Comando Interregionale Ispettorato Istituti Sud-Occidentale di Istruzione Museo Storico Guardia di Finanza

Il Contrabbando qual e f ont e di fi nanzi a ment o dell a cri mi nalit à organi zzat a nel XX secol o

Atti del convegno Palermo, 18 - 19 novembre 2009

Il Contrabbando quale fonte di finanziamento della criminalità organizzata nel XX secolo

Atti del convegno organizzato dal Museo Storico della Guardia di Finanza

Palazzo dei Normanni – Sala Gialla Palermo 18-19 novembre 2009

Museo Storico della Guardia di Finanza Comitato di Studi Storici Roma

Consulenza e realizzazione tipografica B.C. Giuseppe Finocchiaro

Impaginazione, montaggio e stampa a cura della Tipografia della Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza

V.B. Giancarlo Napoli

App.Sc. Nello Corritore

App.Sc. Natalino Palermo

App.Sc. Rocco Recupero

Fin.Sc. Marco Lensi

Coordinamento generale

M.O. Emiliano Stelluti

LUGLIO 2010

Hanno partecipato al convegno:

Relatori:

• Cosimo D’Arrigo, Generale di corpo d’Armata, è il Comandante Generale della Guardia di Finanza. Laureato in Scienze Strategiche. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando operativo e di Stato Maggiore. E’ stato Capo del I Reparto dello Stato Maggiore Esercito, Vice Capo di Gabinetto del Ministero della Difesa, Direttore Generale del Personale Militare, Comandante delle Forze Operative Terrestri e del Joint Command South e Sottocapo di Stato Maggiore della Difesa.

• Luciano Violante, Presidente emerito della Camera dei Deputati, titolare della cattedra di Istituzioni di Diritto e Procedura Penale presso l’Università degli Studi di Torino. Magistrato dal 1963 al 1983, quale Giudice Istruttore del Tribunale di Torino si è occupato dei procedimenti per terrorismo e per le stragi che in quegli anni hanno insanguinato il Paese. Eletto Deputato fece parte della Commissione di inchiesta sul caso Moro e fu Presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. E’ autore di numerosi volumi in materia di politica, diritto e criminalità organizzata.

• Alfredo Mantovano, Sottosegretario di Stato del Ministero degli Interni. Magistrato di Cassazione, giornalista pubblicista e deputato al Parlamento dal 1996. Dal 2006 al 2008 ha preso parte alla XV legislatura del Senato della Repubblica. Coordinatore del master di Scienza delle migrazioni all’Università Europea di Roma. E’ autore del libro “Miliardi in fumo - le multinazionali del contrabbando, le rotte criminali, il contrasto e la prevenzione.”.

• Mariano Gabriele, titolare per 30 anni di Storia e Politica navale e di Storia Contemporanea nella Facoltà di Scienze Politiche dell’Università “La Sapienza” di Roma, ha tenuto corsi anche in altri atenei. Autore di circa 30 volumi ed oltre 100 pubblicazioni scientifiche, ha ricevuto premi e riconoscimenti in Italia ed all’Estero. Direttore di ricerca del C.N.R. per 15 anni, ha coordinato e condotto studi su temi politici, economici e militari. E’ Presidente della Società Italiana di Studi Militari.

I • Salvatore Costantino, Professore ordinario di Sociologia Giuridica presso l’Università di Palermo. Si è dedicato allo studio ed all’analisi della devianza e mutamento sociale in Sicilia. Ha pubblicato numerose opere, tra le quali il volume “Criminalità e devianze. Società e divergenze, mafia e Stati nella Seconda modernità” – Editori Riuniti, Roma 2004. Giornalista pubblicista, è studioso delle politiche per la cultura, di management culturale e di performing art. Si occupa di neuroscienze, delle relazioni tra scienze naturali e scienze sociali.

• Ugo Marchetti, Generale di Corpo d’Armata, è Ispettore per gli Istituti d’Istruzione della Guardia di Finanza. Ha prestato servizio a Palermo quale Comandante Interregionale per l’Italia Sud Occidentale ed in precedenza quale Comandante Regionale. Plurilaureato, ha svolto intensa attività di insegnamento in Istituti del Corpo e delle Forze Polizia ed ha organizzato e diretto numerosi convegni di studi su materie connesse al diritto tributario ed al diritto penale dell’economia.

• Gaetano Nanula, Generale di Corpo d’Armata in congedo, già Comandante in seconda della Guardia di Finanza, ha insegnato ragioneria presso l’Università “La Sapienza” di Roma, Diritto Comunitario e Diritto Tributario presso l’Università di Bari, e materie professionali a Roma presso la Scuola Centrale Tributaria Ezio Vanoni, la Scuola di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza, la Scuola di Perfezionamento per le Forze di Polizia. E’ autore di numerosi volumi di ragioneria e sulla normativa antimafia.

• Pier Luigi Vigna, Magistrato, è stato Procuratore Nazionale Antimafia dal 1997 al 2005. Procuratore della Repubblica di Firenze ove si è occupato di inchieste di rilevanza nazionale in materia di terrorismo eversivo, sequestri di persona, omicidi attribuiti al mostro di Firenze, criminalità e stragi mafiose.

• Umberto Sirico, Colonnello della Guardia di Finanza, attualmente Comandante del Servizio Centrale Investigazioni sulla Criminalità Organizzata. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi presso i Nuclei pt di Roma e Milano ed è stato Capo Ufficio Fiscalità e, successivamente, Capo Ufficio Tutela della Finanza Pubblica del Comando Generale.

II • Piero Soggiu, Generale, Prefetto, già Direttore del Servizio Centrale Antidroga del Ministero dell’Interno, ha fatto parte del Servizio Navale della Guardia di Finanza ed è stato a lungo impiegato nella lotta al contrabbando ed alla criminalità organizzata in funzioni sia operative sia di Stato Maggiore nel settore informativo, ove è stato Capo del IV Reparto del Comando Generale del Corpo.

• Domenico Achille, Generale di Divisione della Guardia di Finanza, attualmente è Comandante Regionale del Corpo a Palermo. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando e di Stato Maggiore, tra i quali il comando della Sezione Aerea di Pescara, del Gruppo di Palermo, del G.I.C.O e della Legione di Roma. E’ stato Capo Ufficio Operazioni del Comando Generale.

• Gaetano Giancane, Generale di Brigata della Guardia di Finanza, attualmente è Comandante Regionale del Corpo a Catanzaro. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando e di Stato Maggiore, tra i quali comandi territoriali di pt a Palermo ed a Napoli. E’ stato comandante del Nucleo Regionale pt di Torino e della Scuola Ispettori e Sovrintendenti di L’Aquila e Capo Ufficio Studi e Ricerche del Comando Generale.

• Gerardo Severino, Capitano, promosso ufficiale per meriti eccezionali è Direttore del Museo Storico del Corpo e Capo Sezione dell’Ufficio Storico del Comando Generale. E’ stato a lungo impegnato nella lotta alla criminalità organizzata anche presso l’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, alle dipendenze del Giudice Giovanni Falcone. E’ autore di numerose pubblicazioni sulla storia della Guardia di Finanza.

• Ignazio Gibilaro, Generale di Brigata, attualmente Comandante Provinciale della Guardia di Finanza a Catania. Durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando e di Stato Maggiore, dedicandosi alla lotta alla criminalità organizzata alle sedi di Palermo, , Firenze, Roma e Catania.

• Francesco D’Isanto, Generale di Corpo d’Armata in congedo, già comandante in seconda della Guardia di Finanza. Attualmente è Magistrato della Corte dei Conti a Firenze. Durante la carriera è

III

• Vittorio Alvino, Generale di Divisione in congedo della Guardia di Finanza, durante la carriera ha ricoperto incarichi di comando e di Stato Maggiore. Ha fatto parte del Servizio Aereo del Corpo. Docente di Storia militare presso l’Accademia della Guardia di Finanza, è autore di numerose pubblicazioni sulla materia.

• Giorgio Bianco, Generale di Divisione in congedo della Guardia di Finanza, durante la carriera ha ricoperto importanti incarichi di comando e di Stato Maggiore, tra cui quelli di Comandante della Legione di Bari, negli anni 1981-85, e di Capo del Servizio Aereo della Guardia di Finanza.

• Luciano Luciani, Generale di Corpo d’Armata in congedo già Comandante in seconda della Guardia di Finanza, è Presidente del Museo Storico del Corpo. Ha pubblicato numerose opere di storia militare e durante la carriera ha coordinato significative operazioni contro la criminalità organizzata in Sicilia. E’ Presidente del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza e membro della Consulta della Commissione italiana di Storia Militare.

IV INDICE

Indirizzo di saluto dell'On. Francesco CASCIO, Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana...... 1

Introduzione ai lavori del Gen. C.A. Luciano LUCIANI, Presidente del Museo Storico e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza ...... 7

Prolusione del Convegno del Gen. C.A. Cosimo D’ARRIGO, Comandante Generale della Guardia di Finanza La strategia della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando di t.l.e...... 11

On. Prof. Luciano VIOLANTE Le organizzazioni mafiose ed il controllo dei traffici illeciti nel Mediterraneo. Il salto di qualità della criminalità organizzata siciliana con l’acquisizione del monopolio della produzione e del commercio degli stupefacenti negli anni settanta e del ventesimo secolo...... 33

I SESSIONE (Presiede il Gen. C.A. Luciano Luciani) ...... 51

On. Dott. Alfredo MANTOVANO Contrabbando e : un intreccio che ha caratterizzato la criminalità pugliese alla fine del secolo scorso..... 53

Prof. Mariano GABRIELE La Sicilia crocevia del Mediterraneo...... 61

Prof. Salvatore COSTANTINO La situazione socio-economica della Sicilia nel XX secolo ed i suoi riflessi sulla criminalità organizzata e il contrabbando...... 77

Gen. C.A. Ugo MARCHETTI La strategia della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando di t.l.e...... 113

V Gen. C.A. Gaetano NANULA Il contrabbando come fonte di finanziamento della mafia...... 137

II SESSIONE (Presiede il Gen. C.A. Ugo Marchetti) ...... 147

Pres. Dott. Pierluigi VIGNA L'evoluzione della legislazione contro la mafia nel secolo XX...... 149

Col. Umberto SIRICO Il contrabbando quale fonte di finanziamento di e n’drangheta...... 157

Gen. Pref. Pietro SOGGIU Le strategie delle organizzazioni mafiose dal contrabbando di tabacchi al controllo del traffico internazionale di stupefacenti. .... 179

Gen. D. Domenico ACHILLE La Guardia di Finanza nel contrasto al contrabbando in Sicilia. .. 193

Gen. B. Gaetano GIANCANE La Guardia di Finanza nel contrasto al contrabbando in Calabria, Campania e Puglia ...... 211

TESTIMONIANZE, Presiede il Gen. D. Vittorio Alvino ...... 225

Cap. Gerardo SEVERINO La collaborazione della Guardia di Finanza ai Giudici Falcone e Borsellino...... 229

Gen. B. Ignazio GIBILARO Il contrabbandiere ...... 243

Gen. C.A. Francesco D’ISANTO Le indagini del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria di Roma che originarono il maxiprocesso di Palermo contro la mafia del 1986...... 267

VI Gen. D. Vittorio ALVINO Un esempio di operazione aeronavale contro il traffico contrabbandiero nelle acque siciliane verso la fine dell'anno 1958...... 273

Gen. D. Giorgio BIANCO Quando gli “impedimenti” si risolvono in “giovamenti”: il caso del M/P Pietro S...... 279

Gen. C.A. Luciano LUCIANI Conclusioni...... 287

APPENDICE Col. Carmelo BRANCATO Guerra al contrabbando in Sicilia ...... 297

VII

Palermo – Palazzo dei Normanni

Palazzo dei Normanni – Sala Gialle – sede del Convegno.

VIII INDIRIZZO DI SALUTO On. Francesco CASCIO

Presidente dell’Assemblea Regionale Siciliana

I continui successi in campo investigativo della Guardia Di Finanza rappresentano per la nostra società, e per la Sicilia in particolare, un supporto indispensabile per ripristinare legalità dove regna il malaffare, la malversazione, il crimine. Non ci stancheremo mai di rivolgere il nostro grazie alle Fiamme Gialle che, in questi anni, hanno cercato di individuare le debolezze in un sistema forte, come quello della criminalità organizzata, che ha finito con il soffocare la crescita economica del Paese. Spezzare le catene di questo sistema, individuare gli anelli deboli, significa togliere linfa a tutte le mafie che oggi insistono sul riciclaggio del denaro proveniente da affari illeciti.

1 Un organismo, la Guardia di Finanza che ha sempre lavorato con spirito militare, senza protagonismi, senza ricerca di una visibilità fine a se stessa. Un modus operandi che affonda le sue radici nella storia di un corpo di polizia che ha sempre lavorato per contrastare crimini economici e finanziari. Il motivo per il quale il corpo della Guardia di Finanza risulta particolarmente eclettico ed operativo, unico nelle realtà dei corpi speciali di polizia d'Europa e del mondo, lo si deve ricercare proprio nel suo specifico raggio d’azione. Rivolgere, in questa sede, uno sguardo al passato, alla storia della Guardia di Finanza, significa restituire il giusto ruolo ad un organismo speciale, oggi assai più evoluto rispetto a cinquanta anni fa, quando era operativo lungo le frontiere soprattutto con funzioni di difesa territoriale. Erano anni difficili per l’Italia: un dopoguerra in cui si operava con scarsità di mezzi e di caserme e con militari impegnati in compiti più semplici. Le forme di criminalità erano “meno organizzate” e sofisticate, e anche alla Guardia di Finanza veniva richiesta una ridotta specializzazione. Negli anni del dopoguerra, la lotta al contrabbando costituì il principale impegno operativo per la Guardia di Finanza. Sul mare, il traffico assunse carattere di impresa e ad esso fu adibita una piccola flotta di unità di tipo militare, con base a Tangeri e poi a Gibilterra e a Malta, ed una rete di stazioni radio clandestine, che guidavano le navi ai punti di trasbordo e di sbarco. L'azione di contrasto fu imperniata sul potenziamento del naviglio e sull'impiego dei mezzi aerei che, sperimentato già nel 1950, divenne realtà quattro anni dopo. Con lo sviluppo della motorizzazione, la lotta

2 si estese anche alle strade, e richiese l'impiego di veloci mezzi da inseguimento, di radiotelefoni e di ostacoli passivi, come la "catena chiodata". I contrabbandieri rispondevano con i "chiodi a tre punte", ma talvolta la loro fantasia andava oltre, giungendo a realizzare addirittura un "sommergibile a pedali", destinato ad eludere la vigilanza sui laghi di confine. L'inizio del nuovo millennio ha coinciso con una revisione organizzativa. La struttura territoriale della Guardia di Finanza, con i suoi 68 000 militari, è legata a quella amministrativa dello Stato, segnando il definitivo distacco dall'arcaica visione del corpo come mera polizia tributaria, riaffermando sia i compiti di polizia economico-finanziaria, sia preponderanti compiti tradizionali, come la repressione del contrabbando, la lotta al traffico di sostanze stupefacenti, la repressione dei reati di criminalità organizzata, il riciclaggio del denaro sporco, la lotta al finanziamento al terrorismo internazionale. La Guardia di Finanza rappresenta un unicum nel panorama delle forze di polizia di tutto il mondo, anche se il lavoro svolto nel campo delle indagini è in tutto e per tutto assimilabile a quello delle altre forze di polizia. Il suo campo d'azione è a 360°, spaziando dalla tutela degli interessi finanziari nazionali ed europei, attraverso il contrasto all’evasione fiscale, alla repressione dei reati tributari e delle frodi comunitarie. Concentrare, nel tempo, più funzioni ispettive nella Guardia di Finanza a scapito degli uffici ai quali è stata affidata la prosecuzione amministrativa degli atti, anziché dare vita a più organismi, ha avuto lo scopo di contenere le spese necessarie a dare vita a nuovi improvvisati

3 complessi, spesso estranei alle tradizioni delle amministrazioni peninsulari, salvaguardando i risultati, affidati ad un organo già collaudato. Ultimamente tale impostazione è stata in un certo qual modo persa di vista, anche in ragione della progressiva complicazione del quadro normativo di riferimento. All'azione ispettiva del Corpo si è affiancata l'attività ispettiva di molteplici articolazioni investigative create in seno alle rinnovate autority ed agenzie, come quelle fiscali, in primis l'Agenzia delle Entrate, dei dicasteri che beneficiavano dei servizi svolti dalla Guardia di Finanza. Oggi la Guardia di Finanza appare come un organismo di avanguardia sempre più proteso verso nuovi e più impegnativi compiti, da assicurare in Italia, nella Unione Europea e all'estero con nuovi mezzi, fra cui assumono rilevanza gli strumenti informatici, grazie anche ai gruppi specializzati d’investigazione SCICO E GICO che si occupano di contrasto alla criminalità organizzata. Nel tempo sono cambiate le modalità del fenomeno: il contrabbando al confine terrestre, infatti, tramontò alla fine degli anni '60, mentre sul mare il fenomeno continuò a svilupparsi, soprattutto in connessione con il traffico internazionale degli stupefacenti e, oggi, anche con il contrasto al traffico dei clandestini. Il punto di arrivo di questo lungo percorso è segnato dal decreto legislativo nr. 68/2001 che, com’è noto, ha rivisitato e razionalizzato i compiti del Corpo per adeguarli ai mutati scenari dell’economia moderna ed alle nuove esigenze di tutela della sicurezza economica e degli interessi finanziari del Paese e dell’Unione Europea. In questo contesto si è assistito al consolidamento delle funzioni di polizia finanziaria, tradizionalmente orientata a difesa delle entrate

4 erariali ed al controllo della spesa pubblica, ed all’estensione dell’attività di vigilanza a tutela del bilancio delle regioni, degli Enti locali, dell’Unione Europea e del settore pubblico allargato. A sua volta, la missione di polizia economica, come potenziata a seguito del provvedimento normativo, appare ancor più efficacemente rivolta a presidiare gli interessi dei consumatori, della collettività e del mercato. La Guardia di Finanza, quindi, si presenta come “un Corpo straordinario con una missione straordinaria”, per dirla con le parole del ministro Tremonti, a cui deve essere rivolto sempre il nostro sostegno politico e il GRAZIE da parte di tutti gli italiani onesti.

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INTRODUZIONE AI LAVORI Gen. C.A. Luciano LUCIANI

Presidente del Museo Storico e del Comitato di Studi Storici della Guardia di Finanza

L’odierno convegno di studi è stato organizzato dal Museo Storico della Guardia di finanza, dall’Ispettorato per gli Istituti di Istruzione e dal Comando Interregionale per l’Italia Sud-Orientale, sotto l’egida del Comando Generale del Corpo. Inserito nel Museo Storico opera il Comitato di Studi Storici con il compito di effettuare ricerche e produrre studi, saggi e volumi che illustrino la ultra bicentenaria storia del Corpo. Nell’ambito di questa attività, eminentemente culturale, è stato deciso di effettuare il congresso storico che ora si inaugura.

