GIANNI BARACHETTI
POSSEDIMENTI DEL VESCOVO DI BERGAMO NELLA VALLE. DI ARDESIO
DOCUMENTI DEI SECC. XI-XV
* A. R. D. E. S. * Associazione per le Ricerche e le Divulgazioni Etnografiche e Storiche Associazione di Promozione Sociale Vicolo al Rino n. 1 - 24020 ARDESIO (BG)
PRESENTAZIONE Il direttore della Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo Gianni Barachetti pubblicò nel 1980 su Bergomum, bollettino della predetta civica Biblioteca, edizione n. 1 – 3 dell’anno 1980, una monografia sui Possedimenti del vescovo di Bergamo nella valle d’Ardesio – documenti dei secc. XI –XV. Una importante opera di trascrizione delle molte pergamene dell’XI, XII, XIII, XIV e XV secolo giacenti nell’Archivio Storico Diocesano di Bergamo e presso la stessa civica Biblioteca di Bergamo, che riportò l’attenzione di molti su questa parte di storia bergamasca, molto rilevante per le nostre terre. Nell’ambito delle attività del Comitato Comunale per la Salvaguardia in Ardesio del Patrimonio Storico Artistico (acronimo SAPSA), costituito dall’Amministrazione Comunale nel 1977, il Sindaco di Ardesio chiese ed ottenne l’autorizzazione a far ristampare quel testo nella forma di un volume, che fu presentato nella sala della Comunità del municipio di Ardesio. Un congruo numero di copie furono indirizzate alle biblioteche dei paesi vicini e dei maggiori comuni bergamaschi, oltre che essere rese disponibili agli amministratori locali ed agli appassionati di storia locale e bergamasca. L’impegno fu ripagato dalla soddisfazione dei fruitori e degli studiosi che poterono avere a disposizione le trascrizioni di circa settanta pergamene. L’appendice che trascrive i confini del Comune di Ardesio del XIV secolo, confermò molte memorie verbali locali. Ora, a distanza di quaranta anni, non vi è più traccia del volume se non in poche biblioteche, per cui l’Associazione per le Ricerche e le Divulgazioni Etnografiche e Storiche (acronimo A.R.D.E.S.), erede di quel Comitato, ha deciso di produrre una copia digitale del volume per renderlo ancor più noto e più facilmente disponibile agli appassionati odierni. L’autore e la Biblioteca Civica Angelo Mai di Bergamo, detentori della proprietà, hanno concesso la loro autorizzazione alla riproduzione digitale; un particolare grazie per questa disponibilità. Ottenute le autorizzazioni, si è provveduto a togliere la rilegatura di una copia del libro per procedere alla sua scansione digitalizzata, che qui di seguito si riporta. La pubblicazione originaria era divisa in due settori. Nel primo settore l’autore descrive la genesi del libro ed introduce l’imponente opera di trascrizione commentandola e dandone il filo storico.
Nel secondo settore l’autore trascrive i documenti dividendoli nella parte prima relativa ai diritti del vescovo sulle miniere d’argento (25 pergamene), nella parte seconda relativa “membranae circa possessum” (36 atti), nella parte terza gli altri documenti (sei fogli del Rotulum Episcopatus Bergomi), nella parte quarta le pergamene del Comune inerenti il libro (3 pergamene). Mette poi un’appendice nella quale sono trascritti i confini originari del Comune di Ardesio ed infine la bibliografia. Il volume presenta una storia secolare del nostro medioevo dal 1026 al 1441, base di molte ricerche storiche per coloro che intendano conoscere la storia della terra altoseriana. Il primigenio Comune di Ardesio delle origini fu diviso già in epoca medievale nei quattro comuni ancora attuali: Ardesio, Gandellino, Gromo e Valgoglio. Valbondione, allora legato alla Valle di Scalve, è divenuto parte dell’Alta Valle Seriana in epoca moderna, così pure Oltressenda, un tempo parte del Comune di Clusone, ora suddivisa nei comuni di Oltressenda Alta, Villa d’Ogna e Piario. La geografia istituzionale cambia col mutare dei tempi, come il tempo ha presto fatto esaurire le vene argentifere e con esse questa storia mineraria. L’interesse per l’Alta Valle Seriana dal punto di vista minerario è di tre millenni. Già si estraeva all’epoca celtica, poi in quella romana, poi in tutto il medioevo. La fine della coltivazione argentifera non fu la fine della storia mineraria, che è giunta ai nostri tempi con varie coltivazioni, fino alla soglia del nuovo millennio con le miniere uranifere di Novazza, in Comune di Valgoglio, ancor pronte per essere sfruttate, ma ferme dai tempi del referendum contro il nucleare. La fine dell’attività mineraria ha comunque lasciato le tracce di questa attività nei suoi millenni. I vari riscontri sono stati ritrovati, ma la blenda argentifera era alquanto povera. Tutto quello che era sfruttabile fu coltivato ai quei tempi e di giacimenti, da poter essere definiti tali, non se ne trovano più. Sono state ritrovate non solo tracce d’argento, ma anche d’oro in piccoli frammenti, non sfruttabili. Presso l’espositore dei minerali del Museo Etnografico dell’Alta Valle Seriana in Ardesio sono esposti alcuni reperti auriferi, raccolti dai tecnici dell’ex S.I.M.UR. (miniere di Novazza) nelle loro indagini professionali e nel tempo libero. E’ così possibile vedere un pezzo di quarzo aurifero raccolto nel bacino del Goglio e pagliuzze d’oro raccolte in Alta Valle nel greto del fiume Serio. Trascorsi quarant’anni, questa edizione digitale è accompagnata dall’indice dell’opera originaria, al fine di agevolarne la lettura. Confidiamo che il lettore ne possa trarre giovamento. Ardesio, 12 aprile 2021 Il Presidente Guido Fornoni
Possedimenti del vescovo di Bergamo nella valle di Ardesio Documenti dei secc. XI-XV Indice dell’opera originale Introduzione V
Capitolo I VII
Capitolo II La controversia tra i vescovo e gli abitanti di Ardesio XII
Capitolo III La zecca di Bergamo e i capitoli minerari promulgati nel XIII secolo XXXV
Conclusione L
DOCUMENTI
Parte I I diritti vescovili sulle miniere d’argento 3
I 1077, 31 dicembre. Otta, vedova di Alberico da Martinengo, vende a Landolfo 3 milanese, presbitero e camerario di Bergamo, tutto quanto le spetta delle miniere d’argento in valle d’Ardesio. II 1078, 2 gennaio. Landolfo milanese, presbitero e camerario di Bergamo, dona al 4 vescovo Arnolfo le miniere d’argento da lui acquistate in territorio d’Ardesio.
III 1077, 31 dicembre. Lanfranco e Ottone figli di Otta e Alberico di Martinengo, con 5 le mogli Otta e Cuniza, si impegnano a non molestare il vescovo di Bergamo Arnolfo, né Landolfo milanese, per quanto riguarda le vene d’argento in valle d’Ardesio. IV 1080, 23 dicembre. Ottone da Martinengo ed il figlio Vuala vendono a Olrico, 7 subdiacono della chiesa di Bergamo, tutto quanto spetta loro delle vene d’argento in valle d’Ardesio. V 1145, marzo. I consoli di Bergamo, chiamati a giudicare sulla controversia tra il 8 vescovo Gregorio e i vicini di Ardesio, decretano che le vene di ferro del monte Secco spettano di diritto agli abitanti di Ardesio. VI 1179, 31 ottobre. Il vescovo Guala conferma le condizioni fatte da Oberto da 9 Vimercate al comune e agli uomini di Ardesio, rimanendo però all’episcopato ogni diritto sul bosco Campilio, riservato all’estrazione dell’argento.
VII 1211, 11 giugno. Guglielmo da Poltriniano, console di giustizia di Bergamo, 14 sentenzia che quelli della Zanetta di Val Canale appartengono alla giurisdizione vescovile.
VIII 1214, 13 marzo. Refutazione di Mazocco e Oldicino Rivola, che cedono al 28 vescovo Giovanni tutti i diritti di cui godono in Ardesio e in Gromo sulle argentiere e su alcuni beni patrimoniali.
IX 1217, 26 maggio. Il giudice Marco Albarini condanna Alberto Parizoli a pagare 30 una multa di dieci soldi imperiali per il mancato versamento dei tributi sulle vene d’argento. X 1225, 12 marzo. Pietro Albertoni, canonico di Bergamo, a nome dell’episcopato 32 cede al presbitero Girardo e ai clerici Agnello Azollino della chiesa di S. Giorgio di Ardesio tutti i diritti di decima sul territorio di Fino e di Cerete, in cambio delle decime che detta chiesa possiede nelle argentiere e nelle miniere di rame di Ardesio e Gromo.
XI 1231, 10 novembre. Alberto Mora, gastaldo del vescovo Giovanni, condanna 35 Ventura di Curno a consegnare 11 migliaia di piombo di massa a Pietrobello di Pontecarale. XII 1232, 21 gennaio. Anderlino cremonese, gastaldo nella curia di Ardesio, 37 sentenzia che Bonaventura Agnelli ceda a Pietrobuono di Pontecarale, la propria quota di proprietà su di un “Furnellus” di argento. XIII 1233, 11 ottobre. Il vescovo Giovanni fa appello al podestà Federico Pascepoveri 38 perché vengono annullati i capitoli minerari contenuti nello statuto di Bergamo, contrari alla libertà ecclesiastica. XIV 1235, 15 marzo. Umfredo di Sorlasco, canonico e procuratore del vescovo 39 Giovanni, fa appello al vescovo di Brescia, Guala, perché vengano cancellati i capitoli minerari di Rubaconte di Mondello. Segue il contenuto di tali capitoli. XV 1235, 14 giugno. Il vescovo di Brescia Guala, delegato pontificio, prende atto delle 43 testimonianze prodotte in occasione della controversia vertente tra Umfredo di Sorlasco, procuratore del vescovo Giovanni, e Oberto Caniasii, procuratore del podestà e del comune di Bergamo. XVI 1235, 14 giugno. Sentenza del vescovo di Brescia, Guala, sulla controversia 52 vertente tra Umfredo da Sorlasco, procuratore del vescovo Giovanni, e Oberto Caniasii, procuratore del podestà e del comune di Bergamo. XVII 1242, 11 aprile. Pietrobuono de’ Pistori, giudice e assessore del podestà è 59 delegato a dirimere alcune controversie relative alle vene d’argento. XVIII 1243, 14 novembre. Alberto Mora, gastaldo del vescovo Alberto nella curia di 60 Ardesio emette sentenza su di una controversia sorta in merito alla vena d’argento di Ardizzone. XIX 1248, 30 e 31 maggio. Alberto di Cunto, servitore del comune di Bergamo, legge 62 il bando in cui viene imposto a coloro che lavorano nelle argentiere di pagare l’affitto dovuto ai gastaldi del vescovo Landolfo di Terzo impone il banno e la vadia ai trasgressori. XX 1248, 15 aprile. Alberto di Mora e Landolfo di Terzo condannano i componenti 66 della società di Costa di Peza, di Costa di Medio, di Cagola e di Ardizzone a pagare un banno di cinque lire imperiali, per aver continuato a lavorare nelle argentiere senza aver versato i fitti dovuti. XXI 1249, 24 ottobre. Landolfo di Terzo impone ai precettori della società di Costa di 69 Sivezzano di Peza di non lavorare con Montanino Varneri finché egli non abbia versato alla curia di Ardesio i fitti dovuti. XXII 1254, 7 novembre. Il vescovo Algisio da Rosciate, investe Pietro Raynoldi di ogni 71 giurisdizione sulla valle di Ardesio e sulle vene d’argento per il quinquennio 1257– 1262. XXIII 1258, 15 giugno. Il vescovo Algisio da Rosciate investe Pietro Raynoldi di ogni 74 giurisdizione sulla valle di Ardesio e sulle vene d’argento per il decennio 1262- 1272. XXIV 1268, 4 agosto. Il vescovo Erbordo investe Consolato Suardi, per cinque anni a 76 partire dal 3 dicembre 1268, di ogni giurisdizione sulla valle di Ardesio e sulle miniere d’argento ivi situate. XXV 1271, 6 luglio. Il vescovo Erbordo rinnova a Consolato Suardi, per un anno, 80 l’investitura relativa alla valle di Ardesio ed alle miniere d’argento ivi situate. Parte II Membranae circa possessum
1026, 30 luglio. Il vescovo Ambrogio cede ai monaci di S. Martino di Tours alcuni 85 beni situati nel territorio di Torino e Pavia in cambio di possedimenti in valle di Scalve, Seriana e Camonica.
