Vicende Insediative Del Territorio Di Chiusdino Fra Tardo Antico E Basso Medioevo Francovich R., Nardini A
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Vicende insediative del territorio di Chiusdino fra Tardo antico e Basso Medioevo Francovich R., Nardini A. Introduzione Già a partire dagli inizi degli anni ‘80, l’Area Medievale del Dipartimento di Archeologia e Storia delle Arti dell’Università di Siena ha rivolto la sua attenzione al comprensorio dell’Alta Val di Merse, prima con interventi mirati poi con indagini sistematiche. Nel biennio 1982-1984, nell’ambito del Progetto Montarrenti, in collaborazione con la British School at Rome e con il Department of Archeology and Prehistory of Sheffield University, sono state condotte ricognizioni di superficie nel Piano di Feccia e negli spazi circostanti Cetine; contemporaneamente, si è svolta una prospezione mirata sull’area prospiciente l’abbazia di San Galgano, seguita da due sondaggi di scavo sul retro del monumento stesso. A partire dai primi anni ’90, l’intervento sul territorio di Chiusdino si è concentrato su due ricerche distinte: l’una rivolta all’individuazione delle strutture molitorie da grano e ferro e alla loro contestualizzazione nella realtà socio-economica del territorio; l’altra consistente in un’indagine di superficie, finalizzata alla lettura diacronica della risorsa archeologica. Queste operazioni hanno posto le premesse per alcuni approfondimenti di scavo sui siti giudicati più significativi nella comprensione delle dinamiche del popolamento medievale; nel contempo, hanno spinto verso la progettazione di interventi di valorizzazione del patrimonio storico-monumentale e paesaggistico dell’area. Nel 2001 ha avuto così inizio lo scavo sul castello di Miranduolo, in località Costa Castagnoli; in futuro, auspichiamo che le indagini stratigrafiche si estendano al vicino castello e abbazia di Serena ed anche alle strutture produttive dell’abbazia di San Galgano e del castello di Miranduolo. Scavare alcuni degli opifici individuati risponde infatti ad una volontà di cogliere le trasformazione di questi spazi anche in relazione all’evoluzione delle tecniche di produzione fra XII e XIV secolo; le evidenze in superficie riferibili ad impianti ad alimentazione manuale e idraulica, permetteranno di leggere le implicazioni dello sviluppo tecnologico nella struttura materiale dei forni. Grazie agli studi finora compiuti, siamo oggi in grado di seguire le principali linee evolutive del popolamento chiusdinese e focalizzarne alcune delle peculiarità. Diacronia del popolamento fra tardo antico e basso medioevo Dopo la desertazione di età romana (seguita all’intensa colonizzazione di periodo etrusco), a partire dalla fine del VI secolo, il comprensorio registra i segnali della ripresa che porterà progressivamente a comporre il quadro insediativo dei primi secoli del medioevo. In questa fase, assistiamo alla strutturazione di una maglia di abitazioni, disposte senza un criterio apparente su aree precedentemente colonizzate, molto semplici e destinate a nuclei monofamiliari autosufficienti; a queste, si affiancano piccoli agglomerati composti da più strutture, frutto forse di un’aggregazione spontanea di più unità familiari economicamente omogenee (mancano infatti indicatori circa una loro distinzione sociale). Un’emergenza di superficie presso il Podere San Magno descrive un piccolo complesso rurale costituito da due unità, di diverse dimensioni e tipologia, organizzate in un’area di 450 mq. L’abitazione principale, monovano, è corredata da un magazzino per derrate alimentari e da uno spazio destinato ad attività di carattere artigianale come la macinazione del grano, la fusione del minerale e la forgiatura dei pani di ferro. Il secondo edificio, più semplice, si pone a breve distanza dal primo e mostra dimensioni più limitate e materiali costruttivi diversi. Nonostante alcune differenze (materiali edilizi e dimensioni appunto), tutte le evidenze descrivono una realtà socio-economica del tutto omogenea. La valutazione dei corredi domestici indica un tipo di economia abbastanza chiusa ed articolata per lo più in produzioni a carattere familiare, mirate a soddisfare il fabbisogno interno; il ricorso ad un mercato locale (destinato alla diffusione a medio raggio di manufatti di minore costo) per reperire vasellame prodotto in serie rappresenta l’unica apertura verso l’esterno. Questo tessuto insediativo, cosiddetto “caotico”, si mantiene inalterato fino agli inizi del VII secolo, quando la rete di abitazioni sparse, svincolate dalla presenza di organismi dominanti, tende verso una progressiva riorganizzazione in complessi tipo villaggio; la spinta propulsiva viene offerta dalla comparsa di strutture ecclesiastiche o di iniziative a carattere signorile. Due dei quattro nuclei individuati nel corso della prospezione, databili fra la fine del VI secolo e