7 Il contrabbando, fino alla metà del secolo scorso, è stato la principale minaccia per le entrate dello Stato, in gran parte derivanti da dazi doganali, accise e monopoli. Per combattere il contrabbando fu istituita nel 1774 la Legione Truppe Leggere, nella quale i finanzieri di oggi riconoscono le loro origini, alla quale succedettero i Corpi di finanza napoleonici e dei principati preunitari ed infine, con il raggiungimento dell’Unità d’Italia nel 1861, la Guardia Doganale, poi trasformata in Guardia di finanza nel 1881. Nel secondo dopoguerra del secolo scorso, con la sempre crescente apertura delle frontiere ai traffici commerciali, sfociata da poco nella liberalizzazione dei commerci nell’ambito dei fenomeni di globalizzazione economica, dazi doganali, accise e monopoli hanno visto diminuire la loro percentuale complessiva di contribuzione alle entrate erariali in corrispondenza alla sempre crescente importanza assunta dell’imposizione diretta ed indiretta. A seguito di questi fenomeni economici, il baricentro dell’attività repressiva della Guardia di finanza si è inesorabilmente spostato verso questi settori, nonché nei compiti di polizia economica, dedicando aliquote minoritarie, ma ancora significative, al contrasto del contrabbando. E’ indubbio però che questo fenomeno vada perdendo virulenza, venendo sostituito da forme ben più minacciose di criminalità, quali il traffico di stupefacenti, armi e migranti clandestini, nonché attività estorsiva e di inserimento negli appalti pubblici e privati. Nel momento in cui il contrabbando tradizionalmente inteso sta divenendo fenomeno secondario, è parso utile al Comitato di Studi Storici della Guardia di finanza promuovere una serie di convegni di

8 studio per fissare la memoria storica di duecento anni di questa forma criminosa e sui sacrifici delle Fiamme Gialle per combatterla. Si è trattato di una vera e propria guerra che ha provocato nelle file del Corpo oltre 1000 caduti, sopratutto in conflitti a fuoco con i contrabbandieri, ma anche in incidenti sulle aspre giogaie delle Alpi ed in naufragi di unità navali nel vasto scacchiere mediterraneo. Il ciclo di convegni, iniziato a Bergamo nel 2004 sul tema del contrabbando al confine svizzero, proseguito a Roma sul contrabbando sul Mar Tirreno ed a Bari sul contrabbando in Adriatico, si conclude oggi con due giornate di studio incentrate su discussioni sul contrabbando quale forma di finanziamento della criminalità organizzata nel XX secolo. E’ un tema di grande interesse: la Guardia di finanza ritiene che il fenomeno del contrabbando, sotto l’occhio indulgente delle collettività, sia stato lungamente sottovalutato dalle Istituzioni, ma non da mafia, camorra, n’drangheta e sacra corona unita che proprio da questa forma di evasione fiscale hanno accumulato gli ingenti capitali che hanno consentito il loro consolidamento e l’affermazione quali organizzazioni criminali potenti anche sul piano finanziario. Ma di questo parleranno gli illustri relatori che ringrazio per la disponibilità dimostrata a fornire il loro contributo allo studio del fenomeno. Ringrazio vivamente anche le altre Autorità che hanno voluto onorare questo evento con la loro presenza, nonché tutti gli intervenuti ai quali auguro di conseguire, dall’ascolto delle relazioni, un arricchimento del loro patrimonio culturale e professionale.

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PROLUSIONE DEL CONVEGNO Gen. C.A. Cosimo D’ARRIGO

Comandante Generale della Guardia di Finanza La strategia della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando di t.l.e.

Il tema che intendo affrontare – “La strategia della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando di t.l.e.” – evoca in tutti i finanzieri, in servizio ed in congedo, ricordi di vita del Corpo molto intensi e radicati nell’animo, ricordi che risalgono alla generazione che ci ha preceduto, negli anni ‘50 e ’60, caratterizzati dalle lunghe notti all’addiaccio, a ridosso dei cippi di confine, in attesa degli spalloni cui

11 sottrarre, in nome della legalità fiscale, le preziose bricolle; o quelli degli anni ’70, segnati dai pericolosi inseguimenti a bordo delle nostre “Alfette” nelle stradine sterrate dell’entroterra comasco, della Val Mulini o del mitico “Colle San Maffeo”, all’epoca ribattezzato “bricolle San Maffeo”, piuttosto che lungo i tratturi del barese o del brindisino, per acciuffare una macchina o un furgone “carico” di sigarette; altrettanto memorabili le gesta compiute dai nostri finanzieri di mare negli anni ’80 e ’90 nelle acque del canale d’Otranto e lungo tutte le coste pugliesi, all’inseguimento del c.d. “branco” per la cattura di motoscafi leggeri e veloci che tentavano di forzare il dispositivo di vigilanza marittimo. Sono pagine anche tristi per la nostra memoria al ricordo dei tanti finanzieri, servitori dello Stato, che per la lotta al contrabbando di sigarette hanno perso la loro vita. Una colonnina di marmo, ingiallita dal tempo, oggi quasi anonima, immersa nella vegetazione, sul ciglio di una stradina qualunque del Comune di Bizzarrone (CO), un paesino di poche anime al confine con la Svizzera, ricorda che in quel punto, durante un inseguimento, morì nei lontani anni Sessanta un finanziere dei tanti. Come poi dimenticare le tante vittime, anche intere famiglie, tra la popolazione civile, stroncate dall’efferatezza del contrabbando pugliese degli anni ’90. Ricordo commosso, in particolare, il Vicebrigadiere Alberto De Falco, di 33 anni ed il Finanziere Scelto, Antonio Sottile, di 29 anni, deceduti il 23 febbraio 2000 a seguito di un grave incidente provocato da un mezzo blindato dei contrabbandieri che tentavano di sottrarsi con la

12 violenza al fermo della pattuglia del Corpo, su uno svincolo della superstrada per Brindisi. La lotta al contrabbando, con le sue luci ed ombre, è la memoria storica ed operativa di tutti noi finanzieri d’Italia. E’ il substrato morale e culturale del nostro spirito di corpo ed in cui, anche nell’”immaginario collettivo”, si identifica una delle icone classiche del finanziere. Vero è che il contrabbando di sigarette è un fenomeno mai fermo e statico, bensì mutevole ed adattabile nel tempo, assumendo sempre caratteristiche nuove e multiformi, attraverso continue e rapide trasformazioni, in risposta alle quali la Guardia di Finanza, ogni volta, ha dovuto prontamente adeguare le proprie strategie di contrasto. Fatta questa premessa, il mio intervento si articolerà su tre punti: il primo riferito all’evoluzione ed alle dinamiche attuali del contrabbando dopo la c.d. “Operazione Primavera” dell’anno 2000, che ha inferto un duro colpo a questo traffico illecito; la seconda parte è incentrata sul ruolo e sulle strategie di contrasto della Guardia di Finanza; nel terzo punto, infine, approfondirò più specificamente le metodologie di aggressione del contrabbando sotto il profilo economico, finanziario e patrimoniale. Iniziando dal primo punto, non c’è dubbio che dopo l’”Operazione Primavera”, pianificata dal Ministero dell’Interno per porre un argine alla efferata recrudescenza del contrabbando in Puglia ed attuata tra febbraio e luglio 2000 dalle tre principali Forze di Polizia, il fenomeno sembrava definitivamente scomparso. Ma l’allargamento ad Est dell’Unione Europea e la crisi finanziaria internazionale hanno offerto nuove opportunità al contrabbando di

13 sigarette che è ritornato ad essere un business d’”avanguardia” nel panorama delle attività illecite, in forza della sua intima connessione con l’identità transnazionale della criminalità organizzata. Le ultime aperture dell’Unione Europea ai paesi dell’Est hanno reso ancora più vulnerabili i confini nazionali, offrendo alle organizzazioni contrabbandiere un più ampio “spazio economico unitario ed indistinto”, entro il quale sviluppare la propria azione in maniera svincolata da sistematici controlli amministrativi e/o di polizia. E non solo. Si sono rese operativamente più “vicine” le numerose fabbriche di t.l.e. segnalate, anche informativamente, nei paesi della Federazione russa, in Ucraina, in Polonia ed in Moldavia, a cui si aggiungono quelle esistenti in alcuni Paesi asiatici, quali la Cina, la Corea del Nord ed il Pakistan1. La crisi finanziaria internazionale ha messo in risalto, per quello che più ci interessa da vicino, la possibilità che le organizzazioni criminali sfruttino il momento di difficoltà per mettere in campo le proprie ingenti ed occulte liquidità e sviluppare ulteriori affari illeciti, con rinnovate modalità ed aree di influenza. Inoltre, la crisi ha creato problemi di disponibilità finanziarie anche nei consumatori finali, i quali possono essere stati indotti ad alimentare una domanda di prodotti a più basso costo, anche su mercati clandestini, quale quello delle sigarette di contrabbando. Volendo dare un’idea della dimensione e delle conseguenze negative del contrabbando, secondo i dati elaborati dalla “British American

1 Fonte: Ufficio Europeo per la Lotta Antifrode (OLAF) ed Organizzazione Mondiale delle Dogane (OMD). 14 Tobacco”2, il secondo gruppo al mondo nel campo del tabacco, a fine 2009 sono stimate perdite per l’Erario italiano di 371,8 milioni di euro. Anche i dati del contrasto a livello mondiale ed europeo ci possono aiutare a comprendere meglio le recenti dinamiche del fenomeno. L’Organizzazione Mondiale delle Dogane (Word Customs Organization), nel “Customs and Tobacco Report 2008”, evidenzia che il numero dei sequestri di sigarette è aumentato nel 2008 del 17% rispetto al 2007, mentre il volume delle quantità sequestrate è diminuito del 7%. Nello stesso biennio, il 93% dei sequestri e l’85% delle quantità di tabacchi sono stati effettuati in Europa, o avevano come mercato di destinazione finale il Vecchio Continente. Dopo l’Europa, è l’Asia il continente che registra il maggior quantitativo di tabacchi sequestrati. A livello comunitario, l’OLAF (Office Européen de lutte antifraude), ossia il massimo organismo europeo per la lotta antifrode, nell’”Analytical overview cigarette smuggling 2008/2009”, presentato a Cracovia nell’ottobre 2009, rende noto che il volume complessivo del contrabbando di sigarette è in continua costante ascesa: negli ultimi quattro anni si è passati dalle 4.400 tonnellate del 2005, alle 4.600 del 2006, alle 4.700 del 2007 fino alle 5.200 tonnellate sequestrate del 2008, con un incremento ultimo del 10,64%. In una speciale classifica europea, la Gran Bretagna è di gran lunga il primo Paese di destinazione finale dei carichi di t.l.e. di contrabbando, con quasi 1.800 tonnellate di sequestri; la Polonia sfiora le 700 tonnellate. Ampiamente distanziato, segue un gruppo di Paesi, che

2 Pubblicati sulla rivista “Milano-Finanza” in un articolo del 23 ottobre 2009. 15 comprende Italia, Germania, Spagna, Francia, Olanda e Ungheria. Se mettiamo a confronto i massimi volumi dei sequestri di t.l.e. che si registravano in Italia a partire dagli anni ’90 e fino agli inizi del nuovo secolo, per esempio le 1.171 tonnellate del 1991 o le 1.144 tonnellate del 1996, o ancora, le 1.600 tonnellate annue dei primi anni 2000, in cui il contrabbando – prima degli effetti deterrenti della già ricordata “Operazione Primavera” - si manifestava nelle sue forme più aggressive e violente, non si raggiungono mai i picchi di oggi del Regno Unito. Un altro indicatore utile è legato alle direttrici di movimentazione del contrabbando. Secondo l’Organizzazione Mondiale delle Dogane, prendendo a riferimento il numero dei sequestri effettuati nei vari Paesi nel biennio 2007-2008, emerge che in più di 800 sequestri la spedizione di t.l.e. ha avuto origine in Ungheria, in oltre 400 casi dalla Polonia ed in circa 200 dalla Cina. Se invece analizziamo le provenienze del t.l.e., sulla scorta delle quantità dei sequestri effettuati, si delinea uno scenario che vede nettamente al primo posto la Cina, con oltre 1700 tonnellate di t.l.e. Secondo il già citato OLAF, le organizzazioni criminali stanno cambiando i metodi di trasporto, con l’intento di aggirare i controlli delle Autorità. In particolare, ciò avviene dislocando temporaneamente i carichi illegali fuori dall’Europa, dapprima avviandoli da una serie di porti cinesi (Shenzhen, Hong Kong, Chiwan, Yantian e Xiamen) ad altri porti dell’Asia, quali il cruciale scalo di Singapore, ma anche Port Kelang in Malaysia ed il porto franco di Jebel Ali-Dubai negli Emirati

16 Arabi Uniti. Successivamente, la merce viene indirizzata, in un percorso a tappe di avvicinamento, ancora su porti extraeuropei (ad esempio, alcuni porti egiziani, come Port Said e Alessandria, Haifa in Israele, Lattakia in Siria), utilizzando poi navi di più piccole dimensioni, le c.d. feeder3, per le movimentazioni preferibilmente verso porti europei secondari. Veniamo ad analizzare il fenomeno sul territorio nazionale. Mentre nel Regno Unito - dove un pacchetto di sigarette costa in media 7 sterline, cioè poco meno di 8 euro - il contrabbando di t.l.e. registra una forte crescita, in Italia si è assistito, a partire dai primi anni del nuovo millennio, ad una consistente riduzione del fenomeno. I sequestri operati dalla Guardia di Finanza sono scesi dalle 1.600 tonnellate di fine anni ‘90 alle appena 170 tonnellate del 2004, per poi risalire nell’ultimo triennio ed attestarsi intorno alle 270 tonnellate nel 2007 e nel 2008, mentre nei primi 10 mesi di quest’anno il dato si ferma a circa 243 tonnellate. L’analisi di questi consuntivi conferma agli occhi degli esperti antifrode che l’Italia è divenuta oggi non tanto un mercato di consumo dei tabacchi di contrabbando, ma soprattutto un’area di transito, a causa della sua posizione centrale nel bacino del Mediterraneo. Passando ora al secondo punto del mio intervento, mi piace sottolineare che la Guardia di Finanza, nella sua connotazione di polizia economico-finanziaria ai sensi del decreto legislativo n. 68 del 19 marzo 2001, è nel nostro Paese la Forza di Polizia maggiormente impegnata nel contrasto al contrabbando di t.l.e..

3 In genere il trasferimento (sbarco/reimbarco) di contenitori dalle grandi navi portacontainers (o navi madri) avviene su battelli di dimensioni minori definiti navi feeder. 17 Questo rilevante fenomeno illecito transnazionale ci tocca in primo luogo come polizia finanziaria, perché sottrae ingenti risorse al bilancio nazionale ed a quello dell’Unione europea, in termini di evasione di diritti doganali e di accise. Sul punto, voglio ricordare che la complessiva imposizione sui tabacchi assicura all’Erario un gettito che è stato pari, nel 2008, a 13 miliardi di euro e che, ad agosto del 2009, ha già permesso di incassare 9 miliardi di euro4. Contestualmente agli aspetti di tutela delle entrate fiscali, il nostro interesse sul contrabbando deriva anche dai compiti di polizia economica, in quanto esso consente alle organizzazioni criminali di accumulare ingenti profitti, che sono poi destinati ad essere riciclati e reimpiegati nel sistema finanziario e/o produttivo, con grave inquinamento dei relativi mercati. Il modello operativo-strategico che il Corpo mette in campo nell’azione di prevenzione/repressione si sviluppa lungo quattro direttrici convergenti che fanno parte di un “sistema operativo integrato” basato: − sul presidio di vigilanza a mare, per finalità di polizia economico- finanziaria e di contrasto ai traffici illeciti, mediante la propria componente aeronavale, d’altura e costiera; − sulla vigilanza della frontiera comunitaria esterna (terrestre, marittima, aeroportuale ed intermodale), ove il Corpo assicura, in corrispondenza delle vie di accesso doganali, in modo permanente e sistematico, unitamente al personale dell’Agenzia delle Dogane, presidi fissi per il controllo di persone, bagagli, automezzi e merci,

4 Dati emersi nel corso dell’audizione del Direttore Generale A.A.M.S. presso la Commissione VI Finanze della Camera dei Deputati del 23 settembre 2009. 18 per la prevenzione e repressione dei traffici illeciti sotto il profilo doganale e valutario; − sul controllo economico del territorio da parte delle unità che operano “su strada”, tra le quali rientrano le pattuglie in servizio di pubblica utilità “117”; − sulle attività investigative, di più ampio respiro, poste in essere dai Reparti Speciali, in primis S.C.I.C.O. e Nucleo Speciale Polizia Valutaria, dai Nuclei di polizia tributaria e dai Reparti territoriali mediante il ricorso agli strumenti tipici della polizia tributaria, amministrativa e/o giudiziaria. Questo dispositivo ha consentito nel tempo non solo di erigere un baluardo contro i tentativi di penetrazione dei traffici illeciti, in particolare del contrabbando, ma anche di acquisire una approfondita conoscenza delle dinamiche degli stessi, delle modalità e dei personaggi coinvolti. Il contrabbando di t.l.e. via mare, a seconda delle diverse fasi storiche correlate anche all’alternanza delle vicende politico-economiche dei Paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo, ha interessato ora il versante tirrenico, ora il versante ionico, ora quello adriatico. In questi ultimi anni, tuttavia, si è registrato, da parte delle organizzazioni contrabbandiere, il progressivo abbandono del contrabbando extraispettivo (che, peraltro, presupponeva la disponibilità immediata di ingenti capitali liquidi per l’acquisto dei natanti necessari) a favore di forme più articolate di contrabbando c.d. intraispettivo, ove i t.l.e. vengono introdotti nel territorio dell’Unione Europea attraverso gli ordinari canali doganali, soprattutto a mezzo di autoarticolati e container, con il meccanismo dell’occultamento

19 fraudolento dietro a carichi di copertura. In tale sistema di frode, le spedizioni sono accompagnate da documentazione, materialmente o ideologicamente falsa, che attesta un trasporto di merce a bassa incidenza fiscale. In considerazione, pertanto, dei flussi di origine di gran parte dei tabacchi posti sotto sequestro in ambito comunitario (Paesi della federazione Russa, Ucraina, Polonia, Moldavia, Cina, Corea del Nord e Pakistan) e dei principali mercati di destinazione all’interno dell’Unione (Regno Unito, Francia, Spagna, etc.) è innegabile che il primo e, in molti casi, più importante “momento di crisi” di una spedizione di tabacchi è rappresentato dall’attraversamento della “frontiera comunitaria esterna”, sia essa terrestre, portuale o aeroportuale. Solo in questa fase, vale a dire in corrispondenza dei punti di massima sensibilità rispetto agli interscambi con i Paesi terzi si sviluppa, in via permanente e sistematica, l’attività ispettiva - frutto di un’azione di “intelligence” e di un’”analisi del rischio” – da parte delle apposite strutture di vigilanza degli Stati membri. In Italia, ad esempio, nel 2008 sono state presentate nei circuiti doganali 11 milioni di dichiarazioni d’import - export; a fronte di questo volume di traffici commerciali, sono stati effettuati 350.000 controlli fisici, con una incidenza del 9,6%, più elevata rispetto alla media dei paesi U.E. che è pari all’8,5%5. La selezione dei carichi sospetti, effettuata sui trasporti commerciali in tempo reale, si basa sull’utilizzo di strumenti informatici avanzati, per favorire la fluidità dei traffici e la competitività delle imprese nazionali, e su sistemi di analisi del rischio, fondati su indicatori sia di

5 Fonte: Audizione del Direttore dell’Agenzia delle Dogane presso la Commissione Finanze e Tesoro del Senato della Repubblica, 16 giugno 2009. 20 tipo oggettivo, quali ad esempio la tipologia delle merci, l’origine, la provenienza, la destinazione ed il trattamento fiscale, sia di tipo soggettivo, come l’esistenza di eventuali precedenti in capo all’operatore economico e l’andamento e le variazioni dei flussi di traffico, tutte informazioni ricavabili dall’incrocio delle diverse banche dati disponibili. Fra i punti di accesso, rivestono una grande importanza gli scali portuali, attraverso i quali transita il 70% del totale degli scambi e del transito di merce sul territorio comunitario, pari a circa 2 miliardi di tonnellate. In particolare, gli scali portuali italiani rappresentano punti sensibili per i traffici illeciti di t.l.e. diretti in tutta Europa: non a caso, nell’ultimo triennio, oltre i 2/3 delle sigarette sottoposte a sequestro dai Reparti del Corpo è avvenuto nei porti e principalmente in quelli di Napoli, Gioia Tauro, Ancona, Cagliari, Venezia, Genova e Bari, con provenienza soprattutto da paesi dell’est asiatico, balcanici e medio orientali, quali Cina, Grecia, Albania, Bulgaria, Emirati Arabi Uniti ed Egitto. Un carico illecito di t.l.e., una volta immesso in libera pratica da una qualsiasi dogana comunitaria, giunge a destinazione finale senza alcuna ulteriore formalità, sottraendosi a qualsiasi forma di vigilanza preventiva che non sia l’esclusiva possibile azione delle unità operative della Guardia di Finanza addette al controllo economico del territorio e che si estrinseca, in sintesi: in un controllo saltuario e casuale, in occasione degli ordinari pattugliamenti sulla viabilità nazionale, principale e secondaria; in un controllo mirato, in presenza di sollecitazioni anche a carattere informativo che richiedono

