NUMERO 262 in edizione telematica 11 novembre 2018 DIRETTORE: GIORS ONETO e.mail: [email protected]

L’atletica italiana si sta avviando verso non è solo una sua scelta ma può forse anche l’epilogo stagionale. Una fine a dire il vero esser collegata al fatto che disponibili a darle senza clamori né particolari sussulti, una mano sono in pochi. Della latitanza della addirittura con paradossali declamazioni di Scuola ne abbiamo ampiamente scritto e della ottimismo come se tutto o quasi sia sin qui povertà, anche in senso di pecunia, degli andato nel migliore dei modi. Invece, e non sponsor, pure. Potremmo ora coinvolgere i siamo noi a dirlo, ma l’evidenza dei fatti, i mezzi d’informazione che parlano e scrivono risultati ottenuti (da qualsiasi angolatura li si poco (o nulla) di atletica magari trincerandosi voglia guardare) non sono stati granché, anzi dietro alla giustificazione che l’atletica non diciamocelo pure, sono stati mortificanti e per richiama pubblico (al proposito e tanto per questo ci saremmo dovuto aspettare una fare un esempio, quante righe hanno dedicato reazione d’orgoglio da stamani i giornali parte della specializzati e non al Federatletica , con un Campionato italiano di programma vivace e maratona disputatosi ieri dinamico proteso con ?) coraggio ed entusiasmo E che dire delle società, a verso il futuro. Cioè cominciare dai Gruppi un’ azione che pur militari che operano comportando rischi indiscutibilmente in personali , compreso maniera autonoma spesso quello di perdere il visitando i vivai delle cadreghino, società classihe metterebbe almeno in riducendone le possibilità evidenzia la voglia di operative ed evitando di rivincita o di rinascita. assumersi specifiche E di rinnovamento. responsabilità in ambito Invece il “potere”, cioè federale? coloro che stanno in Del CONI sappiamo tutto alto sembrano avere la e di più. Il resto è senza sola grande finalità, parole. Tanto per quella di agitare il confermare le nostre meno possibile le acque preoccupazioni. non dando retta alle Ci stiamo avviando critiche, parlando di cose secondare all’epilogo stagionale percorrendo un triste puntualizzando colpe altrui, e sempre al viale del tramonto con tanti nostri ideali sussurro di: meno se ne parla, meglio é. sportivi che, ahinoi, svanisco e cadono. Come le Quasi che i malanni sparissero da soli. Va foglie. anche detto che l’isolamento della Federazione Giors

SPIRIDON/2

Anzi, metti due appassionati, di quelli ai quali le poltrone non interessano, che all’atletica hanno sempre dato tanto, ben più di quanto possono aver ricevuto e sono sempre pronti ad aprire il portafoglio per realizzare qualcosa di concreto: basta un attimo perché nelle loro teste frulli una nuova idea e da quel momento si dedicheranno con tutte le loro forze a realizzarla. Così è nata, circa un anno fa, ad Ottavio Castellini ed Erminio Rozzini, la voglia di festeggiare Beppe Gentile, mezzo secolo dopo quei due giorni, il 16 ed il 17 ottobre del 1968, nei quali a Città del Messico ottenne due primati del mondo ed il bronzo olimpico del salto triplo. Dapprima si sono mossi, poi hanno coinvolto qualche amico, in primis il gruppo Progetto Multisport “Sognando Olympia” e l’Atletica Agazzano, ottenendo anche il patrocinio non oneroso del Comune a una manciata di chilometri da Piacenza. E sono state così poste le basi per una domenica di festa alla quale hanno partecipato in tanti, ben più di quanti gli “organizzatori” si aspettassero.

Meglio così, perché è stata festa grande. Inutile soffermarsi su quanti si era, certo è che nella grande sala dell’albergo di Agazzano che ci ha ospitati in molti sono stati costretti a restare in piedi e per il pranzo successivo è stato necessario predisporre in fretta e furia una seconda sale perché quelli che hanno voluto restare fino alla fine sono stati ben oltre cento.

D’altronde il piacere di festeggiare un Campione, mezzo secolo dopo la sua impresa sportiva più significativa, non capita tutti i giorni e, con una punta di malignità, potremmo aggiungere che per i nostri nipoti fra 50 anni poter festeggiare i campioni di oggi sarà ancora più complicato. Ma lasciamo perdere.

Dunque, innanzitutto merita una piccola spiegazione del perché si sia finiti ad Agazzano: in questo paese è vissuto Giovanni Baldini, che fu compagno di stanza in molte occasioni proprio di Gentile e Crosa. Adesso è il figlio ad occuparsi di mandare avanti la baracca atletica, peraltro con buoni risultati e la “promessa” Andrea Dallavalle come fiore all’occhiello.

Beppe Gentile, anche se l’antico compagno di stanza non c’è più, è rimasto legato alla famiglia Baldini, ed ha accettato subito l’invito che gli era stato rivolto. A questo punto Rozzini si è impegnato per costruire intorno a lui una “squadra” degna del Campione mentre Castellini si è occupato del contesto della festa, compresa la “chicca” di contattare Giorgio Fracchia, figlio del compianto Luciano, per avere delle immagini da proiettare.

Ne è scaturita una celebrazione a dir poco sontuosa, alla quale erano assenti gli “affezionati delle poltrone”, con ospiti tutti gli italiani che hanno firmato tripli salti oltre i 17 metri (in rigoroso ordine alfabetico , , , , ) e le azzurre che hanno scritto la storia della specialità (Antonella Capriotti, Barbara Lah e Magdelin Martinez, mentre Fiona May ha inviato un messaggio essendo impedita ad essere presente) al femminile.

La “chicca” cui abbiamo accennato è stata la proiezione del filmato dei salti messicani di Gentile e dei suoi principali avversari, da Sanayev e Prudencio. Immagini inedite, girate da Luciano Fracchia, presentate al pubblico per la prima volta in assoluto: neppure Gentile aveva mai avuto occasione di vederle e l’occasione di rivivere quei giorni è stata commovente.

Immagini a parte, è stata una mattinata ricca di ricordi e aneddoti, con Guido Alessandrini e Franco Bragagna e gestire gli interventi e Beppe Gentile a confermare quanto già si sapeva e cioè che Campione vero significa anche proporsi con giusta modestia, peraltro confessando che quei giorni messicani sono presenti e vivi come non mai nella sua memoria.

Alla fine, altra “chicca”, Castellini ha fatto dono ai presenti della sua ultima opera, un volumetto dal titolo stuzzicante “Giasone e il vello di bronzo”, ispirato al performance cinematografica di Gentile con la regia di Pier Paolo Pasolini, nel quale ripercorre la storia del salto triplo e dei suoi campioni, arricchendola con brani tratti da volumi che fanno parte della sua preziosa, e probabilmente unica, collezione-museo creata anno dopo anno con minuziose ricerche ed oggi aperta a chi la vuole vedere, o meglio ancora consultare, in quel di Navazzo, pochi chilometri da Gargnano, sul lago di Garda. Giorgio Barberis

SPIRIDON/3 fuori tema

Come nelle celebrate pellicole di John Ford, cementate nell'eternità dell'immaginario dalla figura eroica dell'altro John, l'amato e immarcescibile Wayne della falsa e retorica reiterazione d'oltre Oceano degli indiani cattivi, e non, come storia imporrebbe, vittime, l'assalto alla diligenza (e alla dirigenza) dello sport ha antichi e recenti precedenti. Non vi riuscirono, nei tempi lontani di Giulio Onesti, con il determinante parapioggia sostenuto dal braccio solo apparentemente rachitico di Giulio Andreotti, i primi democristiani e i veterocomunisti delle epoche togliattiane. Non vi riuscirono, molto più avanti, le disinvolte ed ignoranti melandrine di fine secolo e personaggi apparentemente immacolati come Walter Veltroni, che tra un sogno africano e la laboriosa, instancabile e mai perdonata sindrome battesimale dedicata all'impiantistica capitolina non trovò nulla di meglio dell'immaginare un eccitante e salvifico progetto sul futuro dello sport nazionale affidato a cinque dipartimenti di un Ministero di prossima costruzione, un progetto tuttavia incautamente lasciato dalla sciatteria dei collaboratori su un tavolo qualsiasi di via del Collegio Romano e immediatamente rivelato e sputtanato da quello che un tempo era un grande giornale, la Gazzetta, e dal suo direttore Candido Cannavò. Da mesi sussurrato, eppure costantemente ignorato dai più, nelle prime ore di un malefico novembre impegnato a fare strame aggiuntivo di un territorio nazionale disastrato, dalle stanze del palazzo governativo dove a Settecento inoltrato trovò modo di esercitarsi il genio di Wolfgang è emerso un piano rivoluzionario a firma leghista dettato dalla mano metaletteraria del sottosegretario Giancarlo Giorgetti, uomo di sperimentata milizia politica, originario di Cazzago Brabbia, con precedenti federali esercitati da revisore dei conti presso la Federazione Italiana Pallavolo, con la consulenza dell'ex presidente della sopraccitata. S'è scritto e detto abbastanza di un accordo tra i due partiti al governo, che tanto generico in materia non sarebbe come su altri punti ben più decisivi per le sorti di questo sciagurato paese destinato a restare ancorato per tempi indefiniti alla consonante minuscola. S'è scritto e detto abbastanza dei milioni di euro che cambierebbero destinazione, di un comitato olimpico che dal progetto uscirebbe mortificato e di un vertice del Foro Italico, leggi Giovanni Malagò, confinato nella complicata gestione del conteggio delle medaglie olimpiche, della generica difesa messa in atto da Thomas Bach, eperché io sfidi la pazienza dei pochi fidati lettori costringendoli alla reiterazione dei giudizi e dei pregiudizi che stanno a monte e a valle del progetto governativo e della curiosa assenza di reazioni da parte dei partiti dell'opposizione, uno per tutti, il Partito democratico. Men che meno aggiungere una modesta riflessione – nulla più che un'esercitazione velleitaria, per di più a buon mercato senza vuoto a perdere – sulla bontà o, all'opposto, sulle mefitiche e maleolenti caratteristiche di un'ipotesi rivoluzionaria avviata a riscrivere, se tanto mi dà tanto, sempre che il governo regga l'urto dei venti contrari, l'alfa e l'omega dello sport nazionale. Oppure sulle responsabilità, i ritardi e gli errori di prospettiva e di gestione degli uomini che di quello sport hanno guidato e guidano le sorti: in sostanza, su quello che si sarebbe dovuto fare e non s'è fatto, su quanto di bello e di brutto, e sui margini del primo e del secondo, utili ad assegnare l'ottimo o il pessimo su una simbolica pagella. Infine, addirittura sulla gattopardiana previsione di un mondo destinato a cambiare perché nulla abbia a cambiarsi, salvo un giro di poltrone. In attesa degli eventi, non aggiungerò dunque altre opinioni. Mi limito a segnalare un appunto, denso di elementari quanto bellissimi suggerimenti sulla materia viva dello sport, affidatomi confidenzialmente da uno dei migliori dirigenti cresciuti anni addietro nel corpo del Comitato olimpico nazionale, Vincenzo Vittorioso, e un equilibrato (ed isolato) documento prodotto dall'Accademia dei Maestri di sport, archiviato sul sito dell'organismo, che ha mosso qualche contrarietà sulla pelle sensibile e imbarazzata d'oltre Tevere. Chi ne ha voglia, sa dove trovarlo. [email protected]

SPIRIDON/4

In un momento di stasi e di perplessità sul futuro dell’atletica italiana abbiamo formulato tre semplici domande ad appassionati ed addetti ai lavori meritandoci le risposte che leggerete qui sotto. Hanno partecipato alle mini-inchiesta quattordici interpellati compresi i due che hanno preferito non comparire pubblicamente entrando comunque nella sintesi finali riassuntiva. Ecco i quesiti: - QUALE IL TUO GIUDIZIO SULL’ATLETICA ITALIANA? - L’AVVENTO DI LA TORRE MIGLIORERA’ LA PROSPETTIVA NEL MEDIO-LUNGO PERIODO? - QUANTE E QUALI MEDAGLIE SONO PRONOSTICABILI NEI MONDIALI 2019? La sintesi finale è presto scritta. Il giudizio sull’atletica italiana è severo perché giudicata “nettamente al disotto dei pronostici e della presentabilità”. La Torre raccoglie manifestazioni di stima ma la sua operatività è direttamente proporzionale al ruolo di una dirigenza che ha battuto troppi colpi a vuoto negli ultimi tempi. La forbice del pronostico per quanto riguarda le medaglie mondiali è molto ampia e indiscriminata. Va dal raccolto maggioritario di “zero titoli” all’auspicio ottimistico di sei podi. A voi comunque la lettura, risposta per risposta con un grande “grazie” a chi ha partecipato.

LUCIANO BARRA 1) Negativo. 2) Bene se lo fanno lavorare senza problemi. 3) Due bronzi.

ENNIO BONGIOVANNI 1) Sull’attuale atletica italiana il mio giudizio, stante gli esiti delle ultime manifestazioni internazionali, nel suo complesso non può che essere negativo. Tuttavia alla luce del buon lavoro operato sui giovani, si può sperare in un certo passo avanti in tempi medi. 2) Senz’altro. La Torre è uomo di grande preparazione tecnica e scientifica; ha idee chiare e obiettivi precisi. La sua scelta di operare principalmente su un ristretto gruppo di atleti d’élite non può che essere da me condivisa. Anche se poi, va da sé, in generale i problemi dell’atletica italiana non posso essere risolti da un singolo ma da un cambio di sistema. 3) Bella domanda! Vogliamo essere ottimisti? Allora dico due.

