1 / 50

TOP NEWS 01 FOCUS 01 NATO TV 05 COSTRUIRE LA PACE 06 AGENDA 0 7 DOCUMENTI 0 8 ISSUES 08 DI PIù 13/50

In accordo tra Presidenza del Consiglio dei Ministri, Rai e NATO, Rai World fornisce sostegno all’informazione sulle operazioni di peacekeeping in e con la presenza di un riferimento al HQ NATO di Bruxelles mette a disposizione delle testate Rai servizi ed immagini dall’ Afghanistan e una raccolta di notizie stampa. Per contatti:

[email protected]

№ 77 30 GIUGNO 2011 Periodo dal 22 GIUGNO Aggiornato al 30 GIUGNO

______TOP NEWS______FOCUS RITIRO USA___

30 GIUGNO - CROSETTO, FIDUCIOSO SU 26 GIUGNO - AFGHANISTAN/ KARZAI: NON CHIEDERÒ A OBAMA DI RIPENSARE IL RITIRO TRANSIZIONE MILITARE A HERAT (di più) (di più) La transizione delle competenze di sicurezza dalle Karzai non chiederà a Barack Obama di rivedere il forze alleate a quelle afghane a Herat è un passaggio suo piano di ritiro delle truppe americane presenti delicato, ma l'Italia ha lavorato bene per preparare nel Paese, anche se la situazione militare dovesse questo processo e le forze afghane sono pronte. E' la peggiorare. (TMNEWS). convinzione espressa dal sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, che fra due settimane andrà in 24 GIUGNO - AFGHANISTAN: ONU; DOPO missione in Afghanistan. (AGI-PEI NEWS) RITIRO SPINTA A DIALOGO DE MISTURA A (di più) 30 GIUGNO - AFGHANISTAN: NATO UCCIDE La Nato e i talebani hanno mostrato in questi ultimi VICE COMANDANTE DELLA RETE DI HAQQANI mesi tutto quello che era possibile sul piano militare, (di più) rendendo però più evidente che mai, ritiene l'inviato Il vice comandante della rete terrorista Haqqani in speciale dell'Onu a Kabul Staffan de Mistura, la Afghanistan è rimasto ucciso in un raid aereo di convinzione che adesso è arrivato il turno della "precisione" compiuto dalle forze Nato. L'ultima politica. (ANSA). azione coordinata da Ismail Jan, vice di Haji Mali Khan, era stato l'attacco all'Intercontinental Hotel di 24 GIUGNO - AFGHANISTAN:TIMES, SOLDATI Kabul. (AGI) GB A RISCHIO PER RITIRO TRUPPE USA (di più) 30 GIUGNO - L'OSAMA PRIVATO: FRUGALE E A pagare il conto del ritiro delle truppe americane POCO RISPETTATO DAI COLLABORATORI saranno i soldati britannici. La maggior parte dei (di più) militari americani che torneranno a casa sono infatti Emergono dagli Usa particolari sulla vita dell'ex capo dislocati nelle province dove operano i colleghi di Al Qaeda: risparmiava su tutto e faceva fatica a britannici. (ANSA) imporsi. Di Guido Olimpio. (CORRIERE.IT) 24 GIUGNO - AFGHANISTAN/ NATO, 29 GIUGNO - AFGHANISTAN: ATTACCO HOTEL, RASMUSSEN: RISPETTEREMO ROAD MAP DI FINITO CON 18 MORTI, DECEDUTI 8 CIVILI LISBONA (di più) (di più) L'annuncio di Obama sul ritiro graduale delle truppe 2 / 50

L'attacco scatenato da un commando armato contro statunitensi dall'Afghanistan non rappresenta alcuna l'Hotel Intercontinental di Kabul si è concluso dopo novità e l'alleanza atlantica ha intenzione di varie ore di scontri con un bilancio di 18 morti, di cui rispettare "la road map annunciata al vertice di dieci civili ed otto kamikaze. (ANSA) Lisbona dello scorso novembre". Lo ha detto il segretario Nato Rasmussen. (TMNEWS) 29 GIUGNO - AFGHANISTAN: KARZAI, ATTACCO HOTEL NON FRENA TRANSIZIONE 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: ONU, ANNUNCIO (di più) OBAMA PORTA A PIENA TRANSIZIONE POTERI L'attacco sferrato dai talebani all'hotel A KABUL (di più) Intercontinental di Kabul non avrà ripercussioni sul La decisione americana di iniziare il ritiro piano di graduale ritiro delle forze Usa. Lo ha dall'Afghanistan avrà come effetto di condurre "ad affermato il presidente Karzai. (ANSA) una piena leadership afghana". E' quanto ha dichiarato il segretario generale dell'Onu Ban Ki- 29 GIUGNO - AFGHANISTAN:PAURA A moon, commentando l'annuncio del presidente KABUL'USA NON VE NE ANDATE' DOPO americano Barack Obama. (ADNKRONOS) ATTACCO HOTEL (di più) Kabul torna alla normalità dopo l'attacco kamikaze 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: OBAMA, PER all'Hotel Intercontinental. L'unico segno visibile MILITARI RITIRO TROPPO VELOCE (di più) dell'attentato è una macchia nera all'ultimo piano All'indomani dall'annuncio di un ritiro accelerato il dell'albergo. La gente è convinta che una volta che presidente Obama viene accusato da più parti di non gli alleati saranno andati via, il paese ripiomberà in avere ascoltato il parere degli esperti militari. (ANSA) mano ai talebani. Di Gina De Meo (ANSA) 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: OBAMA, 29 GIUGNO - AFGHANISTAN: NAPOLITANO A TALEBANI INTERESSATI A SOLUZIONE KARZAI,VICINI DOPO GRAVE ATTENTATO POLITICA (di più) (di più) I talebani sembrano manifestare interesse per una “Ho appreso con costernazione la notizia del grave soluzione politica in Afghanistan. Lo ha detto il attacco terroristico che ha colpito ieri sera l'Hotel presidente Obama, il giorno dopo aver annunciato il Intercontinental di Kabul, provocando vittime ritiro di un terzo del contingente americano nel Paese afghane e tra i cittadini di paesi alleati''. Così il entro l'estate del 2012. (ANSA) Presidente della Repubblica Napolitano, in un messaggio inviato al Presidente Karzai. (ANSA). 23 GIUGNO - AFGHANISTAN, KARZAI PLAUDE OBAMA. I TALEBAN: "E' UNA RITIRATA 29 GIUGNO - AFGHANISTAN: MILITARI SIMBOLICA" (di più) ITALIANI PARTECIPANO A 'SHURA' NEL L’Afghanistan ha reagito positivamente all’annuncio di VILLAGGIO DI SHIAVASHAN (di più) Barack Obama di un cospicuo taglio di 33.000 soldati I militari italiani del Prt di Herat hanno partecipato ad americani nel giro di poco più di un anno. Karzai ha una 'shura', consiglio degli anziani, indetta dai detto: «Riteniamo che si tratti di una buona misura». villaggi del distretto di Guzarah nel villaggio di (LA STAMPA.IT) Shiavashan, distribuendo circa 22 tonnellate di aiuti alimentari alle famiglie più povere. (ADNKRONOS) 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: EUROPA ACCOGLIE PIANO OBAMA, ANCHE PER NOI 29 GIUGNO - AFGHANISTAN:DOPO 18 MESI RITIRO GRADUALE (di più) LIBERI 2 REPORTER FRANCESI (di più) Gli alleati europei degli Stati Uniti in Afghanistan Stephane Taponier e Herve Ghesquiere, giornalisti hanno accolto positivamente il piano di ritiro francesi rapiti dai talebani in Afghanistan nel graduale annunciato da Barack Obama, annunciando dicembre del 2009, sono stati rilasciati insieme al analoghi progetti di disimpegno graduale. loro interprete afgano Reza Din. (ANSA). (ADNKRONOS). 29 GIUGNO - AFGHANISTAN: ATTACCO HOTEL; OBAMA, STRATEGIA NON CAMBIA (di più) 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: MULLEN L'attentato all' hotel Intercontinental di Kabul non PREOCCUPATO PER RITIRO, POLITICI scalfisce minimamente le certezze del presidente RASSICURANO (di più) degli Stati Uniti Barack Obama e soprattutto non I vertici militari americani restano perplessi sul piano modifica di un millimetro la sua strategia. Lo ha di ritiro militare dall'Afghanistan annunciato da affermato il presidente Obama in conferenza stampa. Obama. A ribadire la preoccupazione di fronte alla (ANSA). commissione parlamentare sulle Forze armate è stato l'ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati maggiori. 28 GIUGNO - AFGHANISTAN, 24 ORE NELLA (AGI). BASE DEGLI ITALIANI "PRIGIONIERI" (di più) 3 / 50

Nella fortezza operativa avanzata "Ice", nell'Ovest del 23 GIUGNO - AFGHANISTAN: INIZIO RITIRO paese, vivono e combattono 190 militari. La valle del TRUPPE USA, FIDUCIA E TIMORI A BAMYAN E Gulistan è l'area più "calda" tra quelle affidate al HERAT (di più) nostro contingente e ogni passo fuori dal fortino è ad La transizione, che inizierà a luglio, riguarderà alto rischio. Di Cristina Bassi. (SKYTG24.IT) Bamyan, Panjshir, Kabul (ad eccezione del distretto di Sarobi), Herat, Mazar-i-Sharif, Mahtarlam e 28 GIUGNO - AFGHANISTAN: ASSALTATO Lashkargah. Ma gli insorti hanno assicurato che ''la HOTEL KABUL; TALEBANI, 50 MORTI (di più) lotta armata si intensificherà di giorno in giorno'', ha L'Intercontinental, il più grande hotel di Kabul, è detto , governatore della provincia di stato attaccato da un numero imprecisato di talebani Bamyan, prima e unica donna a ricoprire questo che hanno colpito, secondo le prime informazioni, incarico. (ADNKRONOS). almeno una decina di persone tra cui un diplomatico canadese che è stato ucciso. (ANSA). 23 GIUGNO - AFGHANISTAN:TALEBAN,PER USA CONTANO SOLO BASI (di più) 28 GIUGNO - AFGHANISTAN: SCANDALO Per i talebani non è questo primo ritiro delle truppe KABUL BANK,FUGGE GOVERNATORE BANCA americane annunciato da Barack Obama la chiave (di più) per trovare una soluzione al conflitto in Afghanistan. Il governatore della Banca centrale afghana è Lo ha detto il portavoce dell'Emirato islamico scappato negli Stati Uniti in seguito a uno scandalo Mujahid. (ANSA). finanziario ed è ricercato dalla polizia per una frode legata alla Kabul Bank, la più grande banca privata 23 GIUGNO - AFGHANISTAN/ NATO, del Paese. (ANSA). RASMUSSEN: RITIRO USA È FRUTTO DEI PROGRESSI (di più) 28 GIUGNO - AFGHANISTAN: UE, NECESSARIA Il ritiro parziale delle truppe americane impegnate in POLITICA DI SVILUPPO POST-RITIRO 2014 Afghanistan è "il risultato dei progressi" realizzati sul (di più) campo contro gli insorti afgani: lo ha affermato il Di fronte al piano di disimpegno militare segretario generale della Nato Anders Fogh dall'Afghanistan presentato dal presidente americano Rasmussen. (TMNEWS) Obama, l'Unione europea si interroga sulle strategie post-2014 nel Paese asiatico, convinta che sia vitale 23 GIUGNO - ARLACCHI, ITALIA NON predisporre una politica di sviluppo che vada oltre RINUNCI A INVESTIRE IN AFGHANISTAN tale scadenza. (AGI). (di più) La svolta di Obama sull'Afghanistan è un fatto 28 GIUGNO - AFGHANISTAN: AL VIA INTESA rilevante, ma l'Italia non deve abbandonare il suo UE-RUSSIA PER ELIMINAZIONE OPPIO (di più) impegno nel Paese, soprattutto dal punto di vista Concepire e attuare un piano quinquennale per degli investimenti economici. E' l'opinione espressa l'eliminazione delle piantagioni di papavero da Pino Arlacchi, presidente del gruppo dall`Afghanistan. E' l'obiettivo dell'intesa Ue-Russia europarlamentari per l'Afghanistan, e relatore sulle ufficializzata oggi. (ANSA). strategie dell'Ue. (AGI-PEI NEWS).

28 GIUGNO - AFGHANISTAN: GROSSA OPERAZIONE CONGIUNTA – RINVENUTI 550 CHILI DI NITRATO DI AMMONIO. (di più) Durante un'attività di pattugliamento congiunto nell’area del villaggio di Chicha ,distretto di Bakwa, i militari italiani e le Forze di Sicurezza Afgane, hanno rinvenuto, in un edificio abbandonato, 550 chilogrammi di nitrato di ammonio. (ITALFOR KABUL E RC-W)

28 GIUGNO - AFGHANISTAN: ALLEN, USA NON AVRANNO BISOGNO DI BASI PERMANENTI NEL PAESE (di più) Il generale Allen, nominato dal presidente Barack Obama quale comandante delle truppe Usa in Afghanistan ritiene che gli Stati Uniti non avranno bisogno di una base permanente nel Paese. (ADNKRONOS) 4 / 50

______TOP NEWS______

27 GIUGNO - AFGHANISTAN: BRUSCO ATTERRAGGIO PER PREDATOR ITALIANO (di più) Brusco atterraggio per un Predator italiano (aereo senza pilota) all'aeroporto di Herat, in Afghanistan. (ANSA).

27 GIUGNO - PAKISTAN-AFGHANISTAN: TENSIONE PER RAZZI ALLA FRONTIERA (di più) Alla vigilia di un nuovo round del dialogo trilaterale a Kabul, si è aperta una nuova frattura tra Pakistan e Afghanistan sul confine dei territori tribali pashtun dove è aumentata l'infiltrazione di talebani e militanti integralisti islamici. (ANSA).

27 GIUGNO - AFGHANISTAN: FRATTINI,RITIRO PRIMI CONTINGENTI DA FINE ANNO (di più) Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha riconfermato i tempi per l'uscita dall'Afghanistan che inizierà a fine di quest'anno. (ANSA).

26 GIUGNO - AFGHANISTAN: FEROCIA TALEBANI, MUORE BIMBA 'KAMIKAZE' (di più) Dopo l'uccisione di Bin Laden lo scorso 2 maggio, i talebani sembrano aver adottato una nuova, feroce strategia del terrore. Una bambina di 8 anni è rimasta uccisa nel sud da una bomba che i ribelli le avevano consegnato perché la portasse ad un posto di blocco della polizia. (ANSA).

25 GIUGNO - AFGHANISTAN: KAMIKAZE CONTRO OSPEDALE, DECINE DI MORTI (di più) Almeno 27 persone sono morte e altre 53 sono rimaste ferite in un attentato terroristico compiuto contro un ospedale in una remota provincia dell'Afghanistan orientale, facendo strage di pazienti e familiari del reparto maternità. (ANSA).

25 GIUGNO - TERRORISMO: RISPOSTA CONGIUNTA IRAN-AFGHANISTAN-PAKISTAN (di più) I presidenti di Iran, Afghanistan e Pakistan si sono impegnati in una dichiarazione comune a cooperare per ''combattere il terrorismo'' e ''fermare le interferenze straniere'' nella regione, al termine di un vertice trilaterale tenuto a Teheran. (ANSA).

25 GIUGNO - AFGHANISTAN/ KARZAI: TERRORISMO CI MINACCIA PIÙ CHE MAI (di più) Il terrorismo "si estende e minaccia più che mai l'Afghanistan e la sua regione": è quanto ha detto il presidente Karzai durante una conferenza internazionale sul terrorismo. (TMNEWS)

24 GIUGNO - AFGHANISTAN: ESPLODE BICI-BOMBA IN UN MERCATO NEL NORD, 6 MORTI (di più) Sei persone sono morte e 22 sono rimaste ferite a causa dell'esplosione di una bici-bomba in un mercato della provincia di Kunduz, nell'Afghanistan settentrionale. (ADNKRONOS)

23 GIUGNO - AFGHANISTAN/ COLLOQUI PACE, TALEBANI AUTORIZZATI DA MULLAH OMAR (di più) Sarebbe stato il mullah Omar in persona a dare il via libera ai negoziati di pace in corso in Qatar tra i talebani e alcuni interlocutori stranieri, in particolare, americani, britannici e tedeschi. Lo ha confermato l'ex ambasciatore talebano Mujahid al Times. (TMNEWS)

23 GIUGNO - AFGHANISTAN: RIASSEGNATI UN QUARTO SEGGI,PARLAMENTO RIVOLUZIONATO (di più) La camera bassa del Parlamento di Kabul è stata sconvolta dal nuovo conteggio delle schede effettuato dal Tribunale Speciale. Riassegnato circa un quarto dei seggi a candidati che in un primo momento erano stati dichiarati sconfitti. (AGI).

23 GIUGNO - AFGHANISTAN-PAKISTAN: MINE E RECINZIONE A CONFINE, ISLAMABAD RILANCIA PROGETTO (di più) Sempre più preoccupato per il continuo passaggio di miliziani attraverso il poroso confine con l'Afghanistan e per le pressioni riguardo al suo impegno nella lotta al terrorismo, il Pakistan torna a rispolverare un vecchio progetto: collocare mine lungo il confine e recintare tratti della frontiera 5 / 50

NATO TV______

Sono disponibili su richiesta delle redazioni Rai le immagini (e/o i servizi) della struttura TV organizzata dalla Nato in Afghanistan realizzate da reporter professionisti embedded presso il contingente ISAF.

Tutte le immagini sono libere da diritti d' autore e in quality broadcast. Per ricevere le immagini e per informazioni contattare al HQ NATO di Bruxelles:

Luca Fazzuoli. Inviato permanente di Rai World e Media Relation Officer [email protected] (+32 475 470127)

Tutte le immagini girate in Afghanistan sono disponibili:

- grezze, in versione internazionale, senza alcun montaggio, logo o sottotitoli oppure: - montate in un reportage di circa 2 - 3 minuti, con sottotitoli in inglese per le interviste in farsi o pashtu. Il suono delle interviste è inglese, farsi o pashtu. Tutte le immagini sono correlate dalla seguente documentazione: lista delle immagini con il timecode, trascrizione delle interviste in inglese, trascrizione e traduzione delle interviste dal farsi o pashtu in lingua inglese, informazioni relative al contenuto delle immagini.

La distribuzione delle immagini e della documentazione avviene in modo rapido attraverso una semplice e- mail che viene inviata direttamente al vostro indirizzo elettronico. Le immagini montate in un piccolo reportage possono essere visionate anche sul sito web: www.natochannel.tv

QUESTA SETTIMANA VI SEGNALIAMO

"Con il processo di transizione in atto ripercorriamo, attraverso alcuni dei più significativi video di NATO TV, come questo importante progetto sta prendendo forma nelle province scelte"

( Luca Fazzuoli)

1) Transizione: gli afgani prendono Il comando Il presidente Karzai ha annunciato l’inizio della prima fase di transizione Il 22 marzo 2011, il presidente Karzai ha annunciato l'inizio della transizione al comando afghano. Il processo comincerà’ in sette distretti e province del paese: La provincia di Bamiyan, la città’ di Herat , la provincia di Kabul ( ad eccezione di Surobi ), Lashkar Gah ( in Helmand), Mazar-e-Sharif ( in Balkh ), e Mehtar Lam ( in Laghman). L'annuncio è stato dato durante il discorso del Presidente Karzai in occasione dei festeggiamenti per il nuovo anno afgano (Now Ruz), momento molto importante e significativo per il popolo afgano.

YouTube Link: http://youtu.be/2cKb5V0_zOI

2)Dichiarazione del Segretario generale della NATO riguardo la transizione In Afganistan Il Segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen, annuncia l’inizio del processo di transizione in Afghanistan per le prime sette province e distretti.

YouTube Link: http://youtu.be/fF0kOea-abA 6 / 50 3) Kabul, e’ un modello di transizione? Con il presidente Karzai che annuncia l'inizio del passaggio di consegne al controllo afghano per sette delle province Afghane, Kabul che ha già passato una prima transizione nel 2008, può’ offrire delle lezioni per il futuro?

YouTube Link: http://youtu.be/tICTF3kUSW4

3) La Provincia di Bamiyan è pronta per la transizione? Bamiyan è una delle province scelte dal governo afghano per la. Nato Tv ha chiesto al governatore provinciale, alla polizia locale, alle forze della coalizione e alle persone che ci vivono; Bamiyan e’ pronta alla transizione ?

YouTube Link http://youtu.be/rKZY7R6r38c

COSTRUIRE LA PACE______

L'AFGHANISTAN E LE PICCOLE ALLIEVE SENZA VOLTO (di più) I talebani proibivano alle ragazze di studiare, oggi va molto meglio, ma nel Paese va a scuola solo una bambina su 6. Rimane la paura di ritorsioni, come in Gulistan dove l'istituto femminile riapre. Le alunne però non possono essere fotografate. Di Cristina Bassi. (SKYTG24.IT 28 GIUGNO)

AFGHANISTAN, L'ECONOMIA RISORGE SULLA NEVE (di più) Un paio di sci per far ripartire l'economia nell'Afghanistan sfiancato dalla guerra. E' la sfida di Ferdinando Rollando, guida alpina e maestro di sci, che ha lasciato le sue Alpi valdostane per gli altopiani del Paese asiatico. (AGI 27 GIUGNO)

RUGBY&OLIMPIADI - L'AFGHANISTAN, DALLA GUERRA AL RUGBY SOGNANDO RIO 2016 (di più) La guerra nei campi da rugby per dimenticare la guerra nei campi minati. A passi brevi l'Afghanistan si rialza lentamente. E se la civiltà e l'equilibrio di una nazione si vedono anche dal suo livello sportivo, possiamo dire che l'Afghanistan ce la sta mettendo tutta. Con un grande sogno: le Olimpiadi del 2016. Il racconto di Stefania Mattana. (BLOG RUGBY 1823 27 GIUGNO)

IN AFGHANISTAN UNA RETE WI-FI OPEN CREATA DAL JALALABAD FABLAB (di più) A Jalalabad alcuni ricercatori della National Science Foundation hanno creato un sistema che consente l’accesso a Internet a chi si trova nel raggio che parte dall’acquedotto dell’ospedale della città afghana. Il racconto di Antonella Beccaria. (TUXJOURNALE.NET 27 GIUGNO)

IL TOUR DI AFGHANISTAN, UNA MAGLIETTA ROSA PER HASHMATULLAH (di più) Non si tratta di vincere la guerra, né di perderla. Per una volta in Afghanistan si tratta solo di competere e di arrivare primi. E il vincitore è Hashmatullah Barakzai uno sportivo che ha tagliato il traguardo dopo 540 km di corsa, lasciandosi alle spalle 45 compagni. Di Barbara Schiavulli. (IL FATTO QUOTIDIANO 25 GIUGNO)

RAPPORTO DROGA ONU: AUMENTATO USO DROGHE SINTETICHE E OPPIACEI (di più) La produzione di oppio in Afghanistan, è diminuita del 38%. Ciononostante, la maggior parte della produzione si registra ancora in Afghanistan (3.600 tonnellate o 74% del totale mondiale). E' quanto afferma il Rapporto mondiale dell'Onu sulla Droga 2011. (TMNEWS 23 GIUGNO) 7 / 50

AGENDA______

OTTOBRE – LA BRIGATA SASSARI TORNA IN AFGHANISTAN

2 NOVEMBRE – LA TURCHIA OSPITA AD ISTAMBUL UNA CONFERENZA REGIONALE SULL’AFGHANISTAN (di più)

5 DICEMBRE - CONFERENZA INTERNAZIONALE SULL’AFGHANISTAN A PETERSBERG IN GERMANIA (di più)

23 MARZO 2012 – SCADE LA MISSIONE DI ASSISTENZA CIVILE DELL'ONU IN AFGHANISTAN (UNAMA) PROROGATA DI UN ANNO IL 22 MARZO 2011.

MAGGIO 2012 – SUMMIT NATO DEDICATO ALL’AFGHANISTAN A CHICAGO (di più)

AFGHANISTAN: IN TURCHIA CONFERENZA REGIONALE IL 2 NOVEMBRE La Turchia ospiterà il 2 novembre 2011 ad Istanbul una Conferenza sull'Afghanistan a cui parteciperanno tutti i paesi confinanti e vicini per accompagnare gli sforzi di pace e riconciliazione del governo afghano. Lo riferiscono oggi i media a Kabul. La decisione di tenere la Conferenza è stata presa oggi. a margine della IV Conferenza dell'Onu sui paesi meno sviluppati, durante una colazione di lavoro offerta dal ministro degli Esteri turco Ahmet Davutoglu ad Ankara, ed a cui hanno partecipato i ministri dei paesi che parteciperanno all'incontro, quali lo stesso Afghanistan e poi Pakistan, India, Iran, Turkmenistan, Tagikistan, Kirghizistan, Arabia saudita e Emirati arabi uniti. In un comunicato stampa in cui manifestano la loro adesione all'iniziativa, i paesi firmatari riaffermano che l'appoggio al processo di trasferimento delle responsabilità della sicurezza all'Afghanistan entro il 2014. ''Un Afghanistan sicuro, stabile e prospero - si legge nel documento - è vitale per la stabilità e la pace di tutti, ma una simile atmosfera può essere assicurata solo in un più ampio contesto che rifletta l'amicizia e la cooperazione regionale''. (ANSA 10 MAGGIO).

AFGHANISTAN: IL 5/12 CONFERENZA INTERNAZIONALE A PETERSBERG Dieci anni dopo la conferenza di Petersberg, la stessa cittadina tedesca alle porte di Bonn, nell'ovest della Germania, ospiterà il prossimo 5 dicembre un altro summit internazionale sull'Afghanistan. Lo ha reso noto oggi a Berlino il rappresentante del governo tedesco per l'Afghanistan, Michael Steiner. All'appuntamento, parteciperanno oltre 1.000 delegati, inclusi i ministri degli esteri di 90 Paesi. La conferenza del 2001 servì a definire gli accordi per un governo di transizione in Afghanistan e gettare le basi per la ricostruzione. A dicembre, ha spiegato Steiner, si farà anche un bilancio del processo di ricostruzione. Il summit internazionale coincide con il previsto inizio del ritiro delle truppe tedesche dall'Afghanistan, che dovrebbe concludersi nel 2014. (ANSA 8 MARZO)

NATO/ IL SUMMIT 2012 SARÀ A CHICAGO, CITTÀ DI OBAMA Sarà a Chicago il summit di maggio 2012 sull'Afghanistan della Nato, insieme al vertice G8. Fonti della Casa Bianca hanno anticipato l'annuncio che il presidente Barack Obama farà in serata, all'interno del discorso sul ritiro delle truppe Usa in Afghanistan. Obama porta così nella sua città un altro importante appuntamento oltre al vertice degli otto più grandi paesi industrializzati. Non è la prima volta che il presidente sceglie un luogo a lui caro per un appuntamento importante: il summit sulla cooperazione in Asia-Pacifico si tiene quest'anno alle Hawaii, stato dove Obama è cresciuto. L'ultima volta che gli Usa avevano ospitato il G8 era stato a Sea Island in Georgia nel 2004. Il vertice Nato di Chicago sarà dedicato alla verifica degli obiettivi fissati allo scorso vertice di Lisbona nel 2010, quando l'alleanza occidentale aveva deciso di fissare la data del 2014 per il passaggio della responsabilità per la sicurezza alle forze armate afgane. (TMNEWS 22 GIUGNO) 8 / 50

DOCUMENTI______

NATO SECRETARY GENERAL STATEMENT ON US AFGHAN DRAWDOWN I have spoken with President Obama. I welcome his announcement to begin the drawdown of US forces in Afghanistan in July. And I look forward to further close cooperation as we prepare for the NATO Summit he will host in Chicago next spring. The President’s decision is a natural result of the progress we have made. It follows close consultations with NATO Allies and partners. The United States took a bold decision in December 2009 to increase their forces by 30,000. Together with nearly 10,000 additional troops from other Allies and partner nations, they reinforced ISAF’s mission to take the fight to the Taliban and help build the Afghan forces. Those troops were part of an international effort to turn the tide in Afghanistan. We can see the tide is turning. The Taliban are under pressure. The Afghan security forces are getting stronger every day. And the transition to Afghan security lead is on track to be completed in 2014. As our strategy takes effect, the role of NATO and of ISAF will evolve, from combat to support. That process is based on conditions on the ground. It is based on close consultation with Allies and partners. It is based on the principles we have all agreed. And it is based on our commitment to peace and stability in Afghanistan. NATO and Afghanistan have an enduring partnership. That commitment will last to the end of our combat mission, and beyond. (COMUNICATO UFFICIALE DA NATO.INT 23 GIUGNO)

ISSUES______

BILANCIO VITTIME MILITARI DALL’INIZIO DEL CONFLITTO AL 29 GIUGNO (dal sito icasualties.org) Australia 27 Georgia 9 New Zeland 2 Turkey 2 Belgium 1 Germany 53 Norway 10 UK 374 Canada 157 Hungary 6 Poland 27 US 1647 Czech 4 Italy 36* Portugal 2 Nato 0 Denmark 40 Jordan 2 Romania 19 Not yet Reported 0 Estonia 8 Latvia 3 South Korea 1 Finland 2 Lithuania 1 Spain 33 France 63 Netherlands 25 Sweden 5 TOTALE 2559 * Le vittime italiane in realtà sono 37. Ma icasualties.org non menziona tra i decessi quello dell’agente dell’Aise Pietro Antonio Colazzo.

VARIAZIONE VITTIME PER PAESE NEL PERIODO 23 GIUGNO-29 GIUGNO GEORGIA 1 CANADA 1 FRANCIA 1 NATO 2 SPAGNA 2 USA 13 VITTIME TOTALI (VARIAZIONE DEL PERIODO SOPRAINDICATO) - 20 VITTIME TOTALI 2011 – 280

(Non si segnalano variazioni nei contingenti militari rispetto alla scorsa settimana)

http://www.italiafghanistan.org/Dati.aspx 9 / 50 GUERRA USA IN AFGHANISTAN E IRAQ:20MLD DI DOLLARI IN ARIA CONDIZIONATA Le truppe militari americane in Iraq e Afghanistan spendono annualmente in aria condizionata 20,2 miliardi di dollari. E sono computate come spese extra. Rappresentano un vero e proprio budget che supera quello previsto per la NASA o quanto ha pagato BP per il disastro ambientale causato dall’esplosione della piattaforma di esrazione Deepwater Horizon o ancora la spesa prevista dal G8 per sostenere le nuove democrazie in Egitto e Tunisia. Spiega Steven Anderson che ha lavorato alla Logistica in Afghanistan: Per alimentare un condizionatore d’aria in un remoto avamposto in Afghanistan serve un gallone di carburante che deve essere spedito da Karachi, in Pakistan, quindi condotto per 800 miglia in 18 giorni per l’Afghanistan su strade che a volte sono poco più che “sentieri delle capre”. Senza considerare inoltre tutti i rischi associati allo spostare carburante su queste strade. Infatti Anderson stima che oltre 1.000 militari sono morti su convogli che trasportavano carburante, considerati obiettivi primari per l’attacco. Le spese non si abbatteranno neanche con il rientro di 30mila uomini perché comunque chi resterà in Iraq e Afghanistan continuerà a usare le risorse nella stessa identica maniera. Infatti i costi si annidano nelle strutture e non nelle truppe. (ECOBLOG 27 GIUGNO)

AFGHANISTAN: BELGIO, NEL 2012 DIMEZZERA' PRESENZA SUE TRUPPE Nel 2012 il Belgio intende dimezzare la sua presenza militare in Afghanistan. Lo ha annunciato il ministro della Difesa, Pieter De Crem, spiegando che presenterà la proposta nei prossimi giorni. Il numero dei militari belgi della missione in Afghanistan dovrebbe quindi scendere da 600 a 300 unità. ''Il grosso della riduzione - ha spiegato il portavoce del ministro della difesa belga - sarà a Kabul, dove abbiamo constatato che i nostri obiettivi sono stati largamente raggiunti''. Oltre alla gran parte dei militari belgi dislocati nella zona dell'aeroporto della capitale afghana, torneranno a casa un gruppo di soldati che si trova a Kunduz, nel nord del Paese, e un altro che si trova nell'area di Kandahar. ''La loro missione e' terminata - ha quindi sottolineato de Crem parlando alla tv - ed e' tempo di restituire l'Afghanistan agli afghani''. La decisione del Belgio segue l'annuncio del presidente Usa, Barack Obama, del ritiro entro l'estate 2012 di gran parte delle truppe americane in Afghanistan, e quello del presidente francese, Nicolas Sarkozy, di un ritiro di centinaia di militari francesi entro la fine di quest'anno. (ANSA 26 GIUGNO).