21 un’azione immediata nei confronti di un trasporto esattamente individuato. L’ultima e più incisiva barriera operativa è rappresentata dall’attività investigativa in senso stretto svolta dai Reparti Speciali del Corpo, in particolare dal Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata e dal Nucleo Speciale Polizia Valutaria, dai 26 Gruppi di Investigazione sulla Criminalità Organizzata operanti nelle sedi delle Direzioni Distrettuali Antimafia e da tutti i Nuclei di polizia tributaria, presenti in ogni capoluogo di provincia. Le investigazioni si sviluppano su più linee convergenti, tese a realizzare un sistema di circolarità e di autoalimentazione dell’azione di intervento del Corpo: − a livello periferico, i Nuclei di polizia tributaria e, all’interno di essi, i GICO sono i principali protagonisti dell’attività operativa ed i primi responsabili del livello qualitativo delle investigazioni, che non sono mai finalizzate al mero sequestro della merce ed all’arresto dei soli esecutori materiali, bensì ad attività di più ampio respiro, tipiche della polizia economico-finanziaria, volte all’individuazione ed alla neutralizzazione dell’intera organizzazione ed alla aggressione della stessa sotto il profilo patrimoniale; − a livello centrale, i Reparti speciali garantiscono un “quid pluris” rispetto alle indagini ordinarie dei Reparti territoriali, grazie ad un utilizzo massiccio di software informatici per l’analisi di rischio e gli incroci di risultanze di banche dati; ad esempio, “Molecola” è un applicativo ideato e messo a punto dallo SCICO in collaborazione con la Direzione Nazionale Antimafia, che serve ad

22 elaborare masse di dati su movimenti bancari, investimenti finanziari e patrimoniali, relazioni economiche e posizioni fiscali di soggetti indiziati, presunti ed affini fino al sesto grado, al fine di risalire al possesso ingiustificato di beni di valore sproporzionato, anche tramite prestanome e società interposte; − sul piano delle relazioni internazionali, ogni esigenza connessa allo sviluppo di attività all’estero è “canalizzata” sul II Reparto del Comando Generale, che, all’uopo, intrattiene un costante interscambio con i Servizi Antifrode dell’Unione Europea, degli altri Paesi Comunitari e dei Paesi terzi, attivando gli strumenti delle convenzioni in materia di mutua assistenza amministrativa in campo doganale, di cooperazione di polizia e giudiziaria. Solo per dare un esempio dei più recenti sviluppi delle strategie delle organizzazioni contrabbandiere, ricordo che l’ultima frontiera dei canali di approvvigionamento dei t.l.e si individua nell’e-commerce. Sono oramai decine i siti (anche in lingua italiana) che, attraverso internet, promuovono l’acquisto e la spedizione di tabacco e suoi derivati a prezzi inferiori a quelli praticati nella maggior parte dei Paesi occidentali, offrendo una scelta più ampia di quella presente negli ordinari punti vendita. Gli aspetti più pericolosi di questo nuovo canale di distribuzione si annidano non solo nell’infinita potenzialità commerciale della rete, ma anche nella schermatura che la stessa riesce a offrire a siti costituiti all’estero, rendendo più complesse le indagini. Un ulteriore filone investigativo riguarda il commercio di tabacchi contraffatti, un mercato in costante pericolosa ascesa se risponde al vero che, come sostenuto dall’Organizzazione Mondiale delle Dogane

23 (Word Customs Organization), nel “Customs and Tobacco Report 2008”, i sequestri a livello mondiale di sigarette contraffatte erano 688 tonnellate nel 2007 e sono saliti a 755 tonnellate nel 2008. Nel nostro Paese, delle 243 tonnellate di tabacchi già sottoposte a sequestro dalla Guardia di Finanza nei primi 10 mesi del 2009, ben 29 tonnellate sono risultate contraffatte all’esito delle perizie di laboratorio sulle sigarette tipo “Marlboro” e “Merit” provenienti dalla Cina, sbarcati nei porti nazionali e destinate a Roma e Napoli. Detto questo, tengo a sottolineare che la lotta al contrabbando non si esaurisce negli interventi contestuali in flagranza di reato, ma si sviluppa soprattutto dopo, nella fase post-delictum, attraverso le indagini patrimoniali, finanziarie ed economiche tese a contrastare le organizzazioni contrabbandiere nel momento del riciclaggio e del reinvestimento dei proventi illeciti. Passo, quindi, alla terza parte del mio intervento che prende le mosse da una verità, ormai non più eludibile: il contrabbando di t.l.e. è un’attività a tutti gli effetti inserita nel sistema della grande criminalità economica organizzata, per la quale ha costituito, fin dalle origini, autentica e primaria fonte di finanziamento. L’attività contrabbandiera, infatti, attraverso successivi processi di cambiamento, è pervenuta ad una internazionalizzazione che oggi ha assunto, nelle sue dinamiche evolutive, le connotazioni di una vera e propria “impresa multinazionale”, la cui forza si basa anche sull’alleanza con i sodalizi criminali stranieri dei Paesi di produzione e di transito delle sigarette di contrabbando. Nelle grandi transazioni illecite di t.l.e. è estremamente diffuso il ricorso alla interposizione, nella fase di movimentazione del carico, di

24 numerosissime società che - di fatto - non hanno altro fine che quello di creare uno schermo di protezione all’attività degli organi investigativi. Società fittizie, società di comodo ovvero società c.d. di “casella” (munite cioè, come struttura organizzativa, di una semplice casella postale) operano con tali finalità in ogni parte del mondo. A dispetto del loro stesso rilevante numero e delle loro continue mutazioni di sede e di denominazione, la quasi totalità di queste società è, di fatto, gestita da una ristretta ed individuata cerchia di persone costituita dai “capi storici” del contrabbando su scala internazionale, insediati in gran parte all’estero, da dove - del tutto indisturbati e nonostante le pendenze giudiziarie accumulate in Italia ed in altri Paesi dell’Unione – continuano a tessere le fila dei grandi traffici internazionali. Se questo è il panorama internazionale di riferimento, se la dimensione del teatro delle operazioni è così vasta, l’unica strategia di lotta che possa risultare veramente utile ed efficace è quella basata sul sistema di aggressione dei capitali illeciti, sull’antiriciclaggio e sulla cooperazione internazionale. E’ ormai di piena evidenza che le strategie di contrasto fondate unicamente sulla individuazione dei carichi di sigarette e la cattura dei soggetti coinvolti non possono da sole bastare. Occorre che ad esse si accompagni una forte azione mirata a colpire i beni e le disponibilità finanziarie illecitamente detenuti o reinvestiti in Italia ed all’estero così come prevedono i principi solennemente accettati dalla Comunità internazionale a seguito dell’approvazione nel 2000 della Convenzione ONU di Palermo contro il crimine organizzato transnazionale e della

25 decisione quadro n. 783/GAI del Consiglio Europeo del 2006 sul reciproco riconoscimento delle decisioni di confisca nei Paesi comunitari. In quest’ottica, la Guardia di Finanza ha dato un forte impulso alle indagini patrimoniali antimafia, con un impegno che si è tradotto negli ultimi dieci anni nell’effettuazione di sequestri di beni per 8,7 miliardi di euro e confische per 2,5 miliardi. Non solo, nel 2009, le indagini patrimoniali hanno consentito di registrare un significativo incremento del complesso dei beni, delle disponibilità finanziarie e delle aziende sottratti alla criminalità, conseguendo – ad annualità ancora in corso – i risultati più elevati mai raggiunti dal Corpo. Nei primi nove mesi, infatti, gli accertamenti patrimoniali hanno interessato quasi 5.000 soggetti, tra persone fisiche e società, e hanno condotto a sequestri di beni per un valore superiore a 1,6 miliardi di euro (+37% rispetto all’analogo periodo 2008) e confische per un valore di oltre 750 milioni (+104%). Si tratta di percorsi investigativi tutt’altro che agevoli, perché, come è facile immaginare, i soggetti criminali cercano di occultare le proprie ricchezze agli organi investigativi e giudiziari attraverso il ricorso ad espedienti più o meno raffinati, che partono dal coinvolgimento dei c.d. prestanome, cioè persone fisiche che, volontariamente o coartati, si prestano ad intestarsi ufficialmente beni ed attività economiche, fino alla creazione di società o di gruppi di società, in Italia o all’estero. Inoltre, poiché il contrabbando è un reato che genera ingenti introiti di capitali liquidi, i gruppi criminali hanno la necessità di “lavare” le risorse finanziarie generate ed impiegarle in scelte di consumo e d’investimento attraverso operazioni di riciclaggio.

26 Non è possibile fornire dei dati attendibili sul volume d’affari generato dal traffico delle “bionde” né tantomeno sui flussi finanziari innescati dal “money laundering” ad esso connesso. Accenno solo che nel 2001, in occasione della presentazione del libro dell’On. Mantovano – dal titolo quanto mai appropriato – “Miliardi in fumo”, il Ministro Scajola, all’epoca responsabile del Viminale, indicava l'Italia come il paese con il più alto tasso di contrabbando, stimando un volume di affari pari ad un valore corrispondente a circa 2,1 miliardi di euro. Le modalità con le quali le organizzazioni contrabbandiere provvedono a “ripulire” e reinvestire i proventi derivanti dal traffico delle “bionde” sono essenzialmente le stesse di quelle utilizzate per altre tipologie di delitto: l’utilizzo di prestanome e di società - schermo per l’intestazione fittizia di conti bancari e di rimesse all’estero; il frazionamento delle operazioni al di sotto della soglia fissata dalla legge per gli obblighi di adeguata verifica della clientela; le triangolazioni con società - schermo ubicate in Paesi a fiscalità privilegiata, che vengono utilizzate per garantire l’anonimato assoluto dei soggetti coinvolti. Ma non c’è dubbio che il principale canale attraverso il quale le organizzazioni criminali continuano a trasferire fondi e risorse economiche rimane in assoluto quello delle operazioni per contanti, che non lasciano “traccia” e sono quindi le più difficili da ricostruire a posteriori. Da questo punto di vista, un segnale preoccupante deriva dall’eccesso di banconote di grosso taglio in circolazione sul mercato: circa un terzo del denaro circolante nell’area euro (circa il 36%) è costituito da

27 banconote di 500 euro e la sua distribuzione territoriale mostra una rilevante concentrazione in alcune province limitrofe a Paesi a legislazione fiscale e antiriciclaggio meno stringente. Si tratta di un fenomeno difficilmente riconducibile ad un utilizzo fisiologico dei mezzi di pagamento ed è strettamente collegato all’anonimato che garantisce il contante. La transnazionalità dei traffici legati al contrabbando impone un sempre più frequente ricorso allo scambio di informazioni con analoghi organismi di paesi esteri, tenuto conto dell’esigenza di acquisire in quei luoghi elementi di prova o indizi utili ai fini degli accertamenti investigativi. La Guardia di Finanza già sviluppa, in questa direzione un intenso interscambio info-operativo con l’estero, sia sul piano amministrativo che giudiziario. Basti pensare che sul piano amministrativo, nel periodo 1° gennaio 2008 – 31 ottobre 2009, il Comando Generale ha inoltrato verso Paesi esteri 778 richieste di collaborazione riguardanti il settore dogane e accise, di cui 292 rivolte a paesi extra U.E. Sul piano della cooperazione giudiziaria, che consente di acquisire informazioni che hanno piena valenza probatoria nell’ambito dei procedimenti penali, nello stesso periodo le attività investigative dei Reparti del Corpo hanno promosso l’avvio di 74 rogatorie internazionali per reati di criminalità organizzata e traffici illeciti, nonché 82 rogatorie per casi di riciclaggio, di cui oltre la metà (44) ricadono su Paesi inseriti nella lista “grigia” elaborata dall’OCSE in occasione del G 20 dello scorso aprile a Londra.

28 Concludo il mio intervento tracciando in chiave prospettica le future linee d’azione della Guardia di Finanza nel contrasto al contrabbando di t.l.e.. Abbiamo visto che il contrabbando oggi è un fenomeno caratterizzato da spiccata e multiforme dinamicità e, per ciò stesso, oggetto di continue, fulminee trasformazioni, intimamente connesse alle variazioni dei mercati di produzione, di transito e di consumo nei quali esso prolifera. Siffatta, oggettiva considerazione rende oltremodo comprensibile come la sola strategia di contrasto realmente efficace, che non si limiti a registrare meri ed isolati successi - seppur costanti come nel caso del Corpo - sia da ricercare nella ottimizzazione ed elevazione al massimo livello, anche normativo, della cooperazione internazionale, da attuare su un piano quanto più possibile coordinato ed unitario. In tale ottica devono essere inquadrate le sistematiche attività poste in essere sia a livello europeo dalle Istituzioni comunitarie che, in ambito nazionale, dalla Guardia di Finanza, volte al perseguimento di tale fondamentale obiettivo. Sotto il profilo attuativo, tuttavia, le difficoltà si presentano in tutta la loro evidenza, a causa soprattutto di due fattori frenanti: la estrema disomogeneità degli ordinamenti giuridici nazionali e la inadeguatezza di taluni strumenti di cooperazione internazionale con Paesi terzi di importanza strategica lungo le rotte del contrabbando attuale. In questo contesto, diventa di fondamentale importanza, per una Forza di Polizia a competenza generale nel settore economico-finanziario, sviluppare moduli sempre più efficaci di diretta cooperazione internazionale. E’ questa l’unica possibile strategia vincente.

29 E’ questo il passo che abbiamo fatto in primo luogo, a livello comunitario, con l’OLAF e, segnatamente, in seno ad essa, con il “Task Group Cigarettes”, che è il primo e più importante interlocutore nell’attività di interscambio informativo in materia di contrabbando di t.l.e.. L’obiettivo del Corpo è di rafforzare ulteriormente, anche per il tramite dei nostri ufficiali distaccati in quell’organismo, gli attuali livelli di cooperazione, per le opportunità che esso offre, nel quadro di un programma strategico di intervento sovranazionale, ai fini dell’esecuzione di attività d’indagine in tutti i Paesi dell’Unione europea e, soprattutto, di “missioni investigative” nei Paesi terzi, ove come abbiamo visto hanno origine gran parte dei flussi di movimentazione del contrabbando. In secondo luogo, un’ulteriore area nella quale si rende necessario concentrare gli sforzi futuri è quella delle c.d. intese di cooperazione informativa diretta con i collaterali organismi esteri. Questo canale di cooperazione, che si alimenta su base spontanea costituisce, infatti, un patrimonio assolutamente unico ed insostituibile nell’interscambio informativo in tutti i settori tipici del crimine organizzato, ivi compresi il contrabbando di t.l.e. ed il riciclaggio di proventi illeciti. In quest’ambito, riveste un ruolo peculiare il lavoro degli attuali “12 Esperti del Corpo” distaccati presso le rappresentanze diplomatiche e gli uffici consolari all’estero, ai sensi dell’art. 4 del D. Lgs. n. 68 del 2001, che rappresentano la nostra linea d’avanguardia per l’avvio e lo sviluppo di ulteriori e sempre più incisive forme di cooperazione internazionale.

30 Come previsto dall’art. 12 del D.L. n. 78 del 2009, questa rete di esperti verrà rafforzata con ulteriori innesti (da 5 a 8 unità), da dislocare in altrettante zone nevralgiche per la lotta ai paradisi fiscali. E’ in questa direzione che ci stiamo muovendo, anche offrendo e mettendo a disposizione degli altri partner europei e dei Paesi terzi la nostra professionalità ed esperienza pluridecennale. Siamo pienamente convinti che questa è la strada da percorrere, perché – come ha sottolineato già la Commissione Europea in una sua comunicazione al Parlamento circa un anno fa – se è vero che la motivazione fondamentale della criminalità organizzata transnazionale è il profitto economico, è altrettanto vero che i sequestri e le confische dei proventi di tali reati su scala internazionale sono l’unica risposta efficace e deterrente, per dimostrare che “il crimine non paga”. Ringrazio tutti per la cortese attenzione.

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On. Prof. Luciano VIOLANTE

Le organizzazioni mafiose ed il controllo dei traffici illeciti nel Mediterraneo. Il salto di qualità della criminalità organizzata siciliana con l’acquisizione del monopolio della produzione e del commercio degli stupefacenti negli anni settanta e del ventesimo secolo.

Lasciatemi dire che sono onorato e lieto di questa occasione che mi avete offerto. Onorato per il prestigio assoluto della Guardia di Finanza derivante dal contributo che il Corpo ha dato alla modernizzazione degli strumenti di lotta contro tutte le mafie. Lieto perché sono stato costretto a riprendere riflessioni e analisi che da alcuni anni avevo messo da parte, premuto dalla sensazione di

33 evitare una sorta di professionismo oratorio, fastidioso per chi ascolta e sterile per chi lo pratica. Mi è stata assegnata una relazione dal titolo complesso, ma la cortesia del generale Luciani mi ha permesso di cogliere lo spirito della riflessione che mi è stata richiesta. Sono convinto che la capacità di contrasto ad organizzazioni multiformi e dotate di grande capacità di adattamento come quelle mafiose è sempre dipesa e dipende tutt’ora dalla qualità delle analisi. Quando le analisi mancano, quando sono insufficienti o quando non sono aggiornate può accadere o di non cogliere il significato dei fatti, di incorrere in errori gravi o di non capire i pericoli che si corrono. L’investigatore deve saldare il rapporto tra il noto e l’ignoto e solo l’analisi accorta e approfondita può aiutarlo a compiere correttamente questo salto. Il dr. Falcone nel libro intervista “Cose di cosa nostra” citava un caso illuminante di carenza di analisi. Il commissario di polizia Boris Giuliano, indagando su una valigia imbottita da 500.000 dollari sequestrata all’aeroporto di Palermo, venne a sapere che un certo signor Giglio aveva depositato una banca di Palermo 300.000 dollari in contanti. Il direttore della banca, tale Lo Coco, disse che Giglio non era conosciuto. Giuliano gli chiese di informarlo se fosse tornato, ma non si soffermò a riflettere sulle ragioni per le quali il direttore dell’agenzia aveva ricevuto tutto quel danaro senza avere alcuna informazione sul depositante. In realtà Lo Coco, il direttore della banca, era cugino del boss Bontate, capo della famiglia di Santa Maria del Gesù. Il signor Giglio non esisteva; era lo stesso Lo Coco a versare il danaro. Giuliano venne ucciso poco dopo.

