Salvo Lamartina

S I C I L I A

ed

U N I T A' d' I T A L I A

Pensieri in libertà

17 marzo 2011

Essere italiano sentendomi orgoglioso della storia e delle millenarie gloriose tradizioni della mia Sicilia che tanto ha contribuito all’Unità d’Italia.

Di quella Italia unita dall’immensa forza morale della stragrande maggioranza degli Italiani che sono ancora onesti.

Di quella Italia unita dal collante di una Democrazia che porta al rispetto della cultura, delle tradizioni, della civiltà e dalle diversità di ogni singolo Italiano.

Di quella Italia unita dal nostro bello ed unico sole che sa sprigionare calore, vita e passione perché un sole verde è un sole malato!

2

Pag 5 - Se vogliamo che… Pag 7 - L’Italia ed il Mare nostrum Pag 13 - L’Italia compie 150 anni Pag 35 - Unità d'Italia e Brigantaggio Pag 53 - Dal brigantaggio alla mafia Pag 65 - Flash di mafia nell'Italia unitaria Pag 67 - Le Origini della mafia Pag 70 - Dall'unità allo scandalo “Banca Romana” Pag 73 - Mafia e politica agli inizi del '900 Pag 78 - La mafia ed il fascismo Pag 82 - La mafia e lo sbarco alleat0 in Sicilia Pag 86 - Il primo dopoguerra e Salvatore Giuliano Pag 89 - La mafia delle stragi Pag 107 - Non più stragi, .. ma sempre più mafia Pag 109 - Altre vittime della mafia Pag 112 - La questione meridionale Pag 124 - Il Regno delle due Sicilie pre-unitario. Pag 133 - Le fonti

3 Se vogliamo che…

Il 1860 segna il passaggio fra il regno borbonico insediato in Sicilia da 140 anni ed il regno d’Italia che andrà a costituirsi da lì a poco. Il tramonto dell’ormai decadente società borbonica è ben rappresentato nelle vicende della casa Salina e del Principe Fabrizio, vicende che vengono narrate nel romanzo di Tomasi di Lampedusa il “Gattopardo”.

Il Gattopardo (Luchino Visconti) - Burt Lancaster e Claudia Cardinale nella famosa scena del ballo

4 "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!"

Questa è l’emblematica frase con la quale Tancredi cerca di rassicurare lo zio Principe Fabrizio Salina che la sua decisione di unirsi alle truppe piemontesi dopo lo sbarco di Garibaldi in Sicilia del maggio 1860 alla fine si tramuterà in un vantaggio per l’aristocrazia siciliana. Famiglia Salina che apparteneva a quell’antica nobiltà ormai conscia di quanto fosse vicina la fine dei propri, tanti quanto ingiusti, privilegi.

Ma prima di procedere con le mie considerazioni sull’unità, è bene fare una carrellata sui due millenni di storia precedenti.

5 L’Italia ed il Mare nostrum

L’Italia è da sempre terra strategica sia per la posizione dominante sul Mare nostrum sia per le sue condizioni climatiche ed ambientali. Il possesso della Sicilia e delle isole limitrofe fra l’altro consentiva un controllo totale sul Mediterraneo e su tutti i traffici commerciali e militari obbligati ad attraversarlo. Naturale conseguenza è che la nostra penisola è stata da sempre meta ambita da tutte le popolazioni e non certo per motivi turistici.

L’Italia, geograficamente ed idealmente parlando, poteva essere paragonata ad un ponte che, collegava la “ricca e potente” Europa alla “tutta da esplorare e colonizzare” Africa. Ma oggi l’evoluzione dei mezzi di trasporto ha reso meno rilevante tale ruolo di “ponte” che però viene ancora utilizzato da moltitudini di disperati che, come unica speranza di salvezza, affrontano sulle “carrette del mare” la furia delle onde pur di abbandonare la loro indigenza attirati dal miraggio dell’opulento mondo occidentale.

Lasciando stare la preistoria e le leggende, in età pre-romana i Celti ed Galli al nord, i Fenici ed i Cartaginesi al sud iniziarono le loro scorrerie lungo questa striscia di terra.

6 Seguì la colonizzazione da parte dei Greci (civiltà molto raffinata) che diede origine nel meridione (Napoli, Siracusa, ) a scuole filosofiche ed alla fioritura di letterati, artisti e uomini di scienza (Teocrito, Parmenide, Archimede, ..) oltre che ad istituzioni politiche allora sconosciute e che anticipavano forme di democrazia diretta.

Fra il 25 a.C. ed il 6 a.C. Roma con le sue legioni riuscì a sottomettere tutte le 46 popolazioni italiche, unificando per la prima volta la penisola sotto un unico dominio. Per i Romani, e poi anche per i Bizantini la Sicilia fu solo una provincia di scarsa importanza, mantenuta e difesa solo per il suo valore strategico al centro del Mediterraneo e per i tributi che era costretta a pagare.

Ma con la decadenza dell’impero l’Italia torna ad essere terra di conquista e così, fra il 476 ed il 774, abbiamo al nord le tribù germaniche (Goti) e quindi i Longobardi (popolo di religione ariana che non riconosceva l'autorità imperiale, dedita al saccheggio rendendo schiavi i vinti). Nello stesso periodo al centro-sud si insediano gli eredi dell'Impero Romano d'Oriente (Bizantini, da Bisanzio l’odierna Istanbul). Il “Ducato romano”, formalmente in mano bizantina ma governato con una certa autonomia

7 (comunque non totale) dal Papa, fungeva da cuscinetto fra le due grandi zone di influenza.

La “Langobardia Maior” (e cioè i domini longobardi dell'Italia settentrionale e dell'attuale Toscana) era ripartita in numerosi ducati e includeva Pavia, capitale del regno. Nel 774 entrò a far parte dell'Impero carolingio. Dall’831 al 1072 abbiamo un lungo periodo di dominazione Araba in una Sicilia che rifiorì sia economicamente che culturalmente e godette di un periodo lungo di pace e prosperità divenendo il punto nevralgico degli scambi nel mediterraneo.

Agli inizi del 2° millennio l’Italia mostra un aspetto ancor meno “unitario” come mostra la cartina successiva. Questo frazionamento rimane, sicuramente fino al congresso di Vienna del 1815, una peculiarità dell’area centro-settentrionale ancora con l’avvento dei “comuni” (repubbliche marinare incluse), la loro evoluzione in “signorie” e le lotte degli stati più forti (Ducato di Milano e le Repubbliche di Venezia e Firenze) per estendere la propria egemonia.

Il centro-sud invece si mostra meno “frazionato” sia per la presenza del potente “Stato Pontificio” durato oltre un millennio (dal 752 al 1870), sia per la creazione di un forte “regno di Sicilia” (o “di Napoli” o “delle due Sicilie”) protrattosi anche questo, di

8 dominazione in dominazione (Normanni, Angioini, Aragonesi e Borboni), fino al 1860.

In realtà la penisola Italiana cade sotto l’egemonia delle potenze straniere (prima la Francia, poi la Spagna e infine l'Austria), egemonia dalla quale si libererà solo nel 1866 con la terza guerra di indipendenza.

Ma parlando di storia d’Italia non possiamo non parlare del Regno di Sardegna che, creato nel 1297 con l’appoggio di Papa Bonifacio VIII, nel 1469 fu aggregato alla corona di Spagna e poi all'Austria (1708) prima di essere ceduto a Vittorio Amedeo II di Savoia (1720), che ne divenne il diciassettesimo re. La Sardegna venne declassata a “colonia” e

9 fiscalmente sfruttata creando un malcontento ancor oggi latente fra tutte le classi sociali.

Nel 1858 Il Regno di Sardegna comprendeva le attuali regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Sardegna, Lombardia, Emilia-Romagna, Liguria e Toscana. Rimanevano escluse Umbria, Marche e Lazio (stato Pontificio) oltre a tutto il sud “liberato” dai Borboni dalla spedizione dei Mille, guidata da Giuseppe Garibaldi (1860). Nel 1861 viene proclamato il Regno d'Italia mancante però di Veneto e Friuli, Roma, Trentino- Alto Adige e Venezia Giulia. Il periodo che va dal 1859 al 1861 è quello dei plebisciti. Il Ducato di Parma, il Ducato di Modena ed il Granducato di Toscana votano dei plebisciti per l'unione con il Regno. Ma anche i territori conquistati (Regno delle Due Sicilie, la Romagna, le Marche e l'Umbria) vengono annessi ufficialmente al regno tramite plebisciti.

Oggi il risultato di quei plebisciti verrebbe definito “bulgaro” per l’entità dei favorevoli all’annessione spesso intorno al 99-100% (le stesse percentuali totalitarie ottenute da Mussolini nei referendum del 1929 e 1934!) e con le sole eccezioni del regno di Napoli (75%) e di Sicilia (86%.)

Per conquistare Veneto e Friuli nel 1866 il Regno d'Italia dichiarò guerra all'Austria alleandosi con la Prussia (terza guerra di indipendenza) che si concluse con l'annessione di Veneto e Friuli- Venezia Giulia (referendum confermativo in Veneto: oltre il 99% di favorevoli.)

10 Mancava Roma che venne conquistata il 20 settembre 1870 (Breccia di Porta Pia) creando una profonda frattura tra Stato italiano e Chiesa, formalmente sanatasi poi con i Patti Lateranensi del 1929 (referendum confermativo a Roma: oltre il 99% di favorevoli). In tal modo ebbe termine il millenario potere temporale del papato le cui proprietà vennero annesse allo stato italiano. Papa Pio IX si ritirò nel palazzo del Vaticano e si dichiarò prigioniero politico. Lo stato del Vaticano venne ripristinato in forma ridotta nel 1929 con i Patti Lateranensi mantenendo come proprio corpo armato quello della “Guardia Svizzera Pontificia” fedelmente al servizio del Papato dal 1506.

In realtà l’influenza del Vaticano sulla politica di Roma e dell’intero stato italiano si è fatta sempre sentire in maniera pressante condizionando, ancora oggi, diverse delle decisioni che nulla dovrebbero avere a che fare con il “governo delle anime”! Dopo questa data Roma diventa la capitale d’Italia (dopo Firenze e Torino). L'Italia completò la sua riunificazione nazionale acquisendo il Trentino-Alto Adige, la Venezia Giulia con la fine della prima guerra mondiale (1915-18.) L’annessione definitiva di Trieste all’Italia avvenne nel 1954.

Questa, per sommi capi, è la millenaria storia dell'Italia, cioè di quelle terre poste fra le alpi ed il mare e dei popoli che l'hanno abitata con le loro molteplici differenze culturali e politiche.

11 L’Italia compie 150 anni

Ma quello di cui in questo 2011 ricorre il centocinquantesimo anniversario è la storia di un’Italia diversa, l'Italia dello “stato unitario” ovvero la storia del “risorgimento” che ha inizio con il passaggio di Vittorio Emanuele II da ultimo re di Sardegna a primo re d'Italia (1861) e dall’espansione del piccolo regno fino alla costituzione della Repubblica Italiana, espansione molto più simile ad una conquista territoriale che ad una reale unificazione. In questo processo di “aggregazione” del nuovo stato Italiano un ruolo rilevante svolge Garibaldi e le sue camicie rosse che nell’ottobre del 1860 in prossimità di Teano consegnano a Vittorio Emanuele II la sovranità sul Regno delle Due Sicilie. (episodio storico noto come "incontro di Teano").

Ed allora torniamo a Tancredi ed alla sua frase "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi!" che a distanza di un secolo e mezzo sembra essere lo specchio della storia d’Italia (e non della sola Sicilia) dalla “spedizione dei Mille” ai giorni nostri.

Una storia ricca di ideali e di patriottismo, di guerre e di eroi, ma anche, e purtroppo, storie di malgoverno, corruzione, collusione dei politici con la criminalità organizzata. Storie di ieri che, nella loro attualità, sembrano storie di oggi. Cambiano i nomi ma le situazioni sono sostanzialmente le stesse.

12

Ecco, posti in maniera provocatoria, alcune anticipazioni di come le vicende sembrano riproporsi immutate nel tempo:

“Quel denaro veniva convogliato verso i più importanti uomini politici del Paese, che lo utilizzavano per finanziare le loro campagne elettorali” - Non è un riferimento alla “tangentopoli” del 1992, bensì a quella di cent’anni prima (1892 - scandalo della Banca Romana che coinvolse lo stesso Presidente Crispi). L’unica differenza rispetto ad oggi è che Crispi e gli altri 20 parlamentari vennero regolarmente processati anche se poi, altrettanto regolarmente, assolti.

“Picciotti” della mafia inseriti presso la potente famiglia …. come “cocchieri” (Rapporto Sangiorgi sulla mafia - 1898-1900) - Visto che Mangano e Dell’Utri non erano ancora nati e che, fra l’altro, nel rapporto si parla di “COCCHIERI” e non di “STALLIERI”, la “potente famiglia” non è quella che spontaneamente potrebbe venire in mente, bensì quella dei Florio!

Alla famiglia Florio il suo potente status le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti al Questore di Palermo E. Sangiorgi. - Parliamo ancora dei primi anni del ‘900. Che il rifiuto a comparire di fronte alla legge è da considerare come uno dei “contributi” della Sicilia all’Italia unita?!

Nel primo decennio del Novecento , lo statista più “longevo” della storia recente dell’Italia, si giovò dell’operato degli “uomini

13 d’onore” per rafforzare il controllo governativo dell’elettorato meridionale. Fin dagli albori dell’unità d’Italia la Sicilia, sebbene fornisse all'Italia una parte importante dei quadri politici, funzionari numerosi e sovente ottimi, rimaneva a sua volta sotto-amministrata, così come lo era con i precedenti regimi. Premier ed “uomini d’onore”, funzionari di stato e “malgoverno”. Ma ci sono differenze rispetto ad oggi? E’ come se “centocinquanta anni” fossero passati senza lasciare traccia!

E cosa dire dei “poteri speciali” del Prefetto Mori che poi fu nominato Ministro? Quando Mori afferma che il colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare negli ambulacri dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero, il “Prefetto di ferro” viene richiamato a Roma e nominato Ministro. A ben guardare c’è una certa affinità con i poteri straordinari concessi nel 2010 ai Bertolaso e con la sua ventilata nomina a Ministro (poi svanita come una bolla di sapone.)

Ed ancora, In vista delle elezioni … fece approvare una nuova legge elettorale che avrebbe dato i tre quinti dei seggi alla lista che avesse raccolto il 40% dei voti. Non ci si riferisce al “Porcellum” (La legge nº 270 del 2005), bensì alla “Legge Acerbo” del 1923 e voluta da Benito Mussolini allo scopo di assicurare al Partito Nazionale Fascista una solida maggioranza parlamentare.

14 Che le cose siano destinate a restare immutate lo intravediamo anche in altri settori della vita (privata?) degli uomini pubblici cui piace far sfoggio del fascino del potere sulle donne.

La presenza di figure femminili vicino ai potenti fa parte integrante della storia oltre che della mitologia. Erano divine, ma a volte anche terrene, come le innumerevoli amanti di Zeus; regine (Cleopatra), o belle ed audaci cortigiane (nei loro salotti si imbastivano strategie capaci di influenzare gli stessi regimi politici) e fin’anche imperatrici (Messalina).

Ma restando all’Unità d’Italia, e senza voler esprimere un giudizio di merito circa la moralità di alcuni personaggi pubblici di primo piano, ricordo alcuni nomi di appartenenti al gentil sesso che buona parte della stampa accosta a re e presidenti del consiglio di ieri e di oggi. In rigoroso ordine alfabetico abbiamo: Laura Bon, Margherita Grassini (di famiglia ebrea!), Ruby-Karima, Noemi Letizia, Claretta Petacci e Rosa Vercellana (detta La Bella Rosina).

Questa volta però si intravede un certo cambiamento sostanziale: da amanti più o meno celebri e raffinate in grado di influenzare gli stessi regimi politici ed i destini di interi popoli, oggi si passa a più comuni “escort” (accompagnatrici che non disdegnano l'utilizzo del sesso) dai nomi a volte

15 esotici, che fanno da contraltare alla falsa etica di chi spesso esorta ufficialmente alla famiglia ed alla moralità.

Per correttezza di informazione riporto anche un paio di esempi per i quali non sarebbe onesto dire che nulla è cambiato in quanto in questi 150 anni c’è stata sicuramente una notevole evoluzione.

Parlando di Governi, siamo passati dalle severe e compassate espressioni dei ministri del regno che incutevano un certo timore reverenziale a quelle più gioiose ed appariscenti (nei gesti, nel linguaggio e nell’abbigliamento) dei ministri attuali espressione di una gaudente mentalità nella quale sono in molti a non riconoscersi.

16 Un’altra diversità si riscontra in un tema di estrema e drammatica attualità cento anni fa come oggi: La massiccia emigrazione meridionale, iniziata dopo l'unità d'Italia, si accentuò agli inizi del '900. Emigravano prevalentemente gli uomini (donne e bambini restavano in Italia) che si dedicavano ai lavori spesso i più faticosi ed umili con un unico intento: mettere da parte il gruzzoletto e poi tornare in patria. Oggi siamo noi oggetto di flussi migratori da parte di popolazioni extracomunitarie ma ci indigniamo e da più parti si chiede di porre un freno a tale fenomeno, magari giungendo agli eccessi di chi ha proposto l’uso delle armi per affrontare le “carrette del mare” straripanti esseri umani in fuga dai loro paesi con la speranza di una vita dignitosa.

Al di la della concretezza del cambiamento, sul quale sicuramente ognuno ha la sua opinione, bisogna porsi una domanda su cui riflettere attentamente prima di rispondere. Quanto è lecito parlare di “unità” nell’accezione di “unificazione” e “concordia”?

Oggi in questo stato italiano che sta festeggiando il 150° anniversario della sua unità, esistono movimenti e partiti ispirati da tesi indipendentiste/federaliste che in alcuni casi sfociano nel più zotico separatismo (ostilità verso i festeggiamenti, ostruzionismo verso l’inno nazionale, vilipendio del tricolore, e così via)

Vediamoli alcuni di questi punti di conflitto che tanto ci ricordano le medioevali focose dispute (o rivalità) fra guelfi (papato) e ghibellini (imperatore)

17 od ancora fra i comuni di Siena o Lucca contro quello di Firenze.

Procedendo dal nord verso il sud abbiamo:

Südtirol – Dopo i numerosi attentati dinamitardi degli anni ’60-70, esistono ancora oggi delle minoranze come l'Union für Südtirol (partito indipendentista-nazionalista di destra) sostenitore del diritto all'autodeterminazione pacifica per l’annessione del territorio all’Austria non accettando l’annessione di Bolzano al Regno d’Italia del 1918 avvenuta senza tener conto della volontà della popolazione autoctona. Il Trentino-Alto Adige (in tedesco Südtirol) godono Di un'amplissima e ricchissima autonomia, in base alla quale esso dispone del 90% delle imposte pagate localmente.

La Lega Nord (denominazione completa Lega Nord per l'Indipendenza della Padania), pur se sostenitrice del federalismo regionale, resta visceralmente legata ad un’ideologia secessionista. Fra i tanti movimenti con mentalità separatista, quello della Lega è da prendere in più seria considerazione sia per la consistenza di tale movimento nelle regioni del nord, sia per l’aggressività dei suoi ministri che pur avendo giurato fedeltà allo Stato ed alla costituzione commettono delle azioni al limite del reato (dal vilipendio di bandiera (Vilipendio alla bandiera la Camera salva Bossi – gen 2002) alla sconfessione dell’Inno di Mameli quale inno nazionale).

18 E’ notizia di oggi, proprio in fase di revisione della bozza, che in Lombardia i consiglieri della Lega hanno disertato l'aula di Regione e Provincia proprio al momento dell’esecuzione dell’Inno di Mameli che inaugurava le rispettive sedute!

«Non è un caso che i Padri Costituenti, come simbolo di questo insieme di valori fondamentali, all'articolo 12, indicarono il tricolore italiano. Il tricolore non è semplice insegna di Stato. È un vessillo di libertà, di una libertà conquistata da un popolo che si riconosce unito, che trova la sua identità nei principi di fratellanza, di uguaglianza, di giustizia nei valori della propria storia e della propria civiltà. … » (Carlo Azeglio Ciampi, Presidente della Repubblica Italiana)

La Lega Nord, manipolando un po’ la storia, si è creata dei simboli propri a partire da quella che loro chiamano la “bandiera storica della Padania” mescolando il regno della “Langobardia maior” caduto nel 774 ad opera dei Franchi di Carlo Magno, con la bandiera della Lega Lombarda del XII secolo, quando i Comuni Lombardi sconfissero il Barbarossa. In aggiunta adesso compare un falso simbolo celtico: il “Sole delle Alpi”. In realtà questo simbolo è universalmente conosciuto come “Fiore della Vita” ed è un simbolo antichissimo, presente ovunque nel mondo ed in ogni cultura! Ovviamente i “geniali” leader della “lega nord” hanno ritenuto opportuno nobilitare le loro origini ricorrendo ad una falsa testimonianza dell'origine celtica delle popolazioni

19 del Nord Italia (ma ce n'era proprio di bisogno ?): proprio come i Nazisti di Hitler che adottarono il simbolo ariano del Sole, la svastica, per evocare la loro presunta discendenza ariana. (approfondimenti su http://lamartinasalvo.sitiwebs.com/page14.html )

Anche se adottato provvisoriamente dall’ottobre del 1946 e definitivamente nel 2005, l’Inno di Mameli (inno nazionale della Repubblica Italiana) nel lontano 1848 era diventato un simbolo del Risorgimento Italiano. Ma la “Lega nord”, nel suo tentativo di ricusare tutto ciò che anche solo idealmente unifica, decide di sostituirlo ed adotta in sua vece il coro del Nabucco di Giuseppe Verdi (Va pensiero - canto dagli Ebrei prigionieri in Babilonia) che non ha alcun nesso con l’Italia (fosse anche quella del nord), ma in compenso è famoso, orecchiabile e quindi fa presa presso le masse. Sempre la “Lega nord”, dalla memoria molto corta, oggi si schiera contro chi ha origini meridionali (per non parlare delle forme razzismo verso gli extracomunitari) con apposite leggi contro questi presunti intrusi che “rubano” il lavoro dimenticando che negli anni fra il 1950 ed il 1960 fu proprio l'elevata disponibilità di manodopera (a basso costo) ed il forte flusso di migrazione dal sud verso il nord a favorire lo sviluppo e la crescita dell’industria italiana fino a renderla competitiva nel mondo. Da non dimenticare che le principali industrie erano e dislocate al nord anche per le vantaggiose condizioni ambientali quali l’abbondanza di acqua, il terreno pianeggiante che favorisce i trasporti e la vicinanza con i mercati europei.