AFGHANISTAN: ZAPATERO A STAMPA, QUESTO PIANO RITIRO SPAGNA La Spagna prevede di ritirare ''circa il 10%'' delle sue truppe dall'Afghanistan nel primo semestre del 2012, ''fino al 40% '' nel primo semestre del 2013, per giungere al ''ritiro completo” nel 2014, ha annunciato oggi il premier socialista Jose' Luis Zapatero. In dichiarazioni a margine del vertice Ue di Bruxelles riferite dalla stampa spagnola, Zapatero ha detto che questo “è il piano che ha il governo”. La Spagna ha in Afghanistan 1.550 uomini. Il 'calendario' presentato da Zapatero, rileva El Pais online, prevede una accelerazione di alcuni mesi delle fasi del ritiro previste per ora dal ministero della difesa di Madrid. (ANSA 24 GIUGNO)

AFGHANISTAN/ SARKOZY: CENTINAIA DI SOLDATI A CASA ENTRO FINE 2011 Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha annunciato oggi che "diverse centinaia" di soldati francesi lasceranno l'Afghanistan entro la fine dell'anno, nel quadro del ritiro delle truppe alleate. Nei giorni scorsi anche gli Stati Uniti hanno formalizzato una decisione sull'inizio del ritiro. (TMNEWS 24 GIUGNO)

GUERRA IN AFGHANISTAN, LE TAPPE DEL CONFLITTO Con l'avvento di Barack Obama alla Casa Bianca il numero delle truppe statunitensi in Afghanistan è triplicato e le forze impegnate sono arrivate a quota 100mila. Ecco come si e' sviluppata la guerra in questi 10 anni. 2001 - GUERRA AL TERRORE Meno di un mese dopo gli attacchi alle Torri gemelle dell'11 settembre, il presidente americano George W. Bush dichiara "guerra al terrore" e comincia una campagna militare in Afghanistan per rovesciare il regime dei Talebani nella convinzione che quel gruppo di potere costituisca la rete di protezione di Osama Bin Laden. Inizialmente, gli americani si basano su una piccola unità di squadre paramilitari della CIA. Forze speciali e aerei da guerra degli Stati Uniti individuano le basi talebane e danno loro la caccia. In poche settimane, le basi di addestramento di Al Qaeda vengono annientate, Bin Laden e i suoi fedelissimi fuggono verso il Pakistan. Il numero dei marines americani, che a novembre 2001 arriva a mille unità, sale a 10mila nel 2002. 2002-2007 - LA GUERRA DIMENTICATA, FOCUS SU IRAQ L'attenzione degli Stati Uniti si sposta verso l'Iraq. Nel 2003 Bush ordina l'attacco contro il regime di Saddam Hussein. L'impegno americano è di tale portata, per uomini e mezzi, da far passare in secondo piano il conflitto afghano. Nonostante la caduta di Saddam i militanti talebani e altri gruppi islamici fedeli al regime resistono con tenacia alle forze alleate ripiegando lungo il confine orientale e nel sud del Paese. Il numero delle truppe americane sale da 20mila a 27mila nel febbraio 2007. 2008 - LA RIPRESA Gli attentati talebani si moltiplicano e l'amministrazione Bush deve fronteggiare gli attacchi dell'opinione pubblica americana che critica il disimpegno nel conflitto in l'Afghanistan. Barack Obama, senatore democratico candidato alla Casa Bianca, 10 / 50 accusa Bush di essersi "distratto" e promette, se eletto, di inviare più truppe a Kabul. Il comandante americano, il generale David McKiernan, chiede un rinforzo di 30mila soldati. Negli ultimi mesi del mandato Bush invia in Afghanistan altre truppe. Ma di consistenza inferiore rispetto alle richieste militari. 2009 - OBAMA RADDOPPIA FORZE SUL CAMPO Durante i primi mesi della sua presidenza, Obama decide di raddoppiare il numero di truppe sul campo e la forza militare americana arriva a quota 68mila. E mentre annuncia un piano graduale di fine missione dichiara che lo scopo della presenza in Afghanistan e' quello di "distruggere, smantellare e sconfiggere" Al Qaeda. Dopo un lungo dibattito all'interno dell'amministrazione statunitense, a dicembre Obama annuncia una nuova "ondata" di 30mila soldati aggiuntivi. Il contingente americano tocca quota 100mila, sostenuto da 50mila truppe alleate. La strategia americana si concentra in attacchi alle roccaforti talebane del sud del Paese mentre la CIA prende di mira, con bombardamenti a tappeto, i rifugi di Al Qaeda nel vicino Pakistan. Obama fissa per luglio 2011 l'inizio del ritiro graduale delle forze Usa. 201O - NATO ANNUNCIA LA EXIT STRATEGY A novembre 2010, la Nato annuncia un piano triennale di uscita dall'Afghanistan. Il 2 maggio, il reparto americano Navy Seal individua il nascondiglio pakistano di Bin Laden e uccide il leader di Al Qaeda. Negli Stati Uniti si riapre il dibattito sui tempi del ritiro. I vertici militari consigliano Obama di effettuare un ritiro graduale intensificando i colloqui di pace. (AGI 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN/ AUSTRALIA: NOSTRO IMPEGNO PROSEGUIRÀ FINO AL 2014 Il primo ministro australiano Julia Gillard ha dichiarato oggi che le truppe australiane resteranno in Afghanistan fino al 2014, così come previsto dal programma della Nato. L' Australia conta circa 1.500 soldati nel paese asiatico. "Il comandante delle forze armate mi ha appena confermato che questi 1.500 uomini dell'esercito australiano resteranno impegnati nella loro missione nella provincia di Uruzgan", nel sud del paese, ha dichiarato Gillard alla stampa. "In riferimento a quanto annunciato dagli Stati Uniti, il nostro lavoro proseguirà a Uruzgan senza cambiamenti", ha sottolineato il primo ministro, ricordando l'impegno per "rafforzare la capacità della nazione afgana a provvedere alla propria sicurezza", ha precisato il capo del governo australiano. (TMNEWS 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN: SLOVENIA RITIRERÀ TRUPPE VERSO OTTOBRE La Slovenia ha annunciato che intende ritirare il proprio contingente militare dall'Afghanistan (89 soldati) il prossimo autunno, probabilmente in ottobre. ''Il governo ha deciso di avviare colloqui con gli alleati sul ritiro delle truppe slovene dall'Afghanistan'', ha detto il premier Borut Pahor al termine di una riunione del suo governo, come riferito dai media a Lubiana. Il ritiro, ha aggiunto, avverrà ''prossimamente'', probabilmente in ottobre, quando scadrà il mandato delle truppe slovene in Afghanistan. La Slovenia, unico Paese della ex Jugoslavia, fa parte di Ue e Nato dal 2004. Il 25 giugno prossimo, insieme alla vicina Croazia, celebrerà il ventesimo anniversario dell'indipendenza dalla Federazione jugoslava. Ieri il presidente americano, Barack Obama, ha annunciato il ritiro di 10 mila uomini dall'Afghanistan entro quest'anno e un totale di 33 mila soldati entro l'estate 2012. (ANSA 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN/ DANIMARCA: PRESSIONE SU TALEBANI TOCCA AD AFGANI Il ministro danese degli Affari esteri Lene Espersen ha salutato oggi con soddisfazione il discorso del presidente Usa Barack Obama sull'inizio del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan, ritenendo che tocchi adesso al popolo afgano mantenere la pressione sui talebani. "La pressione sui talebani deve, certamente, essere mantenuta, ma è un compito che deve gradualmente ritornare agli afgani stessi", ha dichiarato il capo della diplomazia di Copenaghen in un comunicato, sottolineando che questo punto rappresenta "il cuore del messaggio del presidente Obama”. Lene Espersen ha poi fatto riferimento al passaggio del discorso in cui Obama ha sottolineato "i buoni risultati" ottenuti, "soprattutto creando buone condizioni per un processo di transizione". "Allo stesso tempo, notiamo le prime indicazioni sul fatto che i talebani non sono più così refrattari, come lo erano in passato, a una soluzione politica", ha aggiunto il ministro. (TMNEWS 23 GIUGNO). 11 / 50

COMMENTI______

30 GIUGNO - QUI BATTE IL CUORE DEI PARÀ (di più) Il colonnello Lorenzo D’Addario, comandante del 186° reggimento paracadutisti, da Bakwa, in Afghanistan, scrive alle famiglie dei suoi soldati e testimonia lo straordinario spirito di corpo dei militari italiani in missione. (PANORAMA)

30 GIUGNO - IL COLPO DI CODA DEI TALEBANI CONTRO LA "TRANSIZIONE" A KABUL (di più) Il 21 luglio le province afghane assumeranno il controllo della sicurezza. Un passaggio decisivo per la strategia Nato. Cresce il numero degli afghani che vogliono la pace. Di Vittorio Emanuele Parsi. (LA STAMPA)

30 GIUGNO - PERDERE POCO E SUBITO (di più) Nel 2009 Obama annunciò di voler aumentare le truppe in Afghanistan. In quell'occasione dissi che poteva avere successo a tre condizioni: che il Pakistan diventasse un Paese diverso, che il presidente afghano diventasse un uomo diverso e che riuscissimo a fare la ricostruzione dell'Afghanistan. Niente di tutto ciò è successo, ecco perché credo ancora che le nostre opzioni in Afghanistan siano: perdere presto, perdere tardi, perdere molto o perdere poco. Io voto per presto e poco. Di Friedman Thomas. (LA STAMPA)

30 GIUGNO - QUELLA "VOCE" DEI TALEBANI CHE GONFIA OGNI NOTIZIA (di più) Chi è il portavoce che fa la cronaca degli attacchi. Quella «voce» dei talebani che gonfia ogni notizia: si chiama Zabiullah Mujahid ed è il portavoce più conosciuto dei talebani, parla a nome del mullah Omar. DI Davide Frattini. (CORRIERE DELLA SERA)

29 GIUGNO - RITIRARE LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN? YES WE CAN! (di più) Basta con i generali che criticano le decisioni della Casa Bianca, è tempo di comandanti più allineati con le posizioni politiche. Parlando al Senato, il generale Allen si è mostrato ottimista affermando che in caso di deterioramento della situazione avviserebbe il presidente suggerendo di modificare il piano di ritiro. Parole certo apprezzate alla Casa Bianca. Di Gianandrea Gaiani. (PANORAMA BLOG)

29 GIUGNO - ATTACCO ALL'HOTEL, MISSIONE SACRIFICALE DI NON RITORNO GIÀ SPERIMENTATA A MOMBAI (di più) A Kabul in azione un commando di kamikaze e tiratori. Hotel obiettivi privilegiati perché ospitano gli occidentali. Il commento di Guido Olimpio. (CORRIERE DELLA SERA)

29 GIUGNO - KABUL, STRAGE ALL’HOTEL DEGLI STRANIERI (di più) L’albergo è in cima a una collina, protetto come una fortezza. Neppure un castello, neppure a Kabul, sembra sicuro. Gli Stati Uniti stanno provando la strada del dialogo con i talebani. I generali avrebbero preferito condurre i negoziati da una posizione di forza. Il commento di Davide Frattini. (CORRIERE DELLA SERA)

29 GIUGNO - O LA BANCA O LA VITA (di più) Il banchiere centrale afghano fugge in America: teme attentati. L’istituto, rimasto a secco, è stato raccolto dalla Banca centrale afghana, che negli scorsi mesi si è preparata a tagliarne in due il patrimonio, per creare la – una banca a guida privata, a cui i cittadini possano affidare i loro risparmi. Prima, però, Fitrat è andato in Parlamento e ha elencato alcuni debitori. Di Marco Pedersini. (IL FOGLIO)

29 GIUGNO - DRONI SENZA ARMI CONTRO I TALEBANI (di più) I Predator del 28°Gruppo del 32° Stormo dell'Aeronautica militare in volo sulla provincia di Herat in Afghanistan sono guidati a distanza. Il pilota è a cinquemila chilometri di distanza ad Amendola, provincia di Foggia. Di Maurizio Piccirilli. (IL TEMPO)

29 GIUGNO - KABUL, GLI USA SONO AVVISATI (di più) Più che un attentato, un atto di guerra. Kabul, la notte tra il 28 e il 29 giugno, è risprofondata nell’orrore. La recrudescenza della violenza non sembra causale. Di certo, qualcuno ha voluto mandare un messaggio agli Usa e al presidente afghano Karzai. Probabilmente con l’intenzione di sabotare il piano di pacificazione. Il commento di Gea Scancarello. (LETTERA 43)

28 GIUGNO - L’AMERICA NON È PIÙ NUMBER ONE (di più) 12 / 50 Vincoli economici e imperativi politici costringono gli Stati Uniti a ritrarsi dal loro ruolo di sceriffo del mondo, per rilanciare se stessi. Chi riempirà il vuoto strategico? Di Fabrizio Maronta. (LIMES)

28 GIUGNO - KABUL, IL REBUS DEL RIENTRO (di più) Il discorso alla nazione del presidente Barack Obama sulle date del ritiro dei militari statunitensi dall’Afghanistan ha suscitato reazioni contrastanti. Per il contingente italiano è previsto un graduale rientro: così almeno ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa. Di Federico Cerruti. (EUROPA)

28 GIUGNO - OLTRE 14 MILIARDI PER RINFRESCARE I SOLDATI IN AFGHANISTAN E IN IRAQ (di più) La denuncia dell'ex generale Usa Anderson: «Spesa per aria condizionata più alta del budget Nasa». Di Elmar Burchia. (CORRIERE.IT)

27 GIUGNO - BIMBA UCCISA DA UN ORDIGNO. LA KAMIKAZE INCONSAPEVOLE. L’ULTIMA FEROCIA DEI TALIBAN (di più) Kamikaze inconsapevole, una bimba afgana di 8 anni è morta dilaniata da una bomba. Nell’obiettivo dei Taliban finiscono sempre più spesso bersagli civili. L’aver allargato il ventaglio delle loro prede potrebbe, questo sì, venir letto come un segno di debolezza. Il commento di Pietro Del Re. (LA REPUBBLICA)

26 GIUGNO - ORRORE AFGHANISTAN AUTOBOMBA CONTRO IL REPARTO MATERNITÀ (di più) Tre giorni dopo l’annuncio di Obama sul ritiro delle truppe, un attacco di violenza senza precedenti. Almeno 30 morti. I talebani negano ogni responsabilità. Ma non è un mistero che fra i turbanti neri ci siano divisioni. Il commento di Alessandro Speciale. (IL RIFORMISTA DI ALESSANDRO SPECIALE)

26 GIUGNO - “VINCERE QUESTA GUERRA NON È PIÙ IL NOSTRO SCOPO” (di più) La guerra in Afghanistan non può essere vinta “nel senso tradizione”, e il ritiro delle truppe annunciato pochi giorni fa è sbagliato non perché accelerato, ma perché tardivo e incompleto. Così dice Andrew J. Bacevich, professore di Relazioni internazionali e Storia alla Boston University. Di Glauco Maggi. (LA STAMPA)

25 GIUGNO - SE DIECI ANNI VI SEMBRANO POCHI (di più) Adesso è ufficiale: gli americani stanno trattando col Mullah Omar per una ‘exit strategy’ dall’Afghanistan. Non so se il Mullah Omar ce la farà. Ma il giorno che dovesse rientrare da trionfatore a Kabul sarebbe una vittoria speciale: dell’uomo contro il denaro. E contro la macchina. Di Massimo Fini. (IL FATTO QUOTIDIANO)

25 GIUGNO - OBAMA RICONSEGNA L'AFGHANISTAN AI TALEBANI (di più) Nell'annunciare il rientro di un primo contingente di soldati americani dall'Afghanistan Barack Obama ha evitato accuratamente toni trionfalistici. L'avventura americana in quest'area strategica non sta arrivando alla sua conclusione, si appresta solo a entrare in una nuova fase. Obama lo sa e per questo non può ancora dire "missione compiuta". Di Massimiliano Santalucia. (AFFARI ITALIANI.IT)

24 GIUGNO - UNA SCELTA GUARDANDO AL VOTO CHE PUÒ RAFFORZARE I TALEBAN (di più) «Via dalle sabbie dei deserti mediorientali»: alla fine della discussa presidenza Bush, era una frase che si ripeteva spesso a Washington. Ma chiunque sia a sedersi domani alla Casa Bianca si ritroverà a fare i conti con le conseguenze di decisioni affrettate. Di Riccardo Redaelli. (AVVENIRE)

24 GIUGNO - BARACK TELEFONA AI LEADER ALLEATI, BIDEN A BERLUSCONI (di più) Barack telefona ai leader alleati Biden a Berlusconi Il premier escluso dal giro di chiamate del leader americano prima del discorso. Il retroscena di Antonella Rampino. (LA STAMPA)

24 GIUGNO - I GENERALI USA CONTRO OBAMA. "RITIRO DA KABUL UN AZZARDO" (di più) La decisione di Obama sul ritiro è criticata dal capo di Stato maggiore Mullen e dagli altri generali e dicono che ci saranno “più rischi del previsto”. Il ministro Gates parla di “considerazioni di politica interna”. Il racconto di Guido Olimpio. (CORRIERE DELLA SERA)

24 GIUGNO - L'AMERICA DI OBAMA STANCA DI GUERRE (di più) L'America di Obama è stanca di guerre. Costi troppo alti, la richiesta è di investire in patria. Ma i generali insorgono e Petraeus è molto critico. Di Federico Rampini. (LA REPUBBLICA)

24 GIUGNO - L'IMPEGNO PER MATURARE CREDITI USA (di più) 13 / 50 C'è un'originalità italiana che si nota poco. Barack Obama ha confermato il programma di una riduzione delle truppe americane in Afghanistan. Francia, Gran Bretagna, Slovenia hanno anch’esse annunciato ritiri. L'Italia non ha un piano definito. Di Maurizio Caprara. (CORRIERE DELLA SERA)

23 GIUGNO - INTERVISTA A MOISES NAIM – “RIDUTTIVO PARLARE DI NUMERI. IL CONFLITTO AFGHANO RESTA TROPPO COMPLESSO” (di più) “Discutere dell'entità del ritiro è riduttivo, ciò che conta è che cosa si pensa di fare dopo”. Lo spiega Moises Naim analista di politica internazionale del think tank Carnegie International di Washington in un’intervista di Glauco Maggi. (LA STAMPA)

23 GIUGNO - AFGHANISTAN PARTE IL RITIRO DI OBAMA (di più) Un solo discorso, tre pubblici diversi. Questo è stato l'ennesimo salto mortale cui il presidente Obama ha sottoposto la propria notevole e universalmente riconosciuta ars oratoria nell’annunciare il ritiro. Il commento di Vittorio Emanuele Parsi. (LA STAMPA)

23 GIUGNO - OBAMA MANTIENE L'IMPEGNO "PARTE IL RITIRO DA KABUL" (di più) I generali chiedevano più tempo. Il Congresso voleva accelerare e Obama mantiene l'impegno per il ritiro. L’analisi di Massimo Gaggi.(CORRIERE DELLA SERA)

23 GIUGNO - AFGHANISTAN ADDIO, PER OBAMA LA MISSIONE È FINITA (di più) Afghanistan addio. La guerra di Obama è già finita. Scordatevi le manfrine sulla guerra «necessaria» contrapposta alla «sbagliata» guerra irachena «scelta» da George W Bush. Era roba da campagna elettorale ed inizio mandato. Ora anche quella promessa è pronta per l’archivio. Il commento di Gian Micalessin. (IL GIORNALE)

TOP NEWS (DI PIU’)______

CROSETTO, FIDUCIOSO SU TRANSIZIONE MILITARE A HERAT La transizione delle competenze di sicurezza dalle forze alleate a quelle afghane a Herat è un passaggio delicato, ma l'Italia ha lavorato bene per preparare questo processo e le forze afghane sono pronte. E' la convinzione espressa dal sottosegretario alla Difesa, Guido Crosetto, che fra due settimane andrà in missione in Afghanistan per esaminare da vicino la situazione. "Entro luglio - dice Crosetto - la transizione sarà completata e le forze afghane avranno il controllo assoluto dell'amministrazione militare e politica". "In questi anni - prosegue il deputato - l'Italia ha garantito la sicurezza delle libere istituzioni civili e sociali. Ora, il governo del territorio passa nelle mani delle autorità locali e sono fiducioso sulle loro capacità". Crosetto assicura che la presenza italiana "non scomparirà" e, in questo senso, sposta il discorso su elementi di natura economica. "Il presidente, Hamid Karzai, e il governatore di Herat, Daud Shah Saba, hanno più volte manifestato interesse per lo sviluppo di investimenti italiani nel Paese. Credo che il loro appello vada accolto. Herat è una zona molto promettente per gli imprenditori perche' il livello di sicurezza è buono e il distretto è ricco di risorse naturali". Il prossimo mese, sottolinea Crosetto, "il ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, tornerà in Afghanistan per incontrare organismi politici e produttivi e questo dimostra che le nostre istituzioni hanno la volontà di non lasciar cadere il dialogo". Quanto al recente annuncio del presidente Usa, Barack Obama, di diminuire progressivamente la forza militare, Crosetto osserva che si tratta di un fattore fisiologico. "Obama aveva aumentato il numero delle truppe portandolo fino a quota 100mila. L'impegno americano, soprattutto nel sud dell'Afghanistan, ha inferto colpi significativi ai talebani. Ora, evidentemente, è il momento di diminuire la consistenza delle forze militari". Quanto alle prospettive a medio-lungo termine sulla sicurezza nel Paese, il sottosegretario si mostra realista: "gli attentati non sono destinati a finire e purtroppo continueranno per decenni. Le forze del male saranno sconfitte ma ci vorrà ancora molto tempo". (AGI-PEI NEWS 30 GIUGNO)

AFGHANISTAN: NATO UCCIDE VICE COMANDANTE DELLA RETE DI HAQQANI Il vice comandante della rete terrorista Haqqani in Afghanistan è rimasto ucciso in un raid aereo di "precisione" compiuto dalle forze Nato. L'ultima azione coordinata da Ismail Jan, vice di Haji Mali Khan, era stato l'attacco all'Intercontinental Hotel di Kabul, che aveva lasciato a terra 21 morti, tra miliziani e civili. Al suo comando operavano, si legge in una nota dell'Isaf, da 25 e 35 miliziani, diversi dei quali rimasti uccisi nel 14 / 50 raid dell'Alleanza. Il network Haqqan è prioritario tra gli obiettivi militari della Nato. Alleato di al Qaeda, risponde agli ordini di Jalaluddin Haqqani, signore pashtun della guerra fattosi le ossa combattendo l'invasione sovietica e nel 2001 chiamato addirittura dal presidente afghano, Hamid Karzai, a ricoprire la carica di primo ministro. Haqqani, a quel tempo impegnato ad agevolare la latitanza di Osama bin Laden, rifiutò, e si accinse a diventare un avversario militare di primaria importanza degli americani. (AGI 30 GIUGNO)

L'OSAMA PRIVATO: FRUGALE E POCO RISPETTATO DAI COLLABORATORI Un Osama parsimonioso e frugale. Che spendeva davvero poco per vivere ad Abbottabad, Pakistan. Un grande latitante che, a corto di denaro, doveva forse arrangiarsi vendendo monili. Fonti pachistane e americane, citate dai giornali della catena «McClatchy», hanno fornito nuovi particolari su Bin Laden e, per certi aspetti, hanno anche rivisto il suo ruolo. LE SPESE – Osama non si preoccupava direttamente della gestione della casa, ma erano i due presunti corrieri a farlo. Molto meticolosi e precisi. E non è una sorpresa. Documenti sequestrati in Afghanistan hanno mostrato che i qaedisti sono stati sempre molto pignoli nel tenere in ordine la loro «cassa». Ad Abbottabad, i commandos americani hanno trovato le bollette delle utenze. Gli abitanti dell’edificio – quasi 30 persone, tra cui 18 minori – spendevano appena 18 dollari al mese per il gas. Cifra davvero irrisoria. Un vicino, con una famiglia ben più piccola, arriva a una media di 54 dollari mensili. Altra bolletta, quella della luce: il «clan» Bin Laden pagava circa 80 dollari. Molto attenti anche nella spesa per il cibo. I corrieri si limitavano ad acquistare lenticchie e riso in un negozio poco distante. Aspetto curioso raccontato dal bottegaio: i due emissari di Bin Laden avevano conti rigorosamente separati. Così come erano separati i 4 allacciamenti della luce all’interno della palazzina. I GIOIELLI – Le indagini successive all’uccisione di Osama hanno accertato che i collaboratori del terrorista trafficavano in gioielli. Li acquistavano e li rivendevano. Ma stiamo parlando di cifre contenute: tra i 1500 e i 2000 dollari per set di anelli, collane, orecchini. La polizia ha trovato le ricevute delle transazioni in alcuni negozi della regione. L’ipotesi che alcuni fossero dei regali che Bin Laden doveva fare, ma non è escluso che i suoi complici cercassero la quadratura dei conti con qualche piccolo baratto. Gli americani, fino ad oggi, non hanno fornito troppi particolari su come Osama abbia finanziato la sua lunga latitanza. Dopo il blitz è stato svelato che negli abiti del terrorista sono stati trovati cuciti 500 euro. Una sorta di kit di emergenza per la fuga. Infatti, oltre al denaro, c’erano due numeri di telefono. IL RUOLO – Osama, si è detto, ha continuato a coordinare le operazioni di Al Qaeda. O meglio, questo è ciò che emerso dai documenti sequestrati ad Abbottabad. Ma questa valutazione è stata negli ultimi tempi rivista. Bin Laden scriveva, impartiva ordini attraverso un complesso sistema gestito dai corrieri, dettava strategie ma i qaedisti facevano poi di testa loro. Secondo la nuova interpretazione – peraltro parziale – il fondatore faticava a farsi rispettare. Forse aveva problemi a mantenere i contatti con i diversi gruppi ed è anche possibile che i suoi desideri – ad esempio, attacchi su larga scala – si siano scontrati con la realtà sul campo. E i qaedisti, divisi e sparpagliati, hanno lanciato azioni minori. (CORRIERE.IT 30 GIUGNO DI GUIDO OLIMPIO)

AFGHANISTAN: ATTACCO HOTEL, FINITO CON 18 MORTI DECEDUTI 8 CIVILI, L'attacco scatenato ieri sera da un commando armato contro l'Hotel Intercontinental di Kabul si è concluso dopo varie ore di scontri a fuoco e di esplosioni con un bilancio di 18 morti, di cui dieci civili ed otto kamikaze. Gran parte delle vittime - tra cui non vi sono italiani - sono dipendenti dell'albergo. Lo ha detto all'ANSA il ministero dell'Interno afghano. In un comunicato emesso durante la notte, il ministero dell'Interno ha annunciato la fine dell'attacco durato cinque ore, precisando che tutti i membri del commando sono stati uccisi. ''I nemici della pace e della stabilità - sostiene il testo - hanno commesso un altro vergognoso crimine quando otto attentatori suicidi hanno attaccato l'Hotel Intercontinental di Kabul''.''Come risultato dell'intervento della polizia nazionale, dell'esercito e delle forze della Coalizione internazionale attraverso una unità di intervento rapido e gli elicotteri della Nato - si dice ancora - otto kamikaze sono stati uccisi''. Da parte loro i talebani del Mullah Omar hanno rivendicato l'attacco, sostenendo che i morti provocati sarebbero una cinquantina. Per quanto riguarda le vittime accertate, il portavoce del ministero dell'Interno, Muhammad Sidiq Sidiqi ha precisato all'ANSA che ''in questo attacco suicida sono stati uccise dieci persone, fra cui due agenti di polizia, mentre altre otto persone sono rimaste ferite, compreso un agente''. Il momento determinante per porre fine all'operazione - cominciata verso le 23:00 di ieri sera, quando l'erogazione della corrente elettrica era stata sospesa nella zona - e' stato l'intervento degli elicotteri della Nato che hanno ucciso tre talebani che si trovavano sul tetto dell'hotel da dove sparavano con armi automatiche e lanciavano bombe a mano. Nell'albergo, tra i più frequentati dagli occidentali, vi erano alcune centinaia di ospiti, tra afghani e stranieri, riuniti per partecipare a discussioni sul pianificato passaggio delle attività di sicurezza dalla comunità internazionale alle forze afghane. Ed era anche in corso una festa di nozze. L'Intercontinental è uno dei più famosi alberghi della capitale afghana. Inaugurato nel 1969, è situato su una collina che domina la città ed era stato già colpito da un attentato nel 2003. In quel caso non vi erano state vittime. 15 / 50 Sette stranieri erano invece stati uccisi nel 2008 in seguito ad un attacco simile a quello di stanotte all'Hotel Serena, l'altro albergo preferito dagli stranieri. (ANSA 29 GIUGNO)

AFGHANISTAN: KARZAI, ATTACCO HOTEL NON FRENA TRANSIZIONE L'attacco mortale sferrato da un commando di talebani all'hotel Intercontinental di Kabul non avrà ripercussioni sul previsto piano di graduale ritiro delle forze Usa. Lo ha affermato il presidente afghano Hamid Karzai che ha anche lodato la capacità di reazione delle forze di sicurezza afghane, secondo quanto scrive la Cnn online. ''Queste persone non hanno pietà nell'uccidere civili'', ha affermato Karzai, che ha aggiunto: ''quanto avvenuto non frena il processo di transizione''. (ANSA 29 GIUGNO)

AFGHANISTAN:PAURA A KABUL'USA NON VE NE ANDATE' DOPO ATTACCO HOTEL Kabul torna alla normalità dopo l'attacco kamikaze all'Hotel Intercontinental. L'unico segno visibile dell'attentato è una macchia nera all'ultimo piano dell'albergo visibile dalle carreggiate di quella che può essere considerata una superstrada. Ma dopo il rumore degli spari e i morti, si fa avanti la rabbia dei cittadini. Stanchi di vedere il domani come qualcosa che potrebbe non arrivare, puntano il dito contro il governo Karzai e la corruzione delle forze militari afghane. La paura sta diventando dilagante soprattutto dopo l'annuncio del progressivo ritiro delle forze americane e il passaggio sempre più imminente della gestione della sicurezza in mani afghane. Una folla di ultimi curiosi rimasti davanti all'imbocco della strada che porta verso l'hotel frequentato soprattutto da stranieri, diplomatici, indica proprio i militari afghani come i responsabili dell'attentato. ''Sono loro ci dicono - che hanno fatto passare i kamikaze nascosti dai vetri oscurati delle macchine che di solito non sono soggette a controllo”. Hanno ben ragione a temere per la loro sicurezza. Proprio sotto i nostri occhi va in scena un litigio tra poliziotti afghani. Alcuni si ribellano perché bloccati dai colleghi che non li fanno salire con la macchina fino all'Intercontinental. Obiettano che anche loro sono poliziotti e hanno tutto il diritto di passare. ''Non vogliamo che l'esercito afghano si occupi della nostra sicurezza - continuano - non vogliamo questa transizione perché non sono capaci di proteggerci. Sono corrotti, il loro unico pensiero e' prendere soldi non proteggere la popolazione''. A quasi dieci anni dall'inizio della guerra, il popolo afghano si ritrova ancora senza un futuro. A dare voce allo scontento generale Idress Osman, 26 anni, disoccupato con in tasca una laurea in lingua e letteratura inglese. ''Quando gli americani e le forza alleate se ne andranno - ci spiega - la situazione peggiorerà. In questi dieci anni il governo afghano non è stato in grado di fare niente e noi non vogliamo che le truppe alleate vadano via. Abbiamo bisogno di loro''. Idress dice che tutte le mattine, quando esce di casa, saluta la madre e le chiede se riusciranno a rivedersi la sera. Ogni volta e' un saluto che suona come un addio. ''Quando c'erano i talebani - dice - eravamo consci della situazione. Sapevamo che non si poteva fare niente e si doveva solo obbedire alle loro leggi. Poi sono arrivati gli americani, gli alleati e anche tanti soldi. Ma perché c'è ancora la guerra? Perché non si riesce a ricostruire il paese? E' colpa del nostro governo”. Idress è convinto che una volta che gli alleati saranno andati via, il paese ripiomberà in mano ai talebani. Ha paura dei militari perché sono corrotti. Il suo pensiero è rivolto verso la comunità internazione. Il suo quasi un grido disperato a non abbandonare l'Afghanistan. (ANSA 29 GIUGNO DI GINA DE MEO)

AFGHANISTAN: NAPOLITANO A KARZAI,VICINI DOPO GRAVE ATTENTATO “Ho appreso con costernazione la notizia del grave attacco terroristico che ha colpito ieri sera l'Hotel Intercontinental di Kabul, provocando vittime afghane e tra i cittadini di paesi alleati''. Così il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, in un messaggio inviato al Presidente della Repubblica Islamica dell'Afghanistan, Hamid Karzai. “L'Italia - prosegue - è più che mai vicina al suo Paese, nel momento in cui esso e' fatto oggetto di un nuovo, vile episodio di violenza. Questo attacco terroristico non scalfisce la nostra convinzione circa la volontà dell'Afghanistan di assumere la piena responsabilità delle sorti del Paese. Tutti gli amici dell'Afghanistan rimangono oggi più che mai impegnati ad assistere il suo Paese nel cammino verso la piena affermazione della sicurezza, della democrazia e dei diritti fondamentali della persona umana”. (ANSA 29 GIUGNO).

AFGHANISTAN: MILITARI ITALIANI PARTECIPANO A 'SHURA' NEL VILLAGGIO DI SHIAVASHAN I militari italiani del Prt (Provincial Reconstruction Team) di Herat hanno partecipato ad una 'shura', consiglio degli anziani, indetta dai villaggi del distretto di Guzarah nel villaggio di Shiavashan, distribuendo circa 22 tonnellate di aiuti alimentari alle famiglie più povere e ascoltando le esigenze della gente del luogo. 16 / 50 Un'attività, rilevano dal Comando regionale Ovest della missione Isaf, ''si inserisce nel processo di ricostruzione e sviluppo nel quale sono impegnati i militari del contingente che continuano a lavorare per supportare le autorità locali. Ciò che con più forza è emerso nella shura è la volontà del popolo afghano di guidare il processo di ricostruzione dell'area sostenendo e supportando i propri rappresentanti locali e le proprie forze di sicurezza nella convinzione che non vi sarà prosperità senza pace''. ''Durante il consiglio -viene rilevato- i cittadini hanno avanzato richieste legate allo sviluppo dell'area, dall'agricoltura all' educazione, dalla creazione di nuove infrastrutture all'implementazione del vicino polo industriale''. (ADNKRONOS 29 GIUGNO)

AFGHANISTAN:DOPO 18 MESI LIBERI 2 REPORTER FRANCESI Si è conclusa la lunga prigionia di Stephane Taponier e Hervè Ghesquiere, i due repoter francesi rapiti 18 mesi fa dai telebani in Afghanistan. L'aereo che li ripoterà a casa, in Francia, è atteso verso le 8:00 di domattina all'aeroporto di Villacoublay, nella regione di Parigi. Lo ha riferito il presidente Nicolas Sarkozy, esprimendo la sua gioia e ringraziando il presidente Karzai ''per la gestione di questa crisi e quanti hanno collaborato alla loro liberazione''. Anche l'interprete afghano dei due giornalisti, Reza Din, è stato rilasciato. ''Da qualche ora sono nelle mani delle forze francesi sulla base di Tabag e stanno bene'', ha precisato il primo ministro francese Francois Fillon. Intanto il ministro degli Esteri francese Alain Juppè, interrogato sulle circostanze che hanno portato alla liberazione ha affermato: ''La Francia non paga riscatti'', sottolineando a sua volta il grande aiuto del presidente Karzai. Stephane Taponier, 48 anni, e Hervè Ghesquiere, 49, stavano lavorando per un programma della tv pubblica France 3 quando sono stati rapiti nella regione di Kapisa, 60 km a nord-est di Kabul, in Afghanistan. Era il 30 dicembre 2009. Sulle loro condizioni erano filtrate da allora poche notizie. Nell'aprile 2010, un filmato li mostrava dimagriti mentre leggevano un testo in cui chiedevano alla Francia di accettare le condizioni dei talebani. Lo scorso 24 gennaio Sarkozy assicurava che gli ostaggi erano ''in vita''. Poi più niente. Oggi è grande il sollievo della Francia, che da 547 giorni seguiva con emozione la sorte dei due reporter. Ma grande è anche la gioia dei familiari e di quanti si sono mobilitati per la loro liberazione. ''E' surreale apprendere questa notizia proprio mentre eravamo riuniti per ricordare l'anno e mezzo della loro detenzione'', ha detto il segretario generale di Reporter senza Frontiere, Jean-Francois Juillard, che proprio oggi a Parigi aveva organizzato una manifestazione in loro omaggio. Fra loro, anche la giornalista Florence Aubenas, che fu ostaggio in Iraq per 157 giorni nel 2005. C'è grande attesa per il loro rientro, domani. Ad accoglierli in aeroporto, ci saranno i loro cari, tra cui Beatrice Coulon, la compagna di Hervè Ghesquiere, e Thierry, il fratello di Stephane Taponier. Le famiglie sono state avvisate per prime della loro liberazione direttamente dall'Eliseo. Molta cura, in particolare, e' stata presa a dare la notizia all'anziana madre di Ghesquiere, 84 anni, che poi si è detta ''incredula e piena di gioia''. Anche dall'ambasciata di Francia a Kabul sono arrivate in giornata notizie incoraggianti sullo stato fisico e mentale dei due reporter, che è giudicato ''straordinariamente buono''. Qui, come vuole la prassi, Taponier e Ghesquiere incontreranno i responsabili dei servizi segreti francesi per un dettagliato resoconto del loro rapimento e sulle condizioni della loro prigionia. Sono ancora cinque gli ostaggi francesi detenuti nel mondo. (ANSA 29 GIUGNO).

