Andreotti, G. GUARESCHI IL “CREDULONE” di , da «Cultura & Spettacoli» - «Il Tempo», Roma, 14 settembre 2003, p. 15.

CATASTROFI giudiziarie, veleni, doppie facce, segreti che vengono a galla, verità nascoste: chi pensa che questi saporiti Ingredienti condiscano solo l’italica storia recente legga le righe del senatore Andreotti. Tra le mani del più volte ministro e presidente del Consiglio arriva un libro sullo scrittore Giovanni Gua- reschi (quello di don Camillo e Peppone). Giovannino, come lo chiama con affetto il senatore a vita. Il testo di Paolo Tritto: Il destino di Guareschi, scatena una serie di ricordi a catena che coinvolgono uomini poli- tici, dittatori, grandi statisti e piccoli venditori di «patacche». Tutta la vicenda ruota attorno, alla (irresisti- bilmente comica) pretesa che , l’uomo che più dl ogni altro ricucì insieme l’Italia insan- guinata del Dopoguerra, avesse auspicato un bombardamento (e allora le bombe intelligenti non c’erano) della Capitale. Eppure qualcuno a questa vera bufala ci credette: il povero Giovannino Guareschi. (reda- zionale)

UNA FASCETTA con la firma dei figli di Giovannino invita a leggere tutto di un fiato il libro di Paolo Tritto: Il destino di Guareschi. L’ho fatto e lo recensisco, anche se poco posso dire dopo quello che ho già avuto occasione di precisare in passato. Con un’aggiunta peraltro importante. Dall’avvocato Odoardo Ascari, che fu suo compagno nella prigionia, ho appreso particolari stupendi sul comportamento fiero e addirittura provocatorio tenuto da Guareschi in quei lun- ghissimi mesi. Mi limito qui all’episodio del processo di Milano sul quale posso intervenire per conoscenza diretta dei fatti. Come Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio ricevetti un giorno Enrico Mattei, ac- compagnato da un ex comandante partigiano che si diceva al corrente di un inquietante segre- to. Nel plico di carte che aveva con sé Benito Mussolini quando fu giustiziato, oltre ad un car- teggio con Winston Churchill, vi era anche una lettera - di cui avrebbe potuto farci avere copia - con la quale durante l’occupazione di Roma il Presidente Alcide De Gasperi sollecitava dagli Alleati un bombardamento della città che avrebbe messo i nazifascisti alle corde. L’incarto mus- soliniano, rigorosamente sigillato, era conservato presso una banca svizzera. Il giovanotto non fu impressionato dal quesito di come si potessero fotocopiare singoli documenti di un plico si- gillato; disse anzi che le nuove tecniche lo consentivano. Conoscendo da più di un decennio De Gasperi ed essendo stato con lui in contatto anche durante l’occupazione, la falsità dell’assunto era più che palese, Però non rifiutai davvero l’offerta di una copia che il partigiano mi avrebbe inviato all’indomani. Così avvenne, ma con una aggiunta per la quale Mattei apparve sorpreso e contrariato. Il reduce dalle montagne chiedeva [sic] in una forte somma per aiutare gli ex partigiani poveri (in moneta o attraverso licenze di importazione e simili). Naturalmente non demmo riscontro. Preciso che a suo tempo era circolata la voce che qualcuno - per esattezza del Partito d’Azione - avesse auspicato azioni aeree contro la Città aperta per scuoterla da una presunta apatia. Mai però era stata attribuita a De Gasperi che, informato da me sulla visita di Mattei e dell’altro, sembrò più divertito che indifferente. Oltretutto la lettera - dattiloscritta - era su car- ta intestata Segreteria di Stato, con tanto di numero di protocollo e con firma Degasperi (alla vecchia maniera giovanile) senza il De staccato. Da altra fonte si apprese che di documenti inquietanti per il Presidente si vantava un reduce di Salò residente a Merano. Da un doveroso approfondimento risultò una simmetria con l’iniziativa del partigiano; solo che questa volta il danaro era richiesto per gli ex combattenti dell’altra parte. Il questore Angotta inviato sul posto e apprezzate le circostanze sconsigliò ogni ulteriore contatto. Si badi. A parte che anche le voci più inverosimili vanno analizzate, su queste presunte carte si doveva far luce non tanto per quel che concerneva il Presidente, ma perché si asseriva che contenessero lettere a Mussolini del Primo Ministro inglese. Di qui gli approfondimenti - su cui il Tritto pone l’accento - operati dal prof. Vedovato e dal prof. Toscano. Si badi. Io mi limito a testimoniare sulla lettera (anzi le lettere, poiché si asseriva anche un sollecito, pochi giorni dopo, sempre nel gennaio 1944), Sulle missive di Churchill non ho ele- menti per interloquire. So soltanto che nella cassetta svizzera del falsario De Torna, espatriato n Su4 America, fu trovato tra l’altro un pacco di carta bianca Intestata sia a Downing Street 10 sia ad altre residenze del Primo Ministro britannico. Poteva essere accorgimento per rendere credibile, con date bene scelte, l’autenticità delle lettere.

