NUMERO 185 in edizione telematica 10 ottobre 2012 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected] C’è sempre un terzo uomo

Per rispondere alla domanda di le sue dichiarazioni ed il fondato per cento in quanto l’ormai cosa esattamente significhi la ottimismo per una riconferma. famoso ed incombente “terzo parola “percentuale” ci affidiamo uomo” potrebbe essere alla definizione che ne dà il Considerato che ad Arese serve rappresentato proprio dal partito Dizionario Enciclopedico almeno il 55,1 per cento dei delle schede bianche. Treccani: “Il numero di persone consensi “validamente espressi” Ed inoltre non è da escludere che o di cose che si prende in siamo già arrivati a quota 120,1. qualcuno di coloro che abbiamo considerazione ogni cento di indicato come interpreti di esse”. sovrumani silenzi sia La risposta è insita nella intenzionato a raccogliere le domanda stessa: la somma degli firme per avanzare la sua elementi presi in considerazione candidatura. Eccoci magari ad un deve dare esattamente 100 e non Terzo Uomo in carne ed ossa. altro numero da esso differente. Ricordiamo ai più giovani dei Questo criterio vale ovviamente nostri lettori che “ The third anche se parliamo dei Delegati Man” era un film del 1949, regia all’Assemblea della Fidal indetta di Carol Reed, testo di Graham per il 2 dicembre prossimo. Greene, fotografia cupa e Considerato che la Treccani e la inquietante nel bianco e nero di matematica non sono opinabili Robert Krasker, premio Oscar. A siamo assaliti da qualche fianco di Jospeh Cotten ed Alida legittimo dubbio. Valli spiccava la figura di Orson Abbiamo assistito alla conferenza Welles. Che passò alla storia del Stampa di presentazione della cinema anche per la famosa candidatura del Professor Alfio frase: “ In Italia in trenta anni Giomi e lo abbiamo sentito hanno avuto guerra, terrore, affermare con sicurezza che il Ma non basta. Abbiamo sentito omicidi, stragi ed hanno prodotto suo schieramento può contare sul molta gente che giura, su quanto Michelangelo, Leonardo da Vinci 65 per cento dei voti. Altri suoi ha di più sacro, che non voterà ed il Rinascimento. In Svizzera in compagni di cordata sono stati mai né per l’uno né per l’altro. cinquecento anni di amore ancora più precisi e ci hanno Dalle voci che ci giungono da più fraterno, di democrazia e pace relazionato, in via privata e parti ( e soprattutto per cosa hanno prodotto? L’orologio riservatissima, della situazione l’impenetrabile silenzio di altri a cucù”. Regione per Regione e le loro importanti personaggi) siamo Il tutto accompagnato dal ripetuto previsioni confermano (se non portati a valutare che questo e lamentoso motivo della cetra rafforzano) le indicazioni di scontento e che codesti amletici tirolese pizzicata da Anton Karas. Giomi. attendisti possano coprire un E chi può dimenticarla? Sono in Pochi giorni dopo il Presidente in quinto dell’elettorato. Siamo così molti a ricordarla e, senza carica e ricandidato al soglio arrivati al 140 (e più) per cento . attendere un Leonardo, magari Professor al ha il che è un sicuramente una attendono qualcuno che sappia rilasciato un’intervista al collega cifra bella ma impossibile. pizzicare le corde del sentimento Giorgio Barberis che, proprio E’ invece possibile, anzi e soprattutto della speranza. sulla prima pagina dell’ultimo probabile, che nessuno dei due numero di Spiridon, ha riportato attuali candidati raggiunga il 50 Vanni Lòriga

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Incerti… di un titolo europeo nella maratona

La Fidal non si è compiaciuta dell’unica medaglia d’oro italiana nel Campionato Europeo di Barcellona, quella assegnata ad Anna Carmela Incerti dopo le squalifiche per doping della terza e della seconda classifica. Nessuno potrà ridare all’allieva del professor Ticali i momenti di gloria conquistati senza scorciatoie. Mamma Fidal non ha spalancato le braccia. Dal presidente al D.T., dal responsabile della maratona all’ultimo degli uscieri non una telefonata, un mail e non un rigo in Atletica, come ci è stato riferito e che come al solito non abbiamo ancora ricevuto. La dirigenza ha silenziato l’impresa di un’atleta che non ha cercato scorciatoie e non ha il motore maggiorato per disgrazia e grazia ricevute. Il prof Tommaso Ticali, felice per il terzo posto del suo allievo Vincenzo Agnello nella 21km. 97m a Selestar, under 23 Italia – Francia, ha commento con amarezza : cosa abbiamo fatto per meritare questa indifferenza? Ai dirigenti, che ci leggono, la risposta. La pubblicheremo nel prossimo numero. Pino Solitario

Cuore di mamma “Per come conosco Alex sono sicura che porterà a termine la nuova sfida”. Così si sarebbe espressa la mamma di Alex Schwazer all’annuncio che il figliolo, disoccupato d’oro dallo sport e dal lavoro (che poi erano la stessa cosa) ripudiato dal Corpo d’appartenenza e dal “grande amore”, ha deciso d’iscriversi all’università. A quella di Innsbruck , naturalmente. Dalle parole di frau Schwazer traspare tutta la legittima ammirazione per il figlio, “un bravo ragazzo vittima delle cattive compagnie”. Intanto ci dicono che le indagini vanno avanti anche se per ora se ne parla poco. Per ora, perché non è difficile prevedere che fra non molto, cioè sotto le elezioni presidenziali quando il climax sarà al sommo, se ne riparlerà , e di molto. Già perché abbiamo sempre il sospetto che il caso, guarda … caso possa essere usato possa essere usato in versione anti- Arese

RICEVIAMO E PUBBLICHIAMO

A seguito ed a commento della noterella pubblicata sull’ultimo nostra “speciale” dal titolo:”Il gruppo Ialenti, ecc.,ecc.” abbiamo avuto tramite Vanni la seguente lettera che pubblichiamo nella sua prima parte relativa all’incontro di Campobasso, tralasciando per ovvi motivi di riservatezza la seconda in quanto tratta argomenti strettamente personali. Comunque nella notizia pubblicata da Spiridon non erano stati fatti i nomi degli intervenuti. La lettera di Di Feo li rende noti

Egr. Dott. Loriga, ho letto il numero 270 di Spiridon . A valle delle dichiarazioni del Presidente Arese , che condivido tutte, ho letto l’articolo riguardante “IL GRUPPO IALENTI SI SCHIERA CON ALFIO GIOMI”. Per chiarezza di informazione vorrei provare a descrivere quanto è accaduto lo scorso Venerdì (21/9 u.s.) in quel di Campobasso. Sono stato invitato alla riunione avendo ricevuto una e-mail a firma del Dott. Ialenti che , tra l’altro, indicava quanto segue:.

“In considerazione del particolare momento che stiamo vivendo ed anche per esaminare la possibilità di trovare la maggiore coesione possibile per poter esprimere insieme una proposta per la futura gestione federale. Il nuovo Statuto ci impone scelte condivise se non volgiamo restare fuori dal sistema. Per questo motivo invito tutti partecipare all'incontro che, anche su sollecitazione di diversi amici, ho fissato per venerdì 21 alle ore 17,00 presso la sede del comitato regionale della Fidal in contrada Fontanavecchia Vi chiedo di volermi confermare la presenza al fine di poter prenotare l'albergo In attesa di incontrarvi saluto cordialmente Mario”.

Erano presenti Francesco De Feo, Pino Scorzoso, Laurent Ottoz, I presidenti di Calabria, Basilicata con il delegato all’Assemblea ( così è stato introdotto ), il Presidente della Puglia con il Consigliere Leone, il Presidente del Lazio con D’Onofrio, il Consigliere Milardi accompagnato da un rappresentate dell’Esercito Francesco Speranza ed un rappresentante delle Forestale Maurizio Demarco, il Presidente della Campania accompagnato dal titolare della Gana Sport credo anche Consigliere Regionale della Campania. Il Presidente Ialenti informava i presenti circa l’assenza della Sicilia che non aveva dato risposta così come il collega Consigliere Siculiana ed il Presidente dell’Abruzzo che considerata la sua posizione regionale non aveva ritenuto opportuno partecipare. Anche i consiglieri Dagostino e Caruso non avevano comunicato la loro partecipazione all’incontro. Detto questo il sottoscritto faceva notare al Presidente del CR Molise Dott. Mario Ialenti che la presenza di Gigi D’Onofrio era inopportuna tenuto conto di quanto da lui stesso indicato nella e-mail di invito, sottolineando altresì che la dichiarazione d’intento non doveva essere considerata come una questione personale nei confronti del D’Onofrio, tutt’altro, ma se discussione di analisi doveva esserci allora chi aveva il giorno prima organizzato a Roma la presentazione del candidato Presidente in contrapposizione ad Arese non poteva essere seduto a quel tavolo, ed era, secondo il mio personale punto di vista, in evidente contrasto con i temi di discussione, quella non era un riunione di confronto tra le parti. Dopo di che ho abbandonato la riunione, seguito dal Collega Pino Scorzoso ed Ottoz che rientrava per riferire il suo stato di disagio, cosa tra l’altro rimarcata e diffusamente argomentata dal Collega Scorzoso prima di lasciare la sessione dei lavori. (omissis)

Comunque la ciliegina sulla torta è stata la decisione finale di chi è rimasto alla riunione, sono stati delegati a contattare o (omissis) e e dialogare con Giomi Angelo Giliberto e Gigi D’Onofrio. Con Cordialità