AFGHANISTAN: ATTACCO HOTEL; OBAMA, STRATEGIA NON CAMBIA L'attentato all' hotel Intercontinental di Kabul non scalfisce minimamente le certezze del presidente degli Stati Uniti Barack Obama e soprattutto non modifica di un millimetro la sua strategia: gli Stati Uniti stanno vincendo la guerra in Afghanistan, dove al Qaida è stata decimata, e l'ambizioso calendario del ritiro delle truppe americane, a partire dal mese prossimo, non si tocca. Nella sua conferenza stampa nella East Room della Casa Bianca, oggi a Washington, Obama parla soprattutto di debito e di economia, rispondendo a due sole domande sull'Afghanistan (più due sulla Libia), senza neppure citare direttamente l'attacco all'Intercontinental, con almeno 21 morti, tra cui nove kamikaze considerati vicini ai Talebani. ''Kabul è molto più sicura di prima e le forze afghane oggi sono molto meglio preparate di ieri - spiega l'inquilino della Casa Bianca -, indipendentemente da quanto avvenuto di recente. Ciò non significa che ci saranno più attacchi, per un po' continueranno, il nostro lavoro non è terminato''. Comunque, aggiunge convinto Obama, ''siamo entrati nella fase di transizione'', quella con l'obiettivo di riconsegnare, entro il 2014, la responsabilità totale del paese alle popolazioni locali. Il ritiro dall'Afghanistan, ''che non è ancora cominciato'', secondo il presidente, sarà fatto ''in modo responsabile, in modo da permettere al paese di difendere se stesso e da darci la capacità operativa di continuare a tenere al Qaida sotto pressione''. E sono proprio i risultati ottenuti contro al Qaida a dare fiducia ad Obama, indipendentemente dal raid dei servizi speciali Usa che ha portato all'uccisione in Pakistan, all'inizio di maggio, di Osama bin Laden. La guerra in Afghanistan - spiega l'inquilino della Casa Bianca, è stata ''un successo'' contro al Qaida, i cui ranghi sono stati decimati, la cui struttura è allo sbando, le cui casse sono ormai praticamente vuote. ''Abbiamo avuto successo in queste missioni - aggiunge il presidente - e anche prima dell'operazione bin Laden avevamo decimato alcuni dei loro vertici di medio e alto livello”. Rispondendo ad una delle due sole domande sull'Afghanistan, Obama ricorda che 17 / 50 l'obiettivo della guerra era ''di ottenere un successo'', ponendo fine ''agli attacchi di al Qaida contro gli Usa ed i suoi alleati'', dopo gli attentati dell'11 Settembre contro le Torri Gemelle e il Pentagono, messi a punto proprio nel paese allora controllato dai Talebani. Non solo, c'era anche un secondo obiettivo: il presidente ricorda che oltre a neutralizzare al Qaida, l'intervento americano ed internazionale puntava ''a fare in modo che gli afghani avessero un governo, a fare in modo che il popolo afghano potesse vivere in sicurezza''. E su questi punti Obama non ha dubbi: ''in queste due missioni abbiamo ottenuto un successo''. A Kabul, il presidente afghano Hamid Karzai è apparso sulla stessa linea di Obama. ''Queste persone non hanno pietà nell'uccidere civili - ha detto riferendosi all'attacco contro l'albergo - ma quanto avvenuto non frena il processo di transizione''. (ANSA 29 GIUGNO).

AFGHANISTAN, 24 ORE NELLA BASE DEGLI ITALIANI "PRIGIONIERI" “Ice”, il nome della base operativa avanzata (Fob) nella valle del Gulistan, sembra una presa in giro: fanno 42 gradi all’ombra nonostante i 1.500 metri di altitudine e non è ancora estate. In realtà, spiegano i militari in missione nell’avamposto, l’inverno qui è più rigido di quanto la bella stagione sia calda. La Fob è un fortino di 7 chilometri quadrati in un punto strategico sull’unica via che collega la valle a Farah, nella regione Ovest dell’Afghanistan. Il confine con il deserto fatto di montagne a perdita d’occhio e polvere è delimitato da “Hesco bastion”, grandi gabbiotti in metallo riempiti con terra e sassi, e filo spinato. Gli “abitanti” della base sono 190 paracadutisti del 186esimo reggimento Folgore di Siena, tra cui una sola donna, e due cani addestrati alla ricerca di esplosivi. Non tutti hanno detto alla famiglia di essere in Gulistan, preferiscono raccontare di essere impegnati in missioni meno a rischio. L’ostilità e i pericoli che per sei mesi terranno questi soldati prigionieri della Fob si respira ogni volta che escono in pattugliamento. I Lince percorrono le strade sterrate in colonna, si muovono lentamente alla ricerca degli Ied, ordigni improvvisati, che vengono piazzati di continuo sotto terra o vicino a una roccia. Anche nella base, sul viale che porta alle tende-alloggio, c’è un “Pressure plate”, il modellino di una bomba rudimentale. Toccando il congegno, si accende una lampadina che fa la parte dell’esplosione. “Nessuno di noi soldati lo prova mai: scaramanzia”, scherza un caporale del Genio. Durante le uscite un militare è sempre al fucile sul tetto, gli altri a piedi o nel mezzo, armati e con il giubbetto antiproiettile. Un “Raven”, un piccolo aereo a pilotaggio remoto per la sorveglianza, vola costantemente sulle loro teste. Ogni passo fuori dalla Fob è un azzardo e l’esperienza dice che con la primavera gli attacchi degli insorti si intensificano. Siamo a 450 chilometri da Herat, quasi quattro ore di elicottero dalla sede del Regional command west, dove si trova il grosso del contingente italiano. È l’area più “calda” tra quelle affidate ai nostri connazionali, al confine con l’Helmand, dove i combattimenti tra soldati americani e insorti sono all’ordine del giorno. A venti chilometri da “Ice” si trova il Cop (Combact outpost) “Snow”, base di 15 metri per 30 sul valico di Buji in cui lo scorso 31 dicembre è rimasto ucciso in uno scontro a fuoco il caporal maggiore Matteo Miotto, 24 anni. Lo stesso avamposto è stato attaccato il 17 gennaio, i militari italiani hanno risposto al fuoco e non ci sono stati feriti. Erano appena ripartiti da “Ice” diretti a Herat anche i quattro alpini saltati su un Ied il 9 ottobre 2010. Intorno alle Fob italiane c’è una “bolla d sicurezza”, cioè una fetta di territorio considerata sicura anche per la popolazione. Oltre però il terreno è tutto minato e alcune aree rurali rimangono fuori controllo. Dentro la Fob si fa di tutto per allentare la tensione e per fare, nelle ore libere, una vita quasi normale. Alla mensa si trova un pane “meglio di quello di casa” e grazie a Internet i militari possono comunicare con i parenti quasi tutti i giorni. C’è un “pub” dove le panche sono fatte con le pietre del fiume e dove si raccolgono i soldi per farsi mandare qualche bibita in più da Herat. La sera i parà giocano a carte o guardano la tv. L’ultima conquista è il campetto di beach volley, costruito sempre con materiali trovati sul posto. “Risolleva lo spirito”, assicura Pietro Di Gangi, il medico dell’ospedale da campo. L’appuntamento per la riunione operativa è alla fine della giornata sotto la tenda con il Tricolore e la bandiera afgana. Il comandante della base, il tenente colonnello Sergio Cardea, ascolta il rapporto dei collaboratori. Si discute del ritrovamento di Ied, delle distribuzioni alla popolazione di cibo e attrezzi per coltivare i campi, delle visite mediche ai bambini dei villaggi, della nomina del nuovo governatore del distretto, dei contatti con la polizia locale. Le attività in prima linea per il giorno dopo sono “randomizzate”, seguono cioè un ordine casuale e sempre diverso, per non dare punti di riferimento al nemico. Di notte la Fob è completamente buia per motivi di scurezza. Un gruppo di esploratori esce per il pattugliamento notturno. “Cerchiamo eventuali appostamenti di insorti, da dove potrebbero attaccare la base”, spiegano. Non è raro che, soprattutto ai confini della “bolla”, le colonne finiscano sotto attacco dei ribelli e che rispondano al fuoco. Sulle altane, le torrette di guardia, comincia il turno più difficile. “Con il buio la tensione cresce – dice il soldato assegnato a uno dei tre fucili dell’altana –, a volte la stanchezza mi fa venire la paura di non avere gli occhi e le orecchie abbastanza aperti. Ma questo turno ha anche alcuni lati positivi: non avevo mai visto una notte così silenziosa e stellata”. “In Gulistan non c’è un limite temporale per la transizione, il processo di sviluppo è all’inizio e ci sono ancora troppe minacce – sottolinea Cardea –. Però nei momenti di calma andiamo tra la gente, diamo supporto alla popolazione e abbiamo stretto buoni rapporti con le autorità locali. Nel villaggio di Qala-I-Khuna ad esempio aiutiamo la scuola femminile, abbiamo 18 / 50 sostenuto la riapertura del bazar e abbiamo installato lampioni alimentati con i pannelli solari. I contatti con l’esterno non sono solo un modo per guadagnarsi la fiducia degli afgani ed evitare che diano appoggio ai guerriglieri. Ci fanno anche sentire meno isolati, danno un senso alla nostra permanenza qui”, che va oltre il compito di proteggere la fortezza. (SKYTG24.IT 28 GIUGNO DI CRISTINA BASSI)

AFGHANISTAN: ASSALTATO HOTEL KABUL; TALEBANI, 50 MORTI L'Intercontinental, il più grande hotel di Kabul, è stato attaccato stasera intorno alle 23:00 da un numero imprecisato di talebani che hanno colpito, secondo le prime informazioni, almeno una decina di persone tra cui un diplomatico canadese che è stato ucciso. Nell'albergo, tra i più frequentati dagli occidentali, vi sono alcune centinaia di ospiti, tra afghani e stranieri, riuniti per partecipare a discussioni sul pianificato passaggio delle attività di sicurezza dalla comunità internazionale alle forze afghane. Ed era anche in corso una festa di nozze. L'attacco, già rivendicato dai talebani, è stato compiuto da numerosi uomini con armi pesanti e leggere: tra loro, secondo i media americani, vi erano da due a sei kamikaze. Almeno uno è riuscito a farsi esplodere al secondo piano, mentre altri terroristi hanno fatto irruzione nelle camere, sparando a tutti gli occidentali. Alcuni cecchini sono anche riusciti a salire sul tetto e sparano contro le forze di polizia afghane che hanno circondato l'edificio. Un portavoce talebano, Zabihullah Mujahid, ha affermato in una telefonata, mentre ancora si sentivano spari ed esplosioni, che i miliziani hanno già ucciso almeno 50 ospiti dell'albergo. Ma la notizia non ha potuto essere confermata da fonti indipendenti né dalla polizia, che è comunque riuscita - insieme ai militari afghani - a far irruzione nell'albergo. Un giornalista che si trovava poco lontano dall'hotel ha detto che l'Intercontinental è ora al buio, che l'energia elettrica e' saltata in tutto il quartiere e che si continuano a sentire esplosioni e colpi d'arma da fuoco. Polizia e forze di sicurezza hanno circondato e isolato la zona con l'aiuto dei soldati americani, ambulanze sono accorse nei pressi ma finora non sembra sia stato possibile evacuare eventuali feriti. Le persone fuggite sono riuscite ad evitare i terroristi e sono indenni mentre altre sarebbero tenute in ostaggio dal commando. ''Mi sono buttato a terra quando cinque o sei uomini hanno fatto irruzione nella hall sparando - ha raccontato un uomo - Poi sono entrati i poliziotti e sono riuscito a uscire''. Un altro ha riferito di essere ''scappato con la famiglia, saltando da una finestra del primo piano. Il ristorante era pieno di gente''. L'Intercontinental è uno dei più famosi alberghi della capitale afghana. Inaugurato nel 1969, è situato su una collina che domina la città ed era stato già colpito da un attentato nel 2003. In quel caso non vi erano state vittime. Sette stranieri erano invece stati uccisi nel 2008 in seguito ad un attacco simile a quello di stanotte all'Hotel Serena, l'altro albergo preferito dagli stranieri. Non si conosce per ora la nazionalità di tutti gli ospiti dell'Intercontinental. L'ambasciatore italiano a Kabul, Claudio Glaentzer, ha verificato che i connazionali attualmente a Kabul, all'1 di notte locale stavano tutti bene, ma non ha potuto verificare se nell'albergo c'erano altri italiani. (ANSA 28 GIUGNO).

AFGHANISTAN: SCANDALO KABUL BANK,FUGGE GOVERNATORE BANCA Il governatore della Banca centrale afghana è scappato negli Stati Uniti in seguito a uno scandalo finanziario e, da quanto si è appreso da fonti giornalistiche, è ricercato dalla polizia per una frode legata alla Kabul Bank, la più grande banca privata del Paese. In un comunicato reso noto oggi, l'ufficio presidenziale ha confermato la fuga di Abdul Qadir Fitrat in connessione con un'inchiesta giudiziaria su presunte irregolarità nel suo operato ai vertici dell'istituto finanziario. Ma l'intera vicenda, dopo una ridda di rivelazioni contraddittorie che si sono rincorse oggi, ha assunto i contorni di un vero e giallo. Come ha chiarito un portavoce del presidente Hamid Karzai, il governatore era stato indagato dalla magistratura nell'ambito del fallimento della Kabul Bank, salvata lo scorso anno dalla bancarotta grazie all'intervento del governo, che ha ''tappato'' un ''buco'' di diverse centinaia di milioni di dollari. La banca annovera come azionisti alcuni influenti personalità afghane legate allo stesso Karzai. Dopo aver scoperto la fuga, avvenuta una settimana fa, il vice procuratore generale Rahmatullah Nazari ha chiesto l'intervento dell'Interpol e anche dell'ambasciata Usa per chiedere l'arresto del finanziere. ''Fitrat ha lasciato il paese dopo che la magistratura lo aveva convocato per chiedere informazioni sullo scandalo della Kabul Bank'' ha precisato Siamak Herawy, un portavoce di Karzai, alla Bbc. La versione governativa contraddice però quella dello stesso Fitrat che in un'intervista da Washington aveva ''detto di essere in pericolo di vita'' per il suo ruolo nello svelare la truffa ed ha accusato il governo afghano di volere insabbiare lo scandalo. La Kabul Bank, che gestisce l'80% dei salari della pubblica amministrazione, insegnanti e poliziotti, era stata fondata nel 2004 da un giocatore di poker famoso a livello mondiale, Sherkhan Farnood. Ma nel settembre del 2010, il governo ne aveva assunto il controllo con un piano di salvataggio. Era infatti emerso che aveva erogato prestiti ''facili'' e che la maggior parte non erano stati restituiti. Le perdite ammontavano a circa 850 milioni di dollari secondo una stima citata dalla Bbc. Lo scorso aprile, davanti al Parlamento il governatore Fitrat, che aveva promesso di combattere la corruzione fin dall'inizio del suo mandato nel 2007, aveva denunciato la gestione ''allegra'' tirando in ballo alcuni azionisti eccellenti, tra cui Mahmoud Karzai, fratello del capo dello stato e Haji Haseen Fahim, fratello del vicepresidente della banca che avrebbero acquistato con i mutui lussuose proprietà a Dubai. Entrambi hanno 19 / 50 sempre smentito le accuse e finora non esiste alcun indizio di una loro responsabilità nel crack della banca. (ANSA 28 GIUGNO).

AFGHANISTAN: UE, NECESSARIA POLITICA DI SVILUPPO POST-RITIRO 2014 Di fronte al piano di disimpegno militare dall'Afghanistan presentato dal presidente americano Barack Obama, l'Unione europea si interroga sulle strategie post-2014 nel Paese asiatico, convinta che sia vitale predisporre una politica di sviluppo che vada oltre tale scadenza. Il portavoce del gruppo dei Socialisti e Democratici, Martin Schulz, ha auspicato "un impegno di lungo periodo" che vada "oltre gli obiettivi militari". Gli Stati Uniti hanno annunciato che ritireranno oltre 30mila soldati entro la fine dell'anno prossimo, con la prospettiva di passare la sicurezza nelle mani delle autorità afghane entro il 2014. Dopo quella data, il futuro è incerto, come confermano fonti da Bruxelles, che sottolineano la titubanza dei Paesi europei a impegnarsi, in primo luogo finanziariamente, in mancanza di rassicurazioni sulle condizioni dell'Afghanistan. Il commissario europeo allo Sviluppo, Andris Piebalgs, ha sottolineato la necessità di attuare una strategia di sviluppo - focalizzata su ambiente rurale, governance e salute - non solo nelle zone presidiate dalle forze internazionali ma in tutto l'Afghanistan, coinvolgendo il governo di Kabul senza il quale questa "non funzionerà". Dello stesso avviso le autorità afghane, che puntano ad un sostegno europeo di lunga durata. "Contiamo sull'Europa, ci aspettiamo che sarete con noi a lungo, il vostro impegno è essenziale per noi, ben oltre il 2014" ha confermato Sham Bathija, consigliere economico del presidente afghano, Hamid Karzai, riferendosi in primis al trasferimento di know how e capacità tecnologiche europee. (AGI 28 GIUGNO).

AFGHANISTAN: AL VIA INTESA UE-RUSSIA PER ELIMINAZIONE OPPIO Concepire e attuare un piano quinquennale per l'eliminazione delle piantagioni di papavero dall`Afghanistan. E' l'obiettivo dell'intesa Ue-Russia ufficializzata oggi nel corso della Conferenza organizzata a Bruxelles dal gruppo della sinistra democratica (S&D), a pochi mesi dall'approvazione del Rapporto Arlacchi sulla nuova Strategia dell'Ue in Afghanistan. Un Comitato guida, costituito dai rappresentanti di Ue, Russia, Usa, governo afghano e altri donatori - si legge in una nota dell'S&D - detterà le linee portanti per la messa in atto del piano di eliminazione dell'oppio attraverso colture alternative. ''Compito del Comitato - ha spiegato Pino Arlacchi, eurodeputato Pd ed ex vicesegretario generale ONU - sarà quello di rafforzare gli organismi esistenti senza sostituirsi alle istituzioni afghane, fornendo l¿assistenza tecnica e i finanziamenti necessari''. ''Negli ultimi dieci anni, più di un milione di persone sono morte per la droga afghana'', ha sottolineato nel suo intervento il direttore del servizio federale russo antidroga Viktor Ivanov. Nel corso dell'incontro, Ivanov ha proposto la creazione di un'agenzia internazionale Russia-Ue con uffici a Kabul, Helmand e Kandahar, e con il sostegno finanziario di Russia, Ue e di altri possibili Paesi donatori tra cui gli Stati Uniti. Il Comitato per l'attuazione del piano - conclude la nota - sarà operativo dopo sei mesi dal primo meeting inaugurale. (ANSA 28 GIUGNO).

AFGHANISTAN: GROSSA OPERAZIONE CONGIUNTA – RINVENUTI 550 CHILI DI NITRATO DI AMMONIO. Durante un'attività di pattugliamento congiunto nell’area del villaggio di Chicha ,distretto di Bakwa, i militari italiani e le Forze di Sicurezza Afgane, hanno rinvenuto, in un edificio abbandonato, 550 chilogrammi di nitrato di ammonio. A seguito del ritrovamento, sono stati arrestati, dai militari afgani, due uomini sospettati di essere responsabili dell’occultamento del materiale. Il nitrato di ammonio, normalmente utilizzato come fertilizzante agricolo è massicciamente impiegato per la creazione di ordigni artigianali e per questo motivo dichiarato sostanza illegale con un decreto del Presidente della Repubblica Islamica dell’Afghanistan del 22 febbraio 2010. Questo rinvenimento, insieme a quelli degli scorsi giorni nella stessa area geografica, è il segnale dell’efficacia del lavoro svolto quotidianamente dalle Forze di Sicurezza Afgane nello svolgimento delle operazione per il controllo del territorio. (ITALFOR KABUL E RC-W 27 GIUGNO)

AFGHANISTAN: ALLEN, USA NON AVRANNO BISOGNO DI BASI PERMANENTI NEL PAESE Il generale John Allen, nominato dal presidente Barack Obama quale comandante delle truppe Usa in Afghanistan ritiene che gli Stati Uniti non avranno bisogno di una base permanente nel Paese. Nel corso della audizione di conferma alla sua nomina presso il Comitato per le Forze Armate del Senato, Allen, alla domanda se gli Usa in futuro dovranno mantenere una presenza militare in Afghanistan, ha replicato: "Credo che dovremmo avere rapporti militari permanenti con gli afghani. Quanto a una base militare permanente -ha aggiunto- non credo che ne avremo bisogno". Nel corso dell'audizione, ad Allen è stato più volte chiesta un'opinione sul piano di ritiro delle truppe proposto dal presidente Obama, che prevede il ritiro di 10mila 20 / 50 militari entro la fine di quest'anno, per un totale di 33mila entro la prossima estate, riportando così la presenza militare americana in Afghanistan ai livelli precedenti al 'surge' annunciato alla fine del 2009. "Sebbene non abbia partecipato alle discussioni -ha detto Allen - sostengo la decisione del presidente Obama e credo che saremo in grado di raggiungere i nostri obiettivi". Tuttavia, Allen ha anche citato le parole del generale David Petraeus, per il quale la decisione di Obama è stata "più aggressiva" di quanto i militari avessero raccomandato. (ADNKRONOS 28 GIUGNO)

AFGHANISTAN: BRUSCO ATTERRAGGIO PER PREDATOR ITALIANO Brusco atterraggio per un Predator italiano (aereo senza pilota) oggi all'aeroporto di Herat, in Afghanistan. Il velivolo ha riportato qualche danno dopo essere atterrato in modo pesante, ma - fanno sapere al comando italiano - non ci sono stati feriti. Indagini sono in corso sulle cause dell'inconveniente. (ANSA 27 GIUGNO).

PAKISTAN-AFGHANISTAN: TENSIONE PER RAZZI ALLA FRONTIERA Alla vigilia di un nuovo round del dialogo trilaterale a Kabul, si è aperta una nuova frattura tra Pakistan e Afghanistan sul poroso confine dei territori tribali pashtun dove è aumentata l'infiltrazione di talebani e militanti integralisti islamici. In un comunicato, Kabul ha chiesto infatti a Islamabad di "fermare immediatamente" il lancio di centinaia di razzi nel proprio territorio che hanno causato la morte di 36 persone inclusi 12 bambini. Il governo afghano ha affermato che nelle ultime tre settimane sono piovuti ben 470 colpi di obice, in particolare nelle province di Kunar e Ningrahar, nelle quali, sempre secondo le accuse di Kabul, sono entrati numerosi combattenti talebani pachistani dopo il trasferimento delle truppe Nato dispiegate nell'area. A stretto giro di posta, è giunta la secca smentita dell'esercito di Islamabad. Il portavoce militare, il generale Athar Abbas, ha negato gli attacchi, ma ha concesso che ''alcuni ordigni potrebbero essere caduti accidentalmente'' quando le forze di sicurezza hanno respinto l'attacco di talebani che hanno attraversato la frontiera afghano-pachistano. A questo proposito, il portavoce ha precisato che “nell'ultimo mese ci sono state almeno cinque incursioni di gruppi talebani composti da un massimo di 300 militanti'' e che i bombardamenti hanno causato la morte di 55 paramilitari e agenti delle milizie tribali, oltre a un ottantina di feriti e a un grande numero di sfollati. La questione è scottante tanto che è stata affrontata dal presidente Hamid Karzai con il collega pachistano Asif Ali Zardari nel corso dell'incontro trilaterale tenutosi a Teheran la scorsa settimana. Oggi poi a Kabul c'è stato un tentativo di ricucitura durante un incontro tra i rappresentanti militari della commissione tripartita, ovvero il generale pachistano Ashfaq Parvez Kayani, l'afghano Sher Mahammed Karimi e l'americano David H. Petreaus, comandante Isaf. Da quanto si legge in un comunicato diffuso in serata dal servizio stampa dell'esercito pachistano Ispr, ''durante la riunione è stata rivista la situazione della sicurezza lungo la frontiera afghana-pachistana'' e ''sono state discusse delle misure per migliorare la coordinazione e evitare incomprensioni sulla protezione del confine''. (ANSA 27 GIUGNO).

AFGHANISTAN: FRATTINI,RITIRO PRIMI CONTINGENTI DA FINE ANNO Il ministro degli Esteri, Franco Frattini, ha riconfermato i tempi per l'uscita dall'Afghanistan che inizierà a fine di quest'anno. ''Abbiamo già da tempo programmato la fase di transizione - ha spiegato - che prevede il ritiro dei primi contingenti fra la fine dell'anno e l'inizio del 2012 che si concluderà nel 2014 secondo il calendario stabilito dalla Nato''. (ANSA 27 GIUGNO).

AFGHANISTAN: FEROCIA TALEBANI, MUORE BIMBA 'KAMIKAZE' Dopo l'uccisione di Bin Laden lo scorso 2 maggio, i talebani sembrano aver adottato una nuova, feroce strategia del terrore che prevede l'uso di bambini e di donne negli attentati suicidi per aggirare i blocchi della polizia e ingannare le forze di sicurezza. Lo dimostra il disumano episodio accaduto oggi in Afghanistan: una bambina di 8 anni è rimasta uccisa nel sud da una bomba che i ribelli le avevano consegnato perché la portasse ad un posto di blocco della polizia. E sempre oggi i talebani pachistani hanno confermato di aver inviato dei coniugi nell'assalto suicida ad una caserma vicino al distretto tribale del Sud Waziristan. E' il primo caso di ''jihad'' di coppia. Dopo aver fatto strage di poliziotti, moglie e marito si sono fatti saltare insieme azionando i giubbotti esplosivi che indossavano. La scorsa settimana, invece, gli agenti pachistani hanno bloccato una misteriosa bimba di nove anni, di cui non si trova la famiglia, con indosso una cintura di dinamite nel distretto di Lower Dir. Alla bimba di oggi è andata decisamente peggio. ''I terroristi - ha fatto sapere il ministero dell'Interno afghano - hanno fatto portare a una bambina innocente di otto anni una borsa con una bomba per fargliela mettere vicino alle nostre forze di sicurezza. Poi hanno fatto esplodere la bomba, uccidendo la piccola e senza fare altre vittime''. E' accaduto nell'area di Waesbala nel distretto di Charchino nel sud del Paese. E' chiaro che con questi atti di ferocia i gruppi estremisti stanno alzando il tiro nel teatro di guerra afghano-pachistano dopo la decapitazione di Al Qaida e le ipotesi di riconciliazione con alcune fazioni talebani in vista del ritiro delle truppe americane annunciato da Barack Obama. ''L'uso di donne 21 / 50 combattenti da parte dei talebani è un trend nuovo ed inquietante'', aveva osservato di recente il portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf), Josef Blotz, in una conferenza stampa a Kabul. Ovviamente si tratta di una prassi del tutto contraria ai precetti dell'Islam, che vieta la violenza su donne e bambini. E' particolarmente indicativo il caso dei coniugi kamikaze, che ieri pomeriggio, insieme a una decina di militanti, hanno ucciso 12 poliziotti della stazione di polizia di Kolachi, nei pressi della città di Dera Ismail Khan. Dopo aver rivendicato l'attacco, un portavoce del Tehrik-e-Taleban Pakistan (Ttp) ha svelato la presenza della moglie di un militante che ha compiuto il ''martirio''. ''E' la prova della determinazione di liberare la nostra gente dalla gogna degli Stati Uniti'', ha detto in una telefonata. E' la prima volta in assoluto che due coniugi partecipano ad un attacco suicida contro un obiettivo militare. Pesantemente armati di bombe a mano e mitragliatori, i due sono entrati nella caserma e hanno occupato l'edificio prendendo in ostaggio gli agenti. E' stata un'azione che denota una precisa tattica militare, frutto di un buon livello di addestramento. Sembra che proprio la donna, che indossava il tradizionale burqa, ha tratto in inganno le guardie all'ingresso. (ANSA 26 GIUGNO).

AFGHANISTAN: KAMIKAZE CONTRO OSPEDALE, DECINE DI MORTI Almeno 27 persone sono morte e altre 53 sono rimaste ferite in un attentato terroristico compiuto contro un ospedale in una remota provincia dell'Afghanistan orientale, facendo strage di pazienti e familiari del reparto maternità. L'edificio è crollato dopo la fortissima deflagrazione, forse un'auto imbottita di esplosivo condotta da un terrorista suicida, e molte persone, in maggioranza donne, bambini e anziani, sono rimaste intrappolate sotto le macerie. Fonti locali ritengono inoltre che il numero delle vittime potrebbe anche essere superiore in quanto alcuni cadaveri sono stati estratti dalle macerie e portati via dai loro congiunti. Un portavoce delle autorità locali ha detto che ''le vittime sono pazienti, loro familiari in visita e personale dell'ospedale''. In un primo momento era stato diffuso un bilancio di vittime molto più pesante, fino a 60 morti, poi rivisto al ribasso. Le autorità locali hanno subito puntato il dito contro i talebani, che però hanno negato ogni loro coinvolgimento. Un portavoce talebano ha detto che il loro movimento non colpisce i civili ed ha aggiunto dietro l'attentato c'è ''qualcuno con una strategia ben definita''. L'esplosione e' avvenuta due giorni dopo l'annuncio del presidente Barack Obama dell'inizio del ritiro delle truppe americane dall'Afghanistan. ''Purtroppo - ha detto il presidente Hamid Karzai, intervenendo alla conferenza di Teheran sul terrorismo cui partecipano i capi di stato dell'area - non solo l'Afghanistan non ha ancora raggiunto la pace e la sicurezza, ma il terrorismo si estende e minaccia più che mai il Paese e la regione''. Il ministero della Salute di Kabul ha precisato che l'esplosione è avvenuta all'interno dell'ospedale di Akbarkhail, nel distretto di Azra, nella provincia orientale di Logar. In un comunicato, il ministero precisa che tra le vittime figurano ''donne, bambini, ragazzi, ragazze e personale ospedaliero''. Den Muhammad Darwish, portavoce del governatore della provincia di Logar, ha riferito all'ANSA che il kamikaze ha fatto saltare in aria un'auto carica di esplosivo che si trovava davanti all'ospedale centrale del distretto di Azra''. Sia l'ospedale che un edificio adiacente sono stati completamente distrutti dall'esplosione. Gran parte dei feriti sono stati trasportati nell'ospedale provinciale di Puli Alam, ha aggiunto il portavoce, affermando inoltre che ''il numero delle vittime potrebbe aumentare'' col passare delle ore. Un funzionario dei servizi segreti afghani citato dalla Bbc ha detto che il bersaglio poteva non essere l'ospedale: il terrorista ha infatti azionato il detonatore dopo essere stato fermato dalla polizia proprio davanti all'ospedale. Un uomo che vive vicino al luogo dell'esplosione, Abdul Rahman, ha detto all'Afp di aver perso sette familiari nell'attentato. ''Ero a casa ed ho sentito una forte esplosione'', ha detto. ''Sono corso sul posto ed ho visto a terra morti e feriti, molti dei quali stavano ancora bruciando. C'erano pezzi di cadaveri fumanti sparpagliati ovunque''. Le autorità hanno inviato sul posto l'esercito per cercare di estrarre eventuali superstiti dalle macerie. Secondo la Bbc, si tratta del primo attentato di queste dimensioni contro un ospedale in Afghanistan, anche se lo scorso mese un kamikaze si è fatto esplodere nel principale ospedale militare di Kabul, uccidendo sei persone. (ANSA 25 GIUGNO).