NICOLA CANDELORO 1) Proprio la passione che ci rende colleghi ha rovinato l'atletica italiana degli ultimi anni. La passione notoriamente è una pulsione priva di razionalità, e quanto fatto negli ultimi tempi mi sembra che sia più ispirato dalla voglia di fare e strafare senza ponderare nei dovuti modi gli effetti del fare, pensando più con la pancia e persino col cuore, ma quasi mai col cervello, nel senso di raziocinio sull'assunto causa-effetto. 2) L'avvento di La Torre non migliorerà la prospettiva di breve, medio e lungo termine. Se non c'è riuscito Locatelli, notoriamente poco incline alle mediazioni, ho poche speranze per Antonio che notoriamente ha grandidoti di diplomazia. Il problema non è né Locatelli, né La Torre, o chiunque altro, è strutturale. Per cui qualsiasi persona metta le mani sul settore tecnico, così com'è strutturato, si trova impantanato e poco o niente può fare per ribaltare la deriva che ormai ci ha portato su un pendio scivoloso, dal quale è complicato per chiunque tentare di risalire, è più facile continuare a scivolare verso il basso che attestarsi dove siamo, figuriamoci se si possa ipotizzare una risalita. 3) Da appassionato dico da 3 a 5, ma da chi professionalmente ha vissuto per 55 anni nell'atletica che conta, temo che siano molto meno e tendenti a zero. Se i molti atleti delle società militari, pagati con regolare stipendio per svolgere un servizio, molti loro colleghi svolgono un servizio, a parità di stipendio, che mette in pericolo la loro stessa vita, ritengono che quello stipendio sia una sorta di semplice sponsorizzazione per associare al loro nome quello delle diverse amministrazioni, o di aver risolto finalmente il problema di come sbarcare il lunario vita natural durante, risulta drammatico sperare in risultati di eccellenza. Se si vuole uscire dal pendio scivoloso occorre ripartire dagli atleti militari (la quasi totalità della nazionale) a cui va spiegato che per vincere le medaglie occorre sottoporsi a sacrifici veri. Sento spesso molti che ripetono che la soluzione è quella di riportare gli atleti ad allenarsi a Formia, sono a Formia dal 1963, prima come atleta-studente e poi come direttore, fino al 2007 quando sono andato in pensione. Formia non funzionava per la location, Formia funzionava perché con gli atleti c'erano tecnici che avevano spostato le loro famiglie a Formia, c'era il dottor Antonio Fava, la dottoressa Anna Rogacien, il massaggiatore fisioterapista Raffaele Viscusi, il cuoco Giovanni Vallario e periodicamente, non sporadicamente, c'era l'apporto di molti baroni universitari che davano un contributo nello sbagliare sempre meno in quello che quotidianamente veniva fatto. Si può tornare a Formia, o qualunque altro sito, solo se intorno agli atleti si offrono tutti quei servizi che inderogabilmente occorrono a chi tenta la strada delle grandi prestazioni nei massimi appuntamenti agonistici. Momento in cui, con la giusta periodizzazione, va fatto almeno il miglior risultato di sempre per ogni atleta partecipante, poi se è sufficiente per le medaglie meglio, altrimenti almeno si sono meritati lo stipendio che le amministrazioni militari pagano regolarmente ogni mese. La Federazione allo stipendio aggiunge anche una sorta di borsa di studio, dal mio punto di vista, la borsa di studio va erogata solo a fine anno, in base ai risultati ottenuti e non sulla fiducia e la speranza che questo aumenti il loro impegno e i loro sacrifici. Insomma un aiuto ex post è giustificato, uno ex ante molto meno.

GIAN PAOLO CHITTOLINI 1) Il momento è delicato. 2) La Torre è persona competente e può far bene. 3) Questo quesito dimostra come le prime due non fossero quesiti sostanziali ma solo banali premesse. Come se vincere ai mondiali fosse una cosa facile o condizionata da chi in una stagione viene chiamato a guidare le sorti dell’atletica italiana. L’atletica italiana giovanile non è malvagia, manca la programmazione necessarie per far crescere i talenti. Una medaglia sarebbe buona, due un grande exploit e tre come vincere al Superenalotto.

SPIRIDON/5 PINO CLEMENTE 1) Gli Europei hanno mostrato più ombre che luci. Ben altre erano le aspettative. Ma, andando a ritroso, i programmi ambiziosi di sviluppo non si sono realizzati. Non pochi i talenti giovanili che sono sfioriti. Non si vede luce nei Lanci, e non si capisce perché i lunghi lanci dei giovani nel pieno vigore degli anni diventano corti nelle competizioni internazionali. È aumentato il divario fra il Nord, il Centro e il Sud, anche nel Criterium Cadetti. Dagli anni ruggenti di Primo Nebiolo, agli anni '90 e nei primi anni del 2000 la Sicilia produceva atleti e atlete di valore internazionale, e si fregiava di medaglie olimpiche, mondiali, europee. Il processo evolutivo si è interrotto. Anche la situazione degli Stadi, Villaseta-Agrigento, Pian del Lago-Caltanissetta, Partinico, è disastrosa. A Catania le società gloriose sono in decadenza. In sintesi: così non va! 2) Sul prof. Antonio La Torre, per fatto personale taccio! Lo avevo pregato di concedermi una intervista per Spiridon. Mi ha rassicurato con una telefonata, ma dopo il silenzio, nessuna giustificazione. Gli auguro le migliori fortune. 3) Antonella Palmisano nella Marcia, Giammarco Tamberi nel Salto in Alto, si spera anche in Elena Vallortigara e nella Trost. Ottimismo: tre podi. Gli Europei hanno mostrato più ombre che luci. Ben altre erano le aspettative. Ma, andando a ritroso, i programmi ambiziosi di sviluppo non si sono realizzati. Non pochi i talenti giovanili che sono sfioriti. Non si vede luce nei Lanci, e non si capisce perché i lunghi lanci dei giovani nel pieno vigore degli anni diventano corti nelle competizioni

GIANFRANCO COLASANTE 1) Siamo in ambiente di retroguardia. Rating CCC e outlook negativo. Affidato per di più a persone mediocri, come d'altra parte capita oggi a tutto lo sport italiano (con pochissime eccezioni, vedi nuoto). Decrepito nella concezione e nella struttura per di più assolutamente privo di priorità che non siano i grandi eventi da organizzare a spese della collettività. 2) Non lo conosco, so solo quello che ho letto. Cioè poco, ma mi fido di Shakespeare ... Quanto a "cambiare il quadro" mi pare affermazione grossa per chiunque si trovasse al suo posto. Noto solo che - dopo sei anni di gestione Giomi e circa 150 milioni a bilancio - nel crivello sono rimasti 10 nomi (più una marciatrice da deportare sui 50 km). Un po' poco per ripartire, tanto più in pochissimi mesi. 3) Grave errore sarebbe ridurre il tema al numero delle medaglie. Non di rado figlie della casualità e che in ogni caso saranno molto, ma molto difficili da ottenere. Sia a Doha che a Tokyo.

OSCAR ELENI 1) Povera più di sempre negli uomini, con le idee e anche nella ricerca di talenti attirati da altri miraggi. 2) Spero che abbia fortuna, perché il talento è sicuro. 3) Dico due ma penso zero e spero almeno tre.

VANNI LORIGA 1) Ritengo molto buono il livello nell’attività giovanile; buono quello delle (poche) società tradizionali; praticamente inesistente nelle Università e nelle società industriali; alterno in quelle militari o simili (in alcune di esse vale il Teorema di Massara . “Lo stipendio m’attocca; se vuoi che sgobbi ma hai da pagà”; e non sempre basta…) 2) Auguro a La Torre buon lavoro: mi chiedo soltanto se nel nominare i capi-settore sia sicuro di aver fatto le scelte giuste. 3) Per il Mondiale prevedo 6 medaglie.

MASSIMILIANO MARTINI 1) I risultati internazionali ottenuti negli ultimi anni parlano chiaro: il livello dell'atletica leggera italiana è sceso molto negli ultimi anni. E' sicuramente aumentata la concorrenza, con la crescita di molti Paesi che in passato non riuscivano ad emergere per carenze strutturali, ma con ogni probabilità da noi si è anche verificato l'opposto, con una organizzazione che ha fatto pericolosi passi all'indietro. Bisognerebbe cercare di imitare modelli vicini a noi, come quello della Polonia, per esempio, per tentare di invertire la rotta al più presto. 2) Il nuovo Ct è atteso da un compito difficile, ma cambiare era un passo necessario per tentare di svoltare in positivo. 3)Pronostici è sempre difficile farne, ma visto quanto accaduto negli ultimi anni c'è da aspettarsi poco e soprattutto da augurarsi di racimolare quelle due o tre medaglie di consolazione che settori come la marcia o i salti possono sempre comunque regalarci.

GIORS ONETO 1) Mediocre, con la speranza di non peccare d’ottimismo 2) Ho l’impressione che ce l’avrà dura visto l’ambiente 3) Condivido il parere di Colasante : le medaglie sono spesso frutto della casualità

TIZIANO PETRACCA 1) Come per una creatura cui si vuol bene, il desiderio di esprimere sull’atletica nostrana un giudizio sostanzialmente benevolo è forte ma non si può peccare in obiettività, dal momento che la sintesi di tutto si osserva nei risultati ottenuti nelle manifestazioni in cui si confrontano tutti i paesi e le prestazioni ottenute dall’atletica azzurra- per limitarci all’ultimo triennio- Giochi Olimpici di Rio, Mondiali di Londra, Europei di Berlino sono francamente insufficienti. L’odierno mio giudizio è perciò di “grande insufficienza”, non è certo attribuibile agli atleti. 2) 2) La scelta del nuovo responsabile tecnico nella persona di Antonio La Torre è da condividere, rimane tuttavia la domanda sul livello d’azione della dirigenza politica della Fidal che lo accompagnerà nel suo impegnativo incarico: a) si adopererà per favorire il realizzarsi di un adeguato progetto di promozione e sviluppo tecnico (essenziale per il breve termine a Doha e Tokyo, ovvero più articolato negli interventi e negli obiettivi per il medio lungo-termine a cui la presenza di La Torre è funzionale); b) oppure prevarrà la tentazione di interferire, sovrapponendo incautamente i diversi livelli- quello politico e quello tecnico- proseguendo perciò nella nota e perdente prassi gestionale che ha condotto alle succitate non esaltanti performance agonistiche? 3) Difficile ed arbitraria la quantificazione delle possibili medaglie. Troppo rilevante il salto tra il livello

SPIRIDON/6

prestativo visto a Berlino e quello che si dovrebbe vedere ai mondiali rispetto alle capacità dei nostri atleti per immaginare un dignitoso bottino di medaglie. E' possibile un certo rinnovo nella partecipazione di nuovi atleti ai Mondiali da parte di molti Paesi, ed invece qualche programmata astensione da parte di atleti già affermati, in vista del successivo impegno ai G.O.di Tokio. Più per devota scaramanzia (che fredda valutazione) confido nel podio da parte di Tamberi e Tortu , tra gli uomini, e di Palmisano e Vallortigara tra le atlete. Troppo forte la presenza dei caraibici, degli africani e statunitensi per gli altri nostri atleti e atlete impegnati nelle competizioni di corsa per rendere un po' razionale l'attesa di altre medaglie. Se poi La Torre rimarrà in sella dopo Tokio - quindi con l'auspicato contestuale rinnovo di uomini e idee alla testa della Federatletica - potremo allora pensare più in grande nel futuro.

VALERIO PICCIONI 1) L’atletica è in difficoltà nel mondo, non solo in Italia. E continua a fare scelte autolesioniste. Faccio un esempio: l’abolizione del primo turno per i più forti negli ultimi europei. Il modo ideale per farsi male: un bambino ha visto Zaytsev un sacco di volte a settembre, chissà che si affezioni; la stessa cosa non ha potuto are per Tortu ad agosto, due giorni staffetta compresa. Quanto all’Italia vedo sempre troppa burocrazia, troppi campionati, troppo spezzettamento dell’attività in mille rivoli. Le competizioni societaria sono modelli superati, bisogna costruire format diversi. Ognuno può specializzarsi in un compito: chi nei salti, chi negli ostacoli, chi nella velocità... Un po’ come dovrebbe essere per i gruppi sportivi militari. Vedo invece un certo movimento di idee e di iniziativa sul fronte promozionale e sono speranzoso sul progetto Roma 2022. 2) Una novità era auspicabile e necessaria. E la Torre era una scelta naturale. Spero solo che riesca ad abbattere i tanti muri che hanno ostacolato in questi anni la circolazione delle idee, il coinvolgimento di tecnici storicamente discriminati, l’utilizzo di persone dall’esterno (pesante all’esperienza- Berruto, finita prima di cominciare) Secondo me questa è la chiave: tanta autonomia, meno autoreferenzialità. Che si trovi finalmente un capo capace di avere l’ultima parola ma anche di fare squadra sul serio. 3) Qui le cose si fanno complicate. In questo momento, così d’istinto, vedo Tamberi nell’alto e una marciatrice, Palmisano nella 20 o Giorgi nella 50. Provo pure a sognare: la staffetta 4 X 100 e Jacobs nel lungo. Ma mi rendo conto che si tratta di un pronostico molto, troppo ottimista.

DANIELE POTO 1) L’atletica italiana sta sparendo dall’occhio dei riflettori, dall’orbita mediatica, dall’interesse dell’opinione pubblica, complice la sciagurata gestione dell’attività di vertice. 2) La Torre può migliorare il quadro ma l’assetto istituzionale è condizionante, vedi fallimento di Locatelli e rinuncia di Baldini. 3) Nessuna. Occorre un umile, sano e crudo realismo in materia.