Francesco De Feo Consigliera Nazionale Fidal

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fuori tema

Sarà opportuno muoversi in direzione di Vicenza, dove dal sei ottobre ha riaperto i battenti la fenomenale Basilica palladiana. Cinque anni di restauro per un gioiello alla cui ripresa avrebbe inizialmente dovuto mettere mano Renzo Piano – il cui progetto fu fortemente contrastato da mezzo mondo accademico e ambientale, compresa Italia Nostra – sostituito da Paolo Marconi e da Eugenio Vassallo. Da cinque secoli, insieme con il palazzo della Ragione e con la meraviglia costituita dal Teatro Olimpico, l’estetica strutturale ideata da Andrea di Pietro della Gondola rappresenta l’identità di una intera comunità, quell’identità che, al pari dei comparti urbanistici creati da menti illuminate a Padova, Treviso, Verona, insieme all’assoluta unicità di Venezia e al contorno dolomitico sparso tra Pelmo, Marmolada, Civetta, Tofane e Lavaredo, fa del Veneto la più affascinante regione italiana. Sarà opportuno recarvisi, a Vicenza, anche perché in coincidenza con la riapertura della Basilica del Palladio s’è allestita una mostra con un centinaio di opere che vanno da Beato Angelico a Francis Bacon, passando attraverso Botticelli e Raffaello, Mantegna e Tiziano, Caravaggio e Cranach il Vecchio, fino agli impressionisti e a Pietro Giacometti ed Edward Munch. Una seconda segnalazione riguarda il mondo dell’avventura: l’uscita di un libro fotografico di 288 pagine, Shackleton in Antartide, costruito attorno alle immagini prodotte dall’australiano Frank Hurley tra il 1914 e il 1916 nella leggendaria “imperiale spedizione transantartica” guidata dall’inglese Ernest Shackleton, eccezionale conduttore d’uomini, prima a bordo dell’Endurance – una goletta di 350 tonnellate con 27 uomini a bordo, intrappolata a 80 chilometri dal Polo Sud “stretta in mezzo ai ghiacci come una mandorla in una tavoletta di cioccolato”, trascinata per dieci mesi alla deriva e infine sprofondata nel ghiaccio – poi attraverso una lotta inumana, un’autentica odissea al cui termine tutto fu salvo, compresa l’impressionante raccolta operata da Hurley. Ed è doppiamente impressionante, mettendole a fronte, l’identità fotografica dell’Endurance e quella della Stella Polare, il tre alberi impiegato nel 1899 nell’impresa condotta dal duca degli Abruzzi e da Umberto Cagni per la conquista del punto più alto mai raggiunto verso il Polo Nord, entrambe preda del pack nelle due opposte estremità del pianeta, a pochi distanza d’anni l’una dall’altra. Una terza segnalazione – rivolta a chi in qualche modo, da una parte o dall’altra, con maggiori o minori prospettive di successo, e addirittura nell’arrivo messianico di un terzo polo non meglio identificato e probabilmente inesistente, si industria a mettere mano alla gestione dell’atletica italiana per il prossimo quadriennio – nasce dall’arrivo e dalla lettura di una Rassegna stampa ragionata prodotta a margine dei Giochi di Londra dall’ASSITAL, l’associazione italiana tecnici di atletica. Nella pubblicazione si rintracciano nomi da tempo impegnati, e con lodevole senso d’appartenenza, nella disciplina, ne cito tre per tutti, Adolfo Rotta, Enzo D’Arcangelo e Mauro Pascolini, individuabili logisticamente il primo sulla frontiera milanese, i secondi in quella capitolina. Più che sul commento finale, più che sul consuntivo tecnico-agonistico riferito agli atleti italiani e ai voti a loro assegnati, è utile soffermarsi sulle pagine finali in cui vengono elencati i problemi dell’atletica di casa nostra e, insieme, le proposte e le idee per ribaltare l’endemicità della crisi. Ecco, sarebbe salutare leggersi quelle quattro pagine. Non sono il vangelo. Si può approvare o dissentire. Ma c’è da imparare, e soprattutto da confrontarsi. Dal punto di vista organizzativo si sottolinea l’assenza di propaganda giovanile e di reclutamento in generale, l’insufficienza organizzativa territoriale, la tendenza a gestire la routine, la scarsa professionalità, l’incapacità di gestire al meglio le risorse umane disponibili. Dal punto di vista tecnico, note negative, la specializzazione unilaterale e precoce dei giovani, l’uso indiscriminato delle riserve di prestazione, la valutazione superficiale del potenziamento generale e multiforme dell’atleta a vantaggio di quello particolare e specifico, l’incapacità di seguire programmi di allenamento “spalmati” nel tempo, di porsi obiettivi a breve, medio e lungo termine, di gestire la crescita e il mantenimento dei talenti e, negli atleti di livello, i picchi di forma e le priorità delle competizioni internazionali. A seguire, con attenzione specifica ai problemi tecnici, una serie di proposte e di riflessioni. Compresa quella di un’ASSITAL che si sottrae allo “scontro tra le varie fazioni in lotta”, delegando secondo istituto il compito alle società e invitando tutti al confronto e a far prevalere “una volta tanto i progetti e le proposte concrete, e non lo scambio dei posti e delle poltrone”. [email protected]

SPIRIDON/4

con chi di marcia se ne intende – Intervista a Maurizio Damilano

Le riprese rallentate dell’Olimpiade hanno riaperto le discussioni sulla qualità del gesto espresso dai moderni marciatori, dando voce ai due opposti partiti: quello di chi in pratica considera il gesto tecnico ormai non controllabile e quello di chi invece ne difende le radici pur in una visione tecnica più dinamica rispetto al passato. Chi meglio di Maurizio Damilano, presidente della Commissione Marcia della Iaaf, può a questo punto intervenire in questa discussione, chiarendo per prima cosa se davvero oggi la marcia sia cambiata? “Mi pare evidente che la marcia nella sua forma moderna non ha mutato la sua radice iniziale, ossia fare del cammino umano uno sport dove è evidente la ricerca della maggior velocità possibile nel vincolo di alcuni cardini regolamentari che ne identifichino il gesto”. - Il regolamento rappresenta quindi un’indicazione tecnica? “Se non proprio un’indicazione tecnica, il regolamento è il parametro, il punto di riferimento per allenare e giudicare la marcia. E questo concetto vale per qualsiasi tipo di sport, calcio incluso, giudicato dall'uomo. Le regole permettono di valutare e di ricercare la perfezione, nel loro massimo rispetto, per chi pratica e allena. E’ l'esecuzione, la gestualità, la capacità di gestire al meglio il movimento all'interno dei parametri regolamentari a farci dire: questo è un buon movimento, una buona azione tecnica, un gesto corretto. Naturalmente a livello di giudizio umano e non attraverso strumenti esterni”. - Questo permette però delle scappatoie … “Non direi: siamo tutti ben consci che la marcia, come succede per altre discipline sportive, necessita di un continuo monitoraggio e di interventi tecnici, regolamentari e tecnologici. Ma occorre ribadire con forza che giudizi semplicistici non sono accettabili e vanno rigettati. Dire, ad esempio, “oggi tutti corrono” è poco corretto perché nessun marciatore corre volontariamente. Al limite qualcuno infrange il regolamento con una fase aerea ben evidente, ossia che supera i 35/40 millisecondo di durata, e quindi identificabile anche dall’occhio umano, oppure flessionando il ginocchio”. - L’occhio umano è un conto, ma la televisione propone immagini ben differenti … “Se non ci sono motivi di analisi e studio tecnico, farsi guidare nel giudizio di un gara solo da valutazioni che derivano da una visione televisiva, ancor peggio da immagini scandite dallo slow motion, sistema che altera completamente quella che è la capacità e la possibilità visiva dell'uomo, è assolutamente in contrasto con questo sport, la sua storia, la sua tradizione. Questo non significa che non si potrà pensare per il futuro a interventi tecnologici a sostegno del giudizio umano, ma oggi è profondamente ingiusto valutare in base all’occhio elettronico. La marcia vista dal vivo ha ben altro sapore e viene intesa e giudicata diversamente, in modo più reale e naturale”. - Questo significa che la marcia non è sport per la televisione? “No, al contrario. E non soltanto per motivi promozionali. Basta pensare alla suggestione prodotta dallo sforzo di atleti che lottano gomito a gomito per decine di chilometri, magari sfiorando il Colosseo o la Tour Eiffel, oppure tagliando la Piazza Rossa o transitando di fronte a Buckingham Palace come è avvenuto a Londra. Ossia i centri delle città e i luoghi simbolo restituiti per alcune ore ai pedoni per un impegno agonistico. Il mezzo televisivo deve però essere usato correttamente, lasciando scorrere le immagini alla loro velocità naturale, non alterando il modo di vedere il gesto sportivo. Guardiamo al calcio: proprio per l’uso – a mio parere eccessivo – di zoom, fermi immagine, rallenty, ad ogni situazione statica - calci d’angolo, punizioni - sembra di assistere ad un incontro di lotta. Nessuno però va oltre un commento che tiene conto della velocità di svolgimento dell’azione e della difficoltà dell’arbitro a giudicare o vedere ciò che vede la moviola. Perché nella marcia invece ciò è usato a pretesto dai detrattori per sostenerne la sua ingiudicabilità, o la lettura restrittiva delle regole?”. - Dovendo spiegare e far capire brevemente cos’è la marcia nel rapporto tra regolamento, tecnica e giudizio, cosa direbbe? “Semplicemente la marcia è un cantiere aperto che cerca la tecnica più efficace all'interno di quei parametri che la regola indica e che il giudice utilizza per formulare il suo giudizio. Da sempre è così. A cambiare è le velocità di esecuzione ossia la capacità di adattare la tecnica ad un maggior dinamismo tenendo presenti i punti di riferimento regolamentari. La marcia cerca da sempre la pulizia nel gesto per evitare fasi di volo o per contenerle nei limiti della capacità visiva, mantenendo nel contempo il ginocchio teso dal momento del contatto sino almeno al passaggio della gamba oltre la verticale. Forse si potrebbe rafforzare il parametro tecnico/regolamentare dicendo che l'appoggio a terra del piede deve avvenire in modo ben visibile con il tacco, ma è una finezza esplicativa visto che in genere giudici e tecnici di tale movimento già ne tengono conto”. - Sostanzialmente quindi nulla è cambiato rispetto al passato … “Detto così, è forse eccessivo. La marcia si è velocizzata e fatta più atletica, ma non ha mutato la sua radice. Capisco che questa affermazione può essere contestata e mille interpretazioni possono essere date. Però se lo si fa in modo pretestuoso - seppure in buona fede - è difficile uscire da schemi che finiscono per irrigidirsi e basta. Prendiamo il modo di giudicare. Noi siamo partiti da Sidney 2000, Olimpiade drammatica per la marcia. Squalifiche a gara conclusa, incomprensibili come quella della Perrone, o inflitte a pochi metri dall’ingresso nello stadio all’atleta di casa. In 12 anni si è cambiato molto. La selezione e la preparazione dei giudici internazionali è stata fortemente incrementata. Il giudizio è oggi molto più tecnico che in passato. Certo uno sport valutato dall’uomo non potrà mai essere esente da polemiche o critiche, ma ciò fa parte della storia di tutte le disciplina che propongono il giudizio umano, oggi senz’altro più equo di quello del passato. Chi sostiene che oggi non si marcia più, dovrebbe spiegare perché preferirebbe una valutazione basata prevalentemente sull’aspetto estetico, che magari penalizza chi pur rispettoso del regolamento si muove in maniera sgraziata, e perché non considera più condivisibile un giudizio basato sull’analisi tecnica del movimento, quindi su presupposti più oggettivi che, in futuro, potrebbero venir dati da uno strumento elettronico”.

