Verdi a cimen- un preciso programma per tale ridu- tarsi con Shakespeare? Il raggio di luce zione (una ‘selva’) realizzato da Verdi che aveva penetrato i meandri nascosti stesso, che l’inviò allo scrittore napole- di Re Lear non si è puramente rivolto ad tano il 28 febbraio del 1850, proprio nel illuminare Le Roi s’amuse? Entrambi i momento in cui stava più intensamente drammi vertono sulla paternità. Il buffo- pensando a Hugo. Si rilegga il titolo di ne di corte è tratto distintivo di entrambi. questo paragrafo e vi si accosti l’estrat- [...] Rigoletto potrebbe anche essere con- to di una lettera rivolta al librettista mu- siderato un Re Lear mancato.14 ranese, l’8 maggio 1850: Non mi pare affatto un’ipotesi troppo Oh Le Roi s’amuse è il più grande soget- immaginosa, anzi vari indizi la rendo- to e forse il più gran dramma dei tempi no attraente e proverò ad esporli, senza moderni. Tribolet è creazione degna di pretendere che le rifl essioni seguenti Shakespeare!!12 altro non siano che suggestioni per ul- teriori approfondimenti. La lettera fu scritta due mesi dopo l’al- È anzitutto notevole che Cammarano, tra, ma conosciamo una missiva di Tito già impegnato col libretto shakespea- Ricordi del 13 aprile 1850 in cui offre riano, avesse ricevuto il compito di a Filippo Danzinger, direttore del tea- ridurre anche la pièce di Hugo, non ap- tro di Trieste, «una nuova Opera che il pena la Fenice commissionò una nuova sudd.° Maestro [Verdi] sta componen- opera a Verdi (fu solo in marzo che il do per me sopra soggetto tratto da una lavoro venne girato a Piave). Mi pare tragedia di Skaspeare [sic]».13 Da qui in che ciò confermi come il compositore poi si perdono le tracce del Lear sino a sentisse pienamente l’affi nità dei sog- che Verdi stesso non informa l’amico getti («Tribolet è creazione degna di Carcano di aver accantonato il proget- Shakespeare!!!», appunto). Aggiunge- to, nel giugno dello stesso anno: ora Le rei poi a quanto nota Budden, che non Roi s’amuse aveva defi nitivamente pre- solo il buffone di corte distingue ambo so il sopravvento. i drammi, ma lo stesso ambiente di cor- Ma fu ciò che realmente accadde? Vale te, pervaso di cinismo e ambizione, è lo la pena di rileggere, in proposito, l’opi- sfondo imprescindibile in cui operano i nione di Julian Budden che, da buon protagonisti. inglese, serba costantemente un’atten- Rifl ettendo sulla tragedia della paterni- zione particolare al lungo e complesso tà, mi sembra che Gilda abbia per statu- rapporto tra Verdi e Shakespeare: to, quale fi glia unica, le caratteristiche di , terza fi glia di Lear, e che Le Roi s’amuse non costituiva una novità per natura non possa sottrarsi alle leggi per Verdi, l’aveva più di una volta preso dell’amore, ma a quelle fi liali concepite

