II Quaderni a cura del polo museale dell’ 2

Il Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo Villa Frigerj a

a cura di Lucia Arbace Valentina Belfiore

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A seguito del D.M del 23/12/2014 “Organizzazio- ne e funzionamento dei Musei Statali”, il Museo Sommario Archeologico Nazionale di Villa Frigerj di Chieti è entrato a far parte del Polo Museale dell’Abruzzo, con un formale passaggio di consegne da parte del- la Soprintendenza Archeologia avvenuto nell’otto- bre 2015. A nome dei miei collaboratori desidero esprime- re un sentito ringraziamento a tutti coloro che, Introduzione di Lucia Arbace 11 da Valerio Cianfarani ad Andrea Pessina, hanno contribuito negli anni con la propria opera ad ar- L’età del ferro: come nasce l’identità dell’Abruzzo antico 14 ricchire le collezioni, a curarne l’allestimento e a rendere prezioso questo luogo. Roberta Iezzi Il Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo • Dai Sabini Adriatici ai Pretuzi • Gli Equi • I • I Peligni - Villa Frigerj, le cui raccolte costituiscono una • I Marrucini straordinaria testimonianza della cultura dei po- • La scultura arcaica: immagini di guerrieri e di una principessa poli che hanno abitato in antico il territorio della regione, rappresenta il punto di partenza per ap- • Mimmo Paladino tra luci e ombre profondire la conoscenza di straordinarie, antiche • La scrittura in Abruzzo: iscrizioni al Museo civiltà. Insieme agli altri musei del territorio, Villa • Antichi testi: questioni generali Frigerj testimonia la ricchezza e varietà del patri- monio identitario dell’Abruzzo. Lucia Arbace Guerrieri, commercianti, aristocratici. Riti funerari a confronto 40 Direttore del Polo Museale d’Abruzzo Valentina Belfiore Testi: • Pendenti e passanti di collana in pasta vitrea dal mondo fenicio-punico Lucia Arbace Valentina Belfiore • Mode di lusso: letti in osso e letti in bronzo Roberta Iezzi Maria Emilia Masci Doni votivi e santuari locali 55 Monica Milani Valentina Belfiore Mariangela Terrenzio • Il santuario di Ercole a Sulmona Foto: • Eracle in riposo Antonello Cimini Mauro Vitale L’arrivo dei Romani 64 Grafiche: Valentina Belfiore Maurizio Crisante • Il valore delle immagini Salvatore de Stefano • Eracle Epitrapezios • Le tabulae patronatus di Amiternum

Appendici 80 • La collezione Pansa • Giovanni Pansa: un collezionista erudito • La collezione numismatica • Valerio Cianfarani: un soprintendente illuminato

Progetto grafico e realizzazione ZiP Adv Bibliografia 92 Promozione editoriale Terra d’Abruzzo - www.terradabruzzo.com Glossario 95 ISBN 978-88-97131-19-9 © ZiP Adv Edizioni ZiP Via G. D’Annunzio, 60 65127 Pescara www.edizionizip.it 9 10 11

È un luogo magico Villa Frigerj, immersa nella quiete della Villa comunale di Chieti. Ci sono spazi di luce e spazi d’ombra. È un rimbalzare continuo tra opposti, perché qui si celebra la morte ma ancor più la vita. Si manifesta qui a pieno la forte tempra delle genti italiche la cui origine affonda in un mito, il Bosco sacro, che lo studio di iscrizioni incise nella pietra stanno convertendo in verità. Si verificano abilità manifatturiere incredibili, coniugate alla capacità di gestire un territorio aspro e difficile ma ricco di materie prime fondamentali e aperto ai contatti perché attraversato da continui transiti di uomini e animali lungo direzioni che collegano tutti i punti cardinali. Sul fondo dell’atrio un Ercole monumentale da Alba Fucens offre una coppa: è simbolo di accoglienza e di forza nello stesso tempo. Non sbagliava Primo Levi l’Italico nel definire l’Abruzzo forte e gentile. Lo rivela per primo il Guerriero di Capestrano, un unicum nella statuaria antica. Un re, un principe, colto e fiero, ben armato di spada e pugnale ma nello stesso tempo dotato di fattezze eleganti con quel corpo tanto rotondo quasi a voler indicare che la perfezione consiste nella perfetta fusione degli elementi opposti, maschile/femminile. Emersa per caso oltre ottant’anni fa, questa prestigiosa scultura è esaltata dal gioco di luci che sfiora la scabra superficie della pietra, nell’istallazione di un apprezzato artista contemporaneo Mimmo Paladino. A seguire nel museo è un continuo scoprire e incantarsi dinanzi ai dettagli, perché tanti sono i capolavori che suscitano ammirazione anche da parte di chi non è ferrato in archeologia. Si incantano i bambini e gli adulti dinanzi ai letti di osso o ai bronzi che narrano storie di atleti e di guerrieri, uomini e donne egualmente amanti del bello e datati di un gusto raffinato. Emerge poi un po’ ovunque il sentimento del sacro, il quale affiora in maniera esplicita soprattutto nelle cospicue offerte votive alle divinità adorate nei santuari. Ed anche una consuetudine al viaggio, ad una vita dinamica e pienamente attrezzata per ogni eventualità. Lo si verifica nei corredi funerari dove quando non c’è una grande varietà di suppellettili, non 1. Nelle pagine precedenti, manca almeno l’essenziale per affrontare nuovi percorsi e veduta del salone al piano terra dedicato nuove avventure. alla statuaria romana 2. Ercole in riposo Lucia Arbace (età ellenistica) Polo Museale dell’Abruzzo 12 13

Sala del Guerriero nell’allestimento di Mimmo Paladino 14 15

L’età del ferro: come nasce l’identità al cervo, sacrificio rituale o viag- gio verso l’aldilà — la raffinata dell’Abruzzo antico scena trasmette l’emozione Roberta Iezzi di un racconto figurato che non si ferma al piano narrativo ma vuole co- municare un messaggio simbolico alla comuni- Dai Sabini Adriatici ai Pretuzi tà di cui il defunto era Le origini dei popoli italici dell’Abruzzo antico sono posti dalle fonti letterarie in territorio membro, proiettando sabino, indicato quale punto di partenza per la migrazione di gruppi di giovani consacrati alla l’immagine di un uomo divinità e guidati da un animale totemico alla ricerca di nuove terre in cui insediarsi. di rango e potere. Le notizie storiche attribuiscono ai Sabini l’occupazione della valle del Tevere fino a Roma e Il popolo appartenente alla conca di Amiternum, in una zona strategica per contatti commerciali e culturali con i Pi- all’ethnos sabino che in età ceni delle vicine Marche e l’area campana. Le evidenze archeologiche suggeriscono l’esistenza storica verrà definito con il di un percorso antico tra Piceno e Campania e rivelano legami con l’area vestina e peligna in termine di Pretuzi era stabilito un reciproco scambio di manufatti, usanze e oggetti decorativi. nel territorio che si estende tra il Lo straordinario racconto di un viaggio mitico con “l’eroizzazione del capostipite” è simbo- Gran Sasso e i Monti della Laga, licamente rappresentato nella scena della straordinaria fibula in bronzo dalla tomba 45 della una vasta area compresa tra i fiumi necropoli di Pizzoli che non trova confronti nel panorama nazionale (fig. 3). Rinvenuta in Salinello e Vomano. Caratterizzata da un una sepoltura monumentale, che si distingueva dalle altre sia per la forma che per il particola- clima mite e da un paesaggio collinare degra- re rito funebre dell’incinerazione, la fibula era stata probabilmente utilizzata per racchiudere dante verso il mare, avrà come centri principali in un tessuto i resti combusti di un personaggio ricondotto in patria dopo la sua morte. Figure in epoca romana le città di Hatria (Atri), Castrum 4. Disco ornamentale in bronzo da umane ed animali, ben tratteggiate nei dettagli, sono raffigurate con valore simbolico nell’e- Avezzano, località Cretaro, VIII-VII sec. a.C. Novum (Giulianova) e Interamna Praetutiorum vidente volontà di tramandare ed enfatizzare il ricordo di un momento significativo, legato (Teramo). Durante l’età del Ferro le ampie zone pianeggianti vengono occupate da una serie alla sfera rituale, della vita del defunto. Pur nelle diverse ipotesi di interpretazione — caccia di villaggi edificati in posizione strategica per il controllo del territorio, in aree adatte all’a- gricoltura e all’allevamento, spesso alla confluenza di grandi fiumi. L’estesa necropoli nella pianura di Campovalano ci offre la più completa testimonianza archeologica dell’emergere di veri e propri principi guerrieri tra l’età orientalizzante e arcaica (VII-VI sec. a.C), che osten- tano la loro ricchezza e l’appartenenza all’aristocrazia locale attraverso il possesso di oggetti preziosi e la pratica del banchetto secondo modalità di autorappresentazione che sono proprie delle élites tirreniche (fig. 13). Personaggi maschili di alto rango sepolti nelle monumentali tombe a tumulo costituivano un punto di riferimento per la comunità che, oltre alle donne di famiglia, seppelliva attorno o entro il circolo anche i neonati e i bambini con ricchi corredi. La qualificazione militare del ceto egemone viene enfatizzata nelle sepolture maschili dalla presenza di armi di vario tipo (fig. 7) e dalla deposizione del carro da guerra a due ruote in legno e ferro, casi unici in Abruzzo che trovano confronti nelle vicine necropoli marchigiane. All’interno del ceto egemone erano riconosciuti ruoli prestigiosi alle donne anche in virtù della propria attività lavorativa con particolare richiamo alla valenza nobilitante della tessitura che consentiva la realizzazione di vesti e tessuti ricamati di grande valore economico e simbolico. Nel quadro di una straordinaria valorizzazione di sepolture di donne che dovevano occupare un posto importante, spicca la tomba 119 di Campovalano, dove è deposta una preziosa conocchia rivestita in pasta vitrea di colore giallo che sottolinea il ruolo della defunta in qualità di detentrice 3. Fibula in bronzo da Pizzoli, del potere all’interno della sua famiglia — e forse nell’ambito della stessa comunità — in quanto località Scentelle-Capaturo, VIII sec. a.C. assimilabile ad uno scettro o ad una insegna di comando (fig. 8). Anche i suoi alti sandali con 16 17

le suole rivestite in bronzo decorate da abili mani con scene di animali fantastici e reali sono Gli Equi segno di grande raffinatezza e lusso, di appartenenza quindi al ricco ceto egemone (fig. 6). Il popolo degli Equi occupava, a partire Ricche parures di gioielli realizzate in bronzo e materiali preziosi, deposte anche nelle tombe dagli inizi del V sec. a.C., una piccola di bambine, arricchivano l’abbigliamento femminile e costituivano un insieme di segni dal zona montuosa compresa tra la valle valore allusivo: pendagli con conchigle cipree, denti di cinghiali, bulle e manine, oltre ad esse- dell’Aniene, nell’attuale Lazio, e il lago re espressione di ricchezza ed elementi caratteristici del costume locale, richiamavano la sfera Fucino ad est. Il territorio, fonda- della fertilità con scopo apotropaico. In questo momento di massimo splendore (tra il VII e mentalmente articolato in tre nuclei la metà del VI sec. a.C), forse con il contributo di maestranze provenienti dall’area tirrenica, (Piana del Cavaliere, Valle del Salto si produce vasellame ceramico che ricorda il bucchero etrusco per la forma e il colore ma è e Piani Palentini), era organizzato arricchito con decorazioni plastiche di notevole qualità. secondo una precisa progettazio- Calici su alto piede e kantharoi (ad es. figg. 5,14) vengono deposti nei corredi più ricchi ne, cosicché una serie di centri di Campovalano, in prevalenza in fortificati d’altura erano posti a tombe maschili, con valenza di og- corona a scopo difensivo attor- getto ricercato e prezioso secondo no agli abitati, con luoghi di se- un modello funerario condiviso poltura nelle zone pianeggianti. finalizzato alla valorizzazione delle Centri principali in età storica prerogative del defunto. erano Alba Fucens e Carsioli in Il legame della parte settentrionale posizione strategica per i collega- del territorio abruzzese con l’area menti con l’area centro italica. picena è particolarmente forte nella Utili indicazioni per la ricostruzio- comunità che gravitava nella zona ne di alcuni tratti caratteristici della dell’odierna Tortoreto. Il rito fu- società antica ci sono pervenute dai re- nerario e le ricche associazioni dei centi scavi della vasta necropoli dell’età del 7. Elmo in bronzo corredi della necropolidi Colle Ba- di tipo corinzio da Campovalano, VI sec. a.C. Ferro (VIII-VII sec. a.C.) in località Cretaro detta (IX-VI sec. a.C.), scavata alla di Avezzano, che ha consentito una rilettura in fine dell’800 e a cui sono ascrivibi- chiave nuova di materiali archeologici generalmente attribuiti all’armamento maschile, ma li le tombe rinvenute di recente in rivelatisi di pertinenza del mondo femminile. Nella maggior parte delle tombe femminili, località Case Pecci, la distinguono e in un caso all’interno dell’unico circolo di pietre documentato, erano presenti dischi di rispetto agli altri ambiti regionali e trovano invece specifici confronti nelle coeve necropoli mar- bronzo di diverse dimensioni decorati con motivi geometrici o animalistici, quasi sempre chigiane. Un segno di distinzione sociale era rappresentato dalle ricche parures femminili in collocati a coppie presso la testa o sul petto o ai piedi della defunta. Solitamente interpretati ambra, una resina fossile cui era attribuita una natura divina e un potere magico-terapeutico, come “dischi corazza” perché rinvenuti fuori contesto, dopo questa eccezionale scoperta sono molto ricercata in quanto bene di lusso e simbolo di una élite che attraverso il suo possesso stati esclusivamente connessi al mondo femminile con la funzione di caratterizzare l’abbiglia- esibiva il proprio potere d’acquisto. mento di ricche signore (fig. 4). Si tratta degli elementi terminali di una lunga e preziosa stola di cuoio o stoffa che si portava appesa al collo, non solo come lussuoso ornamento ad ostentazione del rango e della ricchez- 5. Calice a corolla d’impasto da Bazzano, VII sec. a.C. 6. Sandali in bronzo da Campovalano, VI sec. a.C. za, ma anche segno della propria identità femminile. Diverse sono le ipotesi ricostruttive avanzate dagli studiosi — con il grande disco posizionato al centro del petto oppure sul ventre — ma univoca è la sua interpretazione: ornamento allusivo della fertilità della donna, adatto a proteggere dai malefici e a favorire la fecondità di chi lo indossava.

8. Conocchia in pasta vitrea da Campovalano, VI sec. a.C. 18 19

I Vestini Le armi, indossate al momento della morte o tenute in mano, tramandavano nei secoli il Il popolo dei Vestini, definito così a partire dal IV sec. a.C., abitava nell’ampia area che si ricordo della capacità guerriera e quindi l’appartenenza ad un ristretto gruppo aristocratico estende fra il fiume Pescara e i confini meridionali dell’attuale provincia di Teramo, domina- che dominava all’interno della comunità ancora agricolo-pastorale. ta dal monte Gran Sasso (l’antico Mons Fiscellus) che divideva il territorio in due zone ben Alle donne, invece, era riconosciuto il ruolo di esaltare la potenza e la ricchezza della famiglia distinte. attraverso l’esibizione di spettacolari e preziosi ornamenti, spesso forgiati dalle sapienti mani Al di là dell’imponente montagna, secondo il punto di vista dei Romani, si estendeva l’area di abili artigiani locali capaci di lavorare insieme il ferro e il bronzo; caratteristica del costume dei Vestini Transmontani, prevalentemente collinare, con una economia di tipo agricolo e femminile a Fossa erano i dischi in ferro impreziositi da borchie di bronzo, elettro o ambra, e aperta sul mare Adriatico mediante gli approdi alle foci del fiume Pescara e Saline. Nel- cinturoni e stola rivestiti con placche metalliche decorate (fig. 9). la riorganizzazione augustea dell’Italia l’antica, Penne (Pinna Vestinorum) ne era il centro I più importanti momenti della vita quotidiana dell’élite aristocratica erano scanditi da precisi principale, mentre gli insediamenti minori erano costituiti dai centri di Città Sant’Angelo rituali che richiamavano atmosfere e valori del mondo omerico. Tra il IX e l’VIII sec. a.C., (Angulum), Spoltore, Moscufo, Montebello di Bertona, Colle Fiorano di Loreto Aprutino e per sottolineare l’adozione di nobili stili di vita, viene deposto nelle sepolture il kit di oggetti Pescara (Ostia Aterni). utilizzati per il consumo del vino durante il simposio, una anforetta per versare il vino ed una Al di qua del Gran Sasso erano il comprensorio dei Vestini Cismontani e comprendente l’al- tazza per bere.

