Matilde di Shabran del 16 Settembre 2006

• Matilde • Corradino Juan Diego FLOREZ • Raimondo Lopez Bruno TADDIA • Edoardo Hadar HALEVY • Aliprando Marco VINCO • Isidoro Bruno DE SIMONE • Contessa d’Arco Chiara CHIALLI • Ginardo Carlo LEPORE • Egoldo Gregory BONFATTI • Rodrigo Lubomir MORAVEC

Prague Chamber Choir Chorus Master: Lubomir Màtl

Orquesta Sinfonica de Galicia

Luogo e data di registrazione: , Agosto 2004 Ed. discografica: Decca, 2 CD a prezzo pieno

Note tecniche sulla registrazione: perfetta

Pregi: inevitabilmente Florez, ma attenzione: la Massis è straordinaria!

Difetti: nessuno?...

Valutazione finale:(Massis) eccezional tutto il resto BUONO Nel 1996, al Festival Rossini di Pesaro (dove, se no?...) viene ripresentata dopo un secolo di oblio Matilde di Shabran. È previsto in cartellone Bruce Ford, vale a dire l’artista che ha raccolto l’eredità di Rockwell Blake e di Chris Merritt in quei ruoli oltre il limiti del possibile che Rossini ha immaginato per voce di tenore, ma il buon Ford deve dare forfait. E allora, come un coniglio, dal cilindro viene estratto un tenore peruviano ventitreenne, di voce straordinaria che comincia a sparare si e do a ripetizione. Ben aiutato, aggiungiamo noi, da un’entrata del personaggio assolutamente straordinaria quanto a follie vocali: l’ideale per far sparare scintille ad un autentico fenomeno, quale il Nostro dimostra di essere sin dal momento in cui apre bocca. Da quel momento inizia la leggenda di Juan Diego Florez che, ancora, non riesce a scrollarsi di dosso questi stramaledetti ruoli rossiniani e, anzi, non perde occasione per tornarci sopra. Nel 2004, per l’appunto, Florez torna sul luogo del delitto. Ormai è una stella di prima grandezza, se lo contendono in tutto il mondo, non esiste altro tenore rossiniano al di fuori di lui, e decide di stravincere: torna a Pesaro e proprio in quella Matilde di Shabran che lo aveva lanciato. Secondo voi com’è andata?...

