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Febbraio 2016 Febbraio 2016 RELAZIONE STORICA A cura di Giuseppe Zichi

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PER UNA STORIA DELLA MODERNIZZAZIONE DI ALÀ DEI SARDI

Il paese di Alà dei Sardi si trova nella parte nord orientale della Sardegna, nella regione denominata Monteacuto, al confine tra il Logudoro e la Gallura. Incluso originariamente nella provincia di dal cui capoluogo distava ottantanove chilometri, è entrato a far parte nel 2005 della nuova, e oramai soppressa, provincia di Tempio. Situato a 673 metri di altezza sul livello del mare, nell’altopiano di Buddusò, si trova ai piedi dei monti di Alà le cui punte più elevate sono Senalonga (1077m), Gio Maria Cocco (1036m), Alzarò (1001m). Il ha un territorio di 188,60 kmq (18.860 ettari) con circa duemila abitanti. L’attività prevalente è l’agricoltura (cereali e vite), l’estrazione del sughero e all’allevamento di bestiame (ovini e bovini). Solo molto pochi gli studiosi che fino ad oggi si sono occupati di ricostruire la storia di Alà dei Sardi. Tra i contributi pubblicati, che meritano di essere ricordati, vi sono l’opuscoletto scritto negli anni Venti del Novecento dal commissario prefettizio Giulio Lorrai 1 , e quello un po’ più corposo e dettagliato (soprattutto per quanto riguarda la descrizione delle “antichità” presenti sul territorio) di Giovanni Battista De Melas pubblicato agli albori degli anni Sessanta 2. Ricostruire la storia di Alà dei Sardi significa rivivere molte tappe del processo di modernizzazione che interessa un intero territorio: dai provvedimenti legati al tramonto del feudalesimo e alla creazione della «proprietà perfetta» fino a quelli finalizzati ad affrontare l’annosa risoluzione della Questione sarda (strettamente legata all’emigrazione) e la promozione della Rinascita , in una regione che a pieno titolo cerca d’inserirsi e di riconoscersi in quello Stato nato anche grazie al contributo profuso dai giovani sardi. Per scrivere la storia di una comunità come quella di Alà dei Sardi, che attribuisce alla convivialità della vita - in una logica quasi mutualistica - un valore aggiunto, non può mancare neanche un’attenzione nei confronti delle tante storie di famiglia che diventano storia di comunità 3; una storia strettamente legata alla terra 4 che appare emblematica in

1 G. LORRAI, Alà dei Sardi , , Premiata Tipografia Giovanni Ledda, 1928. 2 G. B. DE MELAS, Alà dei Sardi , Sassari, Tipografia Moderna, 1962. 3 Secondo C. DAU NOVELLI, Modelli di comportamento e ruoli familiari , in G. FIOCCA (a cura di), Borghesi e imprenditori a Milano dall’Unità alla prima guerra mondiale , Roma-Bari, Laterza, 1984, p. 215 l’avvento della società industriale rappresenta un rafforzamento del sentimento di famiglia contrariamente a quanto gran parte della storiografia sostiene con l’affermare che ha decretato la vittoria dell’individualismo e la fine della famiglia patriarcale. 2 quanto si presta anche a ricostruire le vicende di un nuovo ceto emergente in un’isola che apre le porte, seppur lentamente, a importanti cambiamenti nell’ambito della mobilità sociale 5. Sono vicende comuni a molte altre comunità della Sardegna (grandi e piccole) che muovono i loro primi passi come centri agrari e dai quali arrivano molti membri della futura classe dirigente sarda e nazionale, magna pars della vita politica italiana nel Novecento 6. Anche per questo, tali studi non possono prescindere da un discorso sulla regionalità nella sua duplice veste esterna ed interna 7. Per sub-regioni, si intendono normalmente le regioni storiche dell’isola: Anglona, Arborea, Barbagia, Baronia, Campidano, Cixerri, Gallura, Gerrei, (dove si trova Alà dei Sardi), Iglesiente, Logudoro, Mandrolisai, Marghine, Marmilla, Meilogu, Nurra, Ogliastra, Planargia, Romangia, Sarcidano, Sarrabus, Sulcis, Trexenta. Eppure, in alcuni casi le identità sub-regionali possono apparire più sfumate, specie se si prendono in esame comunità di confine. Studiare la loro storia richiede così vari approcci: dalla storia delle istituzioni a quella sociale, religiosa, economica, culturale, dell’arte fino all’antropologia. Ed è anche per questo che non si può prescindere dal ricostruire le vicende legate anche ai centri più piccoli e periferici dell’isola, che conoscono - a partire soprattutto da metà Ottocento - una modernizzazione tutta loro sul versante urbanistico.

4 Cfr. più in generale, sui legami con la terra delle élite contemporanee, M. MALATESTA, Le aristocrazie terriere nell’Europa contemporanea , Roma-Bari, Laterza, 1999. Un lavoro, circoscritto al caso calabrese e alla famiglia Barracco, è quello di M. PETRUSEWICZ, Latifondo. Economia morale e vita materiale in una periferia dell’Ottocento , Venezia, Saggi Marsilio, 1989. 5 Quello della storia delle élite è un filone di studi ancora in parte pionieristico per la Sardegna, ma che negli ultimi anni ha preso vigore coinvolgendo i più disparati ambiti della storiografia. Un interessante aggiornamento in tal senso si trova in G. MELIS (a cura di), Le Élites nella storia dell’Italia unita , Napoli, CUEN, 2003; tra queste pagine è Guido Melis, p. 13 a sostenere che l’indagine sulle élite richiederebbe «ramificazioni a livello regionale e sub-regionale (come in parte già sta facendo una storiografia locale finalmente attenta ai significati nazionali di certe egemonie periferiche) e una sorta di censimento quasi anagrafico provincia per provincia». Cfr. anche al riguardo gli atti del convegno tenutosi a Cassino nel 1998 e curati da S. CASMIRRI, Le élites italiane prima e dopo l’Unità: formazione e vita civile , Marina di Minturno, Caramanica, 2000 e G. ALIBERTI, L. ROSSI (a cura di), Formazione e ruolo delle élites nell’età contemporanea , Napoli, ESI, 1995. Per quanto riguarda il caso sardo cfr. C. DAU NOVELLI (a cura di), La società emergente. Élite e classi dirigenti in Sardegna tra Otto e Novecento , Cagliari, AM&D, 2003. In questo nuovo filone di studi si può inserire pure il lavoro a più mani di V. MURA, G. TIDORE, G.G. ORTU, L. MARROCU, M. CARDIA, Élite politiche nella Sardegna contemporanea , Milano, Franco Angeli, 1987. 6 Uno spaccato sulle élite delle professioni emerge da A. VARNI (a cura di), Storia delle professioni in Italia tra Ottocento e Novecento , Bologna, Il Mulino, 2002. In particolare sull’élite imprenditoriale cfr. C. DAU NOVELLI, I Cavalieri del lavoro: cultura, identità, modelli di comportamento , in V. CASTRONOVO (a cura di), Cent’anni di imprenditoria , Roma, Federazione Nazionale Cavalieri del Lavoro, 2001, pp. 494-591 e più in generale M. DORIA, L’imprenditoria industriale in Italia dall’unità al «miracolo economico». Capitani d’industria, padroni, innovatori , Torino, Giappichelli, 1998. 7 Per A.M. BANTI, Storia della borghesia italiana. L’età liberale , Roma, Donzelli, 1996, prima del compimento del processo unitario non si può parlare infatti di un’unica borghesia italiana. C. DAU NOVELLI (a cura di), La società emergente cit. è dello stesso parere per quanto riguarda la nobiltà, convinta che, in quest’arco di tempo, esistano nella penisola tante realtà diverse che si fondono, almeno nel nome, all’indomani dell’Unità mantenendo però ancora per molto tempo alcuni tratti caratteristici. 3

Le novità più interessanti, in ambito storico, sono arrivate per Alà dei Sardi in tempi non troppo lontani. Al di là del suo titolo, il lavoro di scavo archivistico posto in essere soprattutto sul versante genealogico, e attraverso le fonti ecclesiastiche, da Antonello Girardi Pigozzi per la sua tesi ha portato in luce tutta una serie di questioni che uniscono con un filo roso la storia di molte famiglie locali 8. Una leggenda tramandatasi nel tempo, anche attraverso sos contos de foghile , i racconti narrati attorno al focolare in anni in cui non esisteva ancora la televisione, vuole che ad un vecchio ramingo in campagna nella notte fonda sia apparso un fantasma che gli avrebbe detto: «Vedi lontano la luce di quel fuoco? All’ ala destra costruirai un paese che diventerà ricco e importante» 9. Al di là delle leggende, delle quali la storia della Sardegna è ricca, dalle ricerche più recenti 10 emerge come nei documenti più antichi la grafia del nome sia Allaha o Alah o Alà; a seguito di un processo di semplificazione grafica e nel rispetto della pronuncia, come d’altronde per altri centri dell’isola, il nome divenne Alà. Il territorio, anche grazie a quanto ci dicono i recenti scavi archeologici, risulterebbe abitato già in età antica e in età romana. In epoca giudicale il villaggio di Alà fece parte prima del giudicato di Torres e successivamente - in seguito alla sua estinzione - di quello di Arborea, venendo compreso nella curatoria del Monteacuto. Nonostante la vittoria aragonese, suggellata dalla battaglia di Sanluri del 1409, il Monteacuto continuò per un certo periodo a rimanere sotto la sfera di influenza dell’ex giudice di Arborea, divenuto vassallo del re aragonese col titolo di marchese di Oristano. Risale a questo periodo un’importante attestazione del villaggio di Alà che è fra i villaggi che elessero rappresentanti per la conferenza di pace tra Eleonora d’Arborea e il re d’Aragona, tenutasi a Cagliari nel 1387. Nel 1421, dopo il definitivo abbandono della Sardegna da parte del visconte di Narbona (ultimo giudice d’Arborea), il Monteacuto entrò a far parte del grande feudo concesso dal re Alfonso V d’Aragona a Bernardo Centelles, vicerè di Sardegna, appartenente ad una importante famiglia catalana che fu a fianco del sovrano in tutte le sue imprese militari in Italia. Il feudo, denominato Contea di Oliva, comprendeva le curatorie di Montes, Coros, Oppia, Figulinas, Monteacuto, Mejlogu, Costavall, Anglona, Marghine e Goceano. Alla

8 A. GIRARDI PIGOZZI, Studio preliminare per una analisi demografica della comunità di Alà dei Sardi e ricerche genealogiche sulla famiglia Pigozzi , Tesi conclusiva del quarto anno di corso Cagliari, Scuola di genealogia araldica e scienze documentarie, 2002, pp. 38-40 consultabile in Archivio storico del Comune di Alà dei Sardi (d’ora in poi ASCAS). 9 G.B. DE MELAS, Escursioni turistiche in Sardegna. Alà dei Sardi. Anticaglie, scoperte, folclore e storia , Sassari, Tipografia moderna, 1962. 10 A. GIRARDI PIGOZZI cit. 4 morte di Bernardo nel 1433 il feudo passò a suo figlio Francesco Giliberto che già lo amministrava da anni e che risiedeva in Sardegna insieme alle sorelle Caterina e Violante. Dopo la morte di Francesco Giliberto nel 1480 i suoi figli non fecero più ritorno in Sardegna e non si occuparono più delle sue vicende politiche. Dalla Spagna amministrarono tramite funzionari baronali quello che era un vero e proprio Stato, nonostante nel frattempo fossero state perdute la contea del Goceano, la curatoria di Montes, quella di Oppia e una parte di quella di Costavall. Eppure, i possedimenti della famiglia erano nel complesso cresciuti in quanto a seguito dell’estinzione dei Carroz era stato acquisito l’importantissimo marchesato di Quirra . I Centelles divennero a quel punto la più potente famiglia feudale della Sardegna. A seguito dell’estinzione dei Centelles con Pietro Gilberto morto pazzo nel 1569, la contea di Oliva, e quindi il Monteacuto con Alà, passò alla famiglia Borgia tramite Maddalena Centelles, sorella dell’ultimo feudatario, sposata con Carlo Borgia duca di Gandìa, vicerè del Portogallo. Il loro figlio Francesco Tommaso divenne conte di Oliva ma non cessò di guardare ad orizzonti più ampi. Basti pensare che il figlio di Carlo fu vicerè di Sardegna e l’altro figlio Gaspare fu arcivescovo di Siviglia, vicerè di Napoli e cardinale in Roma. Alla fine del Seicento la famiglia Borgia fu la maggiore feudataria della Sardegna avendo acquisito numerosi altri feudi tra cui il marchesato di Quirra, egualmente a seguito di eredità Centelles, eredità contestata che portò ad una lite durata oltre 50 anni che si concluse con la perdita di Quirra nel 1726, qualche anno dopo il passaggio della Sardegna dalla Spagna al Piemonte. Tutti i feudatari, anche quelli “stranieri”, furono confermati nei loro feudi. I Borgia continuarono ad amministrare la contea di Oliva e gli altri feudi sardi fino all’estinzione della famiglia avvenuta nel 1740. In seguito a questo evento la contea fu confiscata dai Savoia ma riconcessa nel 1767 a Maria Giuseppa Pimentel, discendente dai Borgia per via femminile. Dieci anni dopo entrò in possesso per via ereditaria di altri tre Ducati e altri piccoli feudi, diventando la maggiore feudataria della Sardegna. In seguito alla sua morte saranno i suoi discendenti ad amministrare i feudi sardi fino al riscatto da parte dei Savoia; a quel punto anche il territorio di Alà divenne direttamente dipendente da Torino. Molte rimangono ancora oggi le fonti inedite, conservate soprattutto nell’archivio storico comunale di Alà dei Sardi, ma anche negli archivi di Stato, che meritano di essere studiate. Una documentazione, questa, che ci permette di ricostruire le vicende legate alla modernizzazione di un paese che, seppur in una realtà periferica come quella di Alà dei Sardi, cerca di superare il suo isolamento.

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L’attuale paese sorse nella prima metà del Seicento ad opera di pastori stanziali. La più antica informazione di carattere demografico su Alà (è questa la sua prima intitolazione) risale al 1656, anno in cui si contavano 29 nuclei familiari o più precisamente fuochi, espressione che evoca l’immagine di accampamenti di antiche tribù, in un’epoca in cui nei villaggi non esistevano ancora vere costruzioni in pietra. Il paese si sviluppò nei pressi della chiesa di Santa Maria, edificata nel 1619 secondo quanto scritto dal padre scolopio Vittorio Angius. Fu dipendenza della parrocchia di Buddusò come la stessa parrocchia fino al 1807, anno in cui fu eretta in rettorato autonomo sotto il titolo di Sant’Agostino. Il materiale utilizzato per la costruzione del paese fu esclusivamente granito, con anche legno per i tavolati ed i tetti, come dimostrano le abitazioni del centro storico. Questa modalità di costruzione rimase inalterata per circa 250 anni. La volta a botte fu infatti introdotta alla fine dell’Ottocento dal toscano Pasquale Dei che la utilizzò per la costruzione delle caserme dei Carabinieri di Buddusò e Alà dei Sardi 11 . Un quadro assai preciso su Alà a metà Settecento è presente nella Relazione di Vincenzo Mameli de Olmedilla sugli Stati di Oliva 12 , del 1769; in queste righe, oltre ad un’accurata descrizione del territorio e del clima, vengono riportati giudizi – in alcuni casi molto forti – sul carattere e sul temperamento degli abitanti di Alà come anche la descrizione di alcune consuetudini sociali per le quali sembra esplicita la condanna di chi scrive. Nell’ incipit della relazione così si legge:

Piccolo villaggio di 582 anime, secondo il registro, che mi è stato presentato dal curato di esso, della numerazione dell’anno scorso, però così come da allora alcuni sono mancati, o per morte o per essersi stabiliti in altri villaggi, non potendo vivere in questo, come sempre proseguivano, e di fatto nell’intervallo fra la prima volta che passai e la seconda, sono mancate tre famiglie, così non venendo queste mancanze pareggiate dai bambini nati posteriormente, ci deve essere una diminuzione dall’anno scorso a questa parte. Anche questo villaggio, come è stato detto nel capitolo su , è di quelli di Silvas de intro e il più vicino di tutti gli altri, poiché il suo territorio rimane fra levante e scirocco. Ha verso libeccio da mezzogiorno il villaggio di Buddusò a distanza di circa tre miglia e la sua esposizione guarda fra scirocco e mezzogiorno, situata in un luogo elevato sulle falde di alte montagne, viene a trovarsi così in mezzo ad una pianura ossia canale di terra, il quale sulla sinistra di questo villaggio fra scirocco e levante guarda verso gli alti monti di SIlvas de intro chiamati Sa punta de sas pruneddas e Sa punta de Salvanuri e sulla destra verso libeccio e ponente forma la vallata di Buddusò e va a sboccare scendendo per lo più

11 GIRADI PIGOZZI cit., p.43. 12 Relazione di Vincenzo Mameli de Olmedilla sugli Stati di Oliva. Il Ducato del Monteacuto (1769) , traduzione di Italo Bussa, in Quaderni Bolotanesi , 1985, n. 11. La relazione fu scritta dopo che i Savoia restituirono ai legittimi titolari spagnoli i quattro feudi sardi, sequestrati decenni addietro.

6 insensibilmente verso la parte più elevata del fiume di , il quale scorre poi per la pianura di , cosa di cui abbiamo parlato nel [capitolo sul] Marghine. Questo canale ossia vallata non si stenderà meno di cinque-sei miglia di lunghezza e sta in mezzo di monti, che formano una parte della lunga catena di montagne, che dal mare di Posada, e Terranova per il tratto di molto più di quindici miglia va ad unirsi con quelle del Goceano, poi con [quelle del] Marghine fino a Bosa. Il suo terreno, sebbene sabbioso, è buono, soprattutto per orzo e abbonda in ogni parte di acqua; perciò riuscirebbero a meraviglia i prati e questo sarebbe il miglior uso che si potrebbero fare di essi. Molte delle sue località sono idonee e dappertutto attecchirebbe molto bene quasi ogni specie di alberi. Gli abitanti di Alà mantengono api, dalle quali si estrae miele eccellente e nei dintorni del villaggio vi sono alcune vigne, che dimostrano che quel terreno è loro molto confacente e che se fosse abitato da gente laboriosa, somministrerebbe le sue produzioni ai vicini paesi in abbondanza. L’aria non può essere cattiva in questo villaggio, ma non è però del tutto sana, poiché il Monte de oro – al cui piè il medesimo si incontra con la serie dei suoi monti vicini, i quali iniziando dai terreni di vicino ai confini di vanno a confondersi con quelli di Silvas de intro – gli toglie l’aria più salutare di tramontana. Quella di mezzogiorno gli viene ogni tanto impedita dalle montagne, che gli rimangono, le quale partendo da vanno ugualmente ad unirsi in Silva de intro con i predetti monti da una parte e dall’altra con quelli di nel Marchesato di Orani fino a Posada e Siniscola. L’acqua è dappertutto buona e abbondante. La serie delle montagne unite al sopraddetto Monte de oro è tutta alpestre, solitaria e fredda, in maniera tale che la neve perdura per buona parte dell’anno e alla fine di marzo, quando passai, ve n’era ancora in molti luoghi, per cui durante tutto l’inverno non si può transitare, né pascola in essi altro bestiame che capre e porci, poiché vi sono di tanto in tanto alberi ghiandiferi e nell’estate maggiormente vivono molto bene le vacche, in mezzo alla pietra e rocce vi sono tratti di pianura, ove l’erba, che tarda a crescere, deve durare molto tempo e fra le pietre nascono sterpaglie e piccole piante, delle quali si godono le vacche e le capre. In queste [montagne] confinano Pattada, Oschiri, , Alà e Buddusò, i quali hanno tutti la loro parte, e passa la strada da Berchidda a Buddusò, che sogliono fare, considerandola la più breve, i Berchiddesi e i Galluresi per andare verso il Capo di Cagliari, però è in tal modo dirupata e cattiva, che in alcuni passaggi non tutti i cavalli portano il proprio cavaliere e molte poche sono le persone, che rischiano di percorrerle a cavallo. Sebbene i terreni circostanti ad Alà non siano dei migliori per grano, [esso] abbonda però di ottimi [terreni] a distanza di 3-4 miglia verso i territori di Silvas de intro 13 .

Senza appello è la condanna nei confronti del modus vivendi et operandi degli abitanti di Alà che, come spesso capitava nei piccoli centri della Sardegna, si sposavano tra parenti e in molti casi sceglievano la strada delle coabitazione:

Questa popolazione non solamente è indolente e totalmente propensa al furto e per conseguenza molto miserabile, particolarmente da quando il bestiame ha cominciato ad andar male; però, sebbene non sia così temerario e sfacciatamente ribelle come quelli di e , conosce tanto poco la giustizia e la religione, che appena ne esiste il nome e non sopporta nessun curato zelante, che lo rimproveri per i suoi vizi.

13 Ibidem. 7

Si sposano per lo più fra parenti, poiché frequentandosi con maggior libertà facilmente cadono né hanno cura di compiere le formalità della Chiesa, sebbene conducano vita coniugale; ed essendo stato alloggiato in casa del Maggiore di Giustizia, che è dei più rigorosi nelle usanze e il più agiato, mi disse che la figlia adolescente fra dodici e tredici anni stava già da un anno vivendo con lo sposo parente stretto. Mosso da un certo fervore, ne feci colpa al padre e alla madre, i quali mi pregavano di attendere nel far loro un simile rimprovero e discorso, fino a quando fosse venuto un sacerdote loro parente, e zio dello sposo, e inducendoli ad allontanarlo di casa mi replicarono di averlo voluto fare, ma che lo sposo si rivoltava contro di essi e li minacciava e quando non poteva fare altro se la prendeva per forza per dormire a casa sua. Essendo venuto il sacerdote ed essendomi accinto a cominciare il mio paternale facendogli carico di un tele scandalo, il sacerdote mi rispose che aveva ripreso molte volte il nipote, sollecitandolo a fare arrivare la dispensa, però lui non vi faceva caso, anzi qualche volta per questo motivo arrivava a toglierli il rispetto e finalmente scusandolo disse che non vi era molto male, poiché era tradizione e vi era già l’intenzione di ottenere la dispensa 14 .

