Giuseppe Dossetti: Un Itinerario O T Lezioni, Mostre, Colloqui Nel Decennale Della Morte 1996-2006
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SCl FONDAZIONE PER LE SCIENZE RELIGIOSE GIOVANNI XXIII - BOLOGNA Sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica e il Patrocinio del Senato della Repubblica e della Camera dei Deputati Giuseppe Dossetti: un itinerario o t Lezioni, mostre, colloqui nel decennale della morte 1996-2006 a 0 ~, `9 definire Lezio- ze, Camaldoli,,0,Cavriago, Monto. a, nova, eggio Emili4,;' PeOliino, Bari, Mor' Q • , 1Vign,c~a,,~Vlilano, Torino,, Rosse ~~a atania, Portogruaro,,,,,J'~QssQl, Cq.Y <cu* Napoli, Monte Soie, Parma` 1z ~~`° Camaloli, 9 settembre Roma, 30 ottobre Retro. 20 gin TI< Colloquio a Bologna, 11 - 13 sq,a Mostre a Bari, Bologna, Carnal oli, Catania, Cavriago, Fossoli, Genova, Milano, Modena, Monte Sole, Monteveglio, Portogruaro, Reggio Emilia, Roma, Torino, con il,m, 25 febbraio materiale audio-video delle Teche Rai e degli '7a%8;7: archivi di Bologna Sedano, 15-22 ottobre o FONDAZIONE PER LE SCIENZE RELIGIOSE GIOVANNI XXIII - BOLOGNA - www.fscire.it 1~ ® Additi rO 4Fo24.:11"N ® r—y ® CRT ~`1FINMECCANICA - .,.._, ri i1 j'.rJO Ji' Jiith •1 ,í .1f~ r,/1l .%/, !' ~`:/ c J; , .lf,,it'/ 4 fx, . M//7 DISCORSO DI APERTURA DEL PRESIDENTE DEL CONSIGLIO Ricordo di Dossetti, died anni dopo ROMANO PRODI AL CONVEGNO "DOSSETTI: LA FEDE E LA STORIA" 11/12/06 Ricordo di Dossetti, dieci anni dopo E' invalso l'uso di maneggiare con troppa disinvoltura la qualifica di "dossettiano". Sia da parte di chi la brandisce polemicamente. Sia da parte di chi la rivendica con orgoglio. Io stesso, che ho avuto il privilegio e la gioia di conoscerlo e di frequentarlo, non oso qualificarmi dossettiano. Lui pure, ne sono convinto, reagirebbe a una certa leggerezza nell'evocazione della sua eredità. innanzitutto perché il dossettismo inteso come l'esperienza politico-culturale di quel manipolo di straordinarie personalità che si raccolse intorno alla rivista "Cronache sociali" fu esperienza singolarissima e, a detta degli stessi protagonisti, definitivamente chiusa nel 1951 con l'abbandono della politica attiva da parte di Dossetti, che, di quel gruppo, fu inequivocabilmente il leader. lo, tra l'altro, sono nato nel 1939 e quindi non posso nemmeno materialmente considerarmi parte di quell'esperienza. Che quell'esperienza, storicamente, rappresenti ancor oggi una pietra di paragone e un "caso serio" per il corso seguito dal cattolicesimo politico e che, ancora oggi, ci si interroghi sul senso e sul valore di quel sentiero interrotto non contraddice la tesi del suo carattere originale, irripetibile, storicamente situato e concluso. Dossetti e, con lui, Lazzati reagivano alla pretesa di chi si spacciava erede del dossettismo politico. In secondo luogo, è arduo qualificarsi dossettiani a motivo dell'unicità, dell'altezza, della ricchezza della sua figura. Sotto il profilo spirituale, morale, intellettuale. Figura originalissima e affascinante. Di una coerenza granitica, pur dentro un percorso vocazionale accidentato: prima laico, poi sacerdote, infine monaco. Tre distinte stagioni della sua vita tutte attraversate però da una medesima, inesausta, tesissima ricerca: quella della rigenerazione del cristianesimo e della riforma della Chiesa come condizione e premessa del rinnovamento della vita civile e politica. Attraverso un percorso a ritroso che dalla politica lo conduce poi alla cura pastorale e lo conduce in particolare a cooperare all'aggiornamento conciliare della Chiesa (a fianco del card. Lercaro) sino alla fondazione di una comunità monastica dedicata a ricentrare la vita cristiana su ciò che originariamente la fonda: la Parola e l'Eucaristia. In verità, Dossetti non amava neppure la qualifica di monaco. Ad essa preferiva quella di fratello e di cristiano comune. Come a relativizzare il suo specifico stato di vita religioso rispetto a ciò che, di gran lunga, conta di più: la dignità del battesimo e la missione sostanzialmente comune a tutti i fedeli. Merita notare che, interpellato sulla sua formazione e sui suoi maesti i, egli, che pure ideò e fondò la sua originalissima comunità monastica, contrassegnata da uno stile di vita severo ed esigente (si pensi ai ritmi di preghiera, alle pratiche liturgiche, alla meditazione sistematica della Scrittura, allo studio delle lingue antiche) e che fu giurista e teologo finissimo, tuttavia, quasi con compiacimento, si rappresentava come autodidatta. E riconosceva un rilievo nella propria formazione a due sole figure a prima vista minori: quelle di don Tondelli e di don Torreggiani. Sono questi due sacerdoti reggiani che, rispettivamente, gli instillarono i grandi amori della sua vita: quello per la Scrittura e quello per i minimi, i poveri, gli zingari. Parola e predilezione per gli ultimi, due tratti caratteristici della radicalità. evangelica che segnarono per sempre e tutta intera la sua vita e la sua opera. Dunque, la stessa esperienza monastica non fu mai concepita e vissuta secondo una logica elitaria e di separatezza, ma sempre preservando un rapporto vitale e organico con la sua Chiesa locale, quella concreta di Bologna. Per questo