Questa cronaca semiseria potrebbe suonare come un immeritato sberleffo ad un autentico eroe dei nostri tempi, un genio della vocalizzazione. Non lo è, credeteci. Adoriamo Florez, che è veramente straordinario, anzi: è talmente bravo da diventare persino irritante. Il problema vero è un altro, e lo abbiamo già sottolineato in questo sito: in un mondo come il nostro, in cui le sfide mediatiche sono innumerevoli, continuare a rimanere arroccati sulle stesse posizioni è indice o di incrollabile coerenza o di infinita pigrizia. Non sappiamo da che parte si ponga lo straordinariamente bravo Juan Diego, ma di una cosa siamo sicuri: ci sta stufando. Questa Matilde, se vogliamo, è piuttosto emblematica. È un’operina-pastiche talmente inverosimile nel suo dipanarsi da sfiorare più volte l’idiozia; e anche la pretesa ironia del libretto è davvero talmente limitata nella sua espressione da sfiorare l’inconsistenza. Di sicuro non la si va a vedere o sentire per il gusto di appassionarsi alla sua vicenda (tanto che credo che crei seri problemi a qualunque regista sia costretto a metterla in scena), ma solo per godersi i fuochi di artificio dei cantanti che ci si misurano. Quindi, se cercate vocalizzazioni ai limiti del possibile e note al fulmicotone, accomodatevi: questo è il vostro posto. A condizione, beninteso, che siate disposti ad accettare le smargiassate di uno che prende la parte di Corradino talmente sul serio da non dar mai l’impressione che, ad animare i fuochi d’artificio del protagonista, ci possa essere anche un po’ d’ironia. Perché questo è il vero problema: ormai Florez è talmente bravo, talmente straordinario in questo repertorio da porsi sostanzialmente come un archetipo, dimenticandosi così forse anche che ci sono stati, anche in tempi non particolarmente lontani, altri personaggi che riuscivano ad innescare la girandola di fuochi d’artificio tanto quanto se non meglio di lui, quanto meno da un punto di vista tecnico. E questo è un altro punto su cui riflettere, perché è ben vero che oggi come oggi “come lui non c’è nessuno” (parafrasando la celebre canzone), ma è anche vero che qua e là i segni della stanchezza e dell’usura dovuti ad un repertorio per niente facile ed affrontato sempre e comunque con l’impegno, la professionalità e la consapevolezza del primo della classe, cominciano a farsi sentire. Senza contare che – a conti fatti – un’opera che si basa solo ed esclusivamente su una girandola impazzita di note al fulmicotone, non può reggere più che tanto; ed è forse questa la vera ragione del suo oblio durato più di un secolo, non la mancanza di interpreti in grado di sostenerne la fatica, ché anzi, soprattutto a partire dagli Anni Ottanta, di cantanti così ce ne sono stati in abbondanza. Per sostenere un’opera così ci vogliono fantasia esecutiva, carattere, ironia, trombonate; qui, invece, abbiamo una sfilza di note una più bella e sfolgorante dell’altra, dette con straordinaria indifferenza. Esaurita la meraviglia, all’incirca già dopo il pirotecnico ingresso di Corradino, l’ascoltatore è già stufo e desidera altre emozioni. Che qui, fortunatamente, ci sono. La parte della bella Matilde è impersonata, con garbo e charme, dalla meravigliosa Annick Massis che si conferma, una volta di più, cantante di gusto straordinario. La voce sembra piccola, e certamente non è di volume debordante. Però, l’uso sapiente della messa di voce fa sì che le note acute vengano prese e progressivamente rinforzate, ottenendo una colonna di suono che non sarà paragonabile a quella della Nilsson (cosa che d’altronde non è nemmeno richiesta), ma comunque è di tutto rispetto. L’interprete è di fascino stordente: piccante, maliziosa, briosa, ironica; insomma, tutto ciò che manca al suo pur bravissimo partner maschile. Il canto spianato d’agilità è quanto di meglio si possa desiderare in una parte del genere: il rondò finale “Tace la tromba altera”, da questo punto di vista, con le sue volate sopracute, e le sue ubriacanti colorature in stile jodel, ne costituisce esempio preclaro che si ascolta e riascolta più volte con un gusto unico. La Massis è un autentico asso di queste corse sull’ottovolante, ma sempre con un sorriso ammiccante che – unica in tutto il cast – sembra volerci dire di non prendere niente sul serio, che è tutto uno scherzo. Annick Massis, interprete trasversale al repertorio, di estrazione e gusto francese, trasferisce in questo Rossini minore un gusto e uno charme francese che impreziosisce un’opera farraginosa come questa dandole nobiltà ed affetto. Questa, se vogliamo, potrebbe essere una dimostrazione della necessità per ogni cantante di contaminazioni di area diversa rispetto a quella di riferimento per trovare stimoli semantici diversi.

Bruno De Simone ha il ruolo del poeta Isidoro, uno di quei personaggi rossiniani che si infilano nelle crepe delle vicende comiche con l’aria del grillo parlante. De Simone lo fa in dialetto partenopeo, e lo fa con la sua simpatica verve, ma anche con la sua voce attuale, scarsina anzichenò. D’altra parte, non è che il suo ruolo presenti richieste particolari da un punto di vista funambolico; ma la resa di De Simone somiglia proprio ad un’amena chiacchierata e ci chiediamo quanto appropriatamente si embrici col discorso musicale complessivo. Pochino, secondo noi; ma è una nostra opinione e vale quanto quella di chiunque altro. Chiara Chialli e Hadar Halevy rendono molto bene i rispettivi personaggi; la prima, in particolare, fa sentire una vocalizzazione d’agilità ben più che interessante, il cui modello vocale rimanda ai grandi ruoli rossiniani en travesti, come o Arsace. Bene gli altri, fra cui segnaliamo l’Aliprando di Marco Vinco e il Ginardo di Carlo Lepore; la parte di Raimondo è invece troppo breve per godere della bravura di Bruno Taddia, artista fra i più intriganti dell’ultima generazione. Dirige il tutto – splendidamente – un Riccardo Frizza che, con le sue prove degli ultimi tempi, è andato in un crescendo che non esiteremmo a definire “rossiniano” ed è quindi arrivato alla piena maturità d’artista con questa Matilde; opera, come dicevamo, sicuramente minore nel panorama rossiniano, ma impreziosita dalla presenza di alcuni fuoriclasse.