Non meno severo era il giudizio sul mancato rispetto della giustizia da parte degli abitanti di Alà:

Tutto va in questo modo e queste altre somiglianti regole rafforzano quelle popolazioni nei vizi e nei cattivi costumi, in maniera che i buoni insegnanti dispiacciono loro e li disprezzano, anzi ne ridono, maggiormente vedendo la rilassatezza della giustizia, a causa della quale vanno impuniti i delitti, dei quali non fanno più caso a forza di farvi l’abitudine e di non vedere castigo. Trovandomi in questo villaggio per darne il possesso alle Ec.me Signore Duchesse ed essendo voluto venire per suo piacere il Delegato di giustizia, colsero l’occasione i barracelli per condurre due di quegli abitanti arrestati perché erano stati incontrati con buoi domiti rubati e avendoli posti nei ceppi vennero subito le mogli e i parenti dei rei dal Delegato per regolare il fatto; ma egli rispose loro, secondo quanto mi fu dopo riferito, che allora non era il momento, poiché c’ero io, però quando tornai a passare, seppi che di lì a pochi giorni quei ladri furono liberati. In un villaggio di così scarsa popolazione si contavano già allora più di quaranta buoi domiti rubati durante quest’anno, sui quali vigilavano i barracelli. Si deduca da ciò quanto maggiore sarà il furto dell’altro bestiame, del quale non sono essi incaricati e unita questa mancanza alla loro poltroneria, si deduca quanto patisca l’agricoltura. Qui inoltre si lamentano più di tutto degli abitanti del molto miserabile villaggio di Monti, il cui Signore, con la sua eccessiva negligenza, sembra che fomenti la sua malvagità.

In questo quadro di degrado morale e sociale, sembra quasi che neanche la Chiesa – con i suoi sacerdoti – possa riuscire ad avere un ruolo positivo:

La parrocchia rispecchia in tutto il paese: piccola, povera, indecente e servita da un curato forestiero, il quale essendo venuto per visitarci vestito molto impropriamente, e senza collare, fu necessario dirmi che lui era il curato, perché io indovinassi che era sacerdote, ed è tanto ignorante che non ha nemmeno saputo leggere l’orazione dopo il Te Deum. Se era vestito in tal modo in quella occasione, che cosa sarà di solito? Si pensi, sulla base di ciò, quale cibo [spirituale] avranno i suoi parrocchiani.

14 Ibidem. 8

Oltre ai due indicati sacerdoti, ve n’è un altro, il più agiato, che non sembra migliore di quelli. Nella mia prima visita ho trovato che predicava la quaresima un sacerdote giovinetto, inviato a tale scopo da Monsignore. Questo predicatore certamente non si sarà guadagnato il rispetto a causa della sua età, né l’esperienza gli avrà dettato le sue prediche o lo avrà regolato nei confessionali e per la verità non mi sembrò persona adatta per adesso per un tale impiego 15 .

Nonostante una situazione che sembrava non avere nessuna possibilità di redenzione, la relazione si chiudeva non con una condanna che sarebbe pesata comunque come un macigno sulla possibilità di qualsiasi sviluppo economico, sociale e morale del paese ma con la speranza che – grazie alle sue risorse – ce l’avrebbe potuta fare ad uscire da quella situazione. E si precisava:

Questo villaggio è senza dubbio capace di un aumento di popolazione e molto adatto per l’impianto di prati, poiché vi sono molte zone idonee per questo e abbonda grandemente di buone acque correnti e perenni, sufficienti per mandare avanti qualsiasi macchina, alla sua destra le medesime scorrono lungo la vallata e vanno ad unirsi col fiume di Buddusò, che dopo un lungo giro va a ingrossare il fiume di Oschiri; sulla sinistra scorrono all’opposto e passando per Silvas de Intro vanno ad unirsi col fiume di Posada e in parte con quello di Terranova. Però per un tale scopo è assolutamente necessario trasferire del tutto i suoi abitanti, che attualmente vi sono e metterli in mezzo a una popolazione di costumi migliori e che conosca di più la religione e sostituirli con altri meglio educati e allevati a vivere dal lavoro. Già da se stesso va di giorno in giorno annientandosi, così come van pure diminuendo Buddusò, e Nule, villaggi tutti situati uno dopo l’altro a mezzogiorno di questo Ducato, lungo i morti, che da davanti a questo villaggio vanno verso Benetutti 16 .

È noto l’episodio, riportato da Alberto Ferrero della Marmora, del sindaco di Alà (era infatti ancora questa l’intitolazione del paese agli albori dell’Ottocento) che nel 1803 minacciava di rivolgersi al re di Spagna per redimere una controversia nella quale era stato coinvolto 17 . Non deve destare meraviglia se, ancora agli albori dell’Ottocento, in alcuni centri dell’interno dell’isola il passaggio dalla Spagna al Piemonte non fosse stato recepito pienamente. D’altronde, la stessa classe dirigente della Sardegna aveva continuato per lungo tempo ad usare alcuni simboli identitari dell’epoca spagnola: in primis la lingua. Nei principali centri urbani della Sardegna prese le mosse, tra la fine del Settecento e i primi dell’Ottocento, una nuova classe dirigente destinata a diventare con il passare

15 Ibidem. 16 Ibidem. 17 A. FERRERO DELLA MARMORA, Itinerario dell’isola di Sardegna, , Ilisso, 1997, Prima edizione 1860. 9 del tempo magna pars del processo di modernizzazione dell’isola in un rapporto d’incontro/scontro con l’élite piemontese; si trattava di una nuova classe sociale che aveva avuto modo di nascere e consolidarsi grazie alla graduale implosione del sistema feudale e che costituiva per il Piemonte sabaudo la necessaria sponda di attuazione del progetto di assimilazione linguistico-culturale della società sarda agli usi e alle istituzioni del continente. Per tutta la prima metà dell’Ottocento andò aumentando lo scollamento tra le maggiori realtà cittadine e le piccole comunità legate alle attività economiche tradizionali, che continuavano a mantenere il loro carattere di comunità orali, restando fedeli alle loro lingue dialettali. La scuola ce la mise tutta, seppur con le problematiche legate alle difficoltà economiche dei piccoli comuni e ai pregiudizi culturali delle famiglie che vedevano nei figli, in molti casi, solo un necessario incremento delle braccia da lavoro; la Casa regnante aveva infatti fatto pesare sui comuni l’operazione di riscatto dei feudi provocando ripercussioni negative nel già lento processo di modernizzazione delle piccole comunità locali come Alà dei Sardi che, come si è detto, aveva fatto parte del Ducato di Monteacuto. Fino agli anni Trenta dell’Ottocento, la vita di Alà dei Sardi è sotto l’influenza del potere feudale e nel complesso è molto diversa rispetto a quella di una città regia. Il potere di un feudatario implica per la villa pesanti gravami e una limitata autonomia decisionale, almeno fino a quando il sistema inizia a implodere. Un percorso che facilita la nascita di una nuova classe dirigente 18 , destinata a diventare magna pars delle scelte della comunità e motore trainante nel processo di modernizzazione di quel territorio all’interno del quale anche la lingua avrà il suo valore. Il programma di italianizzazione continuerà con la fondazione dello Stato Unitario e, nel corso del ventesimo secolo, con un vasto progetto di alfabetizzazione che, peraltro, neppure ai nostri giorni può dirsi interamente portato a termine 19 . Ciò fa sì che, mentre la

18 Sul ruolo ricoperto dalla classe dirigente sarda negli anni del Risorgimento cfr. A. ACCARDO, N. GABRIELE, Scegliere la Patria. Classi dirigenti e Risorgimento in Sardegna , Roma, Donzelli, 2011. Cfr. più in generale B. BONGIOVANNI, N. TRANFAGLIA (a cura di), Le classi dirigenti nella storia d’Italia , Roma- Bari, Laterza, 2006. 19 È stato soprattutto Michelangelo Pira a mettere in luce come lo sviluppo di questo processo abbia fatto sì che l’alfabetizzazione dei sardi avvenisse attraverso una lingua, appunto, “straniera” come l’Italiano. Precisa infatti Michelangelo Pira, La rivolta dell’oggetto . Antropologia della Sardegna, Milano, Giuffrè, 1978, p. 149: «I sardi “in quanto tali”, vengono tagliati fuori dalla comunicazione scritta […]. Le istituzioni giuridiche sono scritte in lingua diversa dalla loro […]. Se si prescinde dal breve periodo dei giudicati possiamo dire che lo scrivere su Sardegna è strutturalmente connesso ad una lingua non sarda. Essere istruiti, essere cioè alfabeti, significa conoscere un’altra lingua. Istruito è, almeno per tutto il secolo scorso e nel nostro secolo, il sardo che sa scrivere e parlare in italiano. Istruzione e cultura, scrittura e lingua italiana, sono per la coscienza popolare la stessa cosa». 10 vita pubblica “ufficiale”, tanto nella città quanto nei piccoli centri come Alà dei Sardi, è ormai dominata dall’italiano, i rapporti quotidiani, familiari e di lavoro danno luogo ad una sostanziale polarizzazione, nelle lingua e nella cultura, tra l’italiano parlato nelle città più importanti e il sardo che nei centri minori, nelle campagne, e nei centri rurali mantiene ancora una solida aderenza al tessuto comunitario 20 . La storia di Alà dei Sardi s’inserisce in questo contesto e all’interno della più generale storia della borghesia agraria in Sardegna, che prende le mosse contestualmente alla fine del potere baronale. Con l’intento di svuotare il sistema feudale dall’interno, un primo passo viene fatto con l’ Editto di riforma delle comunità di villaggio del 24 settembre 1771, in base al quale gli amministratori non vengono più designati dai feudatari ma dall’amministrazione viceregia 21 . La riforma voluta dal ministro Bogino intende mettere mano al governo locale e per quanto riguarda i villaggi crea un Consiglio Comunitativo eletto dai capifamiglia la cui composizione varia da 3 a 7 membri secondo la popolazione 22 . Una volta nominato si deve autoperpetuare, provvedendo attraverso cooptazione alla sostituzione annuale di un terzo dei componenti. Al suo interno devono essere rappresentati i tre ordini della comunità (primo, mezzano e infimo), anche se sarà di fatto sempre egemone il ruolo dei prinzipales . Il meccanismo tende così a sottrarre il Consiglio dall’ingerenza, almeno formale, del barone 23 . È proprio grazie a questo provvedimento che si getteranno le premesse per la graduale trasformazione della nuova élite in classe dirigente. Una svolta significativa per tutte quelle famiglie del notabilato locale che alla ricchezza legata al possesso dei beni, all’esercizio delle professioni o allo status dinastico vogliono associare anche un fattivo ruolo istituzionale nelle comunità di riferimento. Il nuovo gruppo che va formandosi non appare però coeso, soprattutto nella

20 Cfr. S. SASSU, La Rasgioni in Gallura. La risoluzione dei conflitti nella cultura degli Stazzi , Roma, Armando, 2009. 21 Sull’argomento si veda I. BIROCCHI, M. CAPRA, L’istituzione dei consigli comunitativi in Sardegna, in «Quaderni sardi di storia», n. 4, luglio 1983 - giugno 1984, pp. 139-158. 22 Cfr. G. RICUPERATI, Il riformismo sabaudo settecentesco e la Sardegna. Appunti per una discussione , in I volti della pubblica felicità. Storiografia e politica nel Piemonte settecentesco , Torino, Albert Meynier, 1989, pp. 157 ss. Più in generale cfr. A. MATTONE, P. SANNA, Settecento sardo e cultura europea , Milano, Franco Angeli, 2007. Secondo A. MATTONE, Istituzioni e riforme nella Sardegna del Settecento, in Dal trono all’albero della libertà , Atti del convegno di studi (Torino 11-13 settembre 1989), vol. I, Roma, Ministero per i beni culturali e ambientali, 1991, p. 405 l’editto d’istituzione dei Consigli Comunitativi costituisce una riforma di capitale importanza nella storia della Sardegna settecentesca; anzi si tratta di una delle poche riforme varata negli anni del Ministero del Bogino, durature ed efficaci, destinata a modificare nel lungo periodo i rapporti sociali nelle campagne. Prima di allora, gli ordinamenti del villaggio sardo erano stati fissati dalla Carta de Logu. 23 I consiglieri sono posti sotto la protezione del sovrano e il viceré deve vigilare affinché non siano molestati da nessuno nell’esercizio delle loro funzioni. Cfr. A. MATTONE, Le origini della questione sarda. Le strutture, le permanenze, le eredità , in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna , Torino, Einaudi, 1998, p. 125. 11 sua composizione, se non per le logiche che stanno alla base della creazione di veri e propri clan a carattere familiare. È pertanto difficile connotare i prinzipales con una definizione che si basi precipuamente sulle finalità che come classe intendono perseguire. Di fronte al tentativo d’invasione di Napoleone, il Parlamento sardo sceglie con successo la strada della resistenza. L’esito di quell’impresa favorisce il nascere di una richiesta presentata dai Sardi al sovrano sabaudo, finalizzata a porre mano al rapporto centro- periferia. All’interno di questo moto s’inseriscono anche le istanze delle borghesie di campagna e città 24 . Tra il 1793 e il 1796 si sviluppa in Sardegna un forte movimento per l’abolizione dei diritti feudali. La richiesta è di poter procedere con il meccanismo del riscatto dei feudi da parte delle comunità, ma le risposte del governo sabaudo, anche per le circostanze internazionali e gli effetti della Rivoluzione Francese, non saranno quelle auspicate 25 . Le comunità non intendono però farsi sfuggire l’occasione e cercano d’incanalare in un unico filone il movimento antifeudale. Sono gli «strumenti d’unione e di concordia» a costituire la testimonianza più significativa di quella che verrà definita la «Sarda rivoluzione» 26 . Stipulando tutti gli atti davanti a un funzionario pubblico si vuole legittimare la scelta dei Comuni appartenenti a uno stesso feudo di non riconoscere più l’autorità del barone e di trasferire la rivoluzione dalle strade agli uffici dei notai. Alla base di questa rivendicazione vi è la richiesta non solo di sempre maggiore autonomia dal controllo del barone, ma anche dai gravami da esso imposti, come pure di provvedimenti volti alla liberalizzazione del commercio. Sono istanze tipiche di quella nuova classe borghese nata come la fenice dalle ceneri del sistema feudale, e che porteranno all’acuirsi del contrasto fra le comunità locali

24 La crisi politica esplode nell’aprile del 1794, quando un tumulto popolare controllato dagli Stamenti caccia dall’isola i Piemontesi. Cfr. G. SOTGIU, L’insurrezione di Cagliari del 28 aprile 1794 , Cagliari, AM&D, 1995; F. FRANCIONI, in Diritto di resistenza, nazione e patria in Sardegna durante la Rivoluzione francese, Le autonomie etniche e speciali in Italia e nell’Europa mediterranea. Processi storici e istituzioni , Atti del Convegno Internazionale nel Quarantennale dello Statuto (Cagliari 29 settembre - 1 ottobre 1988), Cagliari, Consiglio regionale della Sardegna, 1988, pp. 85-105 e il più recente saggio di A. MATTONE, P. SANNA, La «crisi politica» del Regno di Sardegna. Dalla rivoluzione patriottica ai moti antifeudali (1793-1796) , in Diritto & Storia , 2007, n. 6. 25 Sul triennio rivoluzionario cfr. I. BIROCCHI, La carta autonomistica della Sardegna tra antico e moderno. Le «leggi fondamentali» nel triennio rivoluzionario (1793-96) , Torino, Giappichelli, 1992; L. CARTA, La «Sarda Rivoluzione». Studi e ricerche sulla crisi politica della Sardegna tra Settecento e Ottocento , Cagliari, Condaghes, 2001 e T. ORRÙ, M. FERRAI COCCO ORTU, Dalla guerra all’autogoverno. La Sardegna nel 1793-94: dalla difesa armata contro i francesi alla cacciata dei piemontesi , Cagliari, Condaghes, 1996. 26 Di questo parere è L. CARTA, La «Sarda Rivoluzione» (1793-1802) , in M. BRIGAGLIA, A. MASTINO, G.G. ORTU (a cura di), Storia della Sardegna , vol. 2, Roma-Bari, Laterza, 2006, p. 42, secondo cui anche per Giovanni Maria Angioy gli «strumenti d’unione» permettono al movimento antifeudale di coniugare legalità e rivoluzione nella lotta per l’abolizione del feudalesimo. Il primo atto è quello firmato dai Comuni di , e il 24 novembre 1795. 12 e i feudatari. A partire dalla seconda metà del XVIII secolo - un periodo caratterizzato da una mobilità sociale ancora ai primi passi - che va prendendo corpo quella che si può definire, pur con tutti i suoi limiti, una classe dirigente sarda 27 . Gli sforzi dei nuovi governanti piemontesi si erano indirizzati a consolidare la propria presenza nell’isola, piuttosto che a migliorarne le condizioni economiche e civili 28 . La Sardegna continua ad avere scarsa popolazione e limitate risorse economiche, provenienti soprattutto dall’agricoltura e dalla pastorizia, peraltro fortemente arretrate rispetto alle forme che vanno assumendo nelle più sviluppate aree della penisola 29 . Negli anni Trenta dell’Ottocento ad Alà vi sono, secondo i dati riportati dal padre Scolopio Vittorio Angius, 160 famiglie e 950 persone 30 . I dati riportati dall’Angius nel Dizionario di Goffredo Casalis ci descrivono il centro abitato del paese che si componeva di 263 case, la sua vita amministrativa animata da un consiglio di comunità e da una giunta locale sul monte di Soccorso. Il possesso di fondi rustici è per tutti loro il vero strumento di nobilitazione. L’accesso alla terra è infatti un momento importante per i vassalli perché dà avvio alla lenta maturazione di alcune loro famiglie come élite, sviluppando una certa attenzione alla libertà economica, alla produttività e al profitto. Sino a quel momento l’assetto urbanistico rimane quasi inalterato nel tempo e ruota tutto attorno agli edifici di culto, da sempre punto di riferimento delle comunità locali ancor più se piccole. Ad Alà vi è dunque la chiesa parrocchiale dedicata alla Vergine, definita di «semplice architettura» dall’Angius e fabbricata nel 1619, con attiguo il cimitero. Il parroco, che la governa, ha il titolo di rettore ed è assistito da un altro sacerdote. Vi sono inoltre in paese due chiese filiali, una dedicata a S. Giovanni Battista e l’altra a S. Antonio da Padova; alle loro feste, precisa l’Angius, vi è «gran frequenza di gente di villaggi limitrofi, e si dà lo spettacolo della corsa dei giumenti maneggiati da ragazzi, ai quali si distribuisce un piccolo premi». L’unico divertimento conosciuto è il ballo.

27 Cfr. più in generale al riguardo A. MATTONE, La cessione del Regno di Sardegna dal trattato di Utrecht alla presa di possesso sabauda (1713- 1720) , in Rivista Storica Italiana , 104 (1992), fasc. 1, pp. 5-89. Con l’atto di cessione dell’isola i Savoia si impegnano al rispetto del particolarismo giuridico del Regnum Sardiniae , di cui il sistema feudale rappresenta uno degli elementi fondamentali. 28 Per un ulteriore approfondimento su queste tematiche cfr. F. LODDO CANEPA, Riformismo e fermenti di rinascita dai primi Sabaudi alla fine del secolo XIX , in Atti del V Convegno internazionale di Studi Sardi , Cagliari, SEI, 1954, pp. 67-99 e C. SOLE, La Sardegna sabauda nel Settecento , Sassari, Chiarella, 1984. 29 Per M. DA PASSANO, La discussione sul problema della chiusura dei campi nella Sardegna sabauda , in Materiali per una Storia della Cultura Giuridica , 10 (1980), n. 2, p. 421. 30 L’edizione consultata, dalla quale sono tratte tutte le notizie riportate da Vittorio Angius nella voce su Alà [ Alà dei Sardi], è G. CASALIS , Dizionario Geografico-Storico-Statistico-Commerciale degli Stati di S.M. il Re di Sardegna , Torino, G. Maspero Librajo, Cassone Marzorati Vercellotti Tipografi, 1833-1856, ora Cagliari, L’Unione Sarda, pp. 66-69. 13

Il territorio è in gran parte montuoso e boschivo, e quindi più vocato al pascolo che all’agricoltura (si semina grano ed orzo, il cui prodotto appare appena sufficiente alla sussistenza degli abitanti). Il nuovo regime fondiario fondato sulla proprietà privata libera da ogni vincolo e commerciabile è il risultato di un processo iniziato a livello europeo molto prima delle riforme attuate dai Savoia in Sardegna a partire dagli Anni Venti dell’Ottocento. Solo la conoscenza delle diverse realtà locali permette infatti di comprendere la complessità e la variabilità dell’evoluzione delle classi sociali tra gli ultimi decenni del XVIII e il XX secolo 31 . Non sono poche infatti le storie di periferia che si sono trasformate in storie di centro, e la Sardegna non fa eccezione 32 con le sue caratteristiche precipue e le profonde differenze 33 . Non sarà un percorso facile e indolore, soprattutto nelle zone interne della Sardegna come ci racconta anche la stampa dell’epoca. Simbolo di tutto questo processo sono i muretti a secco. La loro costruzione non è semplice in quanto bisogna avere le risorse necessarie per poter portare a termine l’ambizioso progetto, ancor più in un’isola caratterizzata dalla mancanza di liquidità. Il nuovo regime fondiario fondato sulla proprietà privata libera da ogni vincolo e commerciabile è tuttavia il risultato di un processo iniziato a livello europeo molto prima delle riforme attuate dai Savoia in Sardegna a partire dagli Anni Venti dell’Ottocento 34 . Si avvia con la Rivoluzione Francese e prosegue nel primo Ottocento con le riforme agrarie

31 G. CANDELORO, Storia dell’Italia moderna , XI, La fondazione della Repubblica e la ricostruzione. Considerazioni finali , Milano, Feltrinelli, 1986, p. 300 mette in evidenza la necessità di evitare una sopravvalutazione del valore dell’unificazione politico-territoriale in quanto le diversità interne sono un elemento permanente ed entro certi limiti insopprimibile. Cfr. inoltre G. GALASSO, L’Italia come problema storiografico , Torino, Utet, 1979. 32 Per il caso della famiglia Cocco Ortu cfr. G. SALICE, Dal villaggio alla nazione. La costruzione delle borghesie in Sardegna , Cagliari, AM&D, 2011. 33 Uno studio a tutto tondo sul mondo delle campagne in Sardegna è quello di G.G. ORTU, Economia e società rurale in Sardegna , in P. BEVILACQUA (a cura di), Storia dell’agricoltura italiana in età contemporanea , II, Uomini e classi , Venezia, Marsilio Editori, 1990, pp. 325-375. 34 Secondo I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna. Provvedimenti normativi, orientamenti di governo e ruolo delle forze sociali dal 1839 al 1851 , Milano, Giuffrè, 1982, p. 343 dire che la proprietà privata era un fenomeno molto diffuso nella società sarda ben prima dell’Ottocento risponde certamente alla realtà; eppure contiene un aspetto di verità la tesi apparentemente opposta, per la quale l’ Editto delle chiudende fondò nell’isola la proprietà privata. Sullo stato dell’agricoltura in Sardegna tra Settecento e Ottocento cfr. anche U.G. MONDOLFO, Agricoltura e pastorizia in Sardegna nel tramonto del feudalesimo , in A. BOSCOLO (a cura di), Il feudalesimo in Sardegna , Cagliari, Sarda Fossataro, 1967, pp. 431-455 e G. TORE, Tecnici, letterati ed economia agricola: il dibattito sulla «nuova agricoltura» nella Sardegna del primo ’800 , in G. SOTGIU, A. ACCARDO, L. CARTA (a cura di), Intellettuali e società in Sardegna tra Restaurazione e Unità d’Italia , vol. I, Oristano, S’Alvure, 1991, pp. 355-390. 14 che, a partire dalla Prussia, coinvolgeranno negli anni successivi gran parte dei Paesi dell’Europa dell’Est 35 . L’Europa continentale si trasforma durante questo periodo in un mercato fondiario molto dinamico. La defeudalizzazione, l’indebitamento dei nobili e dei contadini, le nuove regole successorie frazionano i fondi rustici e imprimono a questo iter una velocità mai conosciuta prima, anche se è ancora debole la possibilità di accesso alla proprietà della terra da parte degli strati più bassi della società 36 . Per quanti hanno già accumulato capitali, talvolta grazie anche ad attività di fitto e mezzadria, si prospetta viceversa l’importante occasione di divenire proprietari. Il consolidamento della borghesia agraria e delle professioni in Sardegna va quasi di pari passo con il percorso che porta alla creazione della «proprietà perfetta» anche se, nelle diverse realtà locali, con significative peculiarità legate ai singoli territori 37 . I provvedimenti presi dalla monarchia sabauda a partire dal periodo boginiano fino agli anni che portano all’abolizione del feudalesimo corrispondono ad altrettanti momenti di affermazione delle élite 38 . Il fine di Casa Savoia è quello di favorire l’abbandono della comunanza delle terre e dei sistemi di coltivazione tradizionali, nella gran parte dei casi poco remunerativi, attraverso una riforma finalizzata a preparare gli animi di un popolo fortemente legato agli antichi usi 39 .