34 Ogni analisi approfondita porta con sé la individuazione di una chiave interpretativa del fenomeno mafioso e ogni chiave interpretativa di qualche pregio ha portato con sé risultati significativi. Passerò ora ad indicare le principali chiavi interpretative del fenomeno mafioso che hanno portato a fare passi in avanti all’azione repressiva per poi indicarne una che nasce proprio dalla osservazione del ruolo che contrabbando e traffici di droga hanno avuto nello sviluppo delle organizzazioni mafiose. La nozione di “impresa mafiosa”, che si deve allo studio di Pino Arlacchi, La mafia imprenditrice del 1983, consentì di cogliere le dimensioni imprenditoriali delle organizzazioni mafiose sotto due profili: a) come organizzazioni criminali strutturate su base imprenditoriale, con pagamento di stipendi, investimento di capitali, accumulazione e redistribuzione degli utili; b) come imprese apparentemente lecite ma dotate dei capitali di origine criminale, dedite alla conquista dei mercati attraverso la corruzione e la intimidazione. Il concetto di mafia, come fenomeno unitario e verticistico, distinto dalla cosiddetta criminalità organizzata, da perseguire in modo unitario e accentrato, fece effettuare il primo salto di qualità alla risposta dello Stato, che cominciò ad essere concentrata invece che frammentata, permanente invece che occasionale. Ricorderete che questa interpretazione, che si deve in particolare ai magistrati dell’Ufficio Istruzione di Palermo, sostenne la sentenza ordinanza dell’Ufficio Istruzione di Palermo dell’8 novembre 1985 (giudici Falcone, Borsellino, Guarnotta e Di Lello) contro i vertici di Cosa Nostra che

35 costituì la base probatoria del maxiprocesso che si svolse a Palermo tra febbraio 1986 e dicembre 1987. La relazione presentata dalla Commissione presieduta dall’On. Alinovi nella prima metà degli anni Ottanta definì la mafia come “forza eversiva della democrazia”. Questo carattere aiutava a distinguere le organizzazioni mafiose da ogni altra forma di criminalità organizzata e far capire che compito dello Stato nelle aree a più forte presenza mafiosa non era più quella di difendere la democrazia, ma di riconquistare le posizioni perdute. La nozione di “distretto mafioso”, usata per la prima volta nei lavori della Commissione Antimafia presieduta dall’On. Chiaromonte, nella seconda metà degli anni Ottanta, fu mutuata da quella di “distretto industriale”, le aree dove si verificano felici sinergie tra l’azienda, la società civile, le istituzioni, i servizi pubblici, che rendono la produzione più agevole e il prodotto più competitivo. Nel “distretti mafiosi”, invece, le sinergie si sviluppano tra le famiglie mafiose, settori delle istituzioni, della politica, dell’imprenditoria e rendono il potere mafioso ancora più forte e invasivo. Questo concetto aiutò gli investigatori a ricercare le ragioni della forza dei gruppi mafiosi anche nelle sinergie che quelle famiglie riuscivano a sviluppare con il mondo circostante. Nel corso della XI Legislatura, 1992-1994, la Commissione Antimafia chiese all’Alto Commissario Antimafia, il Prefetto Finocchiaro, come fosse andata la lotta alla mafia sino a quel momento. La risposta fu illuminante: “A fisarmonica, quando loro colpivano noi rispondevamo”. La battezzammo “strategia del secondo colpo”. Questa strategia dava un vantaggio assai rilevante alla mafia perché ne

36 garantiva l’immunità a patto che non facesse rumore, perché è evidente che la mafia esiste ed opera anche quando non uccide o non commette attentati. Ed era così recepita dalla mafia che un collaboratore di giustizia, Gaspare Mutolo, ebbe a dire che l’organizzazione ricorreva raramente all’omicidio con armi in luoghi pubblici perché inevitabilmente avrebbero attratto l’attenzione degli organi inquirenti e la loro reazione, Preferivano invitare la vittima a pranzo, quindi strangolarla e scioglierne il corpo nell’acido, senza far rumore, appunto. Da questa consapevolezza nacque quella che venne chiamata “strategia del primo colpo”, colpire la mafia perché c’è e perché è un crimine in sé, indipendentemente dai suoi delitti “visibili” o dai suoi “rumori”. Proprio questa strategia di cui si fecero portatori prima ancora della sua razionalizzazione uomini come Borsellino, Falcone, Caponnetto, e tanti altri ha consentito proprio a Palermo di porsi come modello nazionale e internazionale di capacità investigativa nella lotta contro le organizzazioni mafiose. La strategia del primo colpo consente di dare continuità e permanenza all’azione antimafia. Piero Vigna, in un suo studio del 1996, si soffermava sulle relazioni tra le diverse organizzazioni mafiose, sui rapporti con logge massoniche deviate e con altre articolazioni illegali e coniava l’espressione “potere criminale integrato”, altri avevano parlato di “sistema criminale” per indicare lo stesso concetto: nella esperienza italiana le singole organizzazioni mafiose non agiscono da sole, ma in connessione con altre organizzazioni della stessa natura o di natura diversa che perseguono in un determinato momento finalità analoghe o tra loro compatibili. In diverse inchieste è emerso il rapporto tra singole

37 organizzazioni mafiose e logge massoniche deviate, in Calabria soprattutto e nel Trapanese, tra organizzazioni mafiose e gruppi eversivi di destra a Palermo e di sinistra a Napoli, rapporti con la a Roma. Quella chiave consentiva di capire la natura dei rapporti tra la mafia e i suoi alleati e di penetrare più à a fondo nella strategia mafiosa. Nessuna di queste chiavi interpretative ha sostituto le precedenti, ma ciascuna si è aggiunta ad esse concorrendo a rendere più penetrante l’azione di contrasto. A questo punto qualcuno potrebbe chiedersi: ma perché dopo decenni di accurate analisi e di colpi durissimi, la mafia la fa ancora da padrona in tante aree del nostro Paese? La mia risposta è semplice. Purtroppo nessuno dei colpi inferti è stato decisivo perché mentre le autorità di polizia e la magistratura hanno fatto e stanno facendo il loro dovere, non altrettanto si può dire che abbiano fatto e facciano, con la continuità e la determinazione necessarie, le autorità politiche sui terreni loro propri, l’economia, il lavoro, la correttezza dell’azione amministrativa, la pedagogia civile. Per rendere fertile un campo incolto non basta strappare le erbacce e accumulare al lato i sassi. Occorre piantare nuovi alberi, innaffiare, potare, seguire con cura, altrimenti le erbacce, come è accaduto con la mafia, riprendono a crescere rigogliose. La lettura della documentazione relativa al contrabbando di tabacchi, al passaggio dal contrabbando di tabacchi al traffico di stupefacenti, allo spostamento delle rotte del Mediterraneo in relazione ai mutamenti politici dei vari paesi che sul Mediterraneo si affacciano, permette di trarre alcune considerazioni sull’evoluzione delle

38 organizzazioni mafiose e su una ulteriore chiave interpretativa dei loro movimenti. La considerazione di fondo riguarda la capacità delle mafie di spostarsi sulla scacchiera nazionale e internazionale. Questo tema è stato oggetto di specifiche inchieste della polizia giudiziaria e della magistratura, ma non è stato ancora studiato con attenzione e organicità. Non ho qui la pretesa di farlo. Qui intendo solo individuare una nuova chiave interpretativa; altri studiosi, se lo riterranno, potranno approfondirla. Si tratta della “geopolitica delle mafie”. Con questa espressione intendo proporre l’esigenza di uno studio consapevole dei criteri che seguono le mafie per spostarsi in Italia e nel mondo, dei fattori che le spingono a muoversi in un’area piuttosto che in un’altra, delle relazioni che intrattengono con organizzazioni affini, delle aree geografiche di “produzione” e di investimento e di come queste relazioni incidono sui loro caratteri strutturali. Cito questi criteri avvalendomi degli studi che sulla geopolitica in generale ha fatto Carlo Jean. La geopolitica delle mafie può servire, in modo probabilistico, a individuare le vie future delle alleanze mafiose e dello spostamento delle organizzazioni sullo scacchiere internazionale. Faccio tre esempi. La fortissima presenza di alcune organizzazioni mafiose nelle aree di tradizionale dominio sovietico, dopo la scomparsa di quel regime, fu determinata dal fatto che quei paesi non avevano elaborato gli anticorpi necessari, avevano maturato un forte sospetto nei confronti dei poteri di polizia, ricevevano come benefattori chiunque si presentava loro con l’intento di investire. In ogni posto del mondo in

39 cui si riscontrano questi caratteri possiamo aspettarci l’arrivo di qualche organizzazione mafiosa. Secondo esempio. Poche ore dopo la caduta del Muro di Berlino, la polizia giudiziaria registrò la telefonata di “un uomo d’onore” residente in quella città che chiedeva istruzioni al vecchio boss che viveva nella provincia di . Il vecchio boss gli disse: “Vai di là e compra tutto, case, fabbriche, compra tutto”. La mafia dispone di molta liquidità. Cercherà di essere presente dovunque ci sono buoni investimenti da fare. Questo non vuol dire, naturalmente, che non bisogna fare investimenti perché c’è il rischio che arrivi la mafia. Bisogna invece fare investimenti sapendo che c’è questo rischio e prevenirlo. Terzo esempio. Alcuni anni fa si discuteva al Bundestag della opportunità di introdurre le intercettazioni ambientali nei confronti della criminalità organizzata. Il Parlamento tedesco era diviso tra la tutela della riservatezza dei cittadini e le esigenze della lotta al crimine. Mi chiesero un’audizione davanti alla commissione competente. Portai con me l’elenco dei latitanti di mafia che soggiornavano in Germania e chiesi ai colleghi tedeschi: “Per quale motivo un così alto numero di latitanti viene proprio in Germania?” Mi risposi da solo: perché avete scarsi mezzi di penetrazione nelle organizzazioni criminali. Qui stanno più al sicuro che a casa loro. A questo punto decidete voi. Decisero di introdurre, sia pure con qualche prudenza le intercettazioni ambientali. Credo che possa essere chiaro a questo punto il modo in cui propongo di utilizzare il concetto di geopolitica delle mafie. Rinvio per ulteriori approfondimenti a due importanti quaderni speciali della rivista di

40 geopolitica Limes: “Gli stati mafia” del 2000 e Kosovo, “Lo stato delle mafie”, del 2006. Il contrabbando è stato l’Erasmus di Cosa Nostra. L’Erasmus, come è noto, permette a studenti capaci e meritevoli di intrecciare rapporti con colleghi di altri Paesi, di frequentare scuole estere e di far valere in patria le conoscenze acquisite all’estero. Il contrabbando di tabacchi ha permesso alle organizzazioni mafiose di uscire dal recinto di casa, spostarsi sullo scacchiere mediterraneo, di conoscere nuove tecniche di organizzazione criminale, di individuare meglio i punti deboli dell’azione di contrasto e di far valere sul mercato criminale interno le conoscenze acquisite e le risorse accumulate. L’ingresso sul mercato illegale dei tabacchi fece compiere alla mafia di stanza in Sicilia, subito dopo la fine ella seconda guerra mondiale, il primo grande salto nel mondo del crimine internazionale. Sappiamo bene un ruolo tutt’altro che secondario ha avuto l’emigrazione nell’internazionalizzazione delle organizzazioni mafiose, ma le conseguenze delle relazioni tra la mafia di emigrazione e le altre organizzazioni criminali di stanza ad esempio a New York, assai rilevanti negli Stati Uniti, non hanno avuto in Sicilia ricadute tali da modificare i caratteri fondamentali di Cosa Nostra. Il contrabbando di tabacchi ha sprovincializzato l’organizzazione mafiosa, la ha messa in relazione con le organizzazioni criminali franco-corse, con i trafficanti libanesi, con quelle greche e maltesi. Il contrabbando creò un network criminale mediterraneo nel quale la mafia siciliana assunse progressivamente al ruolo di capofila. Fu la mafia a sostituire i natanti veloci, ma piccoli, con navi di grande stazza (fino a 1000 tonnellate), che si fermavano in acque internazionali ed erano raggiunte da natanti

41 più piccoli ma assai veloci che effettuavano il trasporto a terra. La mafia impose il silenzio radio, che sconcertò all’inizio coloro che erano delegati all’azione di contrasto. Fu sempre la mafia a suggerire come coste di sbarco quelle più tranquille della Calabria rispetto a quelle più controllate della Sicilia. Le navi, inoltre battevano bandiera panamense ed erano intestate a società anonime, residenti in quel paese, che ne avevano denunciato la sottrazione. Le navi quindi, se sequestrate, erano restituite ai proprietari, complici del traffico, cambiavano nome (operazione possibile con l’intervento di un console panamense di qualsiasi Paese) e si rimettevano al lavoro. L’Erasmus del crimine aveva dato i suoi frutti. Lo sviluppo mafioso e la sua potenza economica sono stati determinati in parte considerevole dalla colpevole sottovalutazione del contrabbando di tabacchi. Nella sentenza-ordinanza del 10 febbraio 1986, con la quale i giudici Borsellino e Falcone rinviarono a giudizio 707 imputati di mafia, si spiega il ruolo che ebbe il traffico di tabacchi nel salto verso il traffico di droga: “I vecchi canali contrabbandieri, in concomitanza col costante declino del contrabbando di tabacchi, sono ormai utilizzati pressocchè per intero per il traffico di stupefacenti… Al riguardo è doveroso sottolineare che il fenomeno del contrabbando di tabacchi non fosse stato sottovalutato, oggi le organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti non disporrebbero di collegamenti internazionali collaudati ed efficienti.” Chi sottovalutò il contrabbando? La risposta ampiamente documentata si trova in un rapporto redatto per la Commissione parlamentare Antimafia l’11 giugno 1971 da un giovane capitano della Guardia di Finanza, Pietro Soggiu.

42 L’allora capitano Soggiu segnala i frequenti dissequestri ad opera della magistratura delle navi contrabbandiere dietro modeste cauzioni e la scarcerazione sempre dietro modeste cauzioni degli equipaggi, composti prevalentemente da greci, maltesi, nordafricani, che, naturalmente, pochi minuti dopo la scarcerazione diventavano irreperibili a tutti gli effetti. L’entità delle cauzioni per la libertà provvisoria (allora si chiamava così) erano in genere inferiori alla millesima parte delle multe che sarebbero state inflitte in caso di condanna. Osservava l’allora capitano Soggiu che l’ammontare delle cauzioni era sempre versato con estrema rapidità, senza opposizione e senza richiesta di riduzione. La sottovalutazione fu particolarmente grave perché le redini del contrabbando erano saldamente nelle mani delle organizzazioni mafiose, che disciplinavano ogni attività criminale sul proprio territorio anche per evitare di rimanere esposte a propria insaputa ad attività investigative. Erano peraltro gli anni della sottovalutazione generale e diffusa della mafia, quando la regola era l’assoluzione per insufficienza di prove. Cito un caso di quegli anni che suscitò notevole tensione tra Italia e Stati Uniti. Il 25 giugno 1968, fu pronunciata dal Tribunale di Palermo una ennesima sentenza assolutoria per insufficienza di prove che fece scalpore, anche per i suoi riflessi internazionali. Erano sotto processo 17 imputati di associazione per delinquere, alcuni cittadini americani, anche se nati in Sicilia. Tra gli imputati, mafiosi del calibro di Frank Coppola, Frank Garofalo, Giuseppe Bonanno (noto negli USA come Joe Bananas).

43 Il processo nasceva da un rapporto di polizia, che, a sua volta era partito dalla relazione di un sottocomitato del Senato USA, presieduto dal senatore Mc Clellan, presentata nel 1964, sul traffico di narcotici negli USA. La tesi di quella relazione era che la Sicilia, nel traffico internazionale di stupefacenti, aveva preso il posto di Cuba, dopo la caduta della dittatura di Fulgenzio Battista e la presa del potere da parte di Fidel Castro. Tra le fonti della relazione del Senato USA c'erano le deposizioni di Joe Valachi, uno dei primi "pentiti" delle organizzazioni mafiose. Lo spostamento d'asse da Cuba alla Sicilia era stato deciso da alcuni degli uomini sotto processo a Palermo. Il Tribunale sostenne una curiosa tesi sulla mafia, tutt’altro che rara in quegli anni: "…non può dirsi, sic et simpliciter che la mafia sia un'associazione per delinquere…Vi sono infatti mafiosi associati, ma vi sono anche mafiosi non associati, individui questi isolati, spregiatori di ogni autorità e di ogni prestigio che non siano quelli riflessi dalla propria personale forza. In questo senso può tranquillamente affermarsi che la mafia molto spesso, più che un vincolo associativo è uno stato d'animo, una sorta di "ipertrofia" dell'io, un modo di sentire tutto individualistico di uomini e popoli che, avendo in altri tempi, perduto fede nel potere pubblico, non credono se non a sé stessi, alla propria forza, alla propria legge. Ne consegue che l'essere mafioso non vuol dire essere associato per delinquere." Il traffico di stupefacenti non ha sostituito il traffico di tabacchi ma lo ha affiancato sino a sostituirlo totalmente quando il contrabbando ha perso la sua antica redditività. E’ sensazione diffusa che il traffico di stupefacenti, si sia nel tempo sostituto al traffico di tabacchi perché più redditizio. Non è così. In realtà l’uno e l’altro traffico sono andati

44 avanti di pari passo,seppure con una differenza. Un primo cartello internazionale del traffico di stupefacenti, secondo un rapporto inviato dalla Questura di Palermo alla prima Commissione Antimafia, inizia ad operare in Sicilia nel 1946 sotto la direzione di Lucky Luciano e di altri espulsi dagli USA. Contemporaneamente esponenti di quel cartello sono impegnati nel contrabbando di tabacchi che vede utilizzare dragamine, motovedette, motoscafi d’altura dismessi dalle unità militari dopo la guerra e acquistati dalle organizzazioni mafiose. In quest’epoca, mentre il traffico di tabacchi è fiorente quello di stupefacenti non ha ancora una dimensione industriale. Il prodotto viene dalla produzione farmaceutica e da materie prime semilavorate in Medio Oriente e raffinate prevalentemente in laboratori francesi. Grande scalpore suscitò in Italia il coinvolgimento nel 1952 della società farmaceutica Schiapparelli in una vicenda di traffico di eroina. Analogo scandalo si era verificato in Germania due anni prima, nel 1950, quando furono sottratti al mercati legale e immessi nel traffico criminale circa 250 Kili di cocaina. La situazione si evolve nella seconda metà degli anni Cinquanta per la concomitanza di due vicende internazionali che riguardano, rispettivamente, Cuba e Tangeri. La Cuba del dittatore Batista era la base di partenza del traffico di stupefacenti verso gli Stati Uniti. Ma il crollo del dittatore nel 1959, appunto, rese l’isola indisponibile ai precedenti traffici criminali e costrinse la mafia a cercare un’altra base, che venne individuata appunto nella Sicilia. La scelta è effettuata per quattro buone ragioni di carattere geopolitico:

45 a) la Sicilia è al centro del Mediterraneo e quindi può approvvigionarsi con relativa facilità dai mercati medioorientali di sostanze stupefacenti; b) in Sicilia è operante la solida rete del contrabbando che può agevolmente essere utilizzata anche per il traffico di stupefacenti; c) la mafia siciliana ha un ferreo controllo del suo territorio; d) i movimenti migratori tra Sicilia e Usa avrebbero favorito il traffico. Nel 1957, con il riconoscimento del regno del Marocco, Tangeri perse il suo statuto di città neutrale, che le assicurava sotto controllo internazionale ogni libertà di commercio e di impresa. Sino a quel momento il suo statuto le aveva consentito di essere insieme una delle città più floride del Mediterraneo, con 85 diverse banche e 4.000 società anonime, e il perno del contrabbando di tabacchi. Il contrabbando si sposta in parte verso Gibilterra e in gran parte verso i porti francesi. Ne nasce il potenziamento del ruolo criminale della Sicilia nel Mediterraneo attraverso un intreccio assai stretto tra mafia siciliana e criminalità francese e la creazione di canali ambivalenti, usati tanto per i tabacchi quanto per la droga. Accadeva spesso in tutti gli anni Sessanta che indagini della Guardia di Finanza su traffici di tabacco giungessero ad individuare anche trafficanti di stupefacenti, e viceversa. La differenza in questi anni è nel fatto che l’Italia all’epoca è area di consumo per i tabacchi e area di transito per la droga. Questo transito avviene in una duplice direzione: dal Medio Oriente verso la Francia meridionale per la raffinazione e dalla Francia meridionale verso la Sicilia per l’inoltro negli USA.