TERRORISMO: RISPOSTA CONGIUNTA IRAN-AFGHANISTAN-PAKISTAN I presidenti di Iran, Afghanistan e Pakistan si sono oggi impegnati oggi in una dichiarazione comune a cooperare per ''combattere il terrorismo'' e ''fermare le interferenze straniere'' nella regione, al termine di un vertice trilaterale tenuto a Teheran in occasione di una conferenza contro il terrorismo. La conferenza, con la partecipazione di sei capi di Stato della regione, è stata anche l'occasione per l'Iran, che secondo gli Usa sostiene il terrorismo internazionale, di rovesciare l'accusa su Washington. Mentre il presidente Mahmud Ahmadinejad ha ribadito la sua convinzione nella 'teoria del complotto' per gli attentati dell'11 settembre negli Usa. ''La verità sugli attentati e' stata tenuta nascosta agli americani e al mondo”, ha affermato Ahmadinejad, accusando Washington di avere usato gli eventi dell'11 settembre come ''una scusa per 22 / 50 l'invasione di due Paesi'', l'Afghanistan e l'Iraq. Nonostante la presenza delle truppe internazionali in Afghanistan, seguita al rovesciamento del regime dei Taleban nel 2001, il Paese è ancora martoriato da attentati terroristici quasi quotidiani. Oggi in un attacco suicida contro un ospedale almeno 20 persone sono rimaste uccise, secondo il ministro della Salute afghano. ''Sfortunatamente - ha affermato il presidente afghano, Hamid Karzai, intervenendo alla conferenza di Teheran - non solo l'Afghanistan non ha ancora raggiunto la pace e la sicurezza, ma il terrorismo si estende e minaccia più che mai il Paese e la regione''. Nella dichiarazione firmata dallo stesso Karzai, da Ahmadinejad e dal loro omologo pachistano, Assef Ali Zardari, i tre capi di Stato affermano, secondo il testo diffuso dall'agenzia iraniana Irna, ''l'impegno deciso dei loro tre Paesi a lavorare ''per sconfiggere l'estremismo, il militarismo, il terrorismo, per mettere fine alle interferenze straniere e combattere il traffico di stupefacenti''. Il ritiro di 33mila militari americani entro l'estate del 2012, annunciato nei giorni scorsi dal presidente Barack Obama, e' stato giudicato dalla Guida suprema iraniana, ayatollah Ali Khamenei, una manovra ''per motivi interni''. In realtà, ha aggiunto Khamenei ricevendo Karzai, gli Usa cercano di stabilire loro basi permanenti in Afghanistan, ''ciò che è una mossa pericolosa, perché fino a quando le forze americane rimarranno nel Paese, non si potrà realizzare una vera sicurezza''. Durante la conferenza il presidente iracheno, Jalal Talabani, ha annunciato che L'Iraq, l'Iran e la Croce rossa internazionale hanno creato un comitato tripartito per arrivare alla chiusura entro l'anno del campo di Ashraf, in Iraq, dove sono ospitati 3.400 membri dei Mujaheddin del Popolo (Mko), la principale organizzazione di opposizione armata al regime di Teheran, inserita anche dagli Usa nella loro lista delle organizzazioni ''terroristiche''. Un attacco delle forze irachene compiuto l'8 aprile scorso contro il campo ha provocato oltre 30 morti. Alla conferenza di Teheran erano presenti anche il presidente del Tagikistan, Emomali Rahmon, e quello del Sudan, Omar al Bashir, colpito da due mandati d'arresto emessi dalla Corte penale internazionale per crimini di guerra e crimini contro l'umanità nella regione del Darfour. Ma sono ''le potenze tiranniche che perseguono solo i loro interessi a chiamare gli altri criminali'', ha affermato al Bashir. (ANSA 25 GIUGNO).

AFGHANISTAN/ KARZAI: TERRORISMO CI MINACCIA PIÙ CHE MAI Il terrorismo "si estende e minaccia più che mai l'Afghanistan e la sua regione": è quanto ha detto il presidente afgano Hamid Karzai durante una conferenza internazionale sul terrorismo che riunisce numerosi capi di Stato a Teheran. Il terrorismo "si estende e minaccia più che mai l'Afghanistan e la sua regione": è quanto ha detto il presidente afgano Hamid Karzai durante una conferenza internazionale sul terrorismo che riunisce numerosi capi di Stato a Teheran. "Purtroppo, nonostante tutti i progressi nei settori dell'istruzione e della ricostruzione delle infrastrutture, non soltanto l'Afghanistan non ha ancora raggiunto la pace e la sicurezza, ma il terrorismo continua a estendersi e minaccia più che mai l'Afghanistan e la sua regione", ha dichiarato Karzai durante il suo intervento davanti ai suoi omologhi, tra cui i capi di Stato iraniano, pachistano e iracheno. "La pace, la stabilità dei nostri paesi sono minacciate (...) la loro esistenza e la loro integrità sono realmente minacciate", ha informato Karzai, affermando che "tutti i paesi della regione devono combattere il terrorismo". "Il terrorismo ha raggiunto una tale potenza che nessun paese può essere risparmiato da questo male", ha aggiunto. Karzai ha tuttavia stimato che "i problemi dell'Afghanistan devono essere regolati attraverso il dialogo e gli sforzi per un accordo di pace", piuttosto che tramite il ricorso alla violenza. (TMNEWS 25 GIUGNO)

AFGHANISTAN: ESPLODE BICI-BOMBA IN UN MERCATO NEL NORD, 6 MORTI Sei persone sono morte e 22 sono rimaste ferite a causa dell'esplosione di una bici-bomba in un mercato della provincia di Kunduz, nell'Afghanistan settentrionale. Lo ha riferito una fonte della sicurezza locale, citata dall'agenzia d'informazione 'Dpa', precisando che l'obiettivo dell'attentato erano alcuni poliziotti che stavano pattugliando il mercato del distretto di Khan Abad. "Un poliziotto e cinque civili sono morti nell'attacco", ha affermato Sayed Sarwar Hussian, portavoce della polizia di Kunduz. La bici-bomda ha anche provocato il ferimento di tre bambini e di quattro donne. L'attacco non è ancora stato rivendicato, ma gli inquirenti sospettano che la responsabilità sia degli insorti filotalebani. (ADNKRONOS 24 GIUGNO)

AFGHANISTAN/ COLLOQUI PACE, TALEBANI AUTORIZZATI DA MULLAH OMAR Sarebbe stato il mullah Omar in persona a dare il via libera ai negoziati di pace in corso in Qatar tra i talebani e alcuni interlocutori stranieri, in particolare, americani, britannici e tedeschi. Lo ha confermato l'ex ambasciatore talebano a Islamabad e inviato alle Nazioni Unite, Abdul Hakim Mujahid al Times. Il leader spirituale degli 'studenti del Corano' avrebbe autorizzato un alto funzionario del movimento islamico, Taib Agha, a incontrare alcuni rappresentanti occidentali in territorio qatariota. Secondo Mujahid lo stesso stato del Golfo sarebbe stato scelto come luogo ideale per i negoziati e per l'apertura di un ufficio dei talebani. "Il mullah Mohammad Omar in persona ha dato il suo assenso ai colloqui di riconciliazione", ha detto Mujahid al Times, precisando che il governo di Doha starebbe collaborando per il buon esito dei colloqui. In Qatar, 23 / 50 inoltre, i talebani si sentirebbero al sicuro, visto che alcuni leader del gruppo - come l'egiziano Yusuf al Qaradawi - vivono da tempo nello stato del Golfo. L'avvio di colloqui "preliminari" era stato confermato la settimana scorsa dal segretario alla Difesa Usa Robert Gates, che aveva sottolineato l'esigenza di trovare un interlocutore credibile. "Penso che ci sia la volontà di discutere (con i talebani) da parte di un certo numero di paesi, compresi gli Stati Uniti", aveva detto Gates. "Direi che questi contatti sono a uno stadio preliminare", aveva aggiunto il capo del Pentagono, sottolineando che è cruciale stabilire "chi rappresenta veramente i talebani", prima di impegnarsi in colloqui con qualcuno che pretende di rappresentare il capo dei talebani, il mullah Omar. "Non vogliamo ritrovarci a un certo punto a discutere con qualcuno che di fatto è un indipendente", ha affermato Gates. Ad annunciare per primo ufficialmente l'esistenza di questi contatti tra Stati Uniti e talebani era stato ieri il presidente afgano Hamid Karzai. "Dei negoziati con i talebani sono cominciati. I colloqui stanno andando bene", ha affermato Karzai. Anche il ministro britannico degli affari Esteri, William Hague, ha confermato ieri le trattative in corso. "Daremo tutta l'assistenza possibile e sosteniamo questo processo", ha commentato il capo della diplomazia di Londra. (TMNEWS 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN: RIASSEGNATI UN QUARTO SEGGI,PARLAMENTO RIVOLUZIONATO A oltre nove mesi dalla controverse elezioni del 18 settembre scorso in Afghanistan, e quasi cinque mesi dopo la pur tardiva inaugurazione della 'Wolesi Jirga', la camera bassa del Parlamento di Kabul, la composizione di quest'ultima è stata sconvolta dal nuovo conteggio delle schede effettuato dal Tribunale Speciale, che il presidente Hamid Karzai istituì in dicembre perché esaminasse le svariate centinaia di ulteriori ricorsi presentati nel frattempo. I giudici hanno impiegato il periodo trascorso da allora rivedendo i risultati in tutte le 34 province afghane, e riassegnando circa un quarto dei seggi a candidati che in un primo momento erano stati dichiarati sconfitti: si tratta infatti di 62 su un totale di 249, che dovranno essere lasciati vacanti dai loro attuali titolari affinché divenga possibile l'insediamento dei nuovi vincitori. In sintesi, nella quasi totalità delle province, tra le 28 e le trenta, sono cambiati almeno da uno a due deputati. Il capo del Tribunale, Sediqullah Haqiq, ha avvertito che le decisioni assunte infine dal suo collegio sono "definitive", e che "i parlamentari eletti con la frode e le irregolarità debbono essere perseguiti". Haqiq ha aggiunto che chi non è soddisfatto della nuova composizione della 'Wolesi Jirga' potrà rivolgersi per lettera alla Corte Suprema, ma non e' chiaro se ciò integri in qualche modo una vera e propria forma di ricorso, oppure se avrà l'unico valore simbolico di una lamentela. Per di più, il Tribunale ha stabilito che la Commissione Elettorale Indipendente, estranea alle istituzioni locali e finanziata dalla comunità internazionale, dovrà escludere dall'assemblea i deputati da esso proclamati decaduti. La stessa Commissione tuttavia non ha mai riconosciuto al Tribunale medesimo alcuna legittimità, e dunque ciò che si profila è, molto semplicemente, il caos; o, per dirla in altri termini, una crisi costituzionale senza precedenti persino per un Paese tormentato come l'Afghanistan. E' quanto hanno paventato fonti diplomatiche occidentali accreditate a Kabul, che hanno preteso l'anonimato: "Che cosa ci stiamo a fare qui? C'e' da restare sbalorditi!", è stato lo sfogo delle fonti riservate. Non solo. Da più parti Karzai e' stato accusato di aver creato il Tribunale all'unico scopo di ribaltare a proprio favore i risultati elettorali originari, a lui sgraditi: e, anche se in cambio dell'apertura della 'Wolesi Jirgha' del 26 gennaio i trenta membri di un'apposita delegazione parlamentare s'impegnarono a "rispettare e accettare" i verdetti dei giudici speciali, di fatto numerosi deputati continuano tuttora a considerare il Tribunale privo di qualsiasi autorità: compresi, paradossalmente, anche non pochi tra coloro che erano rimasti fuori e che ora sono invece stati proclamati eletti. A riprova della bizzarria della situazione, ma anche della sua potenziale drammaticità, basti citare l'esempio di un candidato nella provincia occidentale di Herat cui sono stati attribuite dodicimila preferenze, mentre in origine non ne aveva ottenuta neppure una. E a completare un quadro che si fa sempre più fosco c'è il ritiro di migliaia di soldati americani, appena annunciato dal presidente Barack Obama, cui si uniformeranno altri Paesi, in vista del definitivo passaggio delle consegne alle forze di sicurezza afghane, in programma nel sempre più incombente 2014. (AGI 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN-PAKISTAN: MINE E RECINZIONE A CONFINE, ISLAMABAD RILANCIA PROGETTO Sempre più preoccupato per il continuo passaggio di miliziani attraverso il poroso confine con l'Afghanistan e per le pressioni riguardo al suo impegno nella lotta al terrorismo, il Pakistan torna a rispolverare un vecchio progetto: collocare mine lungo il confine e recintare tratti della frontiera. L'idea risale agli anni della presidenza di Pervez Musharraf (1999-2008), ma il piano era stato bloccato, tra l'altro, per la forte opposizione di Kabul. Ora Islamabad, rivela il quotidiano pakistano Dawn, è tornata a considerare l'ipotesi di lavorare nuovamente sul progetto. Secondo una fonte militare citata dal giornale, verrebbero minate e recintate le zone di frontiera di importanza militare strategica. ''Il fenomeno dell'insorgenza lungo il confine e' in aumento e abbiamo già affrontato la questione con i responsabili afghani, ma sembra non esserci fine alle 24 / 50 incursioni - ha detto la fonte - Si sta discutendo di un progetto per recintare il confine e la decisione ultima verrà presa dall'apparato militare''. Negli ultimi 25 giorni, ricorda il giornale, sono state almeno quattro le incursioni in Pakistan di militanti armati provenienti dall'Afghanistan, che poi si sono scontrati con le forze di sicurezza pakistane. E le autorità di Islamabad hanno spesso condannato le ''incursioni'' di militanti provenienti dall'Afghanistan nei distretti tribali del Bajaur, dell'Alto Dir e di Mohmad. In seguito agli attacchi dell'11 settembre negli Usa, il Pakistan - ricorda il Dawn - aveva iniziato a collocare mine lungo il confine e a recintare alcune zone dei 2.500 chilometri di frontiera con l'Afghanistan, dopo essere stato accusato di non bloccare il passaggio di Talebani e militanti di al-Qaeda attraverso il poroso confine. Islamabad si trova a rispolverare il vecchio progetto a dieci anni da quegli attacchi, a poche settimane dall'uccisione in Pakistan di Osama bin Laden in un bliz delle forze speciali americane e con pressioni sempre più forti riguardo al suo impegno nella lotta al terrorismo. Intanto gli alleati Stati Uniti hanno aumentato i raid con droni sulle regioni di confine, dove si nascondono militanti filotalebani e di al-Qaeda. E si ritiene che le montagne che dividono il Pakistan dall'Afghanistan, le regioni tribali a ridosso della frontiera, possano essere il covo prescelto dal medico egiziano Ayman al-Zawahiri, successore dello sceicco del terrore alla guida di al-Qaeda. Il Dawn cita il generale Athar Abbas, portavoce delle Forze armate pakistane, secondo il quale in passato erano stati ''recintati circa 35 chilometri di confine''. Le dichiarazioni del generale sembrano riferirsi ai tratti (20 chilometri nella zona di Lwara Mundi, nella regione tribale del Waziristan del Nord, e altri 15 chilometri nel Waziristan del Sud) del 'muro' di filo spinato alla frontiera con l'Afghanistan voluto dall'ex presidente Musharraf, che negli anni passati suscitò forti proteste dal lato afghano del confine. Kabul si dice da sempre contraria al progetto e durante la presidenza Musharraf più volte il 'muro' di filo spinato che l'allora capo di Stato pakistano aveva deciso di innalzare lungo la frontiera con l'Afghanistan era stato motivo di attrito tra i due Paesi. Da sempre il timore delle autorità afghane è che venga riconosciuta come frontiera ufficiale la Linea Durand, demarcata nel 1893 dalle autorità britanniche per separare le colonie indiane dall'Afghanistan. Kabul sostiene anche di essere anche preoccupata per l'interruzione dei contatti tra le comunità che vivono da una parte e dall'altra della frontiera. Ma, ha ribadito la fonte militare citata dal Dawn, ''i pashtun che vivono da entrambe le parti del confine potranno facilmente passare la frontiera dopo i controlli di sicurezza''. (ADNKRONOS 23 GIUGNO)

FOCUS (DI PIU’)______

AFGHANISTAN/ KARZAI: NON CHIEDERÒ A OBAMA DI RIPENSARE IL RITIRO Il Presidente afgano Hamid Karzai non chiederà a Barack Obama di rivedere il suo piano di ritiro delle truppe americane presenti nel Paese, anche se la situazione militare dovesse peggiorare. "Non lo farò - ha detto Karzai in un'intervista alla Cnn - spetta al popolo afgano proteggere il proprio paese e garantire la sicurezza". Obama ha annunciato mercoledì scorso il ritiro di 33.000 soldati entro l'estate del 2012. (TMNEWS 26 GIUGNO).

AFGHANISTAN: ONU; DOPO RITIRO SPINTA A DIALOGO DE MISTURA A KABUL La Nato e i talebani hanno mostrato in questi ultimi mesi tutto quello che era possibile sul piano militare, rendendo però più evidente che mai, ritiene l'inviato speciale dell'Onu a Kabul Staffan de Mistura, la convinzione che adesso è arrivato il turno della politica, e che tutti debbono rimboccarsi le maniche per collaborare a trovare una soluzione al conflitto in Afghanistan. In una intervista all'ANSA da Oslo, dove ha partecipato ad un seminario sul futuro afghano con ex talebani e con il presidente dell'Alto Consiglio per la Pace afghano, Borhanuddin Rabbani, De Mistura ha auspicato l'apertura di una stagione nella quale è necessario che i protagonisti del conflitto - governo afghano, Stati Uniti e talebani - si inviino messaggi nel senso della volontà di voler parlare ''di sostanza''. Mentre dal terreno arrivano ancora oggi notizie di sanguinosi attentati dei talebani (cinque morti per una mina nella provincia settentrionale di Jawzjan ed un agente ucciso da un kamikaze nel sud, in Helmand), il rappresentante del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon ha sostenuto che ''è un fatto che il 'surge' della Nato da una parte, e l'offensiva di primavera degli insorti dall'altra hanno prodotto risultati, ma dimostrato allo stesso tempo che la soluzione militare da sola non regge''. De Mistura non ha dubbi. Ritiene l'annuncio del ritiro delle truppe Usa ''una cosa giusta''. E questo in primo luogo perché ''l'hanno chiesta gli afghani, e poi perché (il presidente Barack) Obama lo aveva promesso. In secondo luogo perché è giusto che sia data una opportunità agli afghani che da tempo sollecitano più autorità e più autonomia nella gestione della loro sicurezza''. Tutti hanno ripetuto, ha continuato, che ''chi deve portare avanti il dialogo sono in primo luogo gli afghani, perché si riconosce che questo conflitto e' un conflitto fra afghani. Certo, in prima linea vi sono anche gli americani per la grande responsabilità che hanno per la gestione della sicurezza''. ''Tanto e' vero - ha sottolineato - che e' stato ammesso sia da Karzai sia da Gates che sono proprio gli americani ad avere in questo momento discussioni. 25 / 50 Per quale motivo? Perché la fase iniziale del dialogo deve riguardare misure volte a costruire una fiducia reciproca e a inviare messaggi che da una parte e dall'altra si vuole parlare di sostanza''. Ma la discussione di questa sostanza, ha subito chiarito, ''dovrà riguardare solo gli afghani, perché è fra di loro che deve essere trovata la soluzione alla crisi, magari imperfetta, ma afghana''. Per quanto riguarda infine i gesti per facilitare la partecipazione dei talebani ad un dialogo di pace, il diplomatico italo-svedese ha sostenuto che ''dopo la divisione della 'blacklist' dell'Onu in due, si dovrà eliminare dalla lista afghana i nomi di molte persone che vi sono incluse per errore, compresi leader defunti, e trovare il modo di garantire a futuri negoziatori la sicurezza che non saranno uccisi o arrestati''. (ANSA 24 GIUGNO).

AFGHANISTAN:TIMES,SOLDATI GB A RISCHIO PER RITIRO TRUPPE USA A pagare il conto del ritiro 'rapidamente graduale' delle truppe americane in Afghanistan saranno con ogni probabilità i soldati britannici. La maggior parte dei militari che il presidente Obama ha deciso di riportare a casa sono infatti dislocati nelle province di Helmand e Kandahar, le stesse dove operano i colleghi britannici. ''Passato il settembre del 2012 - scrive oggi il Times di Londra - le truppe britanniche finiranno con ogni probabilità a portare sulle spalle la proporzione di combattimenti tra le forze internazionali presenti nell'area''. Funzionari di stanza a Kabul hanno poi dichiarato che sarà ''impossibile'' mantenere la stessa intensità militare una volta che 33mila effettivi saranno ritirati. (ANSA 24 GIUGNO)

AFGHANISTAN/ NATO, RASMUSSEN: RISPETTEREMO ROAD MAP DI LISBONA L'annuncio di Barack Obama sul ritiro graduale delle truppe statunitensi dall'Afghanistan non rappresenta alcuna novità e l'alleanza atlantica ha intenzione di rispettare "la road map annunciata al vertice di Lisbona dello scorso novembre". Lo ha detto il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen in un'intervista a Skytg 24. "Ho accolto bene la decisione di Obama, gli americani si sono consultati con gli alleati", ha spiegato. "Ci continueremo a basare sulla road map che è stata annunciata al vertice di novembre scorso a Lisbona", ha insistito Rasmussen. Il segretario generale della Nato è poi entrato un po' più nel dettaglio. "Cominceremo il mese prossimo la transizione passando le consegne di 7 province e distretti, in rappresentanza del 25% della popolazione afgana. È un buon inizio per la transizione", ha riferito. "Abbiamo deciso di cominciare con una transizione graduale, quest'anno, e speriamo di vederla completata entro la fine del 2014". Proprio durante questa fase, ha avvertito Rasmussen, "ci sarà un graduale cambiamento del ruolo delle forze dell'Alleanza, dal combattimento al sostegno, l'addestramento, l'istruzione delle forze di sicurezza afgane". "Ma non c'è nulla di nuovo", ha concluso. (TMNEWS 24 GIUGNO)

AFGHANISTAN: ONU, ANNUNCIO OBAMA PORTA A PIENA TRANSIZIONE POTERI A KABUL La decisione americana di iniziare il ritiro dall'Afghanistan avrà come effetto di condurre "ad una piena leadership afghana". E' quanto ha dichiarato il segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, commentando l'annuncio del presidente americano Barack Obama. "E' importante che gli Stati Uniti, così come la comunità internazionale, rimangano impegnati in una durevole partnership con l'Afghanistan sia per quanto riguarda la sicurezza che lo sviluppo", ha proseguito Ban, avvertendo che "voltare pagina dopo decenni di guerra sarà lungo e pieno di sfide". Il segretario generale dell'Onu ha infine auspicato un Afghanistan pacifico e stabile, basato su un accordo politico inclusivo a guida afghana, con il sostegno internazionale. (ADNKRONOS 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN: OBAMA, PER MILITARI RITIRO TROPPO VELOCE Pensa alla Casa Bianca e non ascolta i militari, decidendo un ritiro ''più aggressivo in termini di calendario'', come spiega il generale David Petraeus. All'indomani dall'annuncio di un ritiro più accelerato del previsto dall'Afghanistan, il presidente degli Stati Uniti Barack Obama viene accusato da più parti di non avere ascoltato il parere degli esperti militari sul campo e al Pentagono, e di aver pensato soprattutto alla sua rielezione alla Casa Bianca, nel novembre 2012. La prima bordata viene dall'Ammiraglio Mike Mullen, il capo di Stato maggiore delle Forze Armate Usa, affermando che la decisione di ritirare 33 mila uomini dall'Afghanistan entro l'estate 2012, ''è più aggressiva e comporta più rischi di quanto fossi inizialmente pronto ad accettare''. Il Pentagono premeva per un massimo di 4-5mila uomini entro l'anno e fino a 30mila entro il 2012. Ma, molto diplomaticamente Mullen ha poi precisato che ''preferisco non entrare nei dettagli dei consigli privati che ho fornito su queste decisioni, che, come ho già detto, appoggio”, affermandosi convinto che gli Stati Uniti saranno certamente capaci di gestire la situazione sul terreno. I progressi registrati in questi ultimi mesi sono significativi, visto anche il forte indebolimento subito da al Qaida in Afghanistan, oltre all'uccisione di Osama bin Laden in Pakistan. La seconda bordata e' venuta dal segretario alla Difesa Bob Gates. In una intervista alla France Presse, il capo del Pentagono, che lascerà l'incarico il primo luglio sostituito da Leon Panetta - l'attuale numero uno della Cia - non e' entrato nei dettagli, ma ha riconosciuto che la decisione di Obama ''prende in considerazione la situazione politica interna'' degli Stati 26 / 50 Uniti. Dove, almeno in base ai più recenti sondaggi, l'opinione pubblica preme per la fine della guerra e dell'impegno Usa in Iraq e in Afghanistan; dove c'e'un problema di bilancio pubblico e dove sono in calendario l'anno prossimo le elezioni presidenziali, in singolare coincidenza con la fine del ritiro dei 33mila uomini annunciato ieri. Rispondendo ad una domanda, Gates ha rivelato inoltre che il generale David Petraeus, comandante delle forze Usa e Nato in Afghanistan, avrebbe preferito un ritiro delle forze Usa più lento di quello prospettato dal presidente. Petraeus, intervenuto poco dopo al Senato (che deve confermarne la nomina alla testa della Cia), lo conferma volentieri spiegando che il ritiro deciso da Obama è ''più aggressivo in termini di calendario'' di quanto suggerito dai militari del Pentagono. Critici nei confronti di Obama sono stati anche i repubblicani all'opposizione, ma non è una sorpresa. Il presidente della commissione Forze Armate della Camera dei Rappresentanti, il californiano Buck McKeon, si è detto convinto che il ritiro prospettato rischia di minacciare la sicurezza guadagnata con i rinforzi decisi dallo stesso Obama nel dicembre 2009. Contrariamente a Gates, Mullen e Petraeus, il segretario di Stato Hillary Clinton (che secondo la stampa Usa è su posizioni analoghe alle loro) ha tenuto un profilo basso e ha difeso a spada tratta le decisioni di Obama. Le parole più dure del segretario di Stato sono state pronunciate nei confronti del Pakistan, la potenza nucleare dove diversi leader di al Qaida si sono rifugiati. Ha difeso, infine Obama, anche Michele Flournoy, sottosegretario alla Difesa, spiegando al Congresso che il ritiro “non è un fuggi fuggi” e ''non rappresenta un cambio nella politica o la strategia per l'Afghanistan''. (ANSA 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN: OBAMA,TALEBANI INTERESSATI A SOLUZIONE POLITICA I talebani sembrano manifestare interesse per una soluzione politica in Afghanistan. Lo ha detto il presidente degli Usa, Brack Obama, il giorno dopo aver annunciato il ritiro di un terzo del contingente americano nel Paese entro l'estate del 2012. Obama ha fatto visita alla base militare di Fort Drum, nel nord est dello Stato di New York, per incontrare i soldati di ritorno dall'Afghanistan e per onorarli. ''Per merito del vostro lavoro straordinario, siamo stati in grado di formare ulteriori 100.000 soldati afghani in modo che possano continuare la lotta. Grazie a quello che avete fatto, regioni come quella di Kandahar (...) sono più sicure. Per merito vostro, siamo noi a prendere l'iniziativa con i talebani e non loro contro di noi'', ha detto il presidente. "E grazie a voi, ci sono segni che i talebani potrebbero mostrare l'interesse per una soluzione politica, che sarà molto importante, alla fine, per stabilizzare il Paese ", ha aggiunto Obama. (ANSA 23 GIUGNO)

AFGHANISTAN, KARZAI PLAUDE OBAMA. I TALEBAN: "E' UNA RITIRATA SIMBOLICA" Ben conscio che la sforbiciata era nell’aria per ragioni che solo in parte riguardano la regione ed il conflitto, l’Afghanistan ha reagito oggi positivamente all’annuncio di Barack Obama di un cospicuo taglio di 33.000 soldati americani nel giro di poco più di un anno. Per far conoscere la sua posizione, il presidente afghano Hamid Karzai ha convocato un gruppetto scelto di giornalisti a palazzo per dire loro poche e misurate parole: «Salutiamo l’annuncio fatto dal presidente Obama. Riteniamo che si tratti di una buona misura per loro e per noi e la sosteniamo». Ed ha concluso ricordando che «l’Afghanistan ha l’esperienza di 30 anni di guerra e che i suoi figli difenderanno il paese». Mentre il capo dello Stato parlava i taleban avevano però fatto già circolare con tempestività il loro scetticismo sul contenuto del discorso del capo della Casa Bianca, e diffuso un comunicato dell’Emirato islamico dell’Afghanistan in cui si assegna alla riduzione di truppe un valore «solo simbolico». Quanto annunciato, si dice nel testo, «non potrà soddisfare l’opinione pubblica internazionale stanca della guerra o il popolo americano perchè arriva mentre contemporaneamente l’America vuole costruire basi permanenti in Afghanistan sotto il capitolo di "basi strategiche" e le sue forze di invasione sono occupate ad uccidere e perseguitare gli afghani in ogni angolo del paese». Per cui, come ha ribadito anche in una intervista all’ANSA il suo portavoce Zabihulla Mujahid, il movimento guidato dal Mullah Omar ha segnalato che «in presenza di una forza militare straniera grande o piccola che sia, continueremo la jihad (guerra santa) fino a che l’ultimo soldato straniero non avrà abbandonato la nostra terra». Sul terreno, la situazione militare è sempre molto difficile, con la Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf, sotto comando Nato) impegnata nel ’surgè nelle province meridionali ed orientali del paese, e con i talebani che dal primo maggio hanno lanciato la loro operazione Badar accentuando l’azione dei kamikaze e gli attentati esplosivi che hanno causato vittime militari e civili. Anche se il Pentagono e lo stesso ministero della Difesa afghano lo escludono, la riduzione del contingente militare americano, che fra l’altro sarà accompagnato da iniziative simili di altri paesi europei, renderà più difficile la salvaguardia dei progressi realizzati contro gli insorti. Ma c’e anche chi esprime ottimismo rivelando che il discorso potrebbe cambiare se le prove di dialogo di questi ultimi mesi, confermate ufficialmente anche a Washington, dovessero diventare più concrete e trovare interlocutori fra i movimenti di opposizione armata. Per il momento le posizioni sembrano ancora distanti, ma l’annuncio da parte di Obama di un ritiro più grande del previsto, e una possibile riduzione, o addirittura sospensione, di operazioni militari notturne da parte dell’Isaf, potrebbero creare i presupposti, che ora mancano, per un avvicinamento reale fra le parti. (LA STAMPA.IT 23 GIUGNO) 27 / 50 AFGHANISTAN: EUROPA ACCOGLIE PIANO OBAMA, ANCHE PER NOI RITIRO GRADUALE Gli alleati europei degli Stati Uniti in Afghanistan hanno accolto positivamente il piano di ritiro graduale annunciato da Barack Obama, che prevede una riduzione di 10mila uomini entro la fine dell'anno e di 33mila entro settembre 2012, annunciando analoghi progetti di disimpegno graduale. Il presidente Nicolas Sarkozy, con una dichiarazione, ha parlato di "ritiro progressivo" da condurre in modo "proporzionato secondo un calendario paragonabile a quello del ritiro delle forze americane". La Francia al momento ha un contingente di 4mila uomini nell'Isaf. Il presidente francese ha inoltre detto che la Francia "condivide l'analisi e gli obiettivi americani e saluta positivamente al decisione del presidente Obama”. Per la Germania ha parlato il ministro degli Esteri, Guido Westerwelle, che già in passato aveva chiesto l'avvio della riduzione del contingente tedesco Isaf - 5mila uomini nel nord dell'Afghanistan - e quindi non ha potuto non salutare con entusiasmo il piano americano. Berlino già nei mesi scorsi ha annunciato l'avvio di un ritiro graduale entro la fine dell'anno, ma ancora non ha annunciato effettivamente quanti soldati torneranno a casa. "Ci stiamo lavorando, ma non daremo numeri specifici fino a quando non sarà arrivato il momento di farlo - ha detto ministro tedesco - e fino a quel momento non ci presteremo ad illazioni". La misura del ritiro sarà decisa in coordinamento con gli altri paesi europei, ha aggiunto ribadendo che l'annuncio di Obama "è un impegno chiaro degli Stati Uniti ad una strategia concordata a livello internazionale". Più cauta la reazione di Londra, che con i suoi 9mila uomini è il secondo contingente dell'Isaf, dopo gli Usa, anche per il numero di perdite umane. David Cameron ha espresso soddisfazione per il discorso di Obama, sottolineando però che la Gran Bretagna continuerà a considerare vincolante la strategia che vede nel 2015 la fine delle operazioni di combattimento. "Noi continueremo a tenere i livelli delle forze in Afghanistan sotto costante revisione - ha detto il premier conservatore - noi abbiamo detto già che non ci saranno truppe di combattimento britanniche in Afghanistan nel 2015 e, e le condizioni sul terreno lo permetteranno, è giusto portare le truppe a casa prima". Anche il ministro della Difesa, Liam Fox, ha evitato di fare promesse riguardo ad un avvio del ritiro graduale: "per quanto riguarda le forze britanniche ogni riduzione dipenderà dalle condizioni sul terreno". Londra, comunque, ha già annunciato che entro quest'estate 450 miliardi torneranno a casa e, secondo alcuni, un nuovo annuncio potrebbe arrivare entro la fine dell'anno. "La strategia britannica e' di finire il ruolo di combattimento nel 2015 senza ma e senza se, non bisogna fare equivoci", ha detto il ministro degli Esteri, William Hague, proprio oggi in visita alle truppe in Afghanistan. (ADNKRONOS 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN: MULLEN PREOCCUPATO PER RITIRO, POLITICI RASSICURANO I vertici militari americani restano perplessi sul piano di ritiro militare dall'Afghanistan annunciato da Barack Obama. A ribadire la preoccupazione di fronte alla commissione parlamentare sulle Forze armate è stato l'ammiraglio Mike Mullen, capo degli Stati maggiori: "Solo il presidente", ha detto, "può davvero decidere il livello accettabile di rischio che siamo chiamati ad affrontare. E credo che lo abbia fatto". "Le decisioni prese", ha aggiunto, "sono più brusche e comportano maggiori rischi rispetto a quelli ai quali mi ero preparato". La preoccupazione dei generali non e' nuova. Gia' in vista dell'annuncio fatto da Obama i vertici militari avevano fatto trapelare un consistente livello di dissenso rispetto a un piano che prevede il ritiro di 10.000 soldati entro quest'anno e di 33.000 entro il 2012. A rassicurare le alte stellette ci ha provato, ancora di fronte alla commissione, Michele Flournoy, sottosegretario alla Difesa. I 68.000 soldati che resteranno in Afghanistan dopo il 2012 sono "più del doppio del numero presente quando il presidente si insediò. "Dunque, ha aggiunto, il piano di ritiro non va inteso come una "fuga verso l'uscita in grado di compromettere la sicurezza". (AGI 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN: INIZIO RITIRO TRUPPE USA, FIDUCIA E TIMORI A BAMYAN E HERAT Preoccupazione perché il futuro è incerto per definizione, ma fiducia sulle capacità delle forze di sicurezza afghane. All'indomani dell'annuncio del presidente statunitense Barack Obama riguardo al ritiro entro la fine dell'anno di diecimila soldati dall'Afghanistan e di altri 23mila entro il settembre del 2012, i governatori del Paese pensano al futuro e si concentrano sul lavoro fatto dalle forze di sicurezza afghane, quasi non curanti della reazione dei Talebani alle parole di Obama. La transizione, che inizierà a luglio, riguarderà Bamyan, Panjshir, Kabul (ad eccezione del distretto di Sarobi), Herat, Mazar-i-Sharif, Mahtarlam e Lashkargah. Ma gli insorti, che considerano l'annuncio un ''passo simbolico'', hanno assicurato che ''la lotta armata si intensificherà di giorno in giorno'' fin quando non si realizzerà ''il ritiro completo” di tutte le truppe straniere. ''La comunità internazionale, le forze della Nato e americane dovrebbero definire una sorta di documento strategico'' per gestire il futuro della transizione, osserva in un colloquio con AKI - ADNKRONOS INTERNATIONAL Habiba Sarabi, governatore della provincia di Bamyan, prima e unica donna a ricoprire questo incarico. Nella provincia, quella dei Buddha distrutti dai Talebani nel 2001, ''la gente e' preoccupata'' per quel che accadrà con il completo ritiro delle forze della coalizione, ''ma al contempo e' convinta che l'Afghanistan e le sue forze di sicurezza debbano assumersi la responsabilità'' di gestione del Paese. ''A Bamyan il livello di sicurezza è buono - dice la Sarabi - e le nostre forze di polizia hanno già iniziato da tempo 28 / 50 a gestire la sicurezza''. A farle eco è il governatore della provincia di Herat, dove sono dispiegati i militari italiani, ma anche molti soldati americani. ''Le capacità delle nostre forze di sicurezza non sono le stesse dello scorso anno - dice ad AKI Dawood Saba - Stanno lavorando molto bene e la situazione della sicurezza nella provincia di Herat è completamente sotto controllo”. ''Non ci sono problemi neanche lungo il confine con l'Iran'', assicura Saba. Anche se quella frontiera è da sempre considerata un nodo delicato per la sicurezza dei confini afghani perché da qui, oltre al contrabbando in ingresso e in uscita di droga e armi, bisogna da contrastare pure il passaggio di elementi ostili. Il governatore di Herat è convinto che l'inizio del ''ritiro'' dei soldati stranieri dall'Afghanistan possa ''avere risvolti positivi'' per il Paese, a cominciare dal fatto che le forze di sicurezza locali, addestrate dai militari della coalizione, avranno l'opportunità di continuare a crescere, a livello di capacità e responsabilità. In ogni caso, sottolinea il governatore, ''non bisogna dimenticare che si tratta di un processo graduale''. Un processo che avviene, tra l'altro, in un momento in cui - secondo Saba - i Talebani hanno perso terreno rispetto al 2010. ''Non hanno più la forza che avevano lo scorso anno'', conclude, e la Sarabi tiene a sottolineare che andrà avanti la ''battaglia contro i Talebani'' anche perché ''la lotta al terrorismo è nell'interesse della comunità internazionale e non solo dell'Afghanistan''. (ADNKRONOS 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN:TALEBAN,PER USA CONTANO SOLO BASI Per i talebani non è questo primo ritiro delle truppe americane annunciato da Barack Obama la chiave per trovare una soluzione al conflitto in Afghanistan ed eventualmente avviare un dialogo politico di pace perché gli americani vogliono solo avere delle basi militari nel Paese. La posizione dei talebani e' stata spiegata in una intervista all'ANSA dal portavoce dell'Emirato islamico dell'Afghanistan, Zabihullah Mujahid, poco prima che fosse pubblicato dai talebani un comunicato sull'annuncio di Obama ''del ritiro di un limitato gruppo di soldati americani'' dal paese. Dalla stanza dei bottoni, che alcuni sostengono si trovi non in Afghanistan ma in Pakistan, da dove orchestra i contatti con la stampa locale ed internazionale, Mujahid ha risposto via e-mail a domande riguardanti l'inizio del ritiro delle truppe Usa, le affermazioni della Casa Bianca sui progressi ottenuti nel conflitto e sull'ipotesi di un possibile dialogo di pace. Ieri sera il presidente degli Usa ha annunciato il ritiro di 10.000 soldati dall'Afghanistan entro l'anno e di 33.000 entro l'estate del 2012. ''La riduzione delle forze americane in Afghanistan non è la soluzione del problema'', ha sostenuto il portavoce, secondo cui ''nella sostanza gli americani non hanno alcuna intenzione di lasciare l'Afghanistan''. Da una parte infatti, ha spiegato, ''gli Usa annunciano una riduzione del numero delle loro truppe, mentre dall'altra cercano di realizzare investimenti a lungo termine e di ottenere la costituzione di basi militari''. Un tema ripreso anche nel comunicato ufficiale diffuso oggi in cui si indica che ''il ritiro simbolico'' avviene proprio mentre ''l'America vuole costruire basi permanenti in Afghanistan dietro il paravento di un 'accordo strategico''' e ''mentre occupa le sue forze di invasione in uccidere e perseguitare la popolazione in ogni angolo dell'Afghanistan''. Per realizzare questo piano, sottolinea Mujahid, ''gli Usa hanno designato il 'fantoccio' (presidente Hamid) Karzai come collaboratore per aiutarli a restare in modo permanente con l'aiuto di una falsa Jirga (grande assemblea)'' di cui il capo dello Stato ha annunciato la convocazione entro l'anno. Insomma, per il portavoce talebano la partenza di dieci o 30.000 soldati ''non fa alcuna differenza. Se davvero loro vogliono la pace in Afghanistan, dovrebbero almeno sospendere l'uccisione di afghani innocenti con i raid aerei. Ma comunque non accetteremo mai colloqui ufficiali fino al ritiro completo di tutte le truppe dal Paese''. Nel loro comunicato ufficiale i talebani si rivolgono poi al popolo americano che deve ''deve prendere serie iniziative per mettere fine a questo insensato spargimento di sangue''. I contribuenti americani devono capire, si dice, che ''come negli anni precedenti il loro denaro e' di nuovo speso in una guerra senza obiettivo e senza senso o finisca nelle tasche di funzionari del regime corrotto di Kabul''. Se essi non reagiscono ora ''saranno costretti a farlo in futuro per poter uscire dalla crisi'' in cui sono immersi gli Stati Uniti. Circa le affermazioni di Obama secondo cui l'azione militare ha ridotto di molto le capacità dei talebani, Mujahid ricorda che ''per ammissione della stessa America nel 2010 abbiamo realizzato 18.000 attacchi contro le truppe Nato in Afghanistan, e per questo lasciamo rispondere alla gente se questo significa che siamo più deboli''. Vaga ma significativa infine la risposta sull'esistenza o meno di contatti di pace, come sostenuto da fonti ufficiali americane: ''Faremo tutto quello che sarà possibile per la pace in Afghanistan, ma gli Usa stanno usando la forza per sottomettere gli afghani con l'aiuto del regime di Karzai. Fino a quando gli americani utilizzeranno la forza come soluzione, Non vedo alcuna possibilità di pace in Afghanistan''. (ANSA 23 GIUGNO).