MARCO SBERNADORI 1) Mediocre e di scarsa prospettiva, le squadre militari potevano sostituirsi come modello alle più celebri Università americane ma hanno fallito. Mancano strategie ma forse verremo salvati dalla linfa nuova degli immigrati ma se non ci saranno progetti finalizzati all’atletica d’alto livello riusciremo a fallire anche qui… 2) Ci spero mi dicono che sia un uomo d’ordine…ma ha molto da rinnovare. 3) Al momento nessuna salvo qualche colpo di coda. Un Tortu da 9.98 non va in finale, la staffetta 4x100 servirebbe un 38” e pochi. Forse Tamberi da 2,35 potrebbe trovare un podio stessa cosa per una saltatrice a 1,98. A cura di Daniele Poto

Hervé Seitz h a baciato il suolo dopo aver tagliato il traguardo della 100 km. di Millau, la più bella supermaratona transalpina. La sua affermazione, la terza nella classicissima dell’Aveyron, è stata frutto anche d’un’impostazione tattica estremamente razionale. Tanto per cominciare ha evitato di lasciarsi intrappolare nella inevitabile bagarre dei “velocisti” della gara della gara di maratona del tratto iniziale della performance, tallonando poi successivamente i diretti antagonisti cioè Cedric Gazzulla ,campione francese sulla 100 chilometri, Stephane Ruel e Jérôme Ciotti che non hanno tralasciato nulla per primeggiare. Le sorti della gara si sono però definitivamente delineate al passaggio sotto il famoso viadotto della TGV, al cinquantesimo chilometro, quando Seitz(3 ore e 30'16) ha affiancato Gazulla entrato inesorabilmente in crisi. Da quel punto hanno fatto corda da soli visto che Citti era indietro di oltre otto minuti e Ruel era ormai perso nelle retrovie. Nella salita di Thiergue assai prossima all’epilogo dopo il disperato tentativo , poi andato a vuoto, di Gazzulla, Seitz ha preso il largo; alla fine, Seitz, come uno squalo (così lo ha definito “la Depeche”, ha percorso la Avenue Jean-Jaurès, al fondo della quale si è abbandonato fra le braccia della Vitoria dopo 7h19’06” di fatica. andando a vincere dopo. Un riscontro cronometrico abbastanza modesto non giustificabile dal caldo afoso ma nuova dimostrazione di quanto poco appaganti ed affascinanti stiano diventando le corse di gran fondo. Già il fatto che a Millau c’erano assai memo concorrenti che in passato e per la totalità francesi, la dice lunga sul concetto Ah dimenticavamo di far notare che tra le donne, Emmie Gelle ha vinto, in 9h41'26 (ventottesima in classifica generale).. (M.P.M.)

SPIRIDON/7 MACERIE, SOLTANTO MACERIE ? Diciamo che un serio progetto sportivo per gli italiani fu solamente quello del dimenticato Lando Ferretti, che tra il 1926 e il 1928 ebbe la capacità di rivoluzionare il sistema, mettendo mano appunto alle macerie dell’associazionismo sportivo rottamato dal Fascismo e all’educazione fisica nella scuola, annichilita dai provvedimenti di Giovanni Gentile. Diciamo che se si volesse fare il punto zero della conclusione di uno spontaneo caotico divenire condizionato dal militarismo ottocentesco dei Savoia e poi esacerbato dal conflitto clerico-massonico tra oratori e ricreatori, da Don Bosco al Generale Garibaldi, dalla FASCI (Federazione delle Associazioni Cattoliche Sportive Italiane) alle reali società di ginnastica, con in mezzo le pulsioni popolari delle ASSI, della UOEI e dell’Umanitaria, per non parlare dello scontro sulla filosofia e sul metodo per l’attività “motoria” nella scuola, tra Mosso e Baumann a loro modo eredi di De Sanctis e Obermann, dovremmo convenire che appunto Ferretti, giornalista sportivo per vocazione e Presidente del CONI, nonché Commissario della FIGC per destino, è stato davvero un gigante. Capisco che sia scomodo tanto quanto l’affresco di Montanarini sul “lato presidenza” del Salone d’Onore, nella sede odierna del CONI, ieri sede dell’Accademia Fascista Maschile di Educazione Fisica, frutto della visione strategica di Renato Ricci che pensava di ricavarne anche i quadri di livello direttivo funzionali allo sviluppo totale del progetto di sportivizzazione italica attraverso ONB, GIL, GUF, OND, Federazioni e CONI con ruolo di coordinamento. Lasciamo perdere per un momento le polemiche dolorose su quel periodo di storia, ma concentriamoci sull’idea che ci debba essere un vero concreto progetto alla base di ogni possibile sviluppo nello specifico della pratica sportiva e prendiamo atto, che sulla base del compromesso tra Sport e Stato, di quella “Carta dello Sport” partorita tra Lando Ferretti e Augusto Turati (Segretario del Partito) appunto nel 1928, abbiamo l’unico esempio, l’unico precedente cui rifarci, con un bilancio di oltre dodici milioni di tesserati praticanti nel 1942, altro caposaldo legislativo per il nostro sport, dopodichè il buio, a cominciare dalla esclusione nella Costituzione del 1947, la cancellazione della ginnastica nelle “primarie” , oltre che lo sventato tentativo di “sciogliere” il CONI. Paradossalmente, proprio sulla questione di cui fu protagonista principale Giulio Onesti, nasce l’equivoco di cui oggi ancora soffre l’Italia sedentaria, obesa sugli spalti e davanti a televisori e computer, bulla, e violenta dentro e fuori degli stadi, cresciuta a merendine, salvo gli “unti dal signore” e i discepoli di “santoni” e “profeti” del post guerra come Gedda e Zauli, piuttosto che Berra e Nebiolo, figure che, come nel caso di De Sanctis e Ferretti, non occupano il giusto ruolo nell’immaginario collettivo e nemmeno tra gli addetti ai lavori, tanto meno tra chi oggi ha il compito di dirigere contemporaneamente il movimento e la macchina burocratico-organizzativa- tecnica dello sport. Ecco, dobbiamo prendere atto che aver lasciato in sospeso per settantuno anni il progetto nato novantuno anni fa, mai sostituito con un altro, è la ragione per cui oggi dobbiamo piangere su macerie antiche e apparentemente inspiegabili, come i mosaici in disfacimento al Foro Italico. Ecco perchè oggi un Governo disinibito, sull’onda di un contratto per punti , al Capitolo 22 trova la via naturale all’esigenza di più sport praticato e salute, attraverso un diverso utilizzo delle risorse in Bilancio per lo sport e del CONI Servizi, che è nella disponibilità del Ministero dell’Economia e Finanze dal 1993, con aggiustamenti nel tempo sino al 2010, frutto di elaborazioni e patteggiamenti, gestita da dirigenti del Comitato Olimpico, con doppio incarico, sino al 2013. Ecco perché ho la sensazione di trovarmi di fronte alle macerie di quanto faticosamente, ma caoticamente abbiamo costruito intorno allo sport, sempre per non volerne riconoscere il ruolo sociale primario, piuttosto che quello di un simbolo formidabile dell’appartenenza in “maglia azzurra” e sul podio. Cari amici, comunque non dovete preoccuparvi del titolo, perché le macerie sono frutto di una mia personale riflessione, autoreferenziale, alla luce di quanto vissuto, degli accadimenti attuali e di quanto presumo ancora avverrà in questo periodo del tempo diverso. Non credo che vi possa turbare un ripensamento critico sulle intuizioni ed il lavoro, l’eredità d’incommensurabile valore che ci hanno lasciato gli antenati, a cominciare da quell’eccentrico di Domiziano, che tirò su uno stadio d’atletica al centro della Roma Imperiale e inventò i Ludi Capitolini per l’apparire, ma anche per coinvolgere nel partecipare, né più né meno quello che avveniva novant’anni fa allo Stadio dei Marmi con i Giochi della G.I.L., piuttosto che all’Olimpico con gli Studenteschi e poi di nuovo ai Marmi con i Giochi della Gioventù. Purtroppo, ad oggi, se non fosse per la testardaggine della Famiglia Tamburella, che lo ha liberato dal pattume e dall’oblio, i principali destinatari morali e materiali di tanta incommensurabile eredità storico-culturale, di tanta blasonata memoria dello sport, dormiente cinque metri sotto Piazza Navona, prossima a compiere duemila anni, la snobbano semplicemente perché ne ignorano il valore assoluto, insuperabile. Eppure, nutriamo velleità internazionali, invitiamo il Presidente Bach a svolgere il ruolo di nume tutelare del nostro Comitato Olimpico, tediato appunto dall’ennesimo soprassalto riformistico, collegato da un filo sottile ma resistente a quelle pulsioni che vedevano convergere sul tema Stato e Sport quelli che furono gli Enti di Propaganda Sportiva, oggi di Promozione, e che vedevano paradossalmente seduti allo stesso tavolo rappresentanti di sinistra e di centro, cattolici, comunisti, socialisti, socialdemocratici, liberali, repubblicani e missini, come Morandi, Guabello, Notario, Pastore, Catella, Carlo Alberto Guida, perché sull’idea che lo sport professionistico vero o mascherato, lo spettacolo, l’alto livello e la competenza olimpica fossero delegate a chi di dovere, alle Federazioni, alle Leghe, agli organizzatori ed al CONI erano davvero tutti d’accordo, tanto quanto sul fatto che lo sport andava inteso come diritto da rendere fruibile per tutti i cittadini, come prioritaria opportunità d’impiego del tempo libero, educazione motoria e sano stile di vita, onde concorrere naturalmente alla più elementare forma di prevenzione salute. Dalla fine degli anni quaranta alla metà dei novanta del secolo scorso, uomini illuminati ed animati da buone intenzioni ebbero dunque prima un interlocutore tenace ed intelligente in Giulio Onesti, che stemperò la difesa autarchica de “lo sport agli sportivi” con il dialogo e forme progettuali surrettizie ma tangibili di presenza nella scuola, nella società e sul territorio, dai Campionati Studenteschi, ai Centri Olimpia, ai Giochi della Gioventù, frutto di una ideale staffetta tra Zauli e Saini con la copertura politica strategica dello stesso Onesti, che frequentava la casa di Andreotti, come il Palazzo H, che non disdegnava refoli d’intesa particolari con l’area autonoma dei socialisti, nella consapevolezza che quella proroga della Legge istitutiva fascista del 1927, aggiustata nel 1942, costituiva un paradosso, un artificio al limite dell’impossibile nel contesto italiano post bellico. Eppure, tra un libro bianco, uno verde, uno rosso ed anche uno azzurro, Onesti riuscì a sfangarla per un bel numero di anni, dopo il capolavoro dei XVII Giochi a Roma, credito di cui si avvalse anche per

SPIRIDON/8 ottenere la Legge Fifty Fifty, firmata da Giacomo Brodolini, che avrebbe dato più risorse e più opportunità per dare risposte anche di tipo sociale attraverso gli Enti di Propaganda e il CONI stesso. Ecco, la contaminazione tra promozione sportiva e mondo federale trovava un tacito assetto finanche nei congressi e - tramite gli enti - nei partiti e nel governo. Di tutto questo, degli slanci virtuosi, delle generosità profuse da missionari sportivi e comunicatori impareggiabili come Oriani e Brera, delle Leve de La Gazzetta dello Sport e del Corriere dello Sport, dal 1927 al 1944, come Il Littoriale, quotidiano legato al CONI per la lucida follia di un visionario come Arpinati, degli stessi Campionati Studenteschi e Giochi della Gioventù, del presidio territoriale del CONI articolato sulle Provincie non rimangono altro che mitizzati ricordi e polverose macerie rottamate nelle collezioni private e confinate nella Biblioteca del CONI creata nel 1933, arricchita con l’emeroteca da Zauli nel 1940 e dallo stesso Onesti con le acquisizioni straordinarie del 1950, quindi fin dall’inizio del loro operare, posto che poi il Museo Nazionale dello Sport Italiano, grande opportunità strategico culturale si è impantanato, dopo i reiterati tentativi di Pescante da Sottosegretario e Delegato CIO all’ONU, abortiti con tanto di commissioni di lavoro e piani di fattibilità nell’indifferenza delle istituzioni tra il 2004 e il 2015. E adesso? Adesso, il rischio che si corre è quello di arrivare all’ennesimo compromesso sbilenco, nel prendere tempo in attesa di qualche rigurgito della politica, come avvenuto negli anni ottanta per i progetti di Signorello e Lagorio, rischiando di compromettere quello che c’è, per avviare un tormentato processo di cambiamento, reso difficile da una informazione condizionata da interessi di prossimità. Diversamente, sarebbe auspicabile un evento straordinario, ma improbabile, che si potesse convocare una seria vera Conferenza Nazionale sullo Stato e lo Sport, senza interferire sulle competenze naturali del CONI, quelle stesse che si sono determinate con la nascita ormai lontana del CONI Servizi, quando migliaia di dipendenti di una ipertrofica unica struttura rendevano complicate le cose, quando l’eredità dei Campionati del Mondo di Calcio e degli investimenti in conto interessi per ristrutturazioni, quelli della Legge 65 del 1987 non sempre indispensabili o deturpanti degli stadi, come nel sofferto caso dell’Olimpico, era divenuta un peso insostenibile, scomodo, ormai passata la festa costata la bazzecola di 7.230 miliardi di lire (più di 6.000 provenienti dalle casse statali), in euro oggi 3,74 miliardi e la presidenza del CONI scippata a Primo Nebiolo , giusto il 12 novembre del 1987 nella notte dei lunghi coltelli di trentuno anni fa, quando per ragioni pelose si fece giustizia sommaria di una straordinaria opportunità o comunque di un percorso del CONI e dello sport italiano, probabilmente diverso da quello determinato sino ad oggi dalle forzata decadenza di Onesti nel 1978. Ruggero Alcanterini