9. Cinturone in bronzo da Fossa, VIII sec. a.C.

topiano di Navelli, parte della conca aquilana e la Valle del Tirino. Questo territorio, stretta- Particolarmente significativa è il rinvenimento di tazzine-attingitoio in bronzo (i cosiddetti mente collegato al mondo romano e campano, era soprattutto montuoso con una economia “cucchiai da sommelier”) nella necropoli di Fossa: poiché collocate nelle tombe femminili legata all’allevamento del bestiame, esercitata con forme di transumanza verticale che portava sembrano indicare la partecipazione delle donne e quindi la condivisione degli stessi valori le mandrie dai pascoli in quota nei mesi estivi fino alle colline e alle pianure sottostanti. I aristocratici (fig. 12). Questa presenza non stupisce se si pensa che proprio dal territorio principali centri antichi erano Peltuinum (Prata d’Ansidonia), Aveia (Fossa) e Aufinum (tra vestino proviene la statua funeraria della “dama di Capestrano”, rara immagine femminile Capestano e Ofena). immortalata dalla scultura. Nell’area dei Vestini Cismontani, a partire dal IX sec. a.C. e nella prima parte del periodo Con il trascorrere del tempo (tra il VII e VI sec. a.C.) la società subisce una profonda tra- orientalizzante (VIII-VII sec. a.C.), vengono realizzate estese e monumentali aree cimiteriali sformazione con l’emergere di nuovi personaggi che attraverso gli scambi commerciali con nelle pianure di fondovalle che fanno riferimento ai vicini abitati fortificati di altura posti a gli Etruschi, i Fenici e i Greci, introducono oggetti dal valore simbolico e contribuiscono alla controllo del territorio. Sorgono le necropoli di Fossa, con circa 600 sepolture databili tra la diffusione nuovi modelli di vita ispirati agli usi e costumi etruschi. Tali oggetti convivono prima età del Ferro e il I sec. d.C, e di Bazzano, che ha restituito 1662 sepolture dalla metà con quelli di produzione locale, ispirando talvolta nuove forme, e con quelli provenienti dalle dell’VIII sec. a.C. all’età ellenistica. vicine aree sabine e picene. Le comunità locali, per seppellire con la massima visibilità i personaggi più importanti per il Oltre a nuovi ornamenti, nei corredi funerari compare il vasellame utilizzato durante i ban- loro potere e ricchezza, realizzano grandi tombe a tumulo raggruppate secondo clan familiari. chetti, momento fondamentale di aggregazione e di ostentazione di ricchezza, nel consumo Si tratta di veri e propri monumenti funerari diffusi in tutto l’Abruzzo e in Etruria meri- collettivo di carne, che rappresentava un’importante occasione di incontro tra gli individui dionale fino al VI sec. a.C., in cui il defunto è deposto sul terreno al centro di un circolo di “emergenti” in cerca di appoggi ed alleanze. pietre coperto da un cumulo di terra o pietrame di altezza variabile. Spesso l’esterno delle più Anche nelle tattiche di guerra si legge un cambiamento poiché alla lotta corpo a corpo si importanti sepolture maschili è segnato da un allineamento di pietre (menhir), come a Fossa sostituisce un combattimento tra guerrieri allineati. Indicativo della diversa concezione della o Bazzano, in direzione del tramonto del sole ad indicare simbolicamente la fine della vita. guerra, che non è più prerogativa dell’élite dominante, è quanto accade a Bazzano (tra il se- 20 21

archeologiche indicano un’alta densità di popolazione diffusa su tutto il territorio nella forma di abitati sparsi. Le necropoli di Loreto Aprutino, Montebello di Bertona, Vestea, Civitella Casanova, Penne, disposti a corona attorno agli insediamenti, rivelano una stretta omogeneità culturale tra di loro. Una testimonianza significativa è data dalla necropoli di Montebello di Bertona, alle falde del Gran Sasso, scavata negli anni ’50 dal barone Giovanni Battista Leopardi. La presenza di oggetti di importazione, come le brocche di tipo sabino di età arcaica o le 10. Spada in bronzo con fodero da Guardiagrele, località Comino, fine IX-VIII sec.a.C. collane e i pendagli fenici di pasta vitrea nelle tombe ellenistiche indica che il territorio rien- trava nella stessa rete di contatti commerciali e culturali delle necropoli del territorio vestino cismontano. Lo stesso vale per l’adozione di usanze e rituali di stampo aristocratico etrusco condo quarto del VII e la prima metà del V sec. a.C.) dove quasi tutti gli individui di sesso testimoniato dal vasellame in bronzo da banchetto. maschile sono sepolti con le armi ad indicare la forte componente militare della popolazione. Il costume femminile ricco di elementi ornamentali sembra comune all’intera area pescarese. Nelle tombe compare una spada lunga in ferro adatta ai colpi dall’alto verso il basso, talvolta Oltre alla decorazione della veste con fibule di bronzo indossate a coppie sul petto o sulle decorata con figure sull’impugnatura e sul puntale del fodero (fig. 10), inserendovi anche spalle, talvolta con dischi di osso inseriti nell’ago, una particolare attenzione era riservata intarsi in osso, come la spada che è raffigurata sulla statua del guerriero di Capestrano. all’acconciatura del capo ornato da file di catenelle di bronzo. Nell’età arcaica (VI sec. a.C.) ormai gran parte delle tre pianure che compongono il territorio La presenza di un ceto guerriero su cui spiccano figure di rango trova la sua espressione nella cismontano viene occupata dalle necropoli, di cui la più nota è quella di Capestrano da cui stele funeraria che prende il nome di “Testa Leopardi” dal suo scopritore, dalla necropoli di proviene la celebre statua del Guerriero. Farina Cardito a Loreto Aprutino. La provenienza da un piccolo nucleo sepolcrale costituito Gradualmente scompaiono i grandi tumuli e le tombe sono costituite da una semplice fossa prevalentemente da tombe femminili e infantili, i cui corredi funerari indicano una parti- scavata nel terreno, accomunate nella maggior parte dei casi dalla presenza di un vaso per colare ricchezza e contatti culturali e commerciali con l’Etruria, ne fa una testimonianza di l’offerta di vino al defunto, dalla forma standardizzata ma dalla grandezza variabile secondo particolare significato. Esemplari di statuaria in pietra accomunano i Vestini cismontani con l’importanza della persona sepolta. i Vestini transmontani e i vicini Marrucini. I corredi funerari contengono sempre più numerosi riferimenti al banchetto che si svolgeva in occasioni particolari e secondo modalità costanti finalizzate ad esibire uno stile di vita I Peligni aristocratico. Vasellame ed utensili per la preparazione di cibi e bevande deposti nelle tombe Il territorio dei Peligni si estendeva nell’area compresa tra le valli fluviali del femminili delineano una élite in cui la donna è considerata quanto l’uomo. Gizio e del Sagittario, costituita da ambienti naturali molto diversi, ricca I reperti indicano in questo periodo una diretta affinità fra l’area interna dei Vestini Cismon- di corsi d’acqua lungo i quali si snodavano i principali assi di tani e la zona costiera dei Vestini Trasmontani, dove fra VI e V sec. a.C. le testimonianze percorrenza e dominata da imponenti catene montuose, tra cui la Maiella e il Morrone. Lungo le linee dei cri- nali, in epoca arcaica, vari centri fortificati erano posti a 11. Biconico in bronzo da Fossa, di importazione etrusca, VIII sec. a.C. controllo di pascoli, valichi e zone pianeggianti. Il Colle Mitra, a sud dell’odierno abitato di Sulmona, rappresen- 12. Tazzina-attingitoio in bronzo ta il più imponente esempio di sito difeso con circuito da Fossa, VIII sec. a.C. murario. Aperto ai contatti con le popolazioni della costa tirrenica del Sannio meridionale, aveva come principali insediamenti in età romana i centri di Corfinium (Corfinio), capitale dell’insurrezione italica durante la guerra sociale, Sulmo (Sulmo- na), patria del poeta latino Ovidio, e Superaequum (Castelvecchio Subequo). Alle necropoli dell’età del Ferro con monumentali tombe a tumulo che domina- no il paesaggio si sostituiscono in età arcaica le tombe a semplice fossa come quelle rinvenute nei pressi di Molina

13. Oinochoe “rodia” in bronzo da Campovalano, VII-VI sec. a.C. 22 23

Aterno in località Campo Valentino, dove si conservano le tracce dell’esistenza di un ceto di ricchi guerrieri, distrutte solo in parte dalla sovrapposizione di un insediamento in età roma- na. La splendida spada della tomba 11 con il fodero decorato dal puntale in osso con figure a traforo richiama le armi da parata raffigurate tra le braccia del Guerriero di Capestrano del vicino comprensorio vestino, cui l’accomuna anche il corredo ornamentale con fibule ed armille. Rinvia, invece, ad ambiti culturali di area tirrenica una raffinata oinochoe di bronzo con attacco conformato a testa di felino rinvenuta dentro una grande olla ai piedi del defunto: oggetto di lusso di importazione etrusca, testimonia l’appartenenza del proprietario all’eleva- to ceto economico e sociale.

I Marrucini Nella stretta fascia che dalla costa risaliva alla Maiella, ricadeva in epoca storica il territorio dei Marrucini, segnato dalle valli fluviali del Foro e dell’Aterno-Pescara dove in età romana sorgerà la città di Ostia Aterni, punto di approdo condiviso già dal V sec. a.C. tra Marrucini, Vestini e Peligni. Era una zona di grande importanza strategica, attraversata da percorsi di transumanza stagionale che costituivano vie di contatto con i popoli tirrenici verso l’interno e di scambio con l’area sud adriatica. Al centro di questo sistema dominava la Maiella, montagna sacra per eccel- lenza dove si apriva una cavità naturale conosciuta come “Grotta del Colle” nell’attuale comune di Rapino, fin dal VI sec. a.C. luogo di culto per gli insediamenti circostanti. di Comino con monumentali tombe a tumulo, è la presenza di elementi circolari in pietra lavorata — su alcuni dei quali si può immaginare un piumaggio — simbolicamente collocati con funzione di sémata all’esterno delle sepolture di maggiore prestigio. Lungo il margine dei circoli maggiori erano posizionati anche alti vasi troncoconici (fig. 17) che raccoglievano le offerte alimentari della cerimonia funebre, come accade nella necropoli vestina di Fossa, venendo a costituire un visibile segno di ricchezza e status sociale. Alla prevalente attività della guerra facevano riferimento la spada di bronzo e la lancia, deposti al lato del defunto (fig. 10), mentre il rasoio ne indicava l’età adulta. Il tratto distintivo del più antico abbigliamento fem- minile delle donne di alto rango era costituito da fibule di dimensioni eccezionali che sostenevano lun- ghe catenelle dall’affascinante effetto sonoro a cui si associavano fibule in bronzo a quattro spirali secondo un modello “importato” dall’Italia meridionale. A questo apparato decorativo, frutto di scambi e contatti culturali con l’area sud-adriati- ca, era demandato il compito di rappre- sentare lo status sociale della famiglia di appartenenza.

L’unico centro urbano menzionato in epoca romana dalle fonti antiche era Teate Marrucino- 14. Kantharos in bucchero etrusco rum (Chieti). Da questo territorio provengono i frammenti di varie sculture antropomorfe da Bazzano, VII sec. a.C. 15. Olla in impasto da Castel di Ieri, di epoca arcaica (la stele di Guardiagrele, il torso di Rapino e la testa di Manoppello) che VII sec. a.C. possiamo immaginare collocate a segnalare le tombe di personaggi di altro rango. 16. Olla decorata con lamelle metalliche I rinvenimenti nella necropoli di Comino di Guardiagrele, sul versante orientale della da Fossa, VIII sec. a.C. 17. Vaso biconico in argilla da Guardiagrele, Maiella, consentono di ricostruire il quadro di queste civiltà fin dal IX sec. a.C. Caratteristica località Comino, fine IX-VIII sec. a.C. Una sala del primo piano con il plastico della necropoli di Fossa 26 27

La scultura arcaica: immagini di guerrieri e di una principessa Valentina Belfiore

L’Abruzzo meridionale offre diversi esempi di scultura di notevole livello. Rispetto ad alcune stele antropomorfiche del Piceno (Belmonte), e del teramano (le stele di Bellante), le statue-stele di Atessa, di Capestrano, di Rapino e le stesse “gambe del diavolo” da Collelongo, rappresen- tano testimonianze significative per la statuaria italica di età arcaica. Sfortunatamente, la mag- gior parte di queste stele è priva di contesto archeologico: le sculture provenienti da zone di necropoli non sono mai associate alle tombe cui appartenevano. Spesso mancanti della parte in- feriore, è possibile che siano andate incontro ad una distruzione volontaria. Tra i primi esempi scultorei della prima metà del VII sec. a.C. si considera la statua-stele di Guardia- grele, abbigliata con una collana con pendenti a batocchio e con una coppia di dischi-corazza or- nati dall’immagine di un quadrupede. Su un lato è anche visibile una lancia con la punta rivolta in alto, che anticipa la rappresentazione del capo guerriero espresso nel modello di Capestrano. Il torso di Atessa, rinvenuto in località Piano San Giorgio, appartiene ad una fase più tarda e già pienamente sviluppata in senso tridimensiona- le: la figura longilinea, il cinturone indossato, le braccia addossate a pilastrini di sostegno per- mettono di attribuirlo almeno alla fine del VII sec. a.C. Nonostante lo stato di conservazione compromesso, è possibile notare delle linee di decorazione sul petto che probabilmente allu- dono alla presenza di armi e al sistema di so- spensione di tipo italico (fig. 21). Il guerriero di Capestrano (fig. 18, 20, 25) costi- tuisce una delle più alte testimonianze di arte scultorea dell’antichità al di fuori della tradizione classica greca e romana. La statua rappresenta una figura virile sostenuta da due pilastri su cui sono rappresentate due lance con punta rivolta verso l’alto. Il guerriero è abbigliato con un cor- to perizoma (mitra), un monile al collo (torques), un’armilla sull’omero sinistro e indossa calzari leggeri. È armato di dischi corazza, sostenuti sul

18. Il guerriero di Capestrano, metà del VI sec. a.C. Dettaglio del torso 28 29

La dama, di più piccole dimensioni rispetto al guerriero, rappresenta un unicum non solo sul versante adriatico, ma anche nel pano- rama antico in generale. Difficilmente figure femminili si prestano ad essere immortalate in forme scultoree: qualche esempio è noto in ambito etrusco da Vetulonia e da Chiusi, ma solitamente si tratta di piangenti con lo scopo di enfatizzare il rito e il luogo della commemo- razione funebre. La dama rappresenta al con- trario la defunta riccamente abbigliata: se si collega l’eccezionalità della scultura con quella di alcune tombe femminili con armi (una lan- cia) emerge il ruolo della donna moglie di un capo guerriero, che alla morte del marito può assumerne alcuni poteri. Il guerriero di Capestrano finisce ben presto col rappresentare un modello: sculture che ne replicano le forme sono sicuramente il torso di Rapino, che nonostante la sua frammentarietà mostra lo stesso tipo di perizoma, una mitra. Quel che resta delle mani è posizionato allo stesso modo del guerriero, al di sopra di un pugnale o sulla punta di una spada indossata di traverso. Un altro frammento statuario, questa volta completamente privo di contesto, è rappre- sentato dalle “gambe del diavolo”, trovate mu- rate in una vecchia struttura a Collelongo. Le gambe presentano un profilo tagliente e una

(grafica: M. Crisante, Salvatore Stefano) De Salvatore Crisante, M. (grafica: maggiore adiposità verso le anche, secondo i caratteri propri dello stile arcaico. A differenza 19. Luoghi di provenienza delle sculture: 1 Bellante; 2 Penna Sant’Andrea; 3 Loreto Aprutino; 4 Capestrano; 5 Guardiagrele; 6 Rapino; 7 Atessa; 8 Collelongo delle gambe del guerriero, tuttavia, si stagliano ad altissimo rilievo contro il fondo. Se il tutto tondo rappresenta un punto d’arrivo nella tec- nica scultorea, si può quindi immaginare che le petto e sulla schiena da un complesso sistema di sospensione. Tra le braccia, il guerriero reca i sim- “gambe del diavolo”, insieme al torso di Ates- boli del potere: una particolarissima ascia trapezoidale e una spada lunga con elsa a croce, che dal sa, rappresentino degli antecedenti rispetto al guerriero identifica il tipo della spada lunga, dunque detta “tipo Capestrano”. La rara associazione guerriero stesso. di armi simboliche sottolinea l’alto rango del defunto, così come il particolare copricapo a larga Il progressivo distacco della figura dal fondo — tesa. Rispetto ad altri esemplari che si inseriranno in questa concezione figurativa, il guerriero di è visibile anche nella “testa Leopardi” (fig. 22), Capestrano è senza dubbio uno degli esemplari più compiuti e meglio conservati del VI sec. a.C. che rappresenta ancora un altorilievo. La testa, Negli anni ’30, nella necropoli di Capestrano, insieme alla statua-stele sono stati segnalati un altro come le stele di Penna Sant’Andrea e come la torso maschile, ora andato perduto e un torso femminile, la “dama” (fig. 23). Secondo una recen- più antica stele di Guardiagrele, mostra una te ipotesi, il totale di almeno tre sculture poteva appartenere alla stessa tomba riproducendo un risega tutt’intorno alla fronte e dei fori sul lato gruppo familiare eminente nella comunità seppellita nella necropoli. Dettagli relativi al costume, all’insieme di armi e alla tecnica scultorea permettono ora di ritenere il guerriero e la dama con- temporanei, dunque entrambi realizzati intorno alla metà del VI sec. a.C. dallo stesso scultore. 20. Il guerriero di Capestrano in visione frontale 30 31