35 Di questo parere è M. MALATESTA, Le aristocrazie terriere nell’Europa contemporanea cit., p. 6. Per il caso francese cfr. M. BLOCH, I caratteri originali della storia rurale francese , Torino, Einaudi, 1973. 36 La defeudalizzazione offre delle possibilità anche ai contadini. In Francia la Rivoluzione crea uno strato di coltivatori che diventano la struttura portante della società rurale francese; anche in Belgio, nella Germania dell’Ovest e in Scandinavia la proprietà contadina diviene il presupposto dello sviluppo capitalistico dell’agricoltura. Il fenomeno interessa, sia pure in misura inferiore, l’Italia e la Spagna. Cfr. ancora al riguardo M. MALATESTA, Le aristocrazie terriere nell’Europa contemporanea cit. 37 G. DONEDDU, Una regione feudale nell’età moderna , Sassari, Iniziative culturali, 1977, pp. 89-106 si sofferma sul caso gallurese, ricostruendo il quadro sociale delle ville in questo periodo. Ad un’altra area della Sardegna, quella campidanese, è dedicato il lavoro di G. TORE, La fabbrica del vino (Terra, lavoro e azienda nella Sardegna moderna) , Sassari, Edes, 1995 nel quale l’autore ricostruisce le vicende legate all’evoluzione dell’economia agricola isolana grazie alla viticoltura. 38 L’economia locale, legata soprattutto all’agricoltura e alla pastorizia, perennemente in contrasto fra loro, necessita di urgenti riforme. È così il «potente consigliere» del re Carlo Emanuele III, Giovanni Battista Lorenzo Bogino, a ideare e pianificare già negli ultimi decenni del Settecento la diffusione della proprietà perfetta nell’isola. Cfr. M.L. DI FELICE, Dall’agronomia settecentesca alla nascita della Facoltà di Scienze agrarie. L’intervento riformatore in agricoltura , in A. MATTONE (a cura di), Storia dell’Università di Sassari, vol. I, Nuoro, Ilisso, 2010, pp. 313-335. 39 In un periodo nel quale le riforme boginiane arrivano al loro epilogo, non mancano le riflessioni degli intellettuali sardi in tema d’agricoltura. In particolare quelle di padre Francesco Gemelli ( Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura , voll. I-II, Torino, Gianmichele Briolo, 1776), professore di Eloquenza all’Università di Sassari, le cui idee saranno ispiratrici di una trasformazione in senso imprenditoriale e capitalistico dell’agricoltura sarda, venendo accolte positivamente da tutti quei notabili che il governo è riuscito a coinvolgere nel suo percorso di riforme. Per controbattere le teorie del Gemelli, qualche anno dopo, verrà dato alle stampe uno studio del nobile sassarese Andrea Manca dell’Arca (Agricoltura di Sardegna , Napoli, Vincenzo Orsino, 1780, ripubblicato a cura di G. MARCI, Cagliari, Cuec, 2005), legato - contrariamente all’insigne professore - al vecchio modo di condurre l’agricoltura isolana. Sostenitore di un più fattivo investimento di risorse nel mondo della campagna è, viceversa, in quello stesso 15

Accorpando la terra, vendendola nei luoghi meno produttivi e lontani, anche i prinzipales di Alà cercano di accorparla in una logica in cui la qualità paga più che la quantità, sebbene a partire da questo periodo si vengano a creare delle tanche molto vaste.

Il Regio editto sopra le chiudende, sopra i terreni comuni e della Corona e sopra i tabacchi del Regno di Sardegna 40 porta la firma di Vittorio Emanuele - le I e la data del 6 ottobre 1820. La sua pubblicazione avviene però solo nell’aprile del 1823, sotto Carlo Felice. L’editto autorizza la chiusura dei terreni di proprietà sottraendoli in questo modo all’uso collettivo e ai danni del bestiame errante. Ai Comuni viene data nel contempo la stessa autorizzazione per i terreni di loro pertinenza, ma anche la possibilità di dividerli fra i capifamiglia, venderli e darli in affitto. Una testimonianza significativa del clima che si è venuto a creare in molte parti della Sardegna sono i versi a lungo attribuiti al grande poeta Melchiorre Murenu (sarebbero però del frate ozierese Gavino Achena) che, con l’amaro ancora in bocca, denuncia: Tancas serradas a muru, - fattas a s’afferra afferra, - si su chelu fit in terra, - che l’aìant serradu puru (= Proprietà chiuse con i muri, - fatte all’arraffa arraffa, - se il cielo fosse stato in terra, - avrebbero chiuso pure quello) 41 . L’ Editto delle chiudende , pur contribuendo a formare una proprietà borghese, non colpisce direttamente il potere baronale in quanto i terreni del demanio feudale non

arco di tempo, Giuseppe Cossu, giudice della reale udienza e censore generale. Gemelli e Cossu sono, infatti, gli iniziatori nel Settecento di quello che diverrà il dibattito sui problemi della terra e dell’assetto fondiario. Sul censore generale cfr. M. LEPORI, Giuseppe Cossu e il riformismo settecentesco in Sardegna , Cagliari, Cooperativa editoriale Polo Sud, 1991. 40 Secondo C.G. MOR, Le leggi sulle chiudende (1820-1839) , estratto dagli atti del II Congresso nazionale di diritto agrario Mussolinia-Cagliari, Sassari 16 - 19 ottobre 1938, pp. 5-7 questo complesso di editti e di carte reali, specialmente quelli degli ultimi anni, pare sia stato emanato solo a favore di coloro che abusivamente hanno occupato terre comunali, abbeveratoi pubblici, perfino vie regie, e che si sono affrettati a chiudere le loro tanche assai vaste al solo scopo di consolidare l’abuso perpetrato, senza avere la minima idea di promuovervi lavori agricoli profittevoli. In molti centri della Sardegna, soprattutto nella zona di Nuoro e , nell’estate del 1832, l’opposizione popolare contro l’ Editto delle chiudende dà luogo a manifestazioni di violenza spesso duramente represse. Per M. DA PASSANO, L’agricoltura sarda nella legislazione sabauda , in F. MANCONI, G. ANGIONI (a cura di), Le opere e i giorni. Contadini e pastori nella Sardegna tradizionale , Cinisello Balsamo, Consiglio regionale della Sardegna, 1982, p. 80 la legge viene combattuta da un’opposizione formata da feudatari, pastori e contadini poveri, che nelle zone interne sfociò in una violenta sollevazione (1832-1833) repressa militarmente. Non mancano però le significative eccezioni. 41 Al riguardo cfr. A. TROVA, G. ZICHI, L’Ottocento. Dalla “fusione” all’Unità (1800-1899) , Sassari, La Nuova Sardegna, 2011, p. 24. Sulla sollevazione contro le chiudende cfr. L. DEL PIANO, La sollevazione contro le chiudende , Cagliari, Editrice Sardegna Nuova, 1971 e più in generale G. DONEDDU, Proprietà e chiusure dei terreni. Il mito delle «chiudende» , estratto da: La Carta de logu nella storia del diritto italiano (Atti del convegno di studi, Cagliari dicembre 1993), Sassari, Unidata, 1996. 16 vengono contemplati dalla legge 42 . L’aria che si respira in Europa all’uscita dal periodo della Restaurazione non può non ripercuotersi anche su quella che è ormai una scelta obbligata per il Regno di Sardegna: liberare la terra dai vincoli atavici. Il Governo deve procedere tuttavia con molta cautela. Glielo impone il diritto internazionale e il potere superstite dei feudatari 43 . Carlo Alberto è così costretto a sopprimere i feudi attraverso atti contrattuali stipulati con i singoli baroni, addossando sui villaggi tutto il peso dell’operazione e incidendo negativamente sulle potenzialità di sviluppo economico del territorio 44 . È la fine, dopo secoli, di un sistema complesso di gestione della vita economica, sociale, amministrativa e giudiziaria 45 . Il potere della nuova élite nata dalla fusione della vecchia nobiltà con la più giovane borghesia è da tempo autonomo da qualsiasi ingerenza baronale e la fine del feudalesimo non fa altro che formalizzarlo e consolidarlo 46 . Con il trascorrere del tempo ai tradizionali cognomi dell’élite locale se ne affiancheranno altri di pastori-proprietari, che traendo beneficio dal nuovo stato di cose inizieranno, seppur timidamente, a rivendicare spazi sempre più ampi per l’esercizio del potere. I dati catastali conservati nell’archivio storico comunale di Alà dei Sardi lo dimostrano. La coscienza da parte dei suoi membri d’appartenere a una classe, connotata da un proprio modus vivendi et operandi , come anche il riconoscimento del nuovo status da parte della comunità, sono però di fondamentale importanza per la sua stessa nascita. In quest’ultimo caso i tempi sono spesso molto lunghi, secondo linee di tendenze che variano fortemente da situazione a situazione. Talvolta ci vorranno diverse generazioni per completare questo iter, grazie anche a un’abile politica matrimoniale e alla pianificazione di una strategia successoria ad hoc 47 .

42 Cfr. al riguardo C. SOLE, La Sardegna di Carlo Felice e il problema della terra , Cagliari, Sarda Fossataro, 1967; B. ANATRA, Riforme feudali e ceti sociali nell’età albertina , in Archivio Sardo del Movimento Operaio, Contadino e Autonomistico , 11-13 (1980), pp. 97-112; M. DA PASSANO, Legislazione e proprietà fondiaria. Il problema delle recinzioni nella Sardegna sabauda, Firenze, Olschki, 1982. 43 Cfr. Fra il passato e l’avvenire. Saggi storici sull’agricoltura sarda in onore di A. Segni , Padova, Cedam, 1965. 44 Tra il 1838 e il 1843, si stipulano così con i singoli feudatari la maggior parte degli atti di transazione e di riscatto, sanzionati poi dalle relative regie patenti; dopo il 1838 vengono pronunciate in poco più di due anni ben 300 sentenze. Le modalità del riscatto incidono profondamente sulle successive vicende della Sardegna. Ai Comuni va il grave onere di cospicui riscatti attraverso la sottoscrizione di cartelle di rendita del debito pubblico e talvolta con la cessione di immobili. 45 Vengono ricondotti in mano alla monarchia tutti i poteri di governo del territorio e delle popolazioni, prima in capo ai feudatari. Su tale argomento cfr. U.G. MONDOLFO, L’abolizione del feudalesimo in Sardegna , in A. BOSCOLO (a cura di), Il feudalesimo in Sardegna , Cagliari, Sarda Fossataro, 1967, pp. 475-478. 46 In un’accezione più generale cfr. F. FLORIS, S. SERRA, Storia della nobiltà in Sardegna , Cagliari, Della Torre, 1986 e il più recente lavoro di F. FLORIS, Dizionario delle famiglie nobili della Sardegna , ivi, 2009. 47 Cfr. più in generale al riguardo A. OPPO (a cura di), Famiglia e matrimonio nella società sarda tradizionale , Cagliari, La Tarantola Edizioni, 1990. In Inghilterra, secondo l’esempio riportato da M. 17

Le strategie matrimoniali tipiche di quell’epoca faciliteranno l’incontro di queste due realtà - agevolando l’integrazione fra la nascente borghesia e la nobiltà - che andranno a confluire, amalgamandosi, in un’unica struttura notabiliare 48 . Non meno interessanti appaiono le vicende legate ai cognomi. Quella dei cognomi matrilineari è per la Sardegna una vera e propria consuetudine, dalla quale neanche Alà si discosta da altre realtà isolane. La scelta del cognome matrilineare, o del doppio cognome, appare quasi scontata ogniqualvolta le madri hanno un albero genealogico più prestigioso di quello dei padri. Molti sono ancora oggi i centri dell’isola dove si sentono gli echi di quelle scelte passate, tanto che talvolta i cognomi presenti all’anagrafe non corrispondono a quelli riconosciuti dalla popolazione. Nei Quinque libri degli archivi diocesani e negli atti notarili non è rara, proprio per ovviare a questa confusione, l’annotazione da parte del parroco e del notaio di come il volgo riconoscesse la famiglia. Lo si riscontra anche nel caso di Alà. Le particolari logiche alla base dei matrimoni fra borghesi e nobili rendono sovente problematico il percorso che porta a queste unioni, soprattutto quando il blasone è di origine feudale. In ogni caso le resistenze sono minori quando si tratta di patriziati urbani. Un esempio in questo senso è quello dell’aristocrazia milanese che intensifica nel secondo Ottocento i matrimoni fra i suoi eredi maschi e le figlie della ricca borghesia. In campagna, viceversa, sono molto più semplici e indolori le strategie matrimoniali che finiscono per legare fra loro i figli della nobiltà e della borghesia. In Sardegna si uniscono così, oltre alle persone, anche sas tancas (terreno «chiuso» di una certa estensione) e in qualche caso le aziende, di pari passo ad altri interessi molto spesso legati alla cultura di classe. In un ambiente obiettivamente circoscritto come Alà, queste esigenze, e soprattutto la volontà di mantenere indivise le proprietà, favoriscono in egual misura le unioni fra consanguinei. Un fenomeno non solo locale, né solo italiano, né esclusivamente borghese 49 . È chiaro che in una realtà piccola e tendenzialmente isolata il fenomeno diventa particolarmente significativo come il quello della convivenza, usanza abbastanza comune anche fra le classi più agiate. Per la Chiesa è un’abitudine da condannare, anche se i Sardi, ancora in quegli anni, faticano a circoscrivere il proprio progetto di vita a un rituale rigido.

MALATESTA, Le aristocrazie terriere nell’Europa contemporanea cit., p. 5 ci vogliono due generazioni perché una famiglia di commercianti si integri pienamente. 48 Una fonte assai utile per ricostruire tutte le dinamiche relative alla vita privata e pubblica delle élite, le cui vicende passano dalla nascita alla morte nello studio del notaio, sono gli atti notarili. Tanti sono gli esempi che si potrebbero citare al riguardo, conservati nell’Archivio di Stato di Sassari. 49 Quello delle unioni matrimoniali tra consanguinei è un fenomeno di largo respiro che coinvolge sia la ricca borghesia rurale dell’Italia meridionale come anche la nobiltà francese. 18

È il Concilio di Trento a dare un assetto giuridico definitivo a tutta la normativa sul matrimonio 50 . Il dettato, imponendo la forma canonica della celebrazione, non intende tuttavia abolire i costumi delle diverse realtà locali. L’invito è ad armonizzare entrambi, per cui nulla avrebbe impedito d’attribuire al rituale «matrimonio sardo» - che garantisce la pubblicità del consenso davanti ai testi e alla presenza del parroco ( sponsali ) - lo stesso valore giuridico della forma canonica tridentina 51 . Il vero fine della norma conciliare appare infatti quello d’estirpare la piaga dei matrimoni clandestini, la coabitazione della coppia prima del rito nuziale e il concubinato. Da questo momento si fa tuttavia sempre più chiara la differenza tra sponsali e matrimonio, cioè tra la promessa di volerlo contrarre e l’attuazione di tale proposta. Per evitare il sorgere di equivoci, considerando il fidanzamento alla stregua del matrimonio, si fa divieto ai sacerdoti di assistere agli sponsali . I vescovi non baderanno troppo a salvaguardare gli elementi tipici della cultura e della vita dei Sardi, ma con scarsi risultati, in quanto la tradizione sarà destinata a perdurare a lungo. Nonostante la continua insistenza dei Sinodi sulla materia, la promessa prematrimoniale continua a essere (in molti casi ancora nell’Ottocento) un momento fondante della famiglia sarda dalla quale deriva spesso anche la coabitazione. Per queste coppie la Chiesa favorirà in tutti i modi la celebrazione di un rito il più possibile segreto, il cosiddetto «matrimonio di coscienza». L’enciclica Satis Vobis Compertum di papa Benedetto XIV (17 novembre 1741), soffermandosi sulle modalità in cui può essere ammessa questa particolarissima celebrazione, pone come emblematico il caso di una coppia convivente ritenuta legittimamente sposata. Fondamentale appare il ruolo del parroco, al quale è demandato il compito di procedere ad alcune verifiche, come l’esistenza di una causa non di «poco peso, ma grave e sommamente pressante» 52 , lo status sociale degli sposi e l’esistenza del consenso dei genitori.

50 Cfr. C. PILLAI, Le coabitazioni nel Campidano di Cagliari tra Settecento e Ottocento , in Quaderni bolotanesi , n. 18, anno XVIII, Bolotana, 1992, pp. 439-445 e dello stesso autore, Riti nuziali e matrimoniali clandestini nella Sardegna sabauda , ivi, n. 30, anno XXX, Bolotana, 2004, pp. 371-384. 51 D. LOMBARDI, I tempi del matrimonio in età moderna , in Popolazione e Storia , 2/2004, p. 42 precisa come bastasse il consenso degli sposi perché un matrimonio fosse valido e non c’era bisogno di forme solenni e pubbliche di celebrazione, né della presenza di un sacerdote o di testimone, né di un luogo sacro. Il consenso era un fatto interiore: si poteva esprimere con parole, ma anche con un semplice cenno del capo. Dal momento in cui questa promessa veniva espressa aveva così inizio il matrimonio, che solo in un secondo momento sarebbe stato formalizzato. Cfr. F. SECHI, Matrimonio nei riflessi canonici e civili in Sardegna , in Famiglia e società in Sardegna (Atti del convegno di studi Sassari 23-25 ottobre 1969), Milano, Giuffrè, 1971, pp. 221-230. 52 Benedetto XIV, Satis Vobis Compertum , 17 novembre del 1741. 19

Nel 1839 una Carta Reale regola i nuovi rapporti giuridici tra Stato e Comuni53 . Il suo obiettivo è di favorire la «proprietà perfetta» grazie alla divisione dei territori del Regnum Sardiniae in privati, comunali e demaniali. Nell’isola il problema rimarrà quello dell’abolizione degli ademprivi («diritto d’uso» degli abitanti dei villaggi di esercitare il pascolo, il ghiandatico e il legnatico). Lo sarà a lungo anche per Alà dei Sardi. La loro è una storia del tutto particolare tanto che sarebbe vano cercare lo stesso termine nel resto della penisola, dove realtà simili vengono indicate come «usi civici» 54 . Una strada difficile e dagli esiti incerti, ma che rappresenta comunque l’affermazione delle istanze borghesi e l’apertura di una nuova fase per la storia agraria della Sardegna 55 . Le quotizzazioni delle terre comunali realizzate tra il 1845 e il 1850 arrivano a produrre nell’isola ben 21.716 lotti di terreno, dei quali beneficiano un numero di persone assai vicino alle 10.000 unità che prima non possedevano alcuna terra. Un punto di partenza importante affinché prenda corpo quella piccola borghesia coltivatrice destinata a costituire a lungo l’ossatura produttiva dell’agricoltura isolana 56 . In alcune parti della Sardegna, come ad Alà, la divisione dei salti comunali innescherà profonde reazioni popolari, la più conosciuta delle quali a Nuoro è ricordata come «Su Connottu». Appare chiaro come a beneficiare di tutti questi importanti cambiamenti siano stati in primo luogo i nobili, i sacerdoti, i professionisti e i proprietari terrieri 57 . Per loro si apre un futuro da veri e propri soggetti politici e nelle loro mani da questo momento in poi si concentrerà una molteplicità di incarichi 58 .