AFGHANISTAN/ NATO, RASMUSSEN: RITIRO USA È FRUTTO DEI PROGRESSI Il ritiro parziale delle truppe americane impegnate in Afghanistan è "il risultato dei progressi" realizzati sul campo contro gli insorti afgani: lo ha affermato oggi il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen. "Ho parlato con il presidente Obama. La sua decisione di procedere a un ritiro delle forze americane a luglio è il risultato naturale dei progressi che abbiamo realizzato sul terreno", ha commentato il leader dell'Alleanza atlantica in un comunicato. "I talebani sono sotto pressione. Le forze di sicurezza afgane 29 / 50 si rafforzano ogni giorno e potranno prendere il testimone (dalle forze internazionali, ndr) nel 2014", ha sottolineato ancora Rasmussen. "La nostra strategia porta risultati e il ruolo della Nato e di Isaf evolverà, passerà dal combattimento al sostegno" alle forze locali, ha insistito il segretario generale. (TMNEWS 23 GIUGNO)

ARLACCHI, ITALIA NON RINUNCI A INVESTIRE IN AFGHANISTAN La svolta di Obama sull'Afghanistan è un fatto rilevante, ma l'Italia non deve abbandonare il suo impegno nel Paese, soprattutto dal punto di vista degli investimenti economici. E' l'opinione espressa da Pino Arlacchi, presidente del gruppo europarlamentari per l'Afghanistan, e relatore sulle strategie dell'Ue. "Herat in particolare - sottolinea Arlacchi - è una zona ricca di risorse petrolifere e naturali nella quale i cinesi stanno investendo moltissimo. Noi invece siamo in ritardo". "Nel suo recente viaggio in Italia - ricorda - il governatore Daud Shah Saba ha invitato le nostre aziende a impegnarsi in quei territori, si tratta di una occasione da non perdere". Arlacchi ha fatto un bilancio della presenza italiana in Afghanistan a fianco delle comunità internazionale, sottolineando che "il lavoro svolto, soprattutto dal punto di vista della cooperazione, e' stato eccezionale. L'Italia - ha spiegato l'europarlamentare - ha dato un contributo notevole sul piano degli aiuti umanitari e della ricostruzione infrastrutturale". L'eurodeputato condivide la strategia di exit strategy annunciata da Obama, a patto che sia molto graduale. "Se si pensa che tutto il lavoro sia finito in Afghanistan si sbaglia - ha osservato - invece c'è molto da fare dal punto di vista della ricostruzione del tessuto civile e l'Occidente non può disimpegnarsi". L'europarlamentare invita infine gli Stati Uniti a intensificare gli sforzi sul versante del dialogo di pace: "Obama ha fatto una timida apertura in tal senso, ma ora deve essere più deciso". (AGI-PEI NEWS 23 GIUGNO).

COSTRUIRE LA PACE (DI PIU’) ______

L'AFGHANISTAN E LE PICCOLE ALLIEVE SENZA VOLTO La scuola delle bambine nel villaggio di Qala-I-Khuna, mille abitanti nel cuore del Gulistan, distretto dell’Afghanistan occidentale, è presidiata da poliziotti locali con il fucile spianato. Il muro di cinta è alto due metri, in cima ha il filo spinato. I soli visitatori uomini ammessi sono un tenente dei parà che parla la lingua dari e fa da interprete e il tenente colonnello Sergio Cardea, comandante della vicina Fob (base operativa avanzata) “Ice”, affidata ai militari italiani. Ci aiutano nella lunga trattativa con Khush Del Khan, responsabile dell’istruzione nel distretto, e con la preside dell’istituto. Otteniamo di poter vedere le 260 ragazze tra i 7 e i 14 anni che frequentano le sette classi della scuola e di poterci chiacchierare. All’inizio ci viene tassativamente vietato di riprenderle e fotografarle, poi arriva qualche piccola concessione, con la promessa di schermare nelle foto i volti delle allieve. Nessuna delle insegnanti vuole comunque parlare davanti alla telecamera. Hanno paura. “Il problema non è che siano bambine e donne – spiega Khush Del Khan –, ma che siano bambine e donne in una classe. Questo le mette in pericolo”. Le bambine afgane, soprattutto nelle zone rurali, vanno a scuola scortate perché ognuna di loro è un simbolo da colpire. Il regime talebano proibiva alle femmine di studiare e ancora oggi molte famiglie preferiscono tenerle in casa per non rischiare. Gli attacchi degli insorti infatti si sono intensificati negli ultimi mesi anche in aree prima considerate sicure e gli obiettivi sono spesso edifici scolastici, dati alle fiamme, ma anche insegnanti e studentesse, picchiate, sfregiate con l’acido, uccise. Alle fine di maggio i talebani hanno ucciso il preside di un istituto femminile vicino a Kabul, dopo avergli intimato più volte di non insegnare alle ragazze. Non più tardi di quattro mesi fa il ministro dell’Educazione afgano, Farooq Wardak, aveva annunciato con soddisfazione che i leader talebani si erano impegnati a non perseguitare più le bambine che studiano. La notizia però era sembrata a molti più un auspicio del governo che una reale conquista. Dal 2001 l’istruzione in Afghanistan, anche quella femminile, ha fatto grandi progressi. Secondo la ricerca di un gruppo di Ong e coordinata da Oxfam, oggi frequentano la scuola 2 milioni e mezzo di ragazze (nel 2001 erano 5 mila), su un totale di 7 milioni di studenti (meno di un milione in epoca talebana, per i circa 20 milioni di abitanti di allora). I giovani afgani nelle aule sono però meno della metà di quelli in età scolare e il tasso di analfabetismo femminile è ancora il doppio di quello maschile (in generale, meno di una persona su tre sa leggere e scrivere). Le agenzie umanitarie hanno pubblicato questi dati per lanciare un allarme: “Le giovani afgane non chiedono altro che istruzione – sottolinea Neeti Bhargava, direttore dei programmi Oxfam in Afghanistan –. In realtà il sistema scolastico sta fronteggiando una delle sfide più difficili dal 2001. Stiamo assistendo a una marcia indietro”. Il timore delle Ong è che la comunità internazionale stia concentrando gli sforzi nel Paese più nella stabilizzazione e nella lotta ai ribelli che nell’istruzione e che dopo il ritiro delle truppe Nato, previsto per il 2014, le donne afgane verranno abbandonate. Un pericolo da scongiurare, considerato che, sempre secondo Oxfam, il tasso di mortalità infantile di una nazione (l’Afghanistan è in cima alla triste classifica mondiale) scende dal 5 al 10 per cento per ogni anno in più di permanenza delle ragazze a scuola. E che per la Banca 30 / 50 mondiale, aumentare il numero di donne con un’istruzione secondaria dell’1 per cento fa crescere il reddito pro capite in un paese dello 0,3 per cento. I maggiori ostacoli all’alfabetizzazione femminile in Afghanistan sono la povertà, i matrimoni combinati in giovane età, la mancanza di strutture e materiale scolastico, la carenza di insegnanti preparati (le donne sono solo il 30% del totale) e, appunto, la paura di ritorsioni. Le bambine della scuola di Qala-I-Khuna sembrano tutt’altro che spaventate. Hanno occhi grandi e accesi, i capelli raccolti nel velo. Divertite e incuriosite dai visitatori stranieri, per vedere meglio si arrampicano a piedi nudi sulle finestre del corridoio azzurro. Al ritorno davanti alla lavagna, scambiano con noi un paio di frasi in inglese e ci mostrano orgogliose i quaderni stropicciati e gli zainetti colorati. Studiano le lingue farsi e pashtu, inglese, geografia, biologia, storia, matematica e il Corano in arabo. La scuola è stata ricostruita e riaperta a febbraio grazie ai militari italiani, dopo che i talebani l’avevano distrutta l’estate scorsa. Era l’unico istituto femminile in un’area considerata la più a rischio tra quelle sotto la responsabilità italiana. “C’è voluto più di un mese per convincere le shure (le assemblee dei saggi, ndr) e le famiglie che erano state minacciate dagli insorti a mandarci le ragazze – aggiunge il responsabile scolastico –. Nel villaggio la situazione della sicurezza va meglio ora, il leader talebano locale è stato ucciso tre settimane fa. Ma in Gulistan altre sette scuole rimangono chiuse”. Prima dei saluti Khush Del Khan ringrazia i militari della base italiana per l’arrivo di quaderni e penne. Risponde però “no, grazie” all’offerta di banchi e sedie: le bambine preferiscono stare accovacciate sui tappeti con la scritta “Ministry of Education”. (SKYTG24.IT 28 GIUGNO DI CRISTINA BASSI)

AFGHANISTAN, L'ECONOMIA RISORGE SULLA NEVE Un paio di sci per far ripartire l'economia nell'Afghanistan sfiancato dalla guerra. E' la sfida di Ferdinando Rollando, guida alpina e maestro di sci, che ha lasciato le sue Alpi valdostane per gli altopiani del Paese asiatico inseguendo un progetto ambizioso: formare istruttori di sci-alpinismo e sci di fondo per rilanciare il turismo invernale nella valle Bamiyan, uno dei luoghi più suggestivi dell'Afghanistan. "Credo che l'assenza di un'economia normale legata al territorio e alla gente dopo trent'anni anni di guerra sia uno dei problemi principali", dichiara Rollando, che è arrivato in Afghanistan alcuni mesi fa per conto della prima agenzia turistica afghana, finanziata dalla Fondazione Aga Khan. "Lo sci e' una delle scorciatoie per ottenere qualche risultato - spiega - e così in effetti e' stato nei primi tre mesi di attività". All'inizio, racconta l'alpinista, il lavoro non e' stato facile, sia per la mancanza delle infrastrutture di base - compreso il riscaldamento nelle stanze - sia per la diffidenza delle comunità locali: molti allievi, infatti, erano restii ad allenarsi, e la comunità di un villaggio era contraria a far sciare le donne. Ora, però, il progetto ha imboccato la strada giusta, e va avanti per realizzare una vita "basata sulla bellezza e sull'economia e non sul pericolo e sul terrorismo". Anche il ministro degli Esteri, Franco Frattini, racconta Rollando, è rimasto colpito da questo progetto. "Lui e' maestro di sci e ha visto subito come ci fosse un messaggio di pace e di normalità" nell'iniziativa, spiega la guida. (AGI 27 GIUGNO)

RUGBY&OLIMPIADI - L'AFGHANISTAN, DALLA GUERRA AL RUGBY SOGNANDO RIO 2016 I ragazzi del rugby afgano si allenano su un brullo campo di terra, mentre i soliti elicotteri americani pattugliano il cielo sopra le loro teste. Pochi di loro possiedono la robusta struttura fisica del rugbista cui siamo abituati: la maggior parte di loro è magrolina, gracile, sottile, ma non si tira indietro davanti a un placcaggio. Sollevano alta la terra che il vento si porta via; corrono senza stancarsi, senza scarpe, a piedi nudi. Il rugby afghano inizia da qui, dai luoghi dove l'orrore talebano ha lasciato segni profondi, come quelli delle bombe kamikaze che hanno spezzato le vite di migliaia di innocenti, e da dove, con la palla ovale, questi atleti vogliono fondare la loro nuova, giovane eredità sportiva. Tra un passaggio e l'altro, i ragazzi si immaginano di giocare contro gli All Blacks e gli Springboks, ma prima di centrare questi obiettivi c'è ancora molta strada da fare. Nonostante l'occupazione britannica sia stata protagonista all'interno delle dinamiche afghane, il rugby non è mai riuscito ad attecchire, anche se gli sport di contatto sono tradizionalmente praticati: anche i bambini praticano un gioco affine alle regole del rugby, mentre le guerre tra gli adulti hanno insegnato alle giovani generazioni a non aver paura di gettarsi contro gli avversari. "Non temono il contatto fisico nel gioco", conferma Steve Broocking, un volontario inglese che dà una mano alla squadra afghana, dalla organizzazione logistica e materiale a qualche dritta tecnica. La buona volontà non manca in Afghanistan, così come la speranza per una vita normale, ma la guerra rimane una presenza prepotente, come una tetra ombra che rende tutto più gravoso. Per esempio, anche trovare un posto per allenarsi è un'impresa epica, degna delle più eroiche vittorie della storia del rugby. I bombardamenti che ancora flagellano città come Herat costringono gli organizzatori a cancellare stage e allenamenti. Anche nella capitale Kabul la vita dei rugbisti non è semplice: spesso bastano pochi metri quadrati nel parco cittadino, perché l'importante è giocare. Per fortuna, però, lo stadio Olimpico di Kabul è rimasto in piedi, e la giovane squadra ovale si ritrova di tanto in tanto lì, nell'arena dove il governo talebano tagliava le mani ai ladri e le teste ai dissidenti. Ma il regime ora sembra solo un brutto incubo, e tutti gli sport banditi dall'Afganistan stanno rinascendo dalle loro ceneri. Hockey, pallamano, calcio e il famosissimo e blasonato cricket stanno 31 / 50 piano piano trovando la loro strada e i loro atleti "perduti". E gli atleti ovali si augurano per il loro sport lo stesso successo toccato al cricket: la certezza del crescente interesse e sviluppo del rugby nei Paesi asiatici e mediorientali è la mano giusta che serve al movimento afgano per crescere, con l'obiettivo delle Olimpiadi brasiliane del 2016. "Stiamo lavorando in collaborazione con la Asian Rugby Football Union, investendo 3 milioni di dollari all'anno per organizzare stage e tornei. Siamo certi nel successo di questo programma" ha detto il presidente dell'IRB, Bernard Lapasset. Per abbracciare il sogno olimpico a sette, l'Afghanistan ha tante sfide da vincere. Entrare nell'AFRU prima e nell'IRB poi è semplice come un calcio tra i pali, soprattutto per chi deve iniziare dalle basi. Ma la squadra afghana non teme le sfide, perché quella più grande - quella della pace - è quasi vinta. E con la stessa pazienza, gli afgani riusciranno a vincere anche la scommessa ovale, con pratica, allenamenti, sudore e fatica. Un placcaggio dopo l'altro, un passo alla volta. (BLOG RUGBY 1823 DI DUCCIO FUMERO 27 GIUGNO)

IN AFGHANISTAN UNA RETE WI-FI OPEN CREATA DAL JALALABAD FABLAB Accade in Afghanistan, e più precisamente a Jalalabad, dove alcuni ricercatori della National Science Foundation hanno creato un sistema che consente l’accesso a Internet a chi si trova nel raggio che parte dall’acquedotto dell’ospedale della città afghana. Inoltre è stato testato per funzionare anche in caso di pioggia battente, innalzamento dei livelli di smog e barriere create da vegetazione particolarmente fitta. E – raccontano fonti locali – si tratta solo del primo passo: il progetto è infatti predisposto perché con il tempo possano essere aggiunti nodi che aumentino la portata del segnale e sia possibile dunque accedere alla rete anche in altri quartieri. Ma non solo. Sul blog creato dai ricercatori del Jalalabad FabLab si parla anche di Schoolnet: attraverso laptop “made in Afghanistan”, gli studenti di diverse scuole potranno connettersi a Internet attraverso server appositamente installati e avere accesso a risorse simili a quelle messe a disposizione dal MIT’s OpenCourseWare, oltre a collaborare tra loro attraverso piattaforme wiki. (TUXJOURNALE.NET 27 GIUGNO DI ANTONELLA BECCARIA)

IL TOUR DI AFGHANISTAN, UNA MAGLIETTA ROSA PER HASHMATULLAH Non si tratta di vincere la guerra, né di perderla. Per una volta in Afghanistan si tratta solo di competere e di arrivare primi. E il vincitore è Hashmatullah Barakzai. Un eroe nel suo paese, Maidan Wardak, che da anni conosce solo le armi e la violenza. Ma Barakzai non è un combattente, non è un militante, è solo, o forse soprattutto, uno sportivo che ieri ha tagliato il traguardo dopo 540 km di corsa, lasciandosi alle spalle 45 compagni. La sua arma è una bicicletta, un caschetto e un’energia sconfinata. Un campione già in altri paesi, due medaglie d’oro e una di bronzo in diverse gare eppure per lui come per gli altri gli altri, questi tre giorni sotto un sole cocente, non sono stati un’esperienza come le altre: è stata la prima volta che in Afghanistan si disputava un tour ciclistico e i primi 15 classificati si sono qualificati per entrare nella squadra nazionale afgana. 540 km da Kabul a Badakhshan nel nord est, attraverso le insidie di un paese impregnato di orrori. “Si è svolto in tre tappe, tra valli, montagne e strade sterrate, abbiamo dovuto scegliere un percorso che prevedesse di non andare nel sud, dove si combatte – ha spiegato Mohammed Sadiqi, capo della federazione afghana ciclistica – ma di sicuro, il tour non era immune dai pericoli: gli incidenti stradali che probabilmente fanno più vittime della guerra”. Poi il rischio di attentati, di mine piazzate sulle strade, spesso non asfaltate e agguati dei talebani ostile allo sport e che all’epoca del regime (1996-2001) avevano vietato qualsiasi tipo di disciplina. I quarantacinque, in tre giorni, ce l’hanno fatta, nonostante abbiano percorso a nord la pericolosa autostrada di Kabul, per poi superare il giorno dopo il palazzo del governatore locale, mezzo distrutto da un’autobomba, e abbiano raggiungendo il terzo giorno la provincia di Kunduz, roccaforte dei talebani del nord e sotto il debole controllo del contingente tedesco, per poi approdare a Takhar dove un mese fa è stata assassinato il capo della polizia del nord dell’Afghanistan Daud Daud. Irriducibili con le loro biciclette colorate e i fuseaux attillati, hanno pedalato fino alla fine, mangiando polvere e pericolo, superando gli ostacoli avvolti da un caldo secco che ha toccato punte di 45 gradi. “Ci auguriamo che sempre più giovani si avvicinino agli sport e che si investa in questo settore”, ha detto il governatore di Badakhshan accogliendo i primi 15, tra i quali Hasmatullah Tokhi di Kabul arrivato secondo e Ramin Raufi della turbolenta provincia di Balkh, giunto terzo. Il primo impegno dei nuovi atleti della nazionale? “Parteciperanno il mese prossimo ai giochi asiatici” ha confermato Sadiki che in 15 province afgane gestisce 200 ciclisti professionisti tra i quali venti donne. (IL FATTO QUOTIDIANO 25 GIUGNO DI BARBARA SCHIAVULLI)

RAPPORTO DROGA ONU: AUMENTATO USO DROGHE SINTETICHE E OPPIACEI Il mercato globale della cocaina, eroina e cannabis si è ridotto o è rimasto stabile, mentre è aumentata la produzione e l'abuso di farmaci oppiacei e di nuove droghe sintetiche. E' quanto afferma il Rapporto mondiale dell'Onu sulla Droga 2011 presentato oggi presso la sede delle Nazioni unite dal Segretario Generale Ban Ki-moon; da Yuri Fedotov, direttore esecutivo dell'Ufficio delle Nazioni unite contro la Droga e il Crimine (Unodc); da Joseph Deiss, presidente dell'Assemblea Generale; da Gil Kerlikowske, direttore del 32 / 50 Dipartimento delle Politiche anti-droga della Casa Bianca e da Viktor Ivanov, capo del Servizio federale russo anti-droga. La coltivazione illegale del papavero da oppio e di coca è limitata a pochi Paesi. Nonostante il forte calo della produzione di oppio ed una leggera riduzione della coltivazione della coca, in generale, la loro produzione è ancora considerevole. A livello mondiale, circa 210 milioni di persone, pari al 4,8 per cento della popolazione compresa tra i 15 e i 64 anni, ha assunto sostanze illegali almeno una volta nel corso dei dodici mesi precedenti. In generale l'uso di droghe, compreso il loro uso problematico, (0,6 per cento della popolazione di età compresa tra i 15 e i 64 anni) è rimasto stabile. Nel 2010 la coltivazione mondiale del papavero da oppio ha raggiunto i 195.700 ettari circa, registrando un lieve incremento rispetto al 2009. La produzione di oppio in Afghanistan, invece, è diminuita del 38% scendendo a 4.860 tonnellate a causa di una patologia delle colture. Ciononostante, la maggior parte della produzione si registra ancora in Afghanistan (3.600 tonnellate o 74% del totale mondiale). La coltivazione è invece aumentata del 20% a Myanmar, rispetto al 2009 e di conseguenza la produzione di oppio è passata dal 5% della produzione globale nel 2007 al 12% nel 2010. In Afghanistan a causa dello scarso raccolto, la produzione globale di oppio tra il 2007 e il 2010 è diminuita del 45%. Stando alle cifre dell'Onu, la cannabis rimane di gran lunga la sostanza illegale più prodotta e consumata a livello mondiale anche se i dati sono scarsi. Nel 2009, tra il 2,8 ed il 4,5% della popolazione mondiale tra i 15 e i 64 anni - tra 125 e 203 milioni di persone - ha fatto uso di cannabis almeno una volta negli ultimi dodici mesi. L'Afghanistan ha continuato a produrre la più grande quantità mondiale di resina di cannabis - fino a 145 kg per ettaro, rispetto ai 40 kg per ettaro del Marocco. Nel 2010, gli agricoltori afgani hanno notato che la pianta di cannabis è una coltura molto più redditizia rispetto al papavero da oppio. Secondo il rapporto è in aumento la produzione, il traffico ed il consumo di stimolanti di tipo anfetaminico, soprattutto nel Sud-est asiatico dove "ai miglioramenti nei mercati delle droghe tradizionali si contrappone una moda per le sostanze sintetiche cosiddette 'designer drugs', che imitano le sostanze illegali". Molte sostanze non regolate vengono commercializzate come 'sballi legali', sostitutivi delle sostanze stimolanti illegali, come la cocaina o l'ecstasy. La metanfetamina, una sostanza che crea una forte dipendenza, si sta diffondendo in tutta l'Asia orientale e nel 2009, dopo diversi anni di declino, ha cominciato a diffondersi nuovamente nel Nord America. Difatti, il 2009 è stato un anno record per quanto riguarda i sequestri di droghe sintetiche, in gran parte determinati da intercettazioni di metanfetamine - la cui produzione in quell'anno è aumentata di oltre un terzo (15,8 tonnellate) rispetto al 2008 (11,6 tonnellate) - particolarmente a Myanmar. Questo Paese è uno dei principali produttori di pillole di metamfetamina nell'area del Sud-est asiatico, ma anche l'Africa sta emergendo come produttore di metanfetamine destinate all'Asia orientale. (TMNEWS 23 GIUGNO)

COMMENTI (DI Più)______

QUI BATTE IL CUORE DEI PARÀ Vorrei rivolgere un saluto, insieme con tutti i paracadutisti del reggimento, alle persone care lontane per far sapere loro come stiamo. L’attività è intensa, ma il morale è buono. Vorrei che voi poteste vedere questi ragazzi meravigliosi al lavoro, le loro facce e i loro sguardi profondi, ognuno pronto a fare la propria parte, ognuno conscio di essere un pezzo importante di una macchina complessa. Ogni volta che incontro i paracadutisti, alla base, nel deserto, mi gratificano di un sorriso, una battuta, e si va avanti con le operazioni. La povertà in questa remota provincia dell’Afghanistan è estrema. Gli abitanti vivono sotto il giogo di pochi delinquenti e sono addolorato soprattutto quanto vedo i bambini, sapendo che qui la vita non è uguale per tutti. In ogni caso i paracadutisti vanno avanti, con il sostegno della loro bellissima famiglia, ma anche grazie al supporto del distaccamento e dei numerosi amici del reggimento. Se la nostra vita emotiva + privata di certi sentimenti per la lontananza siamo ricambiati dal sapere che in tanti ci vogliono bene e facciamo parte di una comunità che ricambia i nostri sacrifici. Vi lascio dicendovi che siete sempre nel nostro cuore e presenti nella quotidianità della vita di ogni giorno, perché siete l’Italia che noi ricordiamo e amiamo e che vogliamo rivedere presto al nostro ritorno. (PANORAMA 30 GIUGNO DEL COLONNELLO LORENDO D’ADDARIO)

IL COLPO DI CODA DEI TALEBANI CONTRO LA "TRANSIZIONE" A KABUL Un attentato spettacolare e drammatico nel cuore di Kabul. quello che nella notte tra martedì e mercoledì ha causato 21 morti (compresi i 6 attentatori) qui a Kabul, con la perfetta scelta del luogo: l'hotel Inter- continental (che insieme all'hotel Serena ospita la più parte della stampa internazionale e delle delegazioni straniere); e del momento in cui colpire: il giorno di avvio della conferenza che raccoglie allo stesso tavolo i membri del governo, i vertici delle forze di sicurezza e i governatori provinciali, cioè di coloro che di fatto, a partire dal 21 luglio dovranno guidare l'avvio della «transizione», il passaggio di consegne tra Isaf e le autorità afghane. Per capire la successione di attentati che in questi giorni sta insanguinando il Paese occorre 33 / 50 proprio partire da qui, da questo concetto che racchiude a scommessa su cui la Nato, ma in realtà anche l'Onu e l'intera comunità internazionale si giocano la faccia e gli afghani si giocano la vita. A parte la cessazione di oltre 30 annidi guerre, non c'è nulla che gli afghani sembrano desiderare più ardentemente della fine della presenza politica e militare straniera sul loro suolo. E non c'è nulla di cui gli afgani sembrano aver più paura. Questo sentimento duplice, a Kabul e in tutto l'Afghanistan, si respira nell'aria. Non c'è persona, dai comandanti dell'Ana (Afghan National Army) ai leader politici, fino ai rappresentanti della società civile e a quelli del mondo degli affari, che non sostenga la stessa opinione: «È giunto il momento per noi afgani di tornare ad assumerci la responsabilità del nostro Paese e di garantirne la sicurezza, lo sviluppo e la governance». È in questa triade, del resto, che si articola la transizione. Evidentemente, non è per nulla scontato che il processo vada in porto con successo. Anzi. II «comprehensive approach» (militare, politico ed economico) perseguito dalla Nato rappresenta certamente la sola via per porre fine a dieci anni di intervento militare occidentale, ma richiede che queste tre dimensioni si incastrino tra loro come le tessere di un puzzle difficilissimo. Inutile dire che, affinché l'esercizio riesca, sarà necessaria anche una notevole dose di fiducia e di speranza da parte sia degli afgani sia della comunità internazionale. E occorrerà che il futuro prenda il posto del passato, come orizzonte temporale dominante dell'Afghanistan. Ed è proprio questo che gli insorgenti mirano a scoraggiare. Prima il micidiale attentato contro un ospedale nella provincia di Kabul, poi il cuore steso della capitale: il senso del messaggio talebano è chiaro. Fare intendere che «transizione» è solo un modo più educato (e ipocrita) per dire «tutti a casa». La paura degli attentati è così tornata a dominare la vita di Kabul, ma anche di Mashar-e-Sharif, dove il 1 aprile la sede di Unama, la missione dell'Onu dedicata ad assistere l'Afghanistan venne presa d'assalto dalla folla inferocita per il rogo del Corano organizzato negli Stati Uniti da un pastore estremista. Eppure, la gravità dell'attentato non dovrebbe fare dimenticare che proprio a Kandahar, nel Sud del Paese, una delle zone dove gli insorgenti sono ancora sensibilmente forti, 14 attentati suicidi sono stati sventati dalle operazioni congiunte di Isaf e Ana e nessun attentatore è riuscito a colpire edifici governativi o delle forze di sicurezza. Il paradosso, a ben guardare, è che proprio il settore della sicurezza appare quello meno problematico della transizione. Soprattutto l'esercito ha visto aumentare non solo i numeri dei suoi effettivi, ormai vicini ai programmati 175.000 uomini, ma soprattutto la qualità de suo personale. Le stesse forze di polizia, che hanno a lungo goduto di una pessima reputazione, stanno cominciando a guadagnare numeri, efficienza e consenso presso la popolazione. I vertici militari di Isaf insistono molto sul fatto che è proprio la dimensione militare è quella che mostra i segnali più incoraggianti e scommettono sul successo del passaggio di consegne alle loro controparti afghane, il cui «mentoring» continuerà comunque fino al termine del 2014. L'annuncio del ritiro del surge da parte del presidente Obama non ha sorpreso nessuno e sia Isaf sia i comandanti afghani sembrano fiduciosi che questo possa non incidere negativamente sui piani previsti. Ma occorre chiedersi come farà l'Afghanistan, che resta sempre il quinto Paese più povero del mondo, a mantenere un apparato di sicurezza formato da 350.000 professionisti (tra soldati e poliziotti), a malapena necessari per riuscire a consolidare la sicurezza dopo il 2015. La stessa soluzione politica, del resto, con la riconciliazione nazionale e le reintegrazione degli ex insorgenti nella vita sociale ed economica dell'Afghanistan, è legata alla possibilità che il Paese possa fare progressi decisi anche nel campo dello sviluppo economico e politico. La comunità internazionale ha promesso il suo sostegno anche dopo il 2015. Ma il timore che viene espresso in tante conversazioni off record con i vertici politici e militari di Kabul è che, una volta che i soldati occidentali saranno tornati a casa, sarà molto difficile che le opinioni pubbliche siano ancora disposte ad avallare spese per l'Afghanistan, sia pure destinate in aiuti allo sviluppo e non in assistenza militare. Si tratta di una preoccupazione non infondata, effettivamente, oltretutto alimentata dalla percezione di un quadro regionale piuttosto ostile, in cui il Pakistan e l'Iran giocano una partita che ha per campo di battaglia e per posta l'Afghanistan. Visto da Herat, il fantasma dell'Iran, con la sua crescente influenza economica su una delle regioni più sviluppate del Paese e con il suo appoggio crescente a diverse formazioni di insorgenti, appare tutto fuorché una manifestazione di paranoia. Gli afghani sono disposti a fare la lo- ro parte, ma chiedono alla comunità internazionale di non abbandonarli una volta che Isaf si sarà ritirata. Ma la sensazione è che i cittadini e i contribuenti occidentali, dopo dieci anni di guerra, siano semplicemente stufi di sentir parlare di Afghanistan. (LA STAMPA 30 GIUGNO DI VITTORIO EMANUELE PARSI)