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Ma veniamo a Guareschi. Accreditato da una meritata fama di giornalista e dalla sua dura contrapposizione ai fascisti di Salò, aveva grandi titoli per contribuire ad orientare nel senso giusto la pubblica opinione. Le sue convinzioni monarchiche del 1946 non attenuarono mini- mamente l’impegno propagandistico nel sostenere nel 1948 la coalizione repubblicana che, sot- to la guida di De Gasperi fronteggiava il micidiale disegno di aggancio dell’Italia alla politica sovietica. Sapevamo tutti che Mosca aveva censurato Palmiro Togliatti per aver provocato nel maggio 1947 l’estromissione sua e di Nenni dal governo. Le elezioni dell’aprile 1948 erano viste da lo- ro come rivincita e rappresentavano palesemente la conferma o la sconfitta della svolta demo- cratica. Guareschi, che conosceva bene i comunisti dell’Emilia, contribuì alla propaganda con il sar- casmo distruttore dei compagni a tre, narici; mentre Leo Longanesi diffondeva traduzioni di dissidenti russi e l’opuscolo: Non votò la famiglia De Paolis: il racconto immaginario di un italia- no che, disertando le urne, aveva contribuito a far vincere gli altri e stava ora autoflagellandosi per il mal fatto. Furono apporti essenziali di intellettuali alla nostra battaglia politica; al succes- so della quale per ordine di Pio XII dette grande apporto l’Azione Cattolica, mobilitando Co- mitati Civici. Anche se negli anni successivi al 1948 l’atteggiamento di Guareschi, uomo autenticamente libero, fu spesso di critica al governo sostenendo le destre, nessuno dimenticava il suo contribu- to alla vittoria sul Fronte. Nessuno? Purtroppo la burocrazia del Quirinale che voleva afferma- re l’indipendenza dal Viminale in due occasioni ci fece trovare dinanzi ad iniziative autonome. La prima riguardò l’annuncio della nomina a Senatore a vita di Arturo Toscanini, che rifiutò esponendo tutti ad una magra figura. L’altra riguardò la denuncia penale contro Guareschi per una vignetta satirica sul «Candido» Nebiolo prodotto da Einaudi e etichettato come vino del senatore. Peraltro degnissima persona, il Segretario Generale della Presidenza della Repubblica Fer- dinando Carbone ebbe un risveglio delle sue origini di magistrato penale e tenne ad affermare che il vilipendio contro il Capo dello Stato non era soltanto istituto monarchico. Guareschi non offrì alcuna attenuazione; venne condannato e - dopo la sentenza De Gasperi - non essendo più incensurato, finì a testa alta in prigione. Un provvedimento di grazia senza il suo consenso era improponibile. Negli scritti di quel periodo ritornano gli accenti di fierezza dell’ex internato. Agli albori degli anni cinquanta la situazione politica generale era andata in crisi. La coali- zione governativa aveva ritenuto di cautelarsi introducendo un premio di maggioranza che pe- raltro, non poteva correttamente essere equiparato a quello della Legge Acerbo con la quale Mussolini aveva scompaginato l’ordine democratico. Nelle elezioni del 1924 bastava un quarto dei voti per avere i tre quarti di seggi; nel 1953 il premio scattava solo se gli associati avessero raggiunto la maggioranza assoluta. Tralascio qui la questione se, essendosi verificato un nu- mero enorme di schede nulle, potesse rifarsi la conta o addirittura tornare ai seggi. Sta di fatto che gli alleati (Giuseppe Saragat particolarmente) abbandonarono De Gasperi; il cui governo monocolore nel luglio 1953 non ebbe la fiducia della Camera. affidò il governo al ministro del Tesoro Pella e qui va inquadrato l’episodio della lettera di cui ci stia- mo occupando. Dopo aver bussato a diverse porte, i possessori di questo falso documento trovarono acco- glienza presso Guareschi, che lo pubblicò