53 La Carta Reale del 26 febbraio 1839 viene considerata da Cavour il primo codice fondamentale in rispetto della proprietà fondiaria nell’isola. Cfr. AA.PP., Camera dei Deputati, Documenti , sessione 1857, atto n. 89, p. 8. 54 Per un profilo storico-giuridico degli usi civici cfr. G.I. CASSANDRO, Storia delle terre comuni e degli usi civici nell’Italia meridionale , Bari, Giuseppe Laterza e figli, 1943 e U. PETRONIO, voce Usi civici , in Enciclopedia del diritto , vol. 45, Roma, Giuffrè, 1992, pp. 930-952. Sugli ademprivi si veda A. MARANGONI, voce Ademprivi , in Digesto italiano , vol. 2, Torino, Pomba, 1884, pp. 125-159 e F. LODDO CANEPA, voce Ademprivi , in Dizionario archivistico per la Sardegna , vol. 1, Cagliari, F. Ledda, 1926, pp. 9-12. Più in generale cfr. R. DI TUCCI, La proprietà fondiaria in Sardegna dall’alto Medio Evo ai giorni nostri , Cagliari, Ledda, 1928. 55 Carlo Cattaneo, agli albori dello Stato unitario, in uno dei suoi lavori più noti - dal titolo emblematico Un primo atto di giustizia verso la Sardegna (Il Politecnico , XIII, 1852) - definirà gli ademprivi «ultima feccia dell’amaro suo calice». Le sue riflessioni sono talmente interessanti da essere illuminanti ancora oggi: andava bene abolire quell’antico diritto consuetudinario, ma una volta liberati occorreva destinare quei terreni a vantaggio della società sarda. Auspici, quelli di Cattaneo, destinati tuttavia a rimanere in larga parte lettera morta. 56 Cfr. I. BIROCCHI, Per la storia della proprietà perfetta in Sardegna cit., p. 184. 57 Un quadro a tutto tondo di questo mondo, ancora oggi tra i più esaustivi, è presente in M. MALATESTA (a cura di), Storia d’Italia, Annali 10 , I professionisti , Torino, Einaudi, 1996. 58 Cfr. più in generale, sui risvolti sociali ed economici di questi incarichi, M. BIGARAN (a cura di), Istituzioni e borghesie locali nell’Italia liberale , Milano, Franco Angeli, 1986; R. ROMANELLI, L’Italia liberale (1861- 1900) , Bologna, Il Mulino, 1979 ed E. COLOMBO, I sindaci del re (1859-1889) , Bologna, Il Mulino, 2010. 20

Nelle élite che si fanno strada in concomitanza con la fine del feudalesimo non è marginale il ruolo della nobiltà 59 . Al titolo d’altronde è sensibile anche la borghesia agraria e delle professioni che cerca spesso di imitare usi e costumi dell’aristocrazia 60 . All’indomani dell’abolizione del feudalesimo i nobili non feudali e i cavalieri ereditari finiscono per essere assimilati sempre più alla borghesia, anche se talvolta l’antichità del nome o il possesso del privilegio continuano a favorirli61 . Si tratta di coniugare il nuovo con l’antico, il denaro con il blasone, la tradizione con il progresso 62 . Una realtà che è testimoniata, per la Sardegna, non solo dalla documentazione archivistica ma anche dalla letteratura, in particolare dalle opere di Grazia Deledda e di Salvatore Satta. La prassi dei matrimoni fra borghesi e nobili è talmente diffusa, soprattutto per le famiglie alto-borghesi, che è difficile non trovare nel loro albero genealogico almeno un antenato (o meglio un’antenata) di alto lignaggio. È una commistione di vecchio e nuovo, di antico e moderno che si incontrano e si intrecciano. Le generazioni che scaturiscono dalla loro unione possono vantare entrambi i requisiti. Sono vecchie perché seguono comunque un cammino familiare e sociale secondo le antiche logiche di autoperpetuazione, e sono nuove in quanto vivono in una realtà economica e sociale, nonché politica, diversa rispetto al passato e hanno la possibilità di scegliere percorsi di studio all’avanguardia. Anche la Sardegna conosce quindi nei primi decenni dell’Ottocento importanti cambiamenti e una maggiore flessibilità a livello sociale, secondo una linea di tendenza che aveva già preso avvio in Europa nei decenni precedenti. Ancora per larga parte del secolo il possesso di fondi rustici resta la principale fonte di potere e prestigio per le élite - non solo per quelle rurali ma altresì per quelle urbane - antiche e nuove. Il quadro sardo non si differenzia di molto da quello sopranazionale. Ovunque in Europa la terra è considerata condizione indispensabile per legittimare un ruolo sociale di prestigio, in quanto conferisce tutta una serie di diritti, come quello di voto per i regimi censitari, e talvolta è presupposto per la nobilitazione. In Sardegna lo stesso Carlo Felice aveva cercato di seguire questa strada e per incentivare l’agricoltura aveva

59 Nelle codificazioni successive a quella napoleonica, compreso il codice Pisanelli del 1865, al titolo viene attribuito valore legale. 60 Cfr. G.C. JOCTEAU, Nobili e nobiltà nell’Italia unita , Roma-Bari, Laterza, 1997. 61 Questa lettura è di Francesco Floris in F. FLORIS, S. SERRA, Storia della nobiltà in Sardegna cit., p. 26. 62 L’analisi delle strategie nuziali è importante per cogliere la propensione delle varie realtà sociali a integrarsi, che non si rileva, viceversa, a parte qualche significativo caso, nella nobiltà di più alto lignaggio, come quella cagliaritana ancora per tutto il corso dell’Ottocento. Questa è la lettura che ne dà anche N. LAI, Il ceto nobiliare tra novità e tradizione , in C. DAU NOVELLI (a cura di), La società emergente cit., pp. 73- 120. 21 creato i cosiddetti «nobili dell’olio» 63 . Sono anni in cui per diventare nobili basta innestare un certo numero di olivi 64 . L’acquisizione e il miglioramento della terra diventano un progetto di status, in un binomio inscindibile di tradizione e progresso 65 . Quella delle aristocrazie terriere europee dell’Ottocento è dunque la storia di una transizione e rappresenta uno dei momenti più significativi del passaggio dagli antichi ai nuovi regimi. Le iniziative imprenditoriali restano però patrimonio di pochi e sono localizzate in ristrettissime aree della penisola, mentre tutta la borghesia italiana post- unitaria subisce il fascino della proprietà terriera 66 . La liberazione della terra da ogni vincolo comunitario rappresenta un momento di svolta anche per lo sviluppo economico della Sardegna. Gli studiosi che negli anni si sono soffermati a riflettere sul problema concordano quasi tutti sulla necessità di una riforma agraria basata sull’eliminazione degli antichi ordinamenti comunitari e sulla riduzione della pastorizia errante 67 . Dello stesso ordine d’idee sono anche una parte dei possidenti sardi, convinti che il compimento dei lavori catastali possa essere la più alta realizzazione della nuova epoca, quasi un «vangelo» 68 . Registrando, classificando e talvolta legalizzando la proprietà della terra se ne garantisce l’alienabilità 69 . La Sardegna arriva in ritardo (solo agli albori del 1851) all’istituzione del suo Catasto provvisorio , diretta emanazione delle cosiddette Liste di riparto create all’indomani della fine del regime feudale, con lo scopo di redigere l’elenco dei contribuenti 70 . Il limite sta nel fatto che sono i singoli a dover dichiarare spontaneamente i loro beni, seppure sia previsto un intervento di verifica da parte di probi uomini e delle amministrazioni locali.

63 Cfr. M. LE LANNOU, Pâtres et paysans de la Sardaigne , Tours, 1941, traduzione italiana di M. BRIGAGLIA, Cagliari, Della Torre, 2006. 64 L’editto del 3 dicembre 1806 concede ai proprietari di terreni aperti la facoltà di chiuderli per crearvi oliveti, promettendo un titolo nobiliare a tutti coloro che avessero impiantato o innestato almeno 4.000 olivi. 65 Per G. DONEDDU, Ceti privilegiati e proprietà fondiaria nella Sardegna del secolo XVIII , Milano, Giuffrè, 1990, p. 7 essere «proprietari» è fondamentale in una realtà in cui la «proprietà» è l’unico modo di misurare la posizione sociale. 66 Di questo parere è A.M. BANTI, Storia della borghesia italiana cit., p. 65. 67 Un percorso di studio, volto alla conoscenza e alla sperimentazione di quelli che venivano considerati i mezzi più adatti alla valorizzazione dell’economia agricola isolana, è delineato a partire dal trattato fisiocratico di F. GEMELLI, Rifiorimento della Sardegna proposto nel miglioramento di sua agricoltura cit. al quale faranno seguito, tra gli altri, le osservazioni di FERRERO DELLAMARMORA, Voyage en Sardaigne, seconda edizione ampliata e rivista, voll. I-VIII, Paris: Arthus Bertrand, Turin: Joseph Bocca, 1839-1860 (De l’Imprimerie de Crapelet) e l’opera pubblicata, a cavallo della «fusione», da C. BAUDI DI VESME, Considerazioni politiche ed economiche sulla Sardegna , Torino, Stamperia Reale, 1848. 68 Di questo parere è L. MARROCU, Élite rurale e comunità nell’800 , in V. MURA, G. TIDORE, G.G. ORTU, L. MARROCU, M. CARDIA, Élite politiche nella Sardegna contemporanea cit., 1987, p. 64. 69 Cfr. su questo argomento R. ZANGHERI, Catasti e storia della proprietà terriera , Torino, Einaudi, 1980. 70 Cfr. Regio Brevetto del 28 aprile 1840, n. 11, il quale approva le istruzioni per l’eseguimento dei lavori relativi alla divisione delle terre. 22

L’obiettivo che lo Stato intende perseguire è dar vita a uno strumento che permetta, attraverso una precisa individuazione delle proprietà, di creare un nuovo sistema tributario in sostituzione di quello feudale. I risultati non corrisponderanno alle aspettative perché inizialmente le rilevazioni sono generiche, tese più che altro a distinguere i terreni demaniali da quelli comunali e privati. Pochi i dati sulle colture impiantate e sui confini. Grazie a questo seppur embrionale catasto è possibile avere una più esatta conoscenza dei beni in possesso dell’élite locale, anche ad Alà. Qualche anno dopo, nel 1843, molto resta da fare e lo strumento di cui ci si serve è sempre quello delle Liste di riparto . I Consigli Comunitativi e gli intendenti provinciali vengono invitati a rimettere mano al lavoro fatto. Le cause delle imperfezioni riscontrate nei risultati di questo lavoro vanno individuate nei sommari rilevamenti e negli abusi posti in essere dai più ricchi prinzipales nella denuncia dei loro beni. Nel complesso non sono poche però le inesattezze; inoltre, non prendendo adeguatamente in considerazione le effettive destinazioni produttive dei terreni, si dà l’avvio a un sistema di iniquità fiscale destinato a pesare particolarmente sulla piccola proprietà. L’accrescimento dei beni posseduti non sempre va di pari passo con il riconoscimento della nuova posizione in ambito sociale. Nel novello catasto di Alà con lo status di «agricoltore» vengono definiti anche quelli che potrebbero essere chiamati già ricchi «proprietari» terrieri. Una lettura che esprime come in questa fase e per molti anni ancora le varie connotazioni sociali e professionali siano incerte. In una realtà piccola come quella di Alà, anche il ruolo del negoziante acquista un valore aggiunto di particolare rilievo. La «bottega» è un vero e proprio emporio commerciale in cui ci si può rifornire di tutto il necessario per la vita di ogni giorno, dal cibo al vestiario, e dove confluiscono anche persone provenienti dai paesi circostanti. Un luogo nel quale si raccoglie il consenso dei clienti. Però il proprietario-negoziante è pure colui che può fare o negare il credito, permettere il sostentamento di una famiglia o contribuire ad accrescerne la fame, in una economia nella quale la circolazione monetaria è fortemente legata ai ritmi dell’ambiente rurale. Il negozio diventa così centro nevralgico della vita del paese, non solo per il piccolo commercio. Non è raro che in quelle mura si stabiliscano accordi importanti sul versante finanziario, privato ma anche pubblico. È lo spazio privilegiato della sociabilità, il luogo in cui i notabili locali discutono di politica e di cultura. Il luogo da cui partono le idee.

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Nel novembre del 1847 la scelta dei Sardi di rinunciare alla propria autonomia per unirsi anche dal punto di vista amministrativo e politico con il Piemonte apre loro le porte al Parlamento Subalpino e introduce nell’isola il sistema metrico decimale 71 . A pesare negativamente su quella decisione sono soprattutto i modi e i tempi di attuazione di una riforma che avrebbe avuto conseguenze economiche di incalcolabile entità. Alla base del malcontento vi è la presunzione di poter unificare in soli due anni i valori dei pesi e delle misure in vigore in Terraferma 72 . Già il 1° luglio 1844 un editto aveva sancito peraltro alcune di queste novità, eliminando dalla circolazione alcune delle vecchie monete, anche se sarà il baratto a caratterizzare talvolta, ancora nei primi decenni del Novecento, i rapporti economici nel mondo rurale: soprattutto grano contro lavoro. Per le misure, continuano ad esistere alcuni dei vecchi nomi; per esempio, nel Campidano su moi (= il moggio), utilizzato per la misurazione della superficie ( moi de terra ) ed equivalente a 4.000 mq, cioè il terreno che si può seminare con un moi de trigu (= moggio di grano). Nel Logudoro è tuttora in uso, nel parlato locale, sa covula , corrispondente a 1.000 mq. Protagonista indiscussa della cosiddetta «fusione» è la borghesia commerciale e intellettuale, anche se il suo entusiasmo sarà destinato ben presto a venir meno: «Errammo tutti, qual più, qual meno» 73 , non tarderà a scrivere l’avvocato e magistrato cagliaritano Giovanni Siotto Pintor, uno dei più strenui sostenitori di quella scelta oltre che un intellettuale apprezzato in tutta l’isola. Nonostante sia un ulteriore momento di difficoltà per gli strati più umili del mondo rurale 74 è comunque un’occasione per la Sardegna e per la sua élite - che può godere della liberalizzazione dell’esportazione dell’olio e del vino e conquistare nuovi mercati - ma anche per tutta la classe dirigente sarda che può sedere tra gli scranni del Parlamento Subalpino a Torino, destando talvolta non poco scalpore per i suoi costumi, tutti isolani 75 . Così accade quando Siotto Pintor si presenta il primo giorno in Senato vestito con gli abiti tradizionali isolani: berritta e cappotto di orbace, costume sardo e un paio di cerchietti

71 Cfr. al riguardo M.L. DI FELICE, La storia economica dalla «fusione perfetta» alla legislazione speciale , in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna cit., pp. 289-419. 72 Un’interessante sintesi critica su queste problematiche è quella di G. SIOTTO PINTOR, Sulle condizioni dell’isola di Sardegna , Torino, Stamperia Sociale degli Artisti tipografi, 1848, p. 31 ss. 73 Cit. in G. SIOTTO PINTOR, Storia civile dei popoli sardi dal 1798 al 1848 , Torino, Libreria F. Casanova successore L. Beuf, 1877, p. 476. Cfr. anche G. MUSIO, I capitali o il primo passo verso le ricchezze dell’isola di Sardegna , Cagliari, Tip. Arcivescovile, 1848. 74 È F. SERPI, Sulle condizioni del contadino sardo , Cagliari, A. Timon, 1848 a dipingere un quadro interessante sulla condizione di questa corposa frangia sociale in Sardegna, respingendo le accuse di pigrizia e di «poca industria» che in più occasioni erano state mosse nei confronti dei contadini. Ben altre, infatti, per Serpi le cause della loro situazione, e tra le prime l’eccessiva pressione fiscale. 75 G.G. ORTU, Tra Piemonte e Italia. La Sardegna in età liberale (1848-96) , in L. BERLINGUER, A. MATTONE (a cura di), Storia d’Italia. Le regioni dall’Unità a oggi. La Sardegna cit., pp. 203-288. 24 d’oro alle orecchie. Un ometto vestito in modo molto strano è quello che si trova davanti il guardaportone di Palazzo Carignano che non esita perciò a sbarrargli momentaneamente la strada 76 . I Sardi ancora durante la Prima Guerra d’Indipendenza (1848), rispetto agli altri sudditi degli Stati di Terraferma, sono in una posizione privilegiata perché non sottoposti all’obbligo militare: non è stato infatti esteso all’isola l’editto del 1837 che prevede la leva nel Piemonte sabaudo. Il loro sarà un arruolamento volontario 77 . La maggior parte degli Alaesi, in questo periodo, sono occupati nella pastorizia e molti di essi vivono negli stazi, o casali, principalmente quelli che hanno le cussorgie nella parte settentrionale del territorio verso Monti. A partire dalla seconda metà dell’Ottocento sono i nuovi percorsi scolastici, anche sul versante tecnico agrario, a favorire il processo di modernizzazione del territorio. L’eredità dei padri verrà raccolta dai figli che, rispetto a loro, hanno potuto però ricevere un’educazione diversa in primo luogo sul versante scolastico, in linea con le scelte del giovane Stato unitario che avverte l’urgenza di ridurre l’elevato tasso di analfabetismo. Agli inizi degli Anni Sessanta dell’Ottocento gli analfabeti risultano essere il 78% della popolazione italiana, nel Mezzogiorno si toccano punte di oltre il 90%, contro tassi inferiori al 50% nelle zone più evolute dell’Italia settentrionale. Chiaro diviene il rapporto fra lo sviluppo economico del Paese e l’istruzione, soprattutto tecnica, dei giovani 78 . A Sassari si avvia un percorso che parte dall’Istituto Tecnico 79 , nato il 6 maggio 1872 80 . Il suo direttore, Giovanni Pinna Ferrà, è fra i primi a credere che

76 Questo aneddoto è riportato da A. SATTA BRANCA, Rappresentanti sardi al Parlamento Subalpino , Cagliari, Editrice Sarda Fossataro, 1975, p. 102. 77 Cfr. al riguardo G. ZICHI, Il Contributo dei volontari sardi alle campagne garibaldine , in A. TROVA, G. ZICHI (a cura di), Cattaneo e Garibaldi. Federalismo e Mezzogiorno , Roma, Carocci, 2004, pp. 369-392. 78 Sul caso sardo cfr. I. CINUS, Nuove istituzioni educative e coscienza di ceto , in C. DAU NOVELLI (a cura di), La società emergente cit., pp. 121-206. La legge Casati si rivela da subito inadatta alle esigenze del sud ancora arretrato anche perché scarica sui Comuni gli oneri relativi al pagamento degli insegnanti e del materiale didattico. Di qui il fatto che resti in gran parte disattesa. Di questo parere è E. SPANU NIVOLA, Profilo storico dell’educazione popolare in Sardegna , in Archivio sardo del movimento operaio contadino autonomistico , n. 2, 1973, pp. 134-170. Uno studio recente è quello di F. PRUNERI, L’istruzione in Sardegna (1720-1848) , Bologna, Il Mulino, 2011. Per un raffronto con un’altra regione d’Italia cfr. anche dello stesso autore Oltre l’alfabeto: l’istruzione popolare dall’unità d’Italia all’età giolittiana. Il caso di Brescia , Milano, V&P, 2006. 79 Cfr. Notizie sullo stato dell’Istituto Tecnico recentemente formato a Sassari , in G. PINNA FERRÀ, Dell’istruzione tecnica come mezzo di sviluppo industriale nella provincia di Sassari , Sassari, Tip. Azuni, 1876, pp. 31-34. 80 Uno spaccato delle nuove realtà scolastiche in provincia di Sassari, a partire da metà Ottocento, è presente in G. ZICHI, L’istruzione tecnica come mezzo di sviluppo agricolo e industriale della Provincia di Sassari , in AA.VV., Enrico Costa (1841-1909). Società, politica e cultura tra Otto e Novecento (Convegno di Studi Sassari, 26-27 Marzo 2009) , Sassari, Mediando, 2012, pp. 45-97. 25 l’industrializzazione del territorio sarebbe dovuta passare proprio da lì, precisando come «fino a quando non fioriscano gli studi industriali, che da poco abbiam pensato ad introdurre, sempre sarem degni d’essere giudicati con quell’amaro sarcasmo di malaugurata memoria, che chiama poeti coloro i quali sanno tutto, tranne ciò che li farebbe uscir dalla miseria» 81 . Le humanae litterae da sole non sarebbero bastate infatti per traghettare l’isola verso un avvenire più prospero. In Sardegna, come nelle altre regioni d’Italia, gli effetti della legge Casati 82 creano un’offerta formativa più articolata rispetto al passato per quel che riguarda gli studi secondari 83 . Portati a termine i percorsi elementari, la scelta può ricadere o sulle scuole tecniche - ed è proprio questa la novità - o sul ginnasio 84 . La legge Casati si rivela tuttavia da subito inadatta alle esigenze del sud ancora arretrato anche perché scarica sui Comuni gli oneri relativi al pagamento degli insegnanti e del materiale didattico. Di qui il fatto che resti in gran parte disattesa 85 . L’apertura dell’Istituto tecnico di Sassari e della Regia Scuola pratica di Agricoltura avranno un ruolo importante nella modernizzazione dei paesi della Sardegna centro settentrionale, anche se nell’isola, ancora a fine Ottocento manca un sistema scolastico che garantisca - come invece è accaduto nelle altre regioni d’Italia - la creazione di un ceto