20 L'indipendentismo sardo è una corrente politica che propugna l'indipendenza nazionale della Sardegna dall'Italia vantando il diritto all'autodeterminazione sostenendo che la Sardegna è una nazione avente una storia, una lingua ed una cultura propria e sostanzialmente diversa da quella italiana. Anche il popolo sardo ha un suo simbolo ed una storica bandiera: lo scudo con croce rossa ed i quattro mori bendati. La sua più antica testimonianza risale al 1281 ed è costituita da un sigillo della cancelleria reale di Pietro il Grande d'Aragona. Il simbolo comparve nella Sardegna spagnola su monete e sui gonfaloni dei corpi speciali dei Tercios de Cerdeña, istituiti da Carlo V per la difesa nelle operazioni contro i Turchi.

Il Movimento Neoborbonico è un movimento che, come si legge sul loro sito neoborbonici.it, nasce con la pretesa di ricostruire la storia del Sud e con essa un discutibile orgoglio meridionale. Anche questo movimento ha i suoi propri simboli: Le bandiere del Regno delle Due Sicilie, i gigli d'oro borbonici, le coccarde rosse dei briganti, o l'inno nazionale di Paisiello. L’auto definizione di neoborbonici è, dal movimento, giustificata con il fatto che sotto i Borboni i Meridionali sono stati un popolo amato, rispettato e temuto in tutto il mondo. Era, infatti, un “regno ricco, all'avanguardia e con un livello di benessere medio

21 non differente da quello degli altri Stati, se non addirittura superiore”.

Il regno di Sicilia, creato nel 1130 con Ruggero II d'Altavilla e durato fino all'inizio del XIX secolo, è il più antico regno nazionale prima dell’unità d’Italia. Non è strano quindi che sia la regione che più di frequente nella sua lunga storia si è ribellata ai “forestieri” che di volta in volta l’hanno padroneggiata:

Nel 1282 abbiamo la rivolta contro Carlo d'Angiò, nota come il Vespro siciliano, che portò alla costituzione di uno Stato siciliano repubblicano e indipendente di breve durata. «se mala signoria che sempre accora i popoli soggetti, non avesse mosso Palermo a gridar "mora! mora!"» (Citazione dei Vespri dalla Divina Commedia di Dante) Nel 1647 la Sicilia fu protagonista di una rivolta contro il fiscalismo troppo pressante del governo spagnolo, rivolta finita con repressioni sanguinose. Nel 1820 c’è la prima rivolta contro Ferdinando III Borbone dando nuovo impulso ad un desiderio di indipendenza da lungo tempo covato. Venne istituito un governo presieduto dal principe Paternò Castello, che ripristinò la Costituzione approvata nel 1812, ma nel giro di pochi mesi il re inviò un esercito agli ordini di Florestano Pepe che riconquistò la Sicilia con delle lotte sanguinose. Un nuovo moto indipendentista scoppiò a Palermo nel 1848, guidato da Ruggero Settimo e

22 Francesco Paolo Perez, ma il re Ferdinando II si riappropriò della Sicilia con varie lotte e vari spargimenti di sangue.

Tutte queste lotte avranno come conseguenza che i Siciliani nutriranno dentro di loro un odio verso i Borboni, rei di aver cancellato l'antico Regno di Sicilia (il più antico di tutta l'Italia preunitaria), per farlo diventare una provincia del Regno di Napoli, qualche anno dopo, infatti, i siciliani appoggiarono i piemontesi.

Nel periodo dell'occupazione alleata in Sicilia, alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nacque un movimento indipendentista (Comitato per l'Indipendenza della Sicilia - CIS) cui aderirono esponenti politici eterogenei dal socialista rivoluzionario Antonio Canepa (poi comandante dell'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia) ai baroni Lucio Tasca (eletto Sindaco di Palermo nel 1943) e Stefano La Motta ed ai monarchici Guglielmo Paternò Castello duca di Carcaci e il principe Giovanni Alliata. Finocchiaro Aprile chiese l'abdicazione di Vittorio Emanuele III e nella primavera del 1944 il CIS si trasformerà in “Movimento per l'Indipendenza della Sicilia” (MIS) con la tolleranza da parte degli Alleati.

Sotto la spinta dell'ala oltranzista, il MIS tentò l'insurrezione separatista con la formazione dell'Esercito Volontario per l'Indipendenza della Sicilia (EVIS), la cui attività di guerriglia e resistenza fu talmente veemente che per contrastarla il governo fu costretto ad inviare in Sicilia l'Esercito Italiano. Il 17 giugno del 1945 in uno scontro a fuoco con i Carabinieri cadeva il comandante dell'EVIS

23 Antonio Canepa. Il suo posto fu preso da Concetto Gallo, che portò a un'alleanza militare con il banditismo e la banda di Salvatore Giuliano. Il contributo dato da autonomisti moderati come Don Sturzo e La Loggia portarono alla sconfitta delle posizioni estremistiche del M.I.S. ed alla approvazione dello Statuto dell’autonoma Regione Siciliana. La Sicilia ha una sua realmente storica bandiera (giallo-rossa, con al centro la Trinacria) che risale al 1282 quando venne adoperata per la prima volta nella Rivoluzione del Vespro, volendo simboleggiare l'unità della Sicilia nello scacciare gli Angioini. Negli anni ’40 il Movimento indipendentista aveva scelto come Inno di Sicilia “Suoni la tromba” dai Puritani di Vincenzo Bellini. Anche in questo caso non c’è alcun nesso fra l’ambientazione dell’opera (Inghilterra nel secolo XVII) e la Sicilia, ma l’orecchiabilità del brano e la sicilianità del Bellini (grande compositore tra i più celebri operisti dell'Ottocento) lo ha fatto diventare un vero e proprio inno degli indipendentisti siciliani.

C’è chi non si accontenta di un solo inno, ed in attesa di decidersi fra presidenzialismo, federalismo, autonomismo e separatismo di inni né ha preparati ben due: Forza Italia e Meno male che Silvio c'è.

E cosa dire infine dello Stato della Chiesa? Mi chiedo quanto sia calzante parlare di Stato della Chiesa in questo mio divagare sull’Unità d’Italia, ma un breve cenno forse è opportuno. E’ vero che lo Stato Pontificio ha perso i suoi territori ed il suo potere temporale durato oltre un millennio, in un breve lasso di tempo che va dal 1861 (perdita di Marche ed Umbria) al 1870 (presa

24 di Roma). Ma da allora, anche se con alti e bassi, la Chiesa non ha mai cessato di sovrapporsi ed influenzare con le sue scelte non solamente i quesiti dell’anima ma anche quelli più concreti che interferiscono con l'autonomia decisionale del singolo cittadino rispetto a ogni condizionamento ideologico, morale o religioso altrui, ovvero con la laicità del popolo italiano. In particolare nel secondo dopoguerra la politica italiana è stata fortemente ispirata dalla chiesa tramite la sua decisa influenza sulle azioni ed i comportamenti della Democrazia Cristiana. L’appoggio politico-elettorale della Chiesa verso la Dc aveva come contropartita la possibilità di interferire nella legislazione se non addirittura nell'articolazione delle leggi che il Parlamento andava a votare. Ancora oggi le pressioni della Chiesa sono, in Italia, molto forti ed impattano sulla vita sociale di tutti i giorni, quali: coppie di fatto, omosessualità, cellule staminali embrionali, eutanasia, testamento biologico, aborto, divorzio, procreazione assistita, educazione sessuale nella scuola pubblica italiana, pillola del giorno dopo, uso del preservativo, insegnamento della dottrina cattolica imposta all’interno della scuola pubblica italiana e via dicendo. Argomenti tutti che implicano delle scelte etiche relative al comportamento del singolo nel rispetto delle decisioni altrui.

25

Nella ricorrenza del 150° anniversario dell’Unità, il Governo ha proclamato il 17 marzo giorno di festa nazionale, la festa dell’unità! Un evento ampiamente condiviso? Macché! Se può trovare una parvenza di giustificazione la voce contraria della presidente degli industriali, non altrettanto può dirsi per ministri e parlamentari leghisti che hanno affermato che il 17 marzo la Padania ha ben poco da festeggiare considerando l'Unità non come un valore, semmai come un problema. L’assurdo è che stiamo parlando di una forza di governo numericamente rilevante i cui ministri hanno giurato fedeltà all’ITALIA ma che poi se ne dissociano anche con plateali oltraggi alla bandiera tanto che il presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, intervenendo a Reggio Emilia nella giornata di apertura delle celebrazioni ufficiali per i 150 anni dell'Unità d'Italia ha dovuto affermare:

26 «Dato che nessun gruppo politico ha mai chiesto una revisione dei principi fondamentali della Costituzione, è pacifico che c'è l'obbligo di rispettarli. E tra questi principi c'è il rispetto del tricolore». Analogo l’atteggiamento del presidente della provincia autonoma di Bolzano sostenitore che i problemi della sua regione siano iniziati proprio con l'Unità. Anche in questo caso merita il plauso l’intervento del Presidente Napolitano che ha ricordato che un presidente di una provincia (Luis Durnwalder) ne rappresenta tutta la popolazione e quindi non può parlare in nome di una supposta «minoranza tedesca». Da queste vicende sembra riemergere quella natura egoistica che per secoli ha privilegiato il frazionamento e la coltivazione degli interessi locali. Il Risorgimento prima e quindi la lotta antifascista e la nascita di una democrazia costituzionale sembrava avessero creato quella cultura civile nazionale che trasformava gli abitanti della penisola in Popolo Italiano. Ma oggi sono diversi i segnali che ci dicono come vadano indebolendosi i valori civici che dovrebbero palesarsi nel rispetto delle istituzioni e nel senso di appartenenza alla comunità nazionale indipendentemente dalle diversità religiose, culturali e politiche.

Ma perché questo evidente declino? Certo non è tutto imputabile ad un’unica motivazione, bensì ad un insieme di concause con particolare riferimento

 ai frequenti tentativi di revisionismo di quell’antifascismo che è uno dei fondamenti della Costituzione Italiana,

27  alla contestuale presenza nella coalizione governativa di esponenti del Movimento Sociale Fiamma Tricolore (discendenti diretti del MSI fondato dai fascisti reduci della Repubblica Sociale Italiana),  al tentativo di appannare i ricordi della Resistenza partigiana, cioè di quel fenomeno che portò le forze sane dell’Italia ad opporsi, dopo l'8 settembre 1943, al nazifascismo dando vita alla guerra di liberazione italiana. Vale la pena di ricordare che la Resistenza vide l'impegno di gente di ogni estrazione sociale ed orientamento politico (cattolici, comunisti, liberali, socialisti, azionisti, monarchici, anarchici) i cui partiti sarebbero stati gli artefici dell’attuale Costituzione e dei primi governi del dopoguerra,  al “secessionismo”, mascherato da federalismo, più volte invocato dalla lega nord e che porta il capo dello Stato a Marsala per la rievocazione della spedizione di Garibaldi (11 maggio 2010) a pronunciare parole dure contro i penosi giudizi liquidatori sull'Unità: «Chi si trova a immaginare o prospettare una nuova frammentazione dello Stato nazionale, attraverso secessioni o separazioni comunque concepite, coltiva un autentico salto nel buio». ed ancora: «Si può considerare solo penoso che da qualunque parte, nel Sud o nel Nord, si balbettino giudizi liquidatori sul conseguimento dell’Unità, negando il salto di qualità che l’Italia tutta, unendosi, fece verso l’ingresso a vele spiegate nell’Europa moderna», (Da rimarcare l’infelice assenza dei ministri della Repubblica Bossi e Calderoli che hanno perso una grande

28 occasione per rilanciare l’unità d’Italia mostrando il loro reale volto di separatisti.)  al decadimento della politica (ridotta a mera operazione di marketing dove è strategico l’apparire piuttosto che l’essere) e dei costumi (dove tutto è lecito pur di ottenere visibilità e successo) e si può ben dire che "La pubblicità' e' l'anima della politica",  all’esplosione d un consumismo sfrenato che porta alla ricerca di facili guadagni spesso in barba alla morale ed al comune senso del pudore,  al prevalere dell’indifferenza che sovrasta la solidarietà e porta ad atteggiamenti che sfiorano il razzismo,  al degrado dell’informazione dove si assiste al dominio incontrastato del potere mediatico (in mano a pochi potenti) cui si contrappone il roboante silenzio della massa degli onesti.  al degenerare della cultura di Italica tradizione a vantaggio dei reality dove fanno audience (e quindi raccolta pubblicitaria) donne giovani, belle (meglio se disponibili) ma di cervello spesso vuoto,  al dilagare di una mafiosità (e parlo di mentalità mafiosa, non di mafia) che da tempo ha varcato lo stretto trasferendosi lì dove esiste il potere politico ed economico, a discapito dei proclami governativi.

Ripensando a quanto diceva M.L.King: "La nostra vita comincia a finire il giorno che diventiamo silenziosi sulle cose che contano" ci sarebbe da rabbrividire, ma sono certo che a fronte ai tanti motivi di un evidente declino del senso di

29 appartenenza alla Nazione Italiana, il popolo Italiano, nella sua stragrande maggioranza, è fondamentalmente un popolo sano anche se, in questo momento, un po’ distaccato silenzioso ed annoiato.

Ed è proprio questa maggioranza silenziosa che preoccupa ed allo stesso tempo dà la speranza che prima o dopo si possa uscire da questo degrado fisico ed intellettuale dove ci si abitua al "tutto" ed il "tutto" diventa la regola (corruzione, peculato, impunità, mafiosità,…) e dove ha ragione non chi è dalla parte della ragione ma chi è più forte per far prevalere le "sue" ragioni con tutti i mezzi (media) di cui dispone! Silenzio per scelta o per paura, per omertà o per complicità, per indifferenza o per inettitudine. Quello stesso silenzio che, come denunciava il giudice Giovanni Falcone, ha caratterizzato l'approccio delle istituzioni al problema della mafia. Oggi, a dimostrazione di una "Cultura mafiosa" dura a morire, si può spalleggiare la mafia anche enunciando che "La mafia è più famosa che potente".

Alla preoccupante ma condivisibile frase di M.L.King ”Non ho paura delle parole dei violenti, ma del silenzio degli onesti” contrappongo, fiduciosamente, un proverbio siciliano recita “Dissi lu surci a la nuci: dammi tempu ca ti spirtusu” (nel senso che il tempo farà prevalere le ragioni degli oggi silenziosi onesti!)

Mentre scrivo queste note arrivano dei segnali che aprono alla speranza. Mi riferisco alla lezione di storia data in TV da Roberto Benigni sulle origini e

30 sul significato dell’inno di Mameli (ma perché non divulgarlo nelle scuole ?), ma principalmente ai continui richiami del Presidente della Repubblica Napolitano all’Unità: ed ai suoi valori: «Mi auguro che in tutte le parti del Paese, come Milano, Venezia e Verona, ci si impegni affinché, al pari della Romagna, sappiano come divennero italiane»…. «Anche il nord deve avere coscienza di come nacque l'Italia»… all’importanza della coesione nazionale ed al ruolo «non passivo, ma da protagonista» della Sicilia nel moto unitario, ed il contributo del Mezzogiorno «storicamente indiscutibile».

In queste mie considerazioni sull’unità d’Italia sono partito dalla Sicilia, quella ottocentesca del “Gattopardo”, per tornare alla Sicilia di 150 anni dopo con le celebrazioni dello “sbarco dei mille” a Marsala.

Riuscendo ad estrapolare dalla storia quella che può essere considerata una naturale evoluzione dei tempi, alcune domande potrebbero sembrare di stretta attualità oggi come allora:

Perché un non sopito spirito di indipendentismo, se non addirittura di separatismo, resta vivo ancora adesso in una minoranza di Siciliani?

Perché i politici locali, ampiamente rappresentati nel governo nazionale, sembrano più interessati ad ottenere la compiacenza del capo del governo e la riconferma della poltrona piuttosto che lavorare per salvaguardare gli interessi della stragrande maggioranza di Siciliani onesti anche se negligentemente silenziosi?

31

Perche la mafia, nonostante i ripetuti e ricorrenti proclami “governativi” di vittoria a tutto campo, rafforza sempre più il suo spazio di influenza assumendo una forza tale da condizionare la vita economica finanziaria e politica dell’intero paese ed imbibendo di mafiosità la mentalità di banchieri, politici ed imprenditori?

In sostanza: E’ cambiato qualcosa di significativo, per la Sicilia con il passaggio dai Borboni al nuovo Regno d’Italia ed alla Repubblica odierna?

Quanti eventi si sono verificati in questo lasso di tempo! Storie di eroi e di briganti, di paladini della legalità e di arroganti mafiosi, di illustri statisti e di mediocri politicanti, per non parlare delle vergognose ed ignobili connessioni fra criminalità organizzata, imprenditoria e politica! Storie che da un secolo e mezzo si intrecciano e si susseguono senza soluzione di continuità.

Nelle pagine che seguono si parla di:

 Brigantaggio - Nobiltà, borghesia e contadini, rivoluzionari e briganti, alleanze e contrapposizioni di interessi. Incomprensibili alleanze che si annodano o si disfanno in funzione degli interessi contingenti. L’illusione di una nuova idea politica, morale e religiosa della giustizia, della proprietà, della libertà e la disillusione con le brutali repressioni di uno stato di polizia, come ebbe a definirlo lo stesso Crispi. Ingredienti tutti per un cocktail forte,

32 frizzante se non addirittura esplosivo dal quale è difficile districarsi e che ha “sconvolto” il mezzogiorno d’Italia e la Sicilia in particolare, nel primo decennio dallo sbarco dei Mille a Marsala ed i cui effetti arrivano fino ai giorni nostri.

 Mafia - E’ proprio dall’Unità d’Italia che comincia a crearsi quell’inestricabile intreccio fra mafia e politica che nessun governo (o regime) ha mai saputo o voluto debellare.

 Questione Meridionale - «Sappiamo bene che c'era già una "Questione meridionale" ma sarebbe rimasta come una vaga "leggenda nera" dello Stato italiano senza l'apporto degli scrittori meridionali.» (Leonardo Sciascia)

 Flash 150 anni mafia – Un rapido cenno che cerca di coprire 150 anni di crimini spesso impuniti, di collusioni politiche, di lunghi silenzi della Chiesa ufficiale, di centinaia e centinaia vittime di mafia che hanno modulato il calendario siciliano. Dalle parole del giudice Giovanni Falcone: "Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande" ai proclami di chi oggi è al potere ma che poi si oppone alla riapertura dei processi che potrebbero portare ai veri mandanti delle stragi del ’92 o alle affermazioni che "La mafia è più famosa che potente"!

33 Unità d'Italia e Brigantaggio

Secolare nobiltà, nascente borghesia cittadina ed assoluta povertà contadina, rivoluzionari spinti da sacro spirito risorgimentale e briganti della peggiore specie: contrapposizioni di realtà che portano ad incomprensibili alleanze, apparentemente incompatibili, che invece si annodano e si disfanno in funzione di interessi contingenti. Ci sono tutti gli ingredienti per un cocktail forte, frizzante se non addirittura esplosivo dal quale è difficile districarsi e che ha caratterizzato il mezzogiorno d’Italia e la Sicilia in particolare, nel primo decennio dallo sbarco dei Mille a Marsala ed i cui sconvolgenti effetti trovano ancora riscontro nella vita quotidiana dei giorni nostri.

Cosa si suole definire con i termini “brigante” e “brigantaggio”? Brigante comunemente indica chi vive fuori legge o comunque è un nemico dell'ordine pubblico. Il termine ha acquisito nel tempo anche un significato ideologico finendo con l’indicare, in senso dispregiativo, chi si opponeva con le armi al nuovo ordine. Durante la Rivoluzione francese vennero così definiti i combattenti realisti e cattolici della Vandea. [Le guerre di Vandea: serie di conflitti civili scoppiati al tempo della Rivoluzione francese, che videro la popolazione della Vandea e di altri dipartimenti vicini insorgere contro il governo rivoluzionario].

34 Secondo questa accezione del termine, “briganti” furono anche i personaggi che si opposero con le armi all'instaurazione della monarchia sabauda nel Regno delle due Sicilie. Nei corsi e ricorsi storici troviamo ancora oggi una corrispondenza con i moderni “conquistatori” che tendono a definire ancora oggi in modo dispregiativo i loro oppositori. Oggi però l’obsoleto termine di “brigante” è sostituito, a torto o a ragione, con quello più moderno di “terrorista”.

Il brigantaggio, già prima dell’unità d’Italia, venne aspramente combattuto dai Borboni in quanto queste bande venivano impiegate dai nobili latifondisti allo scopo di mantenere i contadini in uno stato di profonda sottomissione paragonabile alla schiavitù e, di fatto, sostituendosi alle leggi ed all’autorità dello stato. Per debellare tali bande di briganti Re Ferdinando I° nominò R.Church comandante supremo militare in Sicilia al servizio del luogotenente generale (viceré) Diego Naselli. Church e Naselli furono tuttavia travolti dalla rivolta iniziata il 1 luglio 1820 a Napoli dalla Carboneria e diffusasi in Sicilia dove si fece veicolo di rivendicazioni di tipo autonomistico (esempio di un miscuglio esplosivo tra ideali politici e banditismo).