CONTRATTO PER IL GOVERNO DEL CAMBIAMENTO … 22.SPOR-Impianti Se ben condotta e con l’ausilio di personale qualificato, la pratica motoria e sportiva assicura il miglioramento della qualità della vita, contribuendo in modo significativo alla prevenzione delle malattie. Investire in attività motoria, quindi, significa ridurre, allo stesso tempo, la spesa sanitaria. È per questo che riteniamo necessario implementare, sin dalla scuola primaria, la pratica motoria, assicurando la presenza di insegnanti specializzati nella pratica sportiva ed aumentando, contestualmente, il monte ore da dedicare a questa disciplina. La pratica motoria e sportiva ha, inoltre, un’importante valenza sociale. Lo sport rappresenta da sempre un fondamentale strumento di integrazione e trasmette valori fondamentali al miglioramento dell’essere umano, anche come individuo. Per questo intendiamo garantire un generale miglioramento degli impianti sportivi in tutto il territorio, partendo da uno strumento che riteniamo fondamentale per raggiungere questo obiettivo: l’istituzione dell’anagrafe degli impianti sportivi sia pubblici che privati (inclusi quelli scolastici, universitari, delle forze dell’ordine e militari). L’anagrafe permetterà di conoscere la situazione reale degli impianti e verificare le eventuali esigenze di ammodernamento e/o di realizzazione di nuove strutture sportive. Attraverso la mappatura degli impianti saremo così in grado di intervenire in maniera mirata per allocare efficacemente le risorse da destinare alla ristrutturazione o alla nuova costruzione di strutture da dedicare alla pratica motoria e sportiva.Occorre intervenire anche su aspetti che possano migliorare il funzionamento degli organi sportivi. Ad esempio, riteniamo necessaria una revisione delle attuali competenze del Comitato Olimpico Nazionale Italiano (CONI). Pur ritenendo necessario garantire al mondo sportivo un’adeguata autonomia, risulta altrettanto importante che il Governo assuma, con maggior attenzione, il ruolo di controllore delle modalità di assegnazione e di spesa delle risorse destinate al CONI. Allo stesso tempo è al Governo che spetta il compito di emanare le linee guida fondamentali relative al sistema sport e alla pratica motoria nel loro complesso. In altre parole, fatta salva l’autonomia e la discrezionalità delle scelte di natura tecnico – sportiva, che rimangono in capo al CONI, è necessario che il Governo sia compartecipe delle modalità con le quali vengono spesi e destinati i contributi pubblici assegnati al CONI e trasmessi, poi, alle Federazioni. Infine, occorre che la società Coni Servizi disponga di una maggiore autonomia rispetto all’Ente Coni. Sia il CONI che Coni Servizi devono fornire periodicamente al Governo relazioni dettagliate e circostanziate circa la gestione e la destinazione delle risorse pubbliche.Società e Associazioni sportiveÈ necessario introdurre ulteriori agevolazioni fiscali e contributive per le piccole associazioni sportive dilettantistiche.Occorre prevedere un corretto inquadramento giuridico-fiscale delle Società e Associazioni Sportive e la tutela dello sport dilettantistico e dello sport di base, anche per dare certezze operative ed evitare cospicui contenziosi per mancanza di riferimenti legislativi certi.Bisogna inoltre introdurre agevolazioni economiche per la stipula di un’assicurazione che copra tutte le fattispecie di responsabilità civile dei dirigenti e dei presidenti delle associazioni sportive dilettantistiche. È opportuno inoltre garantire le risorse agli enti locali vincolate al taglio dei costi di esercizio ed utilizzo degli impianti sportivi pubblici e conseguente contenimento tariffario per gli utenti. Attraverso l’Istituto del Credito Sportivo (anche grazie ad un potenziamento delle sue sedi regionali) insieme ai Comitati Regionali del CONI, occorre potenziare il fondo di garanzia a favore delle Associazioni e Società Sportive Dilettantistiche, al fine di renderlo realmente fruibile per consentire la ristrutturazione o realizzazione di impianti sportivi con la relativa gestione diretta. Sempre attraverso l’ICS, è necessario agevolare gli enti pubblici nella stesura di bandi e azioni di partenariato pubblico privato finalizzati alla ristrutturazione o creazione di nuovi impianti sportivi. Occorre poi agevolare i Comuni disagiati attraverso l’inserimento dell’impianto sportivo locale nell’ambito del servizio pubblico territoriale.È necessario l’inserimento del laureato in scienze motorie nell’organico di ruolo della scuola primaria. Allo stesso modo occorre sostenere l’educazione fisica nella scuola primaria. Bisogna prevedere misure per sostenere l’associazionismo sportivo scolastico. Inoltre, occorre investire in prevenzione sanitaria attraverso il sostegno all’attività sportiva e progettualità territoriali, anche con visite mediche sportive gratuite nella scuola primaria. L’attività sportiva e motoria è sicuramente una nuova modalità operativa, forse l’unica a basso costo, per fare una corretta prevenzione e per contrastare alcune malattie croniche soprattutto di natura cardiovascolari.

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exallievo di Don Bosco alla Olimpiade romana

Un nome corto, una storia lunga, quella di Franco Sar, mancato nella notte tra domenica 30 settembre e lunedì 1 ottobre. Un grande campione e un grande uomo, che amava ripetere: «Lo sguardo deve essere alto, oltre l’orizzonte. Perché è importante saper guardare lontano». Ricordarlo è impresa improba; ci viene in soccorso Vanni Lòriga, suo (e nostro) carissimo Amico. È così che apprendiamo le origini salesiane del campione sardo. «Nell’aprile del 1945 – ricorda Vanni – studente nel liceo di Oristano e frequentatore dell’Oratorio di San Francesco, andai ad Arborea per giocare una partita di calcio contro quelli dell’Oratorio salesiano Don Bosco, allenati da don Alessandri. È vicino alla Chiesa Parrocchiale in piazza Santa Maria Ausiliatrice costruita dai Salesiani nel 1927-28, mentre sorgeva quello che fu chiamato Villaggio Mussolini e poi Mussolinia. Da notare che la Sardegna fu l’ultima regione italiana ad avere un Oratorio salesiano: fu fondato nel 1912 e divenne "iuventutis domus", centro di apostolato culturale. Il rettore dell' Oratorio don Giuseppe Piemontese che seguiva anche le attività sportive, mi disse del suo centroavanti. "Diventerà un campione". Franco Sar aveva meno di 12 anni ed era già alto 1.80. Nato in Sardegna aveva però radici friulane, proveniva da Basiliano, già Pasian Schiavonesco perché popolata da possenti lavoratori provenienti dalla mitteleuropea Schiavonia. Oltre a giocare a pallone suonava il clarino nella banda parrocchiale diretta da don Scotto e nuotava benissimo». Primi passi nell’atletica con la maglia della Monteponi Miniere di Iglesias, sotto la guida di Angelo Defraia e Pinuccio Dettori. Operaio tornitore, viene convinto a dedicarsi a tempo pieno al decathlon da Sandro Calvesi, che lo avvicina durante i campionati italiani del 1957. Il 5 e 6 settembre 1960 diviene protagonista di un affascinante decathlon olimpico a Roma. «Non sapevamo – scrisse nell’occasione Alfredo Berra sul Corriere dello Sport – che dopo i tre colossi Johnson, Yang e Kutznyetsov un decatleta azzurro potesse essere quarto al mondo. Franco Sar è l’atleta di cui si parla. Un uomo che in questa Olimpiade sta ottenendo risultati veramente sbalorditivi. Il ventisettenne operaio sardo malgrado sforzi, sacrifici, rinunce possibili solo ad un autentico dilettante innamorato del suo sport non potrà salire sul podio del vincitore ma meriterebbe di essere collocato dopo Berruti nella scala dei valori dei nostri Azzurri. Chi avrebbe osato sperare tanto?». «Giunsi al Villaggio Olimpico per ultimo – ha ricordato Franco Sar. – Sandro Calvesi, che praticamente mi aveva “inventato” come decatleta, mi fece evitare la confusione che regnava inevitabilmente dove vivevano migliaia di atleti e continuò ad allenarmi al fresco del Lago di Bracciano. Arrivai a Roma quando i Giochi erano in corso da una settimana e fui ospitato nella stanza di Adolfo Consolini. Inizialmente il secondo letto era destinato a Giuseppe Tosi, ma Beppone viveva a Roma e stava bene a casa sua. Mi trovai ad affrontare l’impegno massimo della mia vita insieme al più grande dei campioni». Sesto posto con il personale di 7195 punti, record italiano, nella gara definita la più bella della storia. «Un momento di assoluta ed insuperabile gioia. Ho ammirato due Campioni (lo statunitense Rafer Johnson e Yang Chuan-kwang, cinese di Taiwan) che si sono dati strenua battaglia: quaranta ore senza scambiarsi uno sguardo. Per cadere poi uno nelle braccia dell’altro. Fu il momento più esaltante, commovente, stupendo che abbia vissuto e del quale fui testimone. Questo è lo sport: passione, dolore, lotta, senza perdere l’amore per la vita e per gli altri uomini». Proprio Consolini gli propone di trasferirsi a Milano, garantendo un posto fisso alla Pirelli. Inizia la seconda vita di Franco Sar, quella lombarda: con la Pirelli nel biennio 1961-1962 è tricolore nel decathlon; titoli nel decathlon e nell’asta e primato italiano nel 1963 con la Snam. Termina la carriera nella Lilion Snia. Come Direttore Tecnico conduce la Snia a vincere 13 scudetti femminili, 5 primati mondiali, 68 record italiani; 489 presenze maschili e 348 femminili in maglia azzurra. L’entusiasmo di Sar era contagioso e senza fine; perché in lui c’erano competenza, passione e attenzione ai valori etici. È stato la guida sicura per i suoi allievi, un esempio di serietà e di discrezione, ma anche uno stimolo ad andare avanti, sempre e comunque, una specie di confessore laico, entusiasta della vita e dello sport.

Pierluigi Lazzarini Exallievo e Storico di Don Bosco SPIRIDON/10

l’ultima fatica di Augusto Frasca

Qualche pagina per gli amici, tiratura limitata a 100 copie, è il nuovo libro in carta pregiata di Augusto Frasca, film di una lunga vita da osservatore, giornalista, saggista, da appassionato di sport e soprattutto di atletica, inattaccabile punto di forza nei ruggenti venti anni dominati dall'estro inventivo di Primo Nebiolo. Nelle 214 pagine, 105 personaggi e fatti analizzati con un periodare unico, che estrae l'essenziale, e si sostanzia di "ispirazione letteraria, immaginario giovanile, ricerca del particolare meno noto", parole estratte da una consultazione con Gianfranco Carabelli, lontano azzurro in mezzofondo tra i verdi della Riccardi di Renato Tammaro, poi Maestro di sport, colonna in più momenti della Federazione e di ampi dipartimenti del Comitato olimpico, incantato della Sicilia e delle musiche aretusee e isolane. Radici, le due pagine di abbrivo, comparano lo Stadio degli Agoni di Olimpia che glorificava 'la velocità dei piedi' allo Stadio di Domiziano, l'impianto romano dedicato principalmente alle corse degli atleti, perfettamente calibrato metro per metro su quella che è l'attuale Piazza Navona. Nell'incipit, la ricerca di particolari inediti e di metafore implicite, motivo dominante di questo agone letterario, degno di una corona di alloro. In un mondo dove prevale la follia e l'impulso distruttivo e autodistruttivo, non manca, en passant, la denuncia dei politici, significativo lo spazio assegnato a Ignazio Silone, o la polemica giornalistica con Giorgio Bocca, così come, siamo all'oggi, la deplorazione per la sindaca della Capitale. Le pagine agli amici si dipanano con i corsi e i ricorsi storici. L'archetipo è Erodoto, le sue Storie fondate sulla verifica delle fonti e sui particolari illuminanti. Nemico dell'ignoranza, Frasca è insuperabile. Nel volgere di due pagine, titolo Tempi di carta carbone, coincidenti con la scomparsa nel dicembre del 1969 di Adolfo Consolini e l'insediamento del nuovo Consiglio della FIDAL, riesce a far comprendere con aneddoti mai personalizzati il trascorrere del tempo e l'avvento della tecnologia. E nell'epilogo, il messaggio, da sottoscrivere totalmente: "il problema sarà sempre quello capitale della correttezza dell'informazione, e ancora più del buono o cattivo uso di grammatica e sintassi", riferimento costante degli articoli e dei libri del nostro amico, che ci è stato di conforto nella sventura. Rivivono i campioni dello sport. L'atletica ha gran parte, Pietri, Consolini, Berruti e l'Olimpiade di Roma, Mennea, da una angolatura che fa luce completa sul personaggio, Simeoni, Blankers Koen, Bikila, Lewis, l'uomo semplice Oscar Barletta, l'uomo di Ascoli Carlo Vittori. Camei a campioni di altri sport, Ignazio Fabra, il siciliano sordomuto salito ai vertici mondiali della lotta greco-romana, Bartali e Coppi, Bottecchia e Pantani, Vittorio Pozzo e Alfredo Di Stefano, Federica Pellegrini e Nicola Pietrangeli, e a personaggi, come i due Giulio, Andreotti e Onesti, che hanno costruito trama e ordito dello sport nazionale. Si comincia con l'antenato romano del barone De Coubertin, e si deliba un excursus storico-artistico che ci conduce "nella sommità del Campidoglio ad una delle chiese più suggestive della Roma arcaica", agli affreschi del Pinturicchio, nell'ombra protettiva della Basilica dell'Ara Coeli, e alle pendici del Colle Oppio, a due passi dalla Domus Aurea, alla scoperta del Laocoonte, il celebre gruppo marmoreo prodotto in epoca ellenistica scoperto dall'avo di de Coubertin. Le ultime pagine a Jesse Owens, "inattaccabile nella sua modernità, un ragazzo che dalla più umile delle condizioni si vide proiettare sulla cima della montagna più alta... era nato in Alabama, terra ostile per gente nera…". Ci sia perdonata l'omissione sulla data e sulla causa della morte: i personaggi come Owens sono immortali. Nei risvolti di copertina, alcune verità personali dell'autore – nella cui produzione letteraria svetta La corsa del secolo, l'epopea di Dorando Pietri – amante delle verità negate, degli eroi senza volto, di un lungomare in solitudine, degli angoli di Venezia, delle magie di Praga, dell'infinito di Campo Imperatore, delle vie intatte di Gubbio e di Urbino". Chiudo con un fatto personale, il primo incontro con l'allora collaboratore del Corriere dello Sport al fianco di Vanni Lòriga, allo Stadio della Farnesina. Con intuito, annotò tempi e misure delle allieve della Polisportiva Palermo che dopo avrebbero lasciato traccia a livello internazionale. Poi, gli incontri nei convegni, gli scambi dialettici nella Chiodata su Primo Nebiolo, "bestemmiato e pianto", i suoi articoli in CorriSicilia. La sua dedica al libro, fraternamente, e le sue telefonate: Pinaccio, come stai? Pino Clemente