81 Ivi, pp. 17-18. A cavallo dell’Unità d’Italia è già Salvatore Manca Leoni a dare alle stampe un interessante saggio in cui, dopo aver elencato tutta una serie di provvedimenti presi dallo Stato centrale nei confronti della Sardegna considerati nocivi alla sua economia (come un’errata ripartizione dei circondari, il tentativo di abolizione dell’Università di Sassari e della Corte d’Appello), non manca di soffermarsi sui temi dell’istruzione affermando che «in un paese dedito eminentemente alla cultura dei terreni, l’insegnamento teorico dell’agricoltura non potrebbe che riuscire assai utile ed importante». Cfr. S. MANCA-LEONI, Le nuove leggi e la Sardegna , Sassari, Tip. Azara, 1860, la cit. si riferisce alla p. 30. 82 Regio decreto 13 novembre 1859 n. 3725 del Regno di Sardegna, entra in vigore nel gennaio 1860 e viene successivamente esteso, con l’unificazione, a tutta l’Italia. La legge prende il nome dal ministro della Pubblica Istruzione, Gabrio Casati, e fa seguito a quella Boncompagni del 1848 e Lanza del 1857. Rappresenta la prima forma di regolamentazione legislativa della scuola italiana. La legge è composta da ben 379 articoli attraverso i quali si regolamentano i vari rami dell’istruzione elementare, secondaria classica, tecnica ed universitaria. Su queste tematiche cfr. più in generale M. RAICICH, Scuola, cultura e politica da De Sanctis a Gentile , Pisa, Nistri-Lischi, 1982. 83 La legge Casati privilegia tuttavia l’istruzione classica, alla quale dedica 84 articoli, contro i 43 della scuola tecnica e i 58 dell’elementare. Nonostante ciò un’espansione progressiva dell’istruzione di tipo tecnico e professionale si registra in Italia a partire dagli Anni Sessanta dell’Ottocento. Il fine è di fornire una preparazione adeguata alle giovani generazioni che intendano aprirsi in tempi celeri al mondo del lavoro. Ma non solo. 84 Nel 1865 vi è a Sassari la solenne inaugurazione del Regio Liceo intitolato all’illustre concittadino Azuni, anche se in realtà già da diversi anni opera come emanazione dei due antichi ginnasi dei Gesuiti e dei Calasanziani. Gli esponenti della ricca borghesia fondiaria preferiscono offrire ai loro figli l’opportunità degli studi classici a scapito di quelli tecnici riservati, talvolta, ai figli della piccola borghesia o delle maestranze. 85 Di questo parere è E. SPANU NIVOLA, Profilo storico dell’educazione popolare in Sardegna , in Archivio sardo del movimento operaio contadino autonomistico , n. 2, 1973, pp. 134- 170. Uno studio recente è quello di F. PRUNERI, L’istruzione in Sardegna (1720-1848) , Bologna, Il Mulino, 2011. Per un raffronto con un’altra regione d’Italia cfr. anche dello stesso autore Oltre l’alfabeto: l’istruzione popolare dall’unità d’Italia all’età giolittiana. Il caso di Brescia , Milano, V&P, 2006. 26 di periti e di ingegneri 86 , quanto mai utile per dare risposte all’esigenza di trasformazione dell’agricoltura 87 . Per i Sardi che vogliono conseguire il grado dottorale quello di studiare fuori dall’isola era un percorso obbligato già agli inizi dell’età moderna, e nella seconda metà dell’Ottocento lo sarà ancora di più per chi vuole seguire studi in ambito scientifico e ingegneristico 88 . La scelta fatta propria dalla borghesia rurale del tempo è infatti solitamente quella di indirizzare alla campagna i figli che non mostrano propensione allo studio. Solo molti anni dopo sarebbe diventata chiara la necessità d’ istruire per modernizzare , come si rivelerà necessario anche ad Alà. È la questione delle acque di un intero territorio ad essere molto sentita dall’amministrazione comunale che, a partire dagli anni Sessanta dell’Ottocento, inizia un percorso finalizzato a valorizzarle, costruendo pubblici abbeveratoi e lavatoi. Per capire come l’identità urbana di Alà sia frutto di un lungo percorso sempre ben ponderato è utile la disamina della documentazione relativa alla costruzione della fonte pubblica e soprattutto le motivazioni alla base delle scelte dei tecnici. Il progetto prende le mosse nel 1862 con uno studio sulla potabilità delle acque. La documentazione conservata nell’archivio storico comunale ci fa capire l’importanza delle scelte di allora, sia per quanto riguarda il luogo che per i materiali utilizzati. Le notizie più interessanti sono

86 In particolare, sulla professione d’ingegnere, cfr. M.L. BETRI, A. PASTORE (a cura di), Avvocati, medici, ingegneri: alle origini delle professioni moderne (secoli XVI-XIX) , Bologna, Clueb, 1997. 87 Cfr. al riguardo C. PONI, Gli aratri e l’economia agraria nel Bolognese dal XVII al XIX secolo , Bologna, Zanichelli, 1963.Sui corsi dell’Università di Sassari cfr. in particolare A. MATTONE (a cura di), Storia dell’Università di Sassari , vol. I, Nuoro, Ilisso, 2010. Diversa è peraltro la situazione nella parte centro- settentrionale della penisola. Innumerevoli spunti, in questa direzione, si trovano in R. FINZI (a cura di), Fra Studio, Politica ed Economia. La Società Agraria dalle origini all’età giolittiana (atti del VI convegno: Bologna, 13-15 dicembre 1990) , Bologna, Istituto per la storia di Bologna, 1992 e in particolare - per il caso bolognese - nel lavoro di A. GIACOMELLI, Proprietari, affittuari, agronomi a Bologna. Le origini settecentesche della Società agraria , ivi, pp. 43-116 e per quello milanese in M. MALATESTA, La società agraria di Lombardia e le élites fondiarie milanesi , ivi, pp. 181-213. 88 La legge Casati pone mano a tutto il sistema dell’istruzione scolastica, affiancando a livello universitario (sullo schema medievale delle antiche facoltà di Teologia, soppresse nel 1873, di Medicina e Diritto) le facoltà di Lettere e Filosofia, di Scienze Matematiche Fisiche e Naturali. A questa ultima facoltà viene annessa la Scuola di Applicazione per la formazione degli ingegneri, della durata di tre anni, alla quale si accede dopo aver frequentato il biennio. Cfr. M.T. GUERRINI, Studiare altrove: la formazione dei “letrados” sardi nelle università spagnole e italiane in età moderna , in A. MATTONE (a cura di), Storia dell’Università di Sassari cit., vol. II, pp. 243-253. La prima facoltà d’Ingegneria nasce a Cagliari solo nel 1939 e Sassari ancora la reclama. Cfr. P. BULLITA, L’Università degli Studi di Cagliari dalle origini alle soglie del terzo millennio , Cagliari-Oristano, Telema edizioni, 2005. Sul periodo in questione cfr. anche T. TOMASI, L. BELLATALLA, L’Università italiana nell’età liberale (1861-1923) , Napoli, Liguori, 1988 e G.P. BRIZZI, A. VARNI (a cura di), L’Università in Italia fra età moderna e contemporanea. Aspetti e momenti , Bologna, Clueb, 1991. In una logica principalmente rivolta alla comparazione tra le altre realtà europee sono incentrati i lavori di I. PORCIANI (a cura di), L’Università tra Otto e Novecento. I modelli europei e il caso italiano , Napoli, Jovene Editore, 1994 e di G.P. BRIZZI, J. VERGER (a cura di), Le Università minori in Europa (secoli XV-XIX). Convegno Internazionale di Studi (, 30 ottobre-2 novembre 1996) , Soveria Mannelli, Rubbettino, 1998. 27 presenti nella relazione tecnica dall’ingegnere sulla «Fonte, lavatoio ed abbeveratoio da eseguirsi nel Comune di Alà»; così si legge tra le altre cose: La località scelta è l’unica che s’incontra nei dintorni di quel paese e sebbene la sorgente venga meno di qualche quantità d’acqua nell’estate, non è a temere che essa manchi del tutto, però si ha l’acqua ottima come risulta da relative analisi, e si avvantaggia nel liberare il paese di molte pozzanghere che lo stagnamento di quella sorgente vi produce a danno della pubblica igiene. Così raccolte in un unico punto quei filtri di ottima acqua e di una discreta quantità sebbene sebbene non si mantenga eguale in tutti i mesi dell’anno, è stata la causa dell’insalubrità dell’aria in quei dintorni. Tenendo di mira il sottoscritto i due motivi di sopra esposti, ha cercato di riunire in un sol punto tutti quei fili d’acqua sparsi per mezzo di canali e muri, e praticando profondi scavi per viepiù concentrarle e renderne più pronto l’affluimento di esse, e ciò al doppio scopo di godere tutta la quantità d’acqua possibile e rendere asciutti quei dintorni. In base a questi motivi ha regolato anche la costruzione della fonte e delle altre opere accessorie, tenendo anche di mira di fare un’opera che ad una saggia economia non andasse disgiunta la solidità ed una semplice eleganza. Giuseppe Mette, Ozieri 25 luglio 1863 89 .

D’altronde l’acqua era stata sempre importante in questo territorio fin dall’epoca nuragica tanto da dedicarle un culto. A 4 km da Alà dei Sardi si trova, nella cima della punta di Senalonga, una “fonte sacra” con lo sportello per attingere l’acqua, la celletta coperta, la scala per scendere fino al fondo in periodo di magra e l’usuale sala circolare. Anche in questo caso, come in molte altre infrastrutture legate all’uso delle acque, era stato usato il granito per costruire soprattutto la parte interna. Una scelta, questa, dettata sicuramente dalla gran quantità di quel materiale in loco ma anche dalle caratteristiche del granito. Nel mese di dicembre del 1863, a dimostrazione dell’importanza del provvedimento il Consiglio comunale si era riunito il giorno di Natale, il Comune di Alà assunse la denominazione di Alà dei sardi 90 . Bisognava distinguere il paese da altre località con lo stesso nome facenti parte del Regno d’Italia. I primi organici interventi sull’assetto urbanistico e sul sistema viario prendono avvio subito dopo l’unità. L’apertura di nuovi collegamenti stradali favorisce anche lo sviluppo del commercio e delle professioni. Un intero paese inizia ad adattarsi alle mutate esigenze igienico-sanitarie e culturali. Spostarsi dall’isola non è però facile, anche perché i collegamenti non sono frequenti, nonostante il servizio tenda progressivamente a migliorare. L’isolamento della Sardegna, come preciserà ancora agli albori del Novecento il geografo francese Maurice

89 ASCAS, Cartella 1, fascicolo 16. 90 Così è stato riportato nel Regio decreto b. 1632 con cui sono autorizzati vari Comuni ad assumere una nuova denominazione, 14 gennaio 1864 , in Raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno d’Italia, vol. 9, Torino, Stamperia Reale, 1864, pp. 23-25. 28

Le Lannou, non è solo verso la Terraferma ma anche tra un paese e l’altro. Chi vive ad Alà, ancora in quegli anni, difficilmente nell’arco di un intera vita si reca a Sassari o a Cagliari. La presenza a livello locale di un’irrisolta Questione sarda verrà confermata ancora dall’inchiesta promossa da Agostino Depretis, condotta tra il 1868 e il 1871 con il fine d’indagare sulle condizioni morali ed economiche dell’isola 91 . L’avvio della seppur lenta modernizzazione delle infrastrutture porta con sé anche il crescere di una sensibilità civica fino ad allora sconosciuta. Negli anni postunitari iniziano i lavori per la costruzione del campanile per collocarvi l’orologio pubblico e nel 1872 si procede alla costruzione di una nuova campana per la torre 92 . In quello stesso arco di tempo viene approntato un regolamento che permette la divisione e l’alienazione dei terreni comunali. Una questione che resterà a lungo alla base degli equilibri sociali ed economici della comunità. Forse anche per questo, nel 1872, si procede alla promulgazione di un regolamento per la compagnia barracellare e per la polizia rurale 93 . Alà dei Sardi comincia a cambiare il suo volto. A un costante incremento della popolazione corrisponde l’avvio di un piano urbanistico più razionale. In un contesto di crescente vivacità sociale ed economica, nonostante le incertezze delle annate agrarie, si sviluppa da parte delle élite la cultura del palazzo di famiglia. I prinzipales iniziano a costruirsi le «case alte» in una sorta di gara fra ricchi. Anche i pastori benestanti, malgrado privilegino l’interesse per la campagna, rendono più dignitose le loro vecchie dimore e in qualche caso edificano ex novo. C’è un intero paese da costruire e rinnovare attraverso una sorta di «febbre edilizia». Da una parte l’amministrazione comunale si fa garante di questo “nuovo corso” e dall’altra i privati e le imprese cercano di interpretare e cogliere quelle che potrebbero essere le ulteriori opportunità che quel particolare momento può offrire. La costruzione più antica di cui rimane prova certa è la casa parrocchiale. Sull’architrave di ingresso è ancora leggibile il nome di Luigi Leoni, rettore parrocchiale

91 Per un’attenta lettura di alcuni memoriali presentati alla commissione parlamentare d’inchiesta cfr. F. MANCONI (a cura di), Le inchieste parlamentari sulla Sardegna dell’Ottocento. L’inchiesta Depretis , Cagliari, Edizioni Della Torre, 1984 e - per la parte relativa soprattutto alle istanze rivolte dal mondo cattolico sardo - cfr. G. ZICHI, I cattolici sardi e il Risorgimento , , Soter, 2008, pp. 235 ss. All’inchiesta parlamentare promossa dal Depretis seguiranno negli anni successivi quelle del Salaris, del Pais Serra e - tra il 1906 e il 1911 – un importante studio sulle amare condizioni dei minatori. Su questo mondo cfr. F. MANCONI (a cura di), Le miniere e i minatori della Sardegna , Milano, Silvana editoriale, 1986. 92 Tutta questa documentazione, come anche quella legata alla costruzione della nuova casa comunale e di altre infrastrutture è conservata in ASCAS. 93 Sulla fenomenologia criminale, legata soprattutto al mondo pastorale, cfr. A. PIGLIARU, Il banditismo in Sardegna , Milano, Giuffrè, 1970. 29 all’epoca dell’edificazione, e su quella accanto la data 1811 che si dovrebbe riferire non tanto a quella di costruzione della casa ma all’inizio del ministero sacerdotale di Luigi Leoni ad Alà. Di particolare importanza è anche il “palazzo”, come viene definita una casa con certe logiche architettoniche di almeno due piani, della famiglia Corda, acquisito di recente dal Comune. Sull’architrave sopra l’ingresso si legge: «PD 1850». Le iniziali stanno per Pasquale Dei che però arrivò ad Alà verso il 1870; è quindi probabile che il suo intervento sia stato di trasformazione di una costruzione preesistente, forse per garantire sicurezza e incolumità personale alla famiglia dei proprietari che era stata colpita dalla bardana del 1870. Antico ma di difficile datazione è anche il vecchio palazzo comunale, in via Pigozzi al numero 28. Il piano terra della facciata risulta realizzato con blocchi di granito di dimensioni più grandi e qualità superiore rispetto alle altre costruzioni del paese. Le iniziali in ferro battuto presenti nella porta d’ingresso permettono un’ipotesi per quanto riguarda i primi proprietari: Gregorio Pigozzi e Filippo Marongiu, due cugini benestanti che avevano sposato due sorelle. Se così fosse, la costruzione risalirebbe a metà Settecento e troverebbe conferma la tradizione familiare che vuole che il palazzo fosse stato costruito da Gregorio Pigozzi e che si trattasse della prima costruzione sopraelevata del paese. Fino al 1970 sopra la porta d’ingresso era presente una lastra di marmo con inciso ancora una volta «PD 1870» ad indicare che a ristrutturare il palazzo era stato Pasquale Dei, il capomastro toscano 94 . Fra le priorità al di fuori del centro abitato vi è sempre quella di una strada che colleghi più direttamente i paesi del circondario con il capoluogo. Ancora nella seconda metà dell’Ottocento spostarsi all’interno dell’isola e soprattutto in Terraferma non è facile, anche perché i collegamenti non sono frequenti, nonostante il servizio tenda progressivamente a migliorare. Prima dell’Unità i collegamenti marittimi con il Continente erano assicurati, nella provincia di Sassari, da tre viaggi mensili tra e Genova. Con la convenzione del 1861 la frequenza diviene bisettimanale, con scali a Livorno, Bastia e , e si arriva all’istituzione di una nuova linea che partendo da Cagliari toccherà i porti della costa orientale, dapprima fino a La Maddalena e poi a Porto Torres. In base a tale convenzione la compagnia Rubattino & C. è costretta a utilizzare piroscafi più moderni.

94 Queste notizie sono riportate da GIRARDI PIGOZZI cit. 30

Il rafforzamento del ceto dei prinzipales , cioè di una borghesia locale sempre più esigente all’aspetto delle sue dimore, e una nuova sensibilità nei confronti dell’assetto urbano, portano l’amministrazione comunale a promulgare nel 1877 un regolamento edilizio e più tardi un regolamento per la conservazione dei monumenti. A tal fine viene istituita una commissione edilizia composta da tre membri effettivi e due supplenti, nominati dal Consiglio comunale 95 . Il presidente viene scelto tra i più anziani. Il compito della Commissione, così come stabilito dal regolamento edilizio, è quello «il compito di vigilare su quanto riguarda il decoro e l’abbellimento dell’abitato, sia in rapporto alla polizia delle strade e delle abitazioni, sia in rapporto ai modi di fabbricare». Propone al sindaco i provvedimenti necessari e dà il suo parere in tutti i casi prescritti dal Regolamento. Le sue attribuzioni sono puramente consultive. Per intraprendere la costruzione di nuove case lungo le strade e piazze del centro abitato si sarebbe dovuta produrre una dichiarazione scritta rivolta al sindaco, esibendo il disegno delle facciate se si aveva, oppure fornendo dei chiarimenti sul modo di eseguirla. Subito dopo veniva specificato che «qualora il Municipio dovesse per allargamento ed allineamento di contrade o piazze acquistare delle case o parti di case, ovvero delle zone di terreno di privata proprietà, sarà obbligo del Municipio stesso di provvedere all’acquisto mediante espropriazione colle norme prescritte dalla legge 25 giugno 1865». Senza possibilità di revoca era la disposizione che prevedeva norme severe sull’aspetto delle facciate dei palazzi; è la dimostrazione di una sensibilità completamente nuova in tal senso: «Chiunque voglia intraprendere lavori di riparazione od abbellimento ai fabbricati esistenti ed alle facciate di essi verso le strade e piazze pubbliche, o fare nuove aperture di finestre, porte, ovvero eseguire demolizioni, scavi od altra opera che ne modifichi la forma esterna, dovrà farne dichiarazione al sindaco». Vietata la costruzione di «scale esterne e dei gradini e sedili fissi che si avanzino fuori dalla linea del fabbricato, salvi i casi speciali da destinarsi dalla giunta, previo il parere della Commissione edilizia». Il Consiglio avrebbe però deciso «sull’eccezionalità dei casi e sul pagamento delle indennità da corrispondersi». L’autorità comunale avrebbe potuto anche, sempre secondo il dettato del Regolamento, «sentita la Commissione ordinare la rimozione dei gradini esterni ed altri sporti, come sedili, infissi, od altro ingombro, qualora siano di grave ostacolo alla circolazione». La spesa sarebbe stata a carico del Comune.

95 ASCAS, Regolamento di edilizia del Comune di Alà dei Sardi, 17 giugno 1877, cartella 14, fasc. 13.

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Norme dettagliate venivano stabilite anche per porte e finestre: «Le imposte delle porte d’ingresso delle case e botteghe, come delle finestre ad un’altezza minore di metri 2,50 non dovranno aprirsi all’interno». Sui balconi: «I balconi e terrazzi al di sopra di metri quattro dal suolo non potranno sporgere fuori delle linea dell’edifizio più di centimetri ottanta, e poco più nel caso di qualche grandioso e ben decorato edifizio su larga scala o piveza. Per quelli che poi non passano l’altezza di metri tre, la sporgenza dovrà limitarsi a centimetri 25». Non mancano neanche disposizioni precise per quanto riguarda le inferriate: «Le finestre ed aperture dei sotterranei e delle cantine, se sono esse nei muri verticali delle case, devono esser munite di solide inferriate fisse, oppure coperte con lastre di pietra che lascino passare la luce attraverso fori oblunghi, ma non più larghi di centimetri cinque: se sono sul suolo devono limitarsi a soli centimetri due e mezzo. Le inferriate collocate sul suolo devono esser livellate col medesimo». Ancora alla fine dell’Ottocento l’unica fonte di riscaldamento domestico era quella dei camini. Il territorio di Alà dei Sardi, ricco di alberi, permetteva a qualsiasi famiglia (ricca o povera che fosse) di riscaldarsi attraverso l’uso della legna. Nelle piccole comunità di villaggio, come questa, non rari erano i casi in cui le prestazioni d’opera da parte anche di donne tributarie delle famiglie benestanti (“laccaias” da non confondere con le “allogadas” cioè coloro che trovavano anche alloggio nella casa del datore di lavoro) venivano corrisposte con beni di prima necessità: pane, olio, ortaggi, frutta, carne e anche legna. Particolarmente sentita era dunque la necessità di regolare la costruzione dei cumignoli, tant’è che il Regolamento comunale specificava che «il fumo dei cammini dovrà esser condotto nei tubi murati fino all’altezza di centimetri sessanta sopra il livello del tetto. Non sono permessi i tubi esterni sporgenti nelle facciate delle case ed appoggiati alle medesime». Per quanto riguarda la numerazione delle abitazioni «i proprietari delle case non potranno opporsi all’affissione dei numeri progressivi che per cura della giunta saranno collocati alle porte ed all’inscrizione dei nomi delle strade e piazze nei siti a ciò destinati, e dovranno vigilare alla loro conservazione». Vengono previste delle pene per chi non rispettava il regolamento edilizio e in particolare: «Le contravvenzioni al precedente regolamento verranno punite colle pene di polizia sancite dal Codice penale, e per il procedimento si seguiranno le norme stabilite dalla legge comunale, all’art. 146 e seguenti». E per quanto riguardava le oblazioni: «In caso di componimento, e delle ammende in caso di condanna, saranno dovute per un

32 quarto agli agenti che avranno accertata la contravvenzione, e per il resto all’Erario comunale». È dunque a partire dagli anni postunitari che si registra un’ulteriore spinta. L’amministrazione comunale procede all’ingrandimento del paese, ma – nonostante i diversi provvedimenti presi - nelle strade dell’abitato urbano vi è ancora molto da fare. L’acqua corrente tarderà a entrare nelle case dei paesi. Di qui la necessità di rifornirsi di acqua potabile alle fonti pubbliche e l’obbligo di lavare i panni al fiume e, dove ce ne siano, in pubblici lavatoi, frutto di quel processo di modernizzazione che andrà a interessare pure i piccoli centri. L’avvio della seppur lenta modernizzazione delle infrastrutture porta dunque con sé anche il crescere di una sensibilità civica fino ad allora sconosciuta. Viene promulgato anche un nuovo Regolamento di Polizia Rurale , una risposta alla tanto agognata questione della sicurezza pubblica. La raggiunta Unità d’Italia - con la formazione del mercato unico nazionale e le politiche liberistiche adottate dai maggiori Paesi europei - aveva favorito l’apertura di nuovi mercati. Tra i porti della provincia di Sassari e quelli di Marsiglia, Tolone, Nizza, Genova, Livorno e Napoli si intensificano gli scambi commerciali, in primo luogo di bestiame, vino, olio e formaggio 96 . Tale situazione rende possibili investimenti nella terra, ancor più in anni nei quali ulteriori possibilità si aprono in tal senso. Si procede nel contempo ai lavori della strada nazionale e questo comporta delle espropriazioni e nuove spese per la sua manutenzione che vanno a carico del comune di Alà dei Sardi. Un panorama caratterizzato da uno scontro-incontro centro e periferia 97 in cui inizia a farsi strada un’attenzione crescente nei confronti delle condizioni dei lavoratori e della loro partecipazione alla vita dell’Italia unita 98 .