Mimmo Paladino. Tra luci e ombre

L’incontro tra arte antica e contemporanea al Museo Archeologico di Villa Frigerj trova espressione nella Sala del Guerriero di Capestrano inaugurata nel 2011. Per racchiudere il segnacolo funerario più im- ponente dell’Abruzzo protostorico, il nuovo allestimento realizzato dall’artista Mimmo Paladino propone una suggestiva ambientazione scenografica a graffiti murali. Esponente della Transavanguardia, Pa- ladino, con una produzione innervata dal richiamo estetico e formale delle antiche civiltà del passato, dal Gesto e dalla Memoria dell’uomo riletti in chiave moderna con un linguaggio sempre in divenire, ha creato uno stile personale improntato al ritorno alla manualità tra- mite l’utilizzo di tecniche tradizionali. Nella penombra accentuata da 21. Torso di Atessa, metà del VII sec. a.C. pareti e pavimento in grigio scuro, semata sepolcrali in pietra danno 22. “Testa Leopardi” da Loreto Aprutino, metà del VI sec. a.C. il senso di un percorso viatico che parte dal frammento per arrivare 23. Dama di Capestrano, metà del VI sec. a.C. all’unità dell’opera, al Guerriero racchiuso in una bianca parete curvi- superiore che lasciano pensare al fissaggio di un copricapo analogo a quello del guerriero. linea su cui sono impercettibilmente graffiti segni e simboli archetipi- La rappresentazione della figura umana è riflessa in modo peculiare da questo insieme di statue, ci come sagome, teste, frecce, animali, rami, utensili e una clessidra. Il che si differenzia profondamente dalle contemporanee manifestazioni scultoree della penisola. Il chiaro pavimento realizzato con un impasto di pietra calcarea lieve- panorama del VII-VI sec. a.C., dominato dal modello culturale etrusco, appare infatti più vicino alle mente in salita accompagna allusivamente al tumulo. Effetti di luce correnti greche e microasiatiche. Al contrario, l’area adriatica, pur inserita nel flusso di contatti cul- dissolvono la percezione del tempo storico e annullano la distanza turali con il centro Europa (guerriero di Hirschlanden, guerriero di Glauberg) mostra degli sviluppi fra presente e passato con un’atmosfera di atemporalità che autonomi e indipendenti. avvolge il visitatore in un sistema complesso di relazioni costituito da dubbi, interrogativi, incertezze, con-

4. Piano della necropoli di Capestrano da cui provengono il guerriero e la dama (da Moretti 1936-37) templazioni, visioni immaginarie. Dalla pura forma geometrica si stacca l’ombra del Guerriero. Le stele divengono pre- ziosa testimonianza storica ed epigrafica, parti di antiche élites aristocratiche che si raccontano at- traverso i simboli del potere. 32 33

LA SCRITTURA IN ABRUZZO: iscrizioni al museo Valentina Belfiore

Le sale di Villa Frigerj ospitano alcune tra le più importanti iscri- zioni documentate in lingua paleosabellica: l’iscrizione sul guer- riero di Capestrano, una delle più antiche insieme all’iscrizione sul vaso d’impasto da Campovalano (fig. 30), si veda più avanti); le iscrizioni sulle tre stele da Penna Sant’Andrea, eccezionale testi- monianza dell’origine sabina di queste popolazioni; le iscrizioni su ceramica da Amiternum, tra le pochissime su un supporto che non sia di pietra; e infine una rara iscrizione su un bracciale in bronzo.

1. L’iscrizione sul guerriero di Capestrano (fig. 25), priva di segni d’interpunzione, può essere letta e interpretata in due modi: ma kuprí koram opsút aninis raki nevíi pom[puled]í oppure: ma kuprí koram opsút aninis rakineḷíṣ pom[pune]í

In entrambe le letture l’oggetto, la statua, è ricordato come bella opera fatta o piuttosto fatta fare da Aninis. Nel primo caso Aninis sarebbe l’artefice e il re Nevio Pompuledio il committente e an- che il destinatario dell’opera. Nella seconda alternativa, la statua è opera commissionata da Aninis Rakinelis per un personaggio, Pom(ponio) o simili. Che si parli di un artefice che crea per un re, oppure di una com- memorazione di un personaggio da parte di un altro, è comun- que evidente che un’opera simile doveva richiedere un impegno economico non indifferente, sostenibile solo da parte di figure di alto rango.

2. Dei tre testi da Penna Sant’Andrea, anch’essi ritrovati vicino alla necropoli ma senza un vero e proprio contesto, uno solo è integro (fig. 26). In esso si legge: *idom safinús estuf e*elsít tíom po|vaisis pidaitúpas fi- tiasom múfqlúm meṇṭfistrúị́ nemúneí praistaít panivú mei- ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ tims saf|inas tútas trebegies titúí praistaklasa posmúi ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ ⋮ La traduzione,⋮ ⋮ tuttora⋮ molto ipotetica,⋮ ⋮ è: “Questo i Sabini⋮ eressero qui, te, quello che hai raggiunto, un monumento per le tue ope- re, non è eretto per nessun (altro?), .. il dono? della comunità dei Sabini a Tito figlio di Trebegio, per il quale questo è il luogo di celebrazione”. Le iscrizioni funerarie picene sono caratterizzate da un linguag-

25. Dettaglio dell’iscrizione sul pilastro sinistro della statua del guerriero 26. Una delle tre stele da Penna Sant’Andrea, V sec. a.C. 34 35

ANTICHI TESTI: QUESTIONI GENERALI Valentina Belfiore

Le tante iscrizioni trovate in Abruzzo permettono di sviluppare diverse considerazioni sulle lingue parlate in antico in questa regione. Qui sono do- cumentati tre tipi di scrittura, corrispondenti a tre lingue diverse: paleosabellica o picena, osco e la- tino. I testi in paleosabellico sono per lo più rap- presentati da iscrizioni su stele funerarie, datate tradizionalmente tra il VI e il V sec.a.C., mentre le iscrizioni in alfabeto latino e lingua osca non risal- gono a prima del III sec. a.C. I luoghi di provenienza delle iscrizioni paleosabel- 27. Bracciale dalla valle del Pescara, VI-IV sec. a.C. liche e osche in alcuni casi si sovrappongono, a te- stimoniare che il confine culturale, oltre che lingui- stico, muta nel tempo: troviamo così iscrizioni in gio pomposo, fortemente allitterante e ritmico: non solo la scrittura è appannaggio dell’aristo- alfabeto piceno fino a Sulmona (fig. 29.18), l’avam- crazia, questi testi ne sono un vero e proprio elogio. L’uso della seconda persona in un testo fu- posto più meridionale, e iscrizioni osche a Rapino nerario trova confronti nella cultura greca a partire dal V sec. a.C., quando cominciano ad essere (non lontano da Crecchio, fig. 29.16). Il limite ovest attestati epitaffi in forma di carmina (versi poetici) che si rivolgono direttamente al passante per del piceno è segnato dalle iscrizioni di Cures nella attirarne l’attenzione. Sabina, insieme ai recenti documenti di Amiternum I volti scolpiti su queste stele, molto stilizzati, probabilmente alludono anche anche alla rap- e alle iscrizioni segnalate a Norcia, ormai in pieno presentazione di una barba. La presenza di denti sulla parte superiore della stele lascia pensare territorio umbro. all’inserimento di qualcosa come un cappello a tesa come quello del guerriero o altro tipo di Le iscrizioni picene a nord raggiungono la valle del copertura. Cesano (Marotta-Mondolfo, fig. 29.19), anziché il corso dell’Esino come ritenuto fino in anni recenti, 3. Oltre alle iscrizioni su stele, dei brevi testi sono anche su ceramica. In anni recenti sono state questa volta invadendo un campo linguisticamen- trovate infatti iscrizioni graffite su frammenti di pithos, un vaso di grandi dimensioni utilizzato te attribuito ad un inesistente “nord piceno”. per conservare cibo. Recipienti di questo tipo dovevano essere stati già rotti e i frammenti reim- piegati nel riempimento di una struttura trovata a San Vittorino/ Amiternum, non lontano dai Le stele funerarie che documentano la scrittura resti di età romana e da una tomba a tumulo di VIII/VII sec. a.C. paleosabellica avevano la funzione di segnalare in Nonostante l’incompletezza dei testi, la testimonianza che essi forniscono è importantissima: modo anche vistoso la presenza di una tomba: po- si tratta infatti di rari esempi di iscrizioni non funerarie. Qualcosa è possibile dedurre anche sul tevano essere collocate, come in area celtica, sulla tipo di scrittura, che rientra nella varietà sabina, con puntata e <í> a riquadro con punto, sommità di tumuli di terra o vicino al corridoio di avvicinandosi così alle iscrizioni di Cures. ingresso alla tomba (dromos), come in Etruria, o an- cora a controllo di percorsi viari e di proprietà ter- a ]-rate[ b ]-í-[ c ]nis ma[ d ]íbiu[ e ]k pemsuka[ riere. La tomba indicata mediante la stele funeraria non era una tomba qualunque: doveva distinguer- 4. Un altro oggetto⋮ conservato al museo⋮ di Villa Frigerj è rappresentato da un bracciale in bronzo si tra tante all’interno di una necropoli. Sfortunata- forse proveniente dalla valle del fiume Pescara (fig. 27). Il bracciale presenta un’iscrizione bustro- mente le stele sono state trovate spesso in passato fedica incisa: a distanza dalle tombe, fatte a pezzi o riutilizzate ]imeh lufaniom ombriíen akren postiknam putih knúskem dúnoh defia úflfúḥ (..) titiúh tefeh in tombe più recenti anche di secoli. La rottura di L’interpretazione anche in questo caso è estremamente incerta, ma viene ricordato un dono per questi monumenti sembra in molti casi intenzio- Titios,⋮ probabilmente⋮ l’oggetto stesso.⋮ Bisogna⋮ inoltre⋮ segnalare⋮ l’espressione⋮ ⋮ ombriíen⋮ akren⋮ , “in nale: non è inverosimile pensare ad atti di damna- agro umbro” o “umbrio” o “dell’Umbro”, indicazione estremamente interessante se fosse confer- tio memoriae nei confornti della classe dominante mata la provenienza del bracciale. 28. L’alfabeto piceno decaduta nel passaggio da una cultura all’altra. (da Marinetti 1985, p. 59) 36 37

In assenza di altri dati, la cronologia delle iscrizioni è difficile da stabilire: l’alfabeto dei testi pice- ni non presenta grandi variazioni nell’arco dei quasi tre secoli in cui è attestato (VII-IV sec. a.C.). La più antica iscrizione paleosabellica è rappresentata dal breve ma importante testo sul calice- coperchio dalla tomba 100 di Campovalano di fine VII-inizio VI sec. a.C., conservato nel Museo di Campli (fig. 29.9; 30). L’iscrizione, di cui si legge solo la fine( a[--]ṇies esum oppure a[--]pieṣ esum), è “parlante” perché si immagina fittiziamente che sia l’oggetto a parlare di sé (“io sono di A--nies/ A--pies”). Il testo graffito su uno dei pilastri di sostegno della statua-stele del Guerriero di Cape- strano, si data, per dettagli del costume e per il tipo di armi rappresentate, alla metà del VI sec. a.C. L’antichità delle due iscrizioni è confermata dall’assenza di segni di separazione tra le parole. Tra le iscrizioni più recenti figurano invece quelle su elmi di tipo etrusco-italico (fig. 29.20-21), con ogni probabilità spoglie di guerra sottratte al nemico vinto: tali oggetti sono databili in sé su base archeologica e permettono quindi di scendere fino al IV-III sec. a.C. La scrittura paleosabellica con poche eccezioni (il cippo di Cures, fig. 29.14) è caratterizzata da un andamento serpentiforme (bustrofedico): come in Grecia e in Etruria, il discorso scritto è con- cepito inizialmente come un flusso continuo di parole (scriptio continua). Con il tempo vengono separate dapprima le sillabe, quindi le parole stesse, ma solo in seguito ad una precisa volontà di riforma, probabilmente di stampo religioso, si afferma l’uso dell’andata a capo. I primi documen- ti in Italia sono testi religiosi di VI-V sec. a.C. provenienti dall’Eturia meridionale. Tanto il piceno quanto l’osco rappresentano lingue del gruppo italico insieme all’umbro e alle parlate del centro Italia, definite dialetti italici minori (vestino, peligno, marrucino, etc.). A partire dalla scoperta delle stele di Penna Sant’Andrea negli anni Settanta del secolo scorso, dove si legge il termine safinú-, si è tornati a parlare di una origine sabina non solo culturale, ma anche linguistica. Questa appariva infatti non solo nei racconti degli autori classici ma veniva anche rivendicata dalle iscrizioni dell’epoca, diretta testimonianza del pensiero antico. Anche l’alfabeto, a lungo ritenuto di derivazione etrusca, sembra dipendere piuttosto da un modello sabino, come l’etrusco ispirato ad un particolare tipo di alfabeto greco (euboico o “occi- dentale” per la forma uncinata di , fig. 28).

30. Riproduzione del calice-coperchio da Campovalano con iscrizione sul fondo, VII-VI sec. a.C. (grafica: M. Crisante, Salvatore Stefano) De Salvatore Crisante, M. (grafica:

29. Luoghi di provenienza delle iscrizioni paleosabelliche regio IV - Sabini et Samnium; regio V - Picenum; regio VI - Umbria; regio VIII - Aemilia. 1 Mogliano; 2 Loro Piceno; 3 Belmonte; 4 Falerone; 5 Servigliano; 6 Acquaviva Picena; 7 Castignano; 8 Sant’Omero; 9 Campovalano; 10 Bellante; 11 Penna Sant’Andrea; 12 Norcia; 13 Amiternum; 14 Cures; 15 Capestrano; 16 Crecchio; 17 Castel di Ieri; 18 Sulmona; 19 Mondolfo; 20 Todi; 21 Bologna. 38 39