PERDERE POCO E SUBITO Nel 2009 Obama annunciò di voler aumentare le truppe in Afghanistan. In quell'occasione dissi che poteva avere successo a tre condizioni: che il Pakistan diventasse un Paese diverso, che il presidente afghano Hamid Karzai diventasse un uomo diverso e che riuscissimo a fare esattamente ciò che sosteniamo di non fare, e cioè la ricostruzione nazionale dell'Afghanistan. Niente di tutto ciò è successo, ecco perché credo ancora che le nostre opzioni in Afghanistan siano: perdere presto, perdere tardi, perdere molto o perdere poco. Io voto per presto e poco. La mia diffidenza nei confronti dell'Afghanistan nasce da queste tre domande: Quando ci ha reso felici il Medio Oriente? Come è finita la guerra fredda? Cosa avrebbe fatto Ronald Reagan? Diamo 34 / 50 un'occhiata a tutte e tre le questioni. Quando ci ha reso più felici il Medio Oriente in questi ultimi decenni? E' semplice: 1) quando Anwar el-Sadat ha fatto la sua visita a sorpresa a Gerusalemme, 2) quando in Iraq la rivolta sunnita contro le forze pro-Al Qaeda ha cambiato il corso delle cose 3) quando nel 2001 il regime talebano fu sconfitto dai ribelli afghani, sostenuti solo dalle forze aeree e da qualche centinaio di forze speciali degli Stati Uniti, 4) quando israeliani e palestinesi sottoscrissero un accordo segreto di pace a Oslo, 5), quando in Iran è scoppiata la Rivoluzione Verde 6), quando in Libano è scoppiata la Rivoluzione dei Cedri; 7) quando sono scoppiate le rivolte perla democrazia in Tunisia, Libia, Yemen, Siria ed Egitto; 8) quando Israele si ritirò unilateralmente dal Libano meridionale e da Gaza. E che cos'hanno in comune? L'America non aveva quasi niente a che fare con tutte queste cose. Erano iniziative della gente, non le abbiamo viste arrivare, e per la maggior parte non ci sono costate un centesimo. E questo cosa ci suggerisce? La verità più importante sul Medio Oriente: funziona solo quando parte da loro. Se non parte da loro, se non hanno il controllo su una nuova iniziativa di pace, una battaglia o una lotta per il buon governo, non ci sono truppe americane, non c'è calcio d'inizio, moine o distribuzione di denaro che tengano. E se parte da loro, davvero non hanno bisogno di noi o non ci vogliono tra i piedi a lungo. Quando le persone prendono l'iniziativa - come l'originaria coalizione afgana che rovesciò il governo talebano, come gli egiziani in piazza Tahrir, come gli operatori di pace egiziani e israeliani - sono autosufficienti e l'aiuto degli Stati Uniti potrà agire da moltiplicatore di efficacia. Quando proprio non vogliono - un governo decente nel caso dell'Afghanistan - o quando pensano che vogliamo qualche esito più di quanto lo vogliano loro, saranno felici di tenerci per il bavero, rivoltarci le tasche e rivenderci più e più volte lo stesso tappeto. Per quanto riguarda la fine della guerra fredda, è facile. Si è conclusa quando i due governi - l'Unione Sovietica e la Cina maoista, che fornivano finanziamenti e giustificazioni ideologiche ai nostri nemici - sono crollati. La Cina ha subito una pacifica trasformazione interna dal comunismo maoista al capitalismo e l'Unione Sovietica ha vissuto un passaggio disordinato dal marxismo al capitalismo. Fine della guerra fredda. Da allora ci siamo trovati sempre più coinvolti nella guerra a un altro movimento globale: l'Islam radicale jihadista. E alimentato dal denaro e dall'ideologia di Arabia Saudita, Pakistan e Iran. L'attacco dell'Il settembre era fondamentalmente un'operazione congiunta da parte di cittadini sauditi e pakistani. I bombardamenti sulla Marina e sull'ambasciata americana in Libano si pensa siano stati opera di agenti iraniani. Eppure abbiamo invaso l'Afghanistan e l'Iraq, perché l'Arabia Saudita aveva il petrolio, il Pakistan le armi nucleari e l'Iran era troppo grande. Abbiamo sperato che questa guerra condotta sparando nel mucchio portasse a cambiamenti in tutti e tre i Paesi. Finora non è stato così. Fino a quando non spezzeremo in Iran, Arabia Saudita e Pakistan la combinazione di moschea, denaro e potere che finanziano il jihadismo, tutto quello che stiamo facendo in Afghanistan è solo combattere i sintomi. I veri motori di propulsione della violenza jihadista radicale sono ancora li. Ma romperli richiede, per cominciare, una nuova politica energetica degli Stati Uniti. Oh, bene. George Will ha sottolineato come il senatore John McCain, un falco sulla Libia e sull'Afghanistan, domenica scorsa abbia detto: «Mi chiedo cosa direbbe oggi Ronald Reagan?». Sottintendendo che Reagan non avrebbe mai lasciato incompiute guerre come quelle in Libia o in Afghanistan. In realtà io conosco la risposta a questa domanda. Ero lì. II 25 febbraio 1984 mi trovavo sulla pista dell'aeroporto di Beirut e guardavo una parata di veicoli anfibi dei Marine passare sulla pista, poi virare, attraversare la spiaggia di sabbia bianca, scivolare nel Mediterraneo e abbandonare il Libano ricongiungendosi alla loro nave madre. Dopo che un attentatore suicida aveva ucciso 241 soldati americani Reagan capi che era nel mezzo di una guerra civile, con un obiettivo indefinito e un nemico sfuggente, la cui sconfitta non valeva il sacrificio. Così tagliò le sue perdite e semplicemente se ne andò. Era consapevole delle terribili conseguenze, dopo tutto, si era nel mezzo della guerra fredda con una Unione Sovietica dotata di armamenti nucleari. Avremmo dato un segnale di debolezza. Ma Reagan pensava che si sarebbe indebolito restando li. Come disse allora con una frase assai efficace: «Non siamo scappando. Ci stiamo muovendo per dispiegarci in una posizione più difensiva». Otto anni dopo, l'Unione Sovietica era nella pattumiera della storia, l'America era in ascesa e il Libano, Dio lo benedica, stava ancora cercando di uscirne da solo - senza di noi. (LA STAMPA 30 GIUGNO DI FRIEDMAN THOMAS_L.)

QUELLA "VOCE" DEI TALEBANI CHE GONFIA OGNI NOTIZIA Chi è il portavoce che fa la cronaca degli attacchi Quella «voce» dei talebani che gonfia ogni notizia Zabiullah Mujahid cambia la scheda del cellulare ogni due settimane perché i servizi segreti non lo trovino e poi fa circolare il nuovo numero con un sms perché i giornalisti continuino a trovarlo. E' il portavoce più conosciuto dei talebani, parla a nome del mullah Omar e di quello che lui continua a proclamare l'Emirato islamico dell'Afghanistan, memoria di quando i fondamentalisti erano al potere. ti». I giornalisti afghani che lo contattano più spesso dicono di sentire sempre la stessa voce, parla pashtu (una delle due lingue ufficiali del Paese) con un accento delle zone orientali. A metà maggio i talebani sono apparsi anche su Twitter, dove 35 / 50 pubblicano le notizie sulle operazioni militari degli insorti e sono seguiti da oltre 5.500 persone. Il primo messaggio in i4o caratteri descriveva un attacco contro i poliziotti afghani a Khak-e-Safid: «Sei fantocci sono stati uccisi». In inglese. «Sappiamo che Twitter è molto popolare in occidente — spiega Zabiullah all'agenzia France Presse — e vogliamo farci sentire. La gente è abituata a ricevere informazioni su di noi solo da una parte, ma adesso possono conoscere la realtà». Le notizie diffuse da Zabiullah sono spesso frenesie guerresche più che fatti verificati. Nella notte dell'assalto all’hotel InterContinental di Kabul è stato il primo a confermare la missione suicida, pochi minuti dopo l'inizio, ma nelle ore dell'assedio ha diffuso una telecronaca in diretta dai fatti. “Abbiamo tre ostaggi”, ha annunciato (falso). «Un guerrigliero mi ha chiamato da dentro l'albergo: hanno già ammazzato cinquanta persone». Alla fine, i morti tra gli ospiti e i poliziotti sono stati undici. Nic Robertson della Cnn è l'unico ad aver incontrato Zabiullah Mujahid in persona o comunque qualcuno che si è presentato come tale. Ripreso di spalle, uno scialle a co)rirgli la testa, così vie-le descritto dal giornali-:a televisivo: «Un uomo ii trent'anni, con la bar-non troppo lunga, ma- ma non fragile». Dopo la trasmissione dell'intervista nel 2009, il «vero» Zabiullah ha preso il telefono per dire che quello era un'impostore. (CORRIERE DELLA SERA 30 GIUGNO DI DAVIDE FRATTINI)

RITIRARE LE TRUPPE DALL’AFGHANISTAN? YES WE CAN! Basta con i generali che criticano le decisioni della Casa Bianca, è tempo di comandanti più allineati con le posizioni politiche. Dopo aver subito le pesanti critiche contro di lui e il suo staff da parte del generale Stanley McChrystal, il presidente Obama sta per liberarsi anche dei due massimi esponenti militari, per incarico, grado e prestigio, che in questi anni non hanno lesinato critiche al suo operato quale comandante in capo. Come il segretario alla Difesa, Robert Gates, anche il capo di stato maggiore interforze, l’ammiraglio Mike Mullen, sta per andare in pensione. Prima di andarsene non ha rinunciato a commentare la decisione di Obama di ritirare 33 mila soldati dall’Afghanistan nei prossimi 12 mesi. Una decisione “drastica e che comporta più rischi di quanto fossi inizialmente pronto ad accettare” ha dichiarato Mullen aggiungendo che “preferirei non entrare nel dettaglio dei consigli privati da me dati riguardo a queste decisioni che come ho detto io sostengo”. Un commento da militare che ubbidisce agli ordini politici dopo aver cercato di far cambiare idea al presidente. Anche il generale David Petraeus, comandante delle truppe alleate in Afghanistan ed eroe nazionale che Obama sta per trasferire alla testa della CIA, non ha nascosto di aver suggerito al presidente un ritiro più lento. “La decisione finale è stata più drastica, in termini temporali, di quello che avevamo consigliato” ha detto Petraeus che aveva pressato con interviste e dichiarazioni pubbliche il presidente a inviare a Kabul i rinforzi necessari. Considerato forse l’imminente nuovo incarico, Petraeus ha però aggiunto diplomaticamente e umilmente che “è comprensibile che ci siano più ampie considerazioni al di là di quelle semplici di un comandante militare”. Liberatosi di McChrystal e Mullen e legato alla sua amministrazione Petraeus, a Barack Obama restava solo da scegliere un nuovo comandante delle truppe alleate in Afghanistan che fosse aderente alla sua politica e sostenesse le sue decisioni circa il ritiro attribuendo loro anche in valore strategico-militare. Mission accomplished con la nomina del generale dei Marines John Allen il quale prima ancora di assumere il comando a Kabul ha fatto sapere di sostenere la decisione del presidente poiché ritiene che la spinta degli insorti sia stata fermata. Parlando al Senato, il generale Allen si è mostrato ottimista dicendo che in Afghanistan “nessuna sfida pare insormontabile” pur ammettendo che talebani e Al Qaeda continuano gli attacchi. “Abbiamo registrato progressi davvero spettacolari e stiamo consolidando i successi“. Sottolineando che anche dopo il ritiro previsto resteranno in Afghanistan 68 mila militari americani, Allen ha rassicurato la platea di senatori della Commissione forze armate affermando che in caso di deterioramento della situazione avviserebbe il presidente suggerendo di modificare il piano di ritiro. Parole certo apprezzate alla Casa Bianca. (PANORAMA BLOG 29 GIUGNO DI GIANANDREA GAIANI)

ATTACCO ALL'HOTEL, MISSIONE SACRIFICALE DI NON RITORNO GIÀ SPERIMENTATA A MOMBAI Le chiamano missioni sacrificali o di «non ritorno». Le affidano a team misti, composti da kamikaze e tiratori. Agiscono come commando, sono bene armati e addestrati, conoscono alla perfezione l’obiettivo, possono trovare delle complicità interne. La tattica, usata con successo nella strage di Mumbai (novembre 2008), è stata poi ripetuta in Afghanistan e in Pakistan da gruppi di ispirazione diversa. Un indizio evidente di scambio di informazioni e tattiche. Chi pianifica le missioni sacrificali non vuole «bruciare» subito i propri uomini. Alcuni attentatori suicidi sono usati per confondere le difese o creare confusione, ma un nucleo ha il compito di resistere il più lungo possibile. Ed ecco che il suo equipaggiamento, pur ridotto all’essenziale, è sufficiente a sostenere un conflitto a fuoco prolungato: Kalashnikov, molti caricatori, granate e lanciarazzi Rpg, cibo. LE 36 / 50 AZIONI DIMOSTRATIVE DEI KAMIKAZE - L’obiettivo di questi attacchi – in crescita in Pakistan e in Afghanistan – è dimostrare che i talebani (o gruppi affiliati) possono colpire centri abitati, mettere in crisi la sicurezza e agire persino in zone relativamente sorvegliate. Bersagli e tempi sono scelti con cura, dopo una lunga ricognizione. Gli hotel sono da sempre uno dei target preferiti dai terroristi poiché sono difficili da proteggere e sono frequentati dagli occidentali. A Kabul è già stato attaccato con successo l’albergo Serena, ma oggi è più protetto rispetto all’Intercontinental. Quanto al «momento» è evidente. Oggi era previsto un importante incontro sul passaggio della sicurezza e solo pochi giorni fa il presidente Obama ha annunciato il ritiro di migliaia di soldati americani. Il messaggio degli insorti è chiaro: siamo noi ad avere l’iniziativa e le sole forze afghane non bastano. Per questo, mentre si spara, la diplomazia cerca la soluzione negoziata con i seguaci del mullah Omar. (CORRIERE DELLA SERA 29 GIUGNO DI GUIDO OLIMPIO)

KABUL, STRAGE ALL’HOTEL DEGLI STRANIERI L’albergo è in cima a una collina, protetto come una fortezza. Neppure un castello, neppure a Kabul, sembra sicuro. Il commando ha attaccato l’Inter-Continental verso le dieci di sera, gli ospiti stavano mangiando. Chi è riuscito è saltato dalle finestre al primo piano, in fuga giù per la scarpata. Gli altri sono rimasti distesi a terra, al buio. Le forze speciali afghane hanno tolto l’elettricità al quartiere e circondato i talebani. Che si sono asserragliati dentro e avrebbero iniziato la caccia agli stranieri. «Stanno rastrellando le stanze» , ha raccontato in diretta per telefono un portavoce dei fondamentalisti. «Abbiamo già ammazzato cinquanta persone» , avrebbe annunciato uno degli assalitori. Fonti occidentali — citate dal quotidiano New York Times — parlano di dieci morti. Per ore la polizia non è stata in grado di mettersi in contatto con l’interno, anche le linee telefoniche sono state tagliate. All’operazione avrebbero partecipato sei attentatori suicidi. Una prima esplosione si è sentita al secondo piano poco dopo l’inizio dell’attacco. I terroristi hanno preso posizione sul tetto dell’albergo e hanno bersagliato la residenza del vicepresidente Mohammed Fahim, colpi di mitragliatrice e proiettili sparati con i lanciagranate. I soldati americani sono intervenuti dalle basi poco lontane per affiancare l’esercito afghano. Gli elicotteri della Nato hanno ucciso tre degli assalitori sul tetto. Nella notte, i soldati locali hanno ripreso il controllo dell’hotel. L’Inter-Continental sta lì da quarantadue anni ed è rimasto aperto anche sotto il dominio dei talebani. Da primo hotel di lusso per gli occidentali costruito nella capitale— non è più legato alla catena internazionale dai tempi dell’invasione sovietica — i suoi ristoranti e il parco attorno alla piscina sono diventati il ritrovo soprattutto dei ricchi afghani. Ieri sera i saloni ospitavano un matrimonio e le stanze erano affollate da un gruppo di governatori provinciali con i loro consiglieri. Devono prendere parte alla conferenza sulla transizione che comincia oggi in uno dei palazzi governativi. Fra pochi giorni e in sette province, iniziano le tappe del processo che porterà le forze afghane a prendere il controllo della sicurezza dalle truppe della coalizione. I talebani vogliono trasformare questo passaggio di poteri in una disfatta. Tra le aree «sicure» annunciate dal presidente Hamid Karzai c’è proprio quella di Kabul. John Allen, il generale dei marines che prenderà il posto di David Petraeus alla guida delle truppe internazionali, ha dato il suo appoggio al piano di ritiro annunciato da Barack Obama. Anche se ha ammesso davanti al Senato americano che il calendario deciso dal presidente «è un po’ più aggressivo di quello che avevamo immaginato» . Gli Stati Uniti stanno provando la strada del dialogo con i talebani. I generali avrebbero preferito condurre i negoziati da una posizione di forza, adesso sono convinti che senza la pressione militare i fondamentalisti non avranno interesse a cercare un’intesa politica. L’assalto di ieri sembra la risposta dei talebani. (CORRIERE DELLA SERA 29 GIUGNO DI DAVIDE FRATTINI)

O LA BANCA O LA VITA Al governatore della Banca centrale afghana, Abdul Qadeer Fitrat, non è bastato nemmeno scappare negli Stati Uniti. “Lo prenderemo, ci sono delle accuse serie contro di lui e deve risponderne di fronte a un giudice, una per una”, ha detto il viceprocuratore generale afghano, Rahmatullah Nazari, annunciando una richiesta di ordine d’arresto internazionale contro Fitrat. Il portavoce del presidente afghano, Hamid Karzai, sostiene che Fitrat abbia lasciato il paese “dopo che il procuratore generale l’ha invitato a rispondere ad alcune domande sulla gestione dello scandalo della Kabul Bank”, l’istituto privato più importante del paese, che da solo gestisce l’80 per cento degli stipendi della pubblica amministrazione. Il diretto interessato, invece, respinge le malignità del governo afghano. A dare fastidio, secondo Fitrat, è altro: “Ho detto al Parlamento chi sono i responsabili della crisi della Kabul Bank e ora la mia vita è decisamente a rischio”. I problemi per Fitrat sono iniziati a settembre, quando la Kabul Bank si è trovata con un buco da almeno tre centinaia di milioni di dollari. Le maglie larghe della banca, a Kabul, non erano un mistero per nessuno. Sherkhan Farnood, presidente della Kabul Bank, era solito usare lo stile spregiudicato che gli ha permesso di diventare un campione internazionale di poker: nel 2009, per festeggiare il quinto anno d’attività, Farnood ha organizzato una lotteria con in palio nove appartamenti e premi in contanti per un milione di dollari. Scoperto il buco, il banchiere centrale aveva preso il controllo assicurando: “La Kabul Bank non ha e non avrà mai problemi di liquidità. Non le permetteremo di fallire, inshallah”. Fitrat, che vuole vederci chiaro, chiede da dieci mesi che 37 / 50 venga istituita una commissione speciale in grado di ricostruire la clamorosa bancarotta. Sapeva che sarebbe stato costretto a fare nomi pesanti, visto che la Kabul Bank era creatura di Mahmoud Karzai, fratello del presidente, e di Khalilullah Frozi, principale sponsor della campagna per la rielezione di Karzai. Con i soldi della Kabul Bank, ovviamente. Tra gli azionisti di riferimento, la Kabul Bank aveva personalità del calibro di Ahmad Zia Massoud, vicepresidente nel primo governo Karzai, Hasim Fahim, fratello del vicepresidente attuale, e Marshal Mohammad Fahim, già signore della guerra alla testa dell’Alleanza del nord. Il direttore della banca, Sherkhan Farnood, si occupava di tutti, offrendosi come prestanome per case e beni di lusso, più che altro a Dubai. Non c’è fedelissimo del presidente Karzai cui Farnood non abbia trovato una sistemazione nel compiacente emirato arabo. Il governo ricambiava le attenzioni affidandosi quasi soltanto alla Kabul Bank. Quando, un anno prima del crac, la Banca centrale afghana aveva suggerito alla Kabul Bank di limitare “le spese cospicue per l’assistenza ai politici”, chiedendo “più neutralità”, Farnood aveva risposto organizzando una serie di eventi per il fundraising della campagna di Hamid Karzai nella villa del fratello, sull’isola artificiale di Palm Jumeirah, a Dubai. Secondo il governo americano, la banca ha dissolto quasi 850 milioni di dollari, il 94 per cento dell’ammontare dei propri prestiti. Nessuno di questi in vestimentiè tracciabile, a Kabul si guardavano bene dall’utilizzare i database elettronici di cui pure disponevano. Molto meglio il metodo tradizionale dell’hawala, in cui i soldi vengono scambiati in contanti, su base fiduciaria. Inutile provare a filtrare i traffici nella zona vip dell’aeroporto di Kabul, dove borsoni gonfi di banconote passano di mano in mano senza che nessuno apra bocca. L’inglese Global Strategies Group ci aveva provato, inviando rapporti circostanziati all’intelligence afghana, che poche settimane dopo aveva invitato la compagnia, che gestisce la sicurezza dello scalo, a smetterla al più presto. E così il flusso procede indisturbato – l’anno scorso, in aeroporto, un cinese è stato fermato con 800 mila euro in contanti in valigia. Nel 2008, la crisi dell’immobiliare a Dubai ha costretto Farnood a pompare centinaia di migliaia di dollari della Kabul Bank nell’emirato, per mettere al sicuro gli investimenti. L’istituto, rimasto a secco, è stato raccolto dalla Banca centrale afghana, che negli scorsi mesi si è preparata a tagliarne in due il patrimonio, per creare la New Kabul Bank – una banca a guida privata, a cui i cittadini possano affidare i loro risparmi. Prima, però, Fitrat è andato in Parlamento e ha elencato alcuni debitori: Mahmoud Karzai, per 22 milioni di dollari; Hassin Fahim per 78; Haji Khalil Ferzoi, consigliere del presidente, per 67. Poi è fuggito. Ora Mahmoud Karzai lo accusa di “pesanti negligenze”. (IL FOGLIO 29 GIUGNO DI MARCO PEDERSINI)

DRONI SENZA ARMI CONTRO I TALEBANI La «Strega» è in volo e per i nemici non c'è alcun posto sicuro. La «strega» è il Predator del 28°Gruppo del 32° Stormo dell'Aeronautica militare in volo sulla provincia di Herat in Afghanistan. Il pilota è a cinquemila chilometri di distanza ad Amendola, provincia di Foggia. L'aereo senza pilota sorveglia una vasta area. Silenzioso, praticamente invisibile con i suoi occhi elettronici dotati di sistemi a infrarossi vede a chilometri di distanza con una definizione altissima. I dati raccolti vengono inviati alla base di Amendola dove gli analisti dell'intelligence li studiano e, contemporaneamente, arrivano sullo schermo del «Rover», il computer della pattuglia a terra, la quale potrà vedere cosa accade davanti a lei a distanza di chilometri. Un sistema di sorveglianza avanzatissima, ma con una carenza: il Predator italiano non ha armi. «Avere Droni armati avrebbe permesso di evitare attacchi e perdite di vite - sottolinea il colonnello Fabio Giunchi comandante del 32°Stormo -. Noi ci auguriamo che questo accada, perché darebbe una maggiore flessibilità di impiego ai nostri assetti». Le immagini inquadrano due talebani che posizionano un ordigno Ied, ma l'unica cosa che si può fare è avvisare la pattuglia. I talebani se ne vanno pronti per un'altra azione. Attualmente l'Italia possiede sei Predator A-plus e due Predator B, che diventeranno sei entro la fine del prossimo anno. «Il Predator B - spiega il comandante Fabio Giunchi - ha capacità elevate nel campo della ricognizione, saremmo in grado di operare con successo anche in Libia e potremo farlo già dalla seconda metà di luglio». Potrebbero essere gli aerei-spia italiani l'arma in più della Nato per individuare i movimenti delle truppe del raìs e dello stesso Gheddafi. Prende decisamente corpo, infatti, l'ipotesi di un possibile utilizzo dei velivoli senza pilota Predator dell'Aeronautica militare per l'operazione Unified Protector in Libia. Gli studi di fattibilità sono stati eseguiti in queste settimane dagli stati maggiori e hanno dato esito positivo. A questo punto la decisione è politica e non è escluso che a breve, forse già nelle prossime settimane, possa arrivare il via libera definitivo. A guidare a distanza sui cieli libici i nostri Uas (Unmanned aerial system ndr) potrebbero essere i militari super specializzati del 32° Stormo di Amendola, gli stessi che già oggi sono in grado di pilotare sugli obiettivi dirigendo i velivoli da quasi 5.000 chilometri i Predator attualmente impegnati nell'area di Herat, in Afghanistan. Così come gli americani guidano i loro Droni, armati, contri gli «Hvt», gli obiettivi di alto valore: i capi di Al Qaeda. Il Predator si è rivelato fondamentale nelle operazioni che hanno portato all'uccisione di Bin Laden in Pakistan. Sotto le ali i droni Usa hanno due missili a guida laser Hellfire, armi che possono colpire con precisione ed evitare «danni collaterali». (IL TEMPO 29 GIUGNO DI MAURIZIO PICCIRILLI)

KABUL, GLI USA SONO AVVISATI 38 / 50 Più che un attentato, un atto di guerra. Kabul, la notte tra il 28 e il 29 giugno, è risprofondata nell’orrore dell’inverno 2001-2002, agli esordi della missione americana Enduring freedom: altrimenti detto, la guerra tra americani e Osama bin Laden. Per fermare l’escalation di violenza - ben immortalata dalle immagini del cielo squarciato da scie di fuoco - dopo cinque ore di sparatorie ed esplosioni, sono dovuti intervenire gli elicotteri della Nato. Era dal 2003 che la capitale afghana non sperimentava qualcosa di simile: blindata dai soldati internazionali e dalla neonata polizia locale, Kabul è suo malgrado uno dei posti più sicuri del Paese martoriato. UN MESSAGGIO POLITICO. Tuttavia, in due mesi, prima con l’attacco all’ospedale del Logar e poi al Continental, la tensione è tornata a salire. Proprio in concomitanza con l’ammissione dell’Amministrazione americana di avere aperto un dialogo con i talebani. E con l’annuncio del presidente Barack Obama del ritiro, entro l’estate 2012, di circa un terzo del contingente Usa, pari a 33 mila soldati. La recrudescenza della violenza, insomma, non sembra causale. Può significare almeno tre cose, e nessuna incoraggiante. Di certo, qualcuno ha voluto mandare un messaggio agli Usa e al presidente afghano Hamid Karzai. Probabilmente con l’intenzione di sabotare il piano di pacificazione. O magari per farsi chiamare al tavolo delle trattative. Può anche essere, però, che l’attacco non sia stato opera dei talebani così come genericamente abbiamo imparato a conoscerli. Gli autori potrebbero essere gruppi di malviventi i cui traffici proliferano nel sud del Paese; legati ad alcuni membri delle tribù talebane ma non per forza ex combattenti o miliziani. Interrogarsi sull’identità del commando, insomma, non è semplice. La potenza di fuoco messa in campo in una della zone meno penetrabili di Kabul lascia pensare che gli attentatori potessero contare su una struttura rigida e paramilitarizzata. La stessa, cioè, di parecchie tribù di insorti, schierate un tempo con al Qaeda e Bin Laden e oggi sole nella lotta per la riconquista del Paese. La furia di molti ex mujaheddin nei confronti degli stranieri è nota: dopo 30 anni di guerre e invasioni (prima quella sovietica, nel 1979, poi l’americana del 2001), i combattenti vogliono riprendere il controllo dell’Afghanistan, costi quel che costi. Hanno sparato in tempo di guerra aperta e continuano a farlo oggi, mentre Obama promette il ritiro delle truppe e alcuni ex commilitoni accettano l’idea di trattare con lo straniero. ACCELERARE IL RITIRO. Non è un caso se l’attentato sia stato sferrato contro l’Hotel Continental. La struttura è il fortino in cui si riparano gli occidentali e dove lo stesso 28 giugno erano riuniti alcuni politici locali per iniziare a discutere della transizione, anticipo di un meeting che doveva aprirsi formalmente il 29 giugno. L’attacco è servito a dimostrare agli 'infedeli' quanto ancora i talebani controllino il territorio. Un atto di intimidazione nei confronti degli americani, per accelerarne la ritirata e vanificare le speranze di riconciliazione. E un messaggio chiaro per il presidente Obama e il debole alleato Karzai: affrettatevi a uscire di scena. È legittimo però anche fare una seconda ipotesi. Lo scampolo di guerra andato in scena il 29 giugno può essere il tentativo degli esclusi dai colloqui afghano-americani di attirare l’attenzione su di sé. Nessuno sa con precisione chi siano stati finora gli interlocutori dell’intelligence Usa. L’ex ministro della Difesa Robert Gates ha precisato che sono «in corso dialoghi interlocutori per capire quali sono le tribù con cui trattare». E, in questo caso, trattare significa identificare i signori ai quali sarà affidato l’Afghanistan del futuro, con tutto il suo carico di problemi, ma anche di incarichi, ricchezze e finanziamenti da spartire. L’AVVERTIMENTO AGLI USA. È trapelato che gli emissari della Casa Bianca hanno incontrato almeno tre volte alcuni uomini del Mullah Omar, probabilmente nascosto in Pakistan. Ed è altamente probabile che intorno al tavolo si siano seduti alcuni capi tribù di etnia pashtun, radicati nel sud del Paese. Può essere allora che qualcuno degli esclusi abbia voluto far sentire il proprio peso, con un’azione bellica in piena regola. Una sorta di monito per gli americani, per chiarire che l’Afghanistan non avrà alcun futuro se non si chiama a discutere chi veramente conta. IL GOVERNO MINIMIZZA. La minaccia non è da poco, ma il governo di Kabul, per bocca del ministro dell’Interno, ha cercato di minimizzare. Secondo la ricostruzione fornita dal governo afghano, il commando non sarebbe stato composto da generici talebani - un’etichetta con la quale i media occidentali hanno bollato formazioni composite - bensì dai miliziani della rete Haqqani. Si tratta di un gruppo di insorti che si definisce «indipendente», con legami in Pakistan e nel sud dell’Afghanistan. Terroristi che sfruttano il marchio dei talebani per aumentare il proprio potere nella nazione, e che comunque certamente possono contare sull’appoggio di influenti tribù pashtun. È difficile valutare se delinquenti comuni, per quanto forti di appoggi tra gli ex mujaeddin, siano stati in grado di portare a termine un’operazione di guerra di tale portata. Di certo, però, in Afghanistan esiste più di un gruppo interessato a rimestare le acque, spargere violenza e non accelerare i tempi della pacificazione. Dalla guerra con l’Occidente molte falangi armate hanno guadagnato parecchio: denaro, potere, controllo del territorio. Uno studio recente ha rivelato che nel sud del Paese il 35% delle scuole e delle attività sono state chiuse per mancanza delle condizioni minime di sicurezza. Fioriscono, invece, i traffici illegali: oppio, armi, persone. Ma la gente è stanca e alcuni capi tribù talebani sono pronti a riprendere il controllo dell’area modificando gli equilibri del potere. LA PACIFICAZIONE. Su questo vuole far leva il programma di rieducazione dell’High peace and reintegration council (Consiglio per la pace e la reintegrazione), finanziato con 150 milioni di dollari dai governi occidentali, Stati Uniti e Giappone in testa. Si tratta di un progetto per reinserire gli insorti nel tessuto sociale afghano, fornendo loro lavoro, educazione e protezione. Nell’arco di qualche mese, 1.700 combattenti hanno aderito all'iniziativa. Si tratta di un minima parte dei talebani, il cui 39 / 50 numero complessivo è stimato tra le 20 e le 40 mila unità. Ma è significativo quello che molti hanno dichiarato quando hanno preso contatti con i responsabili del progetto: «Non posso ritirarmi, ho paura delle ritorsioni contro la mia famiglia». Come dire che, dopo 40 anni di guerra, in Afghanistan le tribù pashtun sono solo uno dei molti nodi da affrontare. Ammesso che non sia troppo tardi. (LETTERA 43 29 GIUGNO DI GEA SCANCARELLO)