sul Candido. Penso proprio che Guareschi lo ritenesse autentico; e che ritenesse dettate da amicizia o de- ferenza verso De Gasperi le pressioni fatte perché non si prestasse alla divulgazione. mi disse che erano quasi venuti alle mani. In quel momento De Gasperi (anche se internazionalmente tuttora apprezzato, affidandosi a lui la presidenza della Assemblea Parlamentare della CECA) era sotto il tiro incrociato di una diffusa ostilità. A parte le opposizioni, sette anni di presidenza del Consiglio, con riforme incisi- ve, ma anche con il logoramento delle alleanze pesavano sulla sua immagine. Spinte al ricam- bio (anche generazionale) erano molte. Ma più che altro gli si imputava di non aver asseconda- to l’apertura verso la collaborazione con le destre. Anche il Papa in persona - fino a che fu pos- sibile illustrargli la situazione vera - aveva benedetto un disegno per così dire anti-demo- cristiano per le elezioni di Roma ottenendone la docile paternità di don Luigi Sturzo. In un tentativo estremo (discorso a Predazzo il 31 agosto 1952) De Gasperi cercò di distinguere i mo- narchici dai missini - che chiamava gambalati e ricordava il passo dell’oca - ma senza esito. I monarchici non risposero ad un estremo appello per salvare l’ultimo governo del Presidente, mentre dettero a Pella, subito dopo, il sostegno necessario. Guareschi respirava quest’aria antidegasperiana, confortato - lui di radice cattolica vera - da due gesuiti importanti. Il primo, padre Riccardo Lombardi, era furioso per il blocco dell’Operazione Sturzo; l’altro, padre Antonio Massimei, mentre dava quotidianamente a Pella il consiglio di “tener duro”, tratteggiava nella Civiltà Cattolica una critica di fondo al degasperismo inteso come pericolosa apertura alla collaborazione con i laici. Né mancava in giro chi rimproverava allo stesso De Ga- speri di non aver imitato la Germania federale che aveva messo fuori giuoco il partito comuni- sta. Pella ebbe un momento di facile popolarità quando ordinò lo schieramento di truppe alla frontiera orientale in risposta ad una notizia di agenzia su un presunto piano di attacco da par- te del Maresciallo Tito. Taviani, ministro della Difesa (ne parla anche il diario “postumo”) con- divise questa manovra e fu accanto a Pella che tenne in Campidoglio uno... storico discorso. Il nazionalismo italico ebbe un sussulto di ripresa e la gente applaudiva Pella per le strade. Fi- nalmente avevamo un uomo alla guida della Nazione: l’espressione fu dell’ambasciatrice USA a Roma, Claire Booth Luce. De Gasperi che aveva approvato la scelta di Einaudi ed aveva voluto che io restassi come Sot- tosegretario proprio in segno di continuità, non condivise però questa parata; ed io stesso non andai in Campidoglio. Il consiglio di sottoporre alle Camere - come chiedeva De Gasperi - la ratifica del Trattato per la Comunità Europea di Difesa non fu accolto. In verità, pur essendo indubbio il suo anticomunismo, a Pella non dispiaceva un certo quieto vivere parlamentare. Con la Democrazia Cristiana il rapporto era, piuttosto freddo. In particolare esplose un con- trasto con i Gruppi parlamentari quando, in vista di un rimpasto, Pella annunciò la nomina di Aldisio a ministro dell’Agricoltura. Sia i deputati che i senatori reagirono negativamente ve- dendo (a torto, ma anche le impressioni contano) nella scelta di Aldisio una sconfessione della linea riformatrice di Segni. Il Quirinale fece un nuovo passo sbagliato. Si intromise nella pole- mica con una nota (pubblicata poi ne Lo scrittoio del Presidente) che contestava ai parlamentari questo diritto di veto. Chi lavorava, non tanto per sfiduciare Pella - questa era una conseguenza - quanto per rico- struire 1’ apparentamento con i partiti