Dettaglio di una collana a otto fili con elementi in ambra, pasta vitrea, osso e pendenti a occhiali in bronzo proveniente da Tortoreto, inizi VIII sec. a.C. 40 41 Guerrieri, commercianti, aristocratici. 32. Elmo bronzeo da Orsogna, contrada San Basile, IV sec. a.C. Riti funerari a confronto decisamente in contrasto con l’area meridiona- Valentina Belfiore le per l’assenza quasi totale di armi nei corre- di funerari. Le eccezioni (a Pescara, Penne, Spoltore), rivelano qui elementi estranei al costume locale. Nei corredi tombali ve- Con il V sec. a.C. termina l’età del ferro e inizia la fase ellenistica, durante la quale le peculia- stini (Spoltore) — ma anche marrucini rità dei vari popoli d’Abruzzo risultano più accentuate che in precedenza: ancora una volta è (Guardiagrele, Bucchianico) — sono il territorio a dettare affinità e differenze culturali. Le deposizione funerarie abbandonano la talvolta presenti materiali più antichi, monumentalità dell’età arcaica. Il paesaggio non è più dominato dai tumuli o dalle sculture indizio del prestigio della famiglia di monumentali visibili a distanza. Il defunto è ora seppellito in una fossa terragna che può es- appartenenza. Salendo più a nord, sere rivestita in pietra come in territorio pentro, marrucino e peligno e presentare diversi tipi in area pretuzia sono ancora eviden- di copertura: lignea, con ciottoli o piccoli tumuli. In area vestina il defunto è deposto in un ti i legami con la cultura picena per tronco d’albero o su una tavola di legno. In segno di continuità con il passato, alcune tombe la presenza di ceramica alto adriatica di questa fase circondano i grandi tumuli, come a Fossa, Alfedena e Guardiagrele. e di numerosi prodotti dell’artigianato I corredi di V-IV sec. a.C. sono molto modesti e in necropoli come Campovalano quasi assenti. etrusco-laziale. Situle ovoidi, vasi a gab- A partire dal IV sec. a.C. il sud della regione (Carricini, Pentri, ) acquisisce un’identità bia e strigili, per lo più da Campovalano, a “sannitica”, con corredi funerari caratterizzati dalla presenza di armi. Tra queste, spiccano i cin- partire dal IV sec. a.C., rispondono ad un’el- turoni, particolarmente diffusi nell’area compresa tra corso del Pescara a nord e del Fortore a sud lenizzazione del costume attraverso l’accentuazione della pratica ginnica. Un ulteriore ele- (ad es. i cinturoni di fabbrica campana o apula di Pennapiedimonte, necropoli Cavata). Il cintu- mento di contatto con l’area picena è rappresentata dalla diffusione, tra Pretuzi e Vestini, di rone è elemento simbolico, attributo del guerriero, segno di prestigio militare e sociale, nonché, pendenti e di passanti di collana punici (fig. 35 a-b). per gli adolescenti, simbolo di acquisita attitudine alla guerra. Tipica del costume sannita è Nel costume femminile appaiono diffusi diversi modelli di fibule, che accomunano ancora anche la corazza, che può essere a tre dischi, come in territorio vestino, carricino e marrucino Pretuzi e Vestini da un lato e gli ambienti di cultura sannitica dall’altro, questi ultimi con (fig. 31), oppure corta, anatomica, come in area marrucina. Occasionalmente, nell’Abruzzo influenze da parte dell’ambito daunio e campano. A partire dal III sec. a.C. si assiste ad un montano (, Vestini, Peligni, Marrucini) si trovano anche spade di tipo lateniano (celtiche), nuovo fenomeno: da un lato emerge l’Abruzzo centrale (Marsi, Vestini, Peligni, Sabini), che segno della circolazione e diffusione di mode piuttosto che di presenze celtiche vere e proprie. trova una nuova unità nell’adozione di un’architettura funeraria monumentale. Dall’altro Gli elmi sono stati trovati anche al di fuori della zona di cultura sannitica: il tipo calcidese-sud vengono meno le testimonianze dall’area pretuzia a nord e dalle popolazioni sannitiche a sud, italico è presente nel territorio Marrucino (Pretoro, Bucchianico, Guardiagrele), elmi di tipo che rispetto alla fase precedente offrono una documentazione ben più modesta e sfuggente. etrusco-italico “a bottone” o “a berretto da fantino” appaiono ancora in area marrucina e inoltre Le tombe in fossa terragna sono sostituite nell’Abruzzo centrale da tombe a camera scavate vestina nella fase della romanizzazione (fig. 32). nel terreno (ipogeo) o nella parete di roccia (tombe rupestri) o costruite. Le necropoli marse Tra le popolazioni dell’Abruzzo meridionale, i e peligne, in seguito alla monumentalizzazione, presentano tombe disposte secondo assi viari Frentani, più a contatto con l’ambiente apulo, o anche sul fianco di un’altura. Questo tipo di architettura ha anche permesso lo sviluppo di manifestano anche influssi culturali dalla Daunia, un’epigrafia funeraria tra III e I sec. a.C. Anche nell’Abruzzo centrale trovano ora diffusione come in particolare per determinate tipologie di bronzi di eccezionale qualità che traggono ispirazione dalle forme etrusco-laziali, come in ceramiche. Quest’area si configura inoltre come area peligna (thymiaterion di Corfinio, di produzione falisca) nonché il costume del banchet- centro di produzione e redistribuzione di varie to funerario, documentato in alcune tombe maschili di area marrucina. categorie di oggetti tra cui le collane d’ambra, La composizione dei corredi in generale si standardizza sotto l’impulso dell’urbanitas romana che raggiungono da qui anche i Carricini e i e dell’ellenizzazione del costume. Come già in area pretuzia, la cura del corpo è ora più dif- Marrucini (fig. 34). Guardando allo sviluppo del fusa: balsamari fusiformi, strigili in ferro e bronzo, specchi nei corredi femminili attestano la centro e del nord della regione, i Vestini appaiono diffusione di queste mode presso gli Equicoli, i Marsi e i Sabini, probabilmente a partire dalle colonie di Alba Fucens e Carsioli. 31. Corazza a tre dischi da Spoltore, IV sec. a.C. Dal III sec. a.C. spiedi, kreagrai, coltelli, portalucerne sono presenti in tombe maschili e 42 43

34. Collana di vaghi e pendenti in ambra a testa femminile da Cinturelli, località Caporciano, IV sec. a.C.

femminili anche miniaturistici, segno della loro valenza simbo- lica. Il corredo vascolare è or- mai standardizzato sulle forme a vernice nera, che anche nelle produzioni locali rivela una parte- cipazione a modelli etrusco-laziali largamente diffusi anche nel Sannio e 33. Collana di vaghi nel Molise. Scompaiono quasi le distin- in pasta vitrea da Guardiagrele, sporadica, V-IV sec. a.C. zioni di sesso e di età nei corredi (fig. 37), lo status si esprime attraverso l’architettura tombale o attraverso elementi di importazione e di marcato influsso ellenistico. In area marsa, tra i Sabini Pendenti e passanti di collana in pasta vitrea dal mondo fenicio-punico e i Peligni, dunque ancora nell’Abruzzo centrale, si afferma Roberta Iezzi l’uso dei letti in osso, ulteriore segno dei rapporti con Roma e con il gu- sto ellenistico dell’età delle conquiste. La maggior parte di questi letti, pur nella più modesta scelta dell’osso Tra gli ornamenti delle tombe femminili del territorio abruzzese databili tra il IV e il III sec. a.C. si in luogo dell’avorio, va di pari passo con l’esaltazione del defunto nelle tombe a camera o a distinguono alcuni pendagli in pasta di vetro configurati a testa umana e un gruppo di vaghi di fossa monumentale e appare spesso legata al rito funebre di donne di età matura attraverso collana “a maschere” che risultano estranei al costume locale e prodotti nell’area fenicio-punica. motivi escatologici tratti dal mito greco e romano. Vista l’alta concentrazione di simili pro- Rinvenuti nei corredi funerari di bambine e giovani donne, ad eccezione di un esemplare pro- dotti nella conca aquilana, è probabile che sia sviluppata una produzione in loco. veniente dalla stipe votiva di Carsoli, dovevano essere indossati non solo per la loro particolare Sono inoltre diffusi i contenitori in bronzo a testa femminile, probabil- bellezza dovuta all’effetto luminoso del vetro dai vivaci colori, ma soprattutto come segno di mente per unguenti. Simili oggetti ricordano prodotti di Chiusi appartenenza a un’élite che intratteneva rapporti di scambio con o di Orvieto, che possono aver ispirato anche una produzione l’Oriente o perlomeno con le aristocrazie etrusche che aveva- locale (fig. 36). La romanizzazione si completa, tra I sec. a.C. no più facilmente accesso a quei prodotti. Interpretati come rappresentazioni delle due principali di- e I d.C., con la diffusione dell’uso di cremare il defunto e vinità di Cartagine connessi alla sfera della famiglia e della di seppellirne poi le ceneri entro vasi o pozzetti ter- fertilità, Baal Hammon e Astarte-Tanit, è probabile che aves- ragni. Le ultime sepolture di Fossa, Bazzano, Cape- sero anche la funzione di proteggere le fanciulle da strano, Corfinio e Teramo, mostrano balsamari in eventuali malefici. Erano largamente diffusi, ol- vetro entro olle in ceramica comune. Nei corredi tre che in Egitto e in Tunisia, sulla fascia costiera figurano coppe in vetro colorato, ciotole e coperchi siro-palestinese, in alcune zone dei Balcani e del in ceramica da mensa, frammenti di anfore, strigili mar Nero, in Sardegna, nella Sicilia punica e sulla in ferro, dadi e pedine da gioco. Resti di appliques costa tirrenica dell’Italia. In Abruzzo ben quattro in osso combusto sono frequenti: probabilmente si elementi sono stati rinvenuti nel territorio pretu- tratta di resti di letti funerari o di cofanetti. zio (Penna Sant’Andrea, Campovalano, Montebello Nei corredi funerari vengono introdotti talvolta ele- di Bertona) lasciando ipotizzare che vi sia stata una menti simbolici, ad esempio le lucerne per illuminare penetrazione lungo la fascia costiera adriatica. Anche gli altri esemplari dalle zone più interne provengono da località (ad es. Bazzano) che intrattenevano vivaci 35 a-b. Pendenti a volto maschile in vetro policromo da Penna scambi e commerci con i popoli vicini. Sant’Andrea, località Monte Giove, V sec. a.C. 44 45

il buio dell’aldilà, e le monete in bronzo, “obolo di Caronte”, pedaggio per il transito ultrater- reno. Segnacoli esterni erano epigrafi, lastre o cippi in pietra o marmo, contenenti in genere i “dati anagrafici” e le circostanze della morte, ma anche le cariche ricoperte in vita, la profes- sione, i sentimenti e gli affetti che avevano legato i defunti alla propria famiglia. Nel rituale funerario, che racchiudeva l’insieme dei comportamenti collettivi e socialmente condivisi nei confronti della morte, irrompeva così la personalizzazione del ricordo del defun- to in chiave biografica, dunque l’aspetto privato e soggettivo del distacco dalla vita terrena. Un complesso e articolato rituale funerario, descritto dagli scrittori latini, osservato scrupo- losamente dal momento della morte fino alla deposizione, doveva poi assicurare ai defunti (diventati Manes) il riposo presso la sepoltura e ai vivi la certezza di non essere tormentati dalle anime insoddisfatte (in questo caso Lemures o Larvae). Lo stretto rapporto tra i defunti e i loro familiari si manifestava anche nell’usanza di consumare banchetti funerari presso le 36. Contenitore in bronzo a testa femminile tombe e di condividere con i morti cibo e bevande, fatti penetrare fin dentro la sepoltura dalla collezione Pansa, età ellenistica attraverso tubuli o vasi infissi all’esterno.

37. Vasellame miniaturistico dalla necropoli di Sant’Ippolito (Corfinium), età repubblicana 46 47

Veduta dell’androne con il letto di Amiterno e lo scalone monumentale 48 49 Mode di lusso: letti in osso e letti in bronzo Monica Milani

“…Al mio funerale non voglio né un lungo corteo né il suono lamentoso della tromba né un letto con spalliera d’avorio degno di Attalo…” Properzio, El. II,13B,vv. 3-7

La moda della kline funeraria arriva dalla Grecia e si afferma, in ambito romano, tra il II sec. a.C. e il I d.C. Il prestigioso letto di tipo funebre rivestito in osso o in bronzo, simile ai coevi modelli usati in ambito domestico, accompagnava il defunto prima nel suo funus translaticium, il funerale costituito da un corteo (pompa) con musici e familiari e, simbolicamente, ad un ideale convito nell’aldilà. Le klinai da banchetto invece (lecti tricliniares o conviviales) venivano sistemate su tre lati nel triclinium, stanza della domus romana che da esse prese il nome. Furono utilizzate in Grecia nel rito sociale del banchetto e del simposio oltre che in ambito funerario almeno dal VI sec. a.C.: su di esse, ammorbidite da ricche coperte e cuscini, ci si adagiava semisdraiati. A Roma un impulso decisivo fu segnato dall’influsso dei preziosi letti ellenistici rivestiti in avorio portati da Gneo Manlio Vulsone nel 187 a.C. in occasione del trionfo sui Galati dell’Asia Minore, come ricordano Livio e Plinio il Vecchio. Gli straordinari esemplari abruzzesi in esposizione sono cinque: quattro rivestiti in osso e prove- nienti da Collelongo (necropoli del Cantone nella Valle d’Amplero), Bazzano, Fossa (figg. 38-39) e Navelli (fig. 40), mentre l’unico in bronzo fu rinvenuto ad Amiternum (figg. 42-44). Si tratta di lussuosi lecti funebres (anche detti lecticae o lecticulae) provenienti da tombe a inumazione a camera ipogeica. I rinvenimenti attestano la particolare concentrazione di questa categoria di reperti nella regione, soprattutto nelle aree interne: gli esemplari frammentari finora rinvenuti ammontano a oltre centodieci.

38-39. Letto di Fossa, presso la romana Aveia, inizi I sec. a.C. Dettaglio del cilindro centrale delle gambe: volto virile (Dionisio) con ippocampi (cavalli con coda di pesce) cavalcati da eroti 50 51

Il defunto veniva deposto nella tomba insieme al letto stesso, simbolo di ricchezza e riservato a individui di classi sociali privilegiate. Il materiale è l’osso principalmente di bovini (a volte di equini, ovocaprini e cervidi), alternativa a basso costo dell’avorio e risorsa di larga reperibilità. Le botteghe per la lavorazione erano in prossimità dei macella: a Roma l’approvvigionamento avveniva al Foro Boario e al Macellum Magnum. In Abruzzo la massiccia presenza di tali manufat- ti è dovuta probabilmente alla vocazione all’allevamento. L’avorio poteva essere ammorbidito, come Plutarco racconta, con acqua, birra, oppure aceto e cenere fino ad essere tagliato con un filo. È probabile che tale preparazione fosse utilizzata anche sull’osso. Si disegnava quindi direttamente su di esso lo schema decorativo da realizzare, fase seguita dall’incisione lungo i tratti principali. L’intaglio, la sbozzatura e la modellatura poi avvenivano con l’uso di coltelli, lime, seghe, tornii e altri strumenti simili a quelli usati anche nella lavorazione del legno. Per la politura finale, ci narra Plinio il Vecchio (Nat. Hist., VII, 85 riferendosi in particolare all’avorio), si utilizza- vano anche pelli di pescecane e di razze, leggermente abrasive. A volte era prevista anche la doratura o la coloritura. Per ottenere l’aggetto di alcune figure, si utilizzava l’impiallacciatura con sovrapposizione di lastre. Oggi come allora questi oggetti di prestigio emergono come capola- vori di artigiani-artisti, maestranze forse itineranti che con un materiale povero hanno prodotto oggetti eccezionali. Nei modelli dalle gambe slanciate e dal telaio più massiccio è stata da tempo riconosciuta una tipologia che imita gli esemplari in avorio recentemente associata a maestranze alessandrine, mentre la presenza di figure in for- te aggetto nelle gambe e il telaio 41. Rilievo di Amiternum, I sec. a.C.- I sec. d.C. con scena di funerale romano (Mund’A, L’Aquila) sottile denunciano l’imitazione di modelli bronzei forse ad opera di maestranze locali. Tali letti sono formati da un telaio ligneo e han- no gambe dall’anima in ferro e Concepito ma non nato da una donna, bensì da Zeus stesso; semidio risorto dopo essere stato spalliera (fulcrum) talvolta doppia ucciso dai Titani e divenuto immortale, con i miracoli della sua nascita/ morte/ rinascita, Dioniso (in questo caso il letto è amphi- è emblema allo stesso tempo di vita e di morte. Simboli del suo corteggio sono rintracciabili su kephalos). I modelli originari in quasi tutti i letti esposti. avorio realizzati per personaggi di Sul letto da Fossa, nei quattro volti barbati di impressionante resa artistica sui cilindri delle gam- spicco e condottieri risalgono al IV be è da riconoscere proprio Dioniso: è questo l’esemplare che colpisce particolarmente per la sec. a.C.: gli esemplari trovati nelle cura dei dettagli, come le paste vitree bicolori negli occhi e l’intaglio eccezionale. Superiormente tombe reali macedoni, delle quali è un personaggio interpretabile come Dioniso o Ercole, anch’egli reduce dall’Oltretomba di cui una è forse riferibile a Filippo II di seppe domare il demone Cerbero, o come Licurgo, feroce re sconfitto e condannato alla pazzia Macedonia, padre di Alessandro da Dioniso, simbolo di passaggio di stato e del potere punitivo del dio. Magno, ne costituiscono gli ante- Sui cilindri dell’esemplare da Collelongo, il volto barbato, coronato da capsule di papavero, sim- cedenti. bolo di sonno eterno, potrebbe rappresentare ancora Dioniso o Hades o Morfeo. Nell’esemplare I letti funerari presentano rife- da Bazzano invece è forse rappresentato il mito di Ganimede rapito dall’aquila. Sul letto da Na- rimenti simbolici a miti legati a velli nel volto femminile dei medaglioni potrebbe essere rappresentata la defunta, mentre sui speranze di rinascita come quello cilindri una danza di Menadi culmina nel sacrificio di un animale selvatico. di Dioniso, che affondava le sue Svetonio racconta che nei funerali di Cesare fu utilizzato un letto in avorio coperto d’oro e di radici in credenze religiose relative porpora (Caes., LXXXIV, 1). Anche per il funerale di Augusto abbiamo notizia da Dione Cassio di a speranze di vita dopo la morte. un letto d’avorio e d’oro con coperte di porpora e oro su cui era stata posta un’immagine di cera del defunto. Una testimonianza eccezionale di una simile cerimonia è il celebre rilievo di Amiter- 40. Dettaglio del letto di Navelli, num (fig. 41). Le classi dirigenti italiche si autocelebravano attraverso l’uso esclusivo di oggetti necropoli di Incerulae, I sec. a. C.- I sec. d. C. di prestigio che le equiparavano ai più grandi personaggi della storia recente e contemporanea, Sul fulcrum: Eros che suona la cetra elevandole al livello della cultura cosmopolita e filoellenica del tempo. 52 53

Il letto di Amiternum Lo sfarzoso esemplare in bronzo fu rinvenuto nel 1905 in una ricca tomba della necropoli che si estende ai piedi di San Vittorino. Il metallo presenta ageminature, cioè piccoli intarsi di laminet- te, in argento e rame. In questo esemplare i fulcra culminano da un lato (quello che doveva esse- re il più esposto allo sguardo) in teste di mulo a tutto tondo, animale sacro a Dioniso, realizzate a fusione e adornate di grappoli e pampini di vite, pianta a lui cara, e gualdrappe a fasce, mentre dall’altro appaiono teste di cigno. I medaglioni presentano a destra una figura maschile matura forse Ade o un Genio, a sinistra una figura di giovane con piccole ali, forse Eros, Nike alata o Lasa (genio femminile). Un letto simile, anch’esso da Amiternum e dotato anche di poggiapiedi, è visibile nei Musei Capitolini a Roma.