1179, 30 novembre. Investitura concessa dal vescovo Guala in merito alle terre 93 che l’episcopato aveva acquistato dai Moizoni in Ardesio, Collareto e Lanusa. 1180, aprile. Il vescovo Guala rinuncia, in cambio di un affitto in denaro, ai diritti 97 di fodro, pasto e ogni altro uso e condizionie sulle terre di Martino Cucconi. 1180, 16 luglio, Il console di Bergamo, Giovanni da Desenzano emette sentenza 101 sulla controversia tra il vescovo Guala e Ottoboni Ricardi in merito alla posizione giuridica di alcune terre. 1180, giugno. Il vescovo Guala, in cambio di un affitto annuo, investe Morando 103 Bucelle del fodro e di ogni altro diritto sui beni in suo possesso. 1181, aprile. Andrea Morinoni rimette nelle mani del vescovo Guala due 104 appezzamenti di terra. 1181, 4 giugno. Il vescovo Guala cede al presbitero Tapino della chiesa di S. 105 Giorgio di Ardesio una parte del monte Secco in cambio degli affitti di due appezzamenti di terra. 1183, 29 maggio. Il vescovo Guala investe Culazolo, a titolo ereditario, di alcuni 107 beni che egli tiene nel territorio di Ardesio, con il relativo fodro. 1183, gennaio. Il vescovo Guala investe il presbitero Tapino, della chiesa di S. 108 Giorgio di Ardesio, di tre appezzamenti di terra con il relativo fodro. 1184, 2 luglio. Il vescovo Guala investe Guarnerio Minelle di alcune terre. 109
1184, 25 settembre. Il vescovo Guala investe il clerico Marino della chiesa dei 112 Santi Giacomo e Vincenzo di Butuno, di quattro appezzamenti di terra a titolo ereditario. 1185, 13 marzo. Il vescovo Guala investe a titolo ereditario Vitale Zamboni e altri 113 di numerose terre. 1185, 13 marzo. Il vescovo Guala investe a titolo ereditario Alberto, Caffo e Pietro 122 Cacciamali delle terre che tengono nel territorio di Ardesio. 1198, 26 luglio. Il vescovo Lanfranco investe a titolo ereditario Buzzio e 125 Zambonino de Prestino di un appezzamento di terre. 1189, 24 settembre. Il vescovo Lanfranco investe a titolo ereditario Anderlino 126 Pelliricole e i fratelli di alcune terre, con il relativo fodro e con ogni altro diritto ed esazione. Seguono il privilegio di Enrico VI e l’autorizzazione dell’arcivescovo Milo. 1189, 18 settembre. Il vescovo Lanfranco investe Giovanni da Falecto ed altri di 131 alcune terre, del fodro e di ogni altro diritto ed esazione. 1189, 24 settembre. Il vescovo Lanfranco investe Mauro Prestinario di alcune 134 terre, del fodro e di ogni altro diritto ed esazione. 1200, 9 gennaio. Il vescovo Lanfranco investe Adamo de Nova della sua casa. 136
1217, 12 gennaio. Sentenza di Lanfranco Cazacaline di Valle Gulio e Lanfranco 137 figlio del fu Oberto da Calusio nella lite tra Soccio Girardi di Ardesio, Pietro figlio del fu Agnello, Andrea Zucconi di Colareto, e Piero Agnelli da una parte e Durello figlio del fu Zambone di Sposa di Gromo dall’altra. 1217, 30 marzo. Spiapasto figlio del fu Giovanni Ferrari di Gromo, procuratore di 138 Peterbono e Zambello figli del fu Marchesoldi di Gromo, rinuncia ad ogni richiesta fatta alla società di Ardizzone. 1217, 30 marzo. Albertino figlio del fu Giovanni Galizzi di Gromo rinuncia ad ogni 140 richiesta fatta alla società Ardizzone. 1219, … marzo. Giovanni, Vescovo di Bergamo, chiede al comune e agli uomini 141 di Ardesio ed al comune e agli uomini di Gromo la restituzione dei beni loro concessi dal vescovo Guala e da Oberto di Vicomercato.
1219, 16 marzo. Giovanni, vescovo di Bergamo, chiede al comune e agli uomini 143 di Ardesio ed al comune e agli uomini di Gromo la restituzione dei beni loro concessi dal vescovo Guala e da Oberto da Vimercato. 1219, 24 novembre, Bertramino figlio del fu Belotto e Romano, Consoli di 144 Castiglione pagano al vescovo di Bergamo Giovanni 25 libre per un bando. 1231, 12 dicembre. Zambonino e Lanfranco figli del fu Martino Faletti di Ardesio, 145 promettono di eseguire gli ordini del vescovo di Bergamo Giovanni riguardo alle case e alle terre che tengono in Ardesio da parte dell’episcopato 1232, 23 marzo. Lanfranco, figlio del fu Giovanni Lube di Ardesio, vende a Girardo 146 figlio del fu Bozio Prestino di Ardesio una pezza di terra situata in Ardesio. 1269, 24 febbraio. Investitura ai consoli di Bondione di tutti i redditi vescovili. 147
1239, 14 maggio. Agnello figlio del fu Peterbono di ser Tomato Zambonazzi di 150 Lutrinio vende a Giovanni figlio di Bozio Pristino di Ardesio due parti di nove pezze di terra situate in territorio di Ardesio. 1297, 9 luglio. Sentenza del vescovo di Bergamo Giovanni contro Delacora 153 Bonizoni arciprete di S. Maria di Clusone e suo fratello Zenone chierico di S. Giorgio di Ardesio, rei di omicidio. 1297, 10 luglio. Elezione del nuovo arciprete della chiesa di Santa Maria della 157 Plebe di Clusone nel capitolo. 1297, 27 luglio, Giovanni, vescovo di Bergamo, conferma l’elezione di 163 Bonaventura figlio di Giacomo di Gervasio da Fine come arciprete di S. Maria di Clusone. 1311, 28 agosto, Cipriano, vescovo di Bergamo, riceve da Alberto Priacini 3 libbre 164 e mezza e una mulsa di latte come fitto del monte Votala. 1369, 24 gennaio. Lanfranco, vescovo di Bergamo, riceve da Giacomo figlio del 165 fu Savoldo Bonvesini di Ardesio 16 libbre come fitto per una pezza di terra situata in Ardesio. 1441, 16 novembre. Polidoro Foscari, vescovo di Bergamo, investe Tonino figlio 166 di Recuperato di Ardesio dei monti Votalla, Pratio e Lavapede. s. d. Zanetto e Pipino, figli del fu Pietro Lorenzoni di Ludrino, vendono a Zanone, 172 figlio di Frusno di Ludrino, una pezza di terra situata in Ardesio – Ambrogio, figlio del fu Pietro Lorenzoni di Ludrino, vende a Zanone, figlio di Frusno di Ludrino, una pezza di terra situata in Ardesio. s. d. Elenco di creditori del Vescovo e relativi fitti. 175
Parte III Documenti
Rotulum Episcopatus Bergomi 179 1258 – Fogli 96-101 Parte IV Documenti
Pergamene del comune – n. 3028 200
Pergamene del comune, n. 3030 203
Pergamene del comune, n. 4046 204
Appendice Confines Comunis de Ardesio 205
Bibliografia Manoscritti 207
Mamma e papà al piccolo Federico con affetto. GIANNI BARACHETTI
POSSEDIMENTI DEL VESCOVO DI BERGAMO
NELLA VALLE DI ARDESIO
DOCUMENTI DEI SECC. XI-XV
INTRODUZIONE
Scarse e frammentarie appaiono a tutt'oggi le pubblicazioni rela- tive ai complessi avvenimenti che investirono le miniere d'argento situate nella valle di Ardesio. Eppure attorno ad esse si snodarono in tempi diversi vivaci diatribe che sottolinearono, per i loro risvolti eco- nomici, politici ed istituzionali, la complessa evoluzione sociale che caratterizzò l'età medievale. Le vene metallifere giacevano in una regione montuosa, solcata dal corso superiore del fiume Serio e posta geograficamente ai margini del territorio bergamasco: proprio in quelle zone della nostra provincia in cui tanto lentamente ai giorni nostri ancora si cerca di superare un'emarginazione vecchia di secoli. Eppure nei tempi che precedettero l'avvento del comune fra gli abitanti di queste terre si manifestò uno spirito di indipendenza che assunse talvolta l'aspetto di una vera e propria contestazione del potere centrale, allora rappresentato dal vescovo-conte e dai suoi collaboratori. Non mancarono infatti episodi di « disobbedienza civile » e tenta- tivi di rivolta condotti con furbizia contadinesca o con popolana irruen- za. Come accadde verso la metà del XII secolo, quando la popolazione si radunò sull'Alpe per tramare contro il vescovo. Il passaggio della zona dalla giurisdizione vescovile a quella co- munale, per il controllo della produzione metallifera, suscitò accese polemiche a cui non rimasero estranee l'autorità pontificia e quella imperiale, ma di cui in realtà fecero le spese i valligiani, sottoposti a vessazioni dall'una e dall'altra parte. Il rafforzamento del comune di Bergamo, se favorì nella città la fioritura di redditizie attività commerciali, segnò invece il declino del- l'economia del contado, sia per il depauperamento delle sue risorse, sia per lo stretto controllo esercitato su ogni attività economica, ormai subalterna rispetto a quella cittadina. Nel turbine degli avvenimenti che in seguito si abbatterono sul capoluogo, in preda a lotte intestine e a mire espansionistiche, il con- tributo che pure queste terre avevano dato alla fioritura della civiltà comunale finiva con l'essere dimenticato. VI
Da qui il desiderio di ricostruire, attraverso la pubblicazione in- tegrale di tutti i documenti in nostro possesso, questa pagina non trascurabile della storia bergamasca. Le pergamene trascritte costituiscono un insieme piuttosto com- posito, sia per contenuto che per provenienza. Il nucleo essenziale comprende l'intera raccolta dei documenti, relativi ai diritti dell'episcopato in Ardesio, conservati presso l'Archi- vio Vescovile (1). Ne fanno parte due diverse sezioni: la prima annovera una serie di carte riguardanti più esplicitamente le argentiere; la seconda si compone di numerosi atti, raggruppati secondo la denominazione: « Mernbranae circa possessum », e relativi a transazioni, investiture, « refutationes », inventari e contratti d'affitto. Si tratta di materiale in gran parte inedito, ma vi figurano anche documenti già trascritti e pubblicati, se pure in edizione parziale, fin da:la fine del '700 (2). Fanno seguito alcune carte inedite rinvenute tra le pergamene del comune giacenti presso la Civica Biblioteca di Bergamo (3) e una serie di interessanti imbreviature redatte nell'anno 1248 (4). Alcune di queste si riferiscono a documenti in nostro possesso, ma per lo più menzionano atti purtroppo andati perduti. Si tratta di materiale di difficile interpretazione, sia per gli inevitabili errori di trascrizione del copista del tempo, sia per resiguità dei riferimenti e delle notizie in essi riportati. Chiude la raccolta dei documenti la descrizione dei confini del comune di Ardesio quali si presentavano nel XIV secolo (5).