motivo ha sempre costruito la stessa sua severa vita monastica a servizio del bene della sua città anche se sempre attenta alle sorti dell'Italia e del mondo. Chi ne conosceva la tensione interiore e il pensiero teologico-politico non si sorprese quando, nel 1994, dopo trent'anni di silenzio e di riserbo, egli sentì il dovere di riprendere la parola in pubblico, di levare alta e forte la sua voce per scuotere, illuminare e ammonire le coscienze contro le minacce palesi o occulte portate alla Costituzione. Per darne ragione a chi 1 nutriva perplessità sull'esposizione pubblica e politica di un uomo di Chiesa, e per di più monaco, Dossetti fece un paragone impegnativo: quello dei padri della Chiesa che, a fronte di emergenze quali le epidemie o le invasioni barbariche, lasciavano i loro eremi e si portavano in città per ammaestrare, ammonire, confortare. Egli aveva chiarissimo il senso delle distinzioni tra Chiesa e politica e tra responsabilità in capo ai chierici e responsabilità in capo ai laici cristiani. Anzi, è sulle pagine di "Cronache sociali" che, sin dagli anni cinquanta, in polemica con Luigi Gedda, si leggono le più limpide e argomentate riflessioni circa la distinzione tra azione cattolica e azione politica. Ma, insieme, Dossetti aveva chiaro il senso della connessione tra profezia e politica e il dovere da parte degli uomini di Chiesa, di alzare la voce quando sono minacciati principi e i valori-cardine della convivenza intimamente connessi a una genuina ispirazione cristiana. Un compito profetico da esercitare con libertà, con franchezza, con coraggio. Senza girare la testa dall'altra parte, senza farsi condizionare da calcoli umani, compresa l'ossessione paralizzante di non figurare come uomo di parte, in nome di una malintesa e poco evangelica neutralità/equidistanza. In questa sede, mi limito a segnalare due casi esemplari della "profezia politica" del Dossetti maturo. Essi vertono rispettivamente sulla questione della pace in medioriente e sulla questione costituzionale. Ho memoria diretta dell'angoscia con la quale don Giuseppe visse la guerra del Golfo nel 1991. Intuì sin da allora l'insorgere dei germi di un conflitto tra le civiltà, i contraccolpi di lungo periodo di quella guerra sul mondo islamico, gli imprevedibili ma allarmanti sviluppi di essa. Egli aveva antenne sensibili e vista presbite. Si spiega. Del resto, non a caso aveva dislocato su quella frontiera alcune sue comunità. Fu tra i più solleciti e perspicaci nella Chiesa ad applicarsi alla conoscenza e al dialogo con le grandi religioni dell'oriente. In forma sempre rigorosa e vigilata, al riparo da ogni sincretismo. Ma anche aperto all'anima di verità di cui esse sono portatrici e al contributo che ne può venire a una cristianità che non respira a pieni polmoni, debilitata da una certa visione troppo limitata e occidentale del mondo. E' su tale spinta genuinamente spirituale che Dossetti ha maturato un interesse e una conoscenza per due grandi paesi quali la Cina e l'India che oggi si affacciano da protagonisti sulla scena del mondo, ma di cui egli intuì la vitalità sin da oltre vent'anni fa. Dunque, con largo anticipo, con gli occhi penetranti della fede corroborata da un'acutissima intelligenza e da una straordinaria cultura, Dossetti intuì il corso della storia futura e la minaccia dello scontro tra le civiltà. E li mise in rapporto con il ripudio della guerra e la profezia cristiana della pace. Una profezia concreta, tutt'altro che priva di implicazioni politiche (non per nulla fu suo il primo abbozzo dell'art. 11 della nostra Costituzione), sulla quale egli registrava un eccesso di timidezza dei cristiani e della Chiesa. Troppo trattenuti dal senso comune e dai calcoli umani. Come non ricordare, al proposito, gli audaci discorsi del card. Lercaro al Concilio ispirati a una condanna risoluta della guerra, senza distinguo troppo sottili, discorsi che notoriamente devono molto al consiglio di Dossetti? Ma passiamo all'altra "profezia politica", quella della Costituzione. Egli aveva meditato a lungo sulle diffuse responsabilità nell'avvento del fascismo, sul ritardo, anche della Chiesa, nel percepirne e nel contrastarne i germi al loro insorgere e nel diagnosticarne il carattere anticristiano in quanto antiumano. Aveva una sensibilità specialissima nell'avvertire umori e sintomi del populismo autoritario. Non amando i chiaroscuri, essendo immune da ipocrisie, tra il 1994 e il 1995, denuncia apertamente di scorgere gli indizi di tali tentazioni, ancorché, certo, sotto altre vesti. Di qui la sua ultima battaglia per una difesa attiva e creativa della Costituzione, di cui vedeva minacciati l'ispirazione, i principi, i diritti fondamentali, a cominciare da quelli politici e sociali, e le garanzie democratiche. Un Dossetti, l'ultimo, che forse si distingue dal Dossetti costituente per un diverso accento, per un'acuita sensibilità verso le ragioni del costituzionalismo liberale e cioè verso le regole, gli equilibri, i controlli di cui si nutrono le Costituzioni democratiche moderne, concepite appunto con lo scopo di porre limiti alle eventuali prevaricazioni del potere politico, alla stessa dittatura delle maggioranze.