SPIRIDON/5

- Si va quindi verso l’applicazione di penalizzazioni, di nuova tecnologia e di cambiamenti regolamentari? “Il regolamento, inteso come norma per definire la marcia, è invariato da tempo e negli ultimi decenni ha subito soltanto delle precisazioni editoriali per meglio focalizzare i concetti, oppure variazioni per aiutare a capire o ad applicare meglio il giudizio. A livello di regole per adesso non si prospettino variazioni, ma la discussione sull’utilizzo di nuove forme per valutare e per applicare le sanzioni è aperta. Il discorso tecnologico ed informatico non è semplice anche se si sono fatti in questi anni passi da gigante. Non è una via da scartare, ma deve offrire garanzie di applicabilità molto chiare e quasi infallibili. Inoltre si pone il problema, per ragione di costi, a quali livelli la tecnologia sia introducibile. Lo stop con penalità ha iniziato ad essere testato. Non piace molto ai tecnici, è visto con sfumature diverse dagli atleti, ma è apprezzato da pubblico e media. Ci sono pro e contro, ma provare è giusto: soprattutto a livello giovanile può essere strumento bello ed educativo”. - Come concludere questa chiacchierata sulla marcia? “Credo si possa sintetizzare dicendo che in fondo la marcia è il ricercare continuamente un movimento tecnico che permetta di trasmettere a chi osserva o giudica che l’azione dell’atleta può riconoscersi nei parametri regolamentari della ricerca di contatto con il terreno e di "bloccaggio" del ginocchio. Non si tratta quindi di un gesto che è sconfinato negli anni in qualcosa di diverso, ma che è cambiato nella qualità complessiva. Si marcia, oggi come in passato, cercando di attenersi ai dettami dal regolamento e di ottenere la prestazione più elevata possibile. Questo significa anche accettare con serenità giudizi che a volte possono sembrare penalizzanti, ma che se ben utilizzati possono aiutare atleta e tecnico a trovare il giusto equilibrio tra tecnica e prestazione. La marcia è viva ed ha spazi per definire con forza e chiarezza un suo ruolo preciso nel mondo dell’atletica. E’ vero che è in difficoltà in alcuni paesi di tradizione, specie dell’Europa che, Russia a parte, sta soffrendo ad esprimere alta qualità specialmente in campo maschile. Però si affacciano molte realtà nuove. L’Asia è in forte crescita con Giappone, Cina, Corea e adesso anche l’India, che ha messo in mostra ottimi elementi sia in Coppa del Mondo sia alle Olimpiadi. Vi sono poi tanti paesi piccoli, meno ricchi, con voglia di emergere e che stanno lavorando bene. La Colombia che vince un bronzo ai mondiali di e il Guatemala che acciuffa un argento a Londra sono un bell’esempio per un mondo sportivo spesso bloccato dai paesi più ricchi. La marcia è un po’ una metafora della vita: mettendosi in cammino con determinazione si può arrivare lontano”. Giorgio Barberis

Dalla Chiesa di San Gaetano a Brancaccio – a pochi metri dalla statua del Santo omonimo alla quale sono rimaste tre dita di una mano, a conferma che la Santità è anche nell’imperfezione – al Castello di Maredolce, un chilometro dopo, che fu il sito dei sollazzi dell’ Emiro Giafar nell’anno 1000. Giardini fioriti, frutta esotica e i giochi d’acqua che spruzzavano le nudità delle procaci schiave. Il Castello è una delle Opere arabe superstiti ed è stato salvato dallo sgretolamento con gli euro della Comunità Europea. Dal 27 al 30 settembre nei saloni del Castello il Convegno La parola alle donne, organizzato da Filoss Callari, Maria Grazia La Valle e dal suo gruppo di lavoro. Tante le Opere, pittura, letteratura, poesia, arredamento, sartoria al femminile… L’Emiro, disceso dal cielo delle Huri – le fanciulli vergini che ricompenserebbero con gli amplessi i fedeli immolatisi - con il tappeto volante, guardava ed ascoltava trasecolato per queste donne che non vogliono essere di scorta ma scrutano e “scortano i masculiddi”e, se del caso, li tengono a debita distanza o “arrassu” come si diceva nei “curtigghi”. Tra le composizioni pittoriche lo scalpitio in un quadro di Rosalia Violante che ha dipinto un cavallo pronto a galoppare nelle platerie interminate. 60 anni fa un giovane di via Colonnello Missori, a due chilometri dal Castello, dipingeva cavalli rampanti. È stato direttore dell’Istituto d’ Arte di Sciacca, ma la sua passione era la bici. Se n’é andato nel 2006 mentre pedalava. C’era anche lui, forse, ad ammirare il quadro di Rosalia Violante. Ai lettori segnaliamo il Castello di Maredolce per una visita a , la città i cui segreti ha solo in parte svelato Corrado Augias nel suo libro più recente. (leggi Passi d’autore).

(1) Il Castello è ubicato nella via Emiro Giafar, nei pressi dell’inizio dell’autostrada Palermo- Catania. Svetta la Chiesa di San Ciro, di Alessandria, esperto nell’arte medica che curava i poveri e fu perseguitato e giustiziato (303) da Diocleziano. La Chiesa – edificata lungo le antiche sorgenti della Favara (Maredolce)- è stata in parte ristrutturata dal FAI, ma all’interno le strutture sono ancora pericolanti. Il Castello è nascosto dai negozi e dalle casette e non è stato ancora possibile trovare una soluzione adeguata a questa sovrapposizione economico sociale. Contigua alla Favara la villa di Totuccio Contorno il collaborante della giustizia o pentito (sanguinosi anni ’80- 90) che da un ventennio attende una destinazione e mostra la sua incompiutezza. Rosalia Violante "Cavalli"

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<>. Augusto Frasca, dal Diario personale, settembre 2012. <>. Ernesto Montino, presidente gruppo PD del Lazio. <>. Francesco Merlo, da La Repubblica del 23 settembre 2012. In Polonia, la Kolejka era la “coda di attesa” fuori dai negozi durante il socialismo reale. Ora è il nome di un “Monopoli” ambientato in quell’epoca con tanto di dadi e di tabelloni. Vince chi riesce a portare a casa più cibo, abiti per i figli, mobili, una radio o una tv. All’inizio del gioco viene distribuita ai giocatori una lista con i prodotti da acquistare. Per vincere devi essere più veloce degli altri scegliendo la coda meno lunga ai negozi. Si tirano i dadi, e come nel Monopoli ci sono le carte degli imprevisti e delle difficoltà. Per esempio: conosci un gerarca, e avanzi di dieci caselle, parli male del regime, e vai subito in prigione. <>. Mariusz Szczygiel, traduzione di Marzena Borejczuk, da La Repubblica del 23 settembre 2012.