(1) Diplomata seu Tura episcopatus, vol. II, Archivio Vescovile di Bergamo. Le carte riguardanti Ardesia vanno dalla pergamena a. 22 alla pergamena n. 91: dal foglio 22 al foglio 47 sono raccolti gli atti relativi ai diritti sulle argentiere; dal foglio 48 al foglio 91 troviamo invece le « membranae circa possessum.». (2) Per quanto riguarda le edizioni precedenti di tali documenti sì veda so- prattutto: M. Lupi, Codex Diplomaticus, vol. II. (3) Pergamene del Comune, n. 3028, n. 3030, n. 4046, Biblioteca Civica, Bergamo. (4) Rotulum episcopatus Bergomi, 1248, fogli 96-105. (5) Confines comunís de Ardesio, Archivio comunale, Confini del territorio del bergamasco, 1234-1392, Biblioteca Civica, Mss. CAPITOLO I
Tra la fine del X e l'inizio dell'XI secolo si consolida il potere vescovile sulla città di Bergamo. Nel 904 Berengario I (1) concede infatti al vescovo la giurisdizione della città, permettendogli anche di riedificare, dovunque lo ritenga necessario, le mura e le torri devastate dagli Ungari nel 902. L'imperatore Corrado, a sua volta, conferma tutti i diritti e i pos- sedimenti della chiesa di Bergamo con un diploma del 1027 (2). Il territorio continua intanto ad essere controllato dai conti, che ne hanno assunto la giurisdizione nel periodo immediatamente succes- sivo al dominio carolingio. Nella valle di Ardesio inizia nel 1026 il •governo vescovile che determinerà le vicende dei secoli successivi. A questa data risale infatti la transazione (3) con la quale si costituisce il primo nucleo di possedimenti dell'episcopato in que- sta zona. L'atto viene steso il 29 luglio alla presenza di Ardoino, « comes comitatu ipsius Bergomense », di Liutfredo, Lanfranco, Lazzaro, Pietro, Guglielmo, Garihaldo giudice; fr•a gli altri numerosi testi • figurano Lanfranco da Martinengo con i figli Adalberto ed Otto. In questa occasione il vescovo di Bergamo, Ambrogio, cede le proprietà che l'episcopato possiede in territorio di Torino, Pavia e Mi- lano, ottenendo in cambio i beni di cui la canonica di San Martino di Tours è in possesso nel contado bergamasco. Si tratta di terre situate in valle di Scalve, in Val Seriana a Bondione, Gandellino, Ardesio, Clusone e Gromo, in Val Camonica a Vil maggiore, Vil minore, Molinacione, Valle Taverna, i cui diritti appartengono alla citata canonica dal 774 in seguito a donazione di Carlo Magno. L'atto costituisce una significativa testimonianza della politica vescovile di questo periodo mirante al consolidamento e all'espansione dei propri domini. Nel bergamasco il regime feudale, con pieno potere da parte dei vescovi, si realizza verso la metà dell'XI secolo, quando
(1) Indiculi privilegiorum del Vescovado di Bergamo. (2) Pergamena della Civica Biblioteca di Bergamo n. 3161. (3) Diplomata cit. F. 26 e F. 27. VIII
Enrico III conferisce all'episcopato il dominio temporale tanto sulla città quanto sul territorio (4). Tale donazione compare in un diploma la cui autenticità è ancora oggetto di discussione, datato 1041, ma scritto probabilmente in epoca più tarda nell'intento certo di ostacolare il sorgere del comune. Si tratta comunque del tentativo di legittimare a posteriori uno stato di fatto ormai consolidato, ma vivacemente minacciato dalle nuove forze politiche emergenti che determinano il coagularsi della vita cit- tadina attorno alle nascenti istituzioni comunali. Quando queste ultime facciano la loro comparsa nella nostra città non è dato sapere con certezza: sicuramente nascono come diretta con- seguenza delle lotte per le investiture che, con il loro effetto dilace- rante, riescono a sconvolgere il tessuto sociale impregnato da un feu- dalesimo ormai in crisi. Nel 1077 Arnolfo viene eletto vescovo di Bergamo: si tratta di un personaggio enigmatico, protagonista di una politica densa di con- trasti a volte anche violenti. Egli sembra riassumere in sè le contrad- dizioni tipiche del suo tempo. Di parte imperiale, aderisce allo scisma dell'antipapa Guiberto, e come scismatico appunto viene scomunicato nel Concilio di Milano del 1098. A questa data tradizionalmente viene fatta risalire l'origine del comune: anche se la giurisdizione resta ufficialmente al vescovo, che ne è stato investito dall'imperatore, di fatto cominciano ad esercitarla i cittadini, che già prima avevano formato attorno al vescovo un ru- dimentale consiglio scelto dalle famiglie nobili della città e delle vi- cinie. Al primo anno del governo di Arnolfo risalgono anche le notizie relative alle argentiere. Benché l'episcopato già goda dei diritti di re- galla in queste terre — grazie alla transazione del 1026 — Arnolfo si affretta ad acquistare anche quelli sulle miniere d'argento che ve- rosimilmente hanno raggiunto una notevole importanza economica oltre che politica. Il 31 dicembre 1077 Landolfo Milanese, presbitero e camerario di Bergamo, acquista da Otta, vedova di Alberico da Martinengo, ogni diritto sulle vene d'argento che essa possiede in Ardesio (5). Il prezzo
(4) Pergamena della Civica Biblioteca di Bergamo n. 3172. (5) Diplomata cit. F. 22. IX
della transazione viene fissato in cinquanta libbre di denari d'argento. E' questa la prima notizia certa sull'esistenza delle miniere, di cui non è data però indicazione alcuna in rapporto all'esatta collocazione, limitandosi il testo ad una generica indicazione « in montibus de valle Ardexie ». A pochi giorni di distanza, il 2 gennaio 1078 (6), lo stesso Lan- dolfo dona le argentiere all'episcopato « per remedium et mercedem » della propria anima. Si è trattato dunque di un acquisto fittizio, fatto per ordine e col denaro del vescovo. A riprova di ciò basti citare l'atto dello stesso 31 dicembre 1077 (7) quando, — ancor prima che la donazione ne renda ufficialmente proprietario l'episcopato — Lanfranco e Ottone, figli di Otta e di Alberico da Martinengo, con le mogli Cuniza e Otta e a nome dei propri successori, si impegnano a non molestare né il vescovo Arnolfo né Landolfo Milanese per quanto riguarda i diritti sulle vene d'argento. A ricompensa della loro condiscendenza, e nel rispetto •della tradizione longobarda alla cui legge si professano appartenenti, Lanfranco e Ottone ricevono dal vescovo il tradizionale « launekild », un dono simbolico costituito nell'occasione da una « croxna », cioè da una veste foderata di pelli. Erroneamente dunque il canonico ,Ronohetti aveva interpretato tale dono come ricompensa offerta dal vescovo • al suo presbitero per la mediazione svolta (8), forse riferendo l'episodio al documento del 2 gennaio 1078, anziché, come si può constatare, all'atto del 31 dicembre 1077. Appare dunque evidente che l'acquisto viene fatto non solo per ordine, ma anche in nome del vescovo stesso. A breve distanza di tempo, il 23 dicembre 1080, analoga transa- zione viene stipulata quando Olrico, subdiacono della chiesa di Ber- gamo, acquista da Ottone e Vuala da Martinengo i diritti che ad essi competono nelle vene d'argento di Ardesio. Questa volta il prezzo è fissato in 20 libbre di denari d'argento milanesi, trattandosi presu- mibilmente di miniere meno ricche e produttive delle precedenti, o di diritti più limitati. Il successivo atto con cui Olrico cede al vescovo le miniere non è giunto fino a noi, ma sicuramente si tratta anche questa volta di
(6) Diplomata cit. F. 23. (7) Diplomata cit. F. 24. (8) G. Ronchetti, Memorie istoriche della città e chiesa di Bergamo, I, pag. 352. un acquisto fittizio, poiché nessun altro in futuro vanterà diritti sulle argentiere tranne il vescovo. I documenti non aggiungono altro alle vicende delle miniere per il periodo che stiamo esaminando. L'esiguità dei dati lascia dunque aperti numerosi interrogativi. Tra questi il più importante si riferisce all'entità dei giacimenti. Possiamo solo dire che errava G. Maironi da Ponte quando sosteneva che « forse in quei tempi suolevasi cavare (l'argento) da alcune piriti e da altre miniere, che oggi troviamo contenerne in piccola dose » e che « la mancanza di più ricche cave deve aver spinto gli uomini a sfruttare queste, sebbene scarsissime, e oggi quasi inutili » (9). L'ipo- tesi è infatti inacettabile, dato che le carte in nostro possesso parlano ripetutamente di « vene argenti » e di « fodine argenti », ciò che fa pensare a veri e propri filoni di questo metallo. D'altronde lo stesso autore in altra opera afferma che « poco al disopra della villa (di Ardesio) e in Gromo immediatamente sopra la strada provinciale si veggono certe profondissime aperture, le quali hanno tutta l'appa- renza di gallerie sotterranee, rovinate dal tempo, e che abbiano ser- vito alla escavazione di qualche prezioso minerale » (10). Anche se non è possibile un raffronto secondo una scala di valori riferita all'at- tualità, nel periodo che stiamo esaminando queste miniere hanno certamente avuto un'importanza rilevante, testimoniata anche dalla sollecitudine dimostrata dal vescovo nell'acquisirne i diritti. Questa considerazione ci riporta alla figura di Arnolfo. Deposto e cancellato dal novero dei vescovi di Bergamo, egli rimane sulla scena politica bergamasca per un periodo che supera lungamente la data dei provvedimenti presi nei suoi confronti. Secondo quanto ri- levato dal Ronchetti (11), ancora nel 1106 arrivano da Roma le let- tere con cui il papa, mentre ribadisce la scomunica, invita chiunque abbia ricevuto feudi o benefici dall'episcopato durante il suo governo, a considerare rescisso ogni contratto, pena la scomunica. Il provvedimento, già contenuto d'altronde nella sentenza emessa nei suoi confronti dal Concilio di Milano del 1098, non aveva trovato evidentemente rapida attuazione. Secondo lo stesso Ronchetti (12), che
(9) G. Maironi da Ponte, Memoria orografica - mineralogica delle montagne spettanti alle valli di Scalve e di Bondione nella provincia bergamasca, pag. IX. (10) G. Maironi da Ponte, Dizionario Odeoporico, vol. II, pag. 132. (11) G. Ronchettit, op. cit., II, pag. 13. XI
forse aveva veduto il documento originale, solo nel 1117 Vuala di Solto, per effetto della citata lettera pontificia, rimette nelle mani del vescovo Ambrogio quanto aveva ottenuto ín feudo o ad altro titolo da Arnolfo, Amisone, Landriano e Uguzzione di Martinengo. A noi non è stato possibile rintracciare la carta in questione, ma si tratta quasi certamente dello stesso atto che appare in regesto nel « Rotu- lum » del 1248, in cui la refutazione figura però datata 1118. In essa Vuala di Solto, figlio di Giovanni, rimette nelle mani del vescovo Ambrogio tutto quello che teneva dall'episcopato nelle località di Pre- molo, Parre, Villa, Valle di Ardesio, Valle di ,Gulio, Fiume Nero, Scalve, Dezzo, Campello, Castione, Lanurio, Gavazzo, Fino, Cerete, Clusone e una casa « burata » posta a Cornalba. Si tratta delle stesse località citate anche dal Ronchetti e tutto lascia intendere che si tratti anche dello stesso atto, forse registrato con data inesatta per errore del copista, come ci è capitato di verificare •anche altre volte •nel raffronto tra la trascrizione del « Rotulum » e gli originali in nostro possesso. Da questi elementi è abbastanza •facile dedurre che Arnolfo sia stato un pessimo amministratore, oltre che un pastore poco incline alla obbedienza nei confronti dell'autorità pontificia. Resta comunque il fatto che, mentre sembra avesse quasi dila- pidato il patrimonio vescovile con transazioni non sempre oculate, non risultano invece alienazioni riguardanti le miniere di argento i cui diritti aveva avocato a sé mediante l'acquisto per interposta persona. I documenti non ci sono di grande aiuto nella ricostruzione degli avvenimenti successivi alla refutazione del signore di Solto. Mentre tacciono •a proposito delle argenterie, è giunta fino a noi un'altra refutazione, datata 1139 (13) e figurante nella raccolta delle « membranae circa possessum ». Nel mese di aprile di quell'anno « in solario Albertoni » Alberto Imiliene « fecit finem et refutationem » contro Rubeo di Caluse con i cugini Ottone e Girardo e Giovanni della Paisca, Andrea Malgarite, Martino Rugerio, Mauro Ferrari e Domenico della Lanura, a vantaggio •di Andrea Caluse e del fratello Lanfranco, di Albertone e Andrea della Paisca e di altri, tutti abitanti nella piana di Ardesio, fissando i diritti di regalia dovuti da questi ultimi.