96 Cfr. più in generale G. OPPIA, La Camera di Commercio di Sassari nell’economia della Provincia (dalle origini al 1900) cit. 97 In questa direzione sono andati molti degli studi di Franco Della Peruta. Tra i tanti cfr. Realtà e mito nell’Italia dell’Ottocento , Milano, Franco Angeli, 1996 dove l’autore analizza, partendo dal decennio di preparazione all’Unità nazionale, la situazione del Paese reale in quel frangente di tempo. Emerge così da queste pagine un’Italia prevalentemente agricola, caratterizzata da una variegata presenza di colture, di tecniche agrarie e di rapporti contrattuali che portano alla nascita di un forte squilibrio nei rapporti sociali e l’inadeguatezza, talvolta, dei tentativi di soluzione portati avanti dalla classe dirigente. Un quadro più generale sugli aspetti strettamente legati al passaggio da una società agricola ad una d’impronta agricola- industriale e infine industriale si trova in Società e classi popolari nell’Italia dell’800 , ivi, 2005. In particolare, sul caso milanese, cfr. Milano. Lavoro e fabbrica (1815-1914) , ivi, 1987. 98 Tra i lavori più recenti sulla Sardegna cfr. F. ATZENI, Riformismo e modernizzazione. Classe dirigente e questione sarda tra Ottocento e Novecento , Milano, Franco Angeli, 2000 e A. TROVA, Sardegna. Tradizione e modernità , Sassari, Edes, 2008. 33

Un intero paese inizia ad adattarsi alle mutate esigenze igienico-sanitarie e culturali; lo fanno sia i cittadini più abbienti che il Consiglio Comunitativo. Il cimitero di Alà dei Sardi si trova ad una distanza di 200 metri dall’abitato 99 . I primi organici interventi sull’assetto urbanistico e sul sistema viario - non ultimo quello per collegare più facilmente Alà dei Sardi con i maggiori centri - prendono avvio proprio in questi anni. L’apertura di nuovi collegamenti stradali favorisce anche lo sviluppo del commercio e delle professioni. L’intervento in campo agricolo inizia ad accompagnarsi ad altre attività commerciali e imprenditoriali, attività che spesso traggono dagli stessi fondi rustici la loro ragion d’essere. Molti edifici di culto, in seguito ai provvedimenti strettamente connessi al processo di laicizzazione dello Stato, vengono utilizzati per usi civili. La costruzione forse più caratteristica del centro storico è su puttu ‘e mesu idda (il pozzo al centro del paese) utilizzato ancora negli anni Sessanta del Novecento. Sopra la copertura del pozzo è ben visibile un ritratto scultoreo in granito che rappresenta presumibilmente un sacerdote di Alà 100 . Il pozzo, rifacimento di uno già esistente, fu progettato dall’ingegnere Francesco Maria Cabella di Tempio e appaltato a Giuseppe Mureddu nel 1888 per la somma di lire 300 circa. La data di costruzione era ricordata in un’incisione su una lastra di granito per terra, lastra non più visibile a seguito della pavimentazione in cemento che coprì l’originario ciottolato. La strada dove si trovava il pozzo fu contestualmente ciottolata, e fu la prima ad esserlo unitamente alla parallela, chiamata per la sua particolare lunghezza Sa carrera manna (la strada grande). La strada dove si trovava il pozzo si chiamava in origine Via su puttu e divenne successivamente via Pigozzi a seguito di un legato testamentario di Agostino Pigozzi che, alla sua morte nel 1873, lasciò al Comune il palazzo dove poi successivamente s’insediò (oggi conosciuto come s’uffizu ezzu ), con la condizione che fosse venduto per acquistare medicine per i poveri, anche se poi non accadde a causa di una lunga lite con gli eredi. Oltre al pozzo e al ciottolato, alla fine dell’Ottocento risalgono anche la struttura muraria del cimitero, la fontana di Serì, che porta incisa la data 1901, l’abbeveratoio, il pubblico lavatoio, opere tutte progettate dall’ingegner Cabella 101 .

99 Risultati dell’inchiesta istituita da Agostino Bertani sulle condizioni sanitarie dei lavoratori della terra in Italia , Stab. Tip. Italiano, 1890, p. 156. 100 Il campo dovrebbe restringersi ad Antonio Mannu Pinna (1799-1811), primo rettore di Alà o ai successori Luigi Leoni (1812-1853) e Antonio Mannu (1853-1889). Quest’ultimo morì solo un anno dopo l’appalto dei lavori del pozzo per cui, se ci fosse stato un ritardo nella sua realizzazione, la coincidenza dei due avvenimenti potrebbe aver indotto secondo GIRARDI PIGOZZI cit., p. 43 l’amministrazione a decidere di ricordare colui che era stato rettore del paese per 36 anni. 101 Queste notizie sono tratte dall’ASCAS. 34

Il cimitero era comunque preesistente giacchè risulta dai registri che le tumulazioni cominciarono ad avvenire nel cimitero nuovo di Masullà il 29 agosto 1855. La prima tomba rivestita e con lapide marmorea fu quella del toscano Pasquale Dei, deceduto nel 1905. La tomba, oltre alla lapide appoggiata al muro, presenta due colonne su ciascun lato, collegate da una catena di bronzo. Per tutto l’Ottocento e per gran parte del Novecento le arti figurative rappresentano uno degli strumenti in mano alle élite per esprimere il proprio potere, in vita, con la costruzione di ville, palazzi, busti e ritratti 102 . Dopo la morte, il ricorso all’opera dell’artista più in voga non è solo l’omaggio al familiare che non c’è più, ma è anche una testimonianza di status per chi resta 103 . Lo sarà anche ad Alà dei Sardi, anche se nel cimitero sono presenti due solo tombe familiari con altare (della famiglia Corda e della famiglia Pigozzi-Dei), a dimostrazione di come la ricchezza fosse in quegli anni nelle mani di pochi. L’attuale chiesa parrocchiale, dedicata alla Madonna del Rosario, sostituì l’antica chiesa che sorgeva nell’area di fronte, crollata verso il 1880 e ridotta allo stato di rudere per quasi un secolo. Nell’archivio parrocchiale, all’interno dei Quinque libri, ed in particolare nel registro dei battesimi alla data 29 marzo 1887 è appuntata una nota relativa alla fabbrica della nuova parrocchia, ma i lavori non andarono avanti. Fu il parroco don Pietro Pigozzi a dare impulso alla costruzione della chiesa negli anni Quaranta del Novecento 104 , anche se fu il nuovo parroco don Giovanni Maria Addis ad inaugurare la nuova chiesa nel 1961. All’interno della Chiesa sono conservati ancora oggi una statua della Madonna con bambino che si presume risalente al Cinquecento/Seicento ed un mascherone lavorato in legno risalente al Seicento, entrambi provenienti dall’antica chiesa parrocchiale. Nel lungo periodo intercorso per la ricostruzione, le funzioni religiose vennero celebrate nella vicina chiesa di san Giovanni Battista. Nel 1931 fu eretta la chiesa di Sant’Antonio, posta alla periferia del paese. Per la costruzione di questa chiesa venne utilizzato il materiale

102 Di questo parere è R. PILO, Oltre Parigi. Un’introduzione storica , in M.M. TOLA (a cura di), Ritratti. Frammenti di storia sassarese del XIX secolo, Sassari, Gallizzi, 2008, p. 15. Cfr. M.G. SCANO, Artisti e committenti nel periodo albertino , in Storia dell’arte in Sardegna. Pittura e scultura dell’Ottocento , Nuoro, Ilisso, 1997, pp. 79-130. 103 Sulle vicende legate alla morte e alla successione cfr. P. ARIÈS, Storia della morte in Occidente. Dal Medioevo ai giorni nostri , Milano, Rizzoli, 1978. Cfr. anche su queste tematiche P. MACRY, Ottocento. Famiglia, élite e patrimoni a Napoli , Torino, Einaudi, 1988. 104 Secondo quanto si legge in GIRARDI PIGOZZI cit., p. 44, don Pigozzi volle ricordare il suo impegno in tal senso donando alla chiesa una delle due acquasantiere in marmo che dedicherà alla memoria dei suoi genitori Antonio Pigozzi e Maria Dei. 35 recuperato dalla demolizione dell’antica chiesa parrocchiale nel 1928. Una chiesa dedicata al santo di Padova era comunque già esistita, secondo Vittorio Angius. Numerose sono le chiesette campestri: San Gavino (di cui si distinguono appena i resti e da cui ha preso nome una località sopra Su Linu ), Santa Maria (a Presin s’ainu ), San Giuseppe (nella frazione di Badde suerzu ), San Giovanni (nella frazione di Sos sonorcolos ), Santa Maria (nella frazione di Mazzinaiu ). Le chiesette nella frazioni furono fatte costruire intorno al 1935 da papa Pio XI. A quelle nominate è da aggiungere San Pietro, menzionata solo in un testamento del 1730 e di cui dovrebbe rimanere una statua del santo conservata in un ovile 105 . È infine da ricordare la più importante di tutte, e cioè quella di san Francesco, edificata nel 1906 da un gruppo di benestanti del paese. La leggenda vuole che san Francesco sia apparso in sogno a Giovanni Leonardo Piscera, detto Tiu Columbu , e gli abbia chiesto di edificargli la chiesa in un punto ben preciso. Non avendo la possibilità di farlo, Tiu Columbu si rivolse ad un gruppo di benestanti che fecero costruire la chiesa. In una targa affissa al muro, sono ricordati i nomi di chi ebbe la visione e di chi fece costruire la chiesa 106 . Il 4 e 5 ottobre di ogni anno si svolge una sagra che richiama centinaia di persone da ogni luogo della Sardegna e che è occasione per il rientro in paese di molti emigrati 107 . La creazione di una linea telegrafica - avviata negli Anni Ottanta dell’Ottocento - completerà questo quadro in cui la modernizzazione del paese la fa da padrona 108 . Alla base vi è la convinzione, manifestata già anni prima, che per sviluppare l’industria locale fosse necessario questo servizio. Di pari passo nascono anche i primi mulini azionati dalla forza motrice dell’acqua e dagli animali. L’incremento delle macine porterà infatti all’utilizzo della forza motrice di

105 GIRARDI PIGOZZI cit., p. 44. 106 I loro nomi sono: Antomio Mette Corda e consorte, Filippa Pigozzi, Antonio Loriga, Dante Dei. 107 La sagra, organizzata da un comitato che cambia ogni anno, è caratterizzata da un grande pranzo all’aperto distribuito gratuitamente a tutti e preparato con carni donate dagli abitanti del paese. 108 Un quadro sulla modernizzazione della Sardegna a cavallo del Novecento (ma anche oltre), delle sue professioni, e del ruolo ricoperto in questo conteso da commercianti e imprenditori, emerge dal recente lavoro di C. DAU NOVELLI, S. RUJU (a cura di), Dizionario storico degli imprenditori in Sardegna , vol. I, Cagliari, AIPSA, 2012; si tratta del primo volume di un’opera di più ampio respiro che intende contribuire a ricostruire - attraverso le biografie degli uomini più rappresentativi - il tessuto economico-imprenditoriale sardo negli ultimi secoli. Cfr. anche Associazione Industriali della Provincia di Cagliari, Sovrintendenza archivistica della Sardegna, 70 anni. La memoria dell’impresa. Fonti archivistiche, ruoli territoriali e indagini storiche per l’industria della provincia di Cagliari , con saggi di M.L. DI FELICE, F. BOGGIO, G. SAPELLI, Cagliari, Gap, 1995. Per un’indagine estesa a tutto il territorio italiano si vedano i lavori di Valerio Castronovo e di Franco Amatori che in anni relativamente recenti hanno contribuito ad avviare una nuova prospettiva di studio sulla storia dell’impresa con la nascita anche di specifici Centri di ricerca. Cfr. tra i lavori più significativi: V. CASTRONOVO, Cento anni di imprese. Storia di Confindustria (1910-2010) , Roma-Bari, Laterza, 2010 e F. AMATORI, A. COLLI, Impresa e industria in Italia dall’Unità a oggi , Venezia, Marsilio, 2003. 36 asini e cavalli. Il primo mulino di Alà dei Sardi risale alla fine dell’Ottocento e viene installato dal pattadese Salvattore Mazza sul fiume Sa labia 109 . Successivamente Mazza trasferì il mulino nell’attuale via Cavour al numero civico 5. A differenza del primo che era azionato ad acqua, il secondo veniva alimentato a carbone. Nella costruzione posta dall’altro lato della strada, sono ancora visibili le zanche di ferro alle quali erano fissati i cavi di sostegno del mulino 110 . Sull’agricoltura di fine Ottocento continua a gravare un pesante sistema di tassazione basato non solo sull’imposta fondiaria e sulla tassa del macinato, ma anche su non pochi tributi municipali e provinciali. In Sardegna è un meccanismo appesantito anche dai gravami fatti ricadere sui Comuni per l’abolizione del feudalesimo 111 . La conseguenza di tutto questo sono spesso crisi economiche che coinvolgono trasversalmente quasi tutte le classi sociali. La tassazione, nella logica del deputato sardo Francesco Salaris che esprime un più generale sentire del mondo politico, rappresenta una delle principali «sottrazioni» 112 alle quali è sottoposto il proprietario sardo; talvolta l’inizio di un percorso che lo vede precipitare nel giro di qualche generazione nella classe dei braccianti. Negli ultimi decenni dell’Ottocento la situazione già precaria del mondo rurale viene aggravata dal diffondersi di un’epidemia di fillossera. La situazione diviene più preoccupante a partire dal 1887, anno in cui si registra un calo vertiginoso della produzione vitivinicola, in quanto il danno nei vigneti è aggravato dalla peronospora. La produzione tarderà a riprendersi ancora nel Novecento. A peggiorare la situazione sono le scelte di politica nazionale e la crisi delle relazioni commerciali tra Italia e Francia che determineranno, anche per l’isola, dei danni legati al blocco delle esportazioni, parzialmente compensati dall’apertura di alcuni canali commerciali con la penisola 113 . Ad Alà dei Sardi arriva persino il commissario prefettizio

109 Pigozzi cit., p.43. 110 Pigozzi cit., p.43. 111 Cfr. G.M. LEI SPANO, La Questione Sarda , Torino, Fratelli Bocca, 1922, p. 314. 112 Cit. in F. SALARIS, Relazione sulle provincie di Cagliari e Sassari. Atti della Giunta per l’Inchiesta Agraria , vol. XIV, Roma, 1885, p. 101. 113 Sulla crisi agraria in Italia cfr. V. CASTRONOVO, La storia economica , in Storia d’Italia. Dall’Unità a oggi , vol. 4, Torino, Einaudi, 1975. Non è sicuramente un caso che tra le questioni principali, discusse già nel congresso delle Camere di Commercio ed Arti del Regno, tenutosi a Torino nel giugno del 1884, vi fosse proprio la questione sulle tariffe doganali ( Congresso delle Camere di commercio ed Arti del Regno. Tenuto in Torino dal 23 al 29 giugno 1884, Relazione dei delegati della Camera di Commercio della Provincia di Sassari , Sassari, Tipografia Chiarella, 1884). Sugli effetti della crisi in Sardegna cfr. ACCS, cat. XXI, cl. 4, b. 178, fasc. 26, Lettera del vicepresidente della Camera di Commercio di Sassari al signor presidente della Camera di Commercio di Rimini sul commercio del bestiame, 11 ottobre 1889 nella quale così si legge: «Questa provincia aveva con la Francia un’attivissima esportazione di bestiame bovino il quale nel 1878 raggiunse il numero considerevole di 27.688 capi e nel 1883 quello di 31.905, ossia circa un quinto nell’esportazione totale del Regno. Coll’imposizione dei maggiori dazi d’introduzione in Francia, essa diminuì notevolmente ma non cessò; come non è cessata con la rottura di trattati di commercio. Però dopo questo 37 che ci ha lasciato un’interessante testimonianza di quell’esperienza. Composta da 40 pagine, la relazione era stata esposta al consiglio comunale il 23 febbraio 1888 dall’ingegner Francesco Maria Cabella di Tempio, commissario prefettizio ad Alà dei Sardi. Verrà pubblicata per volontà dello stesso Consiglio 114 . L’arrivo del commissario era dovuto al fatto che il bilancio predisposto dai cessati amministratori era stato respinto dalla Prefettura per irregolarità incorse nella compilazione. Dalla relazione emerge tutta la criticità della situazione generale dell’amministrazione comunale. In queste pagine viene esposto il bilancio predisposto dallo stesso ingegner Cabella, con una serie di allegati che riportano informazioni di grande interesse per la storia economica e sociale del paese; in primis la questione dell’alienazione dei salti comunali in regione Su Frassu per 34.296 lire, la principale fonte di discordia, come ribasce la stessa relazione: Il fomite di ogni discordia in questo paese, ritengo, siano stati gli atti pubblici di quell’anno. Più che 900 individui vantano diritto in quei terreni, 139 soli sono in contratto; naturalmente tutti vantando diritto vogliono usufruire dei frutti, poiché però sono quelli che effettuano il pagamento e che sono disposti a pagare; ed intanto il comune non percepisce le rate e per di più paga le imposte. È tempo ormai che ognuno riconosca il suo, e di cui possa disporre a piacimento. Se non potete sopperire alle spese di una divisione tecnica, fatela almeno con periti volgari all’amichevole; ma finite una questione che incaglia tutto e tutti 115 .

Dei 900 individui, «molti sono nullatenenti, figli di famiglia, impossibilitati a pagare, donne senza il consenso del marito». In tale confusione ed impossibilità di esazione delle somme dovute, e vista la delibera della Deputazione Provinciale che stabiliva che i ruoli dei terreni comunali venduti fossero compilati in capo ai soli acquisitori che sottoscrissero gli atti, che erano 93, il commissario decise di compilare i ruoli in base agli stipiti principali di ciascuna famiglia. Dai 11.000 ettari posseduti dal Comune a questa data vengono ricavati appena 12.000 lire. Tolte tutte le spese, chiariva l’ingegner Cabella rivolgendosi a tutta la popolazione di Alà dei Sardi - e in quella circostanza soprattutto alla classe dirigente locale

fatto furono aperti nuovi sbocchi al nostro bestiame dirigendolo a Civitavecchia, Napoli, Torre Annunziata, Livorno, Genova e nell’anno che volge si sono spedite da Porto Torres per Marsiglia numero 4.036 bovi e 154 cavalli; e da Porto Torres - Terranova - pel continente italiano 14.600 bovini con 820 cavalli senza tener conto di piccole spedizioni da altri scali insulari verso la Sicilia anche con velieri, di cui non si ha il numero. Da quanto sopra si apprende che l’esportazione del bestiame va a riprendere la primitiva importanza per il numero di esso, però non è tale per il prodotto essendo di molto diminuiti i prezzi di vendita». 114 F.M. CABELLA, Relazione del Regio Delegato Straordinario per l’amministrazione provvisoria del Comune. Al ricostituito Consiglio Comunale di Alà dei Sardi , Sassari, Stabilimento Tipografico G. Dessì, 1888. 115 Ibidem. 38

- «l’immenso vostro patrimonio non vi frutta appena che circa lire 2.000. Eppure da quel che io ne posso giudicare – aggiungeva - il patrimonio delle terre comunali, compresi i boschi ed i sughereti, dovrebbe avvicinarsi al valore di mezzo milione. Da questi dati ne inferisco, e voi per i primi dovete convenire, che non potete lasciare come finora è stato il patrimonio comunale». Assai sentito era pertanto il problema legato all’usurpazione delle terre comunali, tant’è che egli affermava che sarebbe stato difficile trovare una sola famiglia che non avesse commesso tale illecito: «Da un elenco da me compilato sulle notizie lasciate dai passati amministratori, coloro che hanno usurpato terre del Comune ammontano presso a poco al numero di duecento; che vuol dire in Alà, che ha la popolazione di 1567 abitanti, che non vi ha individuo in una famiglia esente dall’aversi appropriato terreno Comunale». La situazione di crisi delle casse comunali aveva bloccato anche la costruzione di alcune nuove infrastrutture e la Chiesa parrocchiale, già appaltata fin dal 1882, impedendo la crescita morale e religiosa del paese in quanto le chiese di campagna dove si officiava la messa non venivano considerate decorose al culto. Di qui l’ammonimento dell’ingegner Cabella: «Non perdete tempo, fate subito, se non volete che della vostra chiesa si dica quello che in antico fu scritto della torre di Babele». Lo stesso discorso veniva fatto per la sistemazione di pozzi e strade oramai non più adatti ai tempi e per la quale l’ingegnere aveva cercato di trovare una soluzione: Il pozzo di Via Su Puttu oltre che un agguato continuo alla gente ed agli animali che passavano nella via, siccome aperto a fior di questa, senza parapetto, era fomite di miasmi perché accoglieva la colatizie di tutta la stessa via. Mi proposi il dilemma di chiuderlo o di ricostruirlo, e dopo mutuo esame mi determinai per la seconda parte del dilemma giacchè non avete altre pozzi pubblici per attingere l’acqua di servizio, e le fonti sono distanti dall’abitato. Compilai il progetto ed il capitolato, che approvato, mi fu rimesso per l’asta: nella quale offrì il maggior ribasso del 40,50% sulla somma presunta di lire 499,64 il Signor Mureddu Giuseppe, cui fu aggiudicato l’appalto e col quale fu steso il regolare contratto. […] L’appaltatore della manutenzione della strada nazionale traversante l’abitato era senza contratto. Vi provvidi con un capitolato regolare 116 .

Fu in questa circostanza che si pensò per la prima volta ad un archivio storico comunale, grazie al quale questa ricerca ha oggi potuto prendere le mosse. Ad Alà dei Sardi, come peraltro in altri centri della Sardegna ancor più grandi ed importanti, l’uso di portare i cadaveri al cimitero all’interno di casse mortuarie tardò ad affermarsi; l’uso era di portare i cadaveri, talvolta già in uno stato di decomposizione avanzato, scoperti per le strade dell’abitato. Senza possibilità di appello era la condanna

116 Ibidem. 39 dell’ingegner Cabella che aveva provveduto, durante la sua permanenza ad Alà dei Sardi, ad acquistare due bare per dare l’esempio. Ma il problema della pulizia e dell’igiene, non solo personale, era molto complesso come emerge dai contenuti presenti nella relazione: Impensierito dallo stato più che indecente, insalubre delle vie, per mezzo di manifesti e di bandi obbligai gli abitanti a pulire lo spazio delle strade prospicienti alle loro case, impedì che i porci vagassero liberamente, valendomi delle disposizioni del vostro regolamento di Sanità. Non approdai che a ben poco, poiché le vie dissestate e rivoltate dal muso di più che 200 porci che annualmente si lasciarono circolare, abbisognano di seria e soda sistemazione.