SPIRIDON/7

lunga un secolo Da Giovanni Blanchet a Tariku Bekele

L’etiope Tariku Bekele, bronzo nei 10000 all’Olimpiade di Londra, ha impresso il sigillo dei cursori etiopi nell’88esima del Giro Internazionale podistico di Castelbuono, completando i 10 km. dell’impervio (1) circuito in 30’01”, secondo il keniano Thomas Longosiwa, bronzo nei 5000 a Londra, terzo l’etiope Idris Mukhtar. Primo degli italiani Patrick Nasti, 31’29” una promessa, che ha preceduto Stefano Scaini, e . Primo dei siciliani il 22enne Giuseppe Gerratana di Modica. Gli organizzatori, traditi dei mancati finanziamenti degli Enti pubblici (2), che avevano bruciato milioni di euro in altri Eventi (3), hanno offerto al pubblico selezionato “a cursa” che era stata differita dalla data del 26 luglio, la festa di Sant’Anna. La coincidenza pre Olimpiade avrebbe abbassato e di molto il tasso tecnico dei concorrenti. Dunque spettatori diminuiti, ma Raisport 1 nella diretta dalle 17:30 alle 18:22 ha diramato sul satellite, coinvolgendo anche soprattutto i castelbuonesi e i madoniti che risiedono in altre parti del globo. L’occhio della Tv ha frugato nei lunghi e stretti rettilinei, nella ripida salita di via Mario Levante, mentre nel palco di casa (i balconi e le terrazze) gli spettatori privilegiati seguivano i passaggi dei primi e degli ultimi. Non solo alto agonismo podistico ma anche rinomata cultura sportiva integrata nell’Evento. Dal 2006 il Premio Ypsigro - su proposta del giornalista Rosario Mazzola - a personaggi dello sport nazionale e siciliano. Nel Centenario sono stati premiati Ennio Buongiovanni, esegeta e poeta dell’Atletica e dello sport, Sergio Giuntini, storico e coautore con Pino Clemente della Storia dell’Atletica siciliana, che è stata da lui focalizzata il 15 settembre nel Convegno che si è tenuto nelle sale del Comune dove facevano bella mostra documenti, cimeli e foto del Giro. Un Premio anche al direttore di TRM Luigi Perollo. L’oro Olimpico a Pechino, Chiara Cainero campionessa di Tiro a volo nello specialità skeet, è stata la madrina, una friulana sposata con l’ennese Filippo La Martina, un tiratore non trascurabile. La Storia ultramillenaria dell’Atletica siciliana è stata donata dall’Uisp al Giro di Castelbuono e consegnata ai vincitori dei trascorsi Giri presenti nel parterre d’onore: Paolo Longo (1960); Francesco Amante della tripletta (1968-71-72); Vito Riolo (1969); Francesco Paolo Accaputo (1975); (1978); (1980-81); (1989), l’ultimo vincitore italiano. Mario Fesi è già su strada per l’edizione numero 88 e si riserva ogni rivalsa giuridica e morale contro gli Enti che non hanno mantenuto quanto promesso nero su bianco. Mario Villano con il “ferroviere” Totò Spallino, organizzatore del Giro di Castelbuono negli anni ’50 –’70.

(1) Le salite sono un carico neuro muscolare che fa aumentare le pulsazioni. Le immancabili discese squilibrano l’assetto posturale, causando sofferenze muscolo scheletriche. (2) “Siamo presenti nonostante tutto, e alzeremo prima del via uno striscione listato a lutto. Abbiamo rischiato di non organizzare il Giro. Mancano ancora 70 mila euro del finanziamento Regionale per l’edizione scorsa”. Questa in sintesi la denuncia di Mario Fesi, Conferenza Stampa del 14 settembre nella sede del Coni che non era stato estraneo all’organizzazione di Eventi dispendiosi. Unico rappresentante degli Enti pubblici Michele Nasca, Assessore dello Sport alla provincia di Palermo, che ha deprecato la “poca attenzione al mondo dello sport ed alla cultura dello Sport”. In passato la Provincia ha riversato miliardi delle vecchie lire e milioni di euro sul calcio professionistico ed ieri l’altro solo l’Uisp è intervenuto per la promozione della cultura sportiva tramite un Libro. (3) Ci si riferisce al Processo avviato dalla Procura di Palermo che ha come imputato principale il promotore di Eventi Faustino Giacchetto, accusato di procacciare anche escort ad alti dirigenti dell’amministrazione Regionale, Comunale e Provinciale. Manifestazioni di medio o minimo impatto, propagandati dalla stampa compiacente, che sono costate milioni di euro.

Giovanni Blanchet, podista e ciclista siciliano, nacque a Palermo il 25 settembre 1889. Nel 1909 si aggiudicò il titolo siciliano di maratona vincendo i “42 km.” di Palermo . Nell’occasione si portò a casa una coppa argentea e 25 kg. … d’olio Palermo. Si aggiudicò nel 1912 la prima edizione del giro di Castelbuono facendo il bis l’anno successivo. Nel 1914 partecipò alla “100 km.” di Milano vinta da Pavesi in 9.59.56 dove si classificò sesto.

SPIRIDON/8

di FABRIZIO DAL COL da l’IndipendenZa p.g.c.

Giorgio Napolitano da mesi ormai non invoca più l’Unità dello Stato italiano. Il silenzio “assordante” è calato quando in Europa sono stati approvati i provvedimenti che riguardavano il meccanismo anti spread e il fondo salva stati. Una ragione ci sarà pure se il capo dello Stato ha deciso di non citare più in ogni suo intervento la necessità di preservare a tutti i costi l’ Unità d’Italia e di adottare la tattica del silenzio. La spiegazione più semplice vorrebbe che dopo l’ approvazione del fiscal compact, avvenuta in Parlamento in poche ore (chissà il perché…), divenuta anche un vincolo non derogabile perché trascritto nella Carta costituzionale italiana e ratificata con la firma del trattato in sede europea, si è di fatto consumato il primo strappo sull’articolo costituzionale che cita l’indivisibilità della Repubblica italiana. Tutto ciò è accaduto ovviamente nel più totale silenzio e senza che qualcuno obbiettasse alcunché. Infatti, vista l’importanza dell’argomento, non si capisce perché non ne siano scaturiti dibattiti parlamentari, inchieste giornalistiche e tribune televisive necessari a chiarire le finalità dei provvedimenti approvati.

Tornando allo strappo sull’articolo costituzionale relativo all’indivisibilità della Repubblica Italiana, vi sarebbe da chiarire il perché non si sia provveduto a modificare detto articolo in quanto solo con la modifica dello stesso si sarebbe rispettata la Costituzione e il principio più importante sull’indivisibilità della Repubblica. In sostanza, nel bel mezzo di una crisi finanziaria che coinvolge tutti gli stati continentali, l’Europa ha pensato bene di occuparsi in via prioritaria delle approvazioni dei trattati riguardanti le cessioni di sovranità e del percorso che vede la sua trasformazione, ovvero ha conseguito quei trattati necessari ad acquisire le sovranità dei singoli Stati per costituire le fondamenta necessarie alla costruzione della futura Europa politica. Appare del tutto evidente, alla luce di questa ipotesi, come la Ue non abbia invece voluto prioritariamente tenere in considerazione la risoluzione della crisi finanziaria in quanto, la stessa, costringe gli Stati in difficoltà a costituire un’Europa politica pur di salvarsi.

L’impasse dovuta alla crisi finanziaria, della quale non si vede ancora soluzione, è divenuta uno strumento politico esercitato per realizzare l’Europa politica, ma nel frattempo sta generando anche una sofferenza nelle popolazioni, sofferenza che rischia di finire fuori controllo. Riprendendo il ragionamento delle sovranità fin qui cedute, appare evidente come l’Italia e la Spagna in particolare abbiano invece in corso al proprio interno ribellioni popolari nelle Regioni più produttive, ribellioni volte principalmente ad ottenere una propria indipendenza. L’accelerazione sulla rivendicazione del diritto di autodeterminazione avvenuta in Catalogna, scaturisce proprio dalla rinuncia alla sovranità della Spagna che permette ora ai catalani di essere utilizzata allo stesso modo per ottenere la propria indipendenza.

Lo stesso ragionamento vale per l’Italia e questo potrebbe rispondere al quesito iniziale che riguarda la ragione per cui il capo dello Stato Italiano ha deciso di non menzionare più l’Unità italiana. Il caso che ha visto la Regione Siciliana ottenere la deroga sul patto di stabilità, potrebbe anche questo avere la sua chiave di lettura in quanto un ribollire di tensioni in Sicilia dovute allo sfacelo dei suoi costi oggi non più sostenibili, in questa fase politica, avrebbe potuto fungere da detonatore per il resto delle regioni italiane. La debolezza politica e l’inadeguatezza dello Stato unitari, oggi troppo costoso per poter essere ancora mantenuto, sono una miscela esplosiva che rischia di deflagrare a causa della testardaggine politica di chi non intende rinunciare alla sua unità. C’è qualcuno in grado di costringere oggi il mondo politico a dare attuazione alla madre di tutte le riforme necessaria a modificare lo Stato unitario?

Premio della Federazione Allenatori Europei Michele Basile Numero Uno italiano

Su proposta della Fidal la Federazione degli Allenatori Europei ha proclamato Michele Basile migliore allenatore italiano del 2011. Il premio è stato assegnato al coach palermitano dopo le medaglie di Simona La Mantia nel triplo: Oro al coperto e Argento all’aperto nei Campionati Europei. Al Prof. Basile le nostre felicitazioni che vanno anche a Simona Lamantia che il 3 ottobre a Palermo (Chiesa Santa Maria della Catena) si è unita in matrimonio con Alessandro Tazzini, suo collega nella società militare.

SPIRIDON/9

Passi d’autore I Segreti d’Italia e le interpretazioni

Palermo un mito di questo tipo probabilmente molto antico, anche qui, XVIII secolo. Lo vedremo tra poco. Prima è necessario tentare di capire perché qui, a differenza che in Inghilterra o in Provenza, il mito ha assunto caratteristiche cosi particolari, e persistenti. Palermo, e più in generale la Sicilia, hanno una religiosità propria dove acquista grande evidenza l’esibizione del dolore e della morte. Guido Piovene, nel suo indimenticabile Viaggio in Italia (1957), scriveva a proposito di uno strano uso in questa città araba, barocca, cupa, carica di fantasia: «I morti qui sono i portatori dei doni (ai bambini), anziché la Befana, ed il bambino esprime i suoi desideri scrivendo lettere allo zio, alla nonna, al padre defunti. Essi donano, oltre ai giocattoli, pupe di zucchero dipinto di cui i negozi sono pieni, paladini, fate, donzelle amazzoni sul ginnetto bianco, da sgranocchiare rompendole arto per arto».