In Sicilia le rivendicazioni autonomistiche segnano un importante tappa nel 1848, quando a

35 Palermo esplose una nuova rivolta contro i Borboni che portò alla creazione di uno stato indipendente presieduto da Ruggero Settimo. La vita del neonato Parlamento siciliano fu di breve durata e già nel febbraio 1849 Ferdinando di Borbone riprendeva possesso della Sicilia. Passano appena 10 anni ed il 4 aprile 1859 scoppia a Palermo una nuova rivolta immediatamente repressa nel sangue, ma che si riaccende nelle campagne l’anno dopo. Fu allora che il siciliano vince le resistenze di Garibaldi convincendolo ad intraprendere

l’impresa che inizia con lo sbarco dei Mille a Marsala ed alla quale prese parte attiva.

Francesco Crispi, costretto a rifugiarsi in Piemonte dopo la repressione della rivolta del ’49, fu espulso anche dal Piemonte perché coinvolto nella cospirazione mazziniana di Milano del 1853 e trovò rifugio prima a Malta, poi a Londra e in seguito a

36 Parigi. Espulso anche dalla Francia, raggiunse Mazzini a Londra e si trasferì poi a Lisbona, continuando dovunque a cospirare per il riscatto dell'Italia e della "sua" Sicilia. Nel giugno del 1859 rientrò in Italia proclamandosi fautore di uno stato italiano unito e repubblicano. Per due volte quell'anno visitò in incognito varie città siciliane per preparare l'insurrezione del 1860. Durante il suo esilio a Malta sposò Rosalia Montmasson, l'unica donna che avrebbe partecipato direttamente all'avventura dei Mille partendo con il corpo di spedizione.

Ma quale era lo stato di “salute” della Sicilia sotto i Borboni? Malgrado non fossero tutte rose e fiori, la Sicilia conobbe un grande sviluppo economico e industriale. Era, dopo Inghilterra e Francia, il terzo stato più industrializzato d'Europa, aveva la terza flotta commerciale più importante, disponeva di un buon sistema di comunicazioni stradali ed i porti mercantili di Catania e Messina erano fra i più attivi del Mediterraneo. Durante l'Exposition Universelle de la science di Parigi nel 1856, il Regno delle Due Sicilie ottenne diversi riconoscimenti sia in campo agricolo, sia in campo industriale. In ottimo stato di salute anche il commercio dello zolfo, del sale, dei marmi, degli agrumi, del grano (la Sicilia, sin dal tempo degli antichi Romani, era il "granaio d'Europa"). Il Banco di Sicilia (insieme a quello di Napoli) possedeva i due terzi dell'oro e della ricchezza di tutta l'Italia. [Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli (1825-1861), Firenze, 1997].

37 Anche se la disomogenea distribuzione di tali “ricchezze” penalizzava la massa della popolazione, l'emigrazione in Sicilia a quel tempo era un fenomeno estremamente contenuto. Ma di questo “stato di salute” della Sicilia. e del Mezzogiorno più in generale, si può leggere nel capitolo apposito riguardante la Questione meridionale.

E’ in questo contesto che il Regno di Sardegna appoggia la spedizione dei Mille per annettersi il Regno delle due Sicilie. Ma quali erano le aspettative della popolazione siciliana? Mentre la borghesia e la nobiltà avevano più di qualche perplessità circa la cacciata dei Borboni (con i “piemontesi” avrebbero mantenuto i loro privilegi?), il popolo, che viveva in miseria ed in condizioni di sfruttamento e sopraffazione, vedeva di buon occhio l’arrivo di Garibaldi perché sperava in un miglioramento delle proprie condizioni di vita. In una “amnistia” dei reati commessi speravano invece le diverse “bande” di briganti che si aggregarono all’esercito di Garibaldi il quale li accettò di buon grado rinforzando così le sue “esigue” fila per combattere il più numeroso e meglio armato esercito borbonico (lo sappiamo bene ancora oggi che il fine giustifica i mezzi!)

Ma che possibilità c’era che degli “ingredienti” così molteplici ed eterogenei potessero ben amalgamarsi ? Già all'indomani della spedizione dei mille e della conseguente annessione del Regno delle Due Sicilie al nuovo Regno d'Italia (1860-61), diverse fasce della popolazione meridionale, deluse nelle loro aspettative, cominciarono ad esprimere il

38 proprio malcontento non tanto per il processo di unificazione in se stesso, ma principalmente perché non sembravano destinate a cambiare le condizioni indotte da quella atavica e disperata povertà.

A questo cupo quadro che faceva da sfondo ad una già dura realtà, bisogna aggiungere altri due fattori che lo incupiscono ancor di più: • l’introduzione della leva obbligatoria (mai presente sotto i Borboni) che toglieva braccia ad un'economia agricola già povera e mandava, volutamente per evitare le diserzioni, i soldati lontani dal paese d'origine, e • una tassazione più elevata di quella precedentemente in vigore oltre all’introduzione dell’odiosa “tassa sul macinato”, tanto più odiosa in una Sicilia ad economia agricola.

Il Piemonte, lo Stato più indebitato d’Europa, si salvò grazie alle disponibilità delle regioni “liberate”. Il Regno delle due Sicilie, tramite le sue due grandi banche (Banco di Napoli e di Sicilia), possedeva, secondo gli studi statistici di Francesco Saverio Nitti, un patrimonio corrispondente al 66% di tutta la moneta circolante della penisola. Con l'introduzione nel 1861 della carta moneta questo enorme patrimonio, costituito da monete in metalli preziosi, finirono nelle casse dell’Erario nazionale che di contro mise in circolazione, grazie alla legge sul “corso forzoso” della carta moneta, un valore almeno tre volte superiore di banconote. Un vero e proprio rastrellamento del capitale, che venne in gran parte reinvestito nelle industrie di quel nord che godeva di un indubbio vantaggio geografico.

39 La Sicilia, così come il meridione tutto, venne letteralmente depredata. Furono venduti a prezzi irrisori tutti i beni privati dei Borboni e gli stabilimenti pubblici civili e militari delle Due Sicilie e perfino i beni demaniali ed ecclesiastici. Tutte le spese per la “liberazione” e dei lavori pubblici (affidati alle imprese lombardo - piemontesi) contribuirono a svuotate definitivamente le casse della regione. Il settentrione diventava sempre più ricco, la Sicilia sempre più povera!

La legge sull’obbligo di leva, come prevedibile, favorì il fenomeno della diserzione. Dal 1861 al 1863, vi furono circa 25.000 disertori e si cominciarono a formare formazioni irregolari costituite da ex soldati della disciolta armata reale rimasti fedeli ai Borboni, coscritti che rifiutano di militare sotto un'altra bandiera, pastori, braccianti e montanari che lottavano contro i proprietari terrieri ed i latifondisti. Tra questi “irregolari” si inserirono anche banditi di professione e briganti occasionali, cioè quelli che si dedicavano alle aggressioni ed alle rapine nei periodi nei quali non c’era lavoro nei campi. Si formarono così delle vere e proprie “truppe di briganti” che, con la protezione del popolo e l’omertà delle autorità locali, saccheggiavano e uccidevano e si rintanavano nei loro nascondigli solo dopo aspri scontri con le forze dell’ordine. Alcuni di questi capibanda erano stati garibaldini e avevano appoggiato l’impresa dei Mille: ora invece combattevano contro i Savoia ed erano favorevoli alla restaurazione del vecchio regime borbonico.

40 Il malcontento contadino fu abilmente sfruttato dai Borboni i quali sovvenzionavano direttamente alcune bande e indirizzavano la loro lotta contro l'esercito regolare italiano nella speranza di ritornare al potere. (tornando al nostro cocktail vediamo che gli stessi “briganti”, ieri avversati dai Borboni ed accolti a braccia aperte da Garibaldi, si ritrovano ad essere “alleati” dei loro vecchi persecutori!)

I contadini, in particolare, lamentavano lo sfruttamento da parte dei padroni terrieri, che continuavano a detenere gran parte della terra del meridione mantenendo i contadini di fatto in condizione di servitù della gleba oltre che la mancata assegnazione delle terre demaniali ai contadini come previsto da un decreto dello stesso Garibaldi e che sarebbe stato all’origine della storica “strage di Bronte”.

(decreto di Garibaldi del 2 giugno 1860)

«Italia e Vittorio Emanuele - Giuseppe Garibaldi comandante in capo delle forze nazionali in Sicilia, in virtù dei poteri a lui conferiti, decreta: - Art. 1. Sopra la terra dei demani comunali da dividersi, giusta la legge, fra i cittadini del proprio comune, avrà una quota senza sorteggio chiunque si sarà battuto per la Patria. In caso della morte del milite questo diritto apparterrà al suo erede. - Art. 2. La quota, di cui è parola all'articolo precedente, sarà uguale a quella che sarà stabilita per tutti i capi di

41 famiglia poveri non possidenti, e le cui quote saranno sorteggiate. Tuttavia se le terre d'un comune siano tanto estese da sorpassare i bisogni della popolazione, i militi e i loro eredi otterranno una quota doppia di quella degli altri condividenti. - Art. 3. Qualora i comuni non abbiano demanio proprio, vi sarà supplito colle terre appartenenti al demanio dello Stato e della Corona. - Art. 4. Il Segretario di Stato sarà incaricato della esecuzione del presente decreto.»

A Bronte i contadini prendono violentemente possesso delle terre della Ducea di Nelson (un feudo di 25.000 ettari). Garibaldi fu immediatamente sollecitato dal console inglese che gli intimava di far rispettare la proprietà britannica della Ducea e così Nino Bixio interviene con quello che è noto come “l’eccidio di Bronte”. Vengono fucilati l'avvocato Nicolò Lombardo e tre contadini, tra i quali un minorato! (10 agosto 1860)

42 12 agosto 1860, proclama originale di Bixio, successivo alla esecuzione

Nino Bixio Gli assassini, ed i ladri di Bronte sono stati severamente puniti - Voi lo sapete! la fucilazione seguì immediata i loro delitti - Io lascio questa Provincia - i Municipi, ed i Consigli civici nuovamente nominati, le guardie nazionali riorganizzate mi rispondano della pubblica tranquillità!... Però i Capi stiino al loro posto, abbino energia e coraggio, abbino fiducia nel Governo e nella forza, di cui esso dispone - Chi non sente di star bene al suo posto si dimetta, non mancano cittadini capaci e vigorosi che possano rimpiazzarli. Le autorità dicano ai loro amministrati che il governo si occupa di apposite leggi e di opportuni legali giudizi pel reintegro dei demanî - Ma dicano altresì a chi tenta altre vie e crede farsi giustizia da se, guai agli istigatori e sovvertitori dell'ordine pubblico sotto qualunque pretesto. Se non io, altri in mia vece rinnoverà le fucilazioni di Bronte se la legge lo vuole. Il comandante militare della Provincia percorre i Comuni di questo distretto. Randazzo 12 agosto 1860.IL MAGGIORE GENERALE G. NINO BIXIO.

43 Tornando alle formazioni di irregolari e per le quali, forse troppo sbrigativamente e senza cercare di capire i reali motivi della loro formazione, i sabaudi adoperarono i termini di “briganti” e “brigantaggio”, esse diedero luogo ad una vera e propria rivolta che per un decennio tenne impegnate nel meridione d’Italia una parte consistente dell’esercito “regio” (Piemontese prima ed Italiano dopo).

Le svolte del governo sui temi di politica interna e di ordine pubblico in quel primo decennio unitario, da Rattazzi a Minghetti, determinarono un irreversibile declino sociale ed economico del Meridione. Il comportamento del nord nei confronti del sud e della Sicilia in particolare fu di conquista e di dominio. Nacque la “sindrome piemontese“, dove “Piemontese” era tutto ciò che non fosse siciliano. I rappresentanti del governo centrale furono in linea di massima, dei burocrati, degli esecutori, che avevano come fine ultimo il farsi belli ed il soddisfare i loro capi (proprio come oggi !)

I “piemontesi” pretesero di governare l’isola con modi reazionari, illegali, dispotici ed immorali. Si pensò anche ad una dittatura militare (sostenuta dal “buon” Ricasoli) ma rigettata da Cavour che temeva di essere screditato di fronte all’Europa per un tale comportamento nei confronti della popolazione. Anche se non istituzionalizzata, la dittatura militare fu in pratica attuata ed il luogotenente Montezemolo nelle sue circolari ribadiva assai bene questo concetto. Il 16 dicembre del 1860 egli scrive infatti al presidente del consiglio dei ministri sull’opportunità di mettere a tacere le persone che potevano

44 disturbare l’ordine pubblico: “Forse un tumulto che desse occasione di por la mano sopra i capi primari della frazione (degli oppositori), avrebbe conseguenze più favorevoli che funeste. Si sta in vigilanza ed a qualunque occasione plausibile si presenti non si mancherà al debito.“ (Archivio di stato di Palermo).

Con simili idee ed esempi i funzionari preposti al governo delle istituzioni non ebbero alcuno scrupolo di violare e calpestare leggi e diritti. Non solo ma la cosa peggiore fu di attribuire alla classe dirigente locale poteri e privilegi che mai aveva avuto. Il liberismo di Cavour divenne un implicito supporto per il latifondismo conservatore e reazionario dell’isola. Il risultato di tale politica fu uno sfruttamento e un’oppressione delle classi popolari ben maggiore di quanto non fosse mai stato durante l’assolutismo borbonico.

Lo stesso Crispi ebbe a dichiarare, alcuni anni dopo, che la Sicilia sotto i Savoia somigliava ad uno stato di polizia (atti del Parlamento italiano, discussione della camera dei deputati, 1875). ... Fu proclamato lo stato d’assedio: i paesi, i villaggi furono messi a ferro e a fuoco, migliaia di persone furono arrestate e fucilate in maniera sommaria (ad Alcamo, Siciliana, Grotte, Racalmuto, Bagheria, Fantina, Casteltermini)… …Passarono solo pochi mesi e a questo primo stato di assedio ne seguì un altro, ancora più duro, questa volta per contrastare il brigantaggio e la renitenza alla leva militare obbligatoria.

La legge di polizia fu un’esperienza tremenda: chiunque reo o innocente purché sospettato o

45 malvisto dalle autorità o accusato da qualche delatore veniva “ammonito” e sottoposto al “controllo”. Avete idea di quanta gente si è data alla macchia, solo magari perché il vicino di casa lo aveva accusato per vendicarsi di qualche piccolo torto? La pressione poliziesca era senza limiti e lo stato era incapace o non voleva trovare soluzioni. Era logico che il brigantaggio degenerasse in una disobbedienza ed in una rivolta avente come unico scopo quello della sopravvivenza, senza alcuna prospettiva politica e senza speranza.

Anche per i padri Gesuiti il fenomeno di quel “brigantaggio” non è solo un fenomeno delinquenziale, ma la reazione del popolo contro un’invasione armata che lo spogliava del proprio Paese, della propria libertà e delle proprie ricchezze: «Questo che voi chiamate con nome ingiurioso di Brigantaggio non è che una vera reazione dell’oppresso contro l’oppressore, della vittima contro il carnefice, del derubato contro il ladro, in una parola del diritto contro l’iniquità. L’idea che muove cotesta reazione è l’idea politica, morale e religiosa della giustizia, della proprietà, della libertà» (fonte: la "Civiltà Cattolica" dei padri Gesuiti).

La repressione di Cialdini 1861-66 - Quella che dovette affrontare il neonato Regno d’Italia contro i briganti fu una vera guerra. In dieci anni quasi 500 bande di briganti (da poche unità fino a 900 uomini) e nelle quali era tutt'altro che rara la presenza delle donne: sapevano far uso del fucile

46 ed erano una fonte preziosa di notizie riguardanti gli spostamenti dei Carabinieri. Il nuovo Regno d’Italia contrappose oltre 200 mila soldati comandati dal fior fiore degli ufficiali (il principe Savoia Carignano, Cialdini, Pinelli, Negri), eppure per molto tempo non riuscì ad ottenere risultati di rilevo nonostante decine di migliaia di esecuzioni sommarie e una feroce rappresaglia che coinvolse familiari e compaesani dei combattenti. «Si sostenne….. la lunga e dolorosa guerriglia del brigantaggio, inacerbitosi nell'Italia meridionale, come di solito nelle rivoluzioni e nei passaggi di governo……. » - (Benedetto Croce, “Storia d'Italia dal 1871 al 1915”, Napoli 1927] Secondo le stime di alcuni giornali stranieri che si affidavano alle informazioni "ufficiali" del nuovo Regno d'Italia, dal settembre del 1860 all'agosto del 1861 vi furono nell'ex Regno delle Due Sicilie 8.964 fucilati, 10.604 feriti, 6.112 prigionieri, 64 sacerdoti, 22 frati, 60 ragazzi e 50 donne uccisi, 13.529 arrestati (la maggior parte senza processo), 918 case incendiate e sei paesi dati a fuoco, 3.000 famiglie perquisite, 12 chiese saccheggiate, 1.428 comuni sollevati!

Come giustificare un simile schieramento di forze, tante atrocità e risultati tanto scarsi E cosa dire dell’accanita resistenza dei Meridionali contro i cosiddetti "liberatori"? Si trattava solo brigantaggio

47 o anche volontà di opporsi all’ennesima repressione politica "colonialista” dei Piemontesi?

«Questa è Africa! Altro che Italia! I beduini, a riscontro di questi cafoni, sono latte e miele. » (Enrico Cialdini, luogotenente del re Vittorio Emanuele II.)

Nell'agosto 1863, sulla base delle discutibili conclusioni della Commissione Parlamentare d’inchiesta (miseria riconducibile all’oppressione borbonica, superstizione e mancanza d'istruzione, la mancanza di senso morale, tipica delle genti meridionali, testimoniata dal fatto che essere brigante era quasi una tradizione locale (!),.. quali "vere" cause del brigantaggio), venne emanata la "famigerata" legge Pica. Tale legge, contraria a molte disposizioni costituzionali, colpiva non solo i presunti briganti, ma affidava ai tribunali militari anche i loro parenti e congiunti o semplici sospetti.

Furono inviati nel Sud consistenti reparti militari. Le regioni meridionali furono sottoposte a un regime di stato d'assedio che portò ad una guerra civile che si protrasse per anni. Chiunque fosse anche solo sospettato di essere un brigante poteva essere passato per le armi senza processo; chiunque aiutasse o non denunciasse un brigante, comprese madri, mogli e figlie, era passibile dell’ergastolo; chiunque circolasse senza lasciapassare incorreva nell’arresto; le famiglie di presunti briganti erano condannate al domicilio coatto: questi i provvedimenti presi. Nei primi due mesi di applicazione della Legge Pica si ebbero 1.035 esecuzioni e 6.564 arresti; ragazzine di appena dieci anni, colpevoli di essere figlie di briganti, furono condannate a vent’anni di carcere e

48 furono separate dalle madri, anch’esse imprigionate; intere famiglie furono smembrate e deportate. L’ordine dato ai generali era quello di spargere al Sud un “salutare terrore”, e così fu! Particolare rilievo ebbero le taglie per la delazione che sicuramente non aiutarono una volontà moralizzatrice dei governi unitari nei confronti delle popolazioni meridionali.

Con le sue azioni, il Cialdini aveva raggiunto l'obiettivo strategico principale contro il brigantaggio, cancellando le premesse per una possibile sollevazione generale. Si cominciò ad affievolire l'appoggio popolare e la resistenza degenerò così, sempre più spesso, in mero banditismo con le bande rimaste che si diedero, allora sì, ad atti di malavita, istigate anche dalla condizione di estrema povertà nella quale le regioni meridionali erano cadute e dalla nascita del latifondo, che toglieva ai contadini ogni possibilità di una sopravvivenza dignitosa. Nel 1869 furono catturati i briganti delle ultime grandi bande e a gennaio 1870 il governo italiano soppresse le zone militari nelle province meridionali, sancendo così la fine ufficiale del brigantaggio.

«Lo stato italiano è stato una dittatura feroce che ha messo a ferro e fuoco l'Italia meridionale e le isole, squartando, fucilando, seppellendo vivi i contadini poveri che scrittori salariati tentarono d'infamare col marchio di briganti. » (Antonio Gramsci in L'Ordine Nuovo, 1920)

I problemi che avevano originato il brigantaggio e che, in gran parte, risalivano alla responsabilità del governo borbonico, restavano però irrisolti e, in

49 seguito, per molti abitanti del Sud l'unica speranza di sopravvivenza fu legata all'emigrazione. Lo squilibrio strutturale tra nord e sud d'Italia verrà affrontato in modo più organico dalla classe dirigente italiana e prese avvio il dibattito sulla questione meridionale, nei termini sociali ed economici in cui la conosciamo ancora oggi. È in questo periodo che il sistema bancario si struttura in modo simile a oggi: un meridione con poche tasse e alta raccolta di risparmi che non vengono investiti nel territorio, ma finanziano le industrie del nord Italia. (cosa che avviene ancora oggi con il Sud (72%) che privilegia il risparmio contro il 53% del Nord.)

La tassazione imposta dal Regno d'Italia, la stessa del nord estesa al nuovo regno, ulteriori aggravi come la tassa sul grano ma soprattutto le politiche protezioniste adottate per favorire lo sviluppo dell'economia industriale del Settentrione colpirono duramente il Mezzogiorno, causando la massiccia emigrazione che si verificò dopo l'Unità d'Italia e i Meridionali andarono a cercare una nuova vita nelle Americhe, avviando un fenomeno del tutto sconosciuto fino nel Regno delle Due Sicilie. La perdita del controllo del territorio, spesso incomprensibile ai nuovi funzionari del nord Italia, favorirono il dilagare della corruzione, degli intrallazzi e della guerra tra bande criminali.

La mafia, che comunque esisteva già da tempo, si "ufficializza" come sistema di difesa dei proprietari terrieri contro i furti, o come sistema dei campieri- gabellotti per intimidire gli stessi proprietari. Diventa inoltre anche il mezzo mediante il quale le autorità piemontesi, impotenti a governare il

50 territorio, tengono a freno ogni velleità di rivolta mettendo a capo dei municipi i "capi-rais" o personaggi indicati da questi.

Ma la Mafia ed i suoi nefasti effetti sulla crescita civile e culturale della Sicilia è oggetto di trattazione in altro capitolo. (vedi capitolo Mafia)

51

Dal brigantaggio alla mafia

Brigantaggio e mafia non possono essere mescolati e confusi, anche se fra i due fenomeni ci sono diversi punti di contiguità. Il brigantaggio fu dettato dalla fame, dalla necessità di sottrarsi all’obbligo di leva istituito dal governo Sabaudo e può essere, almeno in parte, addebitato ai “piemontesi”.