42-44. Dettagli del letto di Amiternum in bronzo con ageminature in argento, I sec. a.C.- I sec.d.C.

Preziosi capolavori di toreutica tardo- ellenistica di stile alessandrino prove- nienti probabilmente da officine gre- che, i letti bronzei come questi erano somma espressione di luxuria asiatica, quell’amore per il lusso aspramente combattuto in ambienti conservatori a Roma: indizio ad Amiternum di una classe dirigente che affidava anche all’e- stremo viaggio un messaggio di potere, lusso e gusto cosmopolita. 54 55 Doni votivi e santuari locali Valentina Belfiore

A partire dal IV secolo a.C., una profonda trasformazione investì i luoghi di culto itali- ci, monumentalizzati secondo modelli architettonici di tradizione etrusco-campana, con templi tripartiti e un profondo spazio colonnato antistante o a cella unica con ingresso tra colonne (fig. 52). L’alto podio doveva enfatizzarne la monumentalità, mentre la policromia dell’apparato decorativo ne vivacizzava l’impatto visivo. Davanti alla scalinata di accesso, nel cortile su cui sorgeva l’edificio sacro, si trovava l’altare, fulcro dei riti e delle cerimonie cultuali cui assistevano i fedeli. L’accesso al tempio era invece consentito solo ai sacerdoti, mediatori di quel rapporto con il divino di cui resta traccia diretta nei doni votivi lasciati nei santuari. In luoghi privi di una vera e propria monumentalizzazione, il culto poteva essere ospitato in cavità naturali, presso sorgenti d’acqua o radure nei boschi. La grotta del Colle di Rapino, ad esempio, conosce una lunga frequentazione per motivi cultuali, testimoniata da ex voto di varie epoche. quale eracle? I doni dei fedeli venivano periodicamente rimossi, ritualmente rotti al fine di impedirne il riuso, e scaricati in luoghi appositi, le “stipi votive”. Tra IV e I secolo a.C., la devozione popolare si materializza in varie forme che riproducono talvolta il dio destinatario del culto o sempre più di frequente, il devoto stesso. È comune anche la rappresentazione degli ani- mali, in bronzo o terracotta, offerti alla divinità in sostituzione del sacrificio vero e proprio. Simili atti di devozione diventano molto comuni in tutta la penisola e si prestano a distin- zioni di vario tipo: generalmente si parla di depositi di tipo “italico” in presenza di bronzetti raffiguranti guerrieri, Ercoli o offerenti, mentre nel tipo “etrusco-laziale-campano” gli ex voto sono in terracotta e rappresentano statuette o teste velate e non, neonati in fasce, mani e piedi, organi genitali e interni, nonché animali. Le stipi di questo secondo genere sono legate a culti della fecondità e della sanatio. Tipica espressione della religiosità popolare, stipi di ex voto fittili sono frequenti nelle zone rurali, dove l’agricoltura e l’allevamento fanno della salute e della prole dei valori fondamentali. Al tempo stesso, queste stipi sono state anche interpretate come espressione di una veloce romanizzazione rispetto a zone in cui più a lungo ha predominato l’offerta di bronzetti italici. La produzione in serie di molte forme lascia immaginare che simili votivi fossero in vendita in botteghe o in officine annesse ai santuari stessi. Ricche stipi votive sono documentate dalla colonia latina di Carsioli (Civita di Oricola), nel territorio degli Equi, rispettivamente in località Santa Maria e in località San Pietro. In nes- sun caso sono state trovate strutture templari: gli ex voto dal primo sito tuttavia presentano alcune peculiarità: volti maschili con barba e femminili con capelli raccolti in un insolito copricapo, ben diversi dalle teste di tipo etrusco-laziale-campano, rientrano piuttosto in uno stile e una tecnica locale (figg. 47-49).

45. Venere fittile dal santuario di Cansano (Ocriticum), II-I sec. a.C. 56 57

La seconda stipe, che comprendeva anche alcuni bronzi, era localizzata su un pianoro ter- razzato. Come di consueto, data la standardizzazione degli ex voto e l’assenza di iscrizioni dedicatorie, è difficile stabilire a quale divinità o gruppi di divinità fosse dedicato il culto. In area pretuzia, a Colle San Giorgio (Castiglione Messer Raimondo), alcuni resti di un tempio si sono eccezionalmente conservati anche se non sono tali da permettere una rico- struzione: a confermare che si tratta di un edificio sacro sono i resti della decorazione fittile del frontone e le lastre architettoniche che dovevano proteggerne le strutture lignee. Questo sistema di rivestimento mette in scena motivi floreali realizzati a matrice e a stecca e ornati da una ricca policromia: decorazioni simili si ritrovano anche nei templi di Chieti alla Ci- vitella. Il bordo superiore delle lastre di rivestimento era numerato per favorirne il corretto montaggio. 47-49. Tre teste votive dalla stipe di Carsioli, località Santa Maria, età ellenistico-romana Le lastre che coprivano l’ultimo coppo dello spiovente del tetto, le antefisse, rappresentano il signore o la signora delle fiere (despotes/ potnia theron) nell’atto di trattenere due felini ram- panti (fig. 46). Una diversa serie di antefisse e di lastre architettoniche lascia pensare ad un’o- po un luogo di sosta, ed incisero con la loro presenza nel paesaggio: sul pianoro di Pantano pera di ristrutturazione del tempio oppure alla presenza di una seconda struttura templare. le ripartizioni agrarie, con le macere e i confini erbosi, segnano ancora l’antica fisionomia del territorio. A Cansano, in area peligna, il santuario è articolato in due recinti murari affiancati e posti su Il territorio peligno ha restituito anche altri santuari, come quello di Castel di Ieri nel muni- livelli diversi, separati da un grande muro in opera poligonale: al tempio di epoca italica si cipium di Superaequum (oggi Castelvecchio Subequo). Anche a Castel di Ieri, sul sito di una affiancò l’edificio sacro di età romana. Un accesso laterale poneva in comunicazione il recin- precedente necropoli con tomba a circolo, fu impiantato nel III sec. a.C. un piccolo tempio to superiore con quello più piccolo sul livello inferiore, dove era un sacello dedicato al culto a tre celle con scalinata frontale incassata nel podio (figg. 51-52). Il tempio subì una distru- di divinità femminili (Cerere e Venere). Una raffinata statuetta fittile di Venere nuda con zione nel II sec. a.C. e venne ricostruito più a monte in forme monumentali ma rispettando amorino sulla spalla (fig. 45) fu rinvenuta all’interno del tempietto collocato sul terrazzo in- la struttura tripartita e il profondo colonnato. Il grandioso podio in opera poligonale rivesti- feriore. L’abbandono repentino di questo luogo to da lastre in calcare rappresenta uno di culto viene datato alla metà del II sec. a.C., a degli esempi meglio conservati di tutta causa probabilmente di un evento sismico. l’architettura templare del periodo. Le indagini hanno portato alla luce due depo- Un’iscrizione a mosaico nella cella cen- siti votivi relativi sia al tempio più antico, con trale del tempio ricorda l’intervento di materiali databili tra la fine del IV sec. a.C. ed due magistrati del pagus nella metà del il II sec. a.C., sia al sacello delle divinità femmi- I sec. a.C. La statua in marmo di Giove nili (II sec. a.C. - II sec. d.C.). Egioco, insieme a quella di un felino, Le statuette bronzee di Ercole in assalto è stata recuperata, in frammenti, dalla lasciano supporre che il primo edificio fosse stessa cella. Alla fase di ristrutturazione dedicato all’eroe, mentre il riferimento a del I sec. a.C. appartengono anche le Giove del tempio romano viene desunto due antefisse in terracotta, raffiguranti dall’indicazione “Jovis Larene” riportata dalla la Vittoria e una figura maschile. Tabula Peutingeriana. Un’iscrizione funeraria A Corfinio venne edificato un santua- dedicata a Sesto Paccio Argynno da parte dei rio in posizione di affaccio sulla valle cultores Jovis Ocriticani testimonia inoltre il peligna, presso S. Ippolito, in area ex- toponimo antico dell’area: Ocriticum. traurbana, già oggetto di frequentazio- Le strutture superstiti continuarono ad essere ne dal V sec. a.C. fino all’età imperiale, frequentate nel sito che rimase per lungo tem- come testimoniano sepolture di varie

46. Antefissa raffigurante la “signora delle fiere”, dal 50. Maschera fittile dal santuario Sant’Ippolito tempio di Colle San Giorgio, età ellenistica (Corfinium), età ellenistico-romana 58 59

epoche. La vicinanza alla sorgente salutare, le opere di terrazzamento e il sacello quadrangolare dovet- tero favorire dal III sec. a.C. la devozione al cul- to almeno in parte destinato ad Ercole: numerosi bronzetti lo raffigurano, spesso collocati al di sopra di cippi con dedica da parte dell’offe- rente (fig. 53). Non mancano fram- menti di statue di altre divinità, vo- tivi anatomici, animali e vasellame fittile funzionale al culto. Non ultimo per importanza, me- rita di essere ricordato anche il san- tuario che sorge a Sulmona, città nota per aver dato i natali a Ovidio. Gli scavi effettuati negli anni Cinquanta sul declivio del monte Mor- rone, destinati a riportare in luce la villa del poeta, che avrebbe dovuto trovarsi qui secondo una tradi- zione secolare, hanno invece rivelato le imponenti strutture dell’area sacra dedicata al culto di Ercole Curino. Il legame tra Sulmona e le origine ovidiane tuttavia non era perduto: nel santuario fu infatti individuata una colonna in travertino che reca graffito il cognomen del poeta, Nasonis, oltre a dodici versi ovidiani.

51. Ex voto in bronzo dorato raffigurante una donna nell’atto di versare, dal santuario di Castel di Ieri, III-I sec. a.C. 52. Disegno ricostruttivo del tempio di Castel di Ieri, del tipo a tre celle con profondo pronao (grafica: V. Torrieri)

53. Cippi votivi dal santuario di Sant’Ippolito (Corfinium), età romana 60 61

Il santuario di Ercole Eracle in riposo a sulmona Valentina Belfiore

Il santuario dedicato ad Ercole, arti- Uno dei rinvenimenti più sensazionali dal colato in terrazze spaziose affacciate santuario di Ercole Curino a Sulmona è sul territorio peligno, ne divenne il rappresentato dalla statuetta bronzea di centro religioso più importante tra Eracle di probabile età ellenistica, rinve- IV sec. a.C. e II sec. d.C. (fig. 55). Nella nuto negli scavi del tempietto sul terraz- prima età ellenistica un sentiero sali- zo superiore. L’eroe nudo è rappresentato va, dalla valle, tra rocce e strapiombi, stante, appoggiato a sinistra sulla clava da dirigendosi da sud verso lo slargo cui pende la leonté; sulla superficie mossa protetto da un poderoso muro in della pelle ferina si staccano i volumi le- opera poligonale. Giunti sul pianoro vigati del braccio sinistro abbandonato, artificiale, si apriva in fondo la vista mentre il destro è piegato dietro la schie- del podio altissimo del tempio. Se è na a tenere i pomi delle Esperidi (ora per- il sentimento religioso spontaneo e duti) nella mano semichiusa appoggiata popolare che suggerisce ad Ovidio sul gluteo. La straordinaria testimonianza offerta dal 54. Ercole Cubans dal santuario di Ercole a Sulmona, età romana la suggestione di un paesaggio divi- nizzato (credibile est illi numen inesse bronzetto consiste nel riprodurre fedel- loco, in Amores, III, 1-3), la codificazione della struttura del santuario nella sua evoluzione rispon- mente il modello del celebre artista gre- de a norme “urbane” e politiche. Nel santuario sulmonese la presenza dell’acqua, variamente co, Lisippo (IV sec. a.C.), noto da tre tipi incanalata dalle sorgenti soprastanti per alimentare la fontana e raccolta in vasche ora perdute, iconografici e da numerose repliche. Tra divenne determinante nella definizione dello spazio asservito al rito. Elementi dell’espressione queste, l’Eracle di Sulmona rappresenta del culto sono gli aspetti mantici ed oracolari di cui il santuario potrebbe conservare alcune indubbiamente una delle opere di qualità tracce materiali: una stanza segreta in cui si compie la teofania annunciata da chi lasciò, graffita più elevata, “una replica d’autore” . sulla parete orientale del terrazzo superiore, la frase “ecco, Ercole appare”; un luogo stabilito per La figura è realizzata con la tecnica della le osservazioni del cielo e dei fenomeni che interpretavano o predicevano il volere degli dei; fusione a cera persa, con tenore di rame un’area dedicata alle cerimonie di iniziazione e di passaggio da uno stato all’altro dell’esistenza più elevato nelle zone destinate ad as- umana o gli spazi e le strutture per i giochi e le gare in onore della divinità. sumere una colorazione diversa (labbra, Dal primo impianto monumentale il santuario era cresciuto nel tempo con le ricchezze di uomi- capezzoli). La base circolare riporta l’iscri- ni peligni, mercanti e mercenari, che avevano acquisito esperienza di culture diverse e facevano zione in agemina d’argento: M(arcus) At- fortuna a Roma, nel Mediterraneo, in Oriente. Il luogo di culto, dotato di portici colonnati, fon- tius Peticius Marsus v(otum) s(olvit) l(ibens) tane, ampie scalinate, servito da stanze ricavate nella sostruzione del grande piazzale, costituì il m(erito). La dedica, datata ai primi anni riferimento per la popolazione della conca e simbolo di una unità delle genti rivelata probabil- del I sec. d.C., documenta il dono a Eracle mente dall’aggettivo “Curino” o “Quirino” attribuito a Ercole (fig. 54). da parte di un personaggio appartenen- te alla gens Peticia, nota dall’età augustea 55. Il santuario di Ercole a Sulmona (grafica: B. di Marco) per i traffici commerciali nel Mediterraneo e attestata da iscrizioni in area peligna dal I sec. a.C. fino al IV sec. d.C. Il bronzet- to dedicato da Peticio Marso si configura quindi come un dono tanto più prezioso in quanto “oggetto d’antiquariato” di otti- ma fattura.