La morte è una presenza, forse sarebbe meglio dire uno stato d’animo, diffuso e costante. Una morte spagnolesca, anch’essa barocca, la morte atroce delle vergini martirizzate, delle madonne trafitte di spade, degli scuoiati, dei bruciati vivi, degli appesi. La morte delle immense macchine religiose che il venerdì di Pasqua avanzano oscillando paurosamente con giovani che portano sulle spalle schiacciate dal peso tonnellate di legno, gesso, ornamenti, manti, luci, ex voto, tra due ali di folla affascinata e sgomenta che si segna, fissa la statua, conta le ferite, ritratti della Madonna addolorata o dell’urna che contiene la realistica statua del Cristo rigato di sangue, segnato nel tormento come lo sono i volti dei flagellanti che durante il percorso si frustano fino a far zampillare sangue dalle ferite. (I Segreti d’Italia di Corrado Augias, Rizzoli )

Il titolo che c’introduce nell’Opera più recente di Corrado Augias annuncia i Segreti e il lettore attende lo svelamento. Nelle 1075 pagine che ho sfogliato nell’Ipad c’è l’interpretazione dei segreti e il brano trascelto è paradigmatico. Il Segreti d’Italia è costruito sulle inchieste e riflessioni di viaggiatori, letterati, poeti, sociologi, combattenti, illustri, da Leopardi, a Sciascia, a Camilleri, a Garibaldi…Inediti, luoghi comuni, come quelli dei Beati Paoli, opinioni dissacranti, incardinate in una documentatissima ricerca con abbondante citazione delle fonti. Mi permetto di citare a mia volta da Il Gattopardo la meditazione del Principe Fabrizio di Salina. La scena è ambientata nella biblioteca del Palazzo di Don Diego Ponteleone che si trova nei pressi della Chiesa di San Domenico. È la festa di ballo durante la quale saranno presentati all’alta società la bella Angelica Sedara e il fascinoso Tancredi, nipote prediletto del Principe.

Zione…Corteggi la morte?

…E poi tutta la gente che riempiva i saloni, tutte quelle donne bruttine, tutti questi uomini sciocchi, questi due sessi vanagloriosi, erano il sangue del suo sangue, erano lui stesso; con essi soltanto si comprendeva, soltanto con essi era a suo agio. “Sono forse più intelligente, sono certamente più colto di loro, ma sono della medesima risma, con essi debbo solidarizzare.”

Si accorse che don Calogero parlava con Giovanni Finale del possibile rialzo del prezzo dei caciocavalli e che, speranzosi di questa beatifica evenienza, i suoi occhi si erano fatti liquidi e mansueti. Poteva svignarsela senza rimorsi.

Fino a questo momento l’irritazione accumulata gli aveva dato energia; adesso con la distensione sopravvenne la stanchezza: erano di già le due. Cercò un posto dove poter sedere tranquillo, lontano dagli uomini, amati e fratelli, va bene, ma sempre noiosi. Lo trovò presto: la biblioteca, piccola, silenziosa, illuminata e vuota. Sedette poi si rialzò per bere dell’acqua che si trovava su un tavolinetto. “Non c’è che l’acqua a esser davvero buona” pensò da autentico siciliano; e non si asciugò le goccioline rimaste sulle labbra. Sedette di nuovo. La biblioteca gli piaceva, ci si sentì presto a suo agio; essa non si opponeva alla di lui presa di possesso perché era impersonale come lo sono le stanze poco abitate: Ponteleone non era tipo da perdere il suo tempo lì dentro. Si mise a guardare un quadro che gli stava di fronte: era una buona copia della “Morte del Giusto” di Greuze. Il vegliardo stava spirando nel suo letto, fra sbuffi di biancheria pulitissima, circondato dai nipoti afflitti e da nipotine che levavano le braccia verso il soffitto. Le ragazze erano carine, procaci, il disordine delle loro vesti suggeriva più il libertinaggio che il dolore; si capiva subito che erano loro il vero soggetto del quadro. Nondimeno un momento Don Fabrizio si sorprese che Diego tenesse ad aver sempre dinanzi agli occhi questa scena malinconica; poi si rassicurò pensando che egli doveva entrare in questa stanza sì e no una volta all’anno.

Subito dopo chiese a sé stesso se la propria morte sarebbe stata simile a quella: probabilmente sì, a parte che la biancheria sarebbe stata meno impeccabile (lui lo sapeva, le lenzuola degli agonizzanti sono sempre sudice, ci son le bave, le deiezioni, le macchie di medicine...) e che era da sperare che Concetta, Carolina e le altre sarebbero state più decentemente vestite. Ma, in complesso, lo stesso. Come sempre la considerazione della propria morte lo

SPIRIDON/10 rasserenava tanto quanto lo aveva turbato quella della morte degli al- tn; forse perché, stringi stringi, la sua morte era in primo luogo quella di tutto il mondo?

Da questo passò a pensare che occorreva far fare delle riparazioni alla tomba di famiglia, ai Cappuccini. Peccato che non fosse più permesso appendere là i cadaveri per il collo nella cripta e vederli poi mummificarsi lentamente: lui ci avrebbe fatto una magnifica figura su quel muro, grande e lungo com’era, a spaventare le ragazze con l’immoto sorriso del volto incartapecorito, con i lunghissimi calzoni di piqué bianco. Ma no, lo avrebbero vestito di gala, forse in questo stesso “frack” che aveva addosso. La porta si aprì. «Zione, sei una bellezza stasera. La marsina ti sta alla perfezione. Ma cosa stai guardando? Corteggi la morte?»

Tancredi era a braccio di Angelica: tutti e due erano ancora sotto l’influsso sensuale del ballo, stanchi. Angelica sedette, chiese a Tancredi un fazzoletto per asciugarsi le tempie; fu Don Fabrizio a darle il suo. I due giovani guardavano il quadro con noncuranza assoluta. Per entrambi la conoscenza della morte era puramente intellettuale, era per così dire un dato di coltura e basta, non un’esperienza che avesse loro forato il midollo delle ossa. La morte, sì, esisteva, senza dubbio, ma era roba ad uso degli altri; Don Fabrizio pensava che è per la ignoranza intima di questa suprema consolazione che i giovani sentono i dolori più acerbamente dei vecchi: per questi l’uscita di sicurezza è più vicina.

«Principe, diceva Angelica, abbiamo saputo che Lei era qui; siamo venuti per riposarci ma anche per chiederle qualche cosa; spero che non me la rifiuterà.» I suoi occhi ridevano di malizia, la sua mano si posava sulla manica di Don Fabrizio. “Volevo chiederle di ballare con me la prossima ‘mazurka.’ Dica di sì, non faccia il cattivo: si sa che Lei era un gran ballerino.” Il Principe fu contentissimo, si sentiva tutto ringalluzzito. Altro che cripta dei Cappuccini! Le sue guance pelose si agitavano per il piacere. L’idea della “mazurka” però lo spaventava un poco: questo ballo militare, tutto battute di piedi e giravolte non era più roba per le sue giunture. Inginocchiarsi davanti ad Angelica sarebbe stato un piacere, ma se dopo avesse fatto fatica a rialzarsi?

“Grazie, Angelica, mi ringiovanisci. Sarò felice di ubbidirti, ma la ‘mazurka’ no, concedimi il primo valzer.”

I siciliani, anche quelli descritti con umorismo dolente dal “maitre de penser” Augias, corteggiano la morte e stabiliscono un contatto carnale e arcano. I siciliani anta anta del terzo millennio, in attesa del passo dell’ultima Dea, corrono da soli e in gruppo e pregano – laicamente o religiosamente – con il battito dei piedi alla madre terra e a piccoli passi si preparano, con un piglio giovanile, al trapasso. È la moltitudine degli amatori del podismo.

Dopo il crucifige Augias ricorda che il filantropo Pisani, il direttore dell’Ospizio dei Matti, nel 1825 anticipò la legge promossa nel 1978 da Franco Basaglia migliorando la condizione di vita dei ricoverati e qualificando l’Ospizio in Real Casa dei Matti (1).

Dai Segreti siciliani di Augias. «Il barone Pietro Pisani è il classico esempio del siciliano che ha, come afferma Pirandello nel Berretto a sonagli tre corde in testa, la seria, la civile e la pazza e che dunque agisce a seconda di quale corda abbia in quel momento ritenuto opportuno di avere». (Andrea Camilleri).

(1) Alla Real Casa dei Matti Bruno Caruso si è spirato con dipinti da incorniciare. Roberto Alaimo, all’esordio (Repertorio dei matti della Città di Palermo) ha monitorato con rapidi scritti i matti che si aggirano nelle strade, nei vicoli e nelle piazze di Palermo. Ve lo ripeto drammaticamente: rischio di essere “catturato”come quello che straparlava dell’Educazione Fisica. Pino Clemente

PS Lunga vita a tutti noi ed anche al resto del mondo.

L’altro ieri è entrato in funzione l´ESM - European stability mechanism -, meglio conosciuto come fondo "salva Stati". Si tratta di un meccanismo finanziario di pronto intervento a favore degli Stati che hanno gravi problemi di stabilità o che sono sotto attacco della speculazione internazionale. I 17 Paesi europei aderenti all´unione monetaria contribuiscono a tale fondo nelle seguenti percentuali: Germania 27,2% Francia 20,4% Italia 17,9% Spagna 11,9% Paesi Bassi 5,7% Belgio 3,5% Grecia 2,8% seguono altri dieci Paesi con percentuali inferiori. Da quanto si vede sopra è facile intuire il perché della rigida posizione di "rigore" della Germania, che deve sostenere da sola oltre un quarto di tutto il fondo "salva stati", e si comprendono anche quelle che vengono definite "pretese" tedesche di controllare che gli aiuti vengano utilizzati in maniera corretta dagli Stati richiedenti. Con buona pace degli economisti della domenica (quando le borse e i mercati sono chiusi!!) che strillano di perdite di sovranità (sovranità de che??).