Si aggiungevano a tutte queste problematiche anche quelle legate alla lite del comune con l’esattore e con alcune famiglie del paese. Appare significativo che tra le “cancrene locali” venissero individuate le unioni cosiddette illegittime tant’è che così si denunciava: «Non avrei più mai immaginato che la cancrena sociale che affligge i grandi centri di popolazione, avesse pur radice in questo piccolo centro. Appresi con dolore che dentro Alà vi sono 28 unioni illegittime quasi tutte con prole numerosa. Volli indagare la causa di tanto pervertimento, e dovetti attribuirla all’ignoranza e alla miseria. Chiamati uno ad uno ed esortati a compiere il loro dovere in faccia alla legge civile, che sanziona pur la morale, ne ebbi risposta di nullatenenza, di miseria anche, e di ignoranza degli effetti legali della loro unione e della loro prole […]. Dichiarai che i poveri avrebbero avuto tutti gli atti dello Stato Civile in carta libera, quindi senza spesa […]. Uno ha sposato davanti a me e legittimato i suoi bambini». L’ammonimento era pertanto il seguente: «Signori, mutate sistema […]. Il vostro comune dovrebbe essere ricco, invece lotta coi debiti […]. Potete rialzarlo solo che non cadiate più negli errori passati, che giustamente provocarono il Governo a provvedimenti eccezionali». Non mancava però a conclusione di tre intensi mesi di lavoro il riconoscimento di una collaborazione mai venuta meno sia da parte delle istituzioni civili e militari (in particolare il brigadiere dell’arma dei carabinieri) come anche di tutta gli abitanti di Alà dei Sardi che venivano definiti: «Buoni, onesti, facili a piegarsi ad obbedire alla parola delle autorità costituite». Nel corso della seduta straordinaria del Consiglio Comunale fu dato incarico all’ingegner Cabella per la progettazione del cimitero, della pubblica fonte, dell’abbeveratoio e lavatoio pubblico, del selciato delle vie. Se a ciò si aggiunge il rifacimento del pozzo, progettato nel corso del suo mandato di commissario prefettizio, si può senz’altro dire che la prima vera urbanizzazione di Alà dei Sardi si deve a lui.

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La dimostrazione che questa situazione di crisi non durò a lungo è la scelta, fata propria nell’autunno del 1898 dal Consiglio comunale, di costruire la nuova fonte 117 . Di particolare interesse appare al riguardo la relazione tecnica fornita dal progettista, che è però l’ingegner Silvio Sanna e non Cabella, che così spiega all’amministrazione comunale i vantaggi di tale opera. La fonte a cui attinge oggi tutta la popolazione d’Alà è posta a 250 metri circa dall’abitato, ed è costituita da un posto scavato in un granito decomposto e disgregato composto da un piccolo castelletto in muratura. A livello del piano di campagna nel muro a levante di questo castelletto, è praticata un’apertura alla quale per turno si affacciano le persone che, sia con lo stesso catino, sia con le secchie a mano o con secchie legate a delle funi, secondo l’abbondanza o meno dell’acqua, attingono nel pozzo, lasciandovi scolare dentro tutta l’acqua che trabocca dai loro recipienti. Ognun vede quindi, quanto sia pericoloso per la salute pubblica questo stato di cose, questo modo d’attignimento; quanto grave il pericolo di inquinamento. Si pensi solo che il liquido che trabocca dai catini ricade sui vestiti, sui piedi scalzi delle villanelle, sul terreno fangoso circostante, dove spesso si lava la biancheria (per quanto proibito dall’autorità) e quindi, per difetto di scoli, stilla nel pozzetto. Di qui la necessità di una fonte che non presenti questi inconvenienti e che escluda la possibilità di riprovevoli attentati contro la salute pubblica: cosa nella quale crede di essere inserito il sottoscritto ingegnere col progetto annesso alla presente relazione e che compilò per mandato di quel Comune. L’idea prima vagheggiata dal sottoscritto era di quella di condurre le acque della sorgente, che hanno una portata calcolata nel mese di luglio di quest’anno di litri o,52 al 1 (quadrato), in un sito relativamente basso, a valle, dove poter innalzare […] fonte sul piano di campagna. Ma il terreno in questa località ha poco pendio, e la sorgente scaturisce a oltre un metro di profondità, e quindi si sarebbe dovuto andare molto lontano e fare rilevanti espropriazioni di terreno che data la sua posizione, qualità e facilità di irrigazione, avrebbero portato una spesa tutt’altro che indifferente. Il sottoscritto scartata questa idea dovette ridursi a progettare uno scavo sul sito attuale con un piccolo gradinamento d’accesso, come si può rilevare dettagliatamente dai disegni, e più che ogni altro dalla pianta generale della località. Dal pozzetto attuale alle sorgenti, parte una piccola tubazione in ghisa di m. 6,50 di lunghezza che conduce le acque al deposito, nella cui facciata sono due rubinetti per l’attingimento. Questo deposito ha una botola di accesso, uno scaricatore e uno sfioratore. Tutte le acque piovane, tutti gli scoli di monte, le acque di rifiuto dei rubinetti, trovano facile deflusso in un canale collettore che, data la sua importanza, si progetta tale da lasciar facile passaggio a un manovale, qualora fosse necessario per la pulizia o per possibili ingombri. Il progetto, del resto, spiega dettagliatamente ogni cosa. Il piano della platea del deposito, quello dei rubinetti ecc., è in relazione col livello dell’acqua alle sorgenti, in modo che si abbia sicuro attingimento nel periodo di massima magra. La spesa per le opere previste è di lire 469929, quella per gli imprevisti di 500.71. In totale cioè di lire 5200,00 118 .

Di seguito il Progetto della nuova fonte, computo metrico e stima con l’elenco dettagliato dei materiali utilizzati: Per quanto riguarda le opere murali: 4437 mq di muratura di rivestimento in pietrame scapolo e intonaco nelle facce viste con malta di calce e sabbia di fiume; 7884 mq di

117 ASCAS; Comune di Alà, Progetto della nuova fonte, Sassari 10 novembre 1898, f.c. 118 Ibidem. 41 muratura in cantoni di granito, lavorati a grana media, per cornici, bagnati ecc, sagomati e cesellati agli spigoli con malta idraulica; 1818 mq muratura in tutti cantoni a grana grossa, cesellati agli spigoli su malta comune; 488 mq di copertine grezze sul canale di scarico, con malta idraulica; 3474 mq selciato in pietrame granitico su letto di sabbia di cava dello spessore di cm 12; 3670 mq di intonaco di cemento idraulico Portland prima qualità dello spessore di cm tre.

Il Capitolato d’Appalto per la costruzione della fonte pubblica spiega come questo ha per oggetto «l’eseguimento di tutte le opere necessarie per la costruzione di una Fonte Pubblica e della strada d’accesso nella località in cui è l’attuale pozzo, per la presunta somma di lire 4699,29 secondo il progetto dell’Ing. Silvio Sanna in data 10 Novembre 1898». Tra i requisiti richiesti per essere ammessi all’asta, oltre ad una cauzione, vi è anche «un certificato di moralità rilasciato dall’autorità del luogo di domicilio del concorrente, di data non anteriore di un anno a quello dell’incanto»; «un attestato di un Ingegnere, confermato dal Prefetto o Sotto Prefetto, rilasciato anch’esso da non più di un anno, ed assicuri che l’aspirante o la persona che sarà incaricata di dirigere sotto la sua responsabilità ed in sua vece i lavori, abbia le cognizioni e capacità necessarie per l’eseguimento e direzione dei lavori da appaltare». Vengono stabilite anche delle regole per quanto riguarda la giornata lavorativa degli operai, che deve essere di dieci ore effettive; vengono chiarite così le varie mansioni: «È lavorante chi viene impiegato per il trasporto dei materiali, movimento di terra, carico e scarico dei veicoli. È muratore di prima classe quello atto ad eseguire lavori murali più difficili, cornici e simili. È muratore di seconda classe quello impiegato nella costruzione di muri comuni, collocamento di infissi, coperture di tetti ecc. È ragazzo chi assiste i muratori, falegnami ed in genere gli altri operai. È scalpellino quello impiegato nella sbozzatura collo scalpello […] dei pezzi di pietra dura, quale il granito». Viene favorito l’utilizzo di materiali locali, per le opere in muratura, come il granito, che sarebbe dovuto provenire dalle cave del paese (entro un raggio di due km, così viene specificato, dal luogo in cui si sarebbe dovuta realizzare l’opera). La sabbia per la preparazione della malta sarebbe dovuta provenire dal torrente Oronaghe. Per quanto riguarda la calce viva, dei forni di Lula o di Terranova, vengono indicati anche i criteri di preparazione: «Ben cotta, […] di colore uniforme nella sua fattura, non bruciata, e né vetrina, non pigra né svaporata, e purgata dagli incotti e biscotti e da ogni altra materia eterogenea. Sarà assolutamente scartata la calce alterata. La calce verrà ridotta in polvere coi migliori metodi in uso, prescritti dall’arte, conservata in recipienti coperti da uno strato di sabba e di paglia. La calce verrà estinta coi

42 migliori procedimenti dell’arte, sarà colata in serbatoi, il più possibile impermeabili, col mezzo di un canaletto munito di rete di filo di ferro […]. Sarà lasciata quattro giorni in quiete e poi coperta di sabbia ed adoperata non prima di una settimana se per muratura di fondazione, di 20 giorni se per uso di muratura in elevazione e di quaranta se per uso di intonachi». Le malte, composta da una parte di calce e da due di sabbia di fiume, «dovranno essere manipolate in modo che non si possa riconoscere alcuna particella dei loro componenti. Il rimescolamento dovrà essere fatto versando sui componenti a poco a poco acqua dolce, appena necessaria perché la pasta non sia troppo liquida. La malta idraulica sarà composta di calce, di sabbia di fiume e di pozzolana di San Paolo di Roma, in parti eguali, e per quanto alla manipolazione sarà in tutto conforme alla malta comune». Il ferro utilizzato non può che essere della «migliore qualità della Svezia», i tubi tutti in ghisa, incatramati internamente ed esternamente, le giunture interne in corda di canapa incatramata e per la parte esterna con il piombo. Non manca neanche una tabella con i prezzi a giornata delle maestranze: 1,50 per il terrazziere, 90 centesimi per il ragazzo, 4,50 per lo scalpellino, 4 per lo selciatore, 3,50 per il falegname, 3,50 per il fabbro, 3,50 per il tagliapietre, 4,50 per l’operaio marmista, 3,50 per il lataio e stagnaio, cinque lire per l’utilizzo di un carro con cavallo e conducente, 5,50 lire per carro a due buoi con conducente, 4 per un cavallo bardato con conducente. Eppure, nonostante tutti questi sforzi, dai paesi come Alà dei Sardi inizia spesso un esodo dei figli dei prinzipales verso la città: Sassari o Cagliari 119 . Quello delle città, a partire soprattutto dall’Ottocento, è un ambiente in rapida e generale trasformazione. Nuovi uffici, scuole, banche e attività produttive mutano dalle fondamenta il loro volto, anche dal punto di vista urbanistico. Non cambia viceversa di molto la condizione della donna. Ancora agli albori del Novecento è dura la strada della scolarizzazione al femminile in quanto si pensa che la si debba mantenere pura e devota, dunque incolta 120 , in una logica in cui il tratto distintivo è

119 Cfr. al riguardo F. OBINU, I laureati dell’Università di Sassari (1766-1945) , Roma, Carocci, 2002. 120 Uno spaccato sulle teorie scientifiche riguardanti la «femminilità», elaborate nell’Ottocento, è presente in V.P. BABINI, F. MINUZ, A. TAVAGLIANI, La donna nelle scienze dell’uomo. Immagini del femminile nella cultura scientifica italiana di fine secolo , Milano, Franco Angeli, 1986. 43 meno istruzione e più educazione 121 . Malgrado ciò, progressivamente il livello di analfabetismo tende a diminuire fra le donne oltre che fra gli uomini 122 . È il Novecento a portare però i veri cambiamenti ad Alà dei Sardi: iniziano i lavori di selciatura di alcune strade del paese, si ampliano le aree cimiteriali, arriva il corriere postale. Anche lo Stato centrale prende atto della situazione con la promulgazione di leggi speciali e del Testo Unico del 10 novembre 1907, in cui sono previsti interventi per facilitare sia il credito agrario che la viabilità e l’istruzione pubblica 123 . Di quegli stessi anni è la nuova regolamentazione del sistema creditizio e l’ingegnere sarà il primo corrispondente del Credito Italiano a Sassari. Nonostante gli impegni di un ministro come Francesco Cocco Ortu, sempre attento alle esigenze dell’isola, gli agricoltori faranno molta fatica ad adeguare il loro parco macchine per la spesso limitata liquidità. Gli interventi statali da soli poco avrebbero potuto fare se non accompagnati da una mutata mentalità, di singoli e collettività, premessa indispensabile sia per il mondo delle campagne che per l’avvio d’un fattivo sviluppo industriale124 . È quanto avviene nel primo quindicennio del Novecento, seppure solo in alcuni comparti e tra contraddizioni e

121 Cit. in I. CINUS, Nuove istituzioni educative e coscienza di ceto , in C. DAU NOVELLI (a cura di), La società emergente. Élite e classi dirigenti in Sardegna tra Otto e Novecento , Cagliari, AM&D, 2003, p. 124. Cfr. anche M.A. MANACORDA, Istruzione ed emancipazione della donna nel Risorgimento. Rilettura e considerazioni , in S. SOLDANI (a cura di), L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Italia dell’Ottocento , Milano, Franco Angeli, 1989. 122 Così risulta dai censimenti fatti in Italia in questi anni e dalla crescita del numero delle scuole elementari fra la fine dell’Ottocento e il primo ventennio del Novecento. Sull’educazione delle donne nell’Ottocento cfr. I. PORCIANI, Il Plutarco femminile , in S. SOLDANI (a cura di), L’educazione delle donne. Scuole e modelli di vita femminile nell’Ottocento , Milano, Franco Angeli, 1989, pp. 297-317. Più in generale cfr. M. DE GIORGIO, Le italiane dall’Unità ad oggi. Modelli culturali e comportamenti sociali , Roma-Bari, Laterza, 1992 e per una disamina maggiormente incentrata sugli sbocchi professionali aperti al mondo femminile in questi anni, sempre della stessa autrice, Donne e professioni , in M. MALATESTA (a cura di), Storia d’Italia, Annali 10 , I professionisti , Torino, Einaudi, 1996, pp. 439-487. 123 Negli ultimi anni dell’Ottocento e nei primi del Novecento, soprattutto con le leggi del 1897 e del 1902, si cerca di porre mano alla questione sarda attraverso l’intervento dello Stato. Sarà, poi, nel Novecento che su iniziativa del ministro di Agricoltura, Francesco Cocco Ortu, verranno promulgati nuovi provvedimenti a favore dell’isola, con il fine di cercare di superare almeno in parte gli errori del passato; tra questi, la legge n. 383 del 15 luglio 1906 per le province meridionali, per la Sicilia e la Sardegna, che ha come scopo quello di incentivare lo sviluppo agricolo. Sarà con la legge n. 562, del 14 luglio 1907, che si riporrà mano alla legislazione speciale sulla Sardegna cercando d’integrare i provvedimenti fino ad allora presi. Cfr. anche al riguardo G. MELIS, Amministrazioni speciali e Mezzogiorno nell’esperienza dello Stato liberale , in Studi storici , n. 2-3, aprile-settembre 1993, pp. 462-597. 124 Cfr. U. VACCAMAGGIOLINI, L’opera di rinnovamento nella Sardegna. Il presente e l’avvenire , Estratto dalla Riforma Sociale , fasc. 6, anno XVI, vol. XX, novembre-dicembre, Torino, Società Tipografico-Editrice Nazionale (già Roux e Viarengo), 1909, p. 18. In quelle righe vengono ricordate anche le disposizioni contenute nell’art. 3 della legge 15 luglio 1906, n. 383 che, tra le altre cose, contempla la necessità incombente di un «risveglio industriale» della regione attraverso la concessione di sussidi straordinari. 44 incertezze 125 . Un aiuto arriverà dall’opera d’istruzione tecnico-agraria, già avviata a partire dagli ultimi decenni dell’Ottocento grazie ai provvedimenti del ministro Baccelli. La vexata quaestio alla base del ritardo economico, agricolo e industriale locale continua a essere ancora nel primo dopoguerra la necessità di incrementare la popolazione. In Sardegna abbiamo più di 800.000 abitanti sparsi in 24.000 kmq di superficie, non abbiamo un uomo utile per ettaro! Con così scarsa popolazione non si possono avere né industrie né agricoltura intensiva e nemmeno pastorizia razionale. Una lapide collocata nella piazzetta a lato del palazzo Comunale ci ricorda i nomi degli alaesi caduti nella Grande Guerra: 37 in tutto. I loro nomi sono: Luigi Addis fu Giovanni, Pietro Addis fu Giovanni, Salvatore Mette di Salvatore, Francesco Mutzu di Francesco, Giovanni Bazzu fu Luigi, Giovanni Bua fu Tomaso, Fiovanni Antonio Bua di Salvatore, Michele Isoni fu Antonio, Antonio Ledda di Giovanni Maria, Antonio Stanislao Ledda fu Giuseppe, Aurelio Ledda fu Antonio Giuseppe, Francesco Ledda fu Pietro, Salvatore Ledda fu Bachisio, Antonio Lunetta fu Francesco, Antonio Manca di Giovanni, Giuseppe Meloni fu Salvatore, Antonio Mette fu Francesco, Giovanni Antonio Mette di Giovanni Antonio, Giovanni Mette di Salvatore, Costantino Mette di Salvatore, Celestino Mureddu di Giovanni, Antonio Maria Murrai fu Giovanni, Bachisio Murrai di Giovanni, Pietro Murrai fu Michele, Giovanni Nieddu di Antonio Sebastiano, Salvatore Nieddu di Luigi, Aurelio Pigozzi di Stefano, Antonio Martino Pinna fu Giovanni, Salvatore Pinna di Giovanni Maria, Antonio Luigi Pitta fu Pietro, Salvatore Porcheddu fu Angelo, Gavino Satta fu Francesco, Pietro Scanu di Gavino, Giovanni Battista Senes fu Pietro Paolo, Antonio Sotgia di Gavino, Salvatore Soggiu fu Salvatore, Giovanni Antonio Zedditta di Angelo. Il primo conflitto mondiale fu infatti “grande” anche per i suoi numeri in termini di feriti e soprattutto di morti, come dimostra il caso di un piccolo paese come Alà dei Sardi. Conclusa la guerra, nel 1919 l’amministrazione comunale dà avvio ad un moderno impianto di illuminazione pubblica. Gli utenti privati procedono da subito alla prenotazione delle lampade elettriche dalla “Ditta degli Ingegneri Oliva e Bevilacqua di Genova” che avrebbe dovuto predisporre anche tutto l’impianto – come è nelle intenzioni del sindaco - «con la maggior possibile sollecitudine» e «senza perdita di tempo» 126 . In tutto 111 persone ne fanno richiesta non solo per le loro abitazioni (in molti di questi casi si tratta di una sola lampada), ma anche per gli uffici e negozi pubblici.

125 Così scrive F. ATZENI, Riformismo e modernizzazione cit., p. 206. Secondo questa ricostruzione, gli aumenti delle produzioni e delle rese in agricoltura sono collegati ai più moderni metodi di coltivazione della terra e all’utilizzo di nuovi strumenti agricoli, come l’aratro di ferro. 126 ASCAS, Cartella 101, fascicolo 10, 1919. 45

L’assetto urbano deve rispondere oramai a certi requisiti ed è per questo che, in linea ad una maggiore sensibilità per quanto riguarda l’istruzione, si sente anche il bisogno di porre mano all’edificio scolastico. Con l’arrivo delle macchine, nel 1922 viene attivato un servizio di trasporto automobilistico tra Alà dei Sardi e Buddusò e Nuoro-Monti-. È la fine dell’isolamento di Alà dei Sardi. La macchina diviene lo strumento in cui si misura il progresso e l’evolversi di una civiltà. La classe dirigente locale cerca d’interpretare precocemente questo mutamento e agisce per dare risposte alle esigenze di un territorio spesso inospitale, caratterizzato da un eccessivo frazionamento della proprietà, nel quale il tratto tipico è la presenza di pastori privi di capitali, legati alla tradizione, con una debole istruzione agraria. Per lungo tempo anche ad Alà dei Sardi la trebbiatura continuerà a venire praticata con l’uso dei buoi aggiogati e fatti girare attorno al mucchio di covoni. Le spighe vengono poi ammucchiate così da poter iniziare «sa bentuladura» (la ventilazione), ossia la prima fase della separazione della paglia dal grano. Il grano nei campi fino agli ultimi giorni di agosto mettendo a repentaglio la qualità del prodotto. Nel 1929 così si legge tra le pagine dell’ Agricoltura Sarda in un’acuta riflessione sul ruolo che la meccanizzazione ha nel processo di modernizzazione delle campagne: «Tutti sanno o dovrebbero sapere che lavorando colle macchine si viene ad apportare un inestimabile beneficio al lavoro umano, perché al lavoro umano l’intelligenza regolatrice dell’uomo sostituisce la potenza regolabile della macchina alla propria forza viva materiale; e rapidamente si giunge a quel progresso agricolo che porta alla moltiplicazione dei prodotti agricoli, alla diminuzione dei costi di produzione e al miglioramento generale delle condizioni economiche e morali dell’agricoltore» 127 . In queste righe c’è anche un’amara constatazione: in Sardegna, tranne poche aziende, si è ancora restii alle innovazioni meccaniche, pure le più necessarie, nonostante la diffusione dell’aratro di ferro abbia «segnato un miglioramento nei lavori del terreno, ma non la perfezione che la moderna agricoltura oggi richiede e che la meccanica offre» 128 . Nell’isola, dalle fertilissime distese dei Campidani e del Logudoro fino alle zone collinose del Nuorese, domina lo stesso aratro che i Romani hanno adoperato per secoli, il carro usato dagli agricoltori ha ancora le ruote di legno piene, le uve vengono pigiate in strettoi primitivi e le olive