20 FONDAZIONE TEATRO LIRICO GIUSEPPE VERDI TRIESTE come assoluto dovere: per questo va chi dall’orbita. «Out, vile jelly» («Via, contro al padre. Si rileggano le parole vile gelatina») esclama il carnefi ce con cui Cordelia, nella scena iniziale, Cornwall: l’accecamento è reale ma ha rifi uta apertamente di camuffare i pro- l’evidente portata metaforica che lo lega pri principi e i propri sentimenti, come all’azione principale, dove l’altro padre, e hanno appena fatto per accecato moralmente, non ha saputo di- ottenere il loro terzo d’eredità, e dichia- stinguere la sincerità dall’adulazione. ra preventivamente, come legge natura- Come non vedere baluginare il rifl esso le, la parità di doveri fra l’amore verso il di questo complesso intreccio nel rifi u- genitore e verso chi la sposerà: to da parte di Rigoletto di accettare la realtà? nell’essere egli stesso privato Obey you, love you, and most honour you. della facoltà di vedere da una benda Why have my sisters husbands if they say portagli dai cortigiani, che maschera un They love you all? Haply when I shall wed prevedibile inganno? nel non compren- That lord whose hand must take my plight shall carry dere, o nel non voler accettare la realtà Half my love with him, half my care and duty. affettiva di Gilda, incomprensione che Sure, I shall never marry like my sisters, trascinerà ambedue nel baratro? To love my father all.15 4. «Se un pazzo è nobile o plebeo? Rigoletto, dal canto suo, ama Gilda di Lear risponde: È un re; è un re!!» un amore assoluto che non ammette repliche, così come Lear che, nel mo- «Pazzo», nell’accezione di Verdi intento mento della disillusione, viene còlto a immaginare il proprio Lear 17, corri- dal furore per non essere stato adulato sponde al di Shakespeare: trovo come s’attendeva, e replica a Kent, che suggestivo che il musicista avesse in- osa prendere le parti di Cordelia: serito fra le parti principali proprio il Fool che accompagna Lear in tante vi- I loved her most, and thought to set my rest cissitudini del play, e che avesse imma- On her kind nursery. [to Cordelia] ginato per Lear, nella riduzione spedita Hence, and avoid my sight!16 a Cammarano, un duetto conclusivo tra padre e fi glia ambientato nella prigione, Quanto peso avranno poi gli organi del- scena che manca in Shakespeare. Col- la vista nel Lear: non vedono gli occhi pisce soprattutto la frase «Lear senza del Re, per sinestesia, quanto le parole badare a chi arriva solleva il cadavere delle due fi glie maggiori celano (la ri- di Cordelia». Sono segni di come nella bellione), e non sono nemmeno in gra- sua mente maturasse un posto speciale do di riconoscere Kent, che riammette per due luoghi drammatici per antono- al suo servizio dopo averlo discacciato. masia del Rigoletto: il padre che perde Ancora occhi nell’azione parallela che l’unico bene autentico, e un buffone che riguarda il povero Gloucester, colpevole viene elevato di rango. anch’egli di non aver saputo distinguere Di fronte a questa costellazione il Duca di l’assoluta lealtà del primogenito Edgard Mantova rivela un’assoluta inconsistenza. dalla maligna ambizione del bastardo Di più: par quasi una sorta di fantasma , ideatore della trama che avrà che abita la mente di Rigoletto. Il rappor- come conseguenza la scena cruenta to fra signore e padrone viene quasi rove- dove gli verranno cavati a forza gli oc- sciato, rispetto a Shakespeare dove

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Scuola di Jean e François Clouet, Triboulet. Disegno 1530 c., Chantilly, Museo Condé. Triboulet, buffo alla corte di re Francesco I di Francia, è il protagonista del dramma Le roi s’amuse di Victor Hugo, fonte del libretto per Rigoletto di Giuseppe Verdi.