52 Sicuramente la stessa cosa non si può affermare per la mafia anche dopo l’unità ci fu un “salto di qualità”. La mafia Diventò un mezzo di crescita sociale, economica e politica. Ad essa si aggregarono i rappresentanti più spregiudicati della borghesia agraria emergente (quella che si era comprata le terre dei feudi o della chiesa) e i rappresentanti più rozzi e conservatori della vecchia nobiltà. Ovviamente furono assoldati, come manovalanza le classi subalterne (contadini e braccianti) accecati dal miraggio di una facile ricchezza.

Brigantaggio, mafia ed unità d’Italia: quale nesso?

L’Unità d’Italia non si può certamente considerare responsabile della nascita di nessuno dei due fenomeni (entrambi storicamente antecedenti) ma è altrettanto certo che ai “piemontesi” ed alla miope politica di promesse mancate può essere attribuita sia l’esplosione del brigantaggio, sia il “salto di qualità” che fece la mafia quando i piemontesi, impotenti a governare direttamente il territorio, ritengono più semplice farlo mettendo a capo dei municipi i "capi- rais" o personaggi indicati da questi favorendo il dilagare della corruzione, degli intrallazzi e della guerra tra bande criminali.

E’ proprio dall’Unità d’Italia che comincia a crearsi quell’inestricabile intreccio fra mafia e politica che nessun governo (o regime) ha mai saputo (o “voluto”) debellare.

53 Il nuovo ceto politico capisce che gli conviene fare patti di mutuo interesse con il mafioso locale. Questi amministra la sua giustizia, anche sommaria, risolvendo problemi che l’amministrazione venuta dal nord non riesce a capire e ad inquadrare; sopperisce, col suo paternalismo interessato, a risolvere problemi che lo Stato invece accentua e, agli occhi del popolano più misero, risulta quindi più efficiente e "giusto". I notabili locali e le nuove classi dirigenti si adattarono presto alle nuove regole, divennero presto convinti fautori, per proprio tornaconto, dell'annessione al Regno piemontese, alcuni anche per mantenere i vecchi privilegi che avevano temuto di perdere con la scacciata dei Borboni. Perfino la tardiva distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici, iniziata nel 1861, a gente troppo misera, che finiva con l'indebitarsi per acquistare le sementi ed era costretta a svendere le terre stesse per debiti, sortì solo l'effetto di riformare i latifondi con nuovi proprietari ed acquirenti e, per giunta, a prezzi stracciati.

Il romanzo "Il Gattopardo" di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, "I Viceré" di Federico de Roberto illustrano molto bene gli eventi di questo periodo.

Fin dagli albori dell’unità d’Italia la Sicilia, sebbene fornisse all'Italia una parte importante dei quadri politici, funzionari numerosi e sovente ottimi, rimaneva a sua volta sotto-amministrata, così come lo era sotto i precedenti regimi. Esattamente come oggi, come se “centocinquanta anni” fossero passati senza lasciare traccia ! Ma l'assenza di una classe dirigente valida e ben determinata, che sapesse comprendere e

54 soddisfare le esigenze ed il malcontento del popolo, ha contribuito a far nascere una profonda sfiducia e diffidenza nei confronti dello Stato centrale che ancora oggi è facile percepire. Il nuovo governo piemontese si sovrappose, infatti, ad una struttura sociale meridionale già profondamente radicata nel tessuto sociale, senza riuscire ad interagire positivamente con essa.

Nel 1892 in Sicilia i braccianti, i minatori ed alcuni gruppi di operai si organizzarono nei “fasci dei lavoratori” che diedero vita ad una serie di lotte che durò fino all’anno successivo quando fu dichiarato lo stato d’assedio: i fasci furono sciolti e i capi incarcerati.

La distruzione dei “fasci dei Lavoratori” fece ricadere i contadini in quasi pieno Medioevo; lo stato

55 italiano si stava dimostrando peggiore di quello Borbonico. Nelle campagne i grossi latifondisti, che avevano detenuto interamente il potere fino a quel tempo, cominciarono ad aver bisogno sempre più di qualcuno che garantisse loro un controllo effettivo delle proprietà, sia per difendersi dal brigantaggio, sia per resistere alle nascenti pretese delle classi contadine per una più equa distribuzione del prodotto del loro lavoro. Questo ruolo, anziché affidarlo alla classe borghese imprenditoriale con l’aiuto dallo stato, venne può comodo demandarlo ai "campieri" (perché controllavano i campi) o "gabelloti", in quanto riscuotevano, per conto del padrone, le "gabelle".

Quindi, fin dal principio, la mafia si delinea come un'organizzazione che assume dei ruoli pubblici per eccellenza, che altrove sono di competenza dello Stato. Per conquistarsi questo ruolo i mafiosi ebbero, fin dalle origini, contatti molto stretti con il potere pubblico. A quell'epoca le collusioni più evidenti erano con il corpo dei "militi a cavallo", una forza di polizia addetta al controllo delle campagne.

Il mafioso si inserì, con un’attività tipicamente parassitaria, nel rapporto fra contadini e proprietari terrieri. Si sostituiva al proprietario lontano dalla terra fino a soppiantarlo totalmente nell’esercizio dei suoi diritti e lo ricattava, imponendogli come prezzo dei suoi servizi e della sua stessa presenza, un’assoluta libertà d’azione nei confronti dei contadini. In compenso il mafioso, attraverso un’articolata rete gerarchica di personaggi che

56 andavano dall’amministratore al gabellotto e al campiere, difendeva il proprietario dalle rivendicazioni contadine e gli assicurava il lavoro di braccianti male remunerati e il tranquillo godimento delle rendite del feudo. La mafia divenne uno dei mezzi più efficaci per il mantenimento effettivo dell’ordine e dell’equilibrio sociale sicché le autorità istituzionali si dimostrarono indulgenti nei suoi confronti legittimandola agli occhi della popolazione.

Così andò formandosi uno stretto legame tra potere mafioso e uomini politici che divenne una costante del panorama politico siciliano.

Ma le collusioni, anche allora, non si limitavano ai bassi livelli arrivando a toccare le autorità prefettizie (che avevano allora molto più potere che oggi) e, segno di grande continuità con l'oggi, i politici. Ed è del tutto naturale che il terreno per queste collusioni fosse più nelle città, dov'era concentrato il potere politico, che nelle campagne. In questo senso, di recente, S. Lupo ha sostenuto che è un errore considerare la mafia delle origini soltanto come mafia rurale, in quanto il ruolo delle città, come luogo politico e commerciale, era invece molto importante.

In Tale condizione i siciliani all'ingiustizia statale cominciarono a preferire la giustizia semplice e, ai loro occhi, efficace di organizzazioni settarie come la “mafia” ("l'onorata società" che almeno in quel periodo talvolta tolse al ricco e diede al povero). La mafia che si sviluppò nella parte occidentale dell’Isola era società segreta in cui regnava

57 l’illegalità e in cui il coraggio individuale suscitava il favore e la stima. Di fronte ad uno Stato estraneo e ostile, si cercava sicurezza e protezione nei clan familiari che divenivano sempre più potenti.

Abbiamo già avuto modo do vedere come le politiche protezioniste adottate per favorire lo sviluppo dell'economia industriale del Settentrione colpirono duramente il Mezzogiorno, causando la massiccia emigrazione che si verificò dopo l'Unità d'Italia.

Questa emigrazione si accentuò agli inizi del '900 a causa della grave crisi agricola, un’imponente massa di contadini meridionali e in particolare siciliani emigrò nel "Nuovo Mondo", soprattutto negli USA.

58

Lasciare la propria patria comportava l'inserimento in una realtà culturale profondamente diversa; significava accettare i lavori più umili, i salari più modesti e il disprezzo di chi considerava lo straniero un concorrente sul mercato del lavoro. A ciò si aggiungeva la mancanza di sostegno da parte dello Stato, per cui ogni emigrante fu spesso costretto ad appoggiarsi, in un mondo estraneo ed ostile, ad organizzazioni di mutuo soccorso fra corregionali che spesso defluivano in associazioni a delinquere. Emigravano prevalentemente gli uomini (donne e bambini, cioè, restavano in Italia) che si dedicavano ai lavori di tipo operaio con un unico intento: il guadagno. Così si spiega l'incredibile flusso di "rimesse", di denaro cioè inviato in patria dagli emigranti, flusso che rappresentò una straordinaria risorsa per l'economia italiana permettendo al paese acquisti di materie prime e pagamenti di debiti internazionali.

Questo fenomeno è vissuto, oggi, con le stesse caratteristiche, dalle popolazioni extracomunitarie che per motivi analoghi fuggono dai loro paesi con la speranza di una vita dignitosa.

E’ in questa maniera che la mafia venne trapiantata negli Stati Uniti dove trovò terreno fertile per un profondo attecchimento assumendo ben presto caratteristiche gigantesche. ("mano nera" o "Cosa Nostra").

59 Il flusso migratorio verso i paesi americani fu interrotto dal Governo italiano in seguito allo scoppio della prima guerra mondiale perché servivano giovani per mandarli al fronte.

Nel corso della storia siciliana mafia e criminalità organizzata si sono mostrate profondamente intrecciate con le vicende del potere isolano (e non solo) in maniera organica e permanente. La persistenza di questo intreccio (mafia e politica) a fini di potere e di arricchimento economico ha rappresentato un fattore di resistenza alla modernizzazione della Sicilia.

Nel primo decennio del Novecento Giovanni Giolitti, lo statista più “longevo” della storia recente dell’Italia, si giovò dell’operato degli “uomini d’onore” (i gentiluomini) per rafforzare il controllo governativo dell’elettorato meridionale, specie nelle campagne.

Nel primo dopoguerra la Sicilia era controllata dalla mafia che, approfittando della confusione e del vuoto di potere seguiti alla guerra, aveva allargato la propria influenza, avendo beneficiato, durante il periodo bellico, dell’affluenza di disertori nelle file dei briganti. La mafia così rappresentò uno Stato nello Stato. Questo stato di cose portò così anche alla negazione che la mafia, come organizzazione delinquenziale, esistesse. Lo stesso Vittorio Emanuele Orlando, in occasione delle elezioni amministrative palermitane del 1925 affermava: “Ora io vi dico che se per mafia si intende il senso dell’onore portato fino all’esagerazione, l’insofferenza contro ogni prepotenza e sopraffazione, portata sino al parossismo, la

60 generosità che fronteggia il forte ma indulge al debole, la fedeltà alle amicizie, più forte di tutto, anche della morte, se per mafia si intendono questi sentimenti e questi atteggiamenti, sia pure con i loro eccessi, allora in tal segno si tratta di contrassegni indivisibili dell’anima siciliana e mafioso mi dichiaro e sono lieto di esserlo!”

Durante il regime fascista la mafia siciliana fu sottoposta a severissime misure repressive. Memorabile fu l’opera svolta dal prefetto Mori che costrinse numerosi mafiosi a trasferirsi negli Stati Uniti. Ma quando Mori tentò di colpire i legami fra mafia e politica (il deputato fascista Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano, fu costretto alle dimissioni), egli stesso diventò un personaggio scomodo per il fascismo e venne rimosso dal suo incarico.

Le cose cambiarono nuovamente in occasione dello “Sbarco in Sicilia” (II° guerra mondiale.) Lo sbarco anglo-americano in Sicilia avvenne non senza aver preventivamente stipulato solidi rapporti tra mafia siciliana e mafia americana. Il superboss mafioso Lucky Luciano e altri grossi esponenti della malavita collaborarono attivamente allo sforzo bellico

61 degli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale. Tale collaborazione si estese, successivamente, per la pianificazione militare dello sbarco in Sicilia, attraverso l’indicazione di contatti sull’isola che avrebbero facilitato l’offensiva nei territori occupati. Alla fine della campagna militare agli Alleati si presentò il problema dell’amministrazione dell’isola. Molti mafiosi riuscirono ad inserirsi nei posti chiave del governo siciliano: Don Calogero Vizzini (sindaco di Villalba), Salvatore Malta (sindaco di Vallelunga); Genco Russo, Damiano Lumia, Max Mugnani (da trafficante di droga si vedrà investito della carica di depositario dei magazzini farmaceutici americani in Sicilia), Vincenzo De Carlo (controllo degli ammassi di grano).

E’ in questo periodo che si registra una folgorante ripresa della mafia. La sua riorganizzazione ebbe un solido sostegno economico nei profitti ottenuti con il mercato nero e con altre illecite attività, sviluppate grazie alla benevolenza del governo militare anglo-americano. La mafia in questo modo riuscì ad uscire dalla clandestinità in cui era stata relegata dal regime fascista, ottenendo una legittimazione del proprio potere rapportato non più sul solo piano locale, ma su quello nazionale e internazionale.

L’agitato periodo post-bellico offrì alla mafia l’opportunità di rinforzarsi e di estendere i suoi interessi fino ad occuparsi dello spaccio di droga e del racket del commercio, nel mercato generale, nell’industria e nell’edilizia.

Negli anni '60 una nuova mafia più spietata e sbrigativa di quella tradizionale cominciò a

62 contendere alla mafia "storica" il controllo del territorio. Le numerose cosche mafiose entrarono in guerra tra loro in un crescendo di violenza, contraddistinta da numerosi delitti "trasversali" (per punire o eliminare intere famiglie). Durante gli anni '80 la mafia ha incrementato ulteriormente il suo potere nonostante l’infaticabile opera degli organi di polizia e della Magistratura. Numerosi investigatori e magistrati hanno pagato con la vita il loro impegno professionale e civile contro la "Mafia". Le analisi moderne del fenomeno della mafia la considerano, prima ancora che un’organizzazione criminale, una "organizzazione di potere"; ciò evidenzia come la sua principale garanzia di esistenza non stia tanto nei proventi delle attività illegali, quanto nelle alleanze e collaborazioni con funzionari dello Stato, in particolare politici, nonché del supporto di certi strati della popolazione. Di conseguenza il termine viene spesso usato per indicare un modo di fare o meglio di organizzare attività illecite. La storia della mafia, dei suoi atroci crimini, dei politici collusi e degli “onorevoli servitori dello stato” che per il bene di noi tutti hanno perso la vita (…, Impastato, …., Falcone, Borsellino, …. ) è una storia lunga, interminabile.

Per una rapida carrellata di 150 anni di mafia (dalle origini ai giorni nostri) vai nelle due sezioni “Flash di mafia”.

63 Flash di mafia nell'Italia unitaria

- Mafia, le sue origini e quelle del nome;

- 150 anni di crimini spesso impuniti che hanno condizionato la vita e lo sviluppo della Sicilia e dei Siciliani.

- 150 anni di collusioni politiche (locali e nazionali) e di omertà dei potenti cui a volte veniva, e viene tuttora, comodo minimizzare o addirittura "negare" l'esistenza stessa della mafia;

- 150 anni di lunghi silenzi della Chiesa ufficiale (negli anni passati solo il Cardinale Pappalardo prenderà una netta posizione contro!);

- Le parole di disperazione e speranza di Rosaria (vedova dell'autista di Falcone Vito Schifani), ai funerali di Giovanni Falcone e della sua scorta;

- I proclami di chi oggi è al potere e che ci libererà dalla Mafia in 4 anni (ma che si oppone alla riapertura dei processi che potrebbero portare ai veri mandanti delle stragi del '92) ed alle affermazioni che "La mafia è più famosa che potente" (!?! );

64 - 150 anni di vittime di mafia che hanno cadenzato il calendario siciliano (forze dell'ordine, magistrati, sindacalisti, parroci, imprenditori, politici, giornalisti, personaggi illustri e sconosciuti testimoni di mafia, adulti, donne e bambini.)

A ricordo di tutte queste vittime della mafia valgano due frasi del giudice Giovanni Falcone:

"La mafia è un fenomeno umano e quindi ha un principio, una evoluzione ed avrà una fine”.

"Si muore generalmente perché si è soli o perché si è entrati in un gioco troppo grande”.

65 Mafia : le Origini

Il termine mafia ha origini incerte. Ci sono studiosi che lo fanno risalire ad una parola araba mahyas (spavalderia, vanto aggressivo) o marfud (reietto), ma tale origine è messa in discussione dal

66 fatto che non è attestato l'uso del vocabolo in questione prima della seconda metà del XIX secolo [Altri studiosi lo legano alla rivolta dei Vespri Siciliani del 1282 che cacciò gli Angioini (francesi) dalla Sicilia. Una leggenda dice che la sigla del motto degli insorti "Morte Alla Francia Italia Anela" sia diventata MAFIA].

E' nella Palermo del 1658 che ci si imbatte in Caterina la Licatisa, "nomata ancor Maffia". Una fattucchiera, il cui nome compare in un elenco ufficiale di eretici riconciliati dall'Atto di Fede dell'Inquisizione Siciliana. Per la prima volta, dunque, il termine "mafia" esce allo scoperto, in forma di soprannome, a indicare la spavalderia, l'infedeltà di una strega. E, tuttavia, occorrerà attendere ancora un paio di secoli per ritrovarlo sulle pagine di un dizionario.

Goethe, grande conoscitore della Sicilia, nel 1787, così ebbe ad affermare: " … senza vedere la Sicilia non ci si può fare un'idea dell'Italia, è in Sicilia che si trova la chiave di tutto"; non si può non riconoscere che la Trinacria è l’isola del sole, purtroppo però ha parecchie ombre (mafia, mafiosità, disoccupazione, senso dell'onore perduto, …)

Il concetto di "mafioso" venne portato anche in teatro nella commedia "I mafiosi della Vicaria" del 1860. Se l'origine del vocabolo è incerto, non ci sono incertezze circa l'effettiva comparsa del fenomeno in Sicilia. il viceré don Pedro da Toledo riferiva, in una relazione del 1536, che molti banditi erano stati assoldati dai nobili del luogo (Sicilia) che li utilizzavano come piccolo esercito personale. Ed è

67 proprio allora che si origina il problema della mafia che sarà destinato a condizionare per secoli l'economia siciliana. Ferdinando IV nel 1812, pressato dagli inglesi, concesse la costituzione ai siciliani, abolendo i privilegi feudali. A tale riforma si collega l'origine della mafia, braccio armato dei baroni che la utilizzavano come un potere, intimidatorio e violento, parallelo a quello dello stato e mal gestito dal potere centrale borbonico. in un rapporto inviato al Ministero di Giustizia di Napoli nel 1838 dal procuratore generale di Trapani Pietro Ulloa, emerse per la prima volta ufficialmente in un atto giudiziario la parola "mafia". Le "mansioni " della mafia vengono definite come . . . l'intermediazione tra ladri e derubati, tra braccianti e proprietari, la composizione delle liti (sostitutiva della Legge), la protezione degli affiliati, la corruzione dei funzionari dello Stato.

Ecco adesso una carrellata di fatti di mafia che hanno segnato la vita di Sicilia dall'unità d'Italia fino ad oggi.

68 Dall'unità allo scandalo della Banca Romana

Nel 1860, quando la Sicilia divenne parte del costituendo Stato italiano, la Mafia assunse, di fatto, il controllo dell'isola. Dopo tale data non ci fu paese della Sicilia occidentale che ne restò immune. I mafiosi divennero migliaia… Il 21 ottobre 1860 si svolse la votazione per l'annessione della Sicilia al Piemonte. Con la collaborazione della mafia, venne creato un clima intimidatorio. [Su una popolazione di 2.400. 000 abitanti, votarono soltanto 432.720 cittadini (il 18%). Dei votanti, 432.053 votarono "Sì" e 667 "No"]

Nel primo studio sulla mafia ("Pubblica sicurezza in Sicilia nel 1864" pubblicato dal nobile siciliano Nicolò Turrisi Colonna) è possibile riscontrare molti elementi comuni al modus operandi delle attuali organizzazioni criminali di tipo mafioso: racket della protezione, assassinio, dominio del territorio, competizione e collaborazione tra bande nonché il riferimento al "codice d'onore ".

Nel 1871, il magistrato Diego Tajani denunciò coraggiosamente le collusioni dello Stato con la mafia. Soprusi, torture ed ingiustizie venivano commessi dalla mafia in connivenza con le autorità governative. Tajani ordinò l'arresto del questore di Palermo Giuseppe Albanese e aprì un'inchiesta sul prefetto garibaldino Giacomo Medici.

69 In Sicilia l'acqua è da sempre cosa di mafia. Felice Marchese, fontaniere, venne ucciso nell'ottobre del 1874 nella guerra tra " Giardinieri" e "Stoppaglieri": la prima guerra di mafia documentata. Da allora i pozzi, come tutte le ricchezze, sono in mano ai capifamiglia. [Centotrenta 'anni dopo, nonostante sull'isola piovano 7 miliardi di metri cubi di acqua, il triplo del necessario, il 36,6% del territorio siciliano rischia la desertificazione.]

Intorno al 1875, il concetto di mafia comparve anche nelle lingue tedesca, francese e inglese, …. Nel 1875 si promosse la prima inchiesta parlamentare sulla mafia in Sicilia. Ma i risultati furono quasi nulli perché tutti gli interrogati negavano l'esistenza di quella organizzazione criminale.. il Marchese di Roccaforte il primo dicembre del 1875, quando depose davanti la Commissione Parlamentare d'Inchiesta in Sicilia sulla Mafia, disse "Questo insulto continuo per cui un individuo si deve vergognare di essere Siciliano: diventa una disgrazia l'essere Siciliano".

La mafia si consolida come struttura del crimine organizzato subito dopo il 1876, con l'avvento della Sinistra al potere. Già due anni prima le votazioni regionali nell'isola videro una schiacciante vittoria dei deputati di sinistra, e il contributo di noti esponenti legati ai clan mafiosi fu determinante.

Nel 1883 (Petrosino) si arruolò nella polizia di New York. A lui solo viene attribuita la grande intuizione di aver capito che la mafia, in New York, aveva le sue radici in Sicilia, tant'è vero che

70 intraprese un viaggio in Italia, diretto appunto in Sicilia, per infliggerle il colpo mortale.