127 Cit. in G. SIROTTI, Le macchine nella nostra agricoltura , in L’agricoltura sarda , anno VIII, Cagliari 15 marzo 1929, n. 6. 128 Ibidem. 46 lavorate in frantoi oramai obsoleti 129 . Nel mondo rurale usi e tradizioni ataviche accompagnano la vita delle famiglie, come per la preparazione del pane in casa, vero e proprio rito di esclusiva competenza femminile, con una farina prodotta solitamente in piccoli e rudimentali mulini. Nel complesso la Sardegna è coltivata come mille anni prima. La trebbiatura del grano è praticata con il giogo di buoi o con i cavalli che, dall’alba al calar della sera, sono costretti a calpestare lentamente i cumuli di spighe sparse sulla terra, l’erpice è quasi sconosciuto, la fienagione non esiste, il frumento viene mietuto a mano. A prevalere è ancora l’aratro a chiodo formato da due pezzi di legno uniti trasversalmente: il più lungo va al giogo dei buoi, il più breve da un’estremità offre l’appoggio alla mano del contadino e dall’altra è armato di una punta di ferro (vomere) che non fa altro che graffiare il terreno 130 . Per un’agricoltura fiorente occorre invece che l’aratro di legno lasci il posto a quello più moderno totalmente costruito in metallo, che in Europa ha trovato una fattiva diffusione già nei primi decenni dell’Ottocento 131 . Felice eccezione per l’isola è l’azienda agricola di Caprera nella quale Giuseppe Garibaldi già lo utilizzava, avendolo ricevuto come omaggio da alcuni amici inglesi, fin dai primi anni unitari 132 . Il persistente utilizzo in quasi tutte le regioni d’Italia di strumenti da lavoro quali la zappa e gli aratri di legno non va però letto esclusivamente come scarsa predisposizione all’innovazione, ma anche come una necessità dettata dalle particolari caratteristiche dei

129 Cit. in E. PAMPALONI, Cinquant’anni di agricoltura in Sardegna. Divagazioni di Enzo Pampaloni , Milano, Stabilimento tipografico fratelli Magnani, 1949. 130 Cfr. N. PELLEGRINI, Coltivazione dei cereali in Sardegna appendice all’opera di G. CUSMANO, La Sardegna Agricola , Milano, Gazzetta Agricola, 1906. Ancora negli anni Venti, quasi l’ultimo retaggio del passato, alla maggior parte dei campi sperimentali coltivati con aratro Rud Sack , si contrappone un fondo rustico (a ridosso della strada rotabile -), lavorato ancora con l’aratro di legno. Per una disamina dei campi sperimentali per il 1923 cfr. I risultati dei campi sperimentali pro agricoltura istituiti in Provincia di Sassari , in Bollettino degli Interessi Sardi , anno I, Sassari 1 settembre 1923, n. 8. 131 In Inghilterra già nel 1730 viene costruito il primo esemplare «modello Rotherham», destinato a divenire presto un vero e proprio successo commerciale, come accadrà in seguito per l’aratro in acciaio, ancora più leggero e resistente del primo. Complesso è il percorso che porta al suo perfezionamento; già nel 1823 è Cosimo Ridolfi a inventare un aratro rovesciatore felice evoluzione di un modello francese, ulteriormente perfezionato nel 1828 dall’abate Lambruschini, in un contesto che vede la crescente introduzione nei decenni successivi di macchine operatrici già usate in Francia e Inghilterra. Un dato che evidenzia ancora di più il ritardo sulla loro diffusione in Sardegna. Della seconda metà dell’Ottocento è la realizzazione di un motore endotermico e, qualche anno più tardi, del motore ad accensione spontanea di Rudolf Diesel; un’invenzione importante alla base anche del successivo sviluppo della meccanizzazione. Diffusa ormai è la presa di coscienza dello stretto rapporto tra nuovi modelli meccanici e modernizzazione dei cicli produttivi. 132 Cfr. al riguardo G. ZICHI, Caprera, isola garibaldina, in A. NIEDDU, G. ZICHI (a cura di), Giuseppe Garibaldi. Il mito, l’Unità d’Italia e la Sardegna , Cagliari, AM&D, 2011, pp. 541-580. 47 terreni 133 . Passeranno comunque molti anni prima che la meccanica agraria diventi patrimonio comune di tutte le campagne italiane 134 . Nel frattempo alcune delle carenze strutturali più significative dell’isola iniziano a essere affrontate con la costruzione di importanti tratte ferroviarie e stradali 135 , nonché con i primi interventi sul sistema portuale. L’isolamento della Sardegna riguarda in egual misura i rapporti con l’esterno 136 e i collegamenti interni, come sottolinea in quegli anni il geografo francese Maurice Le Lannou. I villaggi «slegati l’uno dall’altro» 137 rappresentano uno dei maggiori problemi. Stenta a prendere corpo anche lo sfruttamento intensivo dei fondi rustici, poiché non si conosce né la figura del ricco proprietario coltivatore diretto, né, salvo poche eccezioni, quella del grande affittuario capitalista. Due elementi di debolezza che di fatto rendono particolarmente difficile la modernizzazione dell’agricoltura. Si pensi alla realtà di Alà dove esistevano diversi Stazzi dove molte persone vivevano . Il ristagno economico che caratterizza gli Anni Trenta del Novecento incide negativamente nel processo di sviluppo della meccanizzazione agricola e industriale. Gli effetti della crisi del Ventinove sono destinati ad andare ben al di là dell’America, con ripercussioni significative in Europa sia nel settore industriale, la cui produzione subisce un notevole contraccolpo, che in quello agricolo, dove si registra un ribasso significativo dei prezzi. Per l’Italia è la più brutta crisi della sua storia unitaria 138 . Lo Stato interviene in prima persona con la fondazione dell’Istituto Mobiliare Italiano (IMI) e dell’Istituto per la Ricostruzione Industriale (IRI), ponendo le basi per un nuovo sodalizio fra Stato e Industria.

133 È di questa idea G. MASSULLO, I mutamenti del lavoro agricolo nel Novecento fra modernizzazione e crisi. I piccoli proprietari coltivatori , in M.L. BETRI (a cura di), Contadini, Torino, Rosenberg & Sellier, 2006, pp. 161-197. 134 Uno spaccato sul caso bresciano è stato tracciato da S. ONGER, Verso la modernità. I Bresciani e le esposizioni industriali (1800-1915) , Milano, Franco Angeli, 2010. Sul caso sardo cfr. G. NAVARRU, La meccanizzazione agricola in Sardegna. Aspetti generali ed economici, Sassari, Gallizzi, 1986. 135 Intorno alla prima metà dell’Ottocento FERRERO DELLA MARMORA, Voyage en Sardaigne, ou description statistique, physique et politique de cette île , Paris, Debecourt, 1840 ne fa una descrizione assai desolante. D’altronde, ancora nei primi decenni del Novecento il sistema viario sardo non appare migliorato di molto. 136 Il risultato negativo del monopolio dei servizi marittimi in mano alla «Navigazione generale», secondo F. ATZENI, Riformismo e modernizzazione. Classe dirigente e questione sarda tra Ottocento e Novecento , Milano, Franco Angeli, 2000, p. 84 è dovuto al fatto che la Sardegna pagava tutto ciò che doveva importare più caro del resto del Paese e che una certa parte delle sue esportazioni veniva pagata meno del prezzo corrente sui mercati. 137 Cit. in M. LE LANNOU, La géographie humaine , Parigi, 1949, p. 175. La sua opera più significativa sulla Sardegna è Pâtres et paysans de la Sardaigne , Tours, Arrault et C.ie, maîtres imprimeurs, 1941; cfr. anche, al riguardo, la sua ripubblicazione in italiano, con traduzione e presentazione di M. BRIGAGLIA, Cagliari, Della Torre, 1979. 138 Cfr. al riguardo tra i tanti contributi J.K. GALBRAITH, Il grande crollo: la crisi economica del 1929 , Milano, Etas Kompas, 1967 e sui suoi echi in Italia, nello specifico del Mantovano, L. CAVAZZOLI, La crisi economica nel Mantovano: 1929-1935 , Mantova, Arcari, 1982. 48

Sviluppatasi in tutto il mondo all’indomani del 1929, nell’isola la crisi va a coinvolgere in maniera devastante proprio i settori commerciali più direttamente dipendenti dall’agricoltura e dalla pastorizia 139 . Il comparto zootecnico è quello maggiormente penalizzato, in quanto strettamente legato commercialmente agli USA sul versante lattiero-caseario, tanto che molti pastori si trovano costretti a vendere le loro greggi 140 . Dalla campagna la crisi si estende ben presto anche ad altri settori, che devono affrontare una nuova situazione caratterizzata da riduzione di consumi e minor domanda estera. Le difficoltà divengono ben presto generali e interessano armatori e pescatori, l’industria estrattiva (compromessa dal forte ribasso dei minerali), quella del legno, del sughero, delle costruzioni e delle pelli. Non c’è settore che non venga coinvolto e come conseguenza si contraggono le vendite e cresce la disoccupazione 141 . Si uscirà a fatica dalla crisi solo nel 1935, anche se presto un'altra “guerra” avrebbe coinvolto anche gli abitanti di Alà dei Sardi. Sono 9 i caduti del paese nella seconda Guerra Mondiale, come ricorda una lapide collocata sempre a lato del palazzo comunale. I loro nomi sono: Antonio Addis (29.12.1916), Antonio Maria Addis (25.8.1924), Giovanni Maria Bo (8.1.1919), Giovanni Cherchi (30.4.1921), Francesco Casu (12.3.1920), Salvatore Cocco (12.1.1916), Antonio Corda (19.1.1917), Tommaso Mette (18.9.1915), Francesco Scanu (15.9.1917). Nell’immediato secondo dopoguerra, le condizioni di vita della popolazione di Alà dei Sardi avevano destato l’interesse dello scrittore e giornalista di Enrico Emanuelli che, il 15 novembre 1948, scriveva a Giuseppe Dessì domandandogli informazioni in proposito e invitandolo a fare insieme un sopralluogo 142 . Tra storia e leggenda sono le vicende, tramandatesi per via orale, legate a un’eutanasia ante litteram . In una logica più generale, anche la letteratura sarda se ne è occupata attraverso la penna di Michela Murgia. Una vera e propria usanza che si riferiva soprattutto ai vecchi che non mostravano più prospettive di vita. Il comune sentire di Alà dei Sardi racconta di un uomo che con il padre sulle spalle, in cammino verso s’accabadorzu (letteralmente il terminatoio ) si sarebbe a un

139 A contribuire ad accentuare la crisi sarà, per il comparto agricolo, a partire dal 1930, lo scarso raccolto del grano, la perdita di quello viticolo e delle olive. La crisi si estenderà nel 1931 anche a tutti i settori industriali. Queste notizie sono tratte dalla ricerca curata da Cenzino Chessa, Le pagine della memoria. Storia di vita economica e sociale di provincia nel ventennio fascista (1922-1944 ), Sassari giugno 1997, p. 19. 140 Le contrattazioni per la nuova campagna del latte per il 1930 sono quasi inesistenti e i pastori, non potendo usufruire delle caparre sul prodotto del loro lavoro, non possono affrontare i pesi della nuova stagione. Il basso prezzo del formaggio contribuisce al ribasso di quello del latte. 141 I disoccupati nella Provincia di Sassari, alla fine del 1933, ammontano a un totale di 6.039: ben 3.802 nell’industria, 2.632 nell’edilizia, 1.985 in agricoltura e 131 in ambito commerciale. Dati che si fanno ancora più preoccupanti solo un anno dopo. Cfr. Le pagine della memoria cit., p. 31. 142 F. NENCIONI (a cura di), A Giuseppe Dessì. Lettere di amici e lettori , Firenze, Firenze University Press, 2009, p. 193 49 certo punto fermato a riposare. Il padre gli avrebbe detto: «Riposati, riposati, anche io mi sono riposato qui quando ho portato babbo». Il figlio avrebbe così capito che quello sarebbe stato anche il suo destino una volta divenuto vecchio e per questo motivo si sarebbe rimesso sulle spalle il padre e lo avrebbe riportato a casa, mettendo così fine alla crudele usanza. La località dove si trovava s’accabadorzu sarebbe Sos Murattolos e il punto dove l’uomo si sarebbe fermato per riposare sarebbe una rocia a forma di sedile sulla strada per san Francesco; questa roccia non è più esistente in quanto spianata in occasione dei lavori per la realizzazione della casa di riposo. Insomma, un interessante scherzo del destino: una vera e propria speranza per gli anziani. Sono anni di rivolgimenti politici epocali, segnati da due conflitti mondiali, dall’esperienza fascista in Italia e dal passaggio alla Repubblica. Il 2 giugno del 1946, ad Alà dei Sardi stravince la Monarchia con 844 voti contro i 216 della Repubblica 143 ; nelle elezioni per l’assemblea costituente è la Democrazia cristiana ad ottenere ben 593 voti 144 . Questo risultato elettorale si spiega anche con le indicazioni della stessa Dc che non aveva voluto indirizzare il suo elettorato, che sapeva in gran parte monarchico, sul referendum istituzionale. La somma dei voti riportati dagli altri partiti superava di poco la metà di quelli della sola Democrazia cristiana: il Partito unionista 14 voti, il Partito comunista 18, il Partito sardo d’azione 44, il Partito socialista 28, il Fronte dell’uomo qualunque 80, la Lega sarda 21 e l’Unione democratica nazionale 171. Le donne che per la prima volta nella storia italiana hanno potuto esprimere il loro voto si presentano in 567 controbilanciando quasi i 586 voti della popolazione maschile. Sono 39 gli elettori residenti nel comune che si trovano sotto le armi. Tutti questi avvenimenti politici incidono pesantemente sul tessuto sociale e produttivo del Paese. L’8 dicembre 1953 viene posizionata una statua della madonna all’uscita del paese in direzione Buddusò. È l’occasione per ricordare e solennizzare il trentennale della fondazione della Pia Associazione delle Figlie di Maria, avvenuta il 20 marzo 1923 grazie all’opera meritoria di evangelizzazione profusa dal padre vincenziano Giovanni Battista Manzella. Ad essersi quasi raddoppiati, rispetto ai dati riportati da Vittorio Angius nella prima metà dell’Ottocento, sono quelli sull’allevamento ovino 145 . Al 1961, la regione agraria della montagna del Goceano e di Alà dei Sardi è tra le zone semi-pastorali dell’isola. La più

143 Circa un centinaio le schede tra nulle e bianche. 144 ASCAS, Cartella 204, fascicolo 0, 1946. 145 Ed in particolare, al 1839, secondo quanto scritto da Vittorio Angius nella voce su Alà cit. vi sono: ovini 3.500, caprini 3.200, vacche 2.000, buoi 100, suini 1.600, cavalli 80). Al 1960, per DE MELAS cit.: ovini 6.536, caprini 2.806, bovini 2.262, suini 674, cavalli 75). 50 vasta azione della scuola, il diffondersi dei mezzi d’informazione, la stessa propaganda delle forze politiche, la conoscenza e frequentazione d’altri luoghi (si pensi agli effetti dell’emigrazione), determinano un sensibile innalzamento del generale livello culturale e suscitano nuove capacità di riflessione alimentata anche da chi “ritorna” 146 . Ora accade più facilmente che anche l’operaio e il pastore abbiano una nozione precisa del divario fra le proprie esigenze o aspettative, fra i propri diritti e la realtà di fatto. Ne deriva una minore inclinazione alla rassegnazione inerte che s’incanala in una corale contro lo Stato. Avviene così che un gran numero di paesi, soprattutto nelle aree più interne della Sardegna, fra il 1968 e il 1969, divengono teatro di sollevazioni che in qualche caso vengono represse dalle forze di polizia. Nel luglio 1968, Cagliari viene invasa da un migliaio di pastori che, venuti da ogni parte con le loro greggi, chiedono che la Regione intervenga per mettere rimedio alle conseguenze d’una rovinosa siccità. In particolare chiedono, ottenendolo soltanto in modesta misura, che vengano ridotti di due terzi i canoni d’affitto dei pascoli e che vengano annullati i debiti contratti per l’acquisto di mangimi. Ad Alà dei Sardi, la folla invade ed occupa il municipio. Quella stagione d’inquietudine e di tumulti culmina nelle giornate di Pratobello che nella primavera del 1969 vedono gli abitanti di , in testa le donne, opporsi alle forze militari alle cui manovre quella vasta area di pascoli era stata destinata. Non è forse una caso che tra i paesi in cui, a quella data, mancano le scuole serali o festive vi è anche Alà dei Sardi 147 . Dati sconcertanti sono anche quelli relativi alla spesa sostenuta da alcuni comuni sardi per l’istruzione elementare: cifre come il 60 % di , il 62% di Carloforte, il 64% di Nule, il 74% di , l’85% di Alà dei Sardi, l’86% di Lodè e l’87 % di Ossi 148 . Ricorda il celebre musicista Paolo Fresu che, in quegli anni, suonò in diverse feste e matrimoni ad Alà dei Sardi, in case in costruzione, senza porte né finestre ma solo con i muri in mattoni, dove le famiglie degli sposi allestivano il ricevimento: «C’erano grandi tavolate con ogni ben di Dio. Capitava che qualcuno facesse a botte e non erano certo ingaggi prestigiosi, ma io ero contento lo stesso perché guadagnavo qualcosa» 149 . La “nuova modernizzazione” di Alà dei Sardi passa anche da quelle case in costruzione con le facciate ancora non intonacate e dal nuovo stemma concesso dal

146 M. PARLATO, Occhi e cuore al di là del mare. L’isola in movimento attraverso lo sguardo del mondo dell’emigrazione , Milano, Lampi di stampa, 2004, p. 263. 147 Ivi, p. 327. 148 Archivio sardo del movimento operaio, contadino e autonomistico, Istituto di studi storici dell’Università di Cagliari, 1973, p. 152. 149 P. FRESU, Musica dentro , Milano, Feltrinelli, 2011. 51

Presidente della Repubblica il 19 novembre 1999 150 . Già il 3 maggio, il Consiglio comunale sceglie tra i 4 bozzetti presentati quello che più gli sembra in sintonia con il passato ed il presente di Alà dei Sardi 151 . Delibera così di comunicare la scelta all’ufficio araldico competente per «l’attribuzione del Gonfalone e dello stemma araldico» 152 e successivamente provvedere al conferimento dell’incarico per l’esecuzione dello Stemma civico e del Gonfalone 153 . Nel mese di dicembre di quello stesso anno la Presidenza del Consiglio dei Ministri concede al Comune di Alà dei Sardi gli «emblemi» 154 . Qualche mese prima aveva proceduto però a una leggera epurazione rispetto al progetto originario contenente nel secondo riquadro anche un (sono molti gli esemplari presenti nel territorio di Alà dei Sardi 155 ), con le seguenti motivazioni: «Sia perché tale caratteristico monumento è stato oggetto di una indiscriminata e censurabile utilizzazione negli stemmi della Sardegna, sia perché, nel caso, presenta una biasimevole sproporzione con la quercia e con le vicine api» 156 . Nello stemma, uno scudo inquartato 157 , vi sono gli elementi principali dell’economia locale, attraverso i quali è passata anche la modernizzazione del paese: le spighe di grano a rappresentare un’agricoltura fiorente e il forte legame con il mondo rurale fin dagli albori della sua storia, una quercia da sughero, la pecora espressione del ruolo ricoperto in ogni

150 Registrato nei registri dell’Ufficio Araldico il 27 dicembre 1999. 151 Il sindaco pone a votazione i quattro bozzetti predisposti dalla Giunta comunale. Con voti 6 favorevoli, un astenuto e 3 contrari, su 10 presenti, la scelta verte, a maggioranza sul bozzetto contrassegnato dal numero 3. Delibera del Consiglio comunale di Alà dei Sardi n. 38 del 3 maggio 1999 in Archivio corrente del Comune di Alà dei Sardi (d’ora in poi ACCAS). 152 Ibidem. 153 L’incarico viene conferito il 14 gennaio 2000 all’architetto Elisabetta Bucci di Orsogna come si desume dalla nota di affidamento dell’incarico in ACCAS. 154 L’Ufficio araldico della Presidenza del Consiglio dei Ministri chiarisce però che per la definizione della pratica è necessario far pervenire le miniature dello stemma e del gonfalone, eseguite a regola d’arte a colori su cartoncino bianco di cm. 37x26. 155 Nel territorio sono presenti i seguenti nuraghi: Alteri, Binioni, Boddò, Columbros, Lathari, Marcheddine, , Sos muros, S’originale, Intro e serra . Lo storico , descrivendo le scoperte archeologiche del 1867, riporta che a Lathari furono trovate giare, tazze, stoviglie, un anello d’oro con il ritratto di un imperatore romano e vari oggetti di bronzo tra cui statuette e 25 pugnaletti votivi. In questa zona sembra vi fosse anche una stazione romana situata sulla via che da Caput Thirsi conduceva a Olbia e a Gemellas . Molti più antichi i resti di “tombe di giganti” che si trovano nelle località di Sas tumbas, Malagarruca, Alteri, Dolifichina, Padentes. A Loddoro, nella periferia del paese, vi è una tra le più grandi e meglio conservate “tombe di giganti” di tutta la Sardegna. Qualche chilometro a sud est di Alà vi è una località molto importante dal punto di vista archeologico chiamata Su pedrighinosu . 156 ACCAS, Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Araldico, al Signor Sindaco di Alà dei Sardi, Roma 19 luglio 1999. 157 Al riguardo si veda il bozzetto del gonfalone approvato con delibera del Consiglio comunale di Alà dei Sardi n. 38 del 1999 in ACCAS e per i colori le indicazioni presenti nella nota della Presidenza del Consiglio dei Ministri, Ufficio Araldico del 10 dicembre 1999: «Stemma: inquartato; nel primo, di rosso, alle sette spighe di grano d’oro, impugnate, legate di azzurro; nel secondo, di azzurro, alla quercia da sughero, con la chioma di verde e il troppo al naturale, nodrita nella pianura di verde; nel terzo, di azzurro, alla pecora riposante, con la testa rivolta, di argento, sostenuta dalla pianura di verde; nel quarto, di rosso, alle due api d’oro, ordinate in palo. Ornamenti esteriori da Comune. Gonfalone: drappo di giallo riccamente ornato di ricami d’argento ecc. ecc.». 52 epoca dalla pastorizia ed infine due api per l’attenzione mai venuta meno nei confronti della produzione del miele (attestata fin dai tempi antichi). In questi simboli vi è tutta la storia economica ma anche sociale di Alà dei Sardi 158 ; un’attenzione alla sua storia per vivere meglio il suo futuro.

158 Per la simbologia araldica, la spiga rappresenta l’abbondanza, la sicura ricompensa al lavoro, la pace, la quercia rappresenta la forza e la potenza, la nobiltà, l’antico dominio, i suoi frutti (ghiande e sughero), la pecora rappresenta vasti possedimenti atti alla pastorizia, la mansuetudine, l’ape rappresenta l’operosità.

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