55. Eracle in riposo dal santuario di Ercole a Sulmona, età ellenistica 62 63

Materiali di età ellenistico-romana da Civita di Bagno (Forcona) 64 65 L’arrivo dei Romani Valentina Belfiore

La politica espansionistica di Roma, attuata nel territorio abruzzese attraverso scontri diret- ti e soprattutto patti federativi, si concluse alla fine della guerra sociale (91-88 a.C.), con la completa integrazione dei popoli italici. Dalla seconda metà del IV al I sec. a.C., l’iniziale autonomia garantita dai trattati si trasformò in assimilazione politica, culturale, ammini- strativa e sociale, in una parola in “autoromanizzazione” del territorio. Pur in tempi diversi, le modalità di questo processo sono le stesse: potenziamento del sistema viario, suddivisione dei campi (centuriazione), smantellamento dei siti d’altura e parallelo sviluppo di nuovi centri in pianura. Le colonie e i municipia a partire dal I sec. a.C. saranno dotati di fori, di infrastrutture per la gestione della cosa pubblica e di edifici per lo spettacolo. L’Abruzzo, attraversato fra l’altro dalla via Salaria, dalla via Caecilia e soprattutto dalla via Valeria Claudia era al centro di una serie di direttrici di traffico che ponevano la regione in comunicazione con il Piceno e con l’area campana, con l’ambito etrusco-laziale e greco- mediterraneo. Il territorio degli Equi è tra i primi ad essere inglobato da Roma. Le colonie latine di Car- sioli (305 a.C.) e di Alba Fucens (303 a.C.) — lungo il prolungamento della via Tiburtina nella via Valeria, contemporanea alla loro fondazione — risalgono al tempo della seconda guerra sannitica. Livio ricorda che all’indomani della conquista romana gli abitati d’altura erano stati rasi al suolo. Anche nella piena fase municipale gli insediamenti rimasero sparsi sul territorio sotto forma di vici e di villae. La presenza romana è tangibile nelle opere di divisione del terreno i cui segni restano visibili nella Piana del Cavaliere. Civita di Oricola, l’antica Carsioli o Carseoli, si presenta come un luogo terrazzato, cinto da mura in tufo e in opera quadrata, secondo caratteristiche degli insediamenti italici ante- cedenti alla conquista romana. Anche Carsioli fu ben presto dotata di infrastrutture viarie e di un acquedotto con cisterna. La fondazione di Alba Fucens (oggi Massa d’Albe) avvenne, stando al racconto di Livio, mediante l’invio di 6000 coloni nel sito che doveva avere un’importanza strategica nel con- trollo del bacino del Fucino. Lo spazio urbano è racchiuso da una cinta muraria in opera poligonale della lunghezza di circa 3 km. Il centro monumentale contempla già, come altri luoghi interessati dallo sviluppo edilizio di stampo romano, aree ed edifici pubblici fun- zionali alla gestione della vita comunitaria: il comitium per le adunanze della popolazione, il foro come luogo di incontro, la basilica come luogo di riunione e di amministrazione della giustizia (fig. 58). Completano questo insieme, sullo stesso asse, anche gli edifici del mercato, le terme e il portico di Ercole, dominato dal sacello in cui doveva essere ospitata la monumentale statua dell’eroe divinizzato (fig. 62). La vivacità della città è testimoniata da numerosi rinvenimenti che si datano fino ad epoca

57. Testa di Zeus da Fara Filiorum Petri, II sec. d.C. 66 67

Il valore delle immagini 58. Pianta di Alba Fucens (da Mertens 1981). Valentina Belfiore

Durante l’età repubblicana, a partire dal II sec. a.C. la conquista della Grecia comporta per il mondo romano l’adozione di mode e costumi raffinati che trovano particolare diffusione tra le classi ab- bienti. Il “classicismo” dell’arte romana di II-I sec. a.C. finisce con il permeare varie forme espressive articolandosi in un universo figurativo coerente che perdura fino alla prima età imperiale.

59. Testa virile in marmo da Casoli, Piano Laroma (Cluviae), I sec. d.C. 68 69

La luxuria dei nuovi costumi viene superata attraverso la separazio- ne di pubblico (negotium) e privato (otium) e relegata in quest’ulti- mo ambito. La stessa aristocrazia senatoria che nel pubblico resta fedele alla frugalità e al sistema di valori delle origini di Roma, nel privato (villae e domus) esibisce capolavori dell’arte greca. Gli stes- si spazi architettonici delle abitazioni private contemplano luoghi di derivazione greca: ginnasi, palestre, biblioteche, pinacoteche. Nei luoghi pubblici, rappresentazione politica e propaganda as- sumono un ruolo di primo piano: a Roma i committenti di edifici, templi e portici sono i trionfatori delle campagne militari, fuori dall’Urbe saranno le aristocrazie a sottolineare il ruolo politico e le adesioni al potere mediante un uso simbolico delle immagini. Dal I sec. a.C., quando cominciano a edificarsi teatri stabili, i fronte- scena (scaenae frontes) divengono luogo di esibizione di immagini ritratto di uomini illustri, che con il tempo saranno sostituiti da rap- presentazioni di esponenti della famiglia imperiale. Fori e portici rappresentano altrettanti luoghi privilegiati per la propaganda. Le aristocrazie italiche si impegnano nella realizzazione di prospetti scenografici e di strutture templari notevoli (ad es. il santuario del- la Fortuna Primigenia di Palestrina) per poter ottenere una parte- cipazione attiva al senato di Roma. Il “diritto all’immagine” viene professato ben presto anche dalle classi medie su imitazione di quelle più elevate. L’autorappresen- tazione è in tal caso materia dei monumenti funerari che assu- mevano spesso forme architettoniche dispendiose e variate. Non esistendo modelli classici greci per la narrazione delle imprese del defunto, l’arte si reinventa: si è parlato di “arte popolare” o “plebea” in presenza delle correnti eclettiche che di volta in volta sperimen- tano soluzioni nuove. Dal I sec. d.C. la rappresentazione artistica viene uniformata: nel pubblico come nel privato è la famiglia im- periale a dettare i canoni estetici. Accentuando una tendenza già 62. Eracle Epitrapezios da Alba Fucens, seconda metà del I sec. a.C. presente nella ritrattistica, testa e corpo seguono stili diversi: i ritratti della famiglia imperiale si innestano su corpi ideali presentando le figure come divinità (Pietas, Concordia, Pax, Fortuna, etc. si vedano i Eracle Epitrapezios ritratti di Foruli e di Alba Fucens, figg. 60-61, 67-68). Figure del mito greco continuano a trovare posto negli ambienti termali, nelle abi- La colossale statua di Alba Fucens è considerata un capolavoro delle maestranze neoattiche sul tazioni private o nelle frontescena teatrali, acquisendo un signifi- finire della repubblica. La statua dell’eroe venerato come un dio fu trovata in crollo ed è stata cato diverso a seconda del contesto. L’uso simbolico dell’immagi- quasi del tutto ricomposta. Il dio “a tavola” (epitrapezios), regge una coppa nella destra, mentre ne diviene evidente anche nell’arte funeraria, nella decorazione con la sinistra doveva impugnare una clava rivolta verso il basso. Tale attributo identifica Ercole di sarcofagi e urne secondo i canoni dell’autorappresentazione insieme alla leontè, la pelle del leone nemeo sconfitto in una delle sue fatiche. Il modello per la (come poeta, filosofo, condottiero). Accanto al linguaggio figura- statua di culto è tradizionalmente identificato nell’Herakles Epitrapezios di Lisippo eseguita dallo tivo classicistico si sviluppa anche il rilievo “storico”, narrativo, ispi- scultuore greco per Alessandro Magno. Una replica di piccole dimensioni in bronzo è conservata rato ad un maggior realismo, per raccontare campagne militari o a Vienna: il confronto con l’Epitrapezios di Alba Fucens sottolinea l’originalità di quest’ultima combattimenti gladiatori. immagine rispetto al tipo lisippeo e la investe di nuove valenze semantiche. La corona di foglie d’alloro che cinge la testa dell’eroe e il drappeggio intorno ai suoi fianchi rievocano i simboli 60. Statua di doriforo con testa-ritratto da Foruli, età augustea. romani dell’Ercole invictus facendo della scultura colossale un monumento che coniuga la tradi- 61. Statua virile in nudità eroica da Alba Fucens, metà I sec. a.C. zione ellenistica con i nuovi ideali di potere. 70 71

tarda, quando il sito fu abbandonato a causa di eventi naturali e la vita tornò ad essere prevalentemente concentrata sulle alture circostanti.

In zona peligna, il vicus di Molina Aterno sorge lungo una strada di media percorrenza connessa ancora una volta al tracciato della Valeria Claudia. L’occupazione del sito, in loc. Campo Valentino, dimostra una presenza stabile a partire dal III sec. a.C. (fig. 64), anticipata da una fase arcaica. Pavimenti mosaicati e muri con pitture policrome proven- gono dalle zone residenziali nei pressi della strada fiancheggiata da un canale che doveva attraversare il vicus. Edifici pubblici porticati e spazi aperti dovevano alternarsi riservando dello spazio anche a una struttura probabilmente sacra, tripartita, con pavimento a mosaico e ingresso colonnato. Sul lato nord della strada gli ambienti residenziali si moltiplicano e articolano in una serie di mosaici a tessere bianche e nere di II-I sec. a.C. Le attività produt- tive a Campo Valentino sono indicate dalla presenza di grandi vasi in terracotta (dolia) per la conservazione del vino o dell’olio. Un torcularium testimonia ugualmente delle attività legate alla produzione del vino. La municipalizzazione in area peligna si accompagna alla monumentalizzazione di città preesistenti, come Superaequum, Corfiniume Sulmona. La valle subequana si prestava allo sviluppo di centri lungo le vie di comunicazione, percorsa com’era da una viabilità che, attraverso il passo della Forca Caruso, metteva in contatto l’area marsicana con il versante opposto, assicurando i collegamenti tra la costa tirrenica e quella adriatica.

63. Affresco con Dioniso e Arianna dalla domus omonima, I sec. a.C.-I sec. d.C. (Sulmona, Museo Archeologico). 64. Coperchi dal vicus di Molina Aterno (Campo Valentino), uno dei quali reca il nome del proprietario in alfabeto latino. Età romana imperiale 72 73

Corfinio rappresenta uno dei caposaldi più famosi nella guerra sociale combattuta dagli italici contro Roma per ottenere i privilegi della cittadinanza romana. Lo sviluppo del cen- tro urbano fu facilitato dalla sua posizione accessibile dalla via Valeria. Abitazioni, teatro, templi ed edifici pubblici attestano la vivacità del municipium in età tardo repubblicana e imperiale. Sulmona, edificata sul pianoro chiuso da una cinta muraria nel III sec. a.C., è nota per le sue aree sacre. Alla vigilia del conflitto con Roma, questa città testimonia della munificenza di mecenati di rango militare e delle classi mercantili che nei commerci con l’oriente traevano profitti economici e culturali. Le mura di Sulmona furono danneggiate in occasione dei vari conflitti (il passaggio di Annibale, la guerra sociale). Le testimonianze di trasformazione della forma urbana sono di età imperiale e sono raccontate dai mosaici: più antichi dall’area centrale della città, più tardi quelli dalla periferia, testimoniano di un centro in espansione oltre il circuito delle mura. Il settore centrale della città antica è così occupato dalla domus di Arianna dal I sec a.C. al II d.C., con mosaici pavimentali a motivi vegetali e intonaci monocromi con partizioni architettoniche e motivi figurati (Dioniso e Arianna, fig. 63). La domus è ora inglobata nel Museo Archeologico di Sulmona. Il trauma del terremoto nella metà del II sec. d.C. segna l’inizio di una fase di ricostru- zione che stravolge l’assetto preesistente: a questa appartiene la domus di via Acuti (II-IV sec. d.C.) con pavimento musivo raffigurante Medusa, la furia con capelli di serpente che agghiacciava con lo sguardo. L’ultima fase è segnata dagli edifici legati al nuovo culto, la cattedrale di San Panfilo e la sede episcopale, in uso almeno dal V sec. d.C.

Marrucini e Carricini furono ascritti alla tribù degli Arnenses, che li assimilò ai cittadini romani con pieni diritti politici. La città di Teate, municipio unico dei Marrucini, vide potenziato il proprio sviluppo urbanistico, avviato nel corso del II sec. a.C. e pienamente attuato nel I sec. d.C.

65. Iuvanum, pianta dell’acropoli

66. Frammento di statua colossale di Augusto da Amiternum, I sec. d.C.

Nel territorio interno carricino, quasi del tutto montano, furono istituiti due municipi, coincidenti con insediamenti preesistenti, già caposaldi territoriali: Cluviae — ricono- sciuta in Piano Laroma di Casoli — e Iuvanum (Montenerodomo), entrambi ricordati da Plinio. Iuvanum, identificato con il sito di Santa Maria in Palazzo (fig. 65), si caratterizza come insediamento d’altura che, come altri siti fortificati, avevano una funzione di con- trollo sulla vallata sottostante. Iuvanum mostra una continuità di vita dal bronzo finale 74 75

fino al VI sec. d.C. La monumentalizzazio- Diverse statue virili in nudità eroica con te- ne del centro è segnata, nel II sec. a.C., dal- ste ritratto provengono dall’ambiente della la costruzione del gruppo santuario-teatro “palestra” (figg. 67-68), di recente identi- come avviene in altri centri del Lazio in età ficata piuttosto con l’epulum augusteum, repubblicana. La cavea del teatro si appog- il luogo destinato ai banchetti citato nelle gia sulle pendici dell’acropoli che ospitava Tabulae Patronatus. un luogo di culto all’aperto e un sacello. Amiternum, lungo la via Caecilia, era ugual- L’area cultuale doveva già essere oggetto di mente dotata di un suo teatro, con cavea per frequentazione da parte dei Carricini. Nel metà appoggiata alla collina e per metà co- I sec d.C. viene strutturata l’area del foro struita, e di un anfiteatro. I luoghi di spetta- insieme alla rete di strade che collegavano colo amplificavano la propaganda imperiale le varie parti della città. Anche Iuvanum e promuovevano al contempo i rappresen- fu coinvolta negli scontri dei Sanniti con tanti delle élites locali, residenti in dimore Roma (343-290 a.C.), nel conflitto con sontuose. Lo sviluppo urbanistico in pianura Annibale a fianco di Roma e nella guerra si realizza ad Amiternum con la costruzione sociale, a seguito della quale Iuvanum di- di strutture pubbliche e sacre ai lati dell’asse viene municipium. viario: numerose statue anche colossali ne testimoniano l’esistenza (fig. 66). Nella Sabina, la romanizzazione si realizza La presenza di ricche domus e di villae as- con la moltiplicazione degli abitati in pic- sicura la presenza di personaggi facoltosi coli vici, tra i quali Preturo e Foruli accanto legati alle attività del commercio e dell’al- ad Amiternum. Il vicus di Foruli si espande levamento, vicini politicamente ai luoghi in pianura ma si collega alla presenza di del potere della capitale. Alcune domus di strutture difensive sul colle di San Vitto- notevoli dimensioni sono state individua- rino: come la generalità degli abitati sabini te presso il teatro e l’anfiteatro con ricchi o centro italici in età repubblicana, questi mosaici a decori geometrici, atri e da uno sono arroccati in posizioni ben difendibi- a due peristili: la domus presso il teatro 67. Statua virile da Foruli, rinvenuta all’interno di 68. Statua virile da Foruli, età romana imperiale. una grande domus, II sec d.C. Ispirata al modello li, mentre la ricostruzione romana al mo- di Amiternum rappresenta una delle più Ispirata al tipo policleteo, con la sinistra doveva dei Castores, i gemelli divini legati al culto mento della deduzione di colonie e della grandi in Italia. Le iscrizioni ricordano che reggere un disco; la testa originale è stata invece dell’oltretomba e alla tutela dei porti, il personaggio sostituita da una testa-ritratto è dotato di un corpo ideale rivestito di un corto fondazione di municipia privilegia i luoghi esponenti del senato sono intervenuti nella mantello (clamide), e di una testa ritratto che di pianura. costruzione e nel collaudo del praetorium e riproduce un volto in età matura Il colle di San Vittorino era terrazzato al- nell’offerta delle terme. meno dal II sec. a.C. Qui sorgerà l’edificio Tra III e IV sec. d.C. la città va incontro a ristrutturazioni, crolli e abbandoni: nella teatrale in età augustea, mentre l’anfiteatro troverà luogo in pianura in età imperiale. Nella grande domus vicino al teatro sono stati trovati resti di una statua virile in nudità eroica zona pianeggiante l’insediamento romano è documentato a Piano di Civita, in località con testa ritratto, secondo una moda già diffusa nella capitale dal I sec. a.C. Personaggi Civitatomassa di Scoppito, con tracce di abitazioni e di strutture pubbliche legate alla vita di spicco nella comunità locale attraverso lo strumento del patronato si distingono per sociale e all’amministrazione del vicus. La classe dirigente locale si autorappresenta nelle finanziare opere pubbliche di notevole impegno. La visibilità che dava questo tipodi numerose statue che dovevano fungere da apparato decorativo di vie, pubbliche piazze, investimenti era sfruttata a fini politici sin dall’età repubblicana. Anche quando la celebra- teatri. I rapporti con la famiglia imperiale sono testimoniati dalle iscrizioni (dediche a zione imperiale finisce con l’accentrare il messaggio propagandistico, atti di evergetismo Lucio Cesare, nipote adottivo di Augusto, a Tiberio, suo figlio adottivo, ricordato come continuano a rappresentare una forma di adesione al potere centrale e al tempo stesso a patrono di Amiterno e di Foruli; iscrizioni per i Ludi Augusti nel 2 d.C.). Sul finire dell’età fornire una prova dei mezzi della famiglia di appartenenza. La gens Sallia, ricordata dalle repubblicana, il desiderio di autocelebrazione delle famiglie attraverso la diffusione della tabulae patronatus di Amiterno, diviene così finanziatrice di numerose opere anche nel IV propria immagine si lega al fenomeno dell’evergetismo spostato dall’Urbe ai centri rurali sec. d.C., quando iniziano a verificarsi alcuni fenomeni di degrado, in parte dovuti ad un come segno di nuove affermazioni politiche anche in contrapposizione a quelle cittadine. nuovo evento sismico. 76 77

Le Tabulae Patronatus di Amiternum Valentina Belfiore

69-70. Tabulae Patronatus di Amiternum, IV sec. d.C.