Per Giuseppe Pitrè (1889), studioso siciliano delle tradizioni popolari, la mafia è "la coscienza del proprio essere, l'esagerato concetto della forza individuale, unica e sola arbitra di ogni contrasto…il mafioso vuole essere rispettato …”. (riporto queste affermazioni per correttezza di informazione, anche se personalmente non condivise.) Nel 1891, con l'enciclica Rerum Novarum di Leone XIII, la Chiesa aveva tracciato le linee della sua dottrina sociale, ma in essa non vi è traccia di un suo impegno sul fronte della lotta alla criminalità mafiosa

Nel 1892, fallirono i due principali istituti di credito italiani. Uno dei due, la Banca Romana, aveva falsificato banconote per milioni di lire. Quel denaro veniva convogliato verso i più importanti uomini politici del Paese, che lo utilizzavano per finanziare le loro campagne elettorali. Lo scandalo assunse proporzioni inquietanti e diversi presidenti del consiglio non erano intervenuti perché corrotti. Fra i beneficiari dei prestiti vi erano 22 parlamentari, fra cui Francesco Crispi. Il processo del 1894 si concluse con l'assoluzione degli imputati l'istituzione della Banca d'Italia . . . (Tangentopoli cent'anni prima!)

71 Collusione fra mafia e politica agli inizi del '900

Palermo, 1 febbraio 1893: Emanuele Notarbartolo, ex sindaco ed ex direttore del Banco di Sicilia, nel corso di un viaggio in treno, viene ucciso con 27 coltellate dai mafiosi Matteo Filippello e Giuseppe Fontana, su mandato, pare, del deputato colluso Raffaele Palizzolo. Tutti conoscono il mandante e il movente; eppure la macchina della giustizia si inceppa in un meccanismo di omertà e corruzione. Tale omicidio venne considerato il primo delitto di mafia e mise in evidenza la collusione tra mafia e politica. "Per combattere e distruggere la mafia in Sicilia, è necessario che il governo italiano cessi di essere il capo della mafia." (Onorevole di Enna, famoso per essere stato il primo a denunciare in parlamento lo scandalo della Banca Romana nel 1893).

Nel 1893, i sono stati il primo esempio di movimento con un programma di lotta per migliorare le condizioni di vita in Sicilia e per rinnovare le amministrazioni locali, in una cornice di forte impegno contro la mafia. Ma i possidenti chiesero al governo un intervento militare diretto e Crispi, presidente del consiglio, il 3 gennaio 1894 decretò lo stato d'assedio, sciogliendo le

72 organizzazioni dei lavoratori, arrestandone i capi e restaurando l'ordine con le armi. Nel discorso tenuto alla Camera il 4 luglio del 1896, Colajanni analizzò le cause della questione siciliana riproponendo la sua analisi. Tra le cause politiche ed amministrative Colajanni ricordava, tra l'altro, che la mafia legata alla grande proprietà ... Già nel 1900 don Luigi Sturzo scriveva che "la mafia ha i piedi in Sicilia ma la testa forse è a Roma”.

Ermanno Sangiorgi, nominato questore di Palermo nel 1898, in un suo rapporto testimonia che all'epoca i governanti dell'Italia sapevano con precisione cos'era la mafia e sottovalutando (o addirittura ignorando) il problema la aiutavano a sopravvivere. Il rapporto (1898-1900) contiene il primo quadro completo della mafia ed è il primo documento ufficiale che definisce la mafia come un'organizzazione criminale fondata su un giuramento, la cui attività principale è il racket della protezione. Sangiorgi capì che gli omicidi di mafia implicavano leggi, decisioni collegiali, e un sistema di controllo territoriale, e scoprì che le due dinastie (i Florio e i Whitaker) vivevano fianco a fianco con la mafia, da cui ricevevano protezione ma da cui erano al contempo minacciate. Scoprì inoltre che i cadaveri dei mafiosi occultati nel Fondo Laganà appartenevano a dei "picciotti" che la mafia aveva inserito presso la famiglia Florio come cocchieri (e non stallieri. Cambia la forma ma non la sostanza!)

73 Alla famiglia Florio il suo potente status le permetteva di rifiutare gli inviti di comparire davanti a Sangiorgi (anche il rifiuto a comparire davanti all'autorità giudiziaria non è una novità!) Per gli amanti delle corse automobilistiche stiamo parlando della famiglia cui si deve l’istituzione della famosa “Targa Florio”

Nel 1899 la camera dei deputati autorizzò il processo contro Raffaele Palizzolo come mandante dell'assassinio Notarbartolo. Il processo cominciò nel maggio 1901. Intanto il Sangiorgi aveva perso il suo appoggio politico a Roma e molti imputati furono rilasciati il giorno dopo. Sangiorgi commentò laconicamente la sentenza: "Non poteva essere diversamente, se quelli che li denunziavano la sera andavano a difenderli la mattina." Il 30 luglio 1902 Palizzolo fu condannato a trenta anni di reclusione. Ciò portò all'esplosione di vive reazioni di protesta da parte dei siciliani, compresi autorevoli intellettuali quali Pitrè e De Roberto. Tali proteste, unite all'interessamento da parte di Cosa Nostra della vicenda Palizzolo, portarono la sentenza in Cassazione dove venne definitivamente annullata (23 luglio 1904). Palizzolo ritorna a Palermo acclamato dal popolo siciliano che preferì lasciare un delitto insoluto piuttosto che vedersi attribuito l'appellativo di "mafioso". (sembra un’anticipazione di quanto avverrà negli anni 1985- 90 quando il Presidente della prima sezione penale della Suprema Corte di Cassazione assume, di fatto, il monopolio del giudizio di legittimità sulle sentenze di mafia cancellando circa cinquecento

74 sentenze di mafia, guadagnandogli il soprannome l'ammazza-sentenze. Invalida, tra l'altro gli ergastoli per i fratelli Michele e Salvatore Greco, ritenuti i mandanti dell'assassinio del magistrato Rocco Chinnici. . . e non ritiene attendibili le parole del "pentito dei due mondi" Tommaso Buscetta, che aveva disegnato l'organizzazione mafiosa come una piramide al cui vertice stava una cupola formata dai superboss.)

don , dopo il suo ritorno dagli Stati Uniti, era rapidamente cresciuto negli affari criminali e con i modi del gentiluomo di rango, nel 1909, era ormai diventato il capo riconosciuto della mafia siciliana, eleggeva plebiscitariamente persino un deputato al parlamento nel collegio di Bivona: l'on Domenico De Michele Ferrantelli.

Nel 1909, nella piazza Marina di Palermo, la mafia uccide Joe Petrosino, tenente della polizia di New York, venuto in Sicilia per trovare le radici di quella mafia che sta per dilagare a New York. Del delitto viene accusato don Vito Cascio Ferro, il quale però se la cava perché il deputato Domenico De Michele Ferrantelli gli offre un alibi di ferro.

In un pubblico comizio, tenuto a Corleone il 31 ottobre 1910, il massimo dirigente del partito

75 socialista rivolge queste parole al sindaco Vinci e ai suoi assessori: "Voi siete riusciti a rendere Corleone il più disgraziato dei comuni della Sicilia, lasciandogli solo il triste vanto di essere la sede della Cassazione della mafia siciliana". Bernardino Verro sindaco socialista di Corleone e per vent'anni leader del movimento contadino in tutta la vasta zona del Corleonese ed uno dei dirigenti socialisti più influenti della Sicilia, fu ucciso dalla mafia nel 1915.

76 La mafia ed il fascismo

Cesare Mori, nella sua prima missione in Sicilia, si distinse per i suoi metodi energici e radicali. Quando i giornali parlarono di "Colpo mortale alla mafia", Mori dichiarò ad un suo collaboratore: " Il vero colpo mortale alla mafia lo daremo quando ci sarà consentito di rastrellare non soltanto tra i fichi d'india, ma negli ambulacri delle prefetture, delle questure, dei grandi palazzi padronali e, perché no, di qualche ministero".

Don Giorgio Gennaro, ucciso nel 1916 nella borgata palermitana di Ciaculli, regno della dinastia mafiosa dei Greco, aveva denunciato il loro ruolo nell'amministrazione delle rendite ecclesiastiche.

Nel 1922 si gettavano a Milano le basi della marcia su Roma. Il capo mafia Don Calogero Vizzini era molto scettico sul risultato di tale marcia, tuttavia, allo scopo di garantire alla mafia una posizione di riguardo nell'eventualità di un successo fascista, volle avere un colloquio privato con Mussolini per discutere del " futuro benessere dell'isola". I due s'incontrarono a Milano e alla fine di quel colloquio don Calogero ottenne dal capo del fascismo di finanziare la colonna che partendo dalla Sicilia e dalla Calabria, avrebbe marciato su Roma

Vittorio Emanuele Orlando, uomo politico siciliano liberale, presidente del Consiglio del Regno d'Italia, che nel 1924, durante la campagna

77 elettorale che lo vedeva schierato al fianco dei fascisti, gridò in piazza, durante un comizio: "Se essere mafioso significa essere un uomo d'onore e di rispetto, allora io sono mafioso".

Il Duce nel 1925 invia Mori a Palermo. Il funzionario si merita l'appellativo di "prefetto di Ferro". La lotta del fascismo alla mafia è di tipo prevalentemente militare, senza alcun intervento di carattere sociale. Anzi: i latifondisti si riappropriano del potere che avevano perduto. Con l'avvento del fascismo e l'andata in Sicilia del prefetto Mori, la mafia si occulta, si immerge. "Calati Junco Ca passa la china", piegati giunchi che passa la piena, dice il motto mafioso. Data fondamentale della carriera di prefetto fu per Mori il 22 ottobre del 1925 quando fu nominato da Benito Mussolini prefetto di Palermo con poteri straordinari in tutta la Sicilia con l'incarico di porre fine definitivamente alla mafia. (Attinenza con i recenti poteri straordinari di Bertolaso?)

Mussolini, uscito trionfante dalle elezioni amministrative del 6 aprile del 1925, in Sicilia doveva la sua affermazione all'influenza della mafia che aveva appoggiato il neodeputato Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano e membro del direttorio nazionale del partito.

Il 1926 è, per Cesare Mori, l'anno più esaltante della sua vita. I giornalisti, gareggiano fra loro nel

78 tessere le lodi dell'uomo che ha sbaragliato la mafia in Sicilia. "Nessun governo, dall'Unità d'Italia, era mai riuscito a compiere ciò che Mussolini ha realizzato in pochi mesi." Ai palermitani riuniti al Teatro Massimo dichiara: "L’offensiva che ho sferrato sarà portata inesorabilmente fino alle sue estreme conseguenze" (ma, anche ieri come oggi, non aveva fatto i conti con i politici!)

Lo spettacolare colpo di apertura di questa guerra è l'assedio di Gangi, la notte del 1° gennaio 1926, quando polizia e carabinieri avevano proceduto a stringere la cittadina in una morsa, arrestando tutti coloro che erano sospettati di collaborare con i banditi. Nel 1927 Alfredo Cucco viene espulso dal PNF "per indegnità morale" e sottoposto a processo con l'accusa di aver ricevuto denaro e favori dalla mafia.

Ben presto Mori arrivò a colpire i referenti politici dei mafiosi, ormai infiltratisi all’interno dell’organizzazione politica fascista. Le conseguenze per il fascismo isolano non tardarono e furono devastanti.

Il 27 gennaio 1927, sui muri di Palermo apparve un manifesto recitante "La Direzione del Partito Nazionale Fascista dispone: 1. il Fascio di Palermo è sciolto.... 2. … “

79 Dopo la grande retata di "pesci piccoli" realizzata da Cesare Mori, Mussolini stesso nel 1929 lo rimosse dal suo incarico richiamandolo a Roma (verrà nominato senatore) perché il prefetto aveva iniziato a indagare sulle complicità tra mafiosi e locali politici fascisti (per Bertolaso si è ventilata la nomina a Ministro!) Dopo il suo congedo, vi fu ben presto una recrudescenza del fenomeno mafioso in Sicilia. Come scrisse nel 1931 un avvocato siciliano in una lettera indirizzata a Mori: "Ora in Sicilia si ammazza e si ruba allegramente come prima. Quasi tutti i capi mafia sono tornati a casa per condono dal confino e dalle galere..." ..venivano assolti Cucco e tutti gli altri membri del direttorio fascista rinviati a giudizio. La sentenza veniva festeggiata con una grandiosa manifestazione di piazza al grido di "Viva la giustizia fascista".

Il 31 gen 1933 nasce a Corleone Bernardo Provenzano noto come "Binnu 'u tratturi" (bernardo il trattore, per la violenza con cui stroncava le vite umane) ... tra i picciotti più fidati di Stefano Bontade. Ma questa è ormai storia contemporanea!

80 La mafia e lo sbarco degli alleati in Sicilia

Abrogati nel 1942 i "Decreti Moro" parecchi mafiosi ritornarono in Sicilia, avviarono contatti con gli "Alleati" che incominciarono ad arruolare uomini d’origine siciliana. Per mezzo dei pescherecci, i mafiosi esercitarono lo spionaggio nel Mediterraneo; poi fornirono notizie sulle infrastrutture dell'isola, la dislocazione e la consistenza delle truppe dell'Asse in Sicilia.

Nel febbraio 1943 inizia ad Algeri la preparazione dello sbarco in Sicilia con la collaborazione di elementi di spicco della mafia italo- americana fra cui Lucky Luciano appositamente liberato dal carcere in America e portato in Italia. Agenti speciali reclutati fra gli italo-americani vicini alla mafia vengono infiltrati in Sicilia. Avanzando nell'isola, il Comando militare Usa

81 nominò sindaci e amministratori locali i capi mafia stile dei mafiosi nei gangli del potere isolano. Il 13 luglio del 1943, tre giorni dopo lo sbarco anglo-americano in Sicilia, un aereo USAF mentre sorvolava Villalba, lanciò un foulard con una “L” cucita e con dentro un messaggio di Lucky Luciano diretto al boss siciliano don Calò Vizzini, con la precisa richiesta di "cosa nostra" in America alla mafia siciliana di permettere e garantire una tranquilla avanzata ai soldati statunitensi della VII Armata del generale Patton diretti a Palermo.

Perfino lo sbarco degli Alleati in Sicilia del 14 luglio 1943 venne realizzato col preliminare appoggio delle leve mafiose trapiantate in America. Queste, avvicinate dall'OSS (Office of Strategic Services, antenato della CIA), stabilirono contatti con i lontani compaesani Calogero Vizzini e Giuseppe Genco Russo, in modo che Charles Poletti, il capo delle truppe americane d'occupazione in Italia, potesse contare al proprio arrivo su appoggi sicuri e supporto logistico. Interprete di fiducia del colonnello americano Poletti fu Vito Genovesi che ben presto diventerà “capo dei capi” di Cosa Nostra.

La mafia non era affatto morta! Il 20 luglio del 1943 i carri armati americani furono accolti a Villalba dai ragazzini e da una colonna di paesani, che andava come in processione, guidata da don Calò. (Calogero Vizzini). Per investitura ufficiale degli americani Vizzini è stato il primo sindaco di Villalba dopo la liberazione. Prima dell'armistizio dell'8 settembre 1943 in Italia operavano già due organizzazioni di intelligence, una tedesca e l'altra americana. Ma in

82 Sicilia la più diffusa ed efficiente realtà spionistica era la mafia.

Dopo il 1943, la mafia siciliana ha goduto di una ripresa straordinaria, grazie, soprattutto, alle facilitazioni concesse dagli Alleati, per ricompensarla del fondamentale aiuto dato loro ai tempi dello sbarco. La Repubblica Italiana non nasce al Nord con la Resistenza, ma in Sicilia, nel 1944, con lo sbarco alleato, in cui la mafia, per tanti versi, fu protagonista di primo piano.

Il 16 settembre 1944, a Villalba, Calogero Vizzini guida personalmente il gruppo di mafiosi che durante un comizio sparano a Girolamo Li Causi, leader comunista che invitava i contadini a occupare le terre incolte. Interessante in proposito una lettera del console americano a Palermo, Alfred T. Nester, del 27 novembre 1944. In essa si legge: " Durante gli incontri segreti tra il generale Castellano ed i capi della mafia, il cav. Calogero Vizzini aveva con sé, come consigliere, il dr. Calogero Volpe, medico. Vizzini è il padrone della mafia in Sicilia".

Giuseppe Genco Russo, spedito al confino ai tempi del prefetto Mori, nel ’46 venne insignito dell'onorificenza di Cavaliere della Corona d'Italia e successivamente fu candidato nelle liste della DC a Mussomeli.

Calogero Vizzini fu il primo importante sostenitore mafioso della DC. Alla fine della guerra molti boss mafiosi incarcerati, od al confino, furono rimessi in libertà, anche con il suo interessamento. Don Calò diede quindi un contributo importantissimo alla rinascita della nuova mafia.

83

Arrigo Petacco, scrittore, giornalista e storico italiano, scrive: «[La mafia] si risvegliò infatti soltanto nel 1943 in coincidenza con l'arrivo degli americani. Don Calogero Vizzini, capo supremo della nuova mafia, fu visto percorrere l'isola a bordo di una carro armato americano: indicava agli alleati gli uomini giusti da mettere alla guida dei comuni e delle province.” Gli americani apprezzarono molto Calogero Vizzini non solo per il potere politico che andava assumendo, ma anche per la sua vena contemporaneamente antifascista e anticomunista.

84 Il primo dopoguerra e Salvatore Giuliano

Nel 1946, nel giro di poche settimane, in Sicilia la mafia uccise 39 sindacalisti. Soltanto ad anni distanza i loro nomi sono stati riconosciuti nell'elenco dello Stato dei morti di mafia. I mandanti di quegli omicidi non sono stati perseguiti nemmeno quando sono stati individuati!

La strage di Portella della Ginestra del 1° maggio 1947 (11 morti e 56 feriti tra braccianti, donne e bambini che celebravano la festa del lavoro) maturata negli ambienti agrari e mafiosi della Sicilia ed eseguita dalla banda di Salvatore Giuliano, aprì squarci inquietanti, rivelando intrecci perversi con settori inquinati. I mandanti sono da ricercare fra alti esponenti politici, grandi latifondisti e mafiosi. Del resto allo stesso modo avevano tramato in Italia allorché puntando tutto, anche con l'aiuto della mafia, sul separatismo siciliano, si erano preparati a proclamare una Sicilia "indipendente'' nella eventualità della vittoria elettorale del PCI nel '48.

85

Epifanio Li Puma, socialista e dirigente sindacale, assassinato dalla mafia nel 1948.

Nel 1948, con le lotte tra i braccianti che si battono per l'assegnazione delle terre dei latifondi incolti, e i rappresentanti del potere mafioso che curano gli interessi dei più importanti possidenti della zona, fra i quali cominciano a muovere i primi passi criminali Luciano Liggio ed i giovanissimi Totò Riina e Bernardo Provenzano. E’ l’inizio dell'ascesa di questa nuova generazione di mafiosi. Il 10 marzo 1948, dopo essere stato rapito dalla Mafia siciliana, fu ucciso il sindacalista Placido Rizzotto. impegnato a favore del movimento contadino per la rivendicazione dei terreni coltivati. Quattro giorni dopo, a causa di un’iniezione fattagli dal Dr. Navarra, morì Giuseppe Letizia, un giovane pastore di soli tredici anni, unico testimone oculare del rapimento e dell'omicidio di Placido Rizzotto.

Il 14 luglio 1950 viene ucciso (il bandito) Salvatore Giuliano – Fu una figura molto controversa: di umili origini, la sua latitanza inizia nel 1943 quando uccise un giovane carabiniere che lo aveva fermato mentre trasporta due sacchi di frumento destinati alla borsa nera.

86 Giuliano si dà alla macchia costituendo una banda intorno alle montagne di Montelepre (PA). Nel 1945 ce lo ritroviamo come Colonnello dell'EVIS (Esercito Volontario per l’Indipendenza Siciliana). Anche la sua fine è densa di ombre ed esistono almeno cinque differenti versioni sulla sua morte (coperta dal segreto di stato). "Perché avete fatto uccidere Giuliano? Perché avete turato questa bocca? La risposta è unica: l'avete turata perché Giuliano avrebbe potuto ripetere le ragioni per le quali Scelba lo ha fatto uccidere. Ora aspettiamo che le raccontino gli uomini politici, e verrà il tempo che le racconteranno.” (Girolamo Li Causi. Intervento alla Camera dei deputati nella seduta del 26 ottobre 1951)

Cosimo Cristina (Termini Imerese, 11 agosto 1935 – 5 maggio 1960) è stato un giornalista italiano assassinato dalla mafia. Salvatore Carnevale, sindacalista Bracciante e sindacalista socialista di Sciara (PA) a 31 anni venne assassinato il 16 maggio 1955 all'alba mentre si recava a lavorare in una cava di pietra. Carnevale aveva dato molto fastidio ai proprietari terrieri per difendere i diritti dei braccianti agricoli

87 La mafia delle stragi: da Ciaculli a Capaci

Salvatore La Barbera ha preso parte prima Commissione della mafia siciliana (la Cupola mafiosa), istituita nel 1958, come Capo - mandamento di mafia delle famiglie di Borgo Vecchio, Porta Nuova e Palermo Centro. Salvatore La Barbera è anche colui che ha introdotto tramite raccomandazione di Vito Ciancimino (il sindaco del "sacco di Palermo") la famiglia dei Corleonesi. Dopo la chiusura del porto franco di Tangeri, nel 1960, la mafia siciliana aveva sottratto ai marsigliesi il predominio internazionale del contrabbando dei tabacchi lavorati.

Si ricordi inoltre che nel 1961 la Commissione affari costituzionali del Senato, nella relazione di maggioranza, sostenne che la creazione di una commissione parlamentare di inchiesta sarebbe stata incostituzionale, antigiuridica e inutile, tesi supportata soprattutto da parte di alcuni politici siciliani, i quali sostenevano che la mafia non esisteva!