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Lear parla con un affetto curiosamente la sua ‘amata’, vista la devozione dei suoi intimo e senza riguardo per la dignità, scherani, e avrà ben modo di consolare quasi che le parole del Buffone fossero atrocemente il pianto della sua diletta. una sua allucinazione [...]; ed è vero che Rigoletto è dunque più che il rovescio il Buffone funge praticamente da secon- di un Fool, mi pare un matto che è un da personalità esternata dal re.19 re, per mutuare le parole tratte dalla ri- duzione verdiana del Lear: concepisce Rigoletto, invece, contiene in sé sia il un piano di vendetta contro un signore comico sia il tragico, mentre il suo con- inconsistente, si conquista un livello traltare rappresenta solo il brillante. La di dignità versando lacrime, sudore e mediazione di Hugo stesso, nella rice- sangue, e se la maledizione lo stronca, zione di Shakespeare, mi sembra deci- tuttavia non cancella tutto il travagliato siva, specie quando afferma che processo che lo porta ad esclamare: «O come invero qui grande mi sento», im- Shakespeare, c’est le drame; et le drame, merso nei lacerti di una tempesta che qui fond sous un même souffl e le grote- malintende. sque et le sublime, le terrible et le bouffon, Ben altro effetto aveva avuto la tempe- la tragédie et la comédie, le drame est le sta nell’animo di Gilda, il baluginare di caractère propre de la troisième époque quei lampi accompagnava il tumulto del de la poésie, de la littérature actuelle.20 suo animo, vero pedale tragico per un gesto nobile come il sacrifi cio. Una de- Non solo: il potente-marionetta si muo- cisione eroica presa nel contesto di una ve sempre, musicalmente e drammati- natura nemica, di fronte a una misera- camente, come uno se lo aspetta, into- bile stamberga, mentre in orchestra na ballate e fatue canzoni. Ha persino risuonano accordi grevi, con le quinte le stesse reazioni del suo buffone, ma vuote in guisa di bordone che tratteg- le rivela dopo. Rigoletto, nel fi nale del giano un clima musicale di depravazio- prim’atto, torna sui suoi passi e bor- ne. Ciò che caratterizza l’attacco e il botta tra sé e sé: «(Riedo!... perché?)», successivo sviluppo di questa ‘Scena’ percosso dal motto della maledizione. è il piede dattilico (-˘˘) che imprime All’inizio dell’atto successivo il Duca un pigro movimento a una catena d’ac- dichiara: cordi statici su cui si scateneranno gli elementi, e che regge anche le voci del Ella mi fu rapita! coro che vocalizza a bocca chiusa. Tor- E quando, o ciel? ne’ brevi istanti, niamo al primo duetto tra padre e fi glia, prima che il mio presagio interno e precisamente alla cabaletta «Veglia, o Sull’orma corsa ancora mi spingesse!... donna», per cogliere un suggestivo arco che attraversa la partitura e, al tempo Ed è signifi cativo che questa scena so- stesso, l’intera azione dammatica, trac- stituisse quella tratta direttamente dal ciato dalla formula d’accompagnamento dramma originale (per il prevedibile degli archi al canto di Rigoletto, anche divieto della censura), in cui Blanche qui per piedi dattilici regolarmente al- entra nella camera del Re: sono Piave e ternati a piedi spondaici; essa segue im- Verdi, dunque, che lo spingono a torna- mediatamente il breve quanto concitato re verso la casa del buffone. Il Duca, pe- scambio fra il baritono, che avverte un raltro, non deve far fatica per ritrovare senso di minaccia, e la serva Giovanna.