46 Nella relazione della sottocommissione della prima Commissione antimafia si cita un calcolo della G. di F. secondo il quale la redditività del traffico di tabacchi era di circa il 300%. Un rapporto della G. di F. dell’11 giugno 1971, all’incirca la stessa epoca del rapporto or ora citato, spiega che i trafficanti siciliani comprano l’eroina dai raffinatori francesi a 2.500.000 lire al Kilo e la rivendono al grossista USA a 12-15 milioni. Il guadagno era di circa il 500%. Questo spiega l’impegno di Cosa Nostra per affiancare al traffico di tabacchi il traffico di stupefacenti. Negli anni Settanta la Sicilia verrà denunciata all’ONU come la portaerei per la fornitura di droga agli USA. Il Mediterraneo è stata l’autostrada usata dalla mafia per far scorrere i propri affari. In una interpretazione geopolitica delle organizzazioni mafiose il Mediterraneo appare come una sorta di grande intreccio autostradale nord-sud, est-ovest. E’ per molti aspetti inevitabile per il numero di Stati, 23, che affacciano sul Mediterraneo, per la conformazione di questo mare, che potrebbe costituire una sorta di grande lago fra le terre chiuso a est e a ovest da due stretti, Suez e Gibilterra. Da sempre mare di traffici commerciali, il Mediterraneo diventa, a partire dal secondo dopoguerra, anche mare di traffici criminali. Le prime rotte riguardano il contrabbando di tabacchi, da Tangeri alla Sicilia, poi da Gibilterra alla Sicilia, quando Tangeri perde il suo statuto di città indipendente e neutrale. Quindi da e verso Marsiglia. Quando prende piede il traffico di stupefacenti le rotte prevalenti cambiano, dalla Turchia, dal Libano, dalla Siria. In questi ultimi casi le

47 navi puntano verso la Francia, dove avviene la raffinazione, per poi tornare in Sicilia e di lì poi verso gli Stati Uniti. Nella seconda metà degli anni Sessanta si costituiscono grandi depositi di tabacchi sulla costiera adriatica della ex Jugoslavia, a Dubrovnik e a Bar e l’Adriatico comincia la sua carriera criminale che continuerà con il traffico di stupefacenti e forse anche di armi e di persone. Le quattro rotte del Mediterraneo, il Canale di Sicilia, la rotta Jonica, quella Tirrenica e quella Adriatica, sono state tutte in tempi diversi, utilizzate a fondo dalle organizzazioni mafiose. Lungo quelle rotte si sono intrecciati legami criminali che hanno più volte posto in serio pericolo la nostra sicurezza e, a volte, anche la nostra democrazia. Oggi attraverso il Mediterraneo si passa in Spagna e nei paesi della ex Jugoslavia per fare affari di varia natura, ma anche per trovare rifugi più o meno sicuri per i latitanti. Credo che debba essere oggetto di riflessione l’alto numero di latitanti arrestati nelle isole spagnole. Il Mediterraneo, insomma, è stato ed è tutt’ora un agevole ponte sul quale è passato e passa ogni tipo di traffico illecito e ogni tipo di delinquente. Lo stesso mare, invece, da qualche anno è un muro per i miserabili che sfuggono alla guerra e alla fame per ricostruirsi una vita degna di essere vissuta. Sono circa diecimila le persone che negli ultimi dieci anni sono annegate nel Mediterraneo mentre tentavano di raggiungerne la favolosa sponda Nord. Un’ultima considerazione. C’è un deficit di analisi sulle organizzazioni mafiose. Oserei dire che il tema è passato di moda. Sono sempre più rari gli studi specialistici e l’attenzione è più spesso rivolta al passato che al presente. L’eccellente lavoro di Saviano è

48 denuncia e sensibilizzazione, ma non è analisi. Mi ha colpito che in nessuno dei tre più recenti libri sull’Italia, Crainz, Autobiografia di una repubblica, Graziano, Italia senza nazione, John Foot, Fratture d‘Italia, la questione mafiosa o non è per nulla affrontata o è relegata ai margini. Come se fossimo mitridatizzati o come se ci fossimo rassegnati a considerarla un evento geologico, come i vulcani o i terremoti. Questa mia preoccupazione non ha nulla a che vedere con la ricorrente polemica sul “calo di tensione”. La polemica, eventualmente, va fatto sul “calo di riflessione” e per questo le analisi e le idee che verranno da questo convegno possono aiutare ad aprire una nuova fase di sensibilizzazione al rapporto tra democrazia e mafia nel nostro Paese.

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I SESSIONE

(Presiede il Gen. C.A. Luciano Luciani)

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On. Dott. Alfredo MANTOVANO

Contrabbando e sacra corona unita: un intreccio che ha caratterizzato la criminalità pugliese alla fine del secolo scorso. (Trascrizione integrale dell’intervento non rivisto dal relatore)

Ringrazio il Generale Luciani e ringrazio il Corpo della Guardia di Finanza per l’invito rivoltomi a partecipare a questo importante Convegno, saluto tutte le Autorità presenti e mi scuso con tutti, ma in modo particolare con il Presidente Violante, se al termine del mio intervento sarò costretto ad allontanarmi dal momento che la fissazione nel primo pomeriggio del voto di fiducia alla Camera ha imposto una restrizione dei tempi di altri impegni fissati nella giornata a Palermo. Credo che l’invito sia dovuto al fatto che al termine della 13ª Legislatura per conto della Commissione Antimafia della quale facevo

53 parte ho avuto modo di redigere una relazione sulla situazione del contrabbando in quel momento, relazione che poi fu approvata dalla stessa Commissione nelle ultime settimane della Legislatura e fece in tempo attraverso alcune proposte e rettifiche normative, a costituire la base per una Legge che proprio negli ultimi giorni della Legislatura, conclusasi nel 2001, ha dato una svolta dal punto di vista normativo al contrasto al contrabbando. In quel momento tutti ricorderanno che il Presidente della Camera era l’Onorevole Violante. Mi viene chiesto, quindi, di fare una sorta di flashback per evidenziare come il fenomeno del contrabbando in Puglia fosse molto più radicato una decina di anni fa rispetto ad oggi. Credo che sia opportuno dare prima questa indicazione di massima per cogliere lo scenario. A fronte di mille miliardi di sigarette esportate dagli Stati produttori di tutto il mondo ben 280 miliardi erano commerciati nel circuito illecito gestito dai contrabbandieri con una tendenza alla crescita, perché si era passato dai 100 miliardi del ’99. Non era soltanto una questione di cifre di imposte evase: la pericolosità criminale e l’attività di contrabbando era devastante, in quel periodo si era certamente lontani dall’immagine tradizionale e forse anche romantica che questo fenomeno aveva avuto nei decenni precedenti, basta fare riferimento per tutti a uno dei tre episodi di “Ieri, oggi e domani” quello in cui Sofia Loren faceva appunto la contrabbandiera professionista per cercare di evitare il carcere, non essendo ancora entrata in vigore la Legge Gozzini, facendo un figlio all’anno. Sono immagini che sono state spazzate dalla realtà criminale del contrabbando degli anni ’90 che aveva dei risvolti sociali non indifferenti, perché si traduceva in frequenti turbative dell’ordine della

54 sicurezza pubblica. Penso ai numerosi incidenti stradali sulle strade pugliesi provocate da contrabbandieri in fuga, in certi casi anche mortali, penso al sacrificio che prima ricordava il Gen. D’Arrigo dei due Finanzieri De Falco e Sottile durante un inseguimento, con il ribaltamento della vettura sulla quale avevano preso posto. Peraltro quello fu un periodo veramente terribile per la Guardia di Finanza in Puglia perché negli stessi mesi altri due finanzieri avevano perso la vita nelle acque di Castro durante un inseguimento di scafisti che avevano appena lasciato un carico di clandestini sulla costa; penso a quello che era la zona in particolare di Fasano, tra Bari e Brindisi che aveva delle basi sotterranee che poi permettevano di alzarsi con le rampe a seconda delle necessità e nelle basi sotterranee c’erano i radar che permettevano l’avvistamento delle imbarcazioni delle Forze di Polizia in particolare della Guardia di Finanza sul canale d’Otranto e avevano i blindati; penso ancora al rilievo sociologico che aveva il fenomeno nella sola città di Brindisi, che vedeva all’incirca cinquemila famiglie mantenersi esclusivamente sui traffici di contrabbando con una percezione di disvalore non particolarmente elevata, perché in quegli anni, per esempio, un Amministratore della città di Brindisi riteneva di dover stabilire una sorta di corsia preferenziale nelle assunzioni al Comune tra gli ex contrabbandieri poi ex anche in qualche caso discutibili. D’altra parte non in quegli anni ma vent’anni prima io ero Giudice presso il Tribunale di Lecce e ricordo un collega, molto bravo peraltro, che in Camera di Consiglio non solo ci ammorbava in una piccola stanza con il suo fumo prolungato, ma si vantava di acquistare i

55 pacchetti di sigarette di contrabbando da un venditore che stava all’angolo del Tribunale. Questo era il quadro di partenza, questo quadro di partenza è stato contrastato, con forza, ve ne è traccia in numerosi atti giudiziari in numerose sentenze e prima ancora in ordinanze di custodia cautelare emesse sia da parte della Direzione Distrettuale Antimafia di Lecce che da quella di Bari. Da tutte queste fonti emerge un sistema su più livelli; il primo livello è relativo alla gestione del traffico con riferimento alla produzione all’esportazione e veniva curato dalle organizzazioni contrabbandiere anche di tipo mafioso e dai canali paralleli delle Società produttrici che non sono necessariamente coinvolte in modo diretto nei circuiti criminali; il secondo livello era quello dell’approvvigionamento dello stoccaggio in zone franche e queste attività talora si realizzarono con la collusione di apparati di Governo o di Polizia, e il caso per esempio dell’organizzazione facente capo a Francesco Prudentino che era il principale responsabile di parte dei traffici dal Montenegro verso l’Italia; il terzo livello era quello del trasporto in regime di contrabbando da queste zone franche alle destinazioni finali per la vendita al dettaglio da parte delle organizzazioni criminali. Non c’erano ovviamente solo i clan pugliesi ma anche, come è noto, quelli facenti capo sia alla camorra che alle famiglie siciliane, ma l’acquisto di partite di tabacchi lavorati implicava un elevato grado di conoscenza dei meccanismi giuridici economici, tecnici e commerciali di funzionamenti nei mercati internazionali, con il coinvolgimento e il coordinamento di Società di spedizione, di Banche estere, di Società

56 finanziarie nonché di una vasta rete complessa di Società di intermediazione. Non vi era più, cioè, il singolo individuo o un piccolo gruppo di trafficanti che curasse tutta la filiera dagli ordinativi al trasporto alla riscossione, ma vi era una divisione di compiti molto articolata e bisogna dire all’epoca, per lo meno fino a un certo punto anche abbastanza efficace. Il Generale D’Arrigo già ha ricordato le due principali dimensioni del traffico e cioè l’intra-ispettivo e l’extra-ispettivo. Quanto all’intra- ispettivo, all’epoca, la gran parte dei contratti venivano conclusi in territorio elvetico, poi le ricadute si verificavano in Puglia e in altre regioni del Sud, ma le società di intermediazione, a seguito del perfezionamento delle trattative con le multinazionali, davano disposizioni, proprio dal territorio svizzero, dove venivano effettuate le transazioni finanziarie per il resto dell’Europa. Nel contrabbando intra-ispettivo invece, fino alla metà degli anni novanta, era diffuso l’impiego delle cosiddette navi-madri che fu poi messo da parte perché il contrasto anche in acque non territoriali puntava a queste madre navi proprio per ottenere il grosso sequestro ed eliminare la fonte poi della distribuzione, mentre nel momento in cui tramontava questo sistema di navi-madri cominciava a operare un tipo particolare denominato “Ro.Ro.”. Erano delle vere e proprio navi- traghetto, navi commerciali cargo, a cui venivano apportate le modifiche strutturali per essere adeguate all’approdo alle banchine di basi nautiche minori non sottoposte a vigilanza, con lo sbarco di veri e propri container.

57 Nel 2001 il Giudice delle Indagini Preliminari del Tribunale di Bari firma, nel febbraio 2001, un’ordinanza di custodia cautelare che è molto interessante, forse è il più completo documento giudiziario che fotografa la situazione all’epoca perché descrive l’accordo stabile intercorso tra i quattro titolari delle licenze di importazione in Montenegro dei tabacchi lavorati esteri, Autorità pubbliche del Montenegro, i rappresentanti dei gruppi criminali pugliesi e campani che erano latitanti in Montenegro costituiti in un cartello criminale per l’introduzione dei tabacchi di contrabbando nell’Europa attraverso la Puglia Centro-Settentrionale. L’accordo aveva quali elementi costitutivi, appunto, la costituzione in cartello criminale di cittadini italiani presenti in Montenegro, la suddivisione territoriale della comunità criminale italiana in Montenegro in funzione di un accordo per il controllo dei traffici illeciti secondo criteri mafiosi. Leggo testualmente dal passaggio di genere dell’ordinanza “l’esercizio del comando mafioso nella composizione della comunità criminale italiana in Montenegro il ricorso alla violenza in Montenegro per regolare i rapporti nella comunità criminale italiana e nei confronti della criminalità locale”. Il Montenegro aveva una popolazione di 640.000 abitanti certamente inferiore rispetto a quella della sola città di Palermo: se tutti i tabacchi in quegli anni arrivati in Montenegro dalle varie centrali fossero stati utilizzati in quel territorio, ogni montenegrino avrebbe dovuto fumare contemporaneamente quattro sigarette per tutto l’arco della giornata per poter esaurire questi carichi. Vi è poi la dimensione del contrabbando intra-ispettivo dalla Grecia che ha provocato anche una discreta dialettica all’epoca, per usare un eufemismo, tra Italia e Grecia, però tutto ciò ha costituito la base per

58 una reazione seria che c’è stata sul piano legislativo e sul piano dell’azione di governo. Qualche parola in conclusione che si ricollega anche all’ampia relazione del Generale D’Arrigo. Il fenomeno sul territorio italiano è fortemente scemato però esso costituisce ancora oggi una voce significativa dei meccanismi di accumulazione finanziaria nei circuiti criminali, i cui proventi vengono poi reimpiegati in altre attività delittuose. Ovviamente tutti loro sanno, essendo addetti ai lavori, che la sacra corona unita in Puglia non esiste più da oltre dieci anni, schiacciata dalla reazione delle Forze di Polizia e della Autorità Giudiziaria. Devo dire, uno dei capi della sacra corona, al momento del suo arresto, teorizzò che l’organizzazione non fosse mai esistita dicendo che la religiosità era scarsa e quindi il sacro doveva essere messo da parte, non vi era un prevalente orientamento monarchico e questo faceva giustizia della corona e poiché cominciavano ad uccidersi tra di loro non c’era neanche unità. Devo dire però che la tesi difensiva non fece molto breccia perché furono inflitti svariati ergastoli e per lo meno lui non fu creduto ma invece la reazione che c’è stata ed è stata forte ha contribuito a disarticolare quella organizzazione della quale oggi residuano piccoli gruppi sparsi sul territorio, che però certamente non hanno la capacità di riorganizzare traffici come quelli che invece ci furono anche col Montenegro in quel periodo. Oggi l’Unione Europea, lo ricordava prima il Generale D’Arrigo, continua ad essere il principale mercato di provenienza e di commercializzazione del contrabbando. L’Italia ha invertito la tendenza anche se negli ultimi anni qualche segnale di incremento ha

59 ripreso ad esserci il che significa che il contrabbando come fonte di approvvigionamento finanziario non è un ramo di attività che viene cancellato completamente e quindi bisogna continuare a tenere il massimo dell’attenzione. E’ significativo nella relazione del Comandante Generale, anche quell’ultima annotazione sul dato veramente preoccupante riguardante le sigarette contraffatte che salda due grandi mercati illeciti, quello classico del contrabbando e quello emergente della contraffazione, che è la nuova frontiera dell’agire mafioso transnazionale, con ricariche addirittura superiore rispetto al traffico degli stupefacenti. In alcuni quantitativi provenienti dalla Cina sono stati rinvenuti valori particolarmente elevati di catrame, di anidride carbonica, di piombo e in alcuni casi di arsenico. Stiamo, quindi, molto oltre la Legge Sirchia e poi è da rimarcare anche la contraffazione del contrassegno dei Monopoli di Stato del paese produttore e del marchio di fabbrica. Le regioni maggiormente interessate al fenomeno sono la Calabria, anche per la presenza del porto di Gioia Tauro, le Marche e la Sardegna. Non è alle spalle soltanto l’immagine romantica degli anni ‘60 è alle spalle l’immagine devastante degli anni ’90 soprattutto riferita al territorio pugliese; non è alle spalle l’attenzione di tutte le Forze di Polizia in modo particolare della Guardia di Finanza alla quale anche per questo credo che tutti dobbiamo tributare stima, ringraziamento e un in bocca al lupo per continuare sulla stessa via.

Grazie.

60 Prof. Mariano GABRIELE

La Sicilia crocevia del Mediterraneo

Quando Fernand Braudel individua una linea, “una frontiera intermedia di coste e di isole che, da nord a sud, divide il mare in due universi ostili”, afferma che “qui l’Italia trova il senso del proprio destino: è l’asse mediano del mare, e si è sempre sdoppiata, molto più di quanto non si dica di solito, tra un’Italia volta a Ponente ed un’altra che guarda a Levante”.6 E anche Galli della Loggia sottolinea che l’inclinazione longitudinale dell’asse della penisola, protesa da ovest ad est, apre orizzonti distinti,

6 F. Braudel, Il Mediterraneo, Milano, Bompiani, VII ediz., 1997, p. 12. 61 le cui implicazioni dovrebbero essere più importanti della contrapposizione nord-sud, cui siamo abituati7. Tutto questo è meno vero per la Sicilia che copre la frontiera marittima italiana in un punto strategico a sud, costituendo un blocco ulteriormente sospinto verso mezzogiorno dalla natura ad occupare una parte importante della cerniera tra i due maggiori bacini del Mediterraneo. La sua estremità occidentale si protende verso Tunisi, là dove l’Africa nordoccidentale avanza per centinaia di chilometri verso l’Europa, così che la grande isola lascia liberi soltanto due passaggi marittimi che consentono di transitare da Levante a Ponente e viceversa: lo Stretto di Messina e il Canale di Sicilia. Questa situazione geografica singolare, pur utile per le conquiste durante l’ascesa di Roma, non ebbe una così grande rilevanza nei tempi dell’impero che controllava tutte le coste del Mediterraneo, ma una volta rotta l’unità del “Mare nostrum”, le cose cambiarono poiché la frammentazione e la diversità degli interessi, spesso confliggenti, da un lato esaltavano l’importanza del controllo dei corridoi marittimi, da un altro li rendeva terreno operativo di iniziative diverse dal transito, come le scorrerie dei pirati barbareschi e le insidie al commercio. Con l’Unità nazionale italiana lo Stretto di Messina era già sotto pieno controllo italiano, e il Canale era passibile – teoricamente – di diventarlo. Era questo il passaggio marittimo più importante perché, molto più ampio, avrebbe accolto le rotte tra l’Occidente e l’imboccatura mediterranea del Canale di Suez in corso di costruzione. L’Italia nasceva in un momento nel quale si sapeva per certo che al largo delle coste meridionali sicule si sarebbe sviluppata una nuova,

7 Vedi E. Galli della Loggia, Una straordinaria posizione geografica, in “Rivista Marittima”, CXXXVI, 2003, novembre, pp. 15-30. 62 rivoluzionaria, corrente di traffico ed era naturale che si ponesse il problema di trarne vantaggio. Era evidente che, in termini di potere marittimo, la posizione chiave del Mediterraneo, a cavallo dei due bacini, era quella del Canale di Sicilia, dove il possesso di Pantelleria, a due terzi di strada per l’Africa, rafforzava sensibilmente la posizione del Regno. Tale posizione avrebbe potuto diventare formidabile col possesso della sponda africana. Naturalmente però in via puramente teorica, dal momento che l’Italia non disponeva della forza necessaria: ciò apparve con tutta evidenza nel 1864, quando il governo di Torino tentò di mettere piede a Tunisi impegnandovi tutta la flotta, ma non ottenne nulla, perché l’Ammiragliato londinese non approvava che la stessa potenza controllasse l’una e l’altra costa dello stesso passaggio marittimo. Il nominalmente Regno delle Due Sicilie aveva invece considerato l’isola come una propria appendice, un possedimento insulare della monarchia napoletana. Eppure la Sicilia rappresentava un punto focale di quei traffici marittimi per esercitare i quali il governo di Napoli, oltre a cercar di contrastare l’illegalità con le proprie forze, si era adattato a pagare pesanti tributi - una sorta di “pizzo di stato” - ai potentati costieri del Nordafrica ed a stipulare gravosi trattati commerciali con l’Inghilterra, la Francia e la Spagna. Lo sviluppo della marina e la politica marittima borbonica furono sempre condotti in funzione di Napoli, così che i porti siciliani venivano trascurati e gli interessi commerciali isolani tenuti in scarsa considerazione; questa politica si risolse a favore di Malta, che riuscì ad attrarre nella sua orbita un traffico maggiore di quello che avrebbe dovuto farvi scalo: non per nulla il comandante della Mediterranean Fleet vice

63 ammiraglio Martin, propose all’Ammiragliato, il 14 giugno 1860, di potenziare la base militare perché “un eventuale ampliamento del porto commerciale, per esempio, diverrebbe inutile se la Sicilia rendesse i suoi porti liberi e invitanti come quello di Malta, cosa che, sotto un buon governo, essa probabilmente farà”. In tal caso lo scalo maltese sarebbe stato “spent “ (esautorato). In effetti, le caratteristiche delle navi e delle imbarcazioni usate in quel tempo per i traffici marittimi avevano esigenze assai modeste per fare scalo in qualche punto del litorale: potevano bastare infrastrutture minime e spesso solo ridossi naturali che dessero una qualche protezione durante le operazioni di carico/scarico. A prescindere dai porti maggiori, quindi, la lunghezza e le caratteristiche fisiche delle coste potevano diventare elemento decisivo per la scelta del punto di sbarco per merce illegale o di un atto di aggressione. A questo proposito, non è senza significato ricordare che nel 1861 la Regia Marina Italiana dovette impegnarsi, con qualche crociera di unità maggiori ma soprattutto con l’impiego di cannoniere, per reprimere il contrabbando – di armi, ma non solo - e la pirateria lungo le coste della Sicilia8. Dopo un lungo periodo nel quale i traffici illegali – provenienti soprattutto da Malta – vennero combattuti da pattuglie terrestri e punti fissi di osservazione, a fine secolo apposite unità navali, “incrociatori doganali” e torpediniere, portarono il fronte di contrasto più avanti in mare.