La Commissione parlamentare d'inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia fu istituita per la prima volta dalla legge 20 dicembre 1962. Entra in Parlamento Pio La Torre, nella Commissione d'inchiesta che si occupa del fenomeno mafioso in Sicilia, istituita nel 1962 durante la prima guerra di mafia.

88

Mattei: l'uomo che guardava al futuro. il fondatore dell'Eni, morì a Bascapè, vicino a Pavia in un incidente aereo nel 1962 . . provocato forse dalla mafia siciliana armata non si sa da chi, .. Un'altra tesi sosteneva che il servizio segreto CIA aveva sabotato l'aereo con l'aiuto della mafia siciliana per togliere di mezzo il fastidioso concorrente delle multinazionali petrolifere.

Il 30 giugno 1963, nel corso della prima guerra di cosa nostra. Una Giulietta Alfa Romeo imbottita di tritolo e parcheggiata nei pressi dell'abitazione di un parente del boss mafioso Salvatore Greco, esplose provocando la morte di sette servitori dello Stato, tra Carabinieri, Poliziotti e Artificieri. (strage di Ciaculli) [tenente dei carabinieri Mario Malausa, marescialli Silvio Corrao e Calogero Vaccaro, appuntati Eugenio Altomare e Mario Farbelli, maresciallo dell'esercito Pasquale Nuccio, soldato Giorgio Ciacci]

L’arcivescovo di Palermo Card. Ruffini affrontò pubblicamente il problema della mafia e la Domenica delle Palme del 1964, pubblica una

89 lettera pastorale dal titolo "Il vero volto della Sicilia" nel quale sembra minimizzare il fenomeno della mafia affermando, fra l’altro, che ".. tante voci dell'opinione pubblica mettono a carico della gente siciliana, mostrando così come sia grande torto generalizzare a suo discredito elementi veramente deplorevoli ma episodici e punto espressivi dell'intero volto dell'isola." Le reazioni a questa lettera furono molte e contrastanti fra loro arrivando perfino ad attribuire a Ruffini di aver negato l'esistenza della mafia, e che questa sarebbe stata un'invenzione dei comunisti e dei nemici della Sicilia (?)

"Se le donne dei morti ammazzati si decidessero a parlare così come faccio io, non per odio o per vendetta ma per sete di giustizia, la mafia in Sicilia non esisterebbe più da un pezzo" così diceva nel 1964 Serafina Battaglia, convivente e madre di mafiosi, in un'intervista rilasciata al giornalista Mauro De Mauro. Figlio di uno dei leader della mafia siciliana, Francesco Paolo Bontate detto "don Paolino Bontà", frequentò il liceo Gonzaga dei Gesuiti (uno dei più esclusivi di Palermo) e successivamente divenne capo della "famiglia" di Santa Maria di Gesù nel 1964, all'età di 25 anni. Nato a Palermo il 18 agosto 1940, giovane emergente della famiglia mafiosa di Porta Nuova (quella di Pippo Calò e Tommaso Buscetta), fin dai

90 primi anni '70 Mangano fa la spola fra la Sicilia e Milano. Ma una cosa è certa: per alcuni anni un boss di prima grandezza della mafia siciliana, Vittorio Mangano, ha soggiornato nella villa di Silvio Berlusconi con moglie e due figlioletti, ufficialmente per svolgervi le mansioni di "fattore" o di "stalliere". Grazie alla raccomandazione di un conterraneo e amico di vecchia data: Marcello Dell'Utri che non ha esitato a dichiarare. ''Vittorio Mangano e' stato il mio eroe''

16 settembre 1970 - Mauro De Mauro, giornalista dell'Ora, viene ucciso dalla mafia in Sicilia (il suo corpo non è mai stato ritrovato) dopo l'incarico di consulente, da parte della produzione del film "Il caso Mattei" di Francesco Rosi, per ricostruire le ultime ore di vita di Enrico Mattei. 5 maggio 1971 - L'assassinio del procuratore della repubblica di Palermo, Pietro Scaglione, 65 anni, si può considerare il primo omicidio eccellente compiuto in Sicilia dopo quello di Emanuele Notabartolo del 1893 (insieme al suo autista Antonio Lo Russo.)

È a Pio La Torre che si deve il sussulto di attenzione che questo Parlamento ha cominciato ad avere verso le mafie: fu lui che, appena eletto in Parlamento nel maggio 1972, entrando a far parte della Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno della mafia in Sicilia, insieme al giudice Cesare Terranova, scrivendo e firmando la relazione di minoranza, mise in luce per primo i legami tra la mafia, importanti uomini politici e ambienti imprenditoriali. 27 ottobre 1972 - viene ucciso Giovanni Spampinato, giornalista de "L'Ora" e "L'Unità”.

91 Il 29 marzo 1973 si recò spontaneamente in Questura per autoaccusarsi (commissario era Bruno Contrada) di gravi delitti, tra cui alcuni omicidi e quelli compiuti da Cosa Nostra. Leonardo Vitale Fu il primo pentito di mafia.

20 agosto 1977 - Giuseppe Russo - Tenente colonnello dei carabinieri, era tra gli uomini di fiducia di Carlo Alberto Dalla Chiesa ed era il comandante del Nucleo Investigativo di Palermo quando fu assassinato dalla mafia mentre si occupava del caso Mattei.

Peppino Impastato, siciliano e figlio di mafiosi, eroe dei nostri giorni, fondatore di Radio AUT, denunciò sempre il malaffare e la tremenda speculazione edilizia operata dalla mafia in Sicilia e per questo il 9 Maggio del 1978 fu assassinato in maniera atroce pochi giorni prima delle elezioni amministrative di Cinisi alle quali si era candidato. Pochi giorni dopo, gli elettori di Cinisi, dove si era candidato, votarono il suo nome, riuscendo ad eleggerlo, simbolicamente, al Consiglio. Lo uccisero nella notte fra l' 8 e il 9 maggio 1978. Lo fecero saltare in aria sui binari della ferrovia, per insinuare l’idea che fosse rimasto vittima di una bomba mentre preparava un attentato: una messa in scena assurda, che non poteva reggere. Ma il giorno in cui vennero ritrovati i resti di Peppino

92 Impastato era anche il giorno dell’assassinio di Aldo Moro da parte delle Brigate Rosse.

Il boss Di Cristina fu assassinato il 30 maggio 1978 a Palermo, da un commando di killer. Nelle sue tasche, Boris Giuliano, troverà alcuni assegni legati al traffico di droga tra Sicilia e America ed al bancarottiere Michele Sindona. La sua morte fu il preludio della Seconda Guerra di Mafia che culminò con l'omicidio di Stefano Bontade.

Cinque colpi di pistola alla nuca. Così moriva, il 27 gennaio 1979, il quinto giornalista ucciso dalla mafia in Sicilia, Mario Francese. I boss mafiosi (Riina, Madonia, Geraci, Farinella, Greco, Bagarella e Calò) che lo fecero assassinare sono stati condannati, dopo più di vent'anni! Prendiamo, ad esempio, la vicenda di Michele Sindona, bancarottiere legato alla mafia siciliana, condannato come mandante dell'omicidio di Giorgio Ambrosoli, il commissario liquidatore della sua banca, ucciso a Milano l'11 luglio 1979. Secondo la sentenza di primo grado, Andreotti destinò a Sindona "un continuativo interessamento, proprio in un periodo in cui egli ricopriva importantissime cariche governative".

Nel 1979, Boris Giuliano aveva dunque esperito indagini sulla mafia, sul traffico mafioso degli stupefacenti, sui rapporti fra mafia e politica, sul caso Mattei, sul caso De Mauro, su Sindona ed il suo falso rapimento, e forse ancora su altre vicende che a queste dovevano collegarsi. Il 21 luglio, mentre prendeva il caffè al bar, Leoluca Bagarella gli sparò sette colpi di pistola alle spalle.

93 25 settembre 1979 - A Palermo viene assassinato Cesare Terranova con la sua guardia del corpo Lenin Mancuso.

“Piersanti Mattarella e Pippo Fava hanno il merito di avere lottato per una Sicilia che rifiuta la mafia e con essa l'illegalità, il malcostume, la corruzione e l'abuso del potere". Lo dice Rita Borsellino, parlamentare europeo, ricordando l'ex presidente della Regione, ucciso dalla mafia il 6 gennaio del 1980. Il capitano dei carabinieri Emanuele Basile, ucciso dalla mafia il 4 maggio del 1980. Gaetano Costa Procuratore Capo di Palermo all'inizio degli anni ottanta. Fu assassinato dalla mafia il 6 agosto 1980.

Anni '80 - La Sicilia diventa terra d'impegno e di lotta e lo Stato paga un tributo altissimo, non solo in politici che Pertini conosce come Pio La Torre, ma in uomini delle forze dell'ordine, Lenin Mancuso, Boris Giuliano, Ninni Cassarà, il generale Carlo Alberto dalla Chiesa, il magistrato Terranova.

Nel 1981, dopo un'ondata di delitti mafiosi in tutta la Sicilia, il cardinale Pappalardo celebrò nel duomo di Palermo una funzione, subito definita la "Messa antimafia", in cui si rivolse direttamente ai mafiosi dicendo: "Il profitto che deriva dall'omicidio è maledetto da Dio e dagli uomini. E quand'anche riusciste a sfuggire alla giustizia degli uomini, non riuscirete mai a sfuggire a quella di Dio”.

Il 30 aprile 1982 con l'uccisione in Sicilia di uno dei maggiori rappresentanti dell’opposizione: il deputato del PCI Pio La Torre che aveva

94 denunciato gli appalti mafiosi alla nuova base missilistica di Comiso. "Vi sono altri mali che tormentano il popolo siciliano: la mafia. Quello che sta succedendo in Sicilia - dichiarò Pertini nel discorso di fine anno del 1982, ricordando la figura di Pio La Torre e del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa - veramente ci fa inorridire. Bisogna fare attenzione a non confondere il popolo siciliano con la mafia. Sono una minoranza i mafiosi. All'inizio del mese di aprile del 1982 Dalla Chiesa scrive al presidente del Consiglio Giovanni Spadolini queste parole: "la corrente democristiana siciliana facente capo ad Andreotti sarebbe stata la "famiglia politica più inquinata da contaminazioni mafiose". Un mese dopo viene improvvisamente inviato in Sicilia come prefetto di Palermo per contrastare l'insorgere dell'emergenza mafia.

Il 2 aprile 1982 Carlo Alberto Dalla Chiesa viene nominato super Prefetto di Palermo. In Sicilia e' una mattanza senza fine. La lotta alla Mafia e' un’urgenza, ma il Prefetto Dalla Chiesa non riesce a ottenere, i poteri necessari per ... ed a maggio è inviato in Sicilia insieme alla moglie Elisabetta Setti Carraro.

Pio La Torre, politico palermitano del PCI, fu ucciso dalla mafia nel capoluogo siciliano il 30 aprile del 1982, precisamente in via Turba. Insieme a lui, i killer spararono anche all'autista Rosario Di Salvo. Strage della circonvallazione (16 giugno 1982): Salvatore Raiti, Silvano Franzolin, Luigi Di Barca e Giuseppe Di Lavore, carabinieri, e Alfio

95 Ferlito, boss di Catania, uccisi a colpi di fucile AK-47 dai killer del boss Nitto Santapaola.

La guerra mafiosa si materializza a Palermo la sera del 3 settembre 1982, in via Carini, un’insignificante strada del Borgo Vecchio, a pochi passi dalla centralissima Via Libertà con l'uccisione del prefetto Carlo Alberto Dalla Chiesa e della moglie Elisabetta Setti Carraro insieme all'agente di scorta Domenico Russo.

Quell’evento segna, con ogni probabilità, il principio della guerra combattuta tra mafia e Stato.

Il 4 settembre 1982, meno di ventiquattro ore dall'uccisione del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, dall'alto del pulpito della Chiesa di San Domenico a Palermo, fece impallidire i più

96 importanti uomini politici della Sicilia e d'Italia. "La mafia - disse il Cardinale Pappalardo - "è un demone dell'odio, l'incarnazione stessa di Satana". Ma cosa facevano gli uomini politici - tuonò Pappalardo - quando la mafia colpiva dove e quando voleva? .. "Mentre a Roma si discuteva, Sagunto veniva espugnata dai nemici" (facendo riferimento ad una città romana saccheggiata dai Cartaginesi nel III secolo a.C.). A seguito delle sferzanti accuse dell'Arcivescovo, dal fondo della chiesa, dove sedeva la gente comune, si levò un grande applauso. Quei fedeli sapevano che Pappalardo diceva parole di verità e giustizia.

25 gennaio 1983 - Giangiacomo Ciaccio Montalto magistrato di punta di Trapani fu ucciso mentre rientrava a casa a Valderice, privo di scorta e di auto blindata, nonostante le minacce ricevute. Mario d'Aleo - Capitano dei carabinieri, insieme ad altri 2 colleghi, Giuseppe Bommarito e Pietro Morici, venne ucciso da Cosa Nostra in un attentato a Palermo il 13 giugno 1983. 29 luglio 1983 il consigliere Chinnici fu ucciso con la sua scorta, considerato il padre del Pool antimafia, che compose chiamando accanto a sé magistrati come Giovanni Falcone, Paolo Borsellino e Giuseppe Di Lello. Strage di via Pipitone Federico (29 luglio 1983) - vengono uccisi Rocco Chinnici, capo dell'ufficio istruzione del Tribunale di Palermo, Salvatore Bartolotta, carabiniere; Stefano Li

97 Sacchi, portinaio di casa Chinnici, uccisi dallo scoppio di un'autobomba, che provocò anche gravi danni alla facciata del palazzo adiacente.

5 gennaio 1984 - Li chiamavano i Cavalieri dell'Apocalisse. A denunciarne i misfatti era rimasto col suo gruppo di "carusi" solo il direttore del periodico 'I Siciliani", Pippo Fava, che sarebbe stato ucciso da li' a poco, nel 1984, proprio per fare un favore ai "Cavalieri".Un fatto epocale che mostrava la grande adattabilità negli affari dei nuovi vertici della mafia siciliana. Ad Erice fiaccolata in memoria dei gemellini Giuseppe e Salvatore Asta, morti il 2 aprile 1985 nell'attentato al giudice Carlo Palermo avvenuto a Pizzolungo. Giuseppe Montana (28 luglio 1985), funzionario della squadra mobile, dirigente della sezione contro i latitanti mafiosi. Ninni Cassarà (6 agosto 1985), dirigente della squadra mobile di Palermo, e il suo collega Roberto Antiochia. Graziella Campagna (12 dicembre 1985), diciassettenne di Saponara (ME) che aveva riconosciuto due latitanti. Se il caso di Graziella Campagna non è stato archiviato con la solita formula assolutoria, parte del merito lo si deve alla TV che le ha dedicato più di un servizio.

98

99

Il Maxiprocesso è il nome sotto il quale viene ricordato un processo penale iniziato il 10 febbraio 1986 e terminato il 16 dicembre 1987, contro Cosa Nostra, tenutosi a Palermo nell'aula bunker. Fu chiamato appunto maxi processo in quanto furono indagate più di 400 persone, per crimini legati alla criminalità organizzata. Esso fu considerato come la prima reazione importante dello Stato a Cosa Nostra e si concluse con una sentenza di condanna emessa il 16 dicembre 1987 dalla Corte di assise di Palermo. Il Consiglio Superiore della Magistratura, invece della scelta naturale che indicava nel giudice Falcone il sostituto del dimissionario Caponnetto, preferì nominare a capo dell'Ufficio istruzione il consigliere Antonino Meli. Il quale avocò a sé‚ tutti gli atti. Questa decisione sanciva giuridicamente la frantumazione delle indagini, che l'esperienza di Palermo aveva inteso superare.

Natale Mondo, (14 gennaio 1988), agente di polizia scampato all'attentato in cui persero la vita Ninni Cassarà e Roberto Antiochia, venne ucciso perché si era infiltrato nelle cosche mafiose. Mauro Rostagno (26 settembre 1988), leader della comunità Saman per il recupero dei tossicodipendenti, dai microfoni di una televisione

100 locale faceva i nomi di capi mafia e di politici corrotti. Venne assassinato a Valderice (TP). 20 giugno '89 si verificò il fallito e oscuro attentato dell'Addaura presso Mondello; a proposito del quale Falcone affermò "Ci troviamo di fronte a menti raffinatissime che tentano di orientare certe azioni della mafia. Esistono forse punti di collegamento tra i vertici di Cosa nostra e centri occulti di potere che hanno altri interessi. Ho l'impressione che sia questo lo scenario più attendibile se si vogliono capire davvero le ragioni che hanno spinto qualcuno ad assassinarmi”.

Rosario Livatino, il "giudice ragazzino" ucciso dalla mafia in Sicilia nel 21 settembre 1990 per il suo impegno nella lotta alla mafia - Nella sua attività si era occupato di quella che sarebbe esplosa come la Tangentopoli Siciliana ed aveva messo a segno numerosi colpi ...... Nasce da un'inchiesta su mafia e appalti in Sicilia quel rapporto consegnato nel 1991 dal maggiore De Donno ma insabbiato dalla procura controllata dal procuratore Giammanco. In quegli anni e nei mesi successivi matura anche il trasferimento del dottor Falcone a Roma. L’imprenditore Libero Grassi ucciso dalla mafia il 29 agosto 1991, imprenditore attivo nella lotta contro le tangenti alle cosche e il racket. Nel marzo 1992 - ha ricordato Violante - fu ucciso Salvo Lima, capo della corrente andreottiana in Sicilia. Nel mandato di cattura che venne spiccato nei confronti dei responsabili del delitto Lima c'erano dei riferimenti molto pesanti sui rapporti fra mafia ed esponenti della corrente andreottiana Dc in Sicilia.

101

Strage di Capaci (23 maggio 1992): Vengono uccisi: Giovanni Falcone, magistrato; Francesca Morvillo, magistrato e moglie di Falcone; Antonio Montinaro, Rocco Dicillo e Vito Schifani, agenti di scorta di Giovanni Falcone.

Giovanni Falcone avvertiva: la criminalità organizzata non si combatte solo con la repressione di polizia, ma anche sequestrando i patrimoni accumulati con i guadagni frutto dell’illegalità. Poco prima della sua morte Giovanni Falcone rilevava come negli anni del dopoguerra il fenomeno mafioso fosse stato totalmente sottovalutato sia da parte di tutti i mezzi di informazione, sia da parte di tutte le istituzioni dello Stato. (oggi le istituzioni si pavoneggiano

102 quotidianamente in TV con gli arresti del "braccio armato", per poi opporre poi mille difficoltà - pentitismo a tempo, attacchi alla magistratura e freno alle intercettazioni - quando si tenta di andare più a fondo nella ricerca della complessa verità che vede coinvolte le istituzioni!)

Maggio 1992 - Ecco le parole che Rosaria (moglie dell'agente Vito Schifani) pronunciò ai funerali del marito, di Falcone, della Morvillo e del resto della scorta. Parole che fecero presto il giro dei notiziari per la disperazione ma anche lucidità che ne traspariva: "Io, Rosaria Costa, vedova dell'agente Vito Schifani mio, a nome di tutti coloro che hanno dato la vita per lo Stato, lo Stato..., chiedo innanzitutto che venga fatta giustizia, adesso. Rivolgendomi agli uomini della mafia, perché ci sono qua dentro (e non), ma certamente non cristiani, sappiate che anche per voi c'è possibilità di perdono: io vi perdono, però vi dovete mettere in ginocchio, se avete il coraggio di cambiare..... Ma loro non cambiano... [...] ...loro non vogliono cambiare... Vi chiediamo per la città di Palermo, Signore, che avete reso città di sangue, troppo sangue, di operare anche voi per la pace, la giustizia, la speranza e l'amore per tutti. Non c'è amore, non ce n'è amore...

Strage di via d'Amelio (19 luglio 1992): Paolo Borsellino, magistrato, e gli agenti di scorta: Emanuela Loi,Walter Cusina, Vincenzo Li Muli,

103 Claudio Traina,Agostino Catalano. "Borsellino ha intrapreso una strada difficile e tortuosa, portando sulle sue spalle un compito arduo e coraggioso,per realizzare un sogno: una Sicilia libera dalla mafia

che venga ricordata finalmente solo per le sue virtù e per la sua gente onesta e non più per le stragi e per il malaffare.

L'8 gennaio 1993 - Beppe Alfano, corrispondente del quotidiano"La Sicilia", ucciso dalla mafia. Nella notte fra il 26 e il 27 maggio 1993, strage di via dei Georgofili a Firenze. E' un attentato di stampo mafioso attribuito all'organizzazione Cosa Nostra. Alle ore 23,14 del 27 luglio 1993, un'autobomba esplose nei pressi del Padiglione di arte contemporanea sito in via Palestro a Milano. I morti furono cinque: Carlo La Catena, Sergio Pasotto e Stefano Picerno. A San Giovanni in Laterano e a San Giorgio al Velabro, nella notte tra il 27 e il 28 luglio 1993, la

104 chiesa fu oggetto di un attentato, un'esplosione dovuta ad un'auto bomba parcheggiata nei pressi della facciata, carica di circa 100 kg di esplosivo, che ha causato il crollo quasi totale del portico antistante alla chiesa.

105 Non più stragi, .. ma sempre più mafia

Viene ucciso dalla mafia Pino Puglisi (15 settembre 1993), sacerdote impegnato nel recupero dei giovani reclutati da Cosa Nostra a Brancaccio. Giuseppe Di Matteo (11 gennaio 1996), figlio del collaboratore di giustizia Santino Di Matteo. Ucciso e disciolto in una vasca di acido nitrico. 26 giu 2003 - (ANSA) - Il presidente della Regione siciliana, Salvatore Cuffaro (Udc), e' indagato per concorso in associazione mafiosa…. 7 feb 2004 - Nuovo avviso di garanzia al presidente della regione Sicilia Salvatore Cuffaro, dell'Udc, già indagato per concorso in associazione mafiosa nell'inchiesta su mafia e appalti dalla Procura di Palermo 30 apr 2004 - muore "don Tano" Badalamenti era capo indiscusso della mafia siciliana degli anni '70. . 15 nov 2005 - TRAPANI - Il deputato regionale siciliano dell'Udc, David Costa, è stato arrestato con l'accusa di concorso esterno in associazione mafiosa su provvedimento del gip di Palermo Giacomo Montalbano. 11 apr 2006 - L'arresto di Provenzano rappresenta un enorme successo della legalita' e dello Stato di diritto. Da oggi la Sicilia è più libera dal cancro della mafia. 18 gen 2008 - Il presidente della Regione siciliana Salvatore Cuffaro e' stato dichiarato colpevole in primo grado per favoreggiamento

106 semplice e violazione di segreto d'ufficio, condannato a 5 anni di reclusione e interdetto dai pubblici uffici. Il 21 gennaio 2008 il Giornale di Sicilia titolava: “I cannoli di Cuffaro sono indigesti”. A tre anni esatti di distanza (22 gen 2011) la Cassazione ha reso definitiva la condanna a sette anni di reclusione per favoreggiamento aggravato a cosa nostra. Salvatore Cuffaro “accetta” la sentenza ed è in prigione!