minori, era Mario Scelba, che formalizzò questo indiriz- zo in un discorso a Novara, senza averne minimamente avvertito De Gasperi, che lo criticò. Comunque in parecchi circoli serpeggiava il timore che lo stesso De Gasperi potesse rientra- re in attività e forse si candidasse nel 1955 per il Quirinale. Si ignorava - o si fingeva di ignora- re - le gravi condizioni della sua salute, molto compromesse già durante la campagna elettora- le. Attenti a non lasciare tracce, furono alcuni personaggi della finanza del Nord a coltivare Io scandalo del richiesto bombardamento di Roma, in collegamento anche con circoli inglesi che temevano il ritorno in sella di Churchill (gli elettori lo avevano giubilato subito dopo la vittoria per timore che volesse continuare la guerra contro la “cortina di ferro”, espressione da lui co- niata per dare l’allarme sui propositi dell’alleato sovietico). Ripeto: sono convinto che Guareschi fu attratto in questo disegno, partecipandovi in assolu- ta buona fede. Perché De Gasperi, che non aveva condiviso i seguiti penali dell’Operazione Einaudi- Nebiolo, non esitò a denunziare Guareschi? Penso che avesse la preoccupazione di non lasciare dubbi nella storia non tanto sua personale, quanto della Democrazia Cristiana. Gli argomenti di confutazione erano per il resto facili. Perché mai, ove avesse davvero voluto suggerire l’attacco aereo si sarebbe rivolto ad un livel- lo militare minore e non ad uno dei rappresentanti diplomatici alleati che erano in Vaticano e con i quali Guido Gonella aveva stretti rapporti? Si ricordi che all’ambasciatore inglese si era rivolto il Papa quando sondò invano la disponibilità degli alleati di assecondare il primo com- plotto dei generali tedeschi contro Hitler. Vi è poi la bizzarria (i falsari hanno tecniche specia- lizzate, ma poca fantasia) di una seconda lettera a pochissimi giorni di distanza per sollecitare una risposta. Ma esisteva davvero questo colonnello Bonham Carter? La ricerca fu facile: aveva avuto ef- fettivamente questo incarico al Sud ed era tuttora vivente. Rilasciò una immediata dichiarazio- ne. Non aveva mai ricevuto appelli del genere; né il suo mandato comportava decisioni o parte- cipazioni in argomento. Inoltre nel gennaio 1944 non sapeva neppure chi fosse De Gasperi. Proprio la sua disponibilità a venire a testimoniare nel processo rappresentò un elemento- chiave. Io accompagnai il Presidente a Milano, non solo per affettuosa solidarietà, ma per essere di- sponibile sul posto qualora il tribunale avesse ritenuto di sentirmi sui tentativi - di sinistra e di destra - di... commercializzazione della fotocopia. Non fu necessario. Per il resto fu decisiva la tesi del professor Delitala, di patrono di parte civile, della non necessità della perizia stante la testimonianza personale in udienza del colonnello inglese. Non si tratta di dubbi sulla validità delle perizie in genere, ma della esistenza di una prova testimoniale schiacciante contro l’accusato. Quella sera De Gasperi era ovviamente soddisfatto ma neppure una parola disse contro la persona di Giovannino Guareschi, che non propose appello facendo sì che la sentenza del pri- mo grado diventasse, come ho già detto definitiva e facesse scattare l’arresto per la condanna precedente. La polemica si sviluppò - e dura tuttora nel libro del Tritto - sulla opposizione alla perizia calligrafica accolta dal Tribunale. Ma non è corretto ignorare che fu considerata prevalente ed essenziale la testimonianza del presunto destinatario delle famigerate missive.

Bibliografia essenziale di Giovannino Guareschi - Archivio Guareschi - «Club dei Ventitré» Via Processione, 160 - I - 43010 Roncole Verdi (PR) - Tel. (39) 0524 92495 - fax (39) 0524 91642 - [email protected]