SPIRIDON/11

Conobbi Artidoro Berti quando avevo 16 anni. Frequentavo a quell’epoca il primo anno di ragioneria all’Istituto Tecnico Commerciale “Filippo Pacini” di Pistoia ed avevo assaporato la gioia della mia prima vittoria in una gara di atletica leggera: una corsa campestre “interna”, selezione per la formazione della squadra d’istituto che avrebbe difeso i colori giallo-verdi del “Pacini” al campionato provinciale. Abituato ai successi collettivi delle squadre di basket nelle quali avevo militato (Libertas e Permaflex Pistoia), la soddisfazione per l’affermazione individuale era stata tale da farmi appassionare subito a questa nuova disciplina. Mi guardai allora intorno alla ricerca di una società sportiva che potesse tesserarmi e quindi permettermi di confermare le mie qualità di podista e valutare quali potessero essere in futuro le mie possibilità in questo nuovo ambito sportivo. Nonostante vivessi a Pistoia dall’età di tre anni e conoscessi molto bene l’ambiente sportivo cittadino, ebbi conferma, con mio disappunto, che non esisteva in città una società di atletica. Non poteva essere altrimenti dal momento che il capoluogo della nostra provincia, non era mai stato capace di dotarsi di una pista di atletica, primo passo per invogliare e sollecitare iniziative associative atte a consentire la pratica di uno sport che, a parte le discipline podistiche e di marcia praticabili anche su strada, non poteva svilupparsi in un sito diverso. Qualcuno però mi disse che il custode della palestra di “Monteoliveto”, impianto annesso allo stadio omonimo dove giocava la squadra di calcio della U.S. Pistoiese, aveva ricavato, realizzandole con le sue mani e con i pochi attrezzi a disposizione, tre strisce in terra battuta – pretenziosamente chiamate corsie – che correvano lungo il fronte della tribuna del settore “popolari” dello stadio e che permettevano ai cirenei pistoiesi dell’atletica di esercitarsi in partenze dalle buchette e in brevi allunghi entro le strisce segnate da calce bianca. Anche intorno al terreno di gioco il suddetto custode era riuscito a ricavare una specie di sentiero sul quale non cresceva erba dal momento che veniva percorso, più volte al giorno, proprio da lui stesso che era un atleta praticante, tesserato per una società della provincia di Firenze (Atletica Sestese). Mi presentai allora alla palestra di Monteoliveto e incontrai questo custode, dipendente comunale, che accudiva alle attrezzature ginniche della palestra adibita ad uso scolastico, nella quale insegnava anche il “maestro” Quintilio Mazzoncini, allievo del celeberrimo prof. Manlio Pastorini della società Francesco Ferrucci di Pistoia, il ginnasta che con la predetta storica società aveva conquistato la medaglia di bronzo a squadra ai Giochi Intermedi di Atene del 1906, le olimpiadi – quarte in ordine cronologico dell’Era Moderna – ma non riconosciute ufficialmente nella numerazione tradizionale. Non mi fu difficile trovare Artidoro perché il custode abitava in un paio di locali annessi alla palestra e adattati alle necessità della sua famiglia composta, oltre che dalla moglie Caterina, dai figli Mauro e Germano e dalla piccolissima Mara, nata il 17 febbraio del 1952, registrata all’anagrafe del Comune di Pistoia con il nome di Maratona. Fu da quel momento che cominciò la mia amicizia con Artidoro Berti. Di lui e delle sue imprese sportive avevo naturalmente sentito parlare. Tuttavia la superficialità dei miei 16 anni, il fatto che Artidoro gareggiasse per l’Atletica Sestese, società fuori provincia e quindi le sue imprese trascurate dalla cronaca locale de “La Nazione” e i miei interessi sportivi all’epoca fossero completamente assorbiti dal basket e dal calcio, mi avevano fatto trascurare, o quantomeno a non collocare nella giusta luce, la sua attività di podista. Fortunatamente per me, conobbi Artidoro proprio nell’anno (1952) in cui si sarebbe consacrata la sua carriera di atleta con la partecipazione ai Giochi Olimpici di , i quindicesimi dalla serie iniziata nel 1896. Artidoro Berti era nato a Pistoia il 29 luglio del 1920, nella contrada di Porta Carratica, figlio di carbonai che si spostavano periodicamente nel grossetano per la loro attività. Fu proprio in terra di Maremma che Artidoro cominciò a correre in bicicletta e a piedi, preferendo però le due ruote e le ciclocampestri di allora, oggi chiamate ciclocross. Prima della guerra era tesserato per società del senese e del grossetano perché viveva ancora con i genitori in Maremma che lui aiutava nella loro attività di carbonai. Poi il sabato e la domenica correva. Nel 1939 fu arruolato nel 9° battaglione alpini come marconista e l’anno seguente partì per il fronte: prima in Albania e Grecia e poi in Russia. Quando la campagna di Russia si fermò sulle rive del Don e cominciò la terribile ritirata Berti fu uno dei pochi (160 su 900 raccontava lui), che dopo una marcia di mille chilometri riuscirono a tornare in patria. Nel 1944 durante un periodo di congedo sposò Caterina, giusto in tempo prima di partire nuovamente per la Slovenia, dove lo trovò l’8 settembre e la fine della guerra (1945). Artidoro ricordava spesso il calvario del suo rientro in patria attribuendo la circostanza alla fortuna ma anche ad un santino, che conservava gelosamente, del santuario mariano di Udine. Nel 1945 Artidoro si trasferì anagraficamente a Pistoia da Roccastrada, tesserandosi per la società Libertas Pistoia Francesco Ferrucci, società di ginnastica che lo accolse ben volentieri. Dopo la guerra Artidoro cominciò a fare il muratore per mantenere la famiglia; a Caterina infatti si erano aggiunti due figli: Mauro (1944) e Germano (1946). Contemporaneamente ricominciò anche a correre, privilegiando ancora le ciclocampestri, ma non disdegnando di correre anche a piedi nelle numerose corse paesane organizzate nel pistoiese e in Toscana. Nel 1948 partecipò anche alla classica 100 km Monza-Milano indossando la maglia del Circolo “Il Canarino” di Pistoia. Nel 1949 durante una ciclocampestre un dirigente dell’Atletica Sestese lo vide correre a piedi con la bicicletta in spalla e lo convinse ad abbandonare la bici per dedicarsi solo alla corsa a piedi, attività che intraprese con entusiasmo nonostante i gravosi impegni familiari e la non certo riposante attività di muratore e di stradino. Berti passò così dalla U.S. Pistoiese all’Atletica Sestese. Si orientò quasi subito, viste le sue caratteristiche fisiche, alle lunghe distanze su strada, su pista, sui prati, in montagna e in tutte quelle competizioni che gli consentivano di raggranellare premi che potevano contribuire al bilancio familiare. Nel 1951 il suo nome cominciò ad acquisire fama nazionale. In luglio a Pescara fu 11° nel Campionato Italiano di maratonina, nell’agosto giunse 4° a Sesto Fiorentino in una prova del campionato italiano su strada per società, in settembre a Roma sfiorò la vittoria nel classico Giro di Roma e a novembre fu pure 2° a Palermo nel campionato italiano di maratona dietro al toscano dell’Assi Giglio Rosso Asfò Bussotti.Queste due affermazioni, unite alle altre vittorie conseguite nella stagione (fra queste: la Traversata Podistica di Bologna e il Giro Podistico Notturno di Verbania), gli valsero la designazione di “probabile olimpico” in vista dei Giochi di Helsinki del 1952.Nel mese di febbraio di quel 1952 in casa Berti giunse il terzo figlio, una femmina questa volta dopo Mauro e Germano, alla quale venne imposto i significativo nome di Maratona, ben presto ricondotto familiarmente al più semplice Mara. La ragazza non seguì nel mondo dello sport le orme paterne, ne tanto meno quelle dei fratelli che si cimentarono con il mezzofondo, ma divenne negli anni della adolescenza una abile schermitrice. Purtroppo in primavera, due mesi dopo la nascita di Maratona, fu colpito da una brutta bronchite, le cui cure lo indebolirono molto e gli impedì di allenarsi convenientemente. La federazione lo portò ugualmente a Helsinki dove trovò un clima freddo ed umido che non lo aiutarono cerco a ritrovare la migliore condizione. Terminò al 53° posto, l’ultimo registrato dai giudici, in 2 ore 58’36 secondi, nella gara dominata dal ceco Emila Zatopek già trionfatore dei 5000 e 10000 metri olimpici. Tenne duro Artidoro fino alla fine. Onorò così la sua olimpiade