L’AMERICA NON È PIÙ NUMBER ONE “Quando sono stato eletto, la guerra in Afghanistan stava entrando nel suo settimo anno. Ma i leader di al- Qaida si erano rifugiati in Pakistan e i taliban si stavano riorganizzando. […] Per questo ho inviato altri 30 mila soldati in Afghanistan, […] ma allo stesso tempo ho messo in chiaro che il nostro impegno non sarebbe stato infinito e che avremmo cominciato il ritiro a luglio 2011. Ora posso dirvi che quell'impegno verrà rispettato; […] entro il 2014, il ritiro sarà completato”. “Questi sono stati dieci anni difficili per l'America. Abbiamo imparato di nuovo quanto grandi siano i costi della guerra: lo sanno i […] 6 mila uomini morti in Iraq e Afghanistan e le migliaia di feriti. […] In questi dieci anni abbiamo speso mille miliardi di dollari in guerre all'estero. […] Ora dobbiamo concentrarci sulla ricostruzione del nostro paese”. Con queste parole, il 22 giugno scorso Barack Obama ha riportato l'America con i piedi per terra. In un discorso trasmesso in tv nella fascia serale di massimo ascolto, il presidente ha fatto il primo passo per uscire dal micidiale circolo vizioso della “sovraesposizione” militare, che sta drenando enormi risorse umane e materiali da un paese alle prese con una crisi strutturale del proprio modello economico. Al contempo, ha indicato un nuovo, ambizioso obiettivo: niente meno che la rifondazione del sogno americano, compromesso dalla progressiva erosione di redditi, risparmi, occupazione e capitale infrastrutturale. È una scelta difficile, che sconta le potenti resistenze - nel campo democratico non meno che in quello repubblicano - di chi, orfano del “momento unipolare” dei fortunati anni clintoniani, fatica a digerire l'abdicazione dell'America al ruolo di unica superpotenza globale. È però una scelta, di fatto, obbligata: da vincoli di bilancio inesorabili, nonché da un'opinione pubblica stanca di pagare per imprese d'oltremare dai costi esorbitanti e dai ritorni discutibili. In tempi difficili, oggi come ieri vale l'imperativo primum vivere. Quella che si avvia alle presidenziali del 2012 è un'America impegnata a contrastare gli effetti perniciosi, materiali e psicologici, di un declino economico doloroso ma arginabile. “Its' still the economy, stupid”, direbbe Clinton. I grandi disegni di politica estera possono attendere. Vista dall'America, si tratta di una sana prova di realismo, premessa dei duri sacrifici che attendono un paese bisognoso di ricostruire le basi di un primato perduto (per errori propri e bravura altrui) in poco più di tre lustri. Visto da fuori, è un dilemma strategico o una grande opportunità. Nel primo caso, la ritirata della grande potenza accresce le responsabilità di quanti si sono a lungo giovati della sua protezione: mai come oggi la campana suona per noi europei. Nel secondo caso, le aspiranti potenze più o meno grandi intravedono margini d'azione sinora sconosciuti. Ne sanno qualcosa Turchia, Sudafrica, Brasile, ovviamente India e Cina. E l'Iran. Lunedì 27 giugno, le Guardie della rivoluzione (cui è affidato il programma missilistico iraniano) hanno tenuto, come ogni anno, delle esercitazioni militari, in cui sono stati testati vari tipi di missili di medio-lungo raggio. Lo stesso giorno, le Guardie hanno annunciato l'esistenza di un silo missilistico sotterraneo in grado di accogliere gli Shahab 3, i missili di probabile derivazione nordcoreana la cui portata (2 mila chilometri) sarebbe sufficiente a Teheran per colpire Israele. Contemporaneamente, le agenzie battevano la dichiarazione del viceministro degli Esteri russo Sergei Ryabkov secondo cui ad agosto entrerà in funzione la prima centrale nucleare iraniana (Bushehr), frutto di una cooperazione russo-iraniana risalente al 1995. Agli occhi degli stessi Usa, ma anche e soprattutto di Israele e degli Stati arabi del Golfo, questi eventi configurano altrettanti passi avanti nel temuto programma nucleare iraniano, volto a dotare il paese della bomba atomica e della capacità vettoriale (missili) in grado di trasportarla sugli obiettivi scelti. E rappresentano la conferma che l'abbandono da parte dell'America dei propri presidi strategici avrà conseguenze profonde sugli equilibri di potenza in scacchieri fondamentali, a cominciare dal Medio Oriente. (LIMES 28 GIUGNO DI FABRIZIO MARONTA)

KABUL, IL REBUS DEL RIENTRO Il discorso alla nazione del presidente Barack Obama sulle date del ritiro dei militari statunitensi dall’Afghanistan ha suscitato reazioni contrastanti accompagnate da reazioni da parte di chi vuole una maggiore prudenza sul ritiro. Il piano del Pentagono prevede che 33mila uomini verranno fatti rientrare entro l’autunno 2012 (cinquemila adesso, altri cinquemila entro Natale e 23000 entro settembre del prossimo anno), in altre parole il ritiro di quelle truppe previsto dal surge voluto da Obama a fine 2009 in accordo con il gen. Petraeus. Il termine surge, che significa aumento temporaneo dei rinforzi per distinguerlo dal termine escalation che significa invece un costante aumento delle forze in campo evocando lo spettro del conflitto vietnamita, era già stato usato nella campagna irachena ed indicava un aumento mirato di uomini e mezzi finalizzato a risolvere una particolare situazione sul terreno. Ma adesso che in Afghanistan sono stati 40 / 50 raggiunti dagli americani diversi progressi nell’offensiva contro i talebani, per non parlare del successo dell’operazione militare che ha portato all’uccisione di Osama bin Laden, la prima mossa dell’amministrazione Obama è stata quella di procedere ad una exit strategy che prevede un ritiro delle truppe dal fronte che dovrebbe concludersi nel 2014. Se a questo piano di ritiro graduale sommiamo anche le dichiarazioni del segretario alla Difesa, Robert Gates, su contatti che il Dipartimento di stato ha avviato con i talebani emerge ben delineato lo scenario che gli americani si stanno ritagliando per uscire dal conflitto afghano da una posizione di forza, un conflitto chiamato operazione Enduring Freedom che dura da quasi un decennio e che ha visto finora la perdita di circa 1600 militari americani. Ma resta un rebus politico, perché se è vero che Obama ha mantenuto la promessa di far rientrare nelle date fissate il contingente inviato solo per uno specifico arco temporale per combattere la resistenza talebana (il surge di 30mila uomini) e che il Congresso alle prese con l’enorme deficit pubblico vuole accelerare le scadenze del rientro in patria dei militari per tagliare i costi (le missioni in Iraq e Afghanistan hanno fatto spendere al contribuente americano ben oltre 1000 miliardi di dollari) si devono fare però anche i conti su quanto deve essere consistente il ritiro per evitare di ridurre il contingente proprio nel periodo estivo quando i talebani intensificano le azioni di guerriglia. Sono decisioni “brusche” che hanno provocato reazioni negative dei generali che invece vogliono un ritiro più graduale per mantenere un livello di forze sul campo adeguato; con i rientri programmati si prevede di mantenere in Afghanistan 68mila uomini che rientreranno in modo graduale tra il 2013 e il 2014. La Casa Bianca insiste sui successi consolidati nella lotta al terrorismo che ha visto lo smantellamento di buona parte di al Qaeda, dati che sembrano essere stati estrapolati dai documenti ritrovati all’interno del compound dove venne ucciso bin Laden, senza contare che le costanti e selettive incursioni dei velivoli senza pilota (droni) della Cia e dell’aviazione militare (Usaf) hanno saputo colpire obiettivi molto importanti impedendo all’organizzazione di potersi riorganizzare. Ma lo stesso gen. Petraeus, lo stratega della controguerriglia che aveva sostituito il gen. McChrystal come comandante delle truppe in Afghanistan, più volte aveva manifestato perplessità nell’accettare dei limiti temporali all’invio di rinforzi proprio perché la controguerriglia necessita di mesi o di anni prima di trarne dei frutti ed ora di fronte all’exit strategy enunciata da Obama esprime i suoi dubbi per un calendario che lui stesso ha definito aggressivo per i numeri e le date. Perplessità che aumenteranno con le nuove nomine che hanno già visto e che vedranno l’attuale segretario alla Difesa Bill Gates sostituito da Leonard Panetta che viene dalla Cia mentre sulla poltrona dell’agenzia di spionaggio siederà proprio il gen. David Petraeus che sarà sostituito dal gen. John Allen, del Marine Corps, promozioni che alimentano incertezze perché molti vedono negli avvicendamenti la possibilità di avere delle “teste d’uovo” in maggiore sintonia con la Casa Bianca. L’exit strategy decisa dagli statunitensi influirà anche sulla comunità alleata dove regna una palpabile incertezza su come affrontare il futuro, tanto che per valutare le possibili opzioni dell’Isaf è stato convocato un vertice della Nato che si terrà a Chicago nel maggio 2012 ai margini di un vertice del G8. Adesso i francesi optano per un ritiro proporzionato coordinandolo proprio con gli americani, i tedeschi sono pronti a ridurre gli effettivi mentre i britannici, che hanno il secondo contingente più numeroso dopo quello statunitense, sono più cauti e per ora non riducono gli effettivi ma prevedono la cessazione dei combattimenti per le loro unità nel 2015. Per il contingente italiano è previsto un graduale rientro a partire dal 2012, «quantomeno dei soldati aggiuntivi che avevamo deciso con il voto del parlamento»: così almeno ha detto il ministro della Difesa Ignazio La Russa. (EUROPA 28 GIUGNO DI FEDERICO CERRUTI)

OLTRE 14 MILIARDI PER RINFRESCARE I SOLDATI IN AFGHANISTAN E IN IRAQ Impianti di aria condizionata in Iraq: le tende sono trattate con schiuma di poliuretano per risparmiare energia (Steven Anderson) Impianti di aria condizionata in Iraq: le tende sono trattate con schiuma di poliuretano per risparmiare energia (Steven Anderson) MILANO - Per gli Stati Uniti le guerre in Afghanistan e in Iraq sono un impegno estremamente costoso. Un ex generale dell’esercito ha calcolato ora a quanto ammonta la spesa per la sola aria condizionata. Ebbene, permettere a soldati e ufficiali di sopportare il grande caldo nel deserto rappresenta un budget a parte. Che supera addirittura quello previsto per la Nasa: oltre 14 miliardi di euro (20,2 miliardi di dollari per l'esattezza), l’anno. I CONTI DEL GENERALE - A fare i conti è stato il generale in pensione Steven Anderson, con un computo che ha indispettito i contribuenti americani. Da sempre, infatti, le guerre finiscono sotto la lente d’ingrandimento di eserciti e governi anche per i costi che comportano: per le armi di ultima generazione; le munizioni; le apparecchiature tecniche; le basi militari; gli approvvigionamento dei soldati; l'equipaggiamento; gli stipendi. Solo che stavolta il generale ha cercato di trovare una risposta a qualcosa di molto più banale: quanto costa alle forze armate degli Stati Uniti non dover far sudare le proprie truppe. BENZINA COME L’ORO - Soprattutto il conto della benzina che serve per alimentare gli impianti è salato, ha spiegato il generale nel corso della trasmissione All Things Considered, sull’emittente radiofonica National Public Radio (Npr). Se si somma tutto, a cominciare dal trasporto del carburante in regioni remote, tutte le misure di sicurezza fino all'infrastruttura necessaria, «allora parliamo di oltre 20 miliardi di dollari», ha detto Anderson. Infatti: per alimentare un condizionatore 41 / 50 d’aria in un remoto avamposto in Afghanistan «serve un gallone di carburante che arriva via nave a Karachi, in Pakistan; quindi condotto per 800 miglia (1.300 km) in 18 giorni per l’Afghanistan su strade che a volte sono poco più che «sentieri delle capre». Senza considerare inoltre i continui rischi, quali gli assalti, associati allo spostare carburante su quelle strade. Secondo l'ex generale più di un migliaio di soldati americani sono rimasti vittime su convogli che trasportavano carburante, da tempo oramai considerati obiettivi primari dai ribelli. PIÙ DEL BUDGET DELLA NASA - La somma di 20,2 miliardi di dollari per il funzionamento dei condizionatori d'aria di soldati americani in Afghanistan e Iraq - riferisce Npr- è superiore al bilancio della agenzia spaziale statunitense Nasa. Ed è anche più di quanto aveva pagato la compagnia petrolifera Bp per il disastro ambientale causato dall’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon nel Golfo del Messico. SOLUZIONE ECOLOGICA - Anderson sottolinea che un minor consumo di carburante avrebbe anche un vantaggio strategico non indifferente: un comandante in Afghanistan gli ha infatti riferito che è costretto a interrompere per almeno 48 ore le azioni militari perché ogni due settimane deve mandare i suoi uomini a prendere carburante. Tuttavia, propone il generale, una soluzione per risparmiare energia ci sarebbe. Esperimenti in Iraq hanno dimostrato che si può ottenere un risparmio energetico del 92 per cento spruzzando schiuma di poliuretano sulle tende dei militari. L’interesse per queste varianti ecologiche, aggiunge Anderson, è assai limitato. (CORRIERE.IT 28 GIUGNO DI ELMAR BURCHIA)

BIMBA UCCISA DA UN ORDIGNO. LA KAMIKAZE INCONSAPEVOLE. L’ULTIMA FEROCIA DEI TALIBAN Kamikaze inconsapevole, una bimba afgana di 8 anni è morta dilaniata da una bomba nascosta nella borsa che le era stata affidata dai Taliban, con il compito di portarla in una caserma della polizia. Ma appena la piccola si è avvicinata a un’auto con due agenti a bordo, gli studenti del Corano hanno azionato a distanza l’ordigno uccidendola. Unica vittima di questo spaventoso attentato, la bambina è deceduta sabato scorso. Teatro di tanto orrore è stata la provincia di Uruzgan, nel sud dell’Afghanistan. Già, la barbarie dei Taliban non ha limiti, la loro follia criminale neanche. “I nemici della pace e della stabilità hanno commesso un altro crimine imperdonabile e vergognoso”, ha detto ieri Sediq Seddiqui, portavoce del ministero dell’Interno afgan, “La bambina ha preso la borsa in buona fede e si è diretta verso la polizia. Quando si è trovata vicino al veicolo, il nemico ha fatto esplodere la bomba a distanza, uccidendo quell’anima innocente”. Lo scorso 20 giugno un’altra bimba, stavolta in Pakistan, e sempre armata dagli insorti con un giubbetto carico di tritolo, è stata fermata prima di riuscire a farsi saltare in aria. Sempre sabato mattina, un altro orrendo attentato, quello contro l’ospedale della provincia di Logar, a sud est di Kabul, ha provocato la morte – tra medici e pazienti e loro famigliari – di 38 persone. Lo stesso attacco del 30 maggio contro il gruppo di ricostruzione provinciale di Herat, sotto il controllo del nostro contingente, comportò oltre all’autobomba che provocò il ferimento di cinque alpini, anche un ordigno contro l’ospedale della città che fece almeno cinque morti. Ieri, i Taliban hanno confermato di aver inviato dei coniugi nell’assalto suicida ad una caserma vicino al distretto tribale del pachistano Sud Wazirista. È il primo caso di jihad di coppia. Dopo aver fatto strage di poliziotti, moglie e marito si sono fatti saltare insieme azionando i giubbotti esplosivi che indossavano. “L’uso di donne combattenti da parte degli insorti è un trend nuovo ed inquietante”, ha osservato di recente il portavoce della Forza internazionale di assistenza alla sicurezza (Isaf) Josef Blotz in una conferenza stampa a Kabul. Ovviamente si tratta di una prassi del tutto contraria ai precetti dell’Islam, che vieta la violenza su donne e bambini. Secondo il colonnello statunitense Sean Ferrari, della Nato training mission nella capitale afgana, questi attacchi spettacolari e agghiaccianti sono la prova che gli insurgents sono ormai con le spalle al muro. “Il problema è che in questa escalation di violenza è impossibile prevedere, quindi impedire, questi attentati, come del resto è impossibile farlo a Londra o Giakarta”. Che i Taliban siano con le spalle al muro è un’opinione che corre sulle bocche di molti in Afghanistan così come al Pentagono e in alcune cancellerie occidentali. A dire il vero una sola cosa è certa: dopo l’uccisione di Bin Laden lo scorso 2 maggio, gli Studenti del Corano sembrano aver adottato una nuova, feroce strategia del terrore che prevede l’uso di bambini e di donne negli attentati suicidi. C’è un altro dato oggettivo sulla nuova cospirazione del terrore. Oltre alle forze di sicurezza e alle truppe della Nato, nell’obiettivo dei Taliban finiscono sempre più spesso bersagli civili e quindi più “facili”. Con quasi quattrocento vittime falciate nei mercati, sugli autobus o negli ospedali, lo scorso mese di maggio è stato il più cruento dal 2007. L’aver allargato il ventaglio delle loro prede potrebbe, questo sì, venir letto come un segno di debolezza. (LA REPUBBLICA 27 GIUGNO DI PIETRO DEL RE)

ORRORE AFGHANISTAN AUTOBOMBA CONTRO IL REPARTO MATERNITÀ Tre giorni dopo l’annuncio di Obama sul ritiro delle truppe, un attacco di violenza senza precedenti. Almeno 30 morti. I talebani negano ogni responsabilità. Ma non è un mistero che fra i turbanti neri ci siano divisioni. Il conto delle vittime è ancora incerto - almeno 30, secondo le autorità afghane, ma in un primo momento si era parlato addirittura di 60 morti - e il vero bersaglio dell’attacco, ammesso che ce ne fosse uno specifico, resta tutto da capire. Quel che è certo, però, è che l’attentato kamikaze che ha preso di mira il reparto 42 / 50 maternità di un ospedale nella regione afghana di Logar, 75 chilometri a sud di Kabul, è «senza precedenti» - parola del presidente afghano Hamid Karzai - e potrebbe segnare una nuova escalation della violenza nel Paese. Venerdì un kamikaze nella provincia di Kunduz ha ucciso dieci persone E se molti aspetti rimangono ancora oscuri, un fattore con ogni probabilità non è casuale: la data scelta per un’azione così violenta e clamorosa, appena tre giorni dopo l’annuncio da parte del presidente americano Barack Obama di un massiccio ritiro delle truppe a partire già dalla fine di quest’anno. «È un attacco vile contro i civili che stavano cercando cure mediche, contro le famiglie in visita e contro gli operatori sanitari», ha commentato il capo della missione Onu nel Paese, Staffan de Mistura. A provocare l’esplosione, secondo le ricostruzioni, è stato un 4x4 imbottito di esplosivo che si è gettato contro l’ospedale in località Pule Alam. I feriti sarebbero 25, secondo un bilancio fornito dal ministero della Sanità di Kabul, e tra le vittime ci sono molte madri che erano ricoverate nel reparto maternità, insieme ai loro figli appena nati. Per il ministero dell’Interno afghano, non è chiaro al momento se ci fosse un bersaglio preciso o se l’obiettivo fosse solo quello di creare più sangue e terrore possibile. Ma vista l’efferatezza dell’attacco, i talebani hanno voluto subito dissociarsi dal gesto e chiarire che loro non c’entrano nulla: «Noi non attacchiamo gli ospedali», ha detto il portavoce degli islamisti Zabihullah Mujahid. Questo lascia irrisolta la domanda su quale mano si nasconda dietro l’attentato. Le autorità afghane, malgrado la smentita, hanno subito puntato il dito contro le milizie islamiste. Da parte loro, fanno notare, è normale dissociarsi dagli attacchi che provocano un alto numero di vittime civili. Ma è anche vero che i bersagli degli attentati kamikaze dei talebani sono prevalentemente le forze di sicurezza internazionali e quelle afghane. Questa volta, invece, l’obiettivo dell’attacco sembra essere stato quello di creare il massimo di terrore e di insicurezza possibile, all’indomani dell’annuncio del ritiro da parte del presidente Usa. Il “surge” di Obama ha sicuramente indebolito i talebani nelle loro roccaforti del sud del Paese; ma nelle regioni orientali dell’Afghanistan come Logar, dove la rivolta anti-occidentale è sempre stata frammentata, il suo impatto non è stato così grande, soprattutto perché le milizie possono contare sul sostegno delle basi oltre il vicinissimo confine con il Pakistan. E in vista della netta riduzione di truppe straniere nel Paese, gli stessi talebani sono divisi tra quelli disposti ad accettare una trattativa con il governo Karzai e con gli americani stessi, e quelli che invece vogliono la lotta ad oltranza. L’attentato di ieri sembra vada letto proprio in questa prospettiva, se – come ha detto un portavoce talebano – dietro l’attacco c’è «qualcuno con un piano ben preciso». La spirale di violenza e insicurezza in cui è caduto l’Afghanistan non sembra destinata ad arrestarsi. L’attentato di Logar arriva dopo che lo scorso maggio, secondo le statistiche Onu, è stato il mese più violento nel Paese da quando si è iniziato a tenere regolarmente il conto delle vittime civili, quattro anni fa: i morti sono stati 368. Vittime, quattro volte su cinque, di attacchi degli stessi islamisti. Una crescita del livello di violenza, che ha già raggiunto livelli record del 2010, era stata messa in conto dai vertici dell’Isaf man mano che si allargavano le bolle di sicurezza e le truppe occidentali si spingevano sempre più in territori dove in passato le milizie islamiche regnavano indisturbate. Ma i progressi finora realizzati, secondo i generali, potrebbero essere compromessi dal ritiro annunciato da Obama. Non a caso, Karzai guarda al futuro e al rafforzamento dei legami con i Paesi vicini in preparazione del momento in cui la presenza internazionale sarà ridotta: ieri era a Teheran, dove ha messo per iscritto insieme ai presidenti di Iran e Pakistan la volontà comune di combattere insieme il terrorismo e «fermare le interferenze straniere» nella regione. Come a dire che se gli Usa fanno un passo indietro c’è chi è ben contento di farsi avanti e prendere il loro posto. (IL RIFORMISTA 26 GIUGNO DI ALESSANDRO SPECIALE)

“VINCERE QUESTA GUERRA NON È PIÙ IL NOSTRO SCOPO” La guerra in Afghanistan non può essere vinta “nel senso tradizione”, e il ritiro delle truppe annunciato pochi giorni fa è sbagliato non perché accelerato, ma perché tardivo e incompleto. Così dice Andrew J. Bacevich, professore di Relazioni internazionali e Storia alla Boston University. Professore, Obama ha annunciato il ritiro di un terzo delle truppe e dai talebani sono arrivati prima una dichiarazione di guerra a oltranza e ieri l’attentato all’ospedale. È questo l’effetto della mossa del presidente sulle sorti della missione? “È difficile dirlo. Se sevo azzardare una previsione, il conflitto continuerà, con le forze armate Usa e i loro alleati incapaci di prevalere”. Quale scenraio vede come conseguenza dei 10 mila soldati entro la fine dell’anno? “Secondo me, questa guerra non serve ad alcun fine strategico e i suoi costi sono proibitivi. Se un errore ha fatto il presidente, è stato non aver ritirato le truppe americane il più presto possibile. Ma lui ha scelto di fare diversamente…”. Quali problemi dovrà affrontare Obama dopo la sua decisione sul calendario del ritiro dall’Afghanistan? “Con tutta probabilità le elezioni ruoteranno attorno ai temi economici e non alle questioni di politica estera. Questo scenario però potrebbe modificarsi nel caso in cui gli eventi in Afghanistan dovessero prendere una brusca svolta verso il peggioramento della situazione. In quel caso i critici di Obama gli addosseranno la colpa di ‘perdere’ la guerra”. 43 / 50 Dopo che i 30 mila militari della ‘controffensiva’ nel 2012 saranno a casa, quale dovrebbe essere la strategia di Obama che si è formalmente impegnato a proseguire le operazioni a Kabul almeno fino al 2014 in caso di rielezione? “Impossibile rispondere ora. Nessuno può dire oggi che cosa succederà dopo quel voto”. Lei pensa che questo conflitto, alla fine, possa concludersi con una vittoria? “No. Non nel senso tradizionale. Nessuno pensa che la guerra possa essere vinta. E del resto nessuno indica la vittoria come obiettivo”. Ci sarà invece la pace, grazie ai colloqui con i taleban che lo stesso presidente ha di fatto annunciato? “A questo punto la prospettiva della pace è tutta da vedere”. In un recente commento sul ‘Daily Beastì lei ha sostenuto che l’esito della guerra in Afghanistan comunque non sarà determinante per il corso degli eventi del XXI secolo. Che cosa voleva dire? “Ciò che succede in Cina o in India, in Europa o in Russia, è di rilevanza incomparabilmente maggiore per il nostro benessere. C’è qualcosa di fondamentalmente assurdo nel fatto che una nazione a corto di denaro spenda più di 100 miliardi all’anno nella speranza di pacificare un Paese che manca di un governo legittimo e che considera gli americani degli infedeli non graditi”. (LA STAMPA 26 GIUGNO DI GLAUCO MAGGI)

SE DIECI ANNI VI SEMBRANO POCHI Adesso è ufficiale: gli americani stanno trattando col Mullah Omar per una ‘exit strategy’ dall’Afghanistan. Lo ha confermato il ministro uscente della Difesa Robert Gates, anche se per evidenti motivi non ha fatto il nome di Omar su cui pende ancora formalmente una taglia da 25 milioni di dollari. È curioso che Gates rimproveri agli europei la scarsa efficacia dell’intervento in Libia proprio mentre sta cercando di svignarsela dall’Afghanistan. In fondo in Libia gli europei ci sono solo da tre mesi e hanno di fronte un esercito che ha ancora carriarmati e un minimo di contraerea. In Afghanistan gli americani, con i loro alleati, ci sono da dieci anni e hanno di fronte guerriglieri che combattono quasi a mani nude (kalashikov, granate, mine improvvisate e kamikaze) ma che, nonostante l’enorme disparità negli armamenti, non solo sono riusciti a tenere in scacco il più potente, tecnologico e robotico esercito del mondo, ma lo hanno messo sotto rioccupando il 75/80% del territorio del loro paese (stima Usa). Del resto gli americano non hanno alternative. Nel mezzo di una crisi economica acutissima non ce la fanno più a sostenere la spesa per la guerra all’Afghanistan che gli costa 400 miliardi di dollari l’anno. Il pretesto buono per andarsene, adesso ce l’hanno: Bin laden è stato ucciso, sia pur in modo postumo (era morto sette anni fa) e quell’ectoplasma di Al Zawahiri che ne ha preso il posto ha affermato che cellule di quel che resta di al Quaeda operano in Yemen, Somalia, Cecenia, Iraq, Maghreb. Nessuno può più decentemente sostenere che il terrorismo internazionale sia ancora in Afghanistan. Inoltre gli americani sono preoccupati perché da mesi Karzai chiama gli ‘alleati’ Nato ‘forze di occupazione’. Anche lui sta trattando, da tempo, con Omar. Negli incontri, fra emissari, avvenuti in Arabia Saudita nel 2008 il Mullah aveva lasciato pochissimo spazio a Karzai: solo un salvacondotto per lui e la sua cricca. Ora Omar ha cambiato strategia e ha fatto a Karzai due proposte. 1) “Tu formalmente, sei il presidente dell’Afghanista democraticamente eletto. In queste veste chiedi alle forze straniere di lasciare il paese. Voglio vedere con quali argomenti potrebbero risponderti di no”. 2) “Unisciti all’insurrezione e col tuo esercito che gli stessi americani hanno armato, cacciamo, insieme, gli stranieri con la forza, Così ti riscatterai da dieci anni di collaborazionismo e potrai avere ancora un ruolo in Afghanistan”. Quale opzione sceglierà il Mullah Omar dipende dall’andamento delle trattative con gli americani,Se accetteranno di sgombrare senza lasciare sul suolo afghano nemmeno un soldato e tantomeno un aereo il Mullah è disposto, in cambio, ad ammorbidire la sharia. Se gli americani non accetteranno si alleerà con Karzai, pashtun come lui. Oppure continuerà la guerra da solo, contando sul tempo e sul favore della maggioranza della popolazione che non ne può più egli stranieri. In questa situazione così fluida è arrivato in Afghanistan Renato Schifani, noto cuor di leone che, trasportato con impressionanti misure di sicurezza, all’avamposto italiano di Bala Murghab ha dichiarato: “Fermare ora le missioni sarebbe un errore gravissimo. La ritengo intoccabile... Parlare di un ritiro a breve proprio ora che dovrebbero cogliere i frutti significa darla vinta ai terroristi”. Non ha capito una mazza, come al solito, Nella stessa occasione il generale Giorgio Cornacchione ha rassicurato: “La gente ha iniziato a fidarsi di noi”. Bè, se dopo dieci anni “ha iniziato” vuol dire che siamo un tantinello indietro col programma. Non so se il Mullah Omar ce la farà. Ma il giorno che dovesse rientrare da trionfatore a Kabul sarebbe una vittoria speciale: dell’uomo contro il denaro. E contro la macchina. (IL FATTO QUOTIDIANO 25 GIUGNO DI MASSIMO FINI)

OBAMA RICONSEGNA L'AFGHANISTAN AI TALEBANI Nell'annunciare il rientro di un primo contingente di soldati americani dall'Afghanistan Barack Obama ha evitato accuratamente toni trionfalistici. A differenza del suo predecessore Bush Jr, che alla vigilia della guerra civile in Iraq nel 2003 annunciò incautamente Mission accomplished (Missione compiuta), l'attuale inquilino della Casa Bianca non si è lasciato andare ad entusiasmi. Eppure Obama potrebbe avere qualche 44 / 50 motivo valido in più per essere ottimista. Secondo fonti ufficiali americane al Qaeda in Afghanistan è stata quasi completamente smantellata e oggi la sua capacità di lanciare attacchi contro gli USA è praticamente azzerata. In particolare, grazie anche alla campagna di raids con i droni contro la retroguardia qaedista in Pakistan, i vertici del gruppo terrorista sono stati eliminati e oggi la sua nuova roccaforte si troverebbe nella penisola arabica. Sarebbe questo, insieme con l'avvicinarsi della campagna elettorale americana, il motivo alla base della decisione di richiamare in patria le prime truppe e di avviare i colloqui con i Talebani. In realtà gli americani non se ne stanno assolutamente andando e quello in atto in Afghanistan è al massimo un parziale ridimensionamento. In Europa si esulta alla notizia che Washington ritira 30.000 uomini entro il 2012, ma ci si dimentica che nel paese asiatico ne restano 70.000; più del doppio di quanti non ve ne fossero ai tempi di Bush Jr. Il punto è che, malgrado i colpi inflitti ad al Qaeda, Washington non può ancora permettersi di abbandonare un Afghanistan ancora lontano dall'essere stabilizzato. Gli americani dicono di voler lasciare il controllo del territorio alle autorità afghane, ma si tratta di una barzelletta poichè gli Usa sono i primi a sapere che le forze locali da sole non sono assolutamente in grado di fronteggiare la situazione. L'addestramento dell'esercito afghano ha registrato qualche progresso, ma quello della polizia è ancora in alto mare e comunque ci vorranno ancora degli anni prima di ottenere risultati soddisfacenti. Anche il programma finalizzato a convincere i combattenti Talebani ad abbandonare la lotta in cambio di finanziamenti e aiuti materiali per le loro tribù registra uno stallo e il governo afghano non sembra stia mantenendo le promesse con chi depone le armi. In questo contesto un ritiro su larga scala degli americani significherebbe rischiare un ritorno di al Qaeda e questo Washington non può permetterlo. Interpellato da Affaritaliani.it il Professor Robert Singh, docente di studi internazionali presso il Birkbeck College della University of London, spiega che uno dei possibili scenari futuri potrebbe vedere un ritorno a una situazione simile a quella pre-11 Settembre, con la differenza però che questa volta non ci sarebbe al Qaeda. "Attraverso i colloqui che si stanno avviando con i Talebani Washington potrebbe puntare ad un accordo che le garantisca che al Qaeda non rimetta più piede nel paese e che permetta agli americani di mantenere una forza militare ridotta ma pur sempre ingente, pronta ad intervenire in caso di necessità", dice il Professor Singh. "In cambio i Signori della guerra afghana potranno continuare a controllare indisturbati il paese (ad eccezione di Kabul), come facevano un tempo, con buona pace dei diritti delle donne." Si tratterebbe di una situazione simile a quella già vista in Iraq dove gli Usa si sono apparentemente ritirati ma tutt'ora mantengono ingenti forze militari pronte ad ogni necessità mentre la guerra civile nel paese continua. Grazie a questo scenario gli americani potrebbero diminuire lo sforzo militare (ridando fiato alle esauste casse dello stato) e allo stesso tempo continuare a perseguire i loro interessi nella regione, interessi che vanno be al di là della lotta ad al Qaeda. Nel paese asiatico sono stati recentemente scoperti ingenti giacimenti di materie prime come litio, cobalto e rame. Inoltre la posizione geografica al centro dell'Asia ne aumenta l'importanza strategica tanto che, oltre agli Usa, sono coinvolti nella zona anche Cina, Pakistan e India. Impensabile che gli americani possano abbandonare questo scenario definitivamente solo perchè al Qaeda è stata colpita duramente. Proprio attraverso rapporti con l'India Washington potrebbe sviluppare la nuova futura strategia nella regione. "Gli Usa potrebbero legarsi ancora di più a Delhi controbilanciando insieme la pressione di Pechino", spiega ancora il Professor Singh. "Allo stesso tempo Washington potrebbe decidere di ridimensionare i suoi rapporti col Pakistan. In fondo una volta che gli americani riducono l'impegno in Afghanistan e le rivolte arabe hanno minato l'ideologia quaedista nel mondo arabo non ci sarebbe più motivo d'interessarsi a quel paese". L'avventura americana in quest'area strategica non sta arrivando alla sua conclusione, si appresta solo a entrare in una nuova fase. Obama lo sa e per questo non può ancora dire "missione compiuta". (AFFARI ITALIANI.IT 25 GIUGNO DI MASSIMILIANO SANTALUCIA)