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La formula scompare quando Gilda ri- di riscatto da questo momento lascia sponde al padre («Quanto affetto!..») e Verdi per sempre, segno che il suo lai- riprende per quattro battute, prima che cismo sta per divenire radicale. Quella questi s’interrompa nuovamente (ed è il sorte che sfascia un uomo predestinato momento in cui il Duca, gettando una prenderà aspetti più concreti, vestendo borsa a Giovanna, sgattaiola all’interno gli abiti da sera dell’ipocrita società bor- della casa). Non la troviamo in altri pun- ghese che accelera il disfacimento di ti perché essa traduce in segno dram- Violetta Valéry, o la tonaca del Grande matico-musicale un presagio di sventu- Inquisitore, emblema del cupo potere ra, che si realizza nella scena dell’oste- clericale che annienta Elisabetta e Don ria: qui della formula ritmica rimane Carlos, oppure il costume ieratico di solo un inquietante lacerto ma è quanto Ramfi s, gran sacerdote che condanna basta, perché oramai ogni illusione di Radames e Aida. Contro di essa, in un serenità non ha più ragion d’essere. utopico tentativo di riconciliazione, il Quella sezione del duetto è intrisa di una soprano del Requiem invocherà «Libera tragica ironia: la raccomandazione alla me». serva corrotta, intonata con voce soave quale in nessun altro momento dell’ope- ra gli sentiremo, suona come il più cupo NOTE presagio del Rigoletto-padre, che sa già 1 Il decreto della R. Direzione centrale d’Ordine dentro di sé che perderà la fi glia. In riva pubblico viene trascritto in appendice alla lettera di al Mincio, atmosfera a entrambi fatale, Marzari a Verdi del 1° dicembre 1850, in I copialettere nutrita di un gesto d’amore assoluto, c’è di Giuseppe Verdi, pubblicati e illustrati da Gaetano Cesari e Alessandro Luzio e con prefazione di Miche- un barlume di civile speranza, perché le Scherillo, Milano, Commissione per le onoranze Gilda è indotta al sacrifi cio nel vedere a Giuseppe Verdi nel primo centenario della nasci- il pianto rigare le gote di una prostituta ta, 1913 (ristampa fotomeccanica: Bologna, Forni, come Maddalena («Che! piange tal don- 1968), p. 487. 2 Cfr. MARIO LAVAGET TO, Un caso di censura. Il «Rigo- na!... Né a lui darò aita!...»). Ma proprio letto», Milano, Il Formichiere, 1979, dove l’autore sve- quel presagio nato all’interno delle pa- la con acume i meccanismi di una potenza clericale reti domestiche, altrimenti sicure, si sta e cieca. avverando. Una cieca ostinazione di Ri- 3 Lettera del 3 giugno 1850, in FRANCO A BBIATI, Giusep- pe Verdi, 4 voll., Milano, Ricordi, 1959, II, pp. 63-4. goletto che è tratto distintivo dell’opera 4 La terza dell’accordo viene raddoppiata al basso: tale ed è ineluttabile come il suo destino, procedimento enfatizza la sonorità del Do iniziale di qui tradotto in una penetrante quanto trombe e tromboni e porta all’anomala risoluzione raffi nata metafora sonora. «Ah mio ben diretta sulla triade di tonica allo stato fondamentale e non in secondo rivolto (I6). Eccede le norme anche solo in terra»: se Lear ha tutto e tutto il fatto che Verdi non impieghi l’accordo eccedente lascia, Rigoletto ha solo una fi glia, ma (comunemente noto come «sesta tedesca») con la la sua perdita è più radicale, più roman- tradizionale funzione di dominante secondaria in tico il suo agire, e altrettanto tragica e modo maggiore. L’analisi è condotta sulla partitura di Rigoletto (Milano, Ricordi, © 1914, rist. 1980). oscura la conclusione. 5 Adotto qui, e altrove per il duetto, la griglia analitica La Maledizione: forse il nobile Montero- proposta da HAROLD POWERS («“Melodramatic Struc- ne, tonante ‘convitato di pietra’, uscirà ture”. Three Normative Scene Types»); cfr. «La solita dal carcere, ma l’umile reietto non può forma» and «the uses of convention», in Nuove prospet- evitare il proprio destino – ed è questo tive della ricerca verdiana, Parma/Milano, Istituto di studi verdiani/Ricordi, 1987, pp. 74-109 (anche in il messaggio pessimistico che ci giun- «Acta musicologica», LIX/1, 1987, pp. 65-90), e parti- ge da Rigoletto. La fi ducia in un ideale colarmente la tavola 1, p. 106.