SPIRIDON/12 giungendo al traguardo nonostante le precarie condizioni di salute. La delusione olimpica non frenò la carriera di Artidoro Berti che anzi da quella esperienza trasse nuova linfa. A fine stagione Artidoro si classificò al secondo posto nel campionato italiano di maratona dietro al romano Tartufi al termine di una gara che lo aveva visto grande protagonista. Nel 1953 lasciò l’Atletica Sestese di Vinicio Tarli per vestire i colori della Combattenti e Reduci di Pistoia, che gli assicurò il posto di custode della palestra di Monteoliveto, attigua allo omonimo stadio comunale. Con la maglia della nuova società Berti (unico atleta al momento tesserato per il sodalizio) colse un importante vittoria in settembre nella “classicissima” Bologna-Pianoro e ritorno di 32 km battendo l’astro nascente Rino Lavelli. Tempo di Berti: 1 ora 55’28”. Artidoro ebbe la soddisfazione di indossare a 33 anni la sua prima maglia tricolore nella sua specialità preferita, proprio sulle strade di casa.Il 18 luglio del 1954 con uno straordinario finale di gara, Berti vinse a Montecatini Terme il suo primo titolo italiano di maratona con il tempo di 2 ore 43’34”2/10 distanziando di 41 secondi Rino Lavelli, più giovane di otto anni di lui. Artidoro bissò il successo tricolore l’anno successivo confermandosi campione italiano l’11 settembre a Napoli, davanti al giovanissimo pugliese Vito Di Terlizzi, limando ben dieci minuti al tempo ottenuto l’anno prima a Montecatini (2 ore 33’05”). Ricordava Artidoro che per quella gara ricevette dalla Fidal, quale rimborso spese, lire 6.240. L’atleta era veramente infaticabile. Pensate che una settimana prima della conquista del secondo titolo italiano di maratona, Berti aveva vinto una gara nazionale di corsa libera in montagna a Vermiglio, località prossima a Ponte di Legno, passo del Tonale, di km 26 circa, nel tempo di 2 ore 19’03”2/5. Fra i due successi Berti colse altre importanti vittorie, alternando la corsa su strada a quella in montagna, che gli valsero la partecipazione nell’ottobre del 1955 alla grande maratona di Atene disputatasi sul classico “storico” percorso. Ottanta i concorrenti di tutte le nazionalità. Berti, infastidito nel finale di gara da crampi alle gambe e penalizzato dal gran freddo, conquistò un eccellente quinto posto (2 ore 45’41”), preceduto dal finlandese Veikko Karvonen che stabilì il primato della gara (2 ore 27’30”), dagli egiziani Abdel Kerim e Alì Hamed e dallo jugoslavo Scrinjar. Il re di Grecia, al pari dei suoi predecessori che erano stati appassionati organizzatori della prima edizione dei Giochi Olimpici nel 1896, si congratulò con il piccolo italiano per la coraggiosa prova offerta. Poi Artidoro con altri atleti italiani fu ricevuto dal Papa in udienza speciale Fu quello di Atene uno dei suoi ultimi appuntamenti internazionali. La politica economica restrittiva che il CONI scelse per la partecipazione italiana ai Giochi di Melbourne nel 1956, impedì a Berti la sua seconda presenza olimpica. Dopo di allora Berti continuò a correre ed a vincere in ogni tipo di manifestazione, strada e montagna, da solo o in staffetta (come non ricordare la partecipazione della Combattenti e Reduci di Pistoia alla “classica” staffetta Mairano a Genova insieme a Giancarlo e Roberto Pallicca, fratelli dello scrivente). In carriera ha partecipato dieci volte alla classica “5 Mulini” giungendo sempre entro il settimo posto. Il servizio militare, durante il quale gli allenamenti fatti da Artidoro da alpino con il futuro bersagliere, risultarono molto utili, mi portò per due anni lontano da Pistoia e quando vi feci ritorno mi accolse la bella notizia della realizzazione, ormai prossima, del Campo Scuola da parte del C.O.N.I. in località Casermette e la nomina di Artidoro Berti a custode del nuovo impianto. La nascita di questo impianto, la venuta a Pistoia per motivi di lavoro di un pesciatino di nome Giampiero Mariani, con un passato di atleta di buona levatura e di appassionato dirigente, nonché la guida illuminata del Dott. Enzo Melani, un medico che vantava già esperienze con il Centro Sportivo Italiano, coagularono una serie di interessi e di aspettative per anni sopite e portarono alla nascita a Pistoia di una vera e propria società: l’Atletica Pistoia, che soppiantò immediatamente il Dopolavoro Combattenti e Reduci e la Dipendenti Comunali, due strutture create nel tempo per consentire l’attività agonistica di Artidoro Berti. Divenuto custode del Campo Scuola CONI di Pistoia Artidoro curò quel luogo per lui “sacro” come un amorevole padre di famiglia, trasformando l’impianto in un vero giardino e favorendo così lo sviluppo di dell’Atletica Pistoia, una società che di lì a qualche anno avrebbe stupito il mondo dell’atletica italiana. Nonostante l’impegnativo compito di custode, tagliato ormai fuori dalle vittorie assolute per motivi anagrafici, continuò a correre coraggiosamente ed a vincere ancora numerosi premi di categoria e di società. Alla fine degli anni sessanta, quando si cominciava a parlare di corse di gran fondo, Artidoro volle dimostrare che anche un “vecchietto” come lui poteva cimentarsi in queste imprese che avevano dell’incredibile. Lo annunciò ad amici e a estimatori: andrò di corsa su fino all’Abetone! Artidoro era un tipo tosto, di poche parole e molti fatti. Così infatti il 20 ottobre del 1968, alla bella età di 48 anni, proprio il giorno che a Città del Messico si disputava la maratona dei XIX Giochi Olimpici, con passo rapido e ginocchia basse, si avventurò nella strada che da Capostrada si inerpica fino all’Abetone, passando per la massacrante salita delle Piastre (sempre evitata dai ciclisti), per San Marcello Pistoiese e i Casotti di Cutigliano. Indossava una semplice tuta sportiva azzurrina e uno strano berrettino di lana a strisce. Al seguito due auto: una 1100 Fiat e una 500 che recavano ben in vista il cartello del Club Alpino Italiano e del CAI Montagna Pistoiese. La sua fu una corsa solitaria ma trionfale. Lungo il tragitto c’erano molte persone, mostrando anche striscioni e cartelli di incitamento, ad attendere il passaggio del piccolo pistoiese che a denti stretti arrancava su per i tornanti con passo sgraziato ma sicuramente efficace. Nell’attraversamento di an Marcello Pistoiese, dopo la discesa dal Monte Oppio (821 m) un cartello invitava a “Incoraggiare e applaudire Artidoro Berti nella sua romantica avventura”. Dopo San Marcello Pistoiese il berrettino di lana sparì come per incanto per riapparire poi nel tratto finale del percorso, quando Berti, salendo attraverso i boschi dell’Abetone, si concesse alcuni tratti a passo svelto, più da bersagliere che da alpino, toccandosi la schiena che cominciava a dolergli. Artidoro Berti coprì la distanza di circa 53 chilometri in poco più di 5 ore. In piazza delle Piramidi all’Abetone dove fece il suo ingresso trionfale a braccia levate e con il sorriso sulle labbra c’era ad attenderlo il grande Zeno Colò, la medaglia olimpica di discesa libera di Oslo 1952 ed il due volte campione mondiale (discesa libera e slalom gigante) di Aspen (Colorado) del 1950.Zeno, stessa classe di Artidoro: 1920, accompagnò Artidoro fin sotto la grande piramide della piazza, e lì prima di posare per le foto di rito, il Falco di Oslo , appese al collo del coraggioso atleta pistoiese una medaglia a ricordo della sua impresa e rimase con lui a commentare l’impresa. Quella impresa che otto anni dopo la Cooperativa Atletica “Silvano Fedi”, nata nel 1971 da una costola dell’Atletica Pistoia, trasformò in una gara vera, competitiva, destinata a diventare una classica del podismo di gran fondo. Artidoro Berti ebbe così la soddisfazione di vedere tramutato in realtà il suo sogno, coronato anche dalla vittoria in quella prima edizione della corsa di un suo allievo: Roberto Lotti, un altro atleta cresciuto nell’Atletica Pistoia. Dopo, con la pensione, si ritirò a Iano sulle colline pistoiesi, un piccolo agglomerato di case ai margini dei boschi, dove il 9 gennaio del 2005 si spense serenamente. La sezione fiorentina dell’ANA, Associazione Nazionale Alpini, e il coro degli alpini “Su insieme”, ricordò Artidoro Berti (un Alpino con la A maiuscola, un uomo buono a cui tutti volevamo bene) ad un anno dalla sua scomparsa con una messa che si celebrò a Pistoia, nella chiesa di San Paolo, nel quartiere di Porta Carratica dove era nato Artidoro. Il maestro Paolo Pacini, direttore del coro, presentò un programma che accompagnò la messa per tutta la sua durata. Dal “Coro dei Pellegrini” di Wagner, all’Alleluja all’Accogli i doni, all’offertorio, al “Santus” in gregoriano per poi solennizzare il momento della comunione con “Il Signore delle cime”, l’Ave Maria e la “Preghiera dell’Alpino”. Il tutto con le note in sottofondo di “Sul cappello….”.Al termine della messa il coro “Su insieme” tenne un concerto di canti alpini.

Gustavo Pallicca

SPIRIDON/13

Chi è Don Vincenzo Puccio?Vincenzo nel 1993 aveva il sogno di diventare un atleta di livello internazionale,per realizzare questo sogno insieme al fratello Giuseppe piu’ piccolo di un anno ha lasciato il suo piccolo paese Vita(TP)per trasferirsi a Bagheria e farsi seguire direttamente dal professore Tommaso Ticali.Sia lui che il fratello erano molto determinati e miglioravano continuamente sia in allenamento che in gara.I suoi compagni d’allenamento a Bagheria erano : Filippo Lazzara,il fratello Giuseppe,Sebastiano Mazzara e Massimo .Il fratello è stato convocato nella nazionale giovanile di corsa campestre correva i 5000 metri in 14’26” e 1000 metri in 30’17”,Vincenzo dopo avere corso i 1500 in 3’51” e i 3000 metri in 8’16”,un giorno mi comunicò di avere ricevuto la vocazione ed il suo desiderio fu subito quello di frequentare il seminario e farsi prete! Dopo diciassette anni mi chiamò e mi comunicò di voler riprendere il percorso interrotto. Da quel momento si cominciò ad allenare con la stessa determinazione di quando era piu’ giovane, la sua nuova avventura comincia con la mezza maratona della Roma- Ostia il 26 febbraio 2012. Tommaso Ticali