(12) G. Ronchetti, op. cit., II, pag. 29. (13) Diplomata cit., F. 50. XII
CAPITOLO H
La controversia tra il vescovo e gli abitanti di Ardesio
Per quanto riguarda le miniere bisogna giungere al 1144 prima di rintracciare notizie utili alla ricostruzione dei fatti. Gli acquisti effettuati dal vescovo nella valle non sono bastati a garantire l'affermazione incondizionata del suo dominio su quelle terre. Dopo la deposizione di Arnolfo, i suoi successori non si preoccupano molto di esercitare la giurisdizione sull'attività estrattiva che si svi- luppa •dunque con una certa autonomia, mentre fra la popolazione della zona va gradualmente maturando quello spirito di indipendenza che •già fa presagire il crollo dell'ordinamento feudale. D'altronde or- mai da tempo i valligiani •godono di particolari privilegi, tra cui il diritto di scegliere un console che li regga. A detta del Brasi (1) detto privilegio risalirebbe al governo di Alarico, re dei Goti, il quale lo avrebbe concesso nel 409: questa tesi però non è mai stata documentata a sufficienza. E' invece certo che nel 1004 Polinoro, duca e signore di Verona, Brescia, Bergamo e Como conferma ai valligiani, dietro loro supplica, i privilegi già in •godimento: tra essi quello di eleggere un console « con mero e misto imperi() et potestate gladii ». Questo fatto crea indubbiamente grossi problemi ai rappresentanti del vescovo che devono fare i conti con una popolazione decisa a salvaguardare le proprie prerogative disconoscendo la giurisdizione vescovile sulle fonti di produzione e rifiutando la sottomissione ai vincoli feudali. Certamente la collocazione periferica della valle, posta ai margini del territorio bergamasco, favorisce l'autonomia degli abitanti che sanno puntualmente gestire, a proprio uso e consumo, i rapporti con il potere centrale geograficamente lontano e politicamente inefficace. Quando però il vescovo Gregorio, eletto nel 1134, cerca di ripri- stinare i suoi diritti sulle miniere, spinto anche dalla necessità di rimpinguare la mensa vescovile, si apre un vero e proprio conflitto. Nel 1144, infatti, i consoli di Bergamo vengono chiamati in causa
(1) P. A. Brasi: Memoria storica intorno alla Valle Seriana Superiore, pag. 5. XIII per derimere la controversia fra Gregorio e i « vicini » di Ardesio in relazione alle vene di ferro del monte Secco e alle altre vene della valle « in monte et plano, modo vel in futuro repertarum » (2). Tre sono i testimoni presentati dagli abitanti di Ardesio: Rubo da elusone, Rastello da Gavazzo e Martino Lazzaroni da Fino che dichiarano concordemente: « se scire et vidisse, per plus quadraginta annis, homines de Ardescie fodisse et tenuisse venas ferri in Cornelio Bagitene et Cornelio Garbiasca et ubi invente fuissent et carbones fecissent in comuni ». I consoli che per quell'anno sono Arnaldo giudice, Giselberto da Mapello, Armenulfo da ,Petrengo, Gerardo Archidiacono, Giovanni da Bonate, Mogizo, Bertramo Fitiano, Albertone Imilie e iPetracio, decre- tano che « ipsas venas et venam ferri in monte Sicco reperti iure usuque homines vallis de Ardescie posse fodere et uti quia sue here- ditatis sunt ». Tuttavia i « vicini » di Ardesio « non debent facere carbones ex ipso foresto, nec in alio foresto, ad traendos venir ferri sine licentia episcopi »; non devono inoltre pascolare pecore o capre, nè tagliare erba sul monte Secco dal primo di giugno al dieci di agosto, periodo questo riservato al vescovo per l'alpeggio delle sue greggi. Infine gli abitanti di Ardesio non devono ledere il diritto vescovile di caccia nella zona nel periodo di tempo che sta fra S. Ales- sandro e S. Martino. Mentre risulta evidente, dalla documentazione in nostro possesso, che i diritti vescovili sulle miniere di ferro sono rimasti disattesi, al punto da legittimare il libero sfruttamento delle medesime da parte dei valligiani, non appare altrettanto chiara la situazione relativa allo sfruttamento delle vene d'argento: su questo argomento, infatti, i docu- menti tacciono. La clausola finale della sentenza dei consoli di Bergamo lascia però intendere che la materia posta in discussione vada •al di là della semplice questione mineraria. Quando si legge: « nec (ipsi vicini) in Pacheriola debent tra se conversari ut dampnum sue conditionis epi- scopatus patiatur », diventa logico dedurre che la popolazione della zona, sull'esempio forse degli abitanti della città, ha cominciato ad organizzarsi in segreto per impedire al vescovo di esercitare in forma piena e assoluta la sua giurisdizione sul territorio. E' senza ombra di dubbio l'indice di un malcontento serpeggiante che, se non si è ancora
(2) Diplomata eit., F. 26. XIV manifestato in tutta la sua entità, turba tuttavia la tranquillità del vescovo. Gregorio allora si rivolge alle autorità cittadine perché tute- lino i suoi interessi. E i consoli svolgono, in questo caso, un'opera di sottile mediazione che, da un lato, non scontenta i valligiani ai quali vengono riconosciuti importanti diritti in ordine alle loro attività eco- nomiche e, dall'altro, sembra tranquilizzare il vescovo con la ricon- ferma del suo ruolo in relazione alla giurisdizione della zona. Anche il vescovo Gherardo, che succede a Gregorio, prosegue sulla medesima strada volta ad ampliare i possedimenti episcopali nella valle. Eletto nel 1146, egli esercita il suo governo durante il difficile periodo che vede l'imperatore Federico I energicamente contrapposto all'autonomia comunale e all'autorità papale. Le fiorenti città dell'Italia settentrionale, divise da dispute e lotte per la supremazia, si trovano ancora una volta nell'occhio del ciclone. A Bergamo, vescovo e consoli si schierano sempre più apertamente in favore dell'imperatore, accerchiati come sono da potenti comuni di parte papale. Nel 1156, Gherardo si trova a Vuirceburg, dove si è recato per rendere omaggio all'imperatore che sta per unirsi in matrimonio con Beatrice di Borgogna. E' in questa occasione che ottiene un impor- tante privilegio, in cui vengono confermati tutti i beni ed i privilegi dei suoi predecessori e gli è inoltre concessa la facoltà di battere moneta (3). Il diploma è datato 17 giugno 1156, data a cui sembrerebbe lo- gico far risalire l'avvio della zecca cittadina. In realtà gli avveni- menti prendono un corso diverso e per parecchi decenni il privilegio resta inoperante. E' evidente però che ben altre sono le aspettative del vescovo, il quale pensa forse ad uno sfruttamento in questo senso delle miniere di argento che già sono in suoi possesso. Nell'anno immediatamente successivo, il 26 marzo 1157 (4), Ber- nardo, camerario e cappellano del vescovo Gherardo, con atto stipu- lato nella città di Brescia, cede a Rachilda, abadessa del monastero di Santa Giulia di Brescia, due appezzamenti di terra che lo stesso episcopato ha ottenuto con permuta da Albertone Imilie, posti nel territorio di Trescore in località Auriolo. In cambio ottiene tutti i
(3) Pergamena della Civica Biblioteca di Bergamo, n. 3184. (4) Diplomata cit., F. 51. XV
beni che i confalonieri di Zuccono hanno in feudo nella valle di Ardesio. Di nuovo, il 28 dicembre 1164, il vescovo si preoccupa di avo- care alla mensa altri diritti sul territorio di Ardesio. In tale data, in- fatti, Sozzo, figlio di Giselberto Atroni, e suo nipote Alberto, figlio di Guglielmo, vendono alla chiesa di San Giorgio di Ardesio la porzione di decime che tengono nella valle (5). Ma gli avvenimenti precipitano. •Gherardo, ohe nel 1160 ha ap- poggiato l'antipapa Ottaviano, è abbandonato ormai dai suoi seguaci e dalle stesse autorità cittadine, che nel 1166 con pubblico giura- mento rinunciano alle proprie posizioni scismatiche riconoscendo uffi- cialmente il pontefice Alessandro. Gherardo si reca allora a Benevento per incontrare il papa ed ottenerne il perdono; m•a l'accoglienza non si rivela quella da lui sperata: il perdono gli è negato e nel 1167 viene deposto. Gli succede il vescovo Guala, canonico di S. Alessandro, eletto nel 1168 e di indubbia fedeltà al potere pontificio, come dimostrano gli stretti rapporti costantemente tenuti con papa Alessandro III. Il Guala, durante il suo mandato, esercita una politica mirante a recuperare i diritti ceduti ai privati; di questo periodo sono, infatti, varie « refutationes » tra cui quella di Atto di Archidiaeono che nel 1178 rinuncia, in favore del vescovo, ai feudi che possiede in valle Brembana. Anche per quanto attiene al territorio di Ardesia il Guala adotta la medesima linea. Il 4 dicembre 1178 •Gerardo, figlio di Guglielmo Moyzoni, Mozeto, figlio di Giovanni Moyzoni e soci rimettono nelle mani del vescovo il feudo, il fodro, la giurisdizione e tutti gli altri diritti che posseggono in Ardesio dalla via Rea in su. Quest'atto è purtroppo irreperibile: ne fa testimonianza soltanto il già citato « Ro- tulum ». Analogamente, nel mese •di gennaio dell'anno successivo, Pietro di Castello rinuncia ai propri feudi in valle d'Ardesio resti- tuendoli al legale rappresentante del Guala. Ma la politica accentratrice del vescovo si muove fra impacci e difficoltà. I documenti tradiscono uno stato di cose che sembrano dis- seminare di molteplici ostacoli la strada percorsa dal Guala. L'episco- pato aveva, nel passato, concesso il feudo della giurisdizione civile
(5) Diplomata cit., F. 52. XVI della valle ad Oberto da Vimercate, il quale, per contratto, liberava gradualmente gli abitanti della zona da molti vincoli feudali. Ora, contro tali provvedimenti insorge con sdegno il vescovo Guala, dando inizio ad una controversia che in prima istanza si risolve con una sentenza favorevole ai valligiani. Dice infatti il documento: « quod placitum fuit iudicatum et a sententia apelatum et pendente apelatione transactum » (6). Anche l'appello sembra dunque minac- ciare la riconferma della sentenza, tanto che il vescovo trova conve- niente giungere a una transazione che viene ratificata il 31 ottobre 1179 nel palazzo episcopale di Bergamo. L'atto rappresenta una grossa conquista per gli uomini della valle, che vedono in esso riconosciuti quei diritti per i quali hanno lungamente lottato. Ai consoli di Ardesio, Ambrogio Rancasehe e Cremonese di Gro- mo, e ai loro successori 'è conferita la giurisdizione civile del territorio di Ardesio e •della valle. Essi possono vendere, donare e alienare a chiunque vogliano, eccezione fatta per capitani e vavassori residenti in altro luogo; ottengono inoltre il diritto di caccia, di cenatico, di mercato, di pesca, di usare e derivare l'acqua •dei fiumi, di costruire forni per il ferro, fucine e fornelli per l'argento, folli, molini e ponti oltre al potere di punire i ladri. La transazione legittima verosimilmente una situazione di fatto già esistente, ciò che dimostra come le 'agitazioni dei paesani che si radunavano sull'alpe per tramare contro il vescovo abbiano a questo punto già sortito il loro effetto. Al vescovo rimane il diritto di pascolo sul monte Secco, in Vo- tala, in Piagro e nella valle di Ascereto; il bosco 'Campino deve es- sere riservato all'estrazione dell'argento e non possono esservi fatti scavi per il ferro se non con l'accordo preventivo dei « vicini » di Ardesio e del vescovo, che si riserva ogni diritto in proposito. Ai val- ligiani viene posta la condizione che riconoscano la giurisdizione ve- scovile, peraltro molto limitata, che paghino alcune regalie e che non eleggano altro signore. Da questa clausola « nec adhuc elegerunt alium dominum » sem- bra che il comune di Ardesio rinunci all'antico diritto di nominare il proprio rettore; risulta però, dalla transazione stessa, che la valle non rinuncia ai propri consoli e che i comuni rimangono legati da scambievoli diritti. Si legge infatti, nel medesimo atto: « si aliquis