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6 Lettera dell’8 settembre 1852, in I copialettere cit., 12 ABBIATI, Giuseppe Verdi cit., II, p. 62. p. 497. 13 M ARCELLO CONATI, La bottega della musica. Verdi e la 7 Lettera del 14 dicembre 1850, ivi., p. 111. Fenice, Milano, Il Saggiatore, 1983, p. 200. 8 Queste due espressioni sono estrapolate da una 14 JULIAN BUDDEN, The Operas of Verdi, 3 voll., London, lettera del 22 aprile 1853 ad (ALES- Cassell, 1973-1978; trad. it.: Le opere di Verdi, Torino, SANDRO PASCOLATO, «Re Lear» e «Ballo in maschera». Edt/Musica, 1985-1988, I, Da «Oberto» a «Rigoletto», Lettere di Giuseppe Verdi ad Antonio Somma, Città di p. 528. Castello, Lapi, 1902, pp. 46-7), cui Verdi intendeva 15 The History of , 1.90, in WILLIAM affi dare il compito di scrivere il libretto del Re Lear, SHAKESPEARE, The complete Works, a cura di dopo la morte di Salvatore Cammarano. Ecco un pri- Stanley Wells e Gary Taylor, Oxford, Clarendon mo esempio di cortocircuito fra Lear e Rigoletto. Press, 1988, p. 911. 9 Lettera a Piave dell’ottobre 1854, in ABBIATI, Giusep- 16 Ivi, 1.116, p. 912. pe Verdi cit., II, pp. 175-6. 17 L’espressione è tratta dal programma del Lear invia- 10 Verdi aveva sperimentato l’inserimento di un mono- to da Verdi a Cammarano in allegato alla lettera del logo all’interno della «solita forma de’ duetti» nel n. 7 28 febbraio 1850, in I copialettere cit., p. 478. «Gran Scena e Duetto» tra il protagonista e la moglie 18 Ivi, p. 482. nel primo atto di (1847), dove «Mi s’affaccia 19 WILLIAM EMPSON, Seven Types of Ambiguity, London, un pugnal?!» occupa una posizione analoga a «Pari sia- Chatto & Windus, 19533; trad. it.: Sette tipi di ambi- mo», e precede lo sviluppo regolare della forma. guità, Torino, Einaudi, 1965, p. 97. 11 Verdi a Cammarano, 28 febbraio 1850, in I copialet- 20 VICTOR HUGO, Préface à Cromwell, Paris, Garnier Flam- tere cit., p. 478 marion, 1968, p. 75.

(*) Michele Girardi Nato a Venezia il 3 maggio 1954, insegna Drammaturgia musicale nella Facoltà di musicologia dell’Università di Pavia. Le sue ricerche vertono principalmente sulla musica del secoli XIX e XX, e in particolare sul teatro musicale fi n de siècle (saggi su Puccini, Berg, Verdi, Boito e altri). Attualmente studia il teatro di Bizet, e il rapporto fonte-libretto-opera nel periodo scapigliato. Autore di numerose voci per il New Grove Dictionary of Opera e il New Grove Dictionary of Music and Musi- cians, la Piper Enzyklopädie des Musiktheaters, ha curato, in collaborazione con Franco Rossi, una Cronologia degli spettacoli del Teatro La Fenice (in due tomi, 1989 e 1992). La sua opera più rappresentativa è la biografi a critica Giacomo Puccini. L’arte internazionale di un musicista italiano (Marsilio, Venezia 1995, 20002, 512 pp.), che ha vinto il primo premio letterario «Massimo Mila» nel 1996, ed è apparsa in traduzione inglese (e in versione riveduta e ampliata) con il titolo Puccini: His Interna- tional Art (The University of Chicago Press, Chicago 2000, XVI - 520 pp.). Il volume più recente, con Anna Laura Bellina: Il teatro La Fenice 1792-1996. Il teatro, la musica, il pubblico, l’impresa, Venezia, Marsilio, 2003; parte II. La Fenice nel mondo: repertorio, avanguardie, retroguardie, fi amme (1879-1996). È socio fondatore, membro del consiglio direttivo e del comitato scientifi co del Centro studi Giacomo Puc- cini di Lucca (1996), fi gura tra i curatori della rivista «Studi pucciniani», e coordina gruppi di ricerca sulle mises en scène tardo-ottocentesche. Fa parte della commissione scientifi ca del Comitato nazionale per le ce- lebrazioni pucciniane 2004-2008. Dal 2002 è responsabile editoriale della collana di libretti di sala del Teatro La Fenice di Venezia (dal 2003: «La Fenice prima dell’opera», serie musicologica).

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