Le tabulae patronatus rappresentano documenti ufficiali che avevano la funzione di ricordare il stesse tabulae ricordano ben tre patroni nell’arco di quattro generazioni. vincolo esistente tra i cittadini di una colonia o di un municipio e il loro patrono, generalmente Il primo testo menziona gli interventi di munificenza di Gaio Sallio a favore della città (“splen- residente a Roma. In tal senso corrispondono alla funzione “privata” delle prime tessere, dette didissimae civitati nostrae”): la riattivazione dell’acquedotto (Aqua Arentani) e l’offerta di due hospitales, che fin dalla remota antichità sancivano un vincolo di ospitalità tra due contraenti, giorni di rappresentazioni teatrali per l’inaugurazione delle terme che lo stesso Gaio Sallio fece l’ospitante e l’ospitato: oggetti simili prevedevano pertanto una “duplice copia”, con cui l’ospita- ricostruire e dotare di porticati e di statue. La seconda tabula, più sintetica, non è meno inte- lità poteva essere rivendicata. Allo stesso modo, le tabulae patronatus, diffuse in età imperiale ressante, in quanto la cerimonia di conferimento, a differenza della prima, è “pagana” o “vicana” nelle province romane e nel IV sec. d.C. anche in Italia, dovevano essere solitamente due, una (cum universi pagani seu vicani Forulani in [e]/pulo Aug(usteo?) frequentes obvenissent “poiché pubblica da affiggere nel foro o altro luogo riservato alla vita comunitaria, e l’altra privata, desti- al luogo del banchetto augusteo in gran numero erano accorsi tutti insieme gli abitanti della nata alla casa del patrono, spesso ricordata dall’iscrizione stessa. campagna (pagus) o del villaggio (vicus) di Foruli”). Lo scopo dell’attribuzione del patronato è Le tabulae patronatus, a contenuto standardizzato, potevano essere redatte in una forma breve, chiarito a fine testo: def[ens]/i(o)nis auxilia beneficiis concurrentibus plur{i}a [in nos] / conferri spe- che prevedeva la scelta di qualcuno come patrono e la conferma della registrazione del patro- remus (“speriamo che, con l’assegnazione di molti benefici, ci siano portati aiuti più numerosi nato, oppure in una forma lunga, che ricordava anche il decreto di conferimento del patronato. per la difesa”). Quest’ultima è anche la forma dei due testi di Amiternum: la prima tabula riguarda il patronato Le due tavole rappresentano le ultime testimonianze di vita dell’abitato. Il fatto che siano state su Amiternum conferito a Gaius Sallius Pompeianus Sofronius nel 325 d.C., mentre la seconda rinvenute ad Amiternum, circa 150 m a sud-est dell’anfiteatro, presso le strutture murarie di una riguarda il patronato su Foruli attribuito a suo figlio, con lo stesso nome, nel 335 d.C. Si tratta di grande abitazione, suggerisce di identificare l’edificio con la domus dei Salii, ancora abitata nel rappresentanti di una famiglia amiternina la cui esistenza è documentata per oltre due secoli: le IV sec. d.C. dai suoi proprietari. 78 79

Sala dedicata alla Collezione Pansa 80 81

Appendici versa provenienza che, considerati nel loro insieme, ben riflettono gli interessi del collezionista: prevalgono infatti oggetti d’uso comune come utensili, chiavi e serrature, giochi, oggetti da toeletta, vetri e ceramiche; reperti legati all’abbigliamento e all’arredamento come gioielli e or- namenti, armi e armature, appliques di mobili in bronzo e osso, vasi figurati; manufatti collegati La Collezione Pansa a culti e credenze come bronzetti, statuette votive ed ex voto in coroplastica. Se si escludono al- Maria Emilia Masci cune sculture in marmo e pochi pezzi più pregevoli dal punto di vista del valore venale, è chiaro che Pansa fosse attratto da quella che oggi definiremmo “cultura materiale” delle antiche popo- Due sale al piano terra sono interamente dedicate alla raccolta di antichità costituita da Giovan- lazioni, e che abbia selezionato i materiali della sua collezione in base ai suoi interessi scientifici ni Pansa tra fine Ottocento e primi decenni del Novecento. Si tratta della più nota e cospicua orientati allo studio delle tradizioni popolari, alla ricostruzione storico-economica, all’interpre- collezione archeologica privata abruzzese, acquisita dallo Stato nel 1953 dopo lunghe e tor- tazione semantica della simbologia che traspare dai reperti stessi. mentate trattative con gli eredi, trasportata a Chieti presso la Soprintendenza all’inizio del 1954 La provenienza delle antichità Pansa è nota purtroppo soltanto in pochi casi, o perché riferita e destinata al costituendo Museo Archeologico Nazionale grazie all’interessamento di Valerio dallo stesso collezionista che pubblicò degli studi su alcuni dei materiali da lui raccolti, come Cianfarani, che ne curò il primo allestimento insieme ad Adriano La Regina. Il radicale ammoder- una stele funeraria da Roma ed un carretto fittile da Canosa (oggi ritenuto falso), oppure perché namento del Museo operato da Giovanni Scichilone nel 1985 privò i visitatori della possibilità riportata da Mancini nel suo Inventario: è il caso di un canopo da Sarteano, del bronzetto di Erco- di osservare i reperti raccolti dal Pansa, che furono riposti nei magazzini fino al 1992, quando le con iscrizione osca sulla base da Venafro, e di due vasetti dai dintorni di Chiusi con iscrizione Maria Rita Sanzi di Mino ne dispose il riallestimento in due sale al pianterreno, dove ancora oggi etrusca, oltre che di vari reperti preistorici dalle grotte di Formello presso Caramanico, di Ripa si può ammirare una rappresentativa scelta dei pezzi della collezione. Altre antichità Pansa sono Teatina, di Rapino e da altri siti abruzzesi (Ripoli, valle dell’Aterno, Prata d’Ansidonia, bacino del attualmente visibili presso il Museo Civico di Sulmona, in Fucino). prestito dal Museo di Villa Frigerj. Una voluta centralità è stata dedicata nell’allestimento alla serie dei bronzetti (fig. 72): si tratta di Intellettuale dai molteplici interessi che spaziano dalla statuette votive di divinità raccolte da Pansa in gran quantità, la più conosciuta delle quali è l’Er- storia all’arte, alle antichità, sino al folklore, ambito di stu- cole da Venafro, databile al III sec. a.C. (fig. 71). La figura di Ercole è ricorrente perché all’eroe era di nel quale fu uno dei pionieri, Giovanni Pansa fu uno de- dedicato un culto particolare tra le popolazioni itali- gli animatori principali dell’ambiente culturale abruzzese che. Così possiamo notare un’ampia scelta di bron- di inizio Novecento. Amico di Benedetto Croce, fu uno dei zetti raffiguranti Ercole promachos che, brandendo giovani studiosi meridionali che raccolsero il suo invito la clava e con la leontè avvolta sull’avambraccio, in- a rientrare nella loro terra d’origine per animarne la vita cede per attaccare. Tra i bronzetti sono raffigurate scientifica e culturale, dopo essersi formati nelle migliori anche altre divinità del pantheon romano ed alcune scuole ed università italiane. divinità orientali. Le statuette sono databili in varie A partire dai primi anni del Novecento si registra il cre- epoche; per la maggior parte appartengono a pro- scente interesse di Giovanni Pansa per il collezionismo: duzione sabellica, ma sono presenti anche esemplari dalle carte conservate nell’Archivio del Museo di Villa Fri- dall’area padano-veneta, dall’Etruria, dai territori di gerj apprendiamo infatti che proprio in questo periodo si Umbria e Lazio. concentrano i suoi acquisti di antichità, monete, oggetti Tra le antichità esposte è presente anche una scelta d’arte ed armi. La collezione era esposta in casa Pansa a di vasi e reperti etruschi spesso frammentari e di non Sulmona e gelosamente custodita da Giovanni, che la mo- alto valore venale, che probabilmente non perven- strava soltanto a pochi. Gli oggetti mobili erano disposti in nero al Pansa mediante acquisti, ma che dovevano vetrine e suddivisi per tipologia secondo i criteri espositivi avere per lui un grande valore affettivo, forse perché dell’epoca, fortemente influenzati dalla tendenza alla clas- tra questi potrebbero esservi alcuni dei pezzi che lui sificazione di stampo positivista. stesso rinvenne in gioventù nelle escursioni presso La raccolta di antichità passata al Museo di Villa Frigerj Firenze con i compagni del collegio alle Querce, che comprende più di cinquecento reperti databili tra la prei- lo fecero appassionare alla storia e all’archeologia. storia e l’età tardo antica che furono descritti nell’Inven- Una piccola sezione è dedicata inoltre ai ricchi corre- tario della sezione archeologica della Collezione Pansa e di del ceto di guerrieri che dall’VIII al VI sec. a.C. ali- relativa stima redatto nel 1952 da G. Mancini e valutati L. mentarono con la loro richiesta la ricca produzione 6.885.000. È composta da materiali di vario genere e di di- metallurgica delle botteghe nell’area del Fucino, a

71. Bronzetto di Ercole da Venafro, III sec. a.C. 72. Bronzetto di uomo seduto, età del ferro 82 83

73. Spatolette in osso, età ellenistica fino a romano imperiale

cui si ascrivono i caratteristici dischi corazza, armi e ornamenti maschili e femminili. Gli acquisti dal mercato antiquario sia romano che napoletano sono documentati dalla presenza nella collezione di vasi figurati etrusco-corinzi, attici ed apuli, molti dei quali probabilmente scel- ti per la particolarità della loro decorazione o della forma, come nel caso dei vasi plastici (vasetto a forma di scimmia, due oinochoai a testa femminile e kantharos a testa di satiro). L’attenzione di Pansa per il mondo del culto, delle credenze popolari e della superstizione è testimoniata da un’ampia scelta di ex voto e testine fittili, mentre la sua curiosità per la cultura materiale dei popoli antichi è immediatamente percepibile osservando le vetrine che raccolgo- no giochi come astragali e bamboline in osso con arti mobili; strumenti per cucire e filare come aghi a cruna, aghi crinali, fusi e fuseruole; oggetti da toeletta in osso (fig. 73) e avorio e preziosi contenitori in vetro per oli e profumi; decorazioni ed appliques di mobilio e di letti funebri in bronzo, osso e avorio; serramenti come chiavi, cardini, serrature; sigilli e punzoni; vasellame ed oggetti per la mensa, etc. Tra le antichità più preziose non mancano oreficerie e gioielli in oro e pietre dure (figg. 75-76), importazioni dall’oriente tra cui statuette, amuleti, scarabei (fig. 74) ed oggetti in pasta vitrea, oltre a cinque teste in marmo di età ro- mana. Si tratta di tre ritratti e due tipi statuari ideali: un ritratto femminile che per la pettina- tura, adottata da Ottavia, sorella di Augusto, è ascrivibile al I sec. a.C.; una testa barbata di filosofo, copia romana databile al II sec. d.C. da un tipo greco del IV sec. a.C.; una replica del ritratto di Julia Domna, la seconda moglie di Settimio Severo, datata tra la fine del II e l’ini- zio del III sec. d.C. I due tipi ideali raffigurano una testa di Apollo, probabilmente apparte- nente ad un’erma di età adrianea, ed un satiro che suona l’aulòs di età antonina (figg. 77-78). 75-76. Collana di filo d’oro con grani quadrangolari in smeraldi grezzi 74. Scarabeo in ardeatite con geroglifici disposti in e orecchini a cerchio con smeraldo ordine immaginario grezzo e agata, età romana imperiale 84 85

La collezione numismatica Mariangela Terrenzio

La collezione numismatica, ospitata al piano terra del museo, aiuta a tracciare un quadro dello sviluppo storico dell’Abruzzo. Nelle sale sono presenti le monete più antiche circolanti in Abruz- zo a partire dal IV sec. a.C. fino all’Unità d’Italia. Il materiale esposto costituisce solo una minima parte dell’intera collezione numismatica proveniente da scavi sistematici e da rinvenimenti for- tuiti avvenuti sul territorio abruzzese. La visita all’allestimento è introdotta da un bassorilievo di III-IV sec. d.C. della collezione Pansa, verosimilmente parte di una stele funeraria, che informa il visitatore su come si realizzava una moneta: un malleator pronto a battere sull’incudine il conio che il personaggio togato a destra tiene in mano (fig. 79). Il percorso propone un confronto con l’area ellenizzante e Roma a partire dalle prime coniazioni 77. Erma di Apollo, copia di età adrianea 78. Testa di satiro, copia di età antoniniana del V sec. a.C., durante un periodo in cui le città magno greche continuavano a seguire modelli, anche economici, della madrepatria. Il passaggio dalla fusione alla coniazione faciliterà l’emissione Giovanni Pansa (Sulmona, 1865-1929): un collezionista erudito dei pezzi, ora più costante nel peso, rendendo di conseguenza più difficoltosa la loro falsificazione. Anche l’Abruzzo sembra preferire per le transazioni commerciali monete di tipo “greco”. L’unifica- Figlio di un avvocato, Pansa viene educato a Firenze dai padri barnabiti presso il col- zione dei sistemi monetari avviene definitivamente con la conquista romana dell’Italia. legio alla Querce. Qui mostra subito una predilezione per le materie umanistiche, in Alcuni gruppi di monete non entrano nella circolazione monetaria perché custoditi in ripostigli (fig. particolare per la storia, e si appassiona all’archeologia grazie alle lezioni di Leopol- 80). È questo il caso di Poggio Picenze composto di argenti emessi tra il III e il I secolo a.C. in zecche do de Feis e Luigi Maria Bruzza, che coinvolgevano i ragazzi del collegio in piccole greche del Peloponneso dalla Lega Achea, da Atene e dai re di Cappadocia. La raccolta ha suggerito imprese di scavo nei dintorni di Firenze. Proprio agli anni del liceo si datano i primi l’ipotesi che il gruzzolo appartenesse ad un mercenario di ritorno dalle campagne di guerra. scritti di Giovanni Pansa. Nel 1884 si iscrive alla facoltà di medicina a Bologna, per poi Le monete vengono utilizzate come strumento di propaganda personale dai magistrati mone- cambiare indirizzo di studi e trasferirsi due anni dopo a Roma dove, per volere del tali, funzionari che hanno il compito di regolamentare e controllare la coniazione e l’emissione padre, si iscrive alla facoltà di giurisprudenza, laureandosi solo nel 1892, senza poi mai delle monete. Da un ripostiglio di Tera- esercitare l’avvocatura. Durante gli anni romani si dedica soprattutto agli studi storici, filologici, epigrafici e numismatici, frequentando i salotti culturali della città. Dalla fine mo provengono denari d’argento di età degli anni Ottanta entra in contatto con Croce e matura gradualmente il desiderio di imperiale emessi da Nerone a Massimi- occuparsi più attivamente della sua terra d’origine: nel 1888 aderisce alla neonata So- no I il Trace, dove l’immagine dell’impe- cietà di storia patria per gli Abruzzi e pubblica molti scritti nel Bollettino della Società ratore viene raffigurata sul dritto della e sulla Rivista Abruzzese di Scienze e Lettere, dedicandosi soprattutto alla raccolta e alla moneta. In questa vetrina si trova anche conoscenza delle fonti archivistiche e bibliografiche per la storia abruzzese. Entrato la moneta d’oro con il profilo dell’impe- in contatto con vari studiosi del luogo, avvia tra gli altri una collaborazione con Pietro ratore Galba (3 a.C-69 d.C.). Piccirilli, con cui fonda nel 1897 la Rassegna Abruzzese di Storia ed Arte, edita fino al L’esposizione prosegue con le emissioni 1900 da Rocco Carabba. Dal 1894 torna ad abitare stabilmente a Sulmona, dopo esse- di età medievale. Le monete bizantine re stato eletto sindaco. Di idee liberali, si occupa della valorizzazione storico-artistica circolanti nell’Italia Meridionale sono della sua città ed avvia importanti opere pubbliche, senza tuttavia prestarsi a soddi- state coniate in bronzo nella zecca di sfare le istanze delle varie parti politiche, venendo osteggiato da molti ed oggetto di iniziative giudiziarie, poi dimostratesi infondate, sino a subire una lieve ferita da arma Costantinopoli e ritrovate sul territorio da fuoco per mano di un attentatore. Disgustato da tutto ciò, rassegna le dimissioni abruzzese. Sotto la dominazione nor- nel 1898, per non avventurarsi mai più nella politica. Con l’avvento del fascismo poi, manno-sveva, con la riorganizzazione sarebbe rimasto forzatamente escluso da ogni carica civile sia per le sue idee liberali, fiscale della pastorizia transumante, fu sia per il suo legame con Croce. Dopo il matrimonio con Petronilla Ruggiero nel 1901, coniato il tarì, una nuova moneta d’oro Pansa si ritira dalla vita pubblica, dedicandosi con maggior fervore agli studi storici, con simboli cristiani, queste immagini sul folklore e sull’archeologia, maturando una passione per la numismatica e pubbli- non sono solo testimonianza della fede cando svariati saggi sulla monetazione romana e dei popoli italici. Nell’ultimo periodo cristiana ma anche simbolo del potere della sua vita infine, gli interessi di ricerca maturati durante il suo percorso scientifico portano ad interessarsi sempre più allo studio delle tradizioni popolari e del folklore, 79. Rilievo con mastro monetiere da Roma, con la pubblicazione dell’opera Miti, leggende e superstizioni dell’Abruzzo edita in due probabilmente pertinente ad un monumento volumi nel 1924 e 1927. Lavorava al terzo volume quando scomparve, nel 1929. funerario, III-IV sec. d.C. (collezione Pansa) 86 87