SPIRIDON/11 Animula vagula, blandula... scelti da Frasca

Si quis ad Olympia quae spectent Latine referri non posse existimet, hunc libellum cum volverit, errorem suum plane deponet; auctor enim, cum doctrina abundans tum in novis nominibus constituendis prudentissimus, omnia commode dixit. Is quidem verba adhibuit, quae propria sunt et certa vocabula rerum, sed etiam, quem ad modum Cicero docet, iis usus est vocabulis, quae transferuntur inque loco quasi alieno collocantur, et compluria, cum necessitate occurreret, novavit atque ipse fecit, Quid igitur de Olympiorum eventu atque exitu, quae Romae sunt nuper concertata? Quoniam auctor ex publicis litteris, praesertim ex munerario ludorum libello, in vulgus ab Olympiorum moderatoribus edito, eos excerpsit, idcirco veritas ad liquidum explorata omnino est habenda… Julius Andreotti scripsit, rei publicae Italicae Administer idemque Consili Praeses Olympiis Apparandis, da OLYMPIA XVII ROMAE CONCERTATA di Petrus Bonus, e Pont. Schola a Pio IX. Romae A. MCMLXI.

La volta che mio padre morì, io arrivai, naturalmente, tardi, ossia quando l'avevano già bello e sistemato su uno dei cinque o sei tavoli di marmo della camera mortuaria, sbarbato di tutto punto, con indosso il vestito nero da sposo di quarant'anni prima, che era ancora nuovo fiammante si può dire, un po' perché mio padre come me del resto era parsimonioso e si sarebbe messo indosso sempre i vestiti peggiori, e un po' perché subito dopo sposato ingrassò parecchio e il vestito non gli andava più bene, e in realtà per infilarglielo da morto avevano dovuto scucirlo quasi tutto di dietro, cosa che però non si vedeva molto dato che giaceva sulla schiena, dignitoso e solenne nella sua definitiva pace, e a me, che in quel tempo non ero ancora malato con ossessioni di morte e altre simili, non dispiaceva guardarlo così com'era, trovavo che come morto era uno dei più bei morti che avessi mai visto, epperciò mi venne in mente di fargli fare le fotografie. Ora, esposta in questo modo, la spiegazione è magari fin troppo chiara, ma niente affatto esauriente, e in effetti non è che volessi fare, come può apparire, delle fotografie ricordo o qualche altra cosa del pari fuori posto, ma ritraendolo in immagine volevo rendergli diciamo pure omaggio, ancorché poi nell'inconscio mirassi a raggiungere risultati allora nebulosi, oggi però del tutto lampanti e strettamente connessi con quel diffuso senso di colpa che, com'è fin troppo chiaro, si è sviluppato in me fuori di misura… Da Il male oscuro di Giuseppe Berto (Mogliano Veneto 1914-Roma 1978), Rizzoli Editore, Milano 1964.

L'appartamento che le fa da ufficio e da pied-à-terre, alle spalle del Parlamento, somiglia a una gigantesca meringa. Bianche le pareti, bianchi i divani, bianchi i morbidi tappeti pelosi, bianco è il grande mobile a parete che circoscrive i tre schermi televisivi. Accesi, ma muti. Rai news, SkyTg24, Tgcom24. Una candela profumata in un angolo, le foto del calendario Pirelli, una grande finestra spalancata sui tetti: a sinistra lo splendore di San Pietro. Uno dei telegiornali intanto informa, in sovra impressione, che per il ministro Giovanni Tria "è del tutto infondata l'idea che si voglia far saltare l'Europa". Sulla Rai c'è invece "il prof. Giuseppe Conte, presidente del Consiglio", che parla rivolgendosi all'aula di Montecitorio. E allora la domanda a Paola Ferrari viene fuori quasi da sola: sei sposata con Marco De Benedetti, l'editore di Repubblica, il figlio di Carlo. Non hai paura di essere mandata via dalla nuova Rai sovranista?... Salvatore Merlo (Milano 1982) da Il Foglio del 21 ottobre 2018. Sit tibi terra levis mollique tegaris harena, ne tua non possint eruere ossa canes. Marco Valerio Marziale (Augusta Bilbilis 41-104). Abusato epigramma, pessimamente interpretato. Tutti, Gianni Brera in testa, seguito da una lunga filiera, fermi alle prime quattro parole, ignorando il resto e ribaltando il significato: ti sia lieve la terra e morbida la sabbia perché ai cani non venga impedito di dissotterrare le tue ossa...

Durante le vacanze estive, i miei mi dettero il permesso di andare, con una zia che mi coccolava molto, per due o tre giorni a Shosenkyo. Nel nostro stesso albergo c'era un giovane cliente che, a pensarci oggi, doveva essersi accordato in precedenza con mia zia ed era giunto prima di noi. Una notte entrò nella nostra stanza e, non accorgendosi che io facevo solo finta di dormire, si introdusse furtivamente nel letto di mia zia. Ero sbalordita, ma pensai che fosse meglio far finta di essere addormentata. All'inizio non riuscivo a credere ai miei occhi, al fatto che gli esseri umani potessero fare quelle cose come animali. Da Musica di Yukio Mishima (Tokyo 1925-1970), Universale Feltrinelli, Milano 2010.

SPIRIDON/12

° Dal numero 3, Anno II, 1934, XII, di Atletica Leggera, rivista mensile illustrata della FIDAL.

° Dalla copertina: il Duce passa in rivista gli allievi del primo corso allenatori federali di atletica. 68 gli allievi, 43 con la qualifica di ottimo, nessuno mediocre o insufficiente. Quattro gli istruttori finlandesi utilizzati, Ove Andersen, a Napoli, alle dipendenze della S.E.F. Virtus del G.U.F. e dei Fasci giovanili di Napoli, Martti Jarvinen, a Torino, alle dipendenze del G.U.F. Torino, Paavo Karikko, a Firenze ed a Pisa, alle dipendenze della S.A. Giglio Rosso e dell'U.S. Pisa, Renko Veikko, a Roma, alle dipendenze del G.U.F. e dei Fasci Giovanili di Roma.

° Luigi Beccali ha conquistato l'11 marzo a Berlino la sua seconda vittoria internazionale dell'anno XII correndo su una pista in legno dello sviluppo di 150 metri.

° La XIII zona ha preso decisamente la testa di classifica nel tesseramento. Quasi 5000 atleti sono stati affiliati al 15 marzo. In testa, con più di 1000 unità, la Campania, seguita da Lombardia, Piemonte, che continua a segnare il primato delle tessere rosa, Liguria e Lazio. Si ricorda ancora una volta che l'anno sportivo coinciderà con quello fascista. Il bilancio finale del tesseramento sarà chiuso al XXVIII ottobre.

° Dal numero 4. Per la quarta volta da quando sono stati istituiti si svolgeranno a Londra i Campionati mondiali femminili. Le prove si svolgeranno allo stadio di White City nei giorni 9-10 e 11 agosto. L'Italia, che è stata presente anche agli ultimi Campionati mondiali svoltisi a Praga nel 1930, terza edizione dopo quella di Parigi del 1922 e di Gothembaerg del 1926, ha già inviato la sua adesione di massima. Il 12 agosto, sempre a Londra, avrà luogo anche l'8° Congresso della Federazione Femminile Sportiva Internazionale, di cui è ancora Presidente la Signora Alice Milliat.

° Dal numero 7. I campionati d'Inghilterra verso il tramonto? Campionati in tono minore quest'anno in Inghilterra. Scarsa la partecipazione degli assi europei, assenti gli atleti dei dominions, di non grande rilievo i risultati tecnici. Il commento di Gaston Meyer su l'Auto ha sapore di iscrizione funeraria:<< I campionati d'Inghilterra hanno il loro merito e il loro valore… Ma l'avvenire è volto verso confronti più completi e regolari>>. Non potrebbe essere più evidente l'accenno ai Campionati d'Europa… La noncuranza della Gran Bretagna per tutto quanto accade al di là del mare che la circonda è tradizionale, ma l'effetto pratico sembra finisca troppo spesso per essere la decadenza progressiva della forza e del prestigio delle istituzioni che tutti un tempo riguardavano come esempi luminosi. In un mondo di cui è caratteristica saliente l'accelerazione continua dei fatti e delle idee, è ben difficile mantenere le proprie posizioni per un popolo che tranquillamente ignora perfino la pratica utilità del sistema metrico decimale.

° Dal numero 8-9. I Campionati Europei di Torino hanno segnato un'altra grande affermazione dell'Italia in campo organizzativo. Dai commenti dei giornali stranieri. L'Echo de Paris: Lo sport si ispira in Italia, come del resto tutto ciò che concerne l'attività del Paese, ai dettami del Duce. Ciò significa che tutto viene eseguito con autorità ed energia. Il Torsten Tegner svedese: Dopo aver assistito ai Campionati Europei organizzati in Italia su di uno stadio che può essere considerato il più bello del mondo, possiamo senz'altro domandarci quale nazione avrebbe potuto far più e meglio. Non crediamo che nessuna Olimpiade di Atletica leggera abbia avuto un'organizzazione così perfetta. Il Paris Soir: L'organizzazione dei Campionati Europei è stata così perfetta che ci si domanda come faremo noi per restituire l'equivalente quando sarà giunto il nostro turno di organizzatori. Lo stadio di Colombes, il più bello da noi posseduto, con le sue gradinate polverose e con le sue installazioni mal curate, è lontano dal poter sostenere il paragone con lo stadio Mussolini, che è una meraviglia di architettura moderna. Lo Stunde austriaco: Prima di fare un bilancio dei Campionati bisogna anzitutto mettere in rilievo la perfetta eccellenza dell'organizzazione, cosa che negli ultimi tempi è diventata in Italia un fatto naturale. L'Helsing Sanomat finlandese: Non crediamo che al momento attuale nessuna nazione possa fare non solo meglio ma anche uguale. Gli italiani in fatto di organizzazione hanno fatto passi giganteschi, e di pari passo sono progrediti anche in campo tecnico. Mentre in America l'unico che ci aveva impressionato era stato Beccali, a Torino siamo rimasti sorpresi nel vedere tra essi giovani della forza e del valore di Lanzi, Mastroienni, Dotti, Oberweger, Maffei.

SPIRIDON/13

Ho sempre negli occhi l'espressione della psicologa del CRO Centro di Riferimento Oncologico di Aviano quando venne a parlare con me cercando di capire come avevo fatto a coinvolgere tutti gli altri del reparto in una pizzata tra amici. L'antefatto è che entrando in camera dopo una serie di analisi trovo tutti i dottori riuniti che mi aspettavano, leggono le cartelle, mi visitano ed uscendo, sono quasi sulla porta, mi dicono: IL TUMOR E SI E' NEGATIVIZZATO" ... Aria... riprendi aria, lo sai che negativo vuol dire che va bene (lo fanno per far capire che loro sono i dottori ho sempre pensato) e che positivo va male.... Insomma riprendo aria e li rincorro nel corridoio con l'agilità che può dare essere attaccato alla pompa di infusione. Confermano la cosa e... Mi lascio cadere sulla poltroncina assalito da mille pensieri. AVEVO VINTO e me lo dicono così come si può dire: Oggi ho fatto lavare l'auto... Non è mica una cosa di tutti i giorni penso e mi dico che va festeggiato. Mi proietto come un gatto (di piombo) nelle camere degli amici che condividevano con me quei mesi di cura (era solito che ci si incontrava una volta al mese) e saltandoli sul letto dico a tutti di buttare via il brodino il pollo lesso e la purea di patate che questa sera si sarebbe mangiato la pizza. Organizzo tutto io ci troviamo nella sala di ricreazione (un bellissimo ed ampio spazio libero) ed arrivano le pizze...La notizia fa il giro dell'ospedale in un attimo. Ero riuscito ad aggregare i pazienti (anche gravi infatti Roberto e Salvatore) poi purtroppo ci hanno lasciato. Arrivano le infermiere, i dottori, gli assistenti sociali, salta fuori una bella bottiglia di prosecco e viene fuori una bella festa... Ecco la storia della pizzata al CRO.Poi la psicologa vuol capire, dare un nome, organizzare uno schema logico che aveva portato a tutto questo... Cara Dottoressa, è solo una questione di congiuntivi, le ho detto, è il solito motivo per cui noi toscani non abbiamo bisogno di studiarli, è un qualcosa che sta li nel nostro carattere ed anche quando va tutto male cerca di dissacrare e ridere su tutto vedrai che la croce ti peserà molto meno.... Capito il congiuntivo?

Sullo sport del 1968 sono stati pubblicati numerosi libri. Spiridon si limita a recensirne uno. Il migliore. Autore, Giorgio Cimbrico, al suo ennesimo prodotto letterario, di qualità pari alla Regina e i suoi amanti, romanzo d'appendice dell'atletica con i suoi centauri, le sue amazzoni, i suoi eroi, e gli Implaccabili, ovvero l'arte di commemorare i campioni dello sport: E d'improvviso successe un Sessantotto. Editore Absolutely Free Libri, centoquaranta pagine, il testo punta il dito sui giorni che sconvolsero il mondo dell'atletica con l'abbattimento di ventiquattro primati mondiali appena qualche giorno dopo il massacro degli studenti di piazza delle Tre Culture. Dal 14 al 20 ottobre, Jim Hines, Tommie Smith, Evans, Doubell, Hemery, Beamon, Gentile uno e due, Saneyev, Prudencio e ancora Saneyev, e ancora Evans con James, Freeman e Matthews, Irena Szewinska, Viorica Viscopoleanu, Wyoma Tyus uno e due con Ferrell, Bailes e Netter, Margitta Gummel per due, Giamaica per due, Usa per quattro, Olanda. A completamento di un'opera in cui capacità di evocazione e qualità di scrittura sono armi imbattibili del prodotto di classe, quattro testimonianze dirette, una sui terreni insanguinati e dalla tribuna stampa, quella di Gianni Romeo, tre dai campi di gara, di Livio Berruti, Giacomo Crosa e . - Giorgio Cimbrico – E d’improvviso successe un sessantotto – Absolutely Free Libri Editrice - € 18,00

SPIRIDON/14

Quella del 4 novembre è una data molto particolare, per quanto accaduto e accade, per quanto ci attende nel futuro. E vengo al dunque, perché se l’anniversario rappresenta il centenario della pacificazione , dopo la tragica Prima Guerra Mondiale con almeno quindici milioni di morti tra militari e civili, di cui un milione duecentomila italiani, ricorda anche la catastrofe dell’alluvione a Firenze e Venezia di cinquantadue anni fa, puntualmente riproposta su scala nazionale diffusa e con le altre vittime di questa notte. Al disastro ambientale sulle alpi, con intere foreste distrutte, fanno eco le esondazioni siciliane, dopo il flagello del Mar Tirreno sulle coste della Liguria, come nel Lazio, dove la devastazione di Terracina assume il ruolo di atroce simbolo. Ma cos’è che mi preme evidenziare e che deve essere assolutamente percepito, compreso? Credo che non occorra essere uomini di scienza e nemmeno cartomanti per prevedere il futuro che ci attende, se non organizziamo le difese preventive nel breve e la strategia complessiva di resilienza, come ci insegna Sergio Astori, per affrontare le dure prove che ci attendono nel futuro. Purtroppo, la globalizzazione celebrata per l’economia, l’informazione, lo sport, i flussi migratori e le pandemie, riguarda anche e soprattutto ahimè il clima del Pianeta Terra, con tutte le sue variabili anche perverse ed ora prevedibili dato il degrado di cui siamo compulsivamente colpevoli. Tanto per capirci, la perturbazione “tropicale”, monsonica, che ha ucciso milioni alberi ed insieme a loro irreparabilmente la biodiversità collegata, preparando la fase successiva delle frane, delle valanghe e del dissesto idrico, ha avuto ed ha origine atlantica. Dobbiamo uscire dal dormiveglia in cui vivevamo, pensando a tifoni ed uragani, come fenomeni da noi lontani, di un altro mondo. Cari amici, i venti ben oltre i limiti di velocità che hanno spazzato via tetti e finestre, cornicioni e campanili, alberi centenari come fuscelli, fin dentro il cuore delle nostre città , costituiscono un segnale che non può essere eluso, rimosso, come purtroppo ci accade sistematicamente, anche dopo i peggiori terremoti. Dobbiamo renderci conto che, come capita con un silenzioso subdolo killer, l’amianto, l’unico imperativo è prevenire. E questo è stato ed è anche il senso del messaggio etico lanciato dal mondo dello sport mercoledì scorso, nel Salone d’Onore del CONI, mentre il Governo annunciava il progetto della Agenzia Nazionale per lo Sport e la Salute. Non c’è dubbio che il Paese ha bisogno di alzare drasticamente il livello di qualità della salute, promuovendo la cultura motoria e del corretto stile di vita con vantaggio generale ed anche significativamente economico per il bilancio dello Stato. Sappiamo anche che tra dire e il fare ci sono di mezzo straordinari problemi da affrontare e risolvere, vulnus causati da pavidità e inerzia di chi per decenni ha eluso, più o meno consapevolmente ignorato, più o meno neglettamente osteggiato in nome di una autonomia, che si richiama idealmente all’autorità morale di Olimpia, quella che sospendeva i conflitti in occasione dei Giochi ventisette secoli fa, che oggi ha ancora una straordinaria forza di suggestione, com’è capitato anche quest’anno con le Olimpiadi Invernali di PyeongChang, ma che pure non prescinde da questioni di politica, di religione e di economia, com’è ovvio che sia. E allora ? Allora, adesso si potrebbe aprire veramente il momento di una seria riflessione, sulla necessità irrinunciabile di trovare una quadratura di crescita sociale e di sviluppo attraverso la promozione della cultura sportiva, partendo da quello che c’è per arrivare a quel che verrà, posto che occorreranno molte più risorse di quante oggi ne disponga il CONI per contributi da parte dello Stato. Diciamo che il Bel Paese si trova, simbolicamente e praticamente, il 4 novembre 2018, ad un crocevia e deve scegliere la direzione giusta per “lanciare la palla e correre”, quella direzione che la generosità e il coraggio degli sportivi vide – centodue anni fa sul fronte di Monfalcone - in prima linea un personaggio straordinario come Enrico Toti, ardimentoso tuffatore tiberino e ciclista della ormai centenaria Società Sportiva “Audace”, che ebbe la forza di scagliare con la stampella il suo cuore oltre il traguardo. Ruggero Alcanterini

Una suonata per Elisa

Un giornalista in pensione, scandalizzato dalle foto intime di Salvini e la sua ex morosa Elisa Isoardi postate da lei su Instagram e rimbalzate su tutti i social, ha messo su Fb un selfie di loro due a letto affiancato da una foto di Aldo Moro in spiaggia seduto su una sedia in giacca e cravatta. Il suo commento è «proprio vero che la classe qualche volta è acqua, anzi guano». Moro (peraltro noto per il suo fare curialesco, fuori tempo già allora) aveva detto «lo faccio per rispetto alle persone che mi vedono così in Parlamento». Per lui il ruolo ufficiale prevaleva su quelli privati, e l’immagine doveva essere una sola. Erano tempi in cui un giudice amico di mio padre in spiaggia non ci andava neanche, perché «un magistrato non può essere visto in braghe corte». Erano tempi, appunto. Tempi in cui i borghesi vestivano da borghesi, i popolani da popolani, i preti da preti. Tempi in cui giacca e cravatta erano obbligatori in banca e nella maggior parte degli uffici, come il grembiule per le impiegate. Tempi in cui il taglio dei capelli doveva essere rigorosamente a sfumatura alta. Non a caso i primi ribelli ante ’68, i figli dei fiori, ostentavano in segno di rivolta lunghi capelli e vestiti volutamente trasandati. Poi i tempi (per fortuna) sono cambiati. Se c’è una cosa piacevole, oggi, è che se guardi la folla a passeggio per Roma non puoi indovinare dagli abbigliamenti chi è ricco, povero, borghese o popolano. E la nuova politica si è adeguata. E’ personale. Promuove il leader, più delle idee, e per promuoverlo lo mostra, lo spoglia, lo esibisce anche nella sua vita privata. Sono decisamente cambiati, i tempi. Ma non rimpiango quelli di Moro. [email protected]

SPIRIDON/15

All'improvviso, Rita Lombardo Clemente ha trovato una foto con dedica, firmata da Cosimo Castello, allievo estroso a Scienze Motorie, 'baarioto' di origine controllata. Nel 2005 Castello partecipò al viaggio d'istruzione ad Atene, guidato dalla professoressa Marianna Bellafiore. Gli allievi – tra questi Salvatore Modica (1) di esondante passione per l'insegnamento – furono attratti dal messaggio delle 'antiche pietre' dove si celebrò il rito dei Giochi di Olimpia, ripreso nel 1896 dal barone filantropo Pierre De Coubertin con Atene sede della prima Olimpiade dell'era moderna: Citius, Altius, Fortius, più veloce, più in alto, più forte, l'incitamento ai giovani nel messaggio del padre domenicano Henri Martin Didon. Il messaggio ai giovani era ed è forte e chiaro. Ad esaltarlo l'agonismo degli Eroi, che rifulge nel Carme Ai Sepolcri di Ugo Foscolo: "Ilio due volte raso e due risorto, splendidamente nelle mute vie, per far più grande l'ultimo trofeo ai fatati Pelidi". Da Olimpia a Bagheria e alla gioventù dei nostri giorni, Castello sintetizza: <>, ormai inseparabile dai nostri giovani e, come Leonardo Sciascia nel suo ultimo romanzo, Il cavaliere e la morte: <>. Il pessimismo ha ragion d'essere in Sicilia. Si sono ridotti gli spazi dove giocare senza pericoli, i bambini sono o coccolati o trascurati. Soltanto in poche zone della città di Palermo è possibile giocare. Sarebbe interessante un ulteriore censimento, ad integrare le Tesi di Laurea a Scienze Motorie negli anni dal 2002 al 2007, nei Comuni della Sicilia dove gli spazi sono ampi e c'è tanto verde. Anche a Bagheria, dove continua a imperare il Maestro Tommaso Ticali, trovare ragazzi che liberamente corrono non è facile. Ben diversa la situazione nelle corse sfrenate dei bambini nel Baarìa di Giuseppe Tornatore, che racconta la storia della sua famiglia, dal nonno Ciccu il pastore, al padre Peppino, da contadino a sindacalista del Partito Comunista, a deputato. Dagli anni '30 del Fascismo, le sopraffazioni della mafia, le lotte contro i latifondisti, agli anni '40, le bombe lanciate dagli aerei, la liberazione e i soldati americani a Bagheria. Le stragi comandate dai padroni, le vittorie del popolo, i sindacalisti, tra questi Placido Rizzotto e Accursio Miraglia. Il racconto prosegue negli anni '80, fatidici per il sottoscritto che dal 1966 insegnò Educazione Fisica e Atletica al Liceo Scaduto di Bagheria, fra i suoi allievi Franco Tornatore, il maggiore, e Lia Tornatore, entrambi a me "appiccicati" nelle trasferte allo Stadio delle Palme nella mitica 500. Lia, lanciatrice di peso, Franco impegnato nel salto in lungo. Il Preside, Aldo D'Asdia, critico letterario, schierato a sinistra, mi presentò Giuseppe Tornatore magnificandolo come un uomo coerente ai principi di solidarietà verso i più deboli. Nel 1967 diressi Il Limone, numero unico dell'Istituto che si fregiava delle interviste a Tommaso Aiello, che sarà Rettore dell'Università di Palermo, a Giuseppe D'Alessandro, da giovane calciatore e discobolo, che sarà Direttore dell'Istituto di Igiene, a Castrense Civello, poeta futurista che svelò una lettera autografa con la quale Renato Guttuso decideva di consegnare la sua 'roba' ad un eventuale Museo Guttuso di Bagheria, cosa fatta anni dopo. Nel giornale di Istituto, una panoramica sulle dimore antiche, le ville nobiliari e su Villa Palagonia, quella dei mostri, che figura nel film Baarìa, in parte girato ad Aspra dove correva Pietro Balistreri, campione in mezzofondo, e in Tunisia. Anche tante pagine di sport nel giornale, illustrato dalla primatista italiana allieva nel getto del peso Graziella Painelli e dalle vittorie degli allievi del Gruppo Sportivo Liceo Scaduto. Nel finale del film il regista ci conduce alla teoria di Einstein sulla circolarità del tempo e sui mondi paralleli, manifestando la sua amarezza per la Sicilia, un tempo protagonista, oggi decaduta. Come anche nell'atletica e nella corsa, aggiungo. (1) Salvatore Modica, un ragazzo bello e forte che dalla sua Trapani si era arruolato per ardui compiti. Tornato a Palermo a causa di scompensi neuronali, si iscrisse a Scienze Motorie, brillando per assiduità e incisività, laureandosi con il massimo dei voti e con una Tesi sperimentale che avrebbe meritato la pubblicazione. I suoi referenti: il sottoscritto, cui confidò fino alla sera prima dell'operazione al cervello le sue contestazioni a Scienze Motorie, e Michele Basile, il Maestro della preparazione atletica e dei salti, che seguiva a bordo pedana prendendo appunti. Al funerale, a Trapani, erano presenti Antonio Palma, dirigente massimo in quel periodo e il suo collaboratore Antonio Bianco. Il CUS Palermo, per iniziativa sentita di Gaspare Polizzi, organizzò il 'Memorial dei salti Salvatore Modica' abbracciando in lacrime la madre di Salvatore. Auspichiamo che anche per iniziativa di Cosimo Castello, laureatosi di recente nella specialistica di Scienze Motorie con il massimo dei voti e che a Bagheria è allenatore di pallavolo, felicemente fidanzato con Anna Rufo, pallavolista e laureanda in Giurisprudenza, il Memorial si ripeta. Pino Clemente

SPIRIDON/16 Valtellina Wine Trail 2018 Elisa Desco e Cristian Minoggio vincono la prova principe, Elisa Sortini e Luca Cagnati si impongono sulla half marathon, mentre Dionigi Gianola e Elisa Compagnoni hanno messo la loro firma sulla Sassella Trail da 12km. Numeri impressionanti per la kermesse podistica più partecipata e internazionale della provincia al centro delle alpi: 2500 runner da 28 differenti nazioni. Rigamonti (leader nella produzione della Bresaola della Valtellina IGP) main sponsor dell’evento. Nel post gara festa grande in Piazza Garibaldi. Gara straordinaria risparmiata miracolosamente anche dalla pioggia. Delle tre competizioni della VI Valtellina Wine Trail, Elisa Desco e Cristian Minoggio, piemontesi doc si sono aggiudicati quella della maratona, una prova in notturna che la

pioggia non è riuscita a rovinare. Tantissimo pubblico ha fatto da cornice alla gara valtellinese. Minoggio è riuscito a prendere la testa della gara praticamente sugli ultimi fornanti quando è riuscito a riprendere il sorprendente brianzolo Danilo Brambilla che avea fatto il ritmo sin dall’inizio. L’esperienza di Minoggio lo ha riportato in testa, per lui Per lui successo di giornata in 3h16’40”. A completare il podio Andrea Reiterer (3h22’50”) e Danilo Brambilla (3h28’37”). Hanno strappato un piazzamento d’alta classifica anche per Alessio Rigamonti 4° e Matteo Longhi 5°. Fra le donne Elisa Desco non ha disatteso le aspettative della vigilia. Già vincitrice nel 2016, la forte piemontese non ha lasciato spazio alle avversarie vincendo in 3h48’42”. Secondo posto per Sara Palfrader (4h22’04”). Terza al termine di una strepitosa rimonta di Giuliana Arrigoni (4h43’05”). (M. M.)

Immaginate di essere riusciti a guadagnare un posto in prima fila tra le decine di altri agguerriti fotografi. La situazione è abbastanza tesa perché si basa tutto su di un gioco di equilibri. Tutti vorrebbero essere li. Chi prima arriva prima macina, ma c'é sempre il furbetto e la posizione va difesa con i denti. Senti l'atmosfera che ribolle, tutto intorno è in fermento a partire dai megawatt di musica sparati dagli altoparlanti. Le voci degli speaker si fanno sempre più coincitate e cominciano gli sgomitamenti. Come i 300 alle Termopili non si deve cedere un passo e.... Click... Click... si prova la macchina e la foto viene fuori velata. Si è rotta la tendina dell'otturatore... Macchina di riserva subito! Ma non è semplice l'obiettivo da usare è quello con la focale lunga, siamo distanti. C'é da brigare un poco ed intanto aumenta la pressione e gli sgomitamenti... In fondo al lungo rettilineo ecco si intravede la sagoma del primo e si preannuncia il record del mondo... Ed allora a quel punto tra uno spintone ed uno slalom si scatta, si scatta e poi vedremo che succede. Anche questo accade mentre sta per avverarsi il record del mondo della mezza maratona di Valencia. ( Piero Giacomelli)

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28 . . . e si conta. Tante sono le partite di football NFL cui ho assistito a partire dal 2008, due per i primi due anni e poi, dopo la pausa del 2010, tre partite all'anno nel corso di una trasferta a cavallo tra Settembre ed Ottobre, l'obiettivo quello di visitare tutte le città delle 32 franchigie NFL. Andando ad una partita la domenica, naturalmente. Le squadre viste a casa loro sono in realtà una in meno, la doppia essendo San Francisco che però la prima volta nel 2008 giocava al vecchio “Candlestick Park” mentre nel 2016 lo stadio fu quello attuale e decentrato a Santa Clara che porta il meno poetico nome commerciale di “Levi's Stadium”, come usa oggi, anche da noi. Nel corso dell'itinerario pluriennale ho mancato St. Louis, poichè la franchigia dei Rams è nel frattempo ritornata a Los Angeles, dove l'ho vista giocare lo scorso anno al vecchio “Coliseum”, in attesa di trasferirsi dal 2020 nel nuovo spettacolare stadio ora in costruzione ad Inglewood e che sarà condiviso con i Chargers, che da un paio d'anni hanno lasciato San Diego (tanto bella da volerci comunque tornare) anche loro per la città degli angeli. Per completare il puzzle mi manca anche la sorella povera di San Francisco, Oakland, con i Raiders che lasceranno la parte sbagliata della baia nel 2020 per trasferirsi a Las Vegas. L'altra città con due squadre, oltre ad LA, è New York, di cui mi manca la sponda Giants, peraltro nel nuovo stadio di East Rutherford (poco oltre l'Hudson River e Manhattan ma già New Jersey) ora condiviso con i cugini dei Jets e che era in costruzione dall'altra parte della strada quando vidi questi giocare nel 2008 nel vecchio “Giants Stadium”, dove, quando soffiava forte il vento freddo che scende dal Canada, si sentiva mugugnare per via dei reumatismi il fantasma di Jimmy Hoffa, il potente leader mafioso-sindacale dei camionisti americani che - sempre la leggenda - vuole sia stato sepolto nelle fondamenta del vecchio stadio allora in costruzione, quando Jimmy fu fatto sparire a metà anni set tanta del secolo scorso . . .

Perchè l'America, perchè il football ? L'America sono gli Stati Uniti, tutto il resto viene dopo, con buona pace di globalisti ed egalitaristi a tutto tondo, nonostante il declino in corso, sia endogeno (la vita comoda . . .) che indotto dalle problematiche poste dal sud e dall'est del globo con le loro diverse declinazioni di “numero è potenza”. Intanto gli Stati Uniti restano la nazione, il posto nel mondo, dove l'esperienza umana ancora tocca tanti suoi vertici, uno di questi essendo rappresentato dal suo sport, dal meglio del meglio di quello individuale, l'atletica, al meglio del meglio degli sport di squadra, dunque baseball (più che basket) fino all'epitome vera del football, ovvero atletica di collisione messa in campo per guadagnare terreno, il mito/realtà della frontiera riproposto ad ogni partita, anche se oggi l'uso intensificato dell'aviazione (gioco di passaggio) urta fin troppo la tradizione della fanteria, del gioco di corsa. Poi gli americani sono anche capaci di mettere più di centomila spettatori nella “Big House” (vedi avanti) per una - ed insignificante in quanto tale - amichevole del Real Madrid, ma questo fa semmai parte dei dolori da contaminazione non proprio a valore aggiunto e con questa della loro perdita di smalto

Da Atlanta a Detroit Quest'anno, arrivo il 20 Settembre ad Atlanta e, dopo tappe intermedie a Nashville e Louisvile, rientro il 9 Ottobre dalla “Motor City”. 800 miglia (circa 1.300 chilometri) da sud a nord percorse in tre tratte sempre con un bus di “Greyhound”, gli altri spostamenti in loco sempre con i mezzi pubblici. Messo in archivio il primo incidente stradale, col bus sul quale viaggiavo che ha impattato una vettura che ha invaso la sua corsia mentre si usciva dal centro della “Music City”: ci stava, dopo 11 anni fatti di qualche centinaia di corse e qualche migliaia di miglia viaggiate. L' hotel di norma in periferia significa attraversarle le periferie, viaggiare con il “rank and file” che sta per i membri più ordinari della comunità, con prevalenza dei meno agiati – quasi tutti neri o immigrati più o meno recenti - questo per dire che la mia America è spesso tuttaltro che lucente, prima di risplendere nei fine settimana dentro ed intorno alla cornice dello stadio di un college o della NFL.

Neri e Bianchi Sorta di separati in casa, non scompartimenti stagni ma neri coi neri e bianchi coi bianchi resta la norma, retaggio del passato con un presente che continua ad essere scenario di diverse condizioni economico-ambientali e con queste di abitudini di vita differenti, il tutto ad alimentare quei pregiudizi più o meno gratuiti che pesano su gran parte della comunità nera. Non pochi neri sembrano abulici, chiusi rispetto al resto del mondo che li circonda, altri non danno questa impressione, quello che unisce tutti, bianchi e neri, è la piaga del sovrappeso . . . Ad Atlanta e dintorni i neri sono la maggioranza, mai capitato di vederne tanti ad una partita della NFL, dove per solito si aggirano sul 10%, a contrasto speculare rispetto ai giocatori che sono all'incirca in proporzione inversa, ma con il ruolo cardine del quarterback ancora prevalentemente in mano, o meglio, nel braccio dei bianchi, mentre running backs, wide receivers e defensive backs - dove a predominare sono velocità e destrezza di movimento - sono quasi esclusivamente neri; più variegate le posizioni

SPIRIDON/18 delle linee, dei linebackers e dei tight ends. Se poi qualche candido trinariciuto progressista dice che non si deve guardare al colore, io – da povero peccatore – dico che è sociologia, che me ne importa e che faccio pure il tifo contro l' estinzione del povero bianchino in tanta parte dello sport (hashtag “tortunonbasta”). Confronto neri-bianchi anche questo macinato nel contesto del curioso, manicheo atteggiamento americano che consta nel fondo di puritanesimo - che fu all'origine stessa degli Stati Uniti ed ancora diffusamente avvertito - in perenne confronto con il male dell'uomo. Anche se oggi parrebbe degenerato nel “politically correct” più insopportabile . . . Nello storico cimitero di Oakland, ad Atlanta, assieme ai resti di migliaia di soldati - tanto dell'Unione che della Confederazione - lì sepolti , si trova la tomba di Margaret Mitchell, l'autrice di “Via col Vento”, il cimitero che è dominato dalla presenza dell'Obelisco Confederato e del “Leone di Atlanta”, imponente e bella scultura che omaggia il milite ignoto confederato, ma c'è tutto il vecchio Sud sconfitto nella pelle di quel leone morente. Molto interessante la visita al museo che racconta la Guerra di Secessione, dagli scenari politico-economici alle battagle, alle armi usate fino alla quotidianità della truppa, uccisa più dalle malattie che da fucili e cannoni della guerra più bastarda di sempre. Sino ad allora.

Prima il college L'aria più pulita, frizzante e leggera dello sport americano e direi non solo, si respira di sabato, giorno consacrato alla partita di football dei college (venerdì il giorno delle high schools, domenica quello dei pro). Molto spesso lo stadio si trova dentro od a ridosso del campus universitario, va da sé che la frenesia della partita monta sul piacevole senso di rilassamento tipico del semifestivo che precede il festivo, in un ambiente – spesso ampi parchi con alberi secolari e costruzioni da secolari a nuovissime - popolato dalla meglio gioventù degli studenti attuali cui si uniscono i vecchi che arrivano per il “tailgate”: letteralmente la porta posteriore dei veicoli che si apre per fare uscire griglia, cibo, bevande e piacere di vivere . . . Ricordo gustoso per me quello di Palo Alto (California), lì per la partita dell'università di Stanford alle 19, risolsi il problema della cena grazie ad un fornitissimo banchetto a doppia fila, in mezzo ad imponenti “redwood”, offerto dai laureati di un ateneo quotatissimo tanto a livello accademico che di sport (i suoi dottori e dottorandi a Rio 2016 con 27 medaglie di cui 14 d'oro sarebbero stati la sesta nazione nel medagliere). A Fort Worth, nel Texas e sempre qualche anno fa, ricordo invece uno spettacolare derby dei locali di Texas Christian University contro Southern Methodist Unversity della confinante Dallas, questi ultimi in territorio di vacche magre dopo un periodo aureo a cavallo degli anni '80 ma quel giorno capaci di vincere e rovinare il ranking dei più in auge cuginastri dopo tre drives ai supplementari (nei college il pareggio non è contemplato). Aspettavo solingo l'imminente arrivo dell'ultimo bus utile per il lungo ritorno, con una sete boia per avere ignorato la bottiglietta di minerale a 4 dollari allo stadio - in ampliamento e sprovvisto dello bocchette d'acqua gratuita – quando sento una voce soave alle spalle, mi giro e . . . era un angelo. Biondo naturalmente, coi pantaloncini corti attillati e la maglietta col logo di TCU annodata appena sopra l'ombelico, in mano una bottiglietta d'acqua che - essendo stata lasciata in frigo nel baule dell'auto e ritrovata al ritorno dallo stadio prima di salire nel suo alloggio per studenti - quello schianto d'angelo aveva pensato bene - tra tutti gli assetati al mondo- di offrire proprio a me. Appena il tempo di balbettare grazie allo schianto, pardon, all'angelo e via con la bottiglietta, il bus e poi il treno del ritorno verso l'hotel, che il giorno dopo mi aspettavano i Dallas Cowboys . . .

Atlanta Ad Atlanta, a fare visita ai medio calibro della locale “Georgia Tech” erano i campioni universitari di due anni orsono, Clemson nel South Carolina, anche oggi tra le prime squadre nel ranking nazionale. Lo stadio di linea essenziale, aperto e bello, tiene 55.000 spettatori, pochissimi in meno i presenti per una partita controllata 49 a 21 da Clemson col il quarterback freshman (matricola) Trevor Lawrence troppo bravo rispetto al titolare precedente che infatti – sfruttando la nuova regola che permette ai giocatori di cambiare università senza perdere un anno di gioco – la settimana successiva annuncia di volere lasciare Clemson per ancora non si sa dove. Lawrence che per un paio d'anni ancora dovrà accontentarsi di alloggio-vitto-lavatura-imbiancatura . . . e stiratura offerte dall'università, prima di essere ammesso al draft della NFL. Il giorno dopo, nello stadio inaugurato nel 2017 dove la Juventus ha giocato ad Agosto contro le all-stars del campionato americano (Major League Soccer) e dove si giocherà il prossimo Superbowl (con la speranza che per allora il meccanismo di apertura a diaframma del rosone nel tetto funzioni alla perfezione) siamo in 73.000 per vedere i locali Falcons cedere 37 a 43 la vittoria ai Saints di New Orleans dopo 3 ore e 38 minuti ed il touchdown segnato nel tempo supplementare dal QB Drew Brees che, a 39 anni, è uno dei due grandi vecchi della NFL assieme a Tom Brady dei New England Patriots. Brees completa in partita il passaggio di carriera numero 6.301 per il record NFL ed è considerato il miglior QB della storia sotto i

SPIRIDON/19 sei piedi di altezza (si ferma una frazione di pollice sotto a 1.81). Tom Brady ha vinto 5 Superbowl ed è indiscutibilmente uno dei più grandi di sempre, di anni ne ha 41 ma con Aaron Rodgers dei Packers è ancora il migliore nel ruolo. Quando vidi i Patriots vincere a San Francisco nel 2008 lui era fuori a causa della rottura dei legamenti al ginochhio sinistro rimediata alla prima partita della stagione, mentre quando ho visto i Patriots in casa a Foxboro (vicino a Boston) lo scorso anno perdere dai Buffalo Bills era squalificato per le prime 4 partite a causa di una controversa accusa di avere utilizzato in gioco delle palle dal gonfiaggio ridotto rispetto al regolamentare per favorirne la presa. Va da sé che alle città mancanti dovrò aggiungere un'altra partita dei Patriots, con Brady in campo stavolta. E dovrò sbrigarmi . . .

Nashville 2 dollari più 4 di commissione mi bastano per scaricare da un sito di rivendita online il biglietto per la partita dell'università di Vanderbild, rispetto ai 25 del facciale. Partita combattuta, vinta 31-27 contro Tennessee State. La domenica aprroccio il ponte pedonale sul Cumberland River per lo stadio aperto dei Titans, dall'altra parte della riva rispetto alla strip di Broadway che è il cuore turistico/stereotipato della Music City. Direttamente sul ponte, solito rito del dito alzato ad indicare la bisogna del biglietto e problema rilsolto con 40 verdoni per un posto di curva alta avuto il luogo di un abbonato non venuto alla partita. Posto poi migliorato nel secondo tempo manovrando verso un buco nel frattempo individuato in altra parte del catino. Gli ospiti sono i world champs degli Eagles, con il QB Carson Wentz tornato titolare dopo i soliti legamenti del ginocchio rotti lo scorso anno, quando era in predicato del titolo di MVP della stagione (poi andato a Brady) ed il SB vinto dalla sua riserva Nick Foles. Wentz non è ancora al meglio, altro supplementare e con una chiamata ardita al quarto down Titans che vincono 26 – 23, durata della partita 3:34'. A Nashville ero già stato nel 2010 ad Agosto, niente campionato allora, ma avevo visitato un paio di training camps (Titans e Miami Dolphins) tanto per arrotondare le mie esperienze NFL. Rivisto con piacere, davanti al Campidoglio dello Stato, il bel monumento equestre di Andrew Jackson: quando il Tennessee era ancora terra di frontiera fu ribelle, soldato, generale ed infine settimo presidente americano. Uno dei più grandi, anche se ancora padrone di schiavi. E' sepolto nell'orto di casa (assieme all'intendente nero che gestiva i suoi cavalli da competizione) quell'Hermitage ora museo a misura di auto (per essere raggiunto) e che io naturalmente raggiunsi . . . a piedi, dopo sceso da un cavalcavia nei pressi del quale l'autista fermò apposta il bus per premiare un mio precedente intervento in aiuto di un ragazzo ebreo ortodosso che faticava ad agganciare la sua bicicletta al muso del medesimo bus . . . Louisville Tappa di passaggio, niente partite, il grande Ohio River a limitarla a nord ripetto all'Indiana, il “Kentucky Derby” a maggio il suo apice sportivo, la visita fatta alla fabbrica con annesso museo della “Louisville Slugger” ovvero la mazza da baseball più utilizzata dai professionisti delle Major Leagues. Joe Di Maggio che ancora nelle leghe minori firmò un contratto a vita - esposto nel museo - per l'utilizzo della sua immagine da parte della ditta. Valore del contratto ? 1 dollaro. Bello ricordare come uno dei record pregnanti dello sport a stelle e strisce continui imperterrito ad essere associato al nome del nostro paisà: quello delle 56 partite consecutive con almeno una battuta valida, dal maggio al luglio del 1941. Battere una valida ad ogni partita che per Joe divenne più importante di mangiare, bere, dormire; il baseball che gli aveva risparmiato di dover sopportare il lezzo di pesce del peschereccio del padre da pulire a San Francisco, dove quasi tutti i pescatori erano dei paisà, e formidabili rispetto alla concorrenza se è per questo. In un vasto negozio di libri usati ne recupero uno del 1965, “abc wide world of sports”, che era allora il titolo di una famosa trasmissione televisiva da cui Il libro deriva, ripercorrendo - con uno spruzzo di poco altro - l'anno olimpico del 1964, con belle sequenze in bianco e nero - tra le altre - di Dallas Long, Al Oerter e Bob Hayes. Di Bob ritrovo la sua autobiografia, dove - da figlio della guerra nato nel ghetto di Jacksonville (Florida) nel 1942 – ricorda come sua madre Mary mentre il marito Joseph Hayes era nel Pacifico, ebbe una relazione con tale George Farmer di cui restò in cinta, con Joseph che tornato dalla guerra fece buon viso a cattiva sorte, mantenendo la paternità di Bob . . . Hayes.

Detroit 19 Neri a frotte passati da qui per raggiungere il Canada dall'altra parte del Detroit River ai tempi della schiavitù, a frotte quelli poi fermatisi per lavorare nelle industrie della capitale dell'automobile che poi nel 2013 divenne la più grande città americana a dichiarare la bancarotta. Città con la più alta percentuale di omicidi negli USA in rapporto alla popolazione – peggio di Chicago e Baltimnore - periferia con parecchie costruzioni abbandonate, una sorta di Scampia allargata - niente Vele ma case basse in batteria - percorsa per un mezzo chilometro a causa di un errore di fermata autobus prima di rimontare alla successiva, ma buon aiuto avuto da una giovane madre di colore in quel frangente. Anche un fronte fiume curato e tranquillo, due stadi di baseball e football nuovi ed adiacenti e, a 35 miglia di distanza ad Ann Arbor, “The Big House” , la casa dell'università del Michigan che degli 8 stadi di college football con capacità superiore ai 100.000 posti e quasi sempre pieni o quasi, è quello più frequentato in assoluto. 35 miglia che complici un altro errore logistico - quello nella scelta dell'hotel troppo fuori mano – e la pioggia, mi hanno fatto mancare la partita del sabato, mannaggia a me. La domenica invece, buon posto rimediato da un tifoso che sabato ad Ann Arbor era andato e che visto il dito alzato mi offre il biglietto della moglie rimasta a casa. Al mio quesito sul prezzo mi chiede lui quanto voglio spendere ed alla mia solita, indefessa litania per cui sono: a) sempre all'ultimo giorno in America b) coi soldi contati ma con il desiderio di vedere una partita NFL c)

SPIRIDON/20 comunque per non più di 50 verdoni . . . mi dice allora di dargliene 40. Mi dice anche come un pezzo della famiglia due generazioni prima arrivò dall'Italia, dal nord ma non ricorda di più, neanche i parenti che contatta via cellulare . . . Per la quarta volta vedo Aaron Rodgers, stavolta con il ginocchio sinistro ammaccato, che coi suoi Packers perde 31 a 23 dai locali Lions rivali di divisione. Rispetto a Tom Brady che è strettamente un QB che opera dalla tasca (di protezione offerta dalla linea d'attacco) l'immagine di Rodgers che si muove e lancia, le ginocchia leggermente piegate, richiama netta quella del “gunslinger”, del pistolero alla John Wayne (che all'università di Southern California era stato non un QB ma uomo di linea, prima di infortunarsi e passare alla recitazione). A vedere Rodgers lanciare, Ezekiel Elliot dei Cowboys correre con la palla o J.J. Watt dei Texans che bracca il QB avversario durante un'azione di passaggio, non ci si può non domandare se non sia quello il meglio dello sport, quelli gli atleti migliori e parallerallmente di comprendere come il football dall'inizio stia all'America come l'America al football. E chiedersi cosa ci azzecchi invece il soccer , con l'America. Il controllo della palla affidato ai piedi, difesa ed attacco non fasi separate ma confuse in una, il “bel gioco” eventualmente separato dal risultato: elementi di imprecisione, labili ancoraggi rispetto al giudizio autoreferente, alla partigianeria gratuita. A Detroit raggiunta in partita la soglia dei 114 decibel, pubblico americano che, al terzo down difensivo quanto a rumore e per tutta la partita quanto a birra e cibarie consumate, sopravanza anche quello calcistico più accanito. Sguaiataggini e striscioni a parte perchè qui del tutto inesistenti, fatto salvo qualche timido scimiottamento nel soccer.

Di ritorno, ma dove ? Reduce dalla bonaria opulenza degli stadi americani, dalle curve che sono semplicemente un settore dei medesimi, dove capita di mischiarmi a migliaia di tifosi sia ospiti che casalinghi, col solo biglietto e senza l'esistenza di indegni orpelli come la “tessera del tifoso”, capita che di lì a pochi giorni una puntata di “Report”, dopo avere descritto chi siano i malavitosi che tengono le fila della “curva” juventina, anche intratttenendo rapporti più o meno diretti con la dirigenza di questa come di altre squadre, faccia ascoltare la registrazione del capo della sicurezza della vecchia signora mentre viene informato via telefono della prossima esposizione all' Allianz Stadium degli ignobili striscioni su Superga. Sandro Mazzola, la voce rotta dal pianto, chiede la squalifica del campo per un anno ma ad essere squalificata è la società italiana nel suo intero: il Grande Torino, Valentino Mazzola che sarebbe titolare della nostra Nazionale di sempre, dovrebbero essere patrimonio naturale comune, sentito e tutelato di un paese che al calcio da l'importanza che da. Siamo invece una società nazionale incapace di stroncare la malavita fatta capo-popolo di uno stadio ed i comportamenti assurdi di ultras che di ultra sono sempre e solo imbecilli, da sempre tollerati. Ancora: è stato presentato un qualche conto effettivo a quel responsabile della sicurezza e, sopra di lui, a quel presidente ? Non dovrebbereo essere le persone coloro che dovrebbero pagare, prima di questa o quella squadra, dell'infamia di cui siano eventualmente protagonisti o complici ? No, così non è, quello che ci resta sono le proposte della Commissione Parlamentare Antimafia volte a bla-bla-bla . . . senza ledere i sacrosanti diritti avvocati da . . .“federsupporter” per uno sport più sano e bla-bla-bla . . . tanto per finire in comica un'altra volta. Teniamoci, insomma, a bagnomaria nella nostra inciviltà. Poi dice che uno, le partite, va a vedersele in America . . . Mauro Molinari [email protected]

I diritti acquisiti non si toccano. Si sente spesso enunciare questo “principio intangibile” come se fosse un pilastro della storia delle comunità umane, specialmente quando si parla di ritoccare stipendi pubblici, vitalizi, pensioni retributive, orari, mansioni e altre “conquiste sindacali”.Ma è un principio che non può esistere, semplicemente perché si auto-nega: la nascita di ogni nuovo diritto presuppone la morte di un diritto antagonista che era stato “acquisito” in precedenza e quindi “non si poteva toccare”, se vale il principio. Se chiunque potesse conservare i diritti acquisiti (ricevuti o conquistati) ci sarebbe una società cristallizzata. Vogliamo provare a immaginarla, questa società in cui i “diritti acquisiti” non fossero mai stati toccati? Per prima cosa ci sarebbe ancora dappertutto un Capo-Tiranno-Imperatore con diritto di vita e di morte su chiunque. Poi ci sarebbero gli schiavi (ma quelli veri, comprati, frustati, venduti e uccisi se scappano, non le metafore usate dalla sinistra per indicare i lavoratori che si ritengono “sfruttati”). I nobili avrebbero ancora lo jus primae noctis sulle spose del popolo e la totale esenzione dalle tasse. Geordie sarebbe impiccato con una corda d’oro per aver rubato sei cervi dal parco del re vendendoli per denaro: il diritto dell’epoca lo prevedeva. Dunque i diritti cambiano. Se a qualcuno, come i superstipendiati del Parlamento e di molti enti pubblici e misti, si togliesse per il bene della collettività qualche “diritto acquisito” (acquisito per scambio elettorale, furbizia sindacale, privilegio di palazzo) se ne dovrebbe fare una ragione. [email protected]