UNA SCELTA GUARDANDO AL VOTO CHE PUÒ RAFFORZARE I TALEBAN «Via dalle sabbie dei deserti mediorientali»: alla fine della discussa presidenza Bush, era una frase che si ripeteva spesso a Washington, intendendo una riduzione dell’impegno statunitense nei tanti fronti aperti in quella regione. Per alcuni anni Obama non ha seguito il consiglio: il disimpegno dall’Iraq è continuato con le scadenze temporali del suo predecessore, mentre si è rafforzato l’impegno militare in Afghanistan. Laggiù si è cercato di adottare le stesse strategie che erano risultate vincenti in Iraq, ossia il Surge (l’aumento di forze militari per sconfiggere i ribelli con un’offensiva rapida e massiccia) e la "nazionalizzazione" del conflitto, ossia la crescita più rapida possibile della quantità e della qualità dei soldati afghani. Se il Surge aveva funzionato in Iraq – ma in realtà Washington ne ha sopravvalutato gli effetti reali –, non così è stato nel Paese dell’Asia centrale. I taleban si sono rivelati molto più ostici dei guerriglieri jihadisti attivi dentro e fuori Baghdad, e i progressi militari molto meno decisivi. Inoltre, più passa il tempo e più diminuisce il consenso per questa guerra ormai decennale fra l’opinione pubblica americana. Così, forte dell’eliminazione di Osama Benladen, Obama ha annunciato il ritiro, in tempi relativamente rapidi, di trentamila soldati. Una mossa tutta di politica interna, con l’occhio rivolto alle elezioni presidenziali del 2012, che viene dopo la svogliata partecipazione alle incursioni aeree in Libia e la sostanziale passività davanti ai massacri siriani. Se il Partito 45 / 50 repubblicano sembra prudente nell’avversare una decisione popolare – agli americani in fondo importa più distruggere al-Qaeda che non stabilizzare l’Afghanistan –, l’establishment militare non ha fatto mistero di considerarla una decisione sbagliata e pericolosa. Sbagliata, perché ritenuta troppo frettolosa: le offensive della Nato, costate la vita di così tanti militari e civili innocenti, hanno dato sì risultati sul campo, ma limitati e reversibili. Indebolire le forze dell’Alleanza rischia di vanificare quanto ottenuto finora. E ancor più che sbagliata, pericolosa, dato che può galvanizzare i taleban (il cui morale, in effetti, è ben più alto del nostro) e spingerli a un irrigidimento nelle trattative con il governo di Kabul e con la stessa Nato. L’obiettivo dei militari era invece quello di forzarli a trattare da condizioni di debolezza, non di forza come appare ora. Ma la conseguenza più scivolosa è potenzialmente per la stessa Alleanza atlantica. Sono ormai tante le voci, sia pur lontane dai microfoni, che ammettono sconsolate come la Nato abbia combattuto in Afghanistan la sua prima guerra vera e abbia fatto di tutto per perderla. Troppi egoismi nazionali, troppe differenze nelle regole d’ingaggio dei vari contingenti. Una rabbia crescente fra canadesi, britannici e olandesi – impegnati nel sud- est, la zona ove i combattimenti sono più duri – contro gli altri Paesi che non hanno permesso una rotazione sul fronte. Ora, Canada, Olanda e Francia (proprio ieri) hanno deciso di ritirare progressivamente le proprie truppe dai combattimenti. Con il rientro dei primi contingenti statunitensi chi li sostituirà? Vi è il rischio concreto di una smobilitazione sempre più accelerata da parte delle nazioni occidentali, i cui governi non vedono l’ora di lasciare un Paese così intrattabile, con l’alibi di riconsegnare il controllo della sicurezza all’esercito afghano, che è, ahimè, lontanissimo dall’essere pronto. In situazioni simili sono le percezioni della realtà, più che la realtà stessa, a risultare decisive: da questo punto di vista, l’annuncio della riduzione dell’impegno militare è un ulteriore ostacolo alla strategia dei militari. Certo, correre via dalle sabbie del deserto può aiutare a vincere un’elezione. Ma chiunque sia a sedersi domani alla Casa Bianca si ritroverà a fare i conti con le conseguenze di decisioni affrettate. (AVVENIRE 24 GIUGNO DI RICCARDO REDAELLI)

BARACK TELEFONA AI LEADER ALLEATI, BIDEN A BERLUSCONI Anche Roma ridurrà nel 2011 la partecipazione alla missione Isaf Oggi pomeriggio la notizia del rientro programmato degli americani dall'Afghanistan mi verrà anticipata in un appuntamento telefonico che ho con Robert Gates, o pii verosimilmente con il suo segretario...». Così diceva già mercoledì scorso Ignazio La Russa, il ministro della Difesa, che peraltro, all'ultimo appuntamento «de visu» con l'omologo statunitense, si era presentato con sei ore di ritardo. Ma il fatto è che, nelle protocollari comunicazioni di cortesia istituzionale, l'Italia ha subito un palese e generale «downgrading». Nonostante infatti solo un anno fa, al vertice Nato convocato a Lisbona proprio sulla strategia in Afghanistan, l'Italia avesse ricevuto i ringraziamenti (anche affettuosi) di Barack Obama, poiché «i vostri carabinieri sul terreno fanno la differenza», adesso la protocollare telefonata di cortesia al presidente del Consiglio italiano viene affidata al vice della Casa Bianca, Joe Biden. E se a Palazzo Baracchini quando squilla l'apparecchio del ministro dall'altro capo del filo c'è un «segretario di Gates», alla Farnesina va solo un po' meglio: a chiamare Frattini, l'altra notte, non è stata come al solito Hillary Clinton, ma il suo vice James Steinberg. Troppo lavoro da smaltire? Non sembra. Perché Obama non ha chiamato personalmente Berlusconi, ma l'ha fatto con Sarkozy, come ufficialmente comunica una nota dell'Eliseo? E lo stesso è avvenuto con il premier inglese David Cameron e con la Cancelliera tedesca Angela Merkel. Ma non solo: anticipare personalmente i contenuti del discorso che avrebbe tenuto di lì a poco alla nazione americana è stata per Obama una preoccupazione che ha riguardato anche, ovviamente, il presidente afghano Hamid Karzai e quello pachistano Asif Ali Zardari, il segretario generale della Nato Anders Fogh Rasmussen... I principali alleati, le nazioni strategiche nel teatro afghano. Nel quale pure l'Italia continua a mantenere un profilo niente affatto di secondo piano, e oltretutto a costo di una costante fibrillazione di governo, dato che la Lega, come è noto, vorrebbe fischiare il «tutti a casa», dati i costi delle missioni militari. In Afghanistan, contrariamente ai diktat di Bossi, e proprio in questi giorni, il contingente italiano ha raggiunto le 4200 unità. Si tratta, è vero, del limite massimo previsto. Ed è altrettanto vero che l'annuncio di Barack Obama agli americani sul ritiro di qui al settembre 2012 di 33 mila militari Usa da quel teatro di guerra, non incide sui programmi italiani, ma questo è solo perché di quel piano di ritiro si parla da lunghissimo tempo, ed era già stato pianificato il suo inizio per luglio 2011, come è per l'appunto avvenuto. Simmetricamente, per quel che riguarda gli italiani, la riduzione della partecipazione alla missione Isaf inizierà nella seconda parte del 2011 e accelererà nel 2012, per concludersi entro il 2014. Dopo, dovrebbero rimanere solo gli addestratori delle forze di sicurezza di Kabul. Modulazioni di questi piani sono sempre possibili, se si pensa che solo un anno fa era stato annunciato praticamente il ritiro da Herat, e cosa non è stato fmo in fondo. Anche se Herat, dove ha sede il comando italiano, sarà certamente la prima delle città che verranno riconsegnate agli afghani. Nonostante tutto ciò, Obama non ha avvisato Roma. Probabilmente pesa ancora la gaffe di Berlusconi all'ultimo G8, dove pure al premier italiano non era stata concessa una bilaterale. (LA STAMPA 24 GIUGNO DI ANTONELLA RAMPINO) 46 / 50

I GENERALI USA CONTRO OBAMA. "RITIRO DA KABUL UN AZZARDO" I generali obbediscono ma non gradiscono. Il capo di Stato maggiore — uscente — ammiraglio Mike Mullen ha manifestato i suoi dubbi sul ritiro di 33 mila soldati dall'Afghanistan. Parlando davanti al Comitato difesa del Congresso, l'alto ufficiale lo ha detto chiaro e tondo: «Le decisioni prese sono più brusche e comportano maggiori rischi rispetto a quelli ai quali mi ero preparato». E di rinforzo è arrivata la dichiarazione del segretario della Difesa, Robert Gates, anche lui a fine incarico: «Il comandante delle truppe in Afghanistan, David Petraeus, avrebbe voluto più tempo per consolidare i risultati sul terreno». Concetto ribadito più tardi dallo stesso generale che, pur affermando di sostenere il ritiro, ha parlato di «calendario aggressivo». Ma Petraeus è vicino a cambiare poltrona. A breve passerà alla guida della Cia. Uno spostamento che è una promozione ma anche un modo per affidare la gestione del ritiro a qualcuno più in sintonia con Ba-rack Obama. Nel suo intervento Mullen ha sottolineato che solo il presidente, alla fine, può decidere quali rischi possono essere presi. E dunque ha piegato il capo ma ha lanciato l'avvertimento. Un segnale raccolto da quei repubblicani che accusano Obama di aver badato più alla rielezione nel 2012 che alle esigenze strategiche. Lo stesso Gates ha parlato di considerazioni di politica interna. In effetti, gli umori dell'opinione pubblica sono evidenti: il sostegno alla guerra è sempre più basso, meglio pensare all'economia. E la stessa atmosfera è palpabile nella comunità alleata. Il presidente francese Nicolas Sarkozy ha sostenuto che la Francia deciderà un ritiro proporzionato — attualmente ha un contingente di 4 mila uomini — in coordinamento con gli Usa. Soddisfatti i tedeschi, anche loro pronti a ridurre gli effettivi. Più cauti i britannici. Londra prevede la fine delle operazioni di combattimento nel 2015 ma per ora non «taglia» i reparti. Il dissenso dei generali è legato al timore di perdere forze durante il periodo estivo, quando di solito i talebani aumentano le azioni. Ed è possibile che in concomitanza con la partenza delle truppe, gli insorti lancino attacchi su larga scala per dire: «Vedete, li abbiamo costretti a partire». Uno scenario che sta emergendo anche in Iraq. Pur consapevole dei pericoli, la Casa Bianca — dove si è fatto sentire tutto il peso del vicepresidente Biden — ha elaborato la «strategia del fronte orientale». Il contingente dovrà concentrare i suoi sforzi a Est, nelle aree di confine con il Pakistan. E in questo settore che agiscono le formazioni più temute ed è lungo una serie di «corridoi» che si infiltrano i qaedisti. Ma guardare a Est ha una seconda implicazione. Di lungo termine. Obama, l'intelligente e il Pentagono ritengono che la vera minaccia sia quanto avviene nelle regioni tribali pachistane. Qui hanno i loro rifugi i capi di Al Qaeda, qui si addestrano militanti stranieri, qui si mescolano terroristi e 007 locali. Una realtà che potrebbe anche sopravvivere ad un eventuale accordo con i talebani del mullah Omar. Washington non nasconde i suoi sospetti nei confronti di Islamabad. Con estrema franchezza, il segretario di Stato Hillary Clinton ha difeso la scelta di trattare e poi ha lanciato un duro richiamo a quello che dovrebbe essere un alleato: «11 Pakistan deve cambiare rotta se vuole continuare ad avere lo stesso livello di aiuti». (CORRIERE DELLA SERA 24 GIUGNO DI GUIDO OLIMPIO)

L'AMERICA DI OBAMA STANCA DI GUERRE VIA dall'Afghanistan perché è qui in casa nostra il paese da ricostruire. L'America si guarda nello specchio di Obama e si scopre impaurita dalla decadenza e in cerca di un New Deal che la rimetta in piedi su basi sane. LE REAZIONI dei politici sono pavloviane. A destra il falco John McCain critica un «ritiro prematuro dall'Afghanistan, pericoloso per la nostra sicurezza».A sinistra la democratica Nancy Pelosi promette che al Congresso continuerà la battaglia «per un rientro più veloce delle truppe», ricordando che al termine dei ritiri annunciati da Obama resteranno al fronte «68.000 soldati cioè il doppio di quanti ce n'erano quando lui divenne presidente». Sono altre le reazioni più significative. Il giorno dopo l'annuncio di Obama—via 10.000 soldati quest'anno, 33.000 in tutto saranno a casa entro il settembre 2012 —I 'atmosfera è da fine di un'era. Le frasi che hanno più colpito, nei 14 minuti di discorso dalla Casa Bianca, sono i passaggi che tradiscono un'America esausta di guerre, che deve rinunciare ai ruoli neoimperiali. Più del bilancio delle vittime (1.600 morti in Afghanistan, solo tra i soldati Usa) Obama ha sottolineato il costo: «In un decennio abbiamo speso mille miliardi per la guerra, durante un periodo duro, di difficoltà economiche e debiti crescenti. Mettiamo un termine, responsabilmente, a queste guerre, e riprendiamoci il Sogno americano. Se c'è una nazione da ricostruire, è la nostra». La ricostruzione L'America è stata davvero forte quando è stata in grado di creare opportunità in patria, peri suoi cittadini. Se c'è una nazione da ricostruire è la nostra, Sul Washington Post Marc Thiessen osserva: «In quel discorso non compare una sola volta la parola vittoria o successo. Questo non è il discorso di chi ha vinto ma di chi si ritira». Gli fa eco il Wall Street Journal: «Non invidiamo il generale John Allen che quest'estate sostituirà David Petraeus alla guida delle forze Nato in Afghanistan, dovrà proteggere i territori ripresi ai Taliban e contrastare il loro ritorno, mentre gestisce una ritirata. La decisione del presidente è politica non militare. Ce ne andiamo prima che la guerra sia finita». Nel coro dei commenti c'è l'angoscia del declino; c'è una nazione stremata dal debito pubblico ai massimi secolari; la sindrome da"overstretch" cioè la dilatazione dei costi di una ponti -ca neoimperiale. Aleggia il pensiero che senza combattere una sola guerra da trent'anni la Cina insidia l'influenza occidentale in tante parti del 47 / 50 mondo. Obama ricorda che «l'America è stata davvero forte solo quando era in grado di creare opportunità in patria, peri suoi cittadini». Che i termini del ritiro non siano stati dettati da criteri strategici, lo ammette implicitamente il più autorevole dei militari, l'ammiraglio Mike Mullen presidente del Joint Chiefs of Staff. Gl'indomani del discorso di Obama l'ammiraglio viene interrogato dalla Camera e riconosce che «le decisioni del presidente comportano più rischi di quelli che io ero preparato ad accettare originariamente».Anche HilIary Clinton parla al Congresso, difende disciplinatamente l'annuncio di Obama ma è noto che stava con i generali e avrebbe voluto un ritiro più lento. Il Pentagono ha perso, ne è convinto l'esperto geostrategico David Ignatius: «Per la prima volta Obama diventa a tutti gli effetti il comandante supremo delle forze armate in questa guerra, sceglie da solo». In contrasto con quel che accadde nel 2009: allora si era sentito manipolato dai generali nel dibattito interno che sfociò nell'escalation, oggi è Petraeus a definire «troppo aggressivo» il ritmo del ritiro. Il problema vero lo tocca indirettamente la Clinton quando al Congresso esalta «i progressi nelle scuole afgane, i 6 milioni di bambini scolarizzati in più rispetto ai tempi dei Taliban». Sono passate 48 ore da quando la conferenza dei sindaci Usa ha lanciato un appello a Obama: «I 126 miliardi di dollari spesi in Afghanistan sono disperatamente necessari qui, le amministrazioni locali hanno licenziato 446.000 dipendenti dal 2008, insegnanti, poliziotti, vigili del fuoco. Ponti e autostrade mancano a Baltimora e Kansas City, mentre costruiamo infrastrutture a Bagdad e Kandahar». Un simile appello dei sindaci ci fu solo all'epoca del Vietnam: ma quella guerra aveva fatto 50.000 morti americani. Richard Cohen sul Washington Post coglie il mood del momento: «Il secolo americano ora è davvero finito. Obama ha riconosciuto che la nostra potenza tema ha raggiunto il limite. Non è conclusa la guerra, siamo finiti noi. Questo è stato il vero tema del discorso: la borsa è vuota, siamo alla bancarotta, e la nazione è stanca». (LA REPUBBLICA 24 GIUGNO DI FEDERICO RAMPINI)

L'IMPEGNO PER MATURARE CREDITI USA C'è un'originalità italiana che si nota poco. Barack Obama ha confermato il programma di una riduzione delle truppe americane in Afghanistan. La Francia ha annunciato che darà il via in estate a un rientro «progressivo» dei suoi 3.935 militari. La Gran Bretagna, tra poco, ne rimanderà a casa 450 dei suoi 9.500. La Slovenia vuole ritirare dall'autunno i suoi 89. L'Italia non ha un piano definito, benché tutti i programmi nazionali siano soggetti a correzioni in base alla situazione sul terreno. Gli italiani in divisa schierati in Afghanistan sono 4.200. Il ministro della Difesa Ignazio La Russa ha dichiarato che la riduzione inizierà da fine 2011. Un calendario tuttavia fino a ieri non c'era, se non la previsione che non si potrà sbaraccare tutto prima del 2014 e, forse neppure dopo. Prima del discorso di ieri, il presidente degli Stati Uniti ha informato Nicolas Sarkozy con una telefonata. A Silvio Berlusconi ne sarebbe arrivata una di Joe Biden, il vice. Il Dipartimento di Stato ha contattato il ministro Franco Frattini. A complicare la definizione di tappe per il rientro degli italiani sono fino a un certo punto i talebani. A Herat, provincia affidata al nostro Paese, la sicurezza passerà da luglio alle forze locali addestrate dai carabinieri, ed è previsto malgrado l'attentato del 3o maggio al Provincial reconstruction team. A quell'attacco con bombe e Rpg, le forze locali avrebbero reagito con efficacia. Un problema è che con l'appannarsi dei rapporti tra Berlusconi e Casa Bianca, da quando il presidente non è più George W. Bush, l'impegno italiano in Afghanistan serve a maturare una gratitudine di Washington non ricavata in altri campi. Oggi la Lega impernia sulla Libia la sua new age pacifista, ma, intenzionato a infilare un cuneo nella maggioranza, Antonio Di Pietro ha presentato alla Camera una mozione per togliere fondi ai raid verso Tripoli e ridurre le truppe in Afghanistan. Sul decreto di finanziamento possono nascere attriti. C'è da sperare che a rimetterci non siano i soldati: anche i ritiri, se non sono ritirate, richiedono una logica. Non di essere dettati dalla propaganda. (CORRIERE DELLA SERA 24 GIUGNO DI MAURIZIO CAPRARA)

INTERVISTA A MOISES NAIM - "RIDUTTIVO PARLARE DI NUMERI. IL CONFLITTO AFGHANO RESTA TROPPO COMPLESSO" “Discutere dell'entità del ritiro è riduttivo, ciò che conta è che cosa si pensa di fare dopo”. Per Moises Naim, analista di politica internazionale del think tank Carnegie International di Washington, i numeri contano poco, è la strategia l'elemento chiave ed è questa ad avere impatto sia sulla situazione afghana sia, ormai a medio termine, sulle chance di rielezione di Obama. Nel governo Usa ci sono, e non certo da ieri, posizioni contrastanti sul ritiro delle truppe. Il Pentagono è per un rientro minimo entro il 2011, Joe Bi-den ne voleva uno più massiccio. Come si posizione Obama? E chi ha ragione secondo lei? «I numeri sono una semplificazione che non aiuta a capire la complessità di quel conflitto. E infatti Obama deve attingere a tutte le sue doti di oratore per non apparire schierato, integrando le ragioni delle due fazioni. Come del pari 48 / 50 riduttivo è l'altro dualismo di cui si sente parlare spesso, tra chi pensa di poter fare affidamento sui droni e chi è per una folta presenza di soldati. Ma come fanno a funzionare i droni senza intelligence sul terreno?». Quali scenari si possono prevedere nei due casi - che rientrino entro la fine del 2011 solo 5 mila uomini oppure 10 mila -, sia sul piano militare sia su quello politico a Washington? «La mia idea è che si assisterà a una continua combinazione e convivenza tra le due posizioni, i minimalisti pro-droni e i massimalisti pro- truppe. Ma fare un pronostico sulle conseguenze della scelta della riduzione ideale per i prossimi mesi è impossibile e neppure il governo è, francamente, in grado di farlo. Ci sono tanti, moltissimi altri fattori in gioco». Quali sono? «Cruciali sono i colloqui ora in corso tra americani e taleban. Ma non meno importante, e collegato ai negoziati con i fondamentalisti, è il peso del Pakistan. E una potenza nucleare in cui l'esercito, fondamentale per la stabilità del Paese, è attraversato da lotte intestine che potrebbero portare al cambio dei vertici, sia tra i militari in divisa sia nei servizi segreti. E tra Afghanistan e Pakistan c'è un confine fasullo, e la regione che si estende nei due Stati fa parte di un unico teatro di guerra. Infine c'è l'India, contraria ad un abbandono prematuro degli Usa proprio perché non c'è solo il conflitto con Kabul ma con l'Af-Pak». Ma come esce da questa scadenza di luglio l'immagine del presidente che pensa alla sua rielezione? «Può rivendicare il mantenimento di tre promesse: la prima è di aver detto nel 2008 che la guerra giusta era quella afghana, non l'Iraq, e infatti ha deciso di aumentare dai circa 40 mila di Bush a quasi 100 mila i soldati; la seconda è che quando ha proposto l'incremento per la contro-insurrezione nel dicembre 2009 ha anche detto che sarebbe stato a termine, e che nel luglio 2011 sarebbe iniziato il rientro: e così sta facendo; la terza è che l'impegno in Afghanistan doveva essere visto come una mossa di protezione contro Al Qaeda, che voleva rifarne una base per attaccare l'America, e lui ha addirittura ammazzato Bin Laden. Al momento, è un bilancio positivo e spendibile». Entro il 2012 è dato per scontato il rientro dei 30 mila soldati del surge. Obama ha già però detto che gli Usa saranno in Afghanistan almeno fino al 2014 per vincere. Non c'è contraddizione? «Con il tempo la missione si è allargata fino all'idea di costruire una democrazia, e di poter tenere sotto controllo il Pakistan. Per parlare di vittoria bisogna definire dove si vuole arrivare. Oggi non lo sa nessuno». (LA STAMPA 23 GIUGNO DI GLAUCO MAGGI)

AFGHANISTAN PARTE IL RITIRO DI OBAMA Un solo discorso, tre pubblici diversi. Questo è stato l'ennesimo salto mortale cui il presidente ha sottoposto la propria notevole e universalmente riconosciuta ars oratoria. II discorso sull'avvio della exit strategy (10 mila soldati a casa quest'anno, 20 mila il prossimo) dalla più lunga guerra della storia americana, che Barack Obama ha pronunciato alle 8 di ieri sera, ha dovuto cercare di soddisfare almeno tre diversi tipi di audience: quella domestica, rappresentata dal Congresso e dagli elettori americani, quella internazionale degli alleati e delle attuali o emergenti grandi potenze rivali, e quella dei nemici, talebani e «qaedisti», contro i quali stiamo combattendo. Tutti ansiosi, in realtà, di vedere il ritorno a casa delle truppe coinvolte nelle operazioni di Enduring Freedom e di Isaf, eppure tutti molto attenti ai corollari che potevano essere celati nell'annuncio dell'avvio di uno dei disimpegni più attesi della storia militare. II target domestico, quello più rilevante per le prossime elezioni presidenziali, era tutto sommato il più facile a cui parlare. L'opinione pubblica americana è così stanca della guerra in Afghanistan, che non poteva che plaudire a un presidente che, onorando una promessa fatta in campagna elettorale, «riportava a casa i ragazzi e le ragazze». Su questo versante Obama poteva giocare alcune carte che nessun suo predecessore ha mai avuto in mano. In primo luogo l'eliminazione fisica di Osa-ma Bin Laden, che quasi dieci anni or sono diede il via a questa guerra. *** Con la spettacolare operazione dei Navy Seals, il Presidente aveva compiuto quella missione di «giustizia vendicatrice» che nell'immaginario collettivo americano giustificava il conflitto persino più di qualunque discorso sulla sicurezza internazionale. La stessa opposizione repubblicana aveva nel frattempo fornito chiari segnali di essere conscia sia della forza del Presidente sia della stanchezza dell'elettorato, di fatto lasciando intendere che non avrebbe fatto da cassa di risonanza alle preoccupazione dei vertici militari, i quali premevano per un posticipo del ritiro di almeno un anno. D'altra parte, gli stessi comandanti Usa, mentre non potevano dimenticare che in un momento decisamente peggiore Obama aveva comunque garantito l'aumento di 30.000 uomini da loro richiesto, allo stesso tempo restavano consapevoli del rischio di overstretching e logoramento di un esercito ininterrottamente in guerra su più fronti da quasi dieci anni. Più complesso era il pubblico rappresentato dagli alleati e dai rivali. Ai primi, che tutti indistintamente vorrebbero la fine della guerra «occidentale» in Afghanistan, il Presidente doveva mandare segnali differenziati e però coerenti. A Kharzai, che non avrebbe fatto la fine dell'ultimo presidente «intronato» dai sovietici, letteralmente fatto a pezzi dai mujaheddin; al Pakistan, che non doveva illudersi di poter tornare a tessere le sue tante e diverse trame (del governo, delle tribù, del-I'Isi) nel vicino Afghanistan come era stato lasciato libero di fare negli ultimi decenni; agli alleati della Nato, ai quali doveva far capire che l'inizio graduale del ritiro americano non significava il «tutti a casa» e che contemporaneamente dovevano essere rassicurati sul fatto che le tendenze neoisolazioniste del Congresso e dell'opinione pubblica americana (vedi la minaccia di non finanziamento per la campagna di Libia) non sarebbero state rafforzate dalla decisione annunciata ieri. A 49 / 50 cinesi, russi e a tutti quelli che auspicano una riduzione del ruolo americano nel Grande Medio Oriente, doveva fare intendere che questo non era neppure da ipotizzare: ma che anzi, semmai, l'America stava riorganizzando e ottimizzando i suoi sforzi, proprio per poter continuare a giocare il ruolo di principale pilastro di quel poco di ordine internazionale ereditato dalla fine della Guerra Fredda. Per capire questo, credo che raccordare il discorso di ieri con quello tenuto a Westminster appena poche settimane orsono, sulla perdurante necessità della leadership occidentale, eviterebbe più di un abbaglio. Ai nemici, infine, il discorso doveva offrire una possibilità di discordia: chiarire che, come e più che in Iraq, l'America era disposta a scendere a patti con i capi locali e persino con i taleban non direttamente coinvolti nelle stragi dell'll settembre, a condizione che essi non offrissero nessuna sponda ai qaedisti. Proprio per questo, i militari chiedevano ancora un anno di pressione, per eliminare più nemici possibili e persuadere meglio i sopravvissuti. Il Presidente ha pensato diversamente. Le prossime settimane ci forniranno indicazioni non solo su questo specifico punto, ma sull'efficacia del discorso presidenziale nell'aver convinto i suoi tre diversi pubblici a fare ognuno la parte che Obama riserva loro. (LA STAMPA 23 GIUGNO DI VITTORIO EMANUELE PARSI)

OBAMA MANTIENE L'IMPEGNO "PARTE IL RITIRO DA KABUL" Diecimila soldati americani via dall'Afghanistan entro Natale, altri 23 mila fuori dal Paese prima della fine dell'estate 2012. Barack Obama lo ha annunciato ieri sera nell'atteso discorso alla nazione sull'Afghanistan. In questo modo — ha spiegato — mantengo l'impegno preso alla fine del 2009. Allora, in un altro discorso pronunciato all'accademia di West Point, il presidente fece la scelta di reagire all'offensiva dei talebani mandando altri 33 mila uomini nel Paese dell'Asia centrale, ma promise agli americani che il «surge» sarebbe stato temporaneo, non l'inizio di un'e-scalation. Ieri Obama ha mantenuto l'impegno, anche a costo di scontentare qualche generale (forse anche lo stesso Petraeus) che puntava su un ritiro immediato un po' meno consistente (3-5 mila uomini). Ma 48 Paesi tra cui l'Italia sono oggi presenti in Afghanistan sotto l'ombrello della missione Isaf a guida Nato 1.630 115 I morti tra Mila il i militari degli massimo di Stati Uniti in militari Afghanistan dell'Urss in dall'ottobre Afghanistan 2001 nel 1979-89 15.000 9 I morti trai Anni dal via militari dell'operaziosovietici in ne Usa Afghanistan «Enduring tra il 1979 e Freedom» in il 1989 Afghanistan 100 9 Mila il Anni massimo di l'occupazione presenza di sovietica militari Usa dell'Afghaniin stan (fine Afghanistan '79-inizio '89) ai giornalisti che hanno chiesto se la riduzione del contingente è stata concordata col generale, durante un briefing che si è tenuto ieri sera alla Casa Bianca, poco prima del discorso di Obama, tre rappresentanti dell'Amministrazione hanno risposto che il capo delle forze americane in Afghanistan (che tra qualche giorno lascerà l'incarico per passare alla guida della Cia) ha presentato al presidente varie opzioni. Dopo aver riunito per tre volte in una settimana il suo «National security team» — oltre al vicepresidente Biden, Hillary Clinton (Esteri), Bob Gates (Difesa), Leon Panetta (Cia), il capo di Stato Maggiore Mullen e lo stesso Petraeus — il presidente ha preso una «decisione che si colloca all'interno di quelle opzioni». La questione non è solo nominale perché, col Congresso sempre più diviso sugli interventi militari Usa all'estero con molti conservatori e democratici che chiedo- nodi ridurre la spesa pubblica anche con massicci ritiri di truppe e il senatore John McCain che mette in guardia dalle tentazioni isolazioniste, il capo della maggioranza repubblicana alla Camera, John Boehner ieri ha detto che non farà mancare il suo appoggio alla scelta di Obama se «il presidente l'ha concordata coi generali e i diplomatici Usa impegnati nell'area». Obama, che prima di parlare alla nazione ha informato delle sue decisioni i leader di Afghanistan e Pakistan, il presidente francese Sarkozy, i premier di Gran Bretagna e Germania, Cameron e Merkel, e il segretario generale della Nato, Rasmussen, ha anche detto che i 33 mila soldati che rientreranno prima del settembre 2012 (alla vigilia delle elezioni presidenziali) sono solo l'inizio. Le tappe successive verranno discusse in un vertice della Nato che si terrà nel prossimo maggio a Chicago. Il ritiro annunciato ieri è stato spiegato dalla Casa Bianca coi successi consolidati nella lotta al terrorismo (smantellamento di buona parte di Al Qaeda) e col fatto che da 7-8 anni l'Afghanistan non è più la piattaforma per lanciare attacchi terroristici fuori dal Paese (le centrali, ora, sono in Pakistan). Ma la scelta di Obama ha anche una componente politico- elettorale e, soprattutto, economica: l'America fin qui ha speso 1.300 miliardi di dollari per le guerre in Iraq e Afghanistan. Afflitta da una crisi fiscale senza precedenti, non può più permetterselo. (CORRIERE DELLA SERA 23 GIUGNO DI MASSIMO GAGGI)

AFGHANISTAN ADDIO, PER OBAMA LA MISSIONE È FINITA Afghanistan addio. La guerra di Obama è già finita. Scordatevi le manfrine sulla guerra «necessaria» contrapposta alla «sbagliata» guerra irachena «scelta» da George W Bush. Era roba da campagna elettorale ed inizio mandato. Ora anche quella promessa è pronta per l’archivio. Il presidente lo ha spiegato ufficialmente nel discorso della scorsa notte. Un discorso in cui ha raccontato agli americani di esser pronto a riportare a casa fino a 30mila soldati in 18 mesi. Un dietrofront capace di compromettere qualsiasi strategia e mandar su tutte le furie David Petraeus, il generale - comandante in capo delle forze Nato in Afghanistan - 50 / 50 pronto a rinunciare, al massimo, a 5/10mila soldati non combattenti. Ma Obama non ha scelta. La promessa di rilanciare l’economia è fallita prima delle altre. Il debito pubblico supera i 14 trilioni di dollari, il deficit è a quota 1300 miliardi, la disoccupazione oltre il 9 per cento. Con questi numeri spendere 120 miliardi di dollari all’anno per restare in Afghanistan è pura utopia. E di questo passo il presidente «buono» rischia di diventare più impopolare di Nixon ai tempi del Vietnam. I primi a farglielo capire sono, lunedì scorso, i sindaci degli Stati Uniti riuniti a Baltimora per la conferenza annuale. Il loro primo atto è una risoluzione senza precedenti. Una risoluzione dedicata - per la prima volta dai tempi del Vietnam appunto ad un tema di politica estera. Quella risoluzione chiede un immediato passo indietro da Afghanistan ed Iraq e il trasferimento all’economia nazionale delle centinaia miliardi di dollari spesi per la ricostruzione dei due paesi. A buttar benzina sul fuoco del malcontento acceso dai sindaci contribuisce Joe Manchin, un senatore della West Virginia democratico quanto Obama. «In coscienza non possiamo più permetterci di tagliar servizi, innalzare le tasse e far decollare il debito per finanziare la ricostruzione in Afghanistan. La domanda a cui il presidente deve rispondere è molto semplice cosa vogliamo ricostruire l’America o l’Afghanistan? Allo stato attuale far entrambe le cose è impossibile». La risoluzione dei sindaci e il discorso di Joe Manchin diventano una spada di Damocle sollevata sul capo del presidente proprio alla vigilia del cruciale discorso afghano di ieri sera. Comunque si giri Obama non può fingere di non vedere la lama dei conti sospesa sulla propria testa. Una lama che minaccia di trafiggerlo ancor prima dell’appuntamento del 2012 per la rielezione. Dunque l’unica via d’uscita è una fuga onorevole. Ma raccontarlo è più semplice che farlo. Certo il ritiro di 30 mila uomi ni nell’arco di 18 mesi, a partire dal luglio 2011, era già stato vagheggiato nel 2009. Obama l’aveva ipotizzato subito dopo l’invio dei 30mila uomini di rinforzo considerati indispensabili per emulare la «surge» irachena messa a punto in Iraq dal Petraeus e dal suo predecessore Bush. Ma allora Obama preferiva non ascoltare chi spiegava che il «surge », la rimonta afghana, sarebbe stata molto più lenta e faticosa di quella irachena. Ora quella sottovalutazione di tempi e priorità decisa nel nome della politica rischia di ri velarsi fatale. Un ritiro a metà dell’opera sull’onda della pressione economica e della politica interna minaccia di rivelarsi nefasto. I soldi risparmiati grazie ad un frettoloso abbandono rischiano, come cerca di fargli capire il generale David Pe- traeus, di azzerare i pochi successi conseguiti in questi due anni. E di rendere estremamente più costosa in termini di vite umane la permanenza dei 70mila soldati americani e 30mila della Nato lasciati nella trincea afghana. Ma Obama non ha più tempo. Il novembre 2012 è ad un passo e così, la scorsa notte, il presidente «buono» ha barattato, probabilmente, la propria salvezza con la sconfitta della nazione. Ma in fondo glielo chiedeva il paese. E lui volentieri lo ha ascoltato. (IL GIORNALE 23 GIUGNO DI GIAN MICALESSIN)

Rai World Via U. Novaro, 18 - 00195 Roma Tel. +390636869623 Fax. +390636869770 [email protected]

Per ricevere questo Dossier e l’archivio della rassegna stampa degli ultimi mesi o per cancellare un indirizzo inviare una e- mail a: [email protected]