economico: sul dritto delle monete di Federico II di Sve- Valerio Cianfarani (Roma, 1912-1977): un soprintendente illuminato via compare l’aquila imperiale. Mariangela Terrenzio Per le grandi transazioni commerciali sin dalla prima metà del XIV secolo si utilizza il ducato veneziano e il fio- Valerio Cianfarani nasce a Roma il 13 dicembre 1912, si iscrive all’Università nella sua città natale rino d’oro. Con queste emissioni le monete d’oro di Vene- per studiare archeologia e si laurea nel 1935. Gli anni tra il 1936 e il 1939 sono importanti per la zia tornarono a dominare i mercati mondiali. sua formazione e lo vedranno impegnato in studi e ricerche sul campo. Al tempo degli Angioini si ripristinò la “Via degli Abruzzi” Durante la seconda guerra mondiale, lo studioso si prodiga per la protezione di tutto il patri- che metteva in comunicazione L’Aquila, Sulmona, Castel monio culturale della Nazione. Il 16 ottobre 1947 Valerio Cianfarani arriva a Chieti con l’incari- di Sangro e le altre città abruzzesi con le grandi capitali co di chiudere la Soprintendenza delle Antichità degli Abruzzi e Molise ma, contrariamente al dell’epoca (Napoli e Firenze). I vivaci scambi commerciali previsto, si prodiga affinché l’ufficio continui il suo lavoro. Lo studioso si dedica in Abruzzo alla richiamarono anche gli interessi di Venezia. raccolta di testimonianze delle antiche genti italiche del medio Adriatico. Dopo alcuni mesi di Questo flusso commerciale interessò l’Abruzzo setten- sopralluoghi sul territorio, avvia ricerche e scoperte con il coinvolgimento di studiosi italiani e trionale, soprattutto per l’approvvigionamento di ma- stranieri, esplorando sistematicamente tutto l’ambito regionale. terie prime come lana, sale, olio e vino. Questi scambi Cianfarani riteneva che l’Abruzzo, per entrare a pieno titolo nella storia dell’archeologia, avesse commerciali sono testimoniati dal ritrovamento, nel bisogno di un museo statale centrale e non di tanti piccoli musei locali dispersi nel territorio. Il 1941, del ripostiglio di Giulianova, appartenente quasi si- museo centrale doveva rappresentare il fulcro di interessi scientifici nazionali e internazionali. curamente a un mercante locale. Il tesoro è costituito da Gli anni in cui Cinfarani manifesta questo intento erano tuttavia colmi di difficoltà: all’indomani 168 ducati veneziani o zecchini databili dal 1289 al 1400. del secondo conflitto mondiale tutte le risorse economiche erano destinate alla ricostruzione di L’immagine raffigurata sul dritto è solitamente il Cristo case e scuole. Edificare un museo non era tra le priorità delle amministrazioni dell’epoca. Cio- benedicente iscritto in una mandorla, ispirata all’icono- nonostante, viene trovato un compromesso: una scuola, ospitata nel “palazzotto neoclassico al grafia bizantina, a cui corrisponde sul rovescio l’immagi- centro della villa comunale”, per il gran numero di allievi, era divenuta troppo piccola. Il Comune, ne del Doge in carica inginocchiato davanti a San Marco. proprietario dell’immobile, deliberò quindi la cessione allo Stato di Villa Frigerj quale sede del Il XVI secolo è caratterizzato da importanti innovazioni Museo Nazionale di Antichità degli Abruzzi e del Molise. tecnologiche e qualitative. Durante il Rinascimento fu Cominciano ad affluire nei magazzini della Soprintendenza reperti reintrodotto sul dritto della moneta il ritratto del sovrano anche di notevole valore, tra cui il materiale dell’Antiquarium e lo stemma della casata sul rovescio, documentando il Teatino, e viene acquisita la collezione formata da Giovanni consolidarsi delle monarchie nazionali. Disponiamo così Pansa. Inizia anche la campagna di ritorno dei monumenti di una galleria di ritratti di sovrani che hanno lasciato una emigrati, dal letto bronzeo di Amiterno, al famoso e importante testimonianza anche sul territorio abruzzese. Guerriero di Capestrano, ai rilievi gladiatori di C. Lusius Storax. Le monete aumentano il loro spessore, vengono pro- Il passaggio dell’edificio allo Stato incontra un’altra difficoltà, dotte con sistemi parzialmente meccanizzati. La tecnica rappresentata dall’ipoteca che risale al 1793 per un prestito che il della coniazione raggiunge la capacità di produrre un Comune aveva chiesto e mai restituito. Rintracciare gli eredi che numero notevole di pezzi uniformi, ormai standardizza- beneficiavano e che rinnovavano l’ipoteca non fu semplice, ti. Un esempio è il ripostiglio di Miglianico ritrovato nel ma con l’individuazione dell’ultimo erede, il marchese Carlo 1975, appartenuto ad un collezionista, composto da 60 Lepri, l’ipoteca fu finalmente estinta e il 7 agosto 1957 piastre d’argento con il ritratto di Ferdinando II di Bor- fu stipulato l’atto di cessione dell’edificio. Il museo fu bone emesse dalla zecca di Napoli dal 1833 al 1858. In inaugurato il 14 giugno 1959 con l’intervento del questa collezione sono presenti i ritratti del re, che salì Presidente della Repubblica Giovanni Gronchi. al potere a 21 anni e lo lasciò a 49. Le monete hanno Il 31 marzo 1973 Canfarani lascia l’Amministrazione dimensioni e caratteristiche tutte uguali: la differenza è della Soprintendenza e scompare a Roma l’8 dicem- nell’immagine del re che con il passare degli anni matura bre 1977. Con la sua forte vocazione di educatore, e invecchia. La collezione numismatica fornisce in sintesi aveva saputo accogliere i giovani, dar loro credito ed la storia dell’Abruzzo, dello sviluppo economico della re- ha rappresentato per molti un maestro di conoscenza e gione dall’antichità fino all’Ottocento. di vita. Egli riteneva che il museo, oltre ad essere un luogo di conservazione e valorizzazione del patrimonio archeo- logico, dovesse diventare un luogo di divulgazione. 80. Denarii dal ripostiglio di Petacciato (Campobasso), metà del II sec. a.C. 81. Valerio Cianfarani 88 89 Piano terra luoghi di provenienza dei materiali esibiti al museo

PRIMO PIANO (grafica: M. Crisante, Salvatore Stefano) De Salvatore Crisante, M. (grafica:

Sabini Adriatici / Pretuzi (ricadenti nel territorio della V regio): 1 Tortoreto; 2 Campovalano; 3 Penna Sant’Andrea; 4 Castiglione Messer Raimondo/ Colle San Giorgio

Sabini 5 Amiternum/ Foruli/ Pizzoli/ San Vittorino

Vestini 6 Pescara; 7 Spoltore; 8 Loreto Aprutino; 9 Montebello di Bertona; 10 Capestrano; 11 Bazzano; 12 Civita di Bagno/ Forcona; 13 Fossa; 14 Prata d’Ansidonia/ Peltuinum; 15 Caporciano; 16 Navelli;

Marrucini 17 Bucchianico; 18 Vacri; 19 Fara Filiorum Petri; 20 Rapino; 21 Guardiagrele

Peligni 22 Molina Aterno; 23 Castel di Ieri; 24 Corfinium; 25 Sulmona; 26 Cansano-Ocritium

Equi 27 Carsoli, 28 Alba Fucens, 29 Avezzano

Marsi 30 Collelongo

Carricini 31 Casoli; 32 Gessapalena; 33 Montenerodomo; 34 Quadri

Frentani 35 Atessa/ Pallano 90 91

Teste-ritratto: femminile dalla Collezione Pansa e maschile da Foruli della seconda metà del I sec. a.C. 92 93

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Dalla valle del Fino alla valle del medio e alto Pescara, VI.1, tà di riferimento è la lunghezza di 100 actus (circa 3,5 km), che ha dato il nome a Martellone A. 2010c, Necropoli di Campovalano, 105-108. queste divisioni agrarie. tomba 604, in: Porcaroli 2010, 88-89. domus: abitazione urbana, distinta dalle villae suburbane e rustiche, con ambienti orga- Romana, Arte, in Enciclopedia dell’Arte Antica, nizzati intorno a un atrio (cubicula o camere da letto, triclinia o sale da pranzo, cu- Mattiocco E. (a cura di) 1989, Dalla villa di Ovidio Supplemento V. cina e magazzini). Negli edifici con maggior superficie abitativa, oltre all’atrio dove al santuario di Ercole, Sulmona. solitamente era una vasca per la raccolta dell’acqua piovana, ulteriori ambienti Ruggeri M. 2001, La necropoli di Guardiagrele- Mattiocco E. 2012, La viabilità antica tra la terra Comino, in Piceni 2001, 301-305. potevano essere disposti intorno a uno o più peristili, ovvero portici colonnati che dei peligni e il sannio settentrionale, in: Ceccaroni, delimitavano giardini o corti con fontane. Faustoferri, Pessina 2012, 439-452. Ruggeri M. 2001, La necropoli di Comino a evergetismo: mecenatismo, finanziamento di opere pubbliche da parte di privati facoltosi (evergeti). Guardiagrele, in Terra di confine. Tra Marrucini e escatologico: ciò che riguarda il destino finale dell’uomo, spesso riferito a quanto avviene dopo Mertens J. 1981, Alba Fucens, Bruxelles. Carricini, 2001, 31-44. la morte. guerra sociale: guerra dei socii, ovvero degli alleati, contro Roma (91-88 a.C.), per ottenere la citta- Moretti G. 1936-37, Il guerriero italico e la Ruggeri M. (a cura di) 2007, Guerrieri e re necropoli di Capestrano, in: Bullettino di Paletnologia dell’Abruzzo antico, Pescara. dinanza romana. Teatro di scontri furono in particolare Ascoli e Corfinio. Italiana n.s. I, 1936-37, 94-112. guerre sannitiche: guerre di conquista combattute dai Romani contro le popolazioni del Sannio per Ruggeri M., Cosentino S., Faustoferri A., acquisire il controllo di questi territori. Prima g.s.: 343-341 a.C.; seconda g.s.: 326- Papi R. 1990, Dischi-corazza abruzzesi a decorazione Lapenna S., Sestieri A.M., Tuteri R. 2011, Dai 304 a.C.; terza g.s.: 298-290 a.C. geometrica nei musei italiani, Roma. circoli ai tumuli: rilettura di necropoli abruzzesi, in: lateniano: celtico del periodo di massima fioritura di questa civiltà, generalmente riferito al V-I Quaderni di Archeologia d’Abruzzo 1/2009, 39-52. sec. a.C., dal nome del sito più significativo, La Tène, presso il Lago di Neuchatel (Sviz- Papi R. 1993, Ideologia funeraria e società zera). Antico latène: VI sec. a.C.; medio latène: 450-100 a.C.; tardo latène: I sec. a.C. nell’Abruzzo preromano, in: Abruzzo 31, 1993, 19- Russo S. 1979, La Collezione Pansa nel Museo 23. Archeologico di Chieti in: Bullettino della Deputazione kline: letto utilizato in ambito greco, etrusco e romano per consumare il banchetto in abruzzese di Storia patria, 69, 125-165. posizione semidistesa. 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(a cura di) 2008, Tra luce e tenebre. di una cultura, in Bourdin, d’Ercole 2014, 91- Letti funerari in osso da Lazio e Abruzzo, catalogo della fino alla prima età imperiale (II sec. a.C.-II sec. d.C.), durante la quale la scultura trae 116. mostra (Tivoli 2008), Milano. ispirazione da originali dell’arte greca di V-IV sec. a.C. osco: lingua parlata dalle popolazioni sannitiche, v. mappa a pag. 74. Parenti F. M. 1979, L’archeologo Giovanni Pansa ex Staffa A. 1998, Loreto Aprutino ed il suo territorio peristilio, v. domus. querciolino, in: La Quercia, n. 3-4, luglio-dicembre. dalla Preistoria al Medioevo, Loreto Aprutino. praetorium: alloggio del comandante dell’esercito all’interno di un accampamento o castrum. Tali strutture, inizialmente mobili, divengono permanenti e monumentali: un Pessina A. 2010, Archeologia in Abruzzo. La nascita Tulipani L. 2010, Valerio Cianfarani: un profilo di un’identità molteplice e millenaria, in: porcaroli biografico, in Ceccaroni , Faustoferri, Pessina esempio ne è il castro pretorio di Roma. 2010, 31-35. 2012, 11-17. sannita: popolazione del Sannio nel centro-sud Italia (Abruzzo, Molise, Campania), v. mappa a pag. 74. Pessina A., Simongini G. (a cura di) 2011, Al di Tuteri R. 2011, Un cammino millenario: la fibula scaenae frontes: fondale del teatro romano, frontescena con prospetti rapresentati da ordini archi- là del tempo MIMMO PALADINO e il Guerriero di di Pizzoli, in Quaderni di Archeologia d’Abruzzo tettonici sovrapposti, decorati da colonnine e nicchie per l’alloggiamento delle Capestrano: la nuova sala, Torino. 1/2009, 31-38. statue. stipe votiva: insieme di oggetti accumulati in depositi o ripostigli o altrimenti gettati entro sca- Piceni 2001: Eroi e regine. Piceni popolo d’Europa, Tuteri R. 2014, Secoli augustei, Messaggi da catalogo della mostra (Francoforte-Ascoli-Roma Amiternum e dall’Abruzzo antico, Teramo, 11-12. richi in luoghi riservati al culto. 1999-2000), Roma, 2001. Tabula Peutingeriana: cartografia dell’Italia antica di età medievale: da alcuni indizi è possibile stabilire Tuteri R., Faustoferri A., Heinzelmann M., che si tratta della riproduzione dello stato viario e di urbanizzazione precedente, Porcaroli F.L. (a cura di) 2010, S.O.S. Arte Lapenna S., Ruggeri M. 2010, Dall’organizzazione verosimilmente risalente al IV sec. d.C. dall’Abruzzo. Una mostra per non dimenticare, premunicipale alla città romana, in: Quaderni di teofania: apparizione divina. catalogo della mostra (Roma 2010), Roma. Archeologia d’Abruzzo 2, 27-64. villa: abitazione di campagna del periodo romano, caratterizzata da una superficie estesa e comprendente ambienti abitativi e ambienti produttivi (ad es. per la tor- chiatura dell’uva, delle olive, la macinazione del grano, etc.). 96

POLO MUSEALE DELL’ABRUZZO

L’Aquila • MUNDA - MUSEO NAZIONALE D’ABRUZZO

Celano • CASTELLO PICCOLOMINI - COLLEZIONE TORLONIA E MUSEO D’ARTE SACRA DELLA MARSICA • MUSÉ - NUOVO MUSEO PALUDI CENTRO DI RESTAURO

Badia Morronese, Sulmona • ABBAZIA DI SANTO SPIRITO AL MORRONE

Campli • MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE

Chieti • MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE DELL’ABRUZZO “VILLA FRIGERJ” • MUSEO ARCHEOLOGICO NAZIONALE “LA CIVITELLA”

Castiglione a Casauria • ABBAZIA DI SAN CLEMENTE A CASAURIA

Pescara • MUSEO CASA NATALE DI G. D’ANNUNZIO

Popoli • TAVERNA DUCALE

L’Aquila • CHIESA DI SAN BERNARDINO

Alba Fucens, Massa d’Albe • CHIESA DI SAN PIETRO IN ALBA FUCENS

Capestrano • CHIESA DI SAN PIETRO AD ORATORIUM

Carpineto della Nora • CHIESA DI SAN BARTOLOMEO

Chieti • CHIESA DI SAN DOMENICO

Fossacesia • ABBAZIA DI SAN GIOVANNI IN VENERE

direttore: Lucia Arbace sede centrale: MuNDA via Tancredi da Pentima, 67100 L’Aquila info: +39 0862 28420 Museo Archeologico Nazionale d’Abruzzo Villa Frigerj Tel. +39 0871 404392 e-mail: [email protected] www.musei.abruzzo.beniculturali.it Polo Museale dell’Abruzzo