8 Cfr M. Gabriele, La politica navale italiana dall’Unità alla vigilia di Lissa, Milano, Giuffrè, 1958, pp. 299-300 e 367-474; La Sicilia e il Mediterraneo, in “Il Veltro”, n.8-9, agosto-settembre 1960, p.11. 64 Ma veniamo al secolo XX. Malgrado le guerre, le rivoluzioni e gli assassini politici, sino alla fine della seconda guerra mondiale la situazione del Mediterraneo fu molto meno instabile che in seguito. La Sicilia fu particolarmente coinvolta nella guerra italo-turca e nella seconda conflagrazione mondiale, ma fino al conflitto l’ordine coloniale sulla sponda mediterranea del continente africano e l’inesistenza dei grandi fenomeni mondiali di fine secolo garantirono una specie di stand still. Durante la seconda guerra mondiale, l’effetto più vistoso della collocazione geografica dell’isola nel Mediterraneo centrale fu dato dalla scelta obbligata per l’avversario di scegliere la lunga rotta del capo di Buona Speranza per rifornire il suo fronte, e non quella molto più breve del Canale di Sicilia, salvo che per scambi di unità militari tra Gibilterra e Alessandria, e per l’alimentazione di Malta. Da parte dell’Asse, invece, detta situazione geografica consentì di sostenere il fronte nordafricano con un convoglio al giorno in media, e lo consentì sebbene le rotte possibili fossero scarsissime e facilmente individuabili. Infine, l’invasione anglo-americana della Sicilia condusse all’armistizio dell’8 settembre 1943. La decolonizzazione e la formazione di nuove formazioni statuali e di nuove coalizioni, sullo sfondo della grande competizione politica che divideva il mondo distrussero i vecchi equilibri. Nei paesi sviluppati, dopo le difficoltà della guerra, tornò, o finalmente giunse, il benessere. I Paesi occidentali “non se l’erano mai passata così bene” diceva il Primo ministro britannico Mac Millan. Le novità in effetti erano molte; e a volte facevano dimenticare che gli abitanti di questi paesi

65 rappresentavano solo una percentuale molto ridotta della popolazione mondiale9. Né gli aiuti ai Paesi sottosviluppati avrebbero mai potuto compensare il divario crescente, sia per la loro inevitabile insufficienza rispetto alla dimensione dei problemi; sia per l’incremento demografico dei sottosviluppati, più rapido spesso dell’incremento del reddito e comunque multiplo di quello delle società opulente; sia per il peggioramento ulteriore di plaghe del mondo tormentate da guerre e disordini. Le indipendenze recenti, le incerte volontà e capacità di controllo dei nuovi regimi che incontravano ostacoli a ripristinare l’autorità statale, le difficoltà obiettive davanti a cui si trovavano i nuovi Stati, oberati da mille problemi, aprivano la via ad un mondo caratterizzato da un grado notevole di instabilità. La rottura tra Est ed Ovest e poi la guerra fredda spostarono attenzione e risorse sul sostegno della competizione politica e militare, come pure ad una particolare considerazione della liceità, a seconda di chi la infrange e a danno di chi. Per quanto concerne l’Italia e la Sicilia non è un mistero che Lucky Luciano, Calogero Vizzini ed altri personaggi malavitosi e dotati di un discutibile passato vennero utilizzati nel corso della guerra dagli americani, per la ricerca di notizie, per assicurare una maggiore sicurezza alle navi in partenza per l’Europa e per costituire un fronte conservatore e anticomunista che assicurasse la tranquillità in Sicilia durante la loro permanenza. Ma questo valse anche la tolleranza, voluta o subita, di traffici clandestini sulla costa di sud-est, specie a , i cui proventi vennero investiti prevalentemente in Egitto. Non

9 P. Lane, Verso la società opulenta, in “XX Secolo”, Milano, Mondadori, 1971, V, p. 455. 66 c’è dubbio che la cesura 1943-1945 abbia concesso alla mafia vantaggi immensi. Nel Mediterraneo gli Stati Uniti assunsero il ruolo che era stato un tempo dell’Impero britannico. Già nel 1946 la comparsa della Missouri nei Dardanelli pareva voler indicare un confine: il Mediterraneo era sostanzialmente dell’Occidente, e il mondo sovietico non avrebbe dovuto uscire dai bacini chiusi, Mar Nero e Adriatico. Non sarà così, perché a fronte della 6° flotta americana la Marina sovietica costituirà la 5° Eskadra che cercherà di apparire anche nel Mediterraneo centrale con unità di superficie, mentre da Murmansk una forza di sommergibili circumnavigherà l’Europa e vi entrerà da Gibilterra, ma la supremazia navale della NATO nello scacchiere non sarà mai realmente minacciata10. In questa contrapposizione la Sicilia, benché non in prima linea sul fronte avanzato del contrasto che gravita sul bacino orientale, fornirà all’alleanza atlantica due basi aeree di fondamentale importanza: Sigonella ad Est e Birgi ad Ovest. Durante la guerra fredda il potere navale occidentale salvaguardò la rotta di Suez e i flussi di traffico tra l’Oceano Atlantico e l’Indiano. Ma quei flussi non erano paragonabili a quelli attuali e scontavano la divisione del mondo, così che gli scali del Mediterraneo erano molto più di ora capolinea di traffici commerciali caratterizzati da raggio non

10 Cfr W. Laqueur, The Struggle for the Middle East, London, Routledge & Kegan Paul, 1969, passim; M. Contino and S. Shamir, The U.S.S.R. and the Middle East, Toronto-Jerusalem, John Wiley – Israel University Press, 1973, passim; M.Gabriele, Mediterraneo (1945-1953), in “Rivista di Studi Politici Internazionali, XLVI, n. 1, gennaio-marzo 1979, pp. 25-48; G. Giorgerini e A. Tani, Aspetti marittimi della guerra fredda, “Rivista Marittima”, CXXXIV, 2001, luglio, supplemento, passim; M. Annati, Operazioni di pace e gestione delle crisi, “Rivista Marittima”, CXXXV, 2002, luglio, supplemento, pp.171-76. 67 globale. Parliamo, naturalmente, di trasporti marittimi legali. Altrettanto naturalmente, però, in questo campo fiorirono all’interno del Mediterraneo attività illegali. Nell’immediato dopoguerra, per circa un decennio, fu l’emporio di Tangeri, porto franco di una città molto libera – offriva approdi senza limitazioni né controlli, addirittura senza verifiche di passaporti – e forniva la base di partenza per ogni affare concernente i tabacchi lavorati, che prendevano la via dell’Europa attraverso Gibilterra, ma non solo. In quel tempo i marsigliesi dominavano il traffico e monopolizzavano i porti di Nizza e Marsiglia, insieme al famoso boss còrso Pascal Molinelli, detto il Goldfinger dal Mediterraneo. Ma a fianco e dapprima d’intesa con quei protagonisti, poi sempre più autonomamente, si affermarono i siciliani (Pietro Davì, Salvatore Greco ed altri), appoggiati anche da Lucky Luciano da Napoli. Così, gradualmente, tra una guerra per bande e l’altra, i marsigliesi furono soppiantati. Ma la fine di Tangeri città libera e la sua annessione al Marocco, nel 1961, mise fine alla situazione precedente, aprendo una crisi per quei traffici di cui si è detto, che avevano sbocchi e mercati di collocamento, ma non avevano più la base tradizionale di partenza. Gli operatori interessati reagirono rapidamente, spostando ed est il punto d’arrivo del flusso di tabacchi lavorati in arrivo attraverso lo Stretto di Gibilterra. L’operazione non era semplice e richiedeva notevoli capacità organizzative, prestigio e forza per i contatti con la malavita locale, oltre a grandi possibilità finanziarie che le maggiori famiglie mafiose siciliane avevano, particolarmente in quel momento, dopo il sacco di Palermo e della Conca d’Oro. Detta loro solvibilità li accreditò presso i produttori come gli interlocutori più ambiti. Così

68 dalla metà degli anni ’60, mentre nel firmamento del contrabbando saliva la stella di Cipro, si sviluppò un grande commercio illegale, gestito in forma piramidale, che si avvaleva di depositi clandestini, siti prevalentemente sulle coste jugoslave e albanesi, e di un ampio ventaglio di scali di ultima destinazione. Un ulteriore impulso venne poi dalle famiglie Bontade e Badalamenti, che agli ingenti capitali da investire associavano flotte pescherecce utili per i trasporti e la distribuzione. C’era gloria per tutte le famiglie mafiose dotate di rilevanti risorse finanziarie e di aggressivo spirito imprenditoriale. Nel corso degli anni ’70 i traffici si svolsero in condizioni di egemonia per le associazioni criminali siciliane e siculo-americane: Cosa Nostra dominava il traffico intercontinentale ed era in grado di allargare la propria attività operativa anche ad aree esterne, come Napoli. Tutto appariva organizzato e previsto: il problema della riconversione in risorse finanziarie lecite degli imponenti ricavi illeciti venne affrontato agganciando riciclatori esteri, svizzeri e medio-orientali. Nell’isola, come da tradizione, gli scali e i tratti di costa più interessati agli sbarchi erano quelli sud-orientali, in particolare tra Capo Passero e Scoglitti. Il centro motore isolano della grande operazione illecita era a Palermo, dove patrimoni, esperienze e competenze sostenevano un potere consolidato. Esponenti delle famiglie palermitane venivano accolti nelle Americhe come prestigiosi uomini d’affari. A Catania, dove esisteva una tradizione secolare di traffici marittimi, agiva, tollerato, un centro indipendente di attività illegale, con Calderone e Santapaola; ma già a Siracusa si operava sotto le direttive di Palermo. Fu questa, collegata essenzialmente all’importazione clandestina di tabacchi lavorati, una grande stagione per la mafia, la quale aveva

69 assunto come proprio protettore celeste l’ignaro e innocente Sant’Elmo. Ai tabacchi sarebbe stata presto associata la droga. Il primo sequestro di questa merce in Sicilia si era verificato nel 1952 (6 kg), ma il fenomeno aveva ancora forma episodica. Negli anni ‘70, invece, fu Buscetta ad unire l’importazione clandestina di narcotici al tabacco lavorato. Dopo la strage di via Lazio e la risistemazione degli equilibri tra le cosche, l’interesse per la droga si estese, ed anche i reperti archeologici – oggetto già da prima di traffici clandestini occasionali – attiravano l’attenzione della criminalità organizzata che ne curava l’illecita esportazione. Capolinea strategico dei narcotici era l’America meridionale e la sua malavita organizzata, con la quale gli importatori illegali siciliani strinsero accordi, avendo di mira non solo l’area regionale e nazionale, ma una gamma assai vasta di sbocchi. Il fenomeno giunse ad avere dimensioni tali che Carlo Ruta ha ritenuto di individuare una correlazione fra il trend di borsa e quello dell’economia di origine illegale, giungendo alla conclusione che ne sia derivata una perdita equivalente a 5 anni di mancato sviluppo11. La fine della guerra fredda ha fatto cadere le barriere che dividevano il mondo tra Est, Ovest e non allineati o sedicenti tali. Ne è derivata una evoluzione storica di portata epocale e planetaria, poiché il processo di

11 Cfr C. Ruta, Recessione e mafia, in “Domani”, settimanale-on-line. Ma, a parte le ricadute economiche, il fenomeno ha innescato anche altre conseguenze: il nome, prima quasi sconosciuto, della città di Lefkose, capitale della repubblica vassalla della Turchia, è diventato noto, almeno alle forze di contrasto ai traffici illegali, durante il “periodo cipriota”. Né pare si possa sottovalutare l’inventiva circa i generi sui quali si esercita l’attività clandestina: oltre ai grandi filoni dei tabacchi lavorati e della droga, risulta interessata, sia pure a scala minore, una grande varietà di merci: fiale e pastiglie anabolizzanti; olio, carne e prodotti alimentari non genuini; ecc. 70 globalizzazione, tuttora in corso, ha scosso e scuote dalle fondamenta i precedenti equilibri. Nuovi giganti economici sono apparsi e sono divenuti protagonisti della produzione e degli scambi, così che la geografia economica e commerciale della Terra ne è uscita modificata. Oggi la rotta più importante del mondo va dall’Asia all’Europa e all’America passando per il Mediterraneo, ma non sono stati i Paesi di questo mare – e in particolare l’Italia - a ricavarne i vantaggi più grandi. Francesco Russo nota che i porti del Nord Europa hanno km di banchine, mentre quelli del Sud sono “fortemente rachitici”, incuneati in ambiti urbani che limitano la loro espansione. Romano Prodi attribuisce al fatto che gli scali mediterranei non fanno sistema la loro deludente performance, e ritiene che, ad eccezione di quelli della Spagna orientale, i porti meridionali non hanno sfruttato l’occasione, pur avendo acquisito nuove quote di mercato. La spinta della Cina e dell’Asia in genere avrebbe potuto trovare in Italia e in Sicilia l’interlocutore naturale. Ma – a parte le occasioni perdute e la difficoltà attuale di reperire i mezzi necessari per inseguirle - Prodi sottolinea la necessità di “risolvere il problema gravissimo della criminalità e della sicurezza degli investimenti” in Sicilia e in Nordafrica, che allontana gli investitori normali. La rilevanza di questo problema è enorme e travalica i confini nazionali: nel 1995 a Barcellona si parlò di definire un partenariato politico e di sicurezza per creare uno spazio comune di pace e di stabilità, ma in 10 anni si sono susseguite 7 Conferenze Euromediterranee, tra le quali soltanto la 5° (Valencia 2002) ha indicato la necessità di un piano che “ponga l’accento sugli aspetti della sicurezza, della sorveglianza e dell’ambiente”. E’ evidente che nel continente europeo gli interessi del

71 Nord e del Sud non si identificano, ma per quanto riguarda le nostre acque sembra certo che senza l’applicazione di una idonea strategia di stabilizzazione difficilmente si potrà sperare in un miglioramento decisivo della situazione rispetto ai traffici illegali, che le nuove tecniche dei trasporti containers non contribuiscono a dissuadere. Luciano Violante vorrebbe che il Mediterraneo superasse la trappola romantica delle due s (sun-smile) per diventare il mare delle due m (market-men), che ritiene più consone ad una vasta regione in cui ogni giorno navigano 3.000 navi, per la quale transita il 60% dell’energia necessaria all’Europa, nella quale il volume dei traffici asiatici è maggiore di quelli americani12. Sogni? Fino ad ora purtroppo sì, perché se è vero che l’Italia detiene il primato nell’interscambio tra i paesi del Mediterraneo, è pur vero che la Sicilia non si è proposta sulla maggiore direttrice di traffico che lo attraversa come nodo strategico per una rete di trasporti diretta ai 4 punti cardinali. Così il movimento marittimo ha trovato i suoi sbocchi preferiti altrove; non solo per un problema di infrastrutture, ma perché i colossi dei trasporti e le società terminaliste, che sono protagonisti ed arbitri della competizione sui punti di raccolta dei flussi containers non sono attirati da “pizzi” e criminalità in genere. Ed è veramente un peccato perché si rischia di non poter utilizzare a pieno, ai fini degli scambi, neanche una particolare forza produttiva italiana che J. M. Palencia, su “Limes”, ha descritto con ammirazione: “L’Italia possiede il più ricco tessuto di piccole e medie imprese dell’Unione Europea, con un rapporto dimensione-eccellenza e una vocazione internazionale

12 Tutti (R.Prodi, Un Mediterraneo da attraversare; F.Frattini, Sulle rotte del Mediterraneo, dieci anni dopo Barcellona; L.Violante, Un Mediterraneo da integrare, v. Falgares, Attori locali per l’incontro euro mediterraneo: il caso Sicilia) in F. Russo, Un Mediterraneo da integrare, Messina, Mesogea, 2006. 72 che, nonostante l’assedio impietoso della burocrazia più assurda dell’Europa sviluppata, non ha eguali altrove”13. Dagli anni ’90 del secolo scorso, si è manifestato un massiccio fenomeno di migrazioni verso l’Europa. Questo aspetto della globalizzazione trae origine dalla povertà, dall’oppressione, dai conflitti senza fine, dalla disperazione di chi vede nella fuga dal proprio ambiente nativo la sola speranza di sopravvivenza e di progresso per sé e per i figli, e quindi cerca in ogni modo e ad ogni costo di raggiungere il vecchio continente. Da un lato i nuovi arrivati suppliscono alla diminuzione o alla scomparsa di forze di lavoro nei Paesi d’immigrazione, ma da un altro turbano tradizionali equilibri sociali e insidiano le basi della “società opulenta” di cui di era compiaciuto Mac Millan. Le migrazioni, specie dall’Africa e dall’Asia, hanno “dato origine a una sorta di tratta in questo cambio di secolo”. F. Pastore afferma che si è instaurato un gioco frenetico a tre: trafficanti, migranti e controllori, sullo sfondo di una diversificazione delle attività illecite, che vanno dalla tratta sessuale agli stupefacenti. In questo quadro si pone l’ottimizzazione dei ricavi criminali, con l’aumento dei prezzi e delle quantità importate illegalmente, ricavi da investire in attività lecite (investimenti immobiliari, turistici, sanitari, ecc.) in Italia e all’estero. Le migrazioni clandestine che praticate in Sicilia riguardarono soprattutto, in una prima fase, lavoratori maghrebini stagionali che utilizzavano prevalentemente imbarcazioni da pesca, ma questo flusso diminuì drasticamente con l’accordo di riammissione italo-tunisino

13 J.M. Palencia, Il futuro è a Sud, in “Limes: Il mare nostro è degli altri”, quaderno speciale, Roma, Espresso, 2009, pp. 21-28. 73 dell’estate 1998. Per le provenienze dall’Africa sahariana e sub sahariana e, specie dal 2002, dall’Asia, i flussi invece sono cresciuti e non accennano a diminuire. In relazione ai punti d’imbarco, gli arrivi clandestini sono stati gestiti in massima parte da organizzazioni nordafricane (tunisine, libiche, egiziane), che hanno usato frequentemente natanti di fortuna, inadeguati e pericolosi; vi si è aggiunto, per spedizioni occasionali non sempre coronate dal successo, qualche armatore del Mediterraneo orientale. E’ di un certo interesse notare che, almeno secondo il Mondini, “non è stata riscontrata alcuna complicità in territorio italiano per la facilitazione degli arrivi in Sicilia”, e in effetti gli ambienti investigativi escludono che le cosche della mafia siciliana, benché siano profondamente radicate nelle aree di arrivo degli sbarchi, siano in qualche modo coinvolte nel business14. Non credo si tratti di remore morali: è probabile che questa attività renda meno dei traffici clandestini di merci, presenti maggiori incognite e rischi di agitare l’acqua nella quale nuota la nostra malavita organizzata, che non stima conveniente, in un conto completo di costi e ricavi, farvisi compromettere. E’ più facile, se mai, ritrovare la mano della criminalità nazionale nelle fasi successive di sfruttamento degli immigrati clandestini. Nel tempo presente, non esiste più in Mediterraneo una contrapposizione politico-militare di tipo convenzionale. Ma oltre ai pericoli delle ostilità condotte con metodi non convenzionali (terrorismo, ecc.), si delineano rischi non trascurabili dall’esplosione di un nuovo genere di traffici illeciti, costituito dall’importazione

14 CESPI, “Working Papers”, Roma, 2004: F. Pastore, Introduzione (pp.7-8); P.Mondini, Il traffico di migranti per via marittima:il caso dell’Italia (pp. 58- 70). 74 clandestina di prodotti contraffatti. Esso risponde a una domanda ampia del mercato, anche se non compiutamente cosciente e responsabile, la quale già conosceva l’esistenza di questo genere di merci: in Italia esse provenivano da alcune aree del territorio nazionale, ma in quella fase il fenomeno aveva dimensioni modeste e lo si poteva considerare ancora a livello artigianale. Ora invece il fenomeno si dispiega a scala industriale e in quantità sempre maggiori, con prodotti che giungono da lontane provenienze straniere, generalmente asiatiche. Le tecniche moderne di trasporto collegate all’uso dei containers agevolano questa attività, che configura ormai un vero e proprio attacco a settori dell’economia nazionale, anche in quel settore del lusso che rappresenta una risorsa tradizionale della produzione e dell’esportazione italiana. E’ forse questa una delle maggiori minacce che i traffici illegali stanno portando all’economia e all’ordine, poiché l’importazione clandestina di articoli contraffatti danneggia l’attività produttiva legale e la sua area di mercato, contribuendo per giunta a svilirla; inoltre alimenta a valle per la distribuzione altri processi delinquenziali che coinvolgono e sfruttano una miriade di immigrati clandestini. E’ stato rilevato che la criminalità organizzata evolve in parallelo con i fenomeni globali, essendovi frange illegali di dimensione internazionale. Pertanto, la lotta contro la catena produttivo- commerciale fuori legge (produzione-trasporto-esportazione) riveste un interesse e un’importanza che travalicano la dimensione locale e spesso anche quella nazionale. Si vuole che la federazione russa abbia avuto miliardi di danni sull’esportazione di greggio dalla neftemafiya e che, a causa degli interessi della criminalità organizzata nelle grandi

75 case farmaceutiche, si faccia anche del terrorismo a scala mondiale su qualche minaccia alla salute (mucca pazza, influenza aviaria e suina, ecc.) per promuovere le vendite dei rimedi. Evitare che la Sicilia, vero crocevia del Mediterraneo, finisca per esercitare una funzione di ponte e di centro di distribuzione, divenendo la porta d’ingresso nel continente di merci truccate, o pericolose, o vietate, e comunque illegali, è interesse non solo italiano. Sotto questo profilo esiste probabilmente un ritardo che converrebbe, specie ai Paesi dell’accordo di Schengen, colmare al più presto.