(6) Diplomata cit., F. 27. XVII de istis comunibus, Scilicet -comune de Scalve vel comune de Clisione vel comune de Fondra vel comune de Parre, conquestum fuerit de comune de Ardesio et vallis, debet ipsum comune de Ardesio et vallis rationem Tacere per dominum episcopum Pergamensem; si vero aliud comune vel alia persona conquesta fuerit de .prefato comuni de Ardesie et vallis non teneatur ipsum comune se distringere per ipsum epi- scopum Pergamensem (...) nisi voluerint ». La valle si è dunque data un proprio ordinamento e gode di indubbia autonomia sia nei confronti del vescovo, che ha rinunciato a molti suoi privilegi, sia nei confronti del comune cittadino, che an- cora non ha esteso la sua giurisdizione sul territorio. E' questo il pe- riodo più vivace e fecondo per l'economia della zona. Le miniere di ferro alimentano una fiorente industria estrattiva e della lavorazione del metallo; attività del resto tradizionale in tutta la zona circostante, tanto che già nel 1047 Enrico III aveva concesso agli abitanti della valle di Scalve il diritto di commerciare libera- mente in tutto il territorio dell'impero: ciò dimostra come l'attività mineraria nella zona rappresenti una risorsa tutt'altro che marginale. « Fumi », « furnelli » e « fusinas » per la lavorazione dei me- talli, sia d'argento che di ferro, sono numerosi nella valle, anche se non esiste un preciso inventario: i documenti ne parlano come di apparati assai comuni da rinvenire. E' dunque facile dedurre che l'attività mineraria costituisca il nerbo dell'economia della valle. An- che l'agricoltura e l'allevamento hanno un ruolo di primo piano nel- l'economia locale, e la caccia rappresenta ancora una risorsa appeti- bile anche per il vescovo, che non rinuncia ai suoi diritti e sottoli- nea anzi come per consuetudine gli debba essere riservata una parte di ogni orso catturato. Sembra che la caccia costituisca inoltre mo- tivo di tentativi di sopruso da parte di alcuni signori dei dintorni tanto che il vescovo si obbliga a tutelare i diritti degli abitanti addos- sandosi le spese del placito « si eveneri quod Odo de Solto, vel ali- quis alius qui ocasione cacie vel alicuius iuris quod dicat se habere in cacia vel foresto conquestum fuerit de comuni de Ardesio, vel de valle Ardesii (...) ». Nello stesso 1179 il vescovo Guala investe Ambrogio Rancasche, Paolo di Boario, Giovanni Bonizoni e molti altri dei beni e delle terre che l'anno precedente aveva acquistato « ab omnibus hominibus de casa Moizonis » e siti in territorio di Ardesio e nella valle a Colla-
2 - Bergomum xym reto, in Lanusa e in Boario (7). Si tratta di case, campi, orti che fruttano complessivamente un affitto annuo di 19 soldi e dodici de- nari imperiali, oltre a 25 denari imperiali versati dagli affittuari al momento della stipulazione. L'atto costituisce quindi una transazione a carattere economico, fatta per aumentare le entrate dell'episcopato. Nell'aprile del 1180, il Guala, ponendo fine ad una contesta- zione, « finem fecit atque remisit » nelle mani di Martino Cucconi di Ardesio « de omni fodro et pasto et uso et conditione et datione que ha- bebat ad xequirendum iuste vel iniuste contra personam eius aut in rebus vel pro rebus suis », ferma restando la giurisdizione vescovile sulle persone e sulle cose, per un affitto annuo di tre buoni denari imperiali sui sedici appezzamenti così concessi (8). Il 15 aprile dello stesso anno Carpellione e Uguccione Colleoni rinunciano in favore del vescovo a tutto quello che loro compete nel territorio e nella valle, eccezione fatta per la decima di Ardesio, che rimane ad Uguccione al quale frutta un affitto annuo di dieci soldi. I Colleoni ricevono per questa transazione cento sessanta libbre di denari in vecchia moneta imperiale, impegnandosi dal canto loro a far sottoscrivere la cessione ai propri eredi (9). La refutazione altro non è che la prosecuzione di quella linea di condotta di cui fa testimonianza il già citato atto di Archidiacono, per il recupero dei benefici episcopali concessi a privati. A giugno, in presenza di Maestro Giovanni Asino, il vescovo investe Morando Bucelle di Ardesio « de omni fodro, pasto et amisere et conditione et omni datione et exactione » sulla casa tenuta dallo stesso Morendo in prossimità del mercato (10). A luglio il console di Bergamo, •Giovanni da •Desenzano, è chia- mato a giudicare in merito alla controversia tra il vescovo Guala e Ottobono Ricardi di Ardesio. La lite si pone in questi termini: il vescovo esige dal Ricardi la restituzione di tre appezzamenti di terra, di cui uno « sedumato » e un altro « curtivo », posti in località Volta di San Giorgio, sostenendo che tale terra è bene allodiale dell'epi- scopato.
(7) Diplomata cit., F. 53. (8) Diplomata cit., F. 54. (9) Diplomata cit., F. 55. (10) Diplomata cit., F. 57. XIX
Il Riccardi per parte sua replica che due degli appezzamenti non sono affatto allodio dell'episcopato, mentre il terzo, pur essendo tale, sostituiva un bene ereditario di colui dal quale l'aveva a suo tempo acquistato; quest'ultimo è dunque di pertinenza dell'episcopato per quanto concerne l'affitto, il pasto e la giurisdizione, gli altri due per il fodro, l'affitto e la giurisdizione. Ascoltati i testi prodotti dal Ricardi, il console di Bergamo espri- me con procedimento salomonico la propria sentenza: chiede infatti al vescovo di giurare quanto ha fin qui sostenuto, cioè che due degli appezzamenti sonò beni allodiali e che il terzo, allodiale anch'esso, non appartiene al venditore per diritto ereditario. Il vescovo rifiuta di prestare questo giuramento, evidentemente nel timore di macchiarsi di spergiuro, mentre Ottobono Ricardi con- ferma anche sotto giuramento la propria tesi. La sentenza, come è fa- cile intuire, è pienamente favorevole a quest'ultimo (11). Negli anni successivi le permute e le transazioni relative ai pos- sedimenti di Ardesio sono ancora numerose. Nel giugno 1181 il presbitero Tapino cede all'episcopato i diritti su alcuni appezzamenti di terra fruttanti per affitto e « amiscere » quattordici denari; il vescovo rinuncia in cambio ad altri quattordici denari affittuali, tra i quali i quattro soldi di affitto che la chiesa stessa di San Giorgio deve all'episcopato per il monte Secco (12). Nell'aprile del 1182 Andrea Morinoni, 'figlio del fu Mauro Ferrali di Ardesio, rimette nelle mani del vescovo Guala due proprietà che erano state oggetto di contestazione. L'una comprende una casa e la rispettiva corte, l'altra è campiva. Il sopracitato Andrea riceve per la sua refutazione la somma di undici libbre di buoni denari vecchi o imperiali oppure di altra moneta equivalente (13). Il 26 maggio del medesimo anno il vescovo Guala investe Cula- zolo di Ardesio a titolo ereditario delle case, terre e possedimenti, già tenuti dallo stesso Culazolo, e del fodro, eccettuata la terra che- era ap- partenuta alla famiglia Moizoni (terra che era già stata assegnata ad Ambrogio Rancasche nel 1179), ed esclusi anche i possedimenti degli Albertoni, e dei monasteri di Santa Grata e di Santa Giulia, riser- vando all'episcopato il distretto secondo la consuetudine di Ardesio.
(11) Diplomata cit., F. 56. (12) Diplomata cit., F. 60. (13) Diplomata eit., F. 59. XX
L'investitura frutta all'episcopato un affitto di dodici buoni denari im- periali, sette dei quali per il fodro (14). Altre due investiture vengono fatte nel 1183: in gennaio il pre- sbitero Tapino è investito di tre appezzamenti di terra a titolo ere- ditario. Si tratta di beni di cui il presbitero già gode per conto della chiesa di San Giorgio che egli rappresenta, poiché l'atto afferma che viene confermato l'affitto abituale, eccezione fatta per il fodro sosti- tuito dal versamento di un denaro imperiale (15). Il 3 febbraio un nuovo atto di investitura è stipulato in favore di Bonbeno Sichezoni, Pietro Zucca, Giovanni Gambarossano, Du- rello da Lizzola, Pietro Zanoni e Cavazza, tutti di Bondione (16). Verso la fine di questo stesso anno, il 5 dicembre, Guala, Lan- franco e Arimiano refutano nelle mani del gastaldo del vescovo Guala tutto ciò che Bertramo e Guglielmo, figli di Guglielmo Rivola, pos- seggono in località di Gromo e di Grumello (17). Il 2 luglio 1184 Guarnerio figlio di Mauro Minelle, cittadino bergamasco, è investito a titolo ereditario di tutti gli appezzamenti di terra che appartengono all'episcopato in seguito a sentenza dei consoli di Bergamo che avevano riconosciuto la legittimità delle richieste ve- scovili contro le pretese avanzate da Pietro della Porta e da Alberto e Uguccione Celsoni; è fatta eccezione per l'isola della valle Canale di cui non viene fatta investitura. Il canone annuo è fissato in venti soldi imperiali, mentre per l'investitura il vescovo riceve da Guarnerio dieci libbre della stessa moneta. Nel successivo mese di maggio l'in- vestitura viene estesa anche all'isola di Val Canale per la quale è stabilito un affitto di venti soldi (18). A distanza di pochi mesi, il 25 settembre, il Guala investe, sempre a titolo ereditario, il elenco Marinono della chiesa di San Iacobo e Vincenzo di Butuno di quattro appezzamenti posti in Val- goglio per un affitto annuo di due buoni denari imperiali, omnicom- prensivi del fodro, pasto, e •di ogni altro diritto. Per l'investitura il vescovo riceve venticinque soldi imperiali. Ma benché il vescovo si professi •« contentus et confessus » della somma ricevuta, il dieci feb-
(14) Diplomata cít., F. 61. (15) Diplomata cit., F. 62 e Rotulum. (16) Rotulum. (17) Rotulum. (18) Diplomata cit., F. 63. braio dell'anno successivo viene registrato il versamento di altri quin- dici soldi pagati da Alberto presbitero della già citata chiesa di Butuno per la medesima investitura. Evidentemente c'erano stati dei ripen- samenti da parte del vescovo, forse pressato da difficoltà di ordine eco- nomico, e la controparte aveva ritenuto opportuno giungere ad un compromesso (19). Il 13 marzo 1185 ancora il Guala procede ad un'investitura ere- ditaria, che interessa questa volta un numero assai considerevole di uomini, di cui si fa rappresentante Vitale, figlio di Zanbono da Lu- trinio « nominatim de fodro, pasto, feno, agnello, multono, vacca, ame- scere, exactione seu usancia », per un affitto annuo da versare il giorno •di San Martino fissato in diciassette soldi imperiali per il fo- dio e in tredici soldi per il resto. Il vescovo si riserva la giurisdizione per i reati più gravi, come il furto, l'adulterio, le lesioni (teste ruptu- ra) e lo spergiuro, in merito ai quali le spese •di giudizio sono fissate in cinque soldi, mentre per gli altri reati le spese ammontano a do- dici denari imperiali. Segue poi un lungo elenco delle terre che rien- trano nella investitura, per la quale viene fissato il prezzo di sedici libbre di buoni denari imperiali (20). Ad un mese di distanza, il 13 aprile dello stesso anno, il vescovo investe Alberto, Caffo e Pietro Cacciamali, a titolo ereditario, di tutti i beni che già tengono ad Ardesio o nel suo territorio per un affitto annuo di due soldi comprensivi del pasto e dell'« amiscere »; rimette inoltre il fodro ponendo fine ad ogni contestazione in proposito (fecit finem et remissionem). Non è invece possibile conoscere l'ammontare della somma pattuita per l'investitura, poiché le lacerazioni della per- gamena rendono impossibile la lettura del prezzo stabilito (21). Il vescovo Guala muore il 30 ottobre dell'anno successivo. Du- rante il suo mandato egli ha rappresentato nella nostra città il potere pontificio di Alessandro III, a cui è sempre stato fedelissimo. Giunto al seggio episcopale in un periodo assai complesso della storia comu- nale italiana, esercita il suo mandato con indubbia fermezza. Per quanto riguarda il territorio di Ardesio, è evidente che le concessioni da lui fatte ai valligiani in merito alla giurisdizione civile costitui- scono una rinuncia inevitabile, a cui lo induce lo sviluppo stesso