gli inizi del VII secolo, testimoniano questo passaggio. In corrispondenza del complesso di “caotico” in località San Magno i documenti attestano a partire dalla metà del X secolo la presenza della «curtis S.Magni» e della «ecclesia S. Mangni»; in località Papena, si conservano tracce in superficie di un’abitazione tardoantica e di una frequentazione di fine VI-inizi VII secolo, successivamente abbiamo prova dell’esistenza di una chiesa e di un villaggio aperto. L’assenza di fonti anteriori alla seconda metà del X secolo impedisce di cogliere tempi e modalità di costituzione della rete insediativa altomedievale; nonostante questo, possiamo riconoscere un’evoluzione nel sistema di organizzazione della campagna coerente con quanto emerso dalle ricerche estensive su altri territori provinciali. La documentazione di fine X secolo descrive infatti un popolamento organizzato secondo un sistema di aziende contadine gravitanti intorno all’organismo curtense. L’evoluzione di quest’assetto, a cavallo dell’XI secolo, vedrà l’impianto dei castra. La comparsa dei castelli marca il consolidamento di un assetto delineatosi nella seconda metà del X secolo ed è l’espressione dell’affermazione del potere del vescovato volterrano da un lato e della famiglia comitale dei Gherardeschi dall’altro; entrambi, durante questo periodo, attraverso differenti modalità di gestione dello spazio rurale, hanno operato per definire la loro signoria sul territorio. Una breve serie di contratti di livello ed un atto di donazione indicano infatti per tutta la seconda metà del X secolo una loro coesistenza negli spazi circostanti l’attuale comune di Montalcinello, lungo il confine nord occidentale del comune. In questa fase, però, appare più solida e, soprattutto, più estesa la presenza dell’episcopato; dispone infatti di numerose proprietà fondiarie, fra cui anche la già citata curtis di S. Magno, e controlla stabilmente la pieve di Sorciano, unico referente religioso della popolazione dell’Alta Val di Merse fino alla fondazione dell’abbazia di Serena nel 1004; può vantare inoltre diritti sulle Colline Metallifere, confinanti con la parte sud occidentale del chiusdinese, e dunque svolgere un ruolo attivo in uno dei centri più strategici nella politica economica del Medioevo. Meno delineato appare il ruolo dei Gherardeschi fino alla fine del X secolo: i loro interessi patrimoniali in quest’area sono documentati a partire dal 996, anno in cui donano alla chiesa volterrana alcune unità agricole, situate proprio nella parte nord occidentale dell’attuale comune. Non sappiamo quando abbiano fatto ingresso nel chiusdinese nè siamo in grado di comprendere quale siano state le modalità iniziali della loro penetrazione e di quale consistenza possa essere stata. Sappiamo però che, a partire almeno dagli ultimi anni del X secolo, i conti iniziano una progressiva quanto veloce espansione su questi spazi, operando una distinzione del proprio ambito di potere rispetto a quello del vescovo con una ben definita scelta politica. La cessione del 996 esprime la volontà di razionalizzare il patrimonio, allontanandosi dall’area sottoposta al potere volterrano, e contemporaneamente tentare un avvicinamento alle Colline Metallifere. Cedono così al presule proprietà che, frazionate all’interno dei possedimenti ecclesiastici, non avrebbero consentito l’allargamento del loro potere territoriale; decidono quindi di stabilirsi nello spazio più prossimo alle risorse minerarie, insediando (o rafforzando) la porzione sud occidentale del comprensorio chiusdinese. Così, nello spazio compreso fra gli ultimi anni del X secolo ed i primissimi dell’XI secolo, la maglia insediativa viene ad arricchirsi di cinque strutture castrensi, quattro delle quali nate per iniziativa dei conti e solo una per decisione vescovile. La loro fondazione non sembra provocare modifiche traumatiche sull’assetto precedente; l’unico casalis attestato nel X secolo continua ad esistere, senza soluzione di continuità, fino al basso Medioevo. Con tutta probabilità, il processo di incastellamento prevede in ognuno dei casi la fortificazione di insediamenti preesistenti. L’origine del castello vescovile di San Magno è attestata dalle fonti, che nel 1005 ricordano la «curte et castello S. Magni» (nel 997 compare ancora come curtis). I centri signorili di Serena, Miranduolo e Frosini vengono ricordati per la prima volta nel 1004 come «castrum cum curte cum pertinentia cum ecclesiis» (è il caso di Serena) e come «castrum cum ecclesia cum curte» (Miranduolo e Frosini). La menzione nel 1008 di una «casa donnicata iusto castello de Serina» e alcuni indizi forniti dall’archeologia per Miranduolo confermano la presenza di strutture insediative precedenti all’impianto castrense. Nel corso dello scavo su questo sito, infatti, è emerso un contesto di buche di palo (tracce di una capanna rettangolare) tagliato da strutture