76 Prof. Salvatore COSTANTINO

La situazione socio-economica della Sicilia nel XX secolo ed i suoi riflessi sulla criminalità organizzata e il contrabbando

1. Il contrabbando tra questione meridionale e questione mafiosa

Ringrazio per il cortese invito che va sicuramente nella direzione di un approfondimento interdisciplinare sempre più necessario per approfondire il fenomeno della criminalità organizzata e contribuire alla definizione di adeguate politiche pubbliche per l’azione di contrasto sul piano nazionale e internazionale. Questo aspetto è di grande importanza in quanto mette in luce di considerare le mafie sempre più come sistemi complessi che richiedono competenze specialistiche molteplici che siano in grado di cogliere le specifiche

77 interazioni tra politica, economia, diritto cultura e società nelle democrazie contemporanee. Non sarà mai sottolineato abbastanza l’aspetto sovranazionale, globale delle politiche di contrasto della criminalità e delle mafie. A questo proposito, anche per l’azione di contrasto internazionale vale quanto ha fatto notare un grande economista come Joseph Stiglitz: “Possediamo un sistema di governance globale, ma siamo privi di un governo globale, Ancora peggio, proprio nel momento in cui la necessità di istituzioni internazionali è più forte che mai, la fiducia in quelle che esistono […] non è mai stata più bassa” [Stiglitz, 2001: 5]. Il ruolo della Guardia di finanza è stato per molti versi decisivo nel combattere il contrabbando e, al tempo stesso ha contribuito non poco nell’azione di contrasto delle organizzazioni criminali di stampo mafioso, mettendo a nudo la rete di rapporti che esse hanno avuto con le organizzazioni contrabbandiere. Condivido l’intervento del presidente Violante quando invita a considerare gli aspetti geopolitici delle organizzazioni criminali e lamenta un certo illanguidirsi delle ricerche. Ma è necessario sottolineare l’urgente necessità di definire strategie internazionali. Per quanto riguarda la situazione socio-economica della Sicilia toccherò solo alcuni punti che mi sembrano particolarmente importanti al fine dell’analisi che sarà di taglio prevalentemente sociologico. Il primo punto di riferimento possiamo individuarlo nel XIX secolo e precisamente nella situazione venutasi a creare nel Mezzogiorno d’Italia subito dopo l’Unità. Il riferimento a quella situazione non deve sembrare remoto perché è proprio nel contesto determinatosi dopo subito dopo il 1861 hanno

78 origine” le due fondamentali “questioni” che hanno segnato e segnano a tutt’oggi il dibattito attuale: la questione meridionale e la questione mafiosa. Le due questioni si intrecciano se si prende in considerazione, in primo luogo, nel processo di formazione delle strutture dell’illegalità a seguito della mancata costruzione dello Stato di diritto come monopolio dell’uso della forza fisica legittima già all’indomani della nascita dello Stato italiano. Il monopolio dell’uso della forza fisica legittima passa dal punto di vista formale e legale allo Stato mentre materialmente rimane nelle mani dei privati. La mancata costruzione dello Stato di diritto dipende anche dalle scelte economico-sociali fondamentali operate dallo Stato unitario e si sviluppa col progressivo accumulo di ritardi e distorsioni per quanto riguarda lo sviluppo armonico della nazione. Nel Mezzogiorno, pertanto, il diritto non diviene mai mezzo diffuso di regolazione, e l’economia si conformerà conseguentemente e progressivamente a quel “sistema sociale extra legale” derivante dalla “mancanza del concetto di una legge e di un’autorità che rappresenti e procuri il vantaggio comune, astrazione fatta dagli individui”di cui parla Leopoldo Franchetti. Nelle Condizioni politiche e amministrative della Sicilia, (1876) Leopoldo Franchetti, rappresentante autorevole della destra storica, coglie - già all’indomani dell’unificazione italiana - questo aspetto per il quale le condizioni della legalità sono inscindibilmente legate alle condizioni dello sviluppo. Franchetti individuerà soprattutto le responsabilità siciliane, ma ciò non impedisce di cogliere nelle sue analisi le responsabilità del neo-Stato unitario e, soprattutto la sua

79 incapacità di diventare nel Sud un effettivo Stato di diritto. Non a caso le Condizioni politiche e amministrative sono considerate non solo un importante punto di riferimento per l’analisi sociale, ma anche une essenziale “luogo d’origine” delle due fondamentali “questioni” che hanno segnato e segnano a tutt’oggi il dibattito attuale: la questione meridionale e la questione mafiosa. Due questioni che non solo sono ancora irrisolte, ma la cui mancata soluzione esercita un peso determinante, sullo Stato, sulla legalità, sulla politica dell’intero paese. Questione meridionale e questione mafiosa si riacutizzano sistematicamente (come sta avvenendo in questi giorni con nuovi casi di compenetrazione tra clientelismo e corruzione, tra mafie e sistema politico amministrativo. Lo stato permanente di estrema fragilità del Mezzogiorno d’Italia non solo rischia di vanificare i grandi risultati della lotta contro la mafia, ma è anche fattore di ulteriore diffusione e penetrazione dei reticoli mafiosi anche a livello nazionale, europeo e internazionale. E’ del tutto evidente che ciò non può non influire sugli assetti democratici dell’intero paese. Franchetti aveva individuato acutamente alcune delle caratteristiche originarie del potere mafioso come risultato di processi di ibridazione

80 e di violentizzazione della formazione sociale15. Ciò contribuisce a darci la dimensione di quanto si siano cementati nel tempo i processi di ibridazione sociale generati dalla mafia e di quanto arduo sia il progetto di rottura del suo sistema di relazioni. Ciò al tempo stesso ci fornisce qualche elemento in più per meglio arrivare a capire il cemento che da quasi due secoli tiene assieme il sistema mafioso e, quindi, le modalità più credibili attraverso le quali è realisticamente possibile sconnettere il capitale sociale che regge il suo potere economico-politico-sociale e il sistema dell’illegalità alla cui riproduzione allargata contribuisce. Franchetti sostiene che con la legislazione del Regno d’Italia nel 1860 il diritto positivo non riconobbe più prepotenze e violenze di alcun genere. Ma in Sicilia rimase libero il campo alla violenza privata per “l’assoluta impotenza dell’autorità sociale ad imporre le sue leggi con la forza” [ Franchetti, 1993: 94]. Franchetti parla qui di un’indistinta “autorità sociale” non parlando dello Stato di diritto, trascurando il fatto che esso non è meramente “forza”, mera potenza distante che richiede solo doveri. Lo Stato di diritto non è un mero esattore. Lo Stato di diritto è anche struttura che nel territorio organizza la protezione dei cittadini sul piano economico, politico e sociale, ne

15 Ciò non deve spingerci ad assurde generalizzazioni che assolutizzano l’agire mafioso come modello di comportamento del siciliano tout-court. La mafia, dunque, non va vista come modello di comportamento, costume, tradizione, quanto piuttosto come organizzazione che ibrida e cerca di piegare questi contesti. Giustamente Salvatore Lupo mette in guardia contro quelle interpretazioni che fanno del comportamento mafioso una diretta conseguenza della cultura in senso antropologico. Non si tratta di espungere l’elemento culturale dalla spiegazione del fenomeno mafioso provando soprattutto a distinguere la mafia dal suo contesto, indagando sul modo in cui l’organizzazione mafiosa si appropria dei codici culturali, li strumentalizza, li modifica, li piega con la violenza [Lupo, 1993]. 81 tutela i diritti. Ciò implica la costruzione capillare della fiducia nello Stato di diritto e della politica come garanti dell’ordine pubblico e della sicurezza contro il dilagare del potere e della violenza e dei privati. La costruzione del moderno Stato di diritto è legata da Max Weber alla costruzione delle condizioni della fiducia.

2. Stato di diritto e fiducia

Da questo punto di vista è ancora valida e attuale la lezione di Max Weber il quale aveva colto con grandissima acutezza il peso e il valore degli aspetti fondamentali della fiducia e della protezione come fondamenti dello Stato di diritto che ne fanno certamente qualcosa di più attivo e importante della mera e statica definizione per la quale lo Stato è il monopolio dell’uso della forza fisica legittima. In Economia e Società (apparso nel 1922, due anni dopo la morte di Weber), nella sezione dedicata a Le categorie fondamentali dell’agire economico, in un paragrafo intitolato “il finanziamento dei gruppi politici”, Max Weber individua la relazione più diretta tra l’economia e i gruppi orientati in senso extraeconomico nel “modo di procurare prestazioni di utilità per l'agire del gruppo”. La “dotazione di prestazioni di utilità prodotte economicamente, può - secondo Weber - essere ricondotta ad alcuni tipi più semplici fra i quali il finanziamento intermittente, che può avvenire sulla base di prestazioni puramente volontarie o sulla base di prestazioni estorte. E’ sorprendente constatare come Weber - ed è un aspetto spesso ignorato - leghi la tipologia delle prestazioni estorte alla Camorra, alla Mafia,

82 ad altri gruppi simili esistenti in India, in Cina o alle sette e alle associazioni segrete con “approvvigionamento economico affine”. Queste prestazioni, osserva Weber - assumono spesso il carattere di “versamento periodico” in cambio di determinate “controprestazioni”, e specialmente di garanzie di sicurezza. E in termini di vendita di fiducia di protezione e di sicurezza - come sostituto della fiducia - sembra si sviluppasse la riflessione weberiana sulla Mafia e la Camorra come possibile rilevare da una testimonianza che lo stesso Weber ci fornisce in Economia e Società. Scrive Weber: “Ecco l’osservazione di un fabbricante, fattami circa vent’anni fa, in risposta ai dubbi sull'efficacia della Camorra in riferimento all'impresa: “Signore - fu la risposta - la Camorra mi prende x lire al mese, ma garantisce la sicurezza - lo Stato me ne prende dieci volte tanto, e garantisce niente” [Weber, trad.it.1968, I:1 95]. L’investimento in fiducia nel sistema mafioso è la base dalla quale si produce e riproduce la subcultura mafiosa. I processi di ibridazione diffusi dai reticoli mafiosi penetrano in questo modo anche all’interno dei mondi vitali coinvolgendo la personalità, la cultura e la famiglia. Il sistema di potere mafioso, con le sue ramificazioni nel sistema politico- amministrativo, nell’economia, nella cultura e nell’intera società siciliana, ha di fatto impedito che si sviluppasse una cittadinanza che concretamente tornasse ad investire in fiducia nello Stato come artefice fondamentale credibile della sicurezza e della protezione. Con la maturazione del diritto positivo, sostiene Franchetti, si verificò un processo che dava “alla società un carattere più democratico col lasciare aperta la via ad ognuno che ne fosse capace , di usare delle

83 forze in essa esistenti”[ Franchetti, 1993: 94]. Ma ciò non significò certamente sviluppo dei principi della formazione di una middle class, dell’autogoverno e del decentramento inglese ai quali guardava Franchetti. Questo processo in Sicilia, invece, fece diventare la violenza “addirittura un’istituzione sociale” [Franchetti, 1993:95]. “L’organizzazione della violenza diventa per tal modo più democratica, è adesso accessibile a molti piccoli interessi […], ad ogni ceto e ad ogni classe” [Franchetti, ibidem] . Il monopolio dell’uso della forza fisica legittima passa dal punto di vista formale e legale allo Stato mentre materialmente rimane nelle mani dei privati. Ciò consente di riflettere su come si siano consolidate e diffusi i sodalizi criminali e i reticoli mafiosi: “Come anche l’esperienza – per molti versi differente – ha mostrato l’isolamento culturale e sociale dei mafiosi è una risorsa indispensabile. Nelle condizioni del Mezzogiorno, in particolare della Sicilia, è però molto difficile realizzare questo isolamento per almeno due motivi. Il primo ha a che fare con la cultura delle classi dirigenti densa di elementi di scetticismo e di autodistruttività, come reazione alla sua impotenza storica. Il secondo riguarda il fatto che l’incapacità di innescare uno sviluppo economico e civile fa delle organizzazioni mafiose una sorta di sistema politico locale alternativo. Le reti criminali traggono infatti legittimazione dal fatto che riescono in qualche modo a dare risposte a bisogni diffusi di reddito, ma anche di affermazione e di status sociale ai quali la società non è invece in grado di rispondere con strumenti legittimi e legali [Trigilia, 1988].

84 In questo modo il sistema mafioso sviluppa una sua politicità che “regola”, per così dire, il rapporto con lo Stato, ibrida i processi economici, politici e culturali e la stessa struttura della legalità. In questo modo oggettivamente le reti della mafia e quelle delle clientele politiche, stringendo sempre più forti relazioni sistemiche, – ciò che è stato definito come sistema politico locale alternativo – hanno costantemente imposto un proprio sistema della legalità” sfruttando la forte e diffusa sfiducia nello Stato. Un altro brano di Franchetti è particolarmente significativo nel sottolineare l’impotenza della autorità politica e statale che fece sparire “perfino quell’oscura distinzione fra atti legali e illegali, che è sempre nelle menti generata da un diritto positivo efficace, per quanto la distinzione da questo sancita sia, al punto di vista della società moderna, iniqua ed ingiustificata. Ne risultò che, sparito qualunque criterio il quale distinguesse delle violenze lecite e delle altre illecite, e rimaste le condizioni di fatto che facevano della violenza il fondamento delle relazioni sociali, queste furono tutte indistintamente ammesse dal senso giuridico delle popolazioni”[ Franchetti, 1993: 94]. Questione siciliana e questione mafiosa, legalità e sviluppo sono profondamente intrecciate nell’analisi di Franchetti. La costruzione dello Stato di diritto, – direbbe Weber – il conseguimento da parte dello Stato del monopolio dell’uso della forza fisica in Sicilia, sono legate alla costruzione della certezza del diritto, dei diritti e della legalità. Ciò implica la costruzione capillare della fiducia nello Stato di diritto e della politica come garanti dell’ordine pubblico e della sicurezza contro il dilagare del potere e della violenza e dei privati. La

85 costruzione del moderno Stato di diritto è legata da Max Weber alla costruzione delle condizioni della fiducia. Per Franchetti era necessario innanzitutto un mutamento radicale delle condizioni sociali: “Si mutino prima – scriveva – in Sicilia le condizioni sociali, si assimilino a quelle delle società che si prendono per tipo quando si giudica la Sicilia, si sostituisca insomma la forza della Legge la alla forza privata, ed allora solamente si avrà il diritto di chiedere ai siciliani di contribuire all’ordine pubblico, e di chiamarli immorali se non lo fanno”. [Franchetti, 1993: 141]. Franchetti parla qui dell’esigenza del mutamento delle condizioni Sociali della Sicilia, sottovalutando che esse sono strettamente dipendenti dalle strutture della legalità che formano le precondizioni necessarie per uno sviluppo fondato sulla fiducia e sulla cooperazione. Queste vicende che si sviluppano a partire dall’unità d’Italia, si approfondiscono nel corso del XX secolo e continuano, per molti versi, a perpetuarsi ancora – nonostante il profondamente mutato atteggiamento dello Stato nei confronti delle mafie e i suoi importanti successi nel contrasto della criminalità mafiosa - nel primo decennio del XXI. Lo storico Massimo L. Salvadori riflettendo sulla Questione Meridionale, riprende, a distanza di quasi un secolo e mezzo, le celebri inchieste sulle condizioni sociali, politiche e morali delle province napoletane e della Sicilia di Sidney Sonnino e Leopoldo Franchetti, sostiene che a leggere le conclusioni di quelle inchieste – sostiene Salvadori -si rimane sbalorditi “tanto appare che per aspetti decisivi la situazione è rimasta quella di allora” [Salvadori, 2008].

86 In Campania e in Sicilia sarebbe stato operato un vero e proprio “tradimento dell’etica pubblica” e dell’’interesse generale da parte di chi governa”: “incompetenza e indifferenza di fronte alla gestione del territorio, spreco e saccheggio di un mare di denaro, umilianti pratiche spartitorie, sacche di malasanità imperante, rivendicazione di innocenza da parte delle autorità regionali secondo lo spirito dello scaricabarile” [Salvadori, 2008]. “L’economia, i rapporti di proprietà, i modi di produzione, le stratificazioni sociali sono cambiati, ma è come se questo cambiamento fosse rimasto senza effetto su troppa parte della mentalità, del costume, dei modi di fare politica, di gestire il potere, degli atteggiamenti e dello spirito di chi sta in alto e di chi sta in basso. Sicché la questione meridionale non solo è tutt’altro che finita, ma resta una componente e finanche il cuore della “questione italiana”. Vani sono rimasti gli sforzi dei meridionalisti di diversa tendenza che facevano leva sul ruolo moralizzatore dello Stato centrale nei confronti delle “verminaie locali”, sulle iniziative di una nuova classe dirigente per rigenerare il costume corrotto. Ma nonostante grandi battaglie e parziali successi – sostiene Salvadori – “non sono riusciti a porre fine o quanto meno a collocare ai margini la commistione di affarismo e clientelismo, il saccheggio delle risorse pubbliche, la diffusa corruzione, l’intreccio delle collusioni tra settori influenti dei partiti e le perverse organizzazioni criminali capaci di piegare ai loro interessi settori cospicui della politica, del’amministrazione, dell’economia e persino frange della magistratura e delle forze dell’ordine” [Salvadori, 2008].