Al momento sembra che la fase della LOTTA ARMATA della mafia sia in fase di quiescenza. “La criminalità organizzata ha subito colpi molto duri, sono stati arrestati quasi tutti i capi latitanti grazie soprattutto alle forze dell’ordine”. Per la mafia è questo un momento di basso profilo “armato” per meglio mimetizzarsi nel reinvestimento di capitali sporchi radicandosi nelle zone più ricche dell’Italia (con ramificazioni anche in Europa) e diversificando azioni e attività. E non si può certo dire che siano scomparsi i fenomeni di collusione con i politici ed i potenti. E' solo cambiata la forma, NON LA SOSTANZA e la mafia mantiene inalterata la sua elevata pericolosità a dispetto di chi afferma che:(Aprile 2010) "Mafia famosa grazie a Gomorra … La mafia è più famosa che potente"

107 Altre vittime della mafia

Impossibile ricordare in così poche pagine, Oltre a quelli già citati nel testo, 100 anni di omicidi e di stragi di mafia che hanno visto coinvolti tutti gli strati della popolazione civile: dalle forze dell’ordine senza distinzione di ordine e grado che hanno sicuramente versato il più alto contributo di sangue (da Petrosino a Carlo Alberto dalla Chiesa) ai magistrati (da Cesare Terranova a Borsellino passando per Falcone ed i tantissimi altri che si sono immolati), dai sindacalisti (Salvatore Carnevale, ) ed preti antimafia (don Pino Puglisi), agli imprenditori (Enrico Mattei e Libero Grassi), dai politici non collusi (Piersanti Mattarella, Pio La Torre, ..) agli "anonimi" testimoni (dal piccolo Giuseppe Letizia all’altrettanto piccolo Giuseppe Di Matteo), ai personaggi famosi (Emanuele Notarbartolo, Joe Petrosino) ed ai giornalisti che non hanno esitato a combatterla sulle righe dei loro mezzi di informazione (Peppino Impastato, ). E poi le stragi sia di storica memoria (Portella Della Ginestra, Ciaculli) … che quelle più attuali (Capaci, Via d’Amelio, Via Dei Georgofili) sulle quali si tenta ancora di fare luce (anche se c’è chi aspramente e con tutti i mezzi si oppone!).

108 Ma insieme a tutti quelli cha hanno avuto ampio risalto nei media, vorrei ancora ricordare qualche altra decina di nomi sicuramente meno famosi ai più, ma che meritano TUTTI lo stesso identico rispetto!

Ecco quindi una breve lista relativa agli anni 1916-1950, che non vuole essere omnicomprensiva perché di “morti di mafia” ce ne sono tanti altri che sono sfuggiti a questa mia ricerca: 1916 - Costantino Stella, arciprete 1920 - Antonino Scuderi, consigliere comunale socialista; Giovanni Orcel, candidato socialista alla provincia di Palermo; Giuseppe Monticciolo, socialista; Stefano Caronia, arciprete 1921 - Vito Stassi, dirigente del movimento dei contadini; Giuseppe Compagna, consigliere comunale socialista di Vittoria 1922 - Sebastiano Bonfiglio, sindaco socialista di Erice 1943 - Antonio Mancino carabiniere 1944 - Santi Milisenna, segretario della federazione comunista di Enna; Andrea Raia organizzatore comunista; 1945 - Calogero Comajanni guardia giurata; Filippo Scimone maresciallo dei carabinieri; Calcedonio Catalano; Nunzio Passafiume sindacalista; Agostino D'Alessandro, segretario della Camera del Lavoro; Calogero Cicero carabiniere; Fedele De Francisca, carabiniere; Michele Di Miceli;

109 Mario Paoletti; Rosario Pagano; Giuseppe Scalia segretario della Camera del Lavoro; Giuseppe Puntarello segretario della sezione del Partito Comunista 1946 - Gaetano Guarino, sindaco socialista di Favara (AG); Marina Spinelli, uccisa per errore; Pino Camilleri, sindaco socialista di Naro (AG); Nicolò Azoti, segretario della Camera del lavoro 1947 - Accursio Miraglia sindacalista

110 La questione meridionale

La forzata annessione del Regno delle Due Sicilie al Regno di Sardegna porta all’inevitabile coesistenza sotto la stessa bandiera (Regno d’Italia) di culture storiche radicate e complesse e di realtà sociali così distanti e disomogenee da far considerare questo contrasto fra il "Nord" e il "Sud" un vero e proprio "scontro di civiltà" e storicamente moto come “Questione meridionale”.

La questione meridionale, intesa come il problema delle diversità economiche e sociali del sud, non fu argomento prioritario della politica di annessione del sud al Regno d’Italia. Come la storia ci insegna, ad ogni conquista “militare” deve far immediatamente seguito una consolidazione del territorio e solamente a cose stabilizzare si può dar seguito all’integrazione. Nel caso dell’Italia unificata per una decina d’anni i “piemontesi” dovettero affrontare il fenomeno del cosiddetto "brigantaggio" che minacciava le fondamenta del neonato stato unitario.

All’unità infatti non solo non aveva avuto un seguito quel miglioramento delle condizioni di disperata povertà degli strati più poveri della popolazione, ma addirittura le prospettive si presentavano ancora più cupe per l’introduzione sia della leva obbligatoria (che toglieva braccia all’agricoltura) che dell’odiosa “tassa sul macinato” in un meridione a prevalente economia agricola.

111 I braccianti avevano posto le loro speranze in una riforma agraria che garantisse loro la parziale distribuzione delle terre del latifondo e dei feudi ecclesiastici quale elemento di auto sostentamento. Ma la gente era troppo misera e finiva con l'indebitarsi per acquistare le sementi ed a svendere le terre stesse a prezzi stracciati per pagare i debiti. Al malcontento ed alle difficili condizioni economiche dei contadini si aggiunse il problema di migliaia di sbandati provenienti dallo scioglimento dell'esercito borbonico e di quello garibaldino.

Abbastanza scontato quindi che l’insieme di questi fattori sfociarono in una sanguinosa rivolta armata che lo stato Italiano affrontò con ogni mezzo lecito o illecito che fosse. Nel 1860-61 le truppe “regie” trasferite nel sud ammontavano a 22.000 unità. I soldati raggiunsero quota 55.000 a fine 1861, per diventare 120 000 negli anni successivi. Fu una vera e propria guerra civile, combattuta con ferocia da entrambe le parti e di cui fece le maggiori spese come sempre la popolazione civile: una triste situazione che si ripeté continuamente per tutta la durata della guerra civile era il saccheggio di un paese da parte delle bande di ribelli, seguito dall'intervento dell'esercito alla ricerca di collaborazionisti, che comportava sistematicamente un secondo saccheggio, la distruzione degli edifici che venivano dati alle fiamme, esecuzioni sommarie non degne di un popolo civile. Una volta bloccati i tentativi insurrezionali, il governo centrale non prese significativi provvedimenti orientati verso un miglioramento all'economia meridionale. Anzi le condizioni del mezzogiorno entrarono in una fase ancora più critica

112 con la crisi agraria che investì l'Europa sul finire degli anni ottanta a causa dell'invasione sul mercato dei prodotti americani, resi ora disponibili dalla velocizzarsi del trasporto su nave e da prezzi di produzione assai competitivi.

Ecco quindi che la nascita e la storia della “questione meridionale” sono un tutt’uno con la storia dell’unità d’Italia della quale è parte integrante.

La definizione questione meridionale venne usata per la prima volta nel 1873 dal deputato al Parlamento del Regno d'Italia Antonio Billia, ma attenti che sarebbe estremamente riduttivo trattare la questione meridionale esclusivamente in termini economici. Visto che le diversità con le regioni del nord sono fatte principalmente di consuetudini, di tradizioni e di solidarietà. Ma se leggiamo quanto riportano gli studiosi su tale fenomeno è l’aspetto economico che sempre prevale nelle loro trattazioni.

Tutti i dati economici dimostrano che nel 1860 non esistesse sostanzialmente alcun divario economico tra nord e sud e che quindi l'attuale povertà del sud non debba essere attribuita ad eredità pre-unitarie. Con l’annessione al Regno d’Italia, le grandi ricchezze del Regno delle due Sicilie vengono requisite e destinate al risanamento dell'erario nazionale compromesso dall’ingente spesa pubblica sostenuta del Regno di Sardegna in occasione delle guerre di “unificazione” della nazione. Il divario fra nord e sud comincia a presentarsi alla fine dell'800, allargandosi da quel momento in

113 poi fino a creare l'attuale dislivello tra centro-nord e Mezzogiorno.

Questa origine della cosiddetta questione meridionale è messa in evidenza, già in quel periodo, da politici e studiosi del sud come , Giustino Fortunato, Gaetano Salvemini e Francesco Saverio Nitti.

Lo stesso Giustino Fortunato, benché avesse posizioni molto critiche nei confronti delle politiche borboniche e fosse (come tutti gli uomini politici del tempo) un fervido sostenitore dell'unità nazionale, sostenne che il danno maggiore inflitto all'economia del Mezzogiorno dopo l'unità d'Italia fu causato dalla politica protezionistica adottata dallo stato italiano nel 1877 e nel 1887, che a sua detta determinò "il fatale sagrifizio degl'interessi del sud" e "l'esclusivo patrocinio di quelli del nord".

Secondo una ricerca effettuata dal meridionalista lucano Francesco Saverio Nitti, lo Stato Patrimoniale del Regno delle Due Sicilie ammontava, al momento dell’unità, a 443,3 (in milioni di lire oro), pari al 66% del totale della moneta circolante nell’intero regno. I dati analoghi riferiti al Regno di Sardegna era pari a 27,1 milioni di lire, pari al 4% del totale. Con la nascita dell'Italia unita l'attivo di bilancio del Regno delle Due Sicilie fu incamerato nelle casse del neonato Stato italiano. Tale disponibilità di moneta-oro venne utilizzata per il risanamento delle casse del regno depauperate dalla guerra e per lo sviluppo delle aree del Nord del Paese.

114 Furono diversi gli intellettuali (ma anche gli uomini di politica) che analizzarono le cause e denunciarono la questione meridionale. Fra i più importanti troviamo lo storico socialista Gaetano Salvemini che Il 14 marzo 1909 pubblicò sull'"Avanti" un articolo contro Giovanni Giolitti, da lui definito “il ministro della malavita”, accusandolo di aver incentivato la corruzione nel Mezzogiorno e di essersi procurato il voto dei deputati meridionali mettendo "nelle elezioni, al loro servizio, la malavita e la questura". Giolitti è accusato sempre dal Salvemini di aver avviato il decollo economico nel nord e, nel contempo, con l’aiuto della mafia, approfittava dell’arretratezza e dell’ignoranza del sud per raccogliervi consensi. Le leggi speciali prevedevano la concessione degli sgravi fiscali alle industrie e l’incremento delle opere pubbliche. Questo portò ad una crescita della spesa statale che andò ad alimentare i ceti improduttivi e parassitari. Tali ceti garantivano voti alla maggioranza al governo e in cambio ricevevano appalti di opere pubbliche insieme ad altri favori.

L'impoverimento abbattutosi sul meridione nei decenni seguenti all'Unità d'Italia ed il concentrarsi degli investimenti industriali al nord portarono alla formazione di un massiccio flusso migratorio, quasi assente nel periodo del governo borbonico.

L’impoverimento del Mezzogiorno pubblica istruzione influì anche sulla pubblica istruzione. Al Sud, infatti, trovarono una difficile applicazione le varie leggi che cercarono di istituire una, seppur minima, istruzione gratuita ed obbligatoria. L'onere di mantenere le scuole elementari era infatti a carico delle vuote casse dei comuni e, di

115 conseguenza, molte amministrazioni meridionali non riuscivano ad affrontare le spese necessarie. Solamente nel 1911 lo Stato prese in carico i costi dell'istruzione elementare ed il Mezzogiorno vide le prime scuole elementari ed una rapida diminuzione dell'analfabetismo. Bisognerà però aspettare il secondo dopoguerra per un'istruzione di massa, e l’avvento della televisione per assistere all'utilizzo dell'italiano in sostituzione dei vari dialetti.

Anche la Prima guerra mondiale portò indirettamente ad un allargamento del divario fra nord e sud. Il nord “industriale” venne infatti favorito dalle commesse belliche, mentre il sud “agricolo” vide privato il lavoro dei campi delle braccia dei giovani richiamati alle armi. A guerra finita, poi, fu la borghesia imprenditoriale del nord a profittare dell'allargamento dei mercati e delle riparazioni di guerra.

Lo stato fascista, desideroso di allargare il proprio consenso, prese in carico il problema dello sviluppo del meridione. Vennero creati alcuni organismi quali l'IRI (Istituto Ricostruzione Industriale) e l'IMI (Istituto Mobiliare Italiano) per la gestione di numerose opere pubbliche che dotarono di infrastrutture le aree più depresse del paese creando lavoro e favorendo commerci ed investimenti. Vennero migliorati porti (Napoli e Taranto), costruite strade e ferrovie, bonificate paludi e acquitrini, creati canali e acquedotti (come quello del Tavoliere Pugliese), razionalizzate e meccanizzate

116 certe colture (come quelle dell'uva e delle olive in Sicilia). Ma la politica agraria voluta da Mussolini, ed in particolare la meglio conosciuta “battaglia del grano” che doveva far raggiungere la completa autosufficienza dall'estero di questa fondamentale fonte alimentare, si trasformò in un danno per il sud andando a discapito di colture più specializzate e più redditizie.

Il fascismo fece ricorso a strumenti anche al di fuori dello Stato di diritto (tortura e leggi speciali) per combattere ogni forma di malavita organizzata nel Sud. Celebre fu la nomina di Cesare Mori (il "Prefetto di ferro") con poteri straordinari su tutta la Sicilia. Ma la mafia, fortemente colpita ai più bassi livelli, non fu del tutto sradicata perché quando Mori tentò di combattere i legami fra mafia e politica (il deputato fascista Alfredo Cucco, leader del fascismo siciliano, fu costretto alle dimissioni), Mori diventò un personaggio scomodo per il fascismo e venne rimosso dal suo incarico, trasferito a Roma dove viene nominato senatore.

Anche la Seconda guerra mondiale sfavorì più il sud che il nord, quantomeno da un punto di vista politico. Nel 1943 gli alleati stavano preparando lo sbarco in Sicilia per invadere l'Italia, e, tramite i clan operanti negli Stati Uniti, trovarono un'alleata nella mafia, che si offrì di fornire informazioni strategiche in cambio del controllo civile del sud Italia. Il comando alleato accettò, e così le zone via via conquistate da questi passarono sotto il controllo dei

117 vari clan mafiosi, che approfittarono della fase per consolidare, anche militarmente, il loro potere. Al crollo dell'apparato repressivo statale conseguì il ritorno del problema del banditismo, soprattutto in Sicilia, dove certi suoi esponenti si collegarono ai movimenti politici indipendentisti, che chiedevano l'indipendenza dell'isola o l'annessione come 49º stato agli Stati Uniti (vedi il caso della banda di Salvatore Giuliano).

Dopo una serie di complesse manovre politiche la nuova costituzione repubblicana concesse una certa autonomia alla Sicilia, cosa che privò gli ultimi ribelli di ogni legittimazione politica. Però la mafia aveva già preso le distanze dai gruppi armati, ritornando in clandestinità e confondendosi fra la popolazione.

Dopo la guerra la mafia acquistò un enorme potere in alcune importanti regioni dell'Italia meridionale, prima in Sicilia e poi in Calabria e Campania. A varie riprese il governo italiano destinò fondi allo sviluppo del Mezzogiorno, creando pure un istituto finanziario chiamato Cassa del Mezzogiorno per gestirne i flussi. La mafia non restò certo a guardare riuscendo a dirottare denaro pubblico a discapito del finanziamento di imprese produttive ed a riciclare i proventi di crimini. Gli investimenti statali che giungevano alle imprese spesso vennero utilizzati male creando stabilimenti industriali, da parte dei grandi gruppi del nord, in aree mal servite dalle infrastrutture, con una sede dirigenziale situata spesso lontano dagli

118 impianti di produzione, e che semplicemente approfittavano degli ingenti capitali pubblici stanziati. Molti di questi esperimenti industriali fallirono in breve tempo con il terminare delle sovvenzioni pubbliche. Vale un esempio per tutti: la Chimica del Mediterraneo che avrebbe dovuto costituire il fiore all’occhiello del “Polo industriale di Termini Imerese” (lì dove è stato recentemente chiuso lo stabilimento FIAT) e che invece è sempre stata un groviglio di tubi e di silos arrugginiti dalla salsedine e che non ha mai funzionato se non per assumere un po’ di gente, ormai in pensione dopo lunghi anni di parcheggio presso la Regione (imprenditrice del progetto.) Le grandi aziende che aderivano a questi progetti e i partiti politici che li promuovevano approfittavano del contesto disagevole in cui operavano facendo ricorso a prassi clientelari nelle assunzioni, senza che venisse mai messa nessuna enfasi sulla produttività o sul valore aggiunto dalle attività imprenditoriali. Queste pratiche malsane, dette "assistenzialistiche", ebbero come conseguenza la profonda alterazione delle leggi di mercato e l'aborto di ogni possibile sviluppo economico delle aree più depresse del paese. I capitali privati italiani evitavano il Mezzogiorno se non incoraggiati con lo stanziamento di ingenti fondi pubblici, considerando che ogni investimento effettuato in chiave produttiva, non sovvenzionato dallo stato, fosse destinato alla perdita. Benché oggigiorno la situazione sia sensibilmente diversa, atteggiamenti clientelari perdurano ancora nella politica meridionale, e troppo spesso i grandi appalti

119 pubblici del sud vengono affidati ai soliti grandi gruppi industriali.

Quando il governo si ritrovò a prendere provvedimenti legislativi o a negoziare accordi internazionali in ambito economico, l'attenzione si diresse, ancora, alle industrie del nord. Per esempio, quando negli anni quaranta e cinquanta emigranti italiani, soprattutto meridionali, incominciarono a raggiungere massivamente le miniere carbonifere del Belgio, il governo italiano chiese e ottenne da quello belga una tonnellata di carbone all'anno per ogni lavoratore espatriato, questo approvvigionamento non beneficiò le regioni d'origine dei minatori emigrati, essendo destinato alle fabbriche prevalentemente ubicate nelle aree settentrionali della nazione.

Negli anni sessanta e settanta le aree industrializzate vissero un periodo di sviluppo economico, incentrato sull'esportazione di prodotti finiti, chiamato miracolo “italiano”. Il fenomeno attirò manodopera dal Mezzogiorno che era ben accolta in quanto si prendeva carico dei lavori più usuranti e sgraditi senza porre problemi di rivendicazioni salariali.

A partire dagli anni ottanta l'organo giudiziario si focalizzò sulla criminalità organizzata.

Varie leggi rinforzarono la lotta contro la corruzione e la criminalità: una che istituiva sconti di pena e altri vantaggi per i collaboratori di giustizia ed i pentiti di mafia ed un’altra che prevedeva per l'appartenenza ad un'associazione mafiosa un reato

120 più grave rispetto alla semplice associazione per delinquere. Tutto questo permise negli anni ottanta di arrivare ad ottenere dei primi progressi nella lotta antimafia (vedi il primo maxiprocesso di Palermo).

Se in termini assoluti la situazione economica del meridione è migliorata rispetto agli anni ’70, in termini relativi nello stesso periodo il divario con il nord è drasticamente aumentato. Ancora oggi restano irrisolti vari problemi strutturali che ipotecano le possibilità di progresso economico del mezzogiorno: la cronica carenza d'infrastrutture (e sicuramente non è il Ponte sullo Stretto che può migliorare tale condizione), la presenza di un sistema bancario poco attento alle esigenze del territorio (le vecchie grandi Banche del sud sono state via via inglobate nei grandi gruppi del nord), i ritardi di una pubblica amministrazione spesso inutile e ridondante, l'emigrazione di tanti giovani qualificati che a causa della limitata crescita economica non trovano un lavoro adeguato al loro livello culturale e alle loro aspettative, e soprattutto l'infiltrazione della malavita organizzata nella vita politica ed economica del sud, fattore questo che rappresenta il principale freno alla crescita economica meridionale.

La mafia ha bisogno della politica, in particolare dei partiti al potere, ed i partiti, pur di mantenere il potere, non disdegnano il voto della mafia. E’ così che dal secondo dopoguerra in poi il Mezzogiorno in generale, e la Sicilia in particolare, rappresenta un enorme serbatoio di voti per tutti i partiti di governo. Democrazia cristiana prima e partito socialista beneficiavano dei favori delle famiglie mafiose

121 siciliane, fonte di voti che, secondo diversi pentiti, venivano offerti in cambio di appalti pubblici, licenze e concessioni comunali e favori vari. Anche i partiti della “seconda repubblica” non vengono meno a questa regola non scritta e pescano a piene mani senza far caso all’odore dei voti. Nelle elezioni per la camera dei deputati del 2001 in Sicilia il partito di maggioranza (Casa delle Libertà) vince in TUTTI i collegi uninominali!

Un recente dossier del CENSIS ha infatti stabilito che senza l'influenza della criminalità organizzata l'economia meridionale sarebbe capace in un paio di decenni di raggiungere quella del nord Italia.