avuto il benestare dei suoi educatori.Ma lo sport non è forse mezzo educativo e formativo?“Imparare a correre verso Dio”, questo è ciò che Vincenzo vuole che i suoi ragazzi apprendano.I suoi progetti?Formare una squadra di atletica per poter trasmettere ai più piccoli come la corsa sia un modo sano di crescere e uno strumento da cui attingere coraggio, forza e determinazione, per tutti quei momenti in cui la vita sembra quasi impossibile; insomma, un educarsi a saper sorridere sempre anche nelle avversità.A mio avviso lo sport è lealtà, umiltà, semplicità, forza e determinazione, e Vincenzo rispecchia e incarna ciascuno di questi valori, lo sport gli ha insegnato ad essere così, e il grande amore che ha per Dio fa di lui una creatura capace di rimandare chiunque lo ascolti a Colui che è il creatore di cielo e terra. Lui è capace di rimandarti a Qualcuno di più grande e la sua passione per lo sport riesce a Sono trascorsi diciassette anni dall’ultima volta in cui Vincenzo Puccio ha disputato comunicarti che come un allenatore segue una competizione sportiva, anni che non sono stati in grado di influire con attenzione e cura il percorso del suo negativamente sulle sue capacità sportive e nel corso dei quali il desiderio di correre atleta, così Dio segue ciascuno di noi nel è sempre rimasto vivo nel tempo.Le sue specialità erano gli 800 metri corsi in grande percorso della vita.Cosi tra i suoi 1’54’arrivando primo hai campionati italiani interarma a Riccione, i 1500 corsi in impegni parrocchiali per due giorni a 3’51’' e 3000 metri corsi in 8’16’', ma anche la mezza maratona è stata una sfida alla settimana i bimbi di S. Margherita vengono quale Vincenzo non ha voluto sottrarsi corsa a Palermo facendo un medio e a correre al lungomare per apprendere ottenendo il tempo di 1 ora e 7 minuti.“Per me la corsa è quel talento di Dio da questo bellissimo ed impegnativo sport, trasmettere ai giovani per condurli alla santità”.Cosi don Vincenzo Puccio ha ripreso capace però di entusiasmarli fino al punto la sua corsa partecipando alla mezza maratona della Romaostia il 26 febbraio del da non saltare mai neanche un giorno di 2012, queste le parole scritte da lui sul suo pettorale. Un uomo a cui Dio ha allenamento.È bello vedere come un talento donato un grande talento capace di renderlo anche un sacerdote che fa dello sport il come il suo, donatogli da Dio, venga messo mezzo attraverso cui dire ai giovani che per raggiungere Dio è necessario imparare a a servizio dei fratelli, anche quelli più correre verso di Lui.Dopo di questa Vincenzo è stato protagonista di altre gare piccoli che tanto si stanno appassionando e disputatesi a Caltanissetta, ad Enna, Catania, Rocca di Caprileone, Rometta, …….. divertendo nel correre con il loro arrivando primo di categoria e guadagnandosi anche un secondo posto assoluto nei parroco.Come privare una creatura del dono 6000 m. della gara disputatasi a Longi e un terzo posto assoluto nei 1500 corsi nella che Dio gli ha fatto per poter condurre i gara regionale tenutasi al campo di atletica Cappuccini di Messina col tempo di fratelli al Padre?Lo sport è anche gioia e 4’15’, dopo solo dieci mesi di allenamenti.Ed è proprio grazie alla sua felicità ed è questo ciò che si capisce dopo determinazione che finalmente Vincenzo è riuscito ad essere il protagonista assoluto aver guardato Vincenzo negli occhi o dopo alla “CorriAvis” a Sinagra con un tempo di 15’08’’ su un percorso di 5 Km; e non aver ascoltato le parole che usa per contento Vincenzo raccoglie un altro trionfo al memorial “Di Blasi” ad Alì descrivere ciò che per lui è la corsa.Queste correndo su di un percorso di 2700m da ripetere 2 volte, tagliando il traguardo con le ragioni che lo hanno spinto a voler un tempo di 19’12”.Chi ha avuto la fortuna di conoscere Vincenzo può rendersi partecipare a diverse competizioni sportive conto che il suo amore per lo sport scaturisce dal desiderio di voler comunicare a nel corso delle quali ha vinto coppe e tutti come lo sport sia un mezzo educativo e formativo capace di togliere i ragazzi medaglie guadagnandosi primi posti e dalle strade e condurli sulla giusta via. Non sempre la vita è semplice e senza l’affetto di coloro che lo hanno difficoltà e Vincenzo sa che la corsa può essere capace di sostenerti e insegnarti a conosciuto.Chi è Vincenzo? Un uomo che non mollare, a non demordere, a sapere che nel cammino della vita tutto viene ama Dio e la vita e che corre per raggiunto solo attraverso sacrifici, e chi pratica sport come lui, questo lo sa bene, si coinvolgere tutti coloro che lo desiderino, in impara, così, ad essere temperanti in tutto.Il suo amore per Dio e la sua grande quella entusiasmante corsa che è la vita e il vocazione hanno condotto Vincenzo a saper anche rinunciare a questa sua grande cui traguardo finale è Cristo. passione per poter continuare quella formazione che lo avrebbe portato a diventare Angela Caruso un ministro di Dio e senza la quale rinuncia, molto probabilmente, non avrebbe

SPIRIDON/14

E’ sì. Michaël Boch é stato ancora una volta il più forte. E’ la terza volta che l’alsaziano si aggiudica questa straordinaria 100 km. dell’Alvernia. L'Alsaziano ha fatto per un buon tratto del non facile percorso con un compagno di strada di di riguardo, David Laget, le Montpellierain, fintanto che questi ha abbassato il ritmo della corsa. Eravamo sugli ultimi tratti prima di Millau. Michaël ha finito la gara 7h09' anche se il riscontro ufficiale è stato codificato, non si sa bene per quale ragione in 7,10’ , riscontro cronometrico più che apprezzabile considerate le condizioni ambientali niemt’affatto favorevoli. L’alsaziano si era già aggiudicato la 100 di Millau nel 2011 e nel 2010. Alle sue spalle si sono classificati nell’ordine David Laget in /,13,15. Assai più indietro Herve Seitz terzo in 7.37.04. Quarto Didier Jannel in 7.53.07 e quinto Jerome Le Merle in 7.57.44. In campo femminile successo di Corine Gruffaz che terminando in 9h32’19’’ é rimasta assai lontana dal record della Brigitte Bec (8h24’56’’ en 2009). La vincitrice ha preceduto nell’ordine Stéphanie Pacaud (10h04’20’’) e Véronique Herard (10h11’05’’). Nicolas Fernandez frappe fort au semi de Toulouse !

Cette année sur le semi de Toulouse, on aura pu noter qu'un gros soleil généreux a une nouvelle fois fait souffrir les organismes (et oui l'été n'est pas fini !), on aura aussi pu relever que près de 1800 coureurs toutes distances confondues ont pris un dossard pour l'une des courses les plus plus populaires et anciennes du département, mais on retiendra surtout une chose : c'est que Nicolas Ferandez, du Team I-Run réussit un véritable exploit en franchissant la ligne en 1h06'23''. Tout seul de bout en bout, obligé de se frayper sur la fin de course un passage parmi les retardataires, obligé aussi de faire avec ce parcours pas si évident que cela composé de quelques relances et autres ponts à franchir. Bref c'est une performance de niveau national... à la dimension d'un podium de championnat de France. C'est son record évidemment et on se souvient même qu'il y a deux ans, il avait fini au sprint avec un Burundais, battu de justesse, mais c'était en un peu plus de 1h07'. Le gaillard a donc encore bien progressé ! Sur le semi Damien Bévenot finit bon deuxième après être parti prudemment et n'avoir cessé de remonter du monde, rattrapant même Jean-Baptiste Chipy sur la toute fin, lui l'Agenais qui sera victime de crampes... Houria Fréchou l'emporte à nouveau sur cette épreuve qu'elle adore. Elle finit 23ème scratch en 1h22'06'' loin devant Sylvie Calmet et Gwenaëlle Bègue qui, elles, sont quasiment foulée dans foulée, à l'entrée du stade... Sur le 10km, Gaëtan Cals, le sociétaire du CA Balma, était également au-dessus du lot. Malgré un départ canon de l'Anglais Paul Molyneux qui finira finalement troisième, il prendra bien vite les commandes, lui le spécialiste du 1500m, et ne faiblira pas. Il signe un beau 31'53'' ce qui constitue son record. Danielle Hodgkison qui nous avait enthousiasmé l'an passé avec son chrono en 35'35'', remet donc ça cette année... Il y avait tout un groupe de Newcastel qui avait fait le déplacement, en vacances du côté de Luchon. Elle gagne donc à nouveau en battant au passage son record sur la distance en 35'27''. Nawal Pinna est bonne deuxième, à un peu plus d'une minute donc... Le semi a donc tourné une nouvelle page de son histoire : la 32ème ! Déjà !

Questa straordinaria corsa, una manifestazione che ha contribuito alla grande a fare la storia del podismo internazionale, si è riproposta quest’anno alla grande superando ampiamente superato i dodicimila iscritti; non succedeva dal lontano 1992. Dimostrazione che alla resa dei conti la serietà e la tradizione pagano. E cosa ci fa particolare piacere perché la “Morat- Fribourg” fa parte del DNA della nostra rivista perché i nostri padri storici si son fatto le ossa ed hanno meritato fama proprio su questo tracciato. A cominciare da Yves Jeannotat che vinse la “Morat-Friborg” cinquantuno anni fa gareggiando contro il parere dei medici! Quella fu una gara a dir poco epica che tutti noi che abbiamo ormai fatto i capelli grigi ancora ricordano. Ed epica è stata anche la gara di quest’anno che ha visto in azione un bel manipolo di africani che hanno monopolizzato l’impegno e fatto in ogni caso spettacolo. Ha vinto il keniano Kimaiyo Shadrack in 54.52 . Seguono 2° Wodajo Alemayehu ( Ethiopie) in 55.40,6 3° Berhane Oqubit (Érythrée) in 56.03,6 4. Mohammednur Harmid (Érythrée)in 56.54,6 5. Chengere Tolossa (Etiopie)/ 57.10,9 6. Nesero Kadi 7. Brügger Yves Jeannotat Michel 57.59,2 . In campo femminile: 1 Koech Nancy Kenya 1:03.18, 2. Kiprotich Gladys Kenya 1:03.38,0 3. Strähl Martina 1:04.26,3 4. Spielmann-Jeitziner Ursula Spiez 1:05.12,6 5. Firmin Eveline. Sugli oltre dodicimila concorrenti gl’italiani sono stati solo una manciata Bonarini Giovanni , Arnesano Stefano ,Riba Biancapaola ,Ghigmatti Vincenzo , Chiessi Maurizio,Borsini Costanza, Dall Omo Paolo,Tartaglia Giorgio, Binello Franco,Tolaini Marco,Strignano Stefano