87 Se dopo un secolo e mezzo uno storico del livello di Massimo L.Salvadori, parla della situazione siciliana e campana riprendendo le analisi di Franchetti, appare del tutto evidente la radicalità con la quale bisogna riconsiderare le politiche e le strategie contro la criminalità mafiosa e per lo sviluppo della Sicilia e del Mezzogiorno nella convinzione che esse sono state del tutto inadeguate a coniugare assieme: costruzione dello Stato di diritto, formazione, risanamento economico-sociale, del sistema politico-amministrativo e sviluppo. La legalità è fragile senza sviluppo e lo sviluppo credibile è impossibile senza legalità. Dello stesso pessimismo di Salvadori sono pervase le valutazioni di un illustre editorialista del Corriere della sera, Ernesto Galli della Loggia per il quale si deve parlare di un “Sud senza voce”dal momento che per la “questione meridionale” non c’è più spazio, non se ne sente più parlare da anni “ [Galli della Loggia, 2008]. “Fu tra la fine degli ’80 e l’inizio dei ’90, – scrive Della Loggia - quando agli occhi degli italiani l’immagine del Mezzogiorno cessò di identificarsi con quella di una miseria antica, e divenne quella del crimine organizzato. Fosse a causa del vasto malaffare campano legato al terremoto in Irpinia, fosse per effetto dello stragismo mafioso culminato nell’eliminazione di Lima, Falcone e Borsellino, fosse per la presenza negli ultimi governi Dc-Psi di un nugolo di ministri meridionali campioni di un clientelismo arrogante e dissipatore, sta di fatto che nel Sud non era questione di soldi ma di altro” [Galli della Loggia, 2008]. Proprio negli anni presi in considerazione da Galli della Loggia, il racket è già un fenomeno diffuso e consolidato essendosi già verificato

88 un inevitabile piegamento delle vittime e delle aziende ai costi dell’estorsione-protezione con gravissime ricadute sui consumi, sulla legalità, sui processi di innovazione, sui tempi e sulla qualità dello sviluppo. Riflettendo sulla decapitazione delle cosche palermitane, e sulla nascita a Palermo dell’associazione antiracket “Libero futuro” uno scrittore palermitano, Marcello Benfante, nel bel mezzo dei successi dello Stato, arriva a sostenere che: “la decrittazione dell’archivio contabile di Lo Piccolo ha fatto emergere con sconsolante evidenza il ritratto di una città strangolata dal pizzo, schiacciata dal suo greve silenzio e dalla sua ignavia. Il fatto che tutto ciò fosse ben noto e perfino iscritto nella categoria metafisica della “irredimibilità” non toglie nulla alla cupezza dell’immagine” [Benfante, 2008]. La crudezza dell’immagine va di pari passo con la crudezza dell’argomentare dello storico Salvadori. In entrambi è forte la consapevolezza della radicalità e della profondità del processo di liberazione dalla mafia e di sviluppo del Mezzogiorno. “C’e ancora molta strada da percorrere – scrive ancora Benfante – verso un futuro libero dalla mafia, anche se già qualcuno, come gli imprenditori Vincenzo Conticello e Rodolfo Guaiana, si è già messo coraggiosamente in cammino e fa da apripista. Palermo, d’altronde, si conferma una città double-face, un Giano bifronte: da un lato esprime il talento di un attore versatile e sensibile come Claudio Gioè, dall’altro conferma una radicatissima ideologia filo mafiosa che nell’epopea del “Capi dei capi” scorge soprattutto, con ambiguo compiacimento, l’apologia del potere e della forza” [Benfante, 2008].

89 Al di là di queste posizioni che possono sembrare peccare di eccessivo pessimismo di fronte ai grandi successi dello Stato nella lotta alle mafie, quello - pur schematicamente presentato – sono le linee essenziali del contesto socio-economico siciliano in cui si verifica una sorta di riproduzione allargata della criminalità e del sistema di potere mafioso. Questo potere si sviluppa facendo leva sulla produzione e riproduzione allargata della sfiducia che diventa nel Mezzogiorno e nella Sicilia la struttura fondamentale dominante nell’intera formazione economico-sociale. In questo modo “si crea una generale riluttanza ad intraprendere forme di cooperazione allargate e impersonali che ha come conseguenza la stagnazione dell’industria e del commercio” [Gambetta, trad. it.1989]. In una realtà caratterizzata da sfiducia e da insicurezza le possibilità di ricercare opportunità e possibilità di mobilità sociale vengono individuate nella specializzazione del bene “protezione-aggressione” e nell’inserimento nel network mafioso[ Gambetta trad.it.1989]. Una struttura sociale di questo tipo – come dimostra la persistenza storica della mafia siciliana – si riproduce in quanto possiede una propria stabilità. Il riferimento all’analisi di Franchetti ci consente di cogliere alcuni riferimenti importanti che sono all’origine dei processi specifici di vittimizzazione e di ibridazione sociale operati dal sistema di potere mafioso che si sono potenziati e ramificati nel tempo in relazione alla sua capacità espansiva come industria “della violenza” che diventa addirittura “istituzione”, nell’analisi di Franchetti, “industria che

90 produce, promuove e vende protezione privata” [Gambetta, 1992: VII] in quella di Gambetta. La convivenza di un doppio regime legalità- illegalità ha consentito non solo la mancata formazione di un moderno Stato di Diritto in Sicilia, ma che si sviluppasse, incontrastato, devastante processo di ibridazione della politica, dell’economia, della società civile, della cultura. In questo modo era inevitabile che la formazione diffusa dello spirito pubblico, cedesse il passo a quella che Gaetano Mosca definiva “spirito di mafia”. In tema di costruzione del moderno Stato di diritto e della moderna struttura della legalità e della legittimità non è superfluo ribadire, soprattutto nei contesti a forte offerta di protezione di tipo mafioso, che per i soggetti interessati al mercato la razionalizzazione e sistematizzazione del diritto divenne fondamentale l’“univocità puramente formale della garanzia giuridica” la quale “ebbe il significato di una crescente calcolabilità del funzionamento dell’amministrazione della giustizia – cosa che costituisce una delle più importanti condizioni di imprese economiche durevoli, e

91 specialmente di quelle di tipo capitalistico, che hanno bisogno della “sicurezza del traffico” giuridica” [Weber, trad. it. 1968, II: 189]16.

3. Le origini della sfiducia e delle mafie

Aldilà di ogni possibile sopravvalutazione le ricerche analizzate confermano che la griglia analitica di Gambetta nata per l’analisi della mafia siciliana può contribuire – con tutte le opportune e necessarie valutazioni- a meglio studiare i fenomeni mafiosi transnazionali e quindi a meglio implementare le politiche di contrasto sul piano internazionale. Gli studi di Federico Varese, Oriana Bandiera, Yiu Chu Kong e Peter Hill confermano che i servizi di sostegno al rispetto forzato dei contratti e, più in generale, i servizi di protezione, definiscono il nucleo delle attività della Mafia russa, delle relazioni tra mafia siciliana e riforma agraria, delle Triadi di Honk Kong e della Yakuza giapponese. La mafia è quindi un tipo di gruppo criminale organizzato specializzato nell’offerta di protezione. Da queste ricerche risulta confermata l’analisi gambettiana della mafia come industria che produce, promuove e vende protezione privata.

16 Le condizioni della massima razionalità formale del calcolo del capitale sono da Weber così riassunte: • appropriazione completa da parte dell’imprenditore di tutti i mezzi materiali di produzione e libertà di mercato dei beni; • libertà di intrapresa; • lavoro libero, libertà di mercato del lavoro e libertà di scelta dei lavoratori; • libertà materiale di contrattazione economica; • calcolabilità completa delle condizioni tecniche di produzione (tecnica meccanica razionale): “calcolabilità completa del funzionamento dell’ordinamento amministrativo e giuridico, con sicurezza di una garanzia puramente formale di tutte le stipulazioni da parte del potere politico (amministrazione formalmente razionale e diritto anch’esso formalmente razionale)” [Weber, trad. it.1968, I: 161]; • separazione più compiuta possibile dell’impresa e del suo destino dall’economia domestica; • ordinamento il più possibile formalmente razionale del sistema monetario. 92 L’argomentazione di Oriana Bandiera si basa sul fatto che la protezione implica “esternalità”, nel senso che acquistando protezione ciascun proprietario terriero dirotta i criminali sulla proprietà altrui. In sintesi, il diffuso banditismo, l’inadeguatezza dei servizi di protezione e di sicurezza pubblici e la mancanza di insediamenti permanenti nelle zone rurali, favorirono l’emergere di una domanda di protezione privata accolta e soddisfatta dalle guardie armate, precedentemente al servizio dei signori feudali, dotate di competenze e capacità rispondenti alle esigenze di protezione della nuova classe di proprietari terrieri e con un grado di autonomia, una volta abrogato il sistema feudale, che consentiva loro di offrire protezione in un mercato altamente competitivo caratterizzato dalla concorrenza fra i nuovi proprietari terrieri. I due studiosi americani, Milhaupt e West, sostengono che la Yakuza si è sviluppata nel Giappone post-feudale sulla base di certe modalità con le quali la mafia si è sviluppata in Sicilia. Il Giappone, come la Sicilia e la Russia, era caratterizzato da un rilevante incremento della proprietà privata disgiunto dalle necessarie garanzie pubbliche, di tutela dei diritti di proprietà e di protezione statale generale. Si tratta proprio – come è del tutto evidente - di quei fenomeni fondamentali che contribuiscono in modo determinante creare le condizioni iniziale per l’attivazione dei circuiti criminali operanti come “garanti” della proprietà privata in sostituzione di uno Stato debole e incapace di imporre decisioni vincolanti in quanto privo di quel monopolio legittimato della forza in grado di conferire efficacia all’applicazione delle leggi.

93 Sul piano della ricerca sulle mafie si può dire secondo il punto di vista di Milhaupt e West [Milhaupt, West, 2000] – i quali parlano della criminalità organizzata come The dark side of Private Ordering 17- che sia necessario porre in primo piano l’esigenza di legare l’analisi di tipo sociologico-economica a quella di taglio istituzionale per cercare di fare più luce sui processi che determinano lo sviluppo delle organizzazioni criminali nel mondo. Proprio qui mi sembra che possano essere individuate le ragioni di una svolta sul piano transnazionale degli interventi degli Stati, dell’azione globale di contrasto e nella ricerca stessa. Milhaupt e West hanno il merito di segnalare la contraddizione che sempre più rischia di acuirsi negli Stati e nelle istituzioni della globalizzazione: quella perversa contraddizione che il momento dello sviluppo economico–sociale e della democrazia da quello che riguarda il potenziamento della sfera pubblica e della capacità di regolazione dello Stato. Gli Stati e le future istituzioni sovranazionali, potranno tenere sotto controllo il lato oscuro del potere privato e contrastare credibilmente la criminalità solo se sapranno superare le attuali inefficienze e debolezze dei sistemi di regolazione e sviluppare il sistema di garanzia e di tutela dei diritti di proprietà. Ciò dà ragione ad Hernando de Soto: “E’ mia convinzione che il capitalismo nei paesi in via di sviluppo ed ex comunisti ha perso la

17 Come hanno scritto due studiosi americani C. J Milhaupt e M. P.West, “La criminalità organizzata prospera. Fiorisce nelle economie di transizione, persiste nelle nazioni sviluppate si sviluppa nella globalizzazione” [ Milhaupt, West, 2000]. Più del 40 per cento dell’economia russa è controllata dai gruppi criminali. In Giappone l’influenza del crimine organizzato si estende dalla prostituzione, ai corsi di golf, dalle banche alla sicurezza, ai disastri. Negli Stati Uniti continua ad occupare le prime pagine dei giornali. Le Nazioni Unite hanno cominciato a dedicare risorse per combattere la criminalità organizzata internazionale.

94 sua strada. Non è più conforme alle regole di equità. E’ al di fuori della portata di coloro che dovrebbero costituire la sua più larga base e, invece di essere una promessa di opportunità per tutti, appare sempre più come il leitmotiv di una corporazione di uomini d’affari interessati solo a se stessi e alle loro tecnocrazie” [ De Soto, trad. it. 2001: 246]. Varese, analogamente, dimostra che le origini della Mafia russa sono da collegare alla transizione all’economia capitalistica in un periodo in cui, come in Sicilia, le riforme istituzionali determinarono la diffusione della proprietà privata senza che questa fosse sostenuta dalla robustezza istituzionale di uno Stato capace di far valere il rispetto di tali diritti di proprietà, e creando così le premesse per una elevata domanda di protezione privata. Come le ex guardie feudali siciliane, “gabelloti” e “campieri”, molti ex ufficiali del KGB e molti soldati senza occupazione si trovarono nelle condizioni di rispondere e soddisfare tale domanda, a fronte dell’assenza o dell’inefficienza di agenzie pubbliche di sicurezza e di protezione. Si sono molto schematicamente indicati alcune linee che delimitano i contesti in cui inserire l’analisi del contrabbando che costituisce un punto di riferimento per analizzare il fenomeno mafioso collocandolo non solo nella dimensione siciliana, ma in quella nazionale e internazionale. Nella dimensione locale coglieva bene le origini del fenomeno del contrabbando e le sue relazioni con la criminalità organizzata il barone Turrisi Colonna. Nei Cenni sullo stato attuale della sicurezza pubblica in Sicilia, pubblicato a Palermo nel 1864, Turrisi Colonna parlava di una “setta

95 che trova ogni giorno nuovi affiliati nella gioventù più svelta della classe rurale, nei custodi dei campi e nell’agro palermitano, nel numero immenso dei contrabbandi, che dà e riceve protezione e soccorsi da certi uomini che vivono nel traffico ed interno commercio, che poco teme la forza pubblica, perché crede potersi facilmente involare alle sue ricerche, che poco teme la giustizia punitrice, lusingandosi nella mancanza delle prove e per la pressione che esercita sui testimoni” [Turrisi Colonna, 1864: 57]. Se consideriamo, dunque, la mafia come organizzazione, come “industria che produce, promuove e vende protezione privata” al fine di utilizzazione di tutte le opportunità per l’accumulo di profitti illeciti nei mercati legali e illegali e, per potenziare i processi di legittimazione del proprio potere, del proprio prestigio e della propria autorità, avvalendosi di reti di relazioni ampie, variegate e capaci di includere soggetti dotati di potere e di prestigio nella società legale, si comprenderà bene come il contrabbando di tabacchi lavorati esteri abbia costituito non solo una delle fonti del suo potere economico, ma soprattutto una componente essenziale dell’evoluzione della struttura di Cosa nostra che ha scandito le tappe fondamentali della sua evoluzione.

4. Il contrabbando, i suoi intrecci con Cosa nostra e la formazione di una rete criminale internazionale

Il contrabbando nei contesti sopra delineati e si pone al centro dei processi di modernizzazione e di internazionalizzazione di Cosa nostra.

96 Questi processi si potenziano notevolmente tra anni settanta e anni ottanta. In quel periodo le mafie si rafforzarono nelle aree di più antico inquinamento (Sicilia centro-occidentale, Calabria meridionale, Napoletano) insediandosi pressoché ex novo in molte regioni del Sud (Puglia, Sicilia orientale) considerate sino ad allora immuni, distendendo le loro reti di affari e malefatte su un’ancor più vasta porzione del territorio nazionale pur in un contesto di lotte intestine che falcidiarono i membri delle opposte fazioni in una misura senza precedenti” [Lupo, 2007:11]. Proprio alla fine degli anni settanta, (il 21 luglio 1979, trent’anni fa), quando Leoluca Bagarella sparò sette colpi di pistola alle spalle di Boris Giuliano, superata la French connection, i vecchi contrabbandieri di tabacco, come Masino Spadaro, Nunzio La Mattina, in possesso di ingenti capitali e ricchi di relazioni accumulate nel tempo si rivolgevano direttamente al’estremo oriente per i loro traffici. L’istruttoria di Falcone nasce in stretto collegamento con le indagini di Boris Giuliano che, in collegamento con la Dea, era venuto a conoscenza della struttura di tale gruppo che intratteneva relazioni con una rete molto ampia che comprendeva imprenditori, banchieri, riciclatori con una divisione del lavoro tra l’area del narcotraffico e quella affaristica. Da anni Giuliano si dedicava alla ricerca delle raffinerie palermitane e la sua tesi che vedeva Palermo al centro del traffico internazionale di stupefacenti aveva trovato conferma soltanto un mese prima, quando a distanza di pochi giorni erano stati ritrovati negli aeroporti di Punta Raisi e di New York rispettivamente due valigie abbandonate contenenti 500.000 dollari ed eroina per il valore di dieci miliardi.

97 Proveniente da Palermo. Giuliano scoprì che i soldi che partivano dagli Stati Uniti sostavano presso istituti di credito svizzeri e società finanziarie controllate da Sindona prima di raggiungere la Sicilia. Giuliano scopre che l’eroina destinata agli Stati Uniti non era soltanto commercializzata ma anche raffinata a Palermo come testimoniato dalla scoperta di alcune raffinerie. Il ’79 è l’anno dell’uccisione di Carmine Galante a New York e dell’avvocato Ambrosoli che stava indagando su Michele Sindona, a Milano. Sempre il ’79 è l’anno del viaggio segreto di Sindona in Sicilia, ospite di Rosario Spatola che della sezione affaristica era l’esponente di spicco. L’intreccio e la cooperazione di due metodi convergenti di indagine, quello di Giovanni Falcone e quello di Boris Giuliano ebbero un ruolo importante nel rendere realtà concretamente individuabili le reti mafiose nazionali ed internazionali. Venne alla luce l’enorme giro d’affari affaristico-criminale che aveva un polo a New York rappresentato dagli importatori (i Gambino di Cherry Hill e gli Inzerillo) e l’altro a Palermo (esportatori, raffinatori, riciclatori). Tuttavia, fa rilevare Salvatore Lupo, Giovanni Falcone le connessioni tra questo circuito e le gerarchie mafiose dominanti: “Non si poteva sostenere, scrisse, che tutti i mafiosi commerciassero in droga, ma certo molti di loro lo facevano intessendo alleanze che non rispondevano alla partizione territoriale delle cosche palermitane. Era un mondo fattosi d’improvviso fluido, un ordine infranto nel quale la violenza cresceva insieme alle occasioni di profitto e alle tentazioni di scalata al vertice. , fulcro del terminale palermitano del network narcotrafficante siculo-americano, era anche

98 il “capo di una potentissima organizzazione mafiosa palermitana” – e il suo assassinio dimostrava quanto la situazione fosse lontana dallo stabilizzarsi” [Lupo, 2008: 256]. Nell’immediato dopoguerra snodo e fondamentale del contrabbando internazionale era, sulla costa mediterranea del Marocco, di Tangeri, che l’impunità per affari e traffici. I carichi di tabacchi lavorati destinati all’Europa venivano introdotti da Gibilterra e dal sud della Francia, in particolare da Nizza e Marsiglia, che godevano al riguardo di una tradizione storica. Per forza di cose, in tali traffici un ruolo cardine avevano guadagnato quindi i clan marsigliesi, mostrandosi in grado di suggerire regole all’intero mercato internazionale. I contrabbandieri siciliani sfruttarono tutte le opportunità fornite da questi traffici, cooperando con i marsigliesi svolgendo un ruolo di primo piano e acquisendo rispetto e reputazione. A quanto pare negli anni Cinquanta contrabbandieri palermitani come Pietro Davì, soprannominato Jimmy l’americano, aveva attivato reti internazionali di contrabbando di rilievo internazionale. Cominciavano ad avere peso personaggi come Salvatore Greco Vincenzo Spadaro, Salvatore Adelfio, Tommaso Buscetta. Come si evince dai rapporti delle polizie dell’epoca, fu comunque determinante la presenza, da Napoli, dell’italoamericano Lucky Luciano: la cui morte, avvenuta nel 1962, segnò l’inizio di un aspro conflitto fra siciliani e marsigliesi. L’organizzazione illegale del traffico di tabacchi si sviluppa, quindi, in stretto rapporto con l’evoluzione di Cosa nostra e con la sua rete di rapporti internazionali. La storia del contrabbando di tabacchi coincide, per molti aspetti, con la storia delle relazioni internazionali di Cosa Nostra.

99 Con la caduta del muro di Berlino questi processi si potenziano con la formazione di nuovi modelli organizzativi e l’infittirsi della rete internazionale. Nell’Ordinanza sentenza del maxiprocesso istruito da Falcone si colgono i rapporti tra Cosa