122 Il Regno delle due Sicilie pre-unitario

Vediamo adesso un breve cenno su quelle che, secondo la maggioranza delle fonti, era la situazione economica e culturale del Regno delle due Sicilie prima dell'Unità d’Italia.

Patrimonio - Il Regno delle due Sicilie, secondo gli studi statistici di Francesco Saverio Nitti, possedeva un patrimonio di 443,3 milioni di lire oro (il più alto tra tutti gli stati preunitari e corrispondente al 65,7% di tutta la moneta circolante della penisola), seguito dallo Stato Pontificio con 90,7, dal Granducato di Toscana con 85,3 e dal Regno di Sardegna, con appena 27,1 milioni. [Harold Acton, Gli ultimi Borboni di Napoli, Firenze, 1997]. Nitti ritenne che il regno borbonico, nel periodo pre-unitario, era lo stato con il più basso debito e più grande ricchezza pubblica sotto tutte le forme. Che questa grande liquidità, l'inconsistente debito pubblico e la bassa pressione fiscale fossero solamente una conseguenza dalla fin troppo esigua spesa pubblica dei governi borbonici è la tesi sostenuta dal meridionalista Giustino Fortunato.

Agricoltura, allevamento e pesca - L'agricoltura aveva i suoi punti forti nelle pianure campane (colture intensive) e nelle colline rocciose della Puglia (oli e grani di qualità) che venivano efficacemente venduti alla Borsa di Napoli su tutti i principali mercati europei. Importanti erano anche le coltivazioni di agrumi siciliani e di piante idonee al suolo arido, quali

123 l'olivo, la vite, il fico, ed il mandorlo. L'allevamento era prevalentemente ovino (lana), equino e suino. Da ricordare le molte opere di bonifica fra le quali la grande bonifica del piano del Fucino, in Abruzzo. La pesca assunse carattere industriale soprattutto grazie all'opera di Vincenzo Florio. Il vino, specialmente quello prodotto in Sicilia, alimentava un fiorente commercio con il Regno Unito.

Industria - Il settore industriale, anche se meno rilevante dell'agricoltura, era molto avanzato per quei tempi e venne decisamente sostenuto dal governo borbonico con politiche protezionistiche e incoraggiamenti di capitali stranieri ad affluire nel regno. Importanti stabilimenti industriali si trovavano in molte zone del regno, come ad esempio:

- Il Cantiere navale di Castellammare di Stabia, che impiegava circa 1.800 operai. - La fabbrica metalmeccanica di Pietrarsa, il più grande impianto industriale di tutta la penisola. - La Fonderia Ferdinandea (Calabria), in cui veniva prodotta ghisa in elevate quantità. - Il Polo siderurgico di Mongiana (Calabria) in cui lavoravano circa 1.500 operai. - In Sicilia (nelle zone di Catania e Agrigento) era rinomata l'industria mineraria basata sulla lavorazione dello zolfo siciliano, a quel tempo fondamentale per la produzione di polvere da sparo (che nel regno avveniva nel moderno polverificio di Scafati) e acido solforico, produzione che soddisfava i 4/5 della richiesta mondiale.

124 L'industria alimentare era legata ad una grande produzione di olio, vino e grano duro ed i pastifici erano diffusi su tutto il territorio del regno (in particolare nella provincia di Napoli tra Torre Annunziata e Gragnano) con esportazioni di pasta lavorata che interessavano sia diversi stati europei, sia gli Stati Uniti d'America. Per sottolineare la rilevanza dell'industria napoletana basti pensare che l'indice di industrializzazione delle province campane (la parte più popolosa del Regno) era nel 1881 (20 anni dopo l'annessione) ancora agli stessi livelli delle principali province del triangolo industriale (Torino, Milano, Genova). http://www.bancaditalia.it/pubblicazioni/pubsto/quast oeco/quadsto_04

Trasporti - Sul finire del XVIII secolo, il reame doveva far fronte alla condizione arretrata delle vie di comunicazione. Nei primi 20 anni del regno di Ferdinando II vennero stanziate ingenti somme per il miglioramento della viabilità e delle infrastrutture (basti pensare che la prima ferrovia italiana venne costruita in quel periodo), ma tali investimenti non continuarono nel tempo e perciò non furono sufficienti per mutare radicalmente la situazione preesistente. Il Regno era dotato di una marina mercantile molto importante (la più importante in Italia) che, sfruttando la posizione strategica delle Due Sicilie nel Mediterraneo, rendeva il gap ferroviario un fattore di scarsa rilevanza nelle attività economiche del paese. Sia il commercio che l'industria, infatti, concentrati principalmente nelle città costiere, si servivano efficacemente dei trasporti marittimi forniti dalle numerose compagnie di navigazione che, oltre

125 a solcare il Mediterraneo, spesso compivano anche rotte oceaniche (soprattutto per raggiungere i paesi dell'Europa del nord). Ad esempio, la società Sicula Transatlantica, dagli armatori palermitani De Pace, si dotò del “Sicilia”, un piroscafo a vapore di costruzione scozzese, che collegò Palermo a New York in 26 giorni, divenendo la prima nave a vapore italiana a giungere nelle Americhe.

Imprenditoria - Era esiguamente sviluppata rispetto al resto d'Italia, tranne alcune notevoli eccezioni come i Florio siciliani, a causa di una miseria atavica peculiare del Mezzogiorno. Tuttavia un recente studio della Banca d'Italia contraddice questa diffusa opinione riportando dati che dimostrano come, ancora nel 1871, l'indice di industrializzazione delle più importanti province del Regno fosse allo stesso livello delle province del Triangolo industriale e superiore a tutto il resto delle province italiane.

Numerosi erano gli imprenditori stranieri che investivano nel Regno, soprattutto svizzeri, i quali ad esempio nella valle dell'Irno e del Sarno, nel salernitano, diedero vita nei primi decenni dell'800 ad un vero e proprio polo tessile, attorno al quale fiorirono numerose attività economiche (alcune delle quali tuttora esistenti e fiorenti come le fonderie di Salerno, e le ex Manifatture Cotoniere Meridionali).

Cultura - Il Regno delle Due Sicilie vantava un importantissimo patrimonio culturale e la vita culturale ed artistica era molto viva con i suoi numerosi teatri ed istituzioni culturali.

126 A Napoli era situato il Real Teatro di San Carlo, uno dei più grandi e antichi d'Europa. La grande ricchezza di testimonianze archeologiche (esempio più eclatante: gli Scavi archeologici di Pompei) diede vita ad uno dei musei archeologici più importanti del mondo, il Museo archeologico nazionale di Napoli, allora chiamato "Real Museo Borbonico". Nel regno si formarono intellettuali destinati ad entrare nella storia, come umanisti come Francesco De Sanctis e scienziati del calibro di Stanislao Cannizzaro. L'Università di Napoli, la più grande del Regno, per quanto dovesse subire la forte concorrenza delle numerose (e spesso prestigiose) accademie private, si distingueva per i suoi meriti scientifici. Di quel periodo si ricorda Michele Tenore, direttore dell'Orto botanico di Napoli ed uno dei padri della moderna sistematica botanica, ed il chimico Raffaele Piria, scopritore dell'acido salicilico. Da segnalare anche l’Orto botanico di Palermo che, aperto al pubblico nel 1795, dette i natali ad un'attività che, ininterrottamente, ha consentito la diffusione di innumerevoli specie vegetali, sia a Palermo che in Europa. ”Tutte le piante che io ero abituato a vedere imprigionate entro grandi vasi, qui vivono gaie e libere sotto il libero cielo..." Così, nel 1787, Johann Wolfgang Goethe, nel suo libro "Viaggio in Italia",

Primati tecnologici e scientifici - Il regno delle Due Sicilie vantava molte importanti conquiste in campo scientifico e tecnologico. Tra le realizzazioni del Regno vanno ricordate la prima nave a vapore nel Mediterraneo (1818)

127 realizzata nel cantiere di “Stanislao Filosa al ponte di Vigliena” presso Napoli ed il primo battello a vapore con propulsione ad elica del quale si abbia notizia nel Mediterraneo è il Giglio delle Onde, usato per servizio passeggeri e postale appunto nel Regno, dal 1847. Nel 1839 fu realizzata la prima linea ferroviaria italiana, tra Napoli e Portici. Fino al 1859, tuttavia, lo sviluppo delle ferrovie fu limitato a causa dell'ostilità di Ferdinando II per questo mezzo in seguito alle rivolte del 1849. Tra le altre realizzazioni si possono ricordare il primo ponte sospeso in ferro realizzato nell'Europa continentale (1832), il "Real Ferdinando" sul fiume Garigliano. A Napoli fu istituita la prima scuola non militare di ingegneria italiana per volere di Murat (nel 1811), la "Scuola di Ponti e Strade", in cui studiarono tecnici insigni. Altri primati da ricordare furono la prima illuminazione a gas in Italia (1839) ed il primo esperimento di illuminazione elettrica delle strade. Poi il primo telegrafo elettrico italiano, il primo osservatorio astronomico italiano (Osservatorio astronomico di Capodimonte) ed il primo osservatorio vulcanico e sismologico del mondo, l'Osservatorio Vesuviano (1841).

Di notevole prestigio l'osservatorio astronomico di Palermo ospitato all'interno del Palazzo dei Normanni, che venne fondato nel 1790 su volontà di Ferdinando I di Borbone. Come direttore venne nominato Giuseppe Piazzi che lo dotò delle apparecchiature più moderne dell'epoca per rendere l'osservatorio all'avanguardia a livello europeo. Grazie a questi moderni strumenti, nel 1801

128 Giuseppe Piazzi riuscì a scoprire ed identificare il primo asteroide che battezzò come Ceres Ferdinandea, in onore della dea romana Cerere, protettrice del grano e della Sicilia, e di Re Ferdinando III di Sicilia.

La questione meridionale è stata affrontata da vari studiosi ed uomini politici fra i quali: Giuseppe Massari (1821 - 1884) e Stefano Castagnola (1825 - 1891) furono due deputati italiani che diressero una commissione parlamentare d'inchiesta sul brigantaggio fra il 1862 ed il 1863. Sebbene parziale e puramente descrittivo, il loro lavoro espose bene come la miseria e l'invasione sabauda avessero un ruolo capitale nella nascita della rivolta. Leopoldo Franchetti (1847 - 1917), Giorgio Sidney Sonnino (1847 - 1922) ed Enea Cavalieri (1848 - 1929) realizzarono nel 1876 una celebre e documentata inchiesta sulla Questione meridionale, nella quale mettevano in luce i nessi fra l'analfabetismo, il latifondo, la mancanza di una borghesia locale, la corruzione e la mafia, sottolineando la necessità di una riforma agraria. Giustino Fortunato (1848 –1932), è stato uno scrittore, politico e storico italiano, uno dei più importanti rappresentanti del Meridionalismo. Pubblicò nel 1879 il più conosciuto di essi, in cui esponeva gli svantaggi fisici e geografici del sud, i problemi legati alla proprietà della terra, e il ruolo della conquista nella nascita del brigantaggio. Era decisamente ostile ad ogni tipo di federalismo, e sebbene difendesse la necessità di ridistribuire la terra e di finanziare servizi indispensabili come scuole e ospedali, fu ritenuto da alcuni interpreti

129 pessimista per la sfiducia che mostrava nei confronti delle classi dirigenti del paese nell'affrontare la questione meridionale. Fu un oppositore del regime fascista e figurò tra i firmatari del Manifesto degli intellettuali antifascisti.] Benedetto Croce (1866 - 1952), filosofo storicista, rivide in chiave storiografica le vicende del Mezzogiorno dall'Unità fino al Novecento, mettendo l'accento sull'imparzialità delle fonti. Il suo pensiero divergeva parzialmente da quello del suo amico Giustino Fortunato riguardo all'importanza da attribuire alle condizioni naturali in riferimento ai problemi del Mezzogiorno. Riteneva infatti fondamentali le vicende etico-politiche che avevano condotto a quella situazione. Entrambi ritenevano fondamentale la capacità delle classi politiche ed economiche, nazionali e locali, per affrontare e risolvere la questione. La sua Storia del Regno di Napoli, del 1923, rimane il punto di riferimento essenziale per la storiografia posteriore, sia per i discepoli che per i critici. Gaetano Salvemini (1873 - 1957), uomo politico socialista, perse la sua famiglia durante il terremoto di Messina del 1908. Concentrò le sue analisi sugli svantaggi che il sud aveva ereditato dalla storia, criticò aspramente la gestione centralizzata del paese, e predicò l'alleanza degli operai del nord coi contadini del sud.

Francesco Saverio Nitti (1868 – 1953) è stato un economista, politico, giornalista e antifascista italiano. Presidente del Consiglio dei ministri del Regno d'Italia, più volte ministro. Fu il primo Presidente del Consiglio proveniente dal Partito Radicale Storico. Tra i massimi esponenti del Meridionalismo, analizzò, attraverso i suoi studi

130 statistici, le cause dell'arretratezza del sud a seguito dell'unità d'Italia ed elaborò diverse proposte per risolvere la questione meridionale. Con l'ascesa del fascismo, fu uno dei più risoluti oppositori del regime ma, a causa di violente rappresaglie da parte degli squadristi, fu costretto all'esilio, ove praticò un'energica attività antifascista. Dopo la Seconda guerra mondiale, propose anche un vasto programma di lavori pubblici, di irrigazione e di rimboschimento, ed affermò come altri prima di lui l'urgenza di una riforma agraria.

131 Le fonti

M.L. Salvadori : Il mito del buongoverno. La questione meridionale da Cavour a Gramsci R. Villari : Il sud nella storia d’Italia R. Villari : Le lettere meridionali ed altri scritti sulla questione sociale in Italia G. Fortunato: Il mezzogiorno e lo stato italiano F.S. Nitti: Napoli e la questione meridionale A. Gramsci: La questione meridionale

Storia della mafia nel mezzogiorno d'Italia http://mafia.blogspot.com/ Breve storia della Sicilia http://www.scamat.it/webstoria/menu_storia.htm La lotta contro il brigantaggio http://www.inilossum.com/carabinieri9.html Storia della Sicilia borbonica http://it.wikipedia.org/wiki/storia_della_sicilia_borb onica Questione meridionale http://it.wikipedia.org/wiki/questione_meridionale Giornata dell'Aspromonte http://it.wikipedia.org/wiki/giornata_dell'aspromonte Mafia e fascismo http://www.instoria.it/home/mafia_fascismo.htm Il contributo mafioso alla vittoria alleata in Sicilia http://www.instoria.it/home/vittoria_alleata_sicilia.htm Centro siciliano di documentazione "Giuseppe Impastato" - http://www.centroimpastato.it/publ/online/ Addio Cardinale Pappalardo http://www.capitanata.it/newsrecord_long.php?tar=1484 Maxiprocesso di Palermo http://it.wikipedia.org/wiki/maxiprocesso_di_palermo

altri link associazionepasolini.org/ comuneterminiimerese.pa.it/documento.asp?id=149 documenti.camera.it/Leg14/BancheDati ...

132 italiadallestero.info/archives/8430 ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio ... mnemonia.altervista.org/antimafia/anni10.php ricerca.gelocal.it/ilpiccolo/archivio www.addiopizzocatania.org/public/cmsms/index ... www.antoniodipietro.com/2008/0...... www.asca.it/regioni www.brigantaggio.net/brigantaggio/storia www.carabinieri.it/Internet/Arma/Ieri/Storia www.carabinieri.it/Internet/Editoria ... www.cgil.it/chisiamo/Storia.aspx www.cittanuove-corleone.it/Corleone www.corriere.it/Primo_Piano/Politica/2006 www.edizioniemotive.it/Il%20Tempo/1982.html www.gds.it/gds/sezioni/cronache/dettaglio ... www.i-.org/11554/lotta-alla-mafia-tra www.ilduce.net/fascismoemafia.htm www.ilgiornale.it/interni ... www.instoria.it/home/mafia_fascismo.htm www.italiainformazioni.com/giornale/societa palermo.repubblica.it/dettaglio/ La-Chiesa-sia- lontana-dai-partiti/1433727 www.italiainformazioni.it/giornale/cultura www.laltrasicilia.org/modules.php?name=News www.lastampa.it/cmstp/rubriche/girata.asp . www.lastampa.it/cmstp/rubriche/stampa.asp www.lastampa.it/redazione/cmsSezioni ... www.libreriamilitare.com/cgi-bin/select.cgi ... www.liceosciasciafermi.it/gymnasium_3 ... www.noisefromamerika.org/index.php/articles www.parlamento.it/bicamerali/43775/48736/48737 www.peppepellegrino.it/index.php?option www.rainews24.rai.it/it/news.php?newsid=77736 www.rainews24.rai.it/it/news_print.php?newsid www.repubblica.it/2005/k/sezioni/cronaca ... www.repubblica.it/2008/06/sezioni/cronaca ... www.ritaborsellino.it/index.php?option ... www.scuolamediaprivitera.it/ns/Partinico%20e www.senato.it/japp/bgt/showdoc/frame.jsp ...

133 www.spazioamico.it/Delitto%20Notarbartolo www.strano.net/stragi/stragi/nomi/sindona.htm www.terrelibere.it/storia_antimafia_1.htm www.unita.it/news/86501 ...

a.marsala.it/ alphonsedoria.splinder.com/ antonellarandazzo.blogspot.com archivio.rassegna.it/ articolo21liberodi.blogspot.com/ biografieonline.it/ books.google.com/ casarrubea.wordpress.com/ it.m.wikipedia.org/ lucaromagnoli.wordpress.com/ mobile.agoravox.it/ movimentogiovanidelsud.blogspot.com/ nuke.alkemia.com/ nuovo.camera.it/ paolofranceschetti.blogspot.com/ parmafans.forumcommunity.net/ peppecaridi2.wordpress.com/ rarika-radice.blogspot.com/ riberaonline.blogspot.com/ terradinessuno.wordpress.com/ umsoi.org/ venus.unive.it/ wapedia.mobi/ web.tiscalinet.it/ www.123people.it/ www.24grana.it/ www.acquabenecomune.org/ www.agiscuola.it/ www.andreapeg.altervista.org/ www.aprileonline.info/ www.archive.org/ www.archivio900.it/ www.area-online.it/

134 www.beppeniccolai.org/ www.capitanata.it/ www.cascinagrande.it/ www.centrostudilaruna.it/ www.clarence.com/ www.cliomediaofficina.it/ www.corleonedialogos.it/ www.corrierecaraibi.com www.cuntrastamu.org/ www.deltanews.it/ www.diggita.it/ www.eleaml.org/ www.erreinfo.altervista.org/ www.fiammacanicatti.it/ www.fondazionefrancese.org/ www.fondazioneitaliani.it/ www.ghigliottina.it/ www.incontraregesu.it/ www.lavalledeitempli.net/ www.motolibertalegalita.it/ www.nonsoloparole.com/ www.oggi7.info/ www.palomaronline.com/ www.pbmstoria.it/ www.perlasicilia.it/ www.pmli.it/ www.primadanoi.it/ www.quindici-molfetta.it/ www.ragionpolitica.it/ www.resistenzalaica.it/ www.resistenze.org/ www.santiebeati.it/ www.scribd.com/ www.sintesidialettica.it/ www.sisde.it/ www.skaramanzia.it/ www.slideshare.net/ www.socialismolibertario.it/ www.storiain.net/

135 www.stormfront.org/ A74 www.studiocelentano.it/ www.suitecasemagazine.com/ www.tesionline.com/ www.tesionline.it/ www.uonna.it/ www.vigata.org/ www.voraszancle.org/ www.waltergianno.splinder.com/

136

137

138

“Pensieri in libertà” sul web: http://lamartinasalvo.sitiwebs.com/ [Il sito] http://lamartinasalvo.blogspot.com/ [ITALIA: 150 anni] http://bloginliberta.blogspot.com/ [Il ponte che verrà] http://palermoweekend.blogspot.it/p/palermo- citta-da-godere.html [Palermo, città da godere]

pubblicati: http://ilmiolibro.kataweb.it/categorie.asp?act=ric erca&genere=tutte&searchInput=lamartina&scel goricerca=nel_sito

- … ma allora è buono (Nov 2010) Le "notizie che segnano la vita di oggi", quando non più di moda,sono recuperabili con non poche difficoltà. I ricordi, con gli anni, diventano "sfocati" e fortemente condizionati più dalle odierne immagini "reclamistiche" che dalla realtà dei fatti. Ed allora cosa di meglio che mettere nero su bianco quello che vorremmo non venisse dimenticato o travisato un domani?

- Weekend a Palermo (Dic 2010) Un personale contributo per far conoscere colori, profumi e sapori, suoni e sensazioni che ouò darti la mia Palermo in un solo weekend.

139

- Sicilia ed Unità d’Italia (Mar 2011) "Se vogliamo che tutto rimanga come è, bisogna che tutto cambi". Con questa frase Tancredi cerca di rassicurare lo zio, il principe Fabrizio Salina, che lo sbarco di Garibaldi a Marsala alla fine si tramuterà in un vantaggio per l'aristocrazia Siciliana. Oggi, festa dell'Unità d'Italia, da Italiano orgoglioso delle millenarie gloriose tradizioni della mia Sicilia, provo a scorrere questi 150 anni per verificare l'attualità di quella frase tratta dal romanzo il "Gattopardo" di Tomasi di Lampedusa.

- 2026 l’Italia che verrà (Nov 2011) Tragedie e farse dell'Italia di oggi. Frane, alluvioni, lavoro bero e morti sul lavoro, la crisi che impazza mentre intorno al nostro premier infuria la farsa di un'Europa che lo snobba e lo deride. Farsesca tragedia di una verita', la crisi appunto, sempre negata fino al brusco risveglio ed alla sua caduta. Verita' "vere" o verita' "percepite"? E' della mia percezione della verita' che vi racconto, di quella percezione che quotidianamente impatta sulla mia vita come verita'vera!

"Palermo, perchè'?" e "Sicilia ed Unità d'Italia" sono disponibili in eBook. Vuoi l'ePub di questi libri? Clicca ed invia la tua di richiesta

140