(19) Diplomata cit., F. 64. (20) Diplomata cit., F. 65 e Rotulum. (21) Diplomata cit., F. 66. delle vicende. Ma è altrettanto evidente che egli mira al recupero di tutti i diritti ceduti ai privati. Abbondano invece le investiture relative a beni patrimoniali ce- duti dall'episcopato nel tentativo di aumentare le proprie rendite. Si assiste anche alla trasformazione di vecchi contratti, nei quali i tradizionali diritti feudali, quali il cenatico, il fodro, l'amiscere, il pasto, vengono sostituiti con sempre maggiore frequenza da somme in denaro: evidente segno della trasformazione anche economica in atto nella struttura sociale. Anche il suo successore non si discosta da questa linea. Eletto nel 1187 fra accesi contrasti e con la mediazione del veronese Ade- lardo su mandato di Urbano III (22), il vescovo Lanfranco sottoscrive molti degli atti che si riferiscono ad Ardesio. Si tratta per lo più di transazioni ed alienazioni motivate dalla necessità dell'episcopato di trovare al più presto il denaro sufficiente per saldare i propri debiti. Il 18 luglio del 1189 infatti l'arcivescovo di Milano concede al vescovo Lanfranco l'autorizzazione cc vendendi, permutandi ac locandi seu in bereditatem dandi vel etiam aliquo quo- libet modo alienandi » beni e possessi dell'episcopato di Bergamo fino a mille libbre imperiali, perché possa pagare il debito contratto dal- l'episcopato stesso, a condizione che entro dieci anni la somma sia re- stituita alla mensa episcopale sotto forma di affitto o di altra rendita o bene. Che questo particolare permesso e la relativa situazione defici- taria delle finanze episcopali, costituiscano il presupposto delle tran- sazioni effettuate o volute dal vescovo è dimostrato dagli stessi atti in nostro possesso, in alcuni dei quali l'autorizzazione dell'arcivescovo Milone è riportata integralmente, insieme ad un privilegio di En- rico VI (23). Il 14 maggio 1189 infatti, mentre si trova a Basilea, l'imperatore concede al vescovo Lanfranco la piena autorità di recuperare i diritti e i beni dell'episcopato « que per quacumque personam quocumque tempore per invasionem contra leges vel canones vel contra ius con- cessa, traslata seu diminuta sunt ». Inoltre affida al vescovo il privi- legio di accogliere e decidere gli appelli rivolti all'imperatore da tutto il territorio dell'episcopato a partire dalla data di emissione dell'ordi-
(22) F. Savio, Gli antichi ~covi d'Italia dalle origini al 1300, La Lombardia. (23) Diplomata cit., F. 68, F. 69 e F. 70. XXIII nanza fino •al giorno di San Michele e da allora per il triennio suc- cessivo. Numerose sono le transazioni che fanno seguito a queste conces- sioni fatte al vescovo di Bergamo. La prima in nostro possesso che si riferisca al territorio di Ar- desio viene stipulata il 26 luglio dello stesso anno, quando, nella piazza antistante la chiesa di San Giorgio di Ardesio, il vescovo inve- ste per 20 buoni denari imperiali Buccio di Prestino ed i suoi fra- telli di un appezzamento di terra; l'affitto è fissato in sei denari im- periali, cioè i 5 denari consueti più un denaro in sostituzione del fodro (24). Il 25 settembre Anderlino Pelliricule viene investito insieme ai fratelli « nominatim de omni fodro et fodri prestatione sive exactione, pasto et .amiscere et omnibus conditionibus, prestationibus, exactioni- bus et iure predicta vel aliquid predictorum exigendi » in appezza- menti di terra, alcuni con case, altri prativi, altri coltivabili (aratoria). Il prezzo dell'investitura è fissato in trenta soldi, mentre l'affitto am- monta a cinque denari (25). Il 14 ottobre è la volta di Giovanni di Falecto e di Bruno figlio di Tommaso, che a proprio nome e a nome di molti altri elencati nel documento sono investiti del fodro e degli altri consueti diritti vescovili, nonché del diritto ereditario sulle terre che tengono dall'episcopato. L'affitto viene fissato in quattro soldi, divisi propor- zionalmente tra tutti i beneficiari, mentre per l'investitura è concor- dato il versamento di cinque libbre di buoni denari correnti equiva- lenti per valore agli imperiali (26). Il 24 settembre Mauro Prestinario viene investito del fodro e de- gli altri diritti feudali che si riferiscono ad un appezzamento di terra « cum casa solerata », a due appezzamenti « cum casa terranea supra », e a •due appezzamenti ortivi. L'affitto complessivo ammonta a dodici denari in moneta corrente equivalente agli imperiali, mentre per la investitura il prezzo è fissato in quattro libbre di denari nella stessa moneta (27).
(24) Diplomata cit., F. 67. (25) Diplomata cit., F. 68. (26) Diplomata cit., F. 69. (27) Diplomata cit., F. 70. XXIV'
Al 25 ottobre 1193 risale l'atto (28) con cui Petrucolo ed Od- dolino Rivola vendono all'episcopato tutti i beni allodiali che possie- dono nel territorio e nella valle di Ardesio, dai confini di Parre e dalla Ruina di Varze in su fino alla « scalveoulam » del fiume Nero, e dai confini della Valnera fino al territorio di Scalve; cedono inoltre la parte loro spettante del monte Secco, della valle d'Assereto, di Gardeto e di Grabiasca; fanno refutazione del feudo che tengono dal- l'episcopato; si impegnano infine ad indurre gli altri signori a fare altrettanto, in modo che l'episcopato non perda i suoi beni e in par- ticolar modo a far refutare i signori di Solto. Per questa transa- zione i Rivola ricevono 45 libbre di buoni denari imperiali. Oprando giudice di S. Alessandro, Alberto Rivola, il conte Goizone di Mezzate, il presbitero Tapino, Ardesino Rancaschi e Ambrogio Bonizzoni, tutti di Ardesio, autenticano l'atto in qualità di testi. Nella stessa occasione, in presenza di Alberto Albertoni, del pre- sbitero Tapino, di Ardesino Rancasche e di Ambrogio Bonizzoni, Pe- trucolo ed Oddolino Rivola vendono e refutano « una pars de illis sex partibus que veniunt ad casale de Rivola de facto argenti et me- dietas que contingebat domno Maurischo, id est ottava pars tercie partis .similiter de facto argenti », nonché tutti gli altri diritti spet- tanti al citato Maurischo nella valle di Ardesio, e costituiti da una serie di fitti. Il documento è inedito, ma era noto al Ronchetti che lo men- ziona nella sua opera. L'atto è la dimostrazione di come l'interesse vescovile per la valle e per le miniere d'argento non accenni a scemare. Nello stesso 1193 secondo il « Rotulum » va collocata la refu- tazione di Armanno, figlio del fu Gintavallo di Solto, che anche a nome dei fratelli cede all'episcopato tutto ciò che Bertramo e Gu- glielmo Rivela tengono dagli stessi Armanno e fratelli nelle località di Gromo, Ardesio e Grumello. Erroneamente viene citato come ve- scovo in quell'anno il ,Guala, morto nel 1186, anziché Lanfranco suo successore. Si tratta evidentemente di un errore materiale del copiata, mentre l'originale dell'atto, redatto dal notaio Girardo il 17 gennaio, risulta irreperibile.
(28) Pergamena del comune, n. 3028. XXV
Secondo questa testimonianza dunque l'impegno sottoscritto da Petrucolo e Oddolino Rivola ha trovato pronta attuazione e il ve- scovo ha così recuperato un'altra fetta dei suoi beni. Ancora al 1193 si riferisce la notizia dello stesso « Rotulum », in cui si cita l'istrumento redatto dal notaio Guglielmo Lombardi il 26 luglio, con il quale il vescovo Lanfranco stabilisce il termine entro cui i consoli di Gromo e Valgoglio devono presentarsi per risolvere la lite vertente tra gli stessi comuni. Nel medesimo giorno Giovanni Forandi, per conto del vescovo e di Tolamazza da • Cremona, trasmette al notaio Durello di Gromo l'ordine di convocazione per il venerdì successivo. Mentre si ignorano i termini della vertenza, si può però dedurre che i rapporti tra i vari comuni sono ancora sottoposti all'au- torità vescovile secondo le clausole della transazione del 1179. E' quindi la volta di Scarsella, servitore del comune di Bergamo, che per parte dei consoli cittadini e sotto pena di hanno, ordina che i consoli di Ardesio Pietro di Valle Bragaria, Lazzaro Ulivene e Bri- negio provvedano all'adempimento della sentenza registrata dal notaio Giovanni il 16 dicembre 1194. Ancora una volta il •« ,Rotulum » ci fornisce dati insufficienti a comprendere i termini della questione di- battuta, ma appare chiaro che i motivi •di attrito tra il vescovo e le autorità della valle sono frequenti. Due anni dopo, esattamente il 5 dicembre 1196, ci informa la stessa fonte, il notaio Zanone Bonizzoni redige l'atto con cui il vescovo denuncia Rampazolo, Marino Codelupi e Zanettone Bochore consoli e i vicini della valle •di Ardesio perché paghino la vadia dovuta per la distruzione di un « buzzo... pro facto argenti et nomine laboris argenti » e per Teutonicho, che pur essendo in bando perpetuo continua a rimanere nella valle e danneggia con frequenti scorrerie gli interessi dell'episcopato. Infatti « multociens venit super gastaldiones illius argenti armata manu facientem in eis asaltum eos euntes pro facto argenti ». Si tratta dunque di veri e propri episodi della cronaca nera del tempo, che vedono una certa tolleranza nel comportamento dei consoli locali evidentemente non molto solleciti a tutelare gli interessi del vescovo. I rapporti tra il vescovo e la comunità di Ardesio sono dunque rimasti tesi dopo la transazione del 1179 ed i contrasti sembrano es- sersi allargati alla questione dell'argento suscitando reazioni vivaci nei valligiani, che giungono a distruggere il non meglio qualificato « buzzo » e forse a proteggere con l'omertà il bandito che deruba i gastaldi del vescovo. XXVI
Intanto continua lo sforzo dell'episcopato per il recupero dei diritti ceduti ai privati. LI novembre del 1195 infatti Guidotto Ri- vola investe Battezzato, nipote del vescovo, del feudo che tiene in Ar- desio, lasciando libero Battezzato di refutare entro 15 giorni in favore di chi voglia (29). Si può facilmente supporre che si tratti di un con• tratto fittizio, fatto per volontà del vescovo stesso e ad esso destinato. Per gli anni immediatamente successivi abbiamo solamene le notizie riferiteci dal « Rotulum » circa due investiture relative ai di- ritti su beni patrimoniali. Nella prima, datata I dicembre 1197, il ve- scovo Lanfranco concede a Vuasino, Varino e altri il fodro, l'alberga- ria ed ogni altra prestazione ed esazione spettanti all'episcopato, fatta eccezione per il hanno; nella seconda, datata 14 dicembre 1199 con- ferma l'investitura già fatta dal Guala a Vitale di Lutrinio. Il documento successivo ci conduce al 1211, anno in cui muore il vescovo Lanfranco. Egli è però ancora in vita quando, l'undici giugno, il console di giustizia di Bergamo Guglielmo da Poltriniano con il consiglio del milanese Iacopo Quaglia, anch'egli console di giustizia dello stesso comune, è chiamato ad emettere sentenza sulla vertenza tra Enrico Passera da Brembate, in rappresentanza del ve: scovo, e gli uomini detti della Zanetta di Valle Canale (30). Sostiene infatti Enrico Passera che Pietro, Lorenzo e Ambrogio della Zanetta, con i figli ed il nipote Zanetto debbono versare la vadia al vescovo o ai suoi messi, così come devono « se destringere per dominum epi- scopum » « et facere rationem per eum et suos missos » poiché essi appartengono per consuetudine al distretto dell'episcopato. Quelli della Zanetta dichiarano invece di essere sciolti da qualsiasi vincolo nei confronti del vescovo, se non per quanto riguarda l'argento o la terra detta « de Grumetharia », perché la terra su cui abitano è allo- diale e non appartiene al distretto vescovile; aggiungono che il vescovo ha dato in usufrutto per dieci anni tutto quello che possiede nel ter- ritorio di Ardesio a Grua Daiberti, Alberto Mora, maestro Ravinali e a Battezzato nipote dello stesso vescovo. Ciò è negato da Enrico Pas- sera, il quale sostiene che solo per quanto riguarda le argentiere Ar- desio dipende da Grua Daiberti e dagli altri, mentre tutte le altre que- stioni devono essere trattate davanti ai rappresentanti vescovili.
(29) Pergamena del comune, n. 3030. (30) Diplomata cit., F. 29; l'atto è citato anche •nel Rotulum, però in data 1200. XXVII
Seguono, nel documento, le deposizioni dei testi prodotti dal rap- presentante dell'episcopato. Ambrogio Bonizzoni di Ardesio, che è stato notaio della curia, Zanone Bonizzoni, Landolfo Aiardi e Ardesino Ran- casche, gastaldi della stessa curia, testimoniano di aver più volte ve- duto gli imputati sottomettersi alla giurisdizione esercitata da loro e da altri in qualità di rappresentanti del vescovo e pagare la vadia « per facere racionem et per recipere rationem de querelis factis de eis » et dathiam solvere ». Nella sentenza viene decretato che gli imputati appartengono al distretto vescovile e pertanto devono sotto- mettersi alla giurisdizione del vescovo e pagare la vadia dovuta. Dallo stesso documento si desume che le questioni relative al- l'argento sono per consuetudine trattate separatamente dalle altre. In- fatti il teste Zanone Bonizzoni, interrogato se gli imputati « quando dabant vadiam dabant vadiam solomodo pro arientera et pro terra de 1Carmelara » risponde: « Quando petebant eis vadiam pro illo facto tune dabant vadiam pro illo facto argentere et terre, et quando pete- bant eis vadiam pro alio facto tune dabant vadiam pro illo facto, quia divisa sunt illa fatta argentere ab aliis factis, scilicet a casalis et a terris quas tenent, et pro illis dabant vadiam ». Le argentiere occupano quindi un posto importante nella politica del vescovo, che si preoccupa di trattare a parte le questioni relative a questo metallo in modo da assicurarne l'incontestabilità. E' dell'agosto 1212 la sentenza emessa dai messi della curia di Ardesio nella contestazione riguardante una società che presumibil- mente ha in appalto una vena d'argento. La notizia è desunta dal « Rotulum » che non aggiunge altro. Nel frattempo è stato eletto vescovo di Bergamo il novarese Gio- vanni Tornielli, la cui nomina risale alla fine del 1211. Il periodo del- la sua reggenza risulta particolamente difficile, poiché corrisponde al momento in cui il comune di Bergamo cerca di avocare a sè le risorse del contado, e, come vedremo, l'argento scavato nelle miniere di Ar- desio diviene ben presto oggetto delle mire comunali. Certamente i vescovi del tempo intuiscono lo sviluppo che gli avvenimenti stanno per avere, poiché continuano nel proprio intento di recuperare tutti i diritti sulle miniere per gestirli direttamente. Il 14 marzo 1214 Ma- zocco ed Oldicino Rivola cedono al vescovo i diritti che hanno per feudo o per gastaldatieo sulle vene d'argento della valle d'Ardesio e di ,Gnomo, seu in laborerio ipsius argenti quod sit vel aliquando XXVIII fiet et in hominibus qui laborant ad ipsas argenterias sive ad ipsum argentum » (31). Nel medesimo documento refutano in favore del vescovo fitti e case posti nelle stesse località. Il prezzo della transazione viene fissato in cinquanta libbre di denari imperiali. Nei documenti successivi, datati 1217, troviamo alcune indica. zioni che ci permettono di ricostruire il modo di gestire le vene d'ar- gento. Il primo (32) si riferisce ad una sentenza emessa « sub ulmo ecclesie Sancti Georgii de Ardesio » alla presenza del vescovo, nella vertenza tra i rappresentanti della società di Ardizzone e un tale Du- rello di Gromo. A quanto è dato comprendere, lo sfruttamento delle miniere è affidato a società piuttosto composite, i cui « soci » hanno in appalto l'estrazione del metallo con quote di partecipazione varia- bili; sembra che chiunque lavori ad una miniera sia tenuto a versare alla società che la gestisce somme di denaro in ragione dei giorni e delle notti lavorati, della legna consumata e degli utensili adoperati. Durello viene infatti condannato « in solidos quinque imperialium in quinque diebus et in solidos duos pro duas noctes », vale a dire un soldo imperiale per ogni giorno o per ogni notte; « et in denarios duos mendum quolibet carta tigne » « et denarium unum de lucerna quo- libet die et notte et denarios duos de batile » e « in viginti et duos dies... in quolibet die et qualibet notte denarios duos », per un totale di 59 soldi. E' anche da notare che il giudizio relativo alla somma da versare viene affidato in questa occasione a Lanfranco Cacciagalline di Valgoglio e a Lanfranco 'Calusi « tune eletti homines de busco »; è dunque consuetudine della valle attribuire il compito di fare da arbitri in queste questioni a uomini scelti presumibilmente per la loro competenza ed esperienza in materia. Il documento successivo (33) viene redatto il 30 marzo nella curie vescovile di Ardesio. In esso Spiapasto Ferrari di Gromo, procu- ratore di Pietrobuono e Zambello Marchesoli, « fecit finem et refuta- cionem » nelle mani dei sindaci e dei « eomandatores » della società di « Ardeciono » (Ardizzone) di tutto quello che era contenuto in una « querimonia » presentata da Pietrobuono e Zambello ai gastaldi della curia di Ardesio. In seguito a questa « querimonia » doveva essere
(31) Diplomata cit., F. 30. (32) Diplomata.cit., F. 72. (33) Diplomata cit., F. 73. XXIX stata emessa una sentenza che vincolava al giuramento tutte le parti interessate. In questa occasione Spiapasto ottempera all'obbligo in rappre- ,sentanza dei sopra citati fratelli, e rinuncia ad ogni diritto da loro rivendicato in cambio dell'assoluzione da ogni altra accusa: « ita quod de cetero sint absolvati et indennes et sine danno et sine aliqua pena ». Emerge da questo come da altri numerosi documenti la presenza di « comandatores » delle società: sono presumibilmente i capi che coordinano la gestione delle miniere. E' da notare che nel testo ora esaminato viene anche determinata in certa misura la collocazione geografica della società di Ardiciono (Ardizzone) « qui est in ripa Serii prope Grumo ». E' la determinazione più precisa fino ad ora trovata di una vena d'argento. Significativa è anche la carta successiva, datata 26 maggio dello stesso anno (34). La controversia verte tra i militi di giustizia di Bergamo e Alberto Parizoli di Gromo, che non ha pagato il hanno di dieci soldi imperiali per il quale è stato iscritto nel « liber hanno- rum » del comune di Bergamo dietro richiesta dei vicari della curia di Ardesio per non aver versato loro la dovuta somma di sedici soldi e due denari, secondo quanto gli era stato imposto da Torta, servitore del comune di Bergamo. Purtroppo non ci è dato sapere quale sia la risposta del Parizoli poiché il documento è gravemente compro- messo da macchie d'umidità. Comunque l'accusato si appella a « pre- cepta et ordinamenta » del comune di Bergamo che devono essere rispettati anche dagli uomini « virtutis Pergami ». gastaldo del vescovo, Alberto Mora, presenta allora i suoi testimoni, dalle dichia- razioni dei •quali è possibile conoscere l'entità dell'affitto che due volte all'anno è richiesto a chi lavori o faccia lavorare per sé nelle argentiere: si tratta di un'oncia d'argento, o 25 denari che ne sono il valore corrispondente, da versare alla curia di Ardesio. La scadenza di tale affitto è fissata in due diversi periodi dell'anno: il giorno di San Martino che cade m novembre, e la domenica di Lazzaro. Nello stesso documento si legge peraltro che tale affitto è dovuto da chi lavora per quindici giorni. Ciò potrebbe significare che i lavori alle argentiere non sono svolti con continuità, ma solo per periodi non superiori ai quindici giorni. Sembra però più probabile che con questa clausola si sia voluto stabilire un limite oltre il quale i lavo-
(34) Diplomata cit., F. 31. XXX
ràtori sono considerati affittuari. Lo sfruttamento delle miniere infatti si svolge in modo disorganico e questa misura potrebbe essere stata presa nel tentativo di disciplinare un'attività spesso oggetto di conte- stazioni. I rettori del comune di Bergamo da parte loro delegano i servitori del comune stesso a far rispettare le consuetudini e le usanze della curia e della valle di Ardesio. Non si tratta, almeno a quanto è dato sapere, di una delega occasionale, poiché si legge « quod rectores comunis Pergami qui pro tempore fuerin•t dederunt et consueverunt dare parabolam servitoribus comunis Pergami ut faciant precepta secundum consuetudinem et usantiam curie et vallis Ardesii »: ciò fa pensare ad una situazione ormai abituale. D'altronde il comune risulta aver imposto per parte sua il banno ad Alberto Parizoli: non è dato sapere se si tratti di una multa per il mancato pagamento del dovuto alla curia o se si tratti di una tassa imposta a sua volta dal comune. Degna di nota è la denominazione di « milites iustitie », poiché già dal 1186 è in vigore la denominazione « consules iustitie » attri- buita agli amministratori della giustizia civile, come è testimoniato da un documento redatto appunto in quell'anno (35). D'altronde anche nella citata sentenza del 1211 (36) Guglielmo da 'Poltriniano e Iacopo Quaglia sono qualificati come « consules iusti- tie » e lo stesso appare nei successivi documenti del 1219 (37). Bisogna dunque concludere che la denominazione di militi di giustizia riappaia transitoriamente nel 1217. La notizia successiva ci è fornita dal « Rotulum », in cui trovia- mo la « refutazio » di Bernardo Rivola, che il 16 •gennaio 1219 rinun- cia ai suoi diritti sul monte Secco in favore del vescovo. Nello stesso anno ha luogo la controversia tra il vescovo Giovanni ed i comuni di Ardesio e Gromo. Il 16 marzo 1219 il vescovo con- segna ai consoli di giustizia di Bergamo, Anselmo Zernoni e Lan- franco Suardi, un libello in cui sporge querela contro i sopra citati comuni (38). Chiede che « episcopatui Pergami libere et absolute dimittant omnia illa et quodlibet illorum nec de illis aliquo modo
(35) M. Lupi, Op. cit., II, col. 1373. (36) Diplomata cit., F. 29. (37) Diplomata cit., F. 74 e 75. (38) Diplomata cit., F. 75; citata anche dal Rotulum. se intromittant que dominus episcopus Guala condam Pergamensis episcopus sive domnus Obertus de Vicomercato pro episcopatui eis vel alicui eorum concessit sive transactionis nomine habere promisit sive remisit sive in districtu sive in aliis quia dico prefatum contractum sive transationem non valuisse nec •tenuisse de iure et episcopatum lesum esse in illo contractu et si reperiretur contractum valere peto in integrum restitucionem... ». Si tratta dunque di una richiesta di annullamento della transazione del 1179, come già sottolineato dal Mazzi (39) e dal Rinaldi (40). Verso la fine dello stesso mese, Torta e Zambonino, servitori del comune di Bergamo, convocano Gerardo Pipinoni e Aiardo figlio di Lanfranco Aiardi, consoli del comune di Ardesio, perché si presen- tino il sabato seguente, 30 marzo, davanti ai consoli di giustizia di Bergamo per rispondere alla querela sporta contro di loro; analogo ordine viene trasmesso da Zambonino ad Alberto Aleardi ed a Lotario da Gandellino il 26 dello stesso mese (41). La sentenza dovette essere sicuramente favorevole al vescovo, per- ché il 24 novembre dello stesso anno, davanti alla chiesa di San Gior- gio di Ardesio, Bertramo e Romano da 'Castione, consoli di Ardesio, pagano al vescovo Giovanni una multa di 25 libbre di denari imperiali per aver pubblicato uno statuto « contra honorem ipsius domini epi- scopi sicut ipse dominus episcopus dicebat et quia presumpserant eli- gere electores pro potestate eligenda sine licentia et auctoritate domini episcopi » (42). Se il secondo motivo è determinato abbastanza chiaramente, più vago appare invece il primo; ignoriamo infatti il contenuto di tale statuto: si trattava delle norme riguardanti l'elezione illegittima del potestà, o si riferiva ad altre norme relative alla giurisdizione, che, in questo caso, veniva delegata agli organi del comune, fossero essi i consoli o il podestà così eletto? Sta di fatto che il tentativo di liberarsi dalla soggezione vescovile viene, almeno giuridicamente, spento, ma non per questo il fatto ri- mane privo di conseguenze.
(39) A. Mazzi, La convenzione monetaria del 1254, pag. 34. (40) G. Rinaldi, Le miniere del Bergamasco, pagg. 15 e 28. (41) Diplomata cit., F. 74; citata anche dal Rotulum. (42) Diplomata cit., F. 76; citata anche dal Rotulum. XXXII
Infatti il vescovo Giovanni, per evitare ulteriotri attriti con il comune, il 6 novembre 1222 investe « nomine perpetue locationis » Veneziano, Raimondo, Iacopo, Enrico e Viviano dei Capitani di Scalve di ogni giurisdizione, fitto, onore e condizione spettanti all'episcopato nella valle di Scalve (43). Nelle intenzioni del vescovo questo atto deve probabilmente rap- presentare una forma di transazione: viene infatti fatto divieto ai Capitani di Scalve di vendere, cedere, dare in enfiteusi o investire altre persone che non siano gli stessi discendenti di sesso maschile dei 'Capitani o il comune di Scalve. Il 29 marzo 1231 i Capitani « pro bono pacis et concordia et utilitate utriusque partis » cedono il feudo della valle al comune (44). E' chiaro dunque che le agitazioni nella zona sono ben lungi dall'essere sedate. Ma ancora una volta il vescovo si riserva, nell'investitura fatta ai Capitani di Scalve, oltre alla giurisdizione riguardante la chiesa ed i suoi membri, anche i diritti sull'argento e sulle miniere « honores et iura argenti et fodinarum », che dunque continuano a rivestire una importanza primaria, confermata pure da una serie di atti. Nel 1222 il vescovo Giovanni si trova ancora a dirimere la con- troversia tra Giovanni dei Capitani, sindaco della miniera della Bal- duina e di quella di Valle Brugaria, e Bellebono Pecora sindaco della società di « Zapannova ». Non è dato sapere il contenuto della ver- tenza di cui ci dà notizia il « Rotulum », ma certamente il giudizio è favorevole a questi ultimi, poiché dalla stessa fonte sappiamo che quelli della Balduina si appellano contro la sentenza. Nel 1222 il Rotulum riferisce di una « cartula cuisdam satisfa- cionis quam fecerunt quam plurimi homines de Ardexie in manu domni Johannis », registrata dal notaio Alberto Sosena il 9 maggio. Nel 1225 il vescovo si preoccupa •ancora una volta di acquistare ulteriori diritti sulle argentiere. Il 12 maggio infatti Pietro Albertoni, canonico di Bergamo e procuratore dell'episcopato, cede al presbitero Girardo e ai clerici Agnello ed Azollino della chiesa di San Giorgio di Ardesio, i diritti e le decime •di cui l'episcopato gode in territorio di Fino ed in iCerete in contrada detta Pilaza, in cambio di tutti i diritti e le decime che la chiesa di San Giorgio possiede sulle vene
(43) Finazzi G., Specimen •chartarum e. 35; l'atto è citato anche dal Rotulum, ma con errata datazione. (44) Rotulum. XXXIII e sulle miniere d'argento e sui minerali, sia d'argento che di rame, che si trovano in Ardesio, precisamente nel territorio dì Gromo e nella valle dal Ponte nuovo fino alla Scaluggia verso Bondione (45). Nello stesso anno i gastaldi del vescovo si trovano a derimere la controversia tra Giovanni Parizoli e Durello Agnelli per la proprietà di una quota relativa alla società della miniera di Sivezano. Giovanni Parizoli sostiene che la vendita è stata « fraudolosa et malo modo et ordine facta » e la sentenza finale gli dà ragione (46). Alla fine del 1231 la giurisdizione delle miniere di argento ri- sulta ancora affidata ai gastaldi della curia di Ardesio che in questo periodo sono Alberto Mora, Anderlino 'Cremonese notaio, Domenico di sei. ,Lor ando di Gromo e Pietro di Lorenzo Capponi pure notai. Essi infatti emettono sentenza sulla lite vertente tra Pietrobello di Pontecarale e Ventura da Curno a proposito di undici migliaia di libbre di piombo di massa o •del valore corrispondente determinato in 6 libbre e mezza di imperiali per ogni migliaio, al cui versamento Ventura era tenuto « ex tempore divisionis facte de quibusdam credi- toribus et quibusdam quantitatibus de societate quam habebant insimul illi de Gratinano et de Curno et de Petrogallo et de Pontecaralis et •de Rapacoltis » (47). Sulla stessa pergamena è riportato anche l'atto in cui i gastaldi della curia di Ardesio attribuiscono a Belbono di Pontecarale, rap- presentante di Pietrobello di Pontecarale, la proprietà « unius parte unius furnelli ab argento » che apparteneva a Bonaventura figlio di Durello, fino alla soddisfazione del debito di sette migliaia di piombo « de quo domnus Ventura filius quondam domni Guillielmi de Curno de civitate Pergamensi satisdedit obligando omnia sua bona pignori in manu domni Petribelli ». D'altronde le preoccupazioni del vescovo nel territorio di Ardesio non si limitano alla questione delle argentiere; altre grane gli vengono dalla popolazione, evidentemente assai incline a trasgredire le norma- tive imposte. Il 12 dicembre 1231 i fratelli Zambonino e Lanfranco, figli di Martino Faletti di Ardesio, si presentano al palazzo vescovile
(45) Diplomata cit., F. 32. (46) Pergamena del comune, n. 4046. (47) Diplomata cit., F. 33.
3 — Bergomun. XXXIV a pagare una multa di venticinque libbre di denari imperiali, impe- gnandosi anche a nome degli altri fratelli ad obbedire alle direttive vescovili, e soprattutto a distruggere « illam domum levatam per eos prope palatium episcopatus a monte parte ad volontatem et mandatum ipsius domini episcopi ». Per il momento il vescovo si limita a preten- dere che « de hinc ad medium mensem marcii proximi venturi debeant claudere bono muro firmo et sine fraude ostia superiora et omnia fora- mina ipsius domus que respicit versus palatium domini episcopi et quod trabes que sunt extra murum ipsius domus nove debeant facere secarii et auferri penitus » (48). Ma ben più gravi sono gli avvenimenti che vanno maturando: inizia infatti proprio in questo periodo la politica del comune volta a vincolare a sé la produzione dell'argento e degli altri metalli utili alla zecca cittadina.
(48) Diplomata cit., F. 77. xxxv
CAPITOLO III
La zecca di Bergamo e i capitoli minerari promulgati nel XIII secolo
L' 11 ottobre 1233, il vescovo Giovanni de' Tornielli, alla pre- senza del podestà Federico Pascepoveri, si appella al papa e all'impe- ratore per ottenere l'annullamento dei capitoli minerari contenuti nello statuto di Bergamo, da lui definiti « contra ecclesie libertatem et in favorem eretice pravitatis » (1). Se l'espressione « contra ecclesie libertatem » appare abbastanza chiara nel suo significato, dati i diritti che l'episcopato ha sempre van- tato sulle miniere di Ardesio, maggiore attenzione merita il secondo punto, « et in favorem eretice pravitatis », che si riallaccia alla com- plessa situazione storica in cui Bergamo viene a trovarsi nella prima metà del XIII secolo. Il partito imperiale, dominante nella città, mostra, ancor prima che le sorti fossero decise con la battaglia di Bouvines, eccese simpatite per Federico di Hohenstaufen, e tale posizione mantiene anche dopo l'inizio della ostilità tra il papa e l'imperatore; ne nasce una diver- genza, aggravata anche dal propagarsi nella città di manifestazioni ereticali quali il manichesimo dei Patarini, dei Catari e degli Al- bigesi (2). Lo stesso Federico II, nelle •Costituzioni Melfitane promulgate nel 1231, impone tassativamente che gli eretici vengano dati alle fiamme e, per accattivarsi le simpatie •della curia romana, dichiara « ipso iure infames » coloro che compilino statuti contrari alla libertà ecclesia- stica (3). I disordini interni, provocati dai contrasti tra opposte fazioni (partito popolare anti-imperiale capeggiato dalla famiglia Rivela, e par- tito-imperiale capeggiato dai Suardi) sfociano ben presto nella vio- lenza, che trasforma la città in un campo di battaglia.
(1) Diplomata cit., F. 34. (2) M. Del Brolo, Il Pergaminus. (3) A. Mazzi, articolo in Bollettino della civica biblioteca di Bergamo, 1922, pag. 212 e segg. 'Ciò offre il pretesto ad un intervento papale. Il cardinale Goffredo da Castiglione, giunto a Bergamo nel 1229, cerca di riportare la calma facendo eleggere come podestà Pagano Del- la Torre, ed iniziando una politica condotta con tutto rigore contro gli eretici. Ma i risultati sono ben diversi dalle sue aspettative, poiché i Ri- vola e i Suardi, accordatisi, liberano gli eretici incarcerati, scacciano il Della Torre ed eleggono a podestà Rubaconte da Mandello, che fa promulgare dei capitoli minerari diretti al potenziamento della zecca cittadina, ed in certa misura lesivi dei tradizionali diritti vescovili. Questi avvenimenti portano all'interdetto ecclesiastico, cui è sottoposta la cattedrale con tutte le sue parrocchie. Nei tre anni successivi, dal 1230 al 1232, Bergamo, che in se- guito alla vittoria riportata dal partito anticesareo nel 1226 ha ade- rito alla lega di Mosio insieme a Milano ed agli altri comuni lom- bardi, sceglie dei podestà provenienti dalle città della lega, e, forse per le pressioni fatte dai rettori della lega stessa, nel 1232 si rivolge al papa perché sia annullato l'interdetto. Gregorio 'IX pone come con- dizione che i cittadini rifondano Pagano Della Torre per i danni su- biti, lottino contro gli eretici e si impegnino a far rispettare la libertà della chiesa. Sembra così giunto il momento opportuno per far revocare que- gli statuti, che di fatto minacciano di abolire la giurisdizione dell'e- piscopato sui metalli e sull'argento in modo particolare. Ma il podestà Federico Pascepoveri, di fronte alle richieste del vescovo, risponde esplicitamente di non credere che nel libro degli statuti sia stato aggiunto qualche capitolo lesivo dell'autorità della chie- sa (4), dimostrando in modo inequivocabile la sua decisione di non cedere di fronte alle pressioni dell'episcopato. Il vescovo Tornielli, in seguito a questo rifiuto, fa appello al papa, che con una bolla del 7 novembre 1234 (5) delega il vescovo di Bre- scia, Guala, a fare gli accertamenti dovuti e a giudicare in proposito. Le due parti nominano il proprio procuratore; il vescovo delega, il 6 marzo 1235, Umfredo di Sorlasco, canonico di Bergamo, ed il comune, •da parte sua, sceglie, il 17 febbraio dello stesso anno, Oberto Caniasi (6).
(4) Diplomata cit., F. 34. (5) Diplomata cit., F. 37. (6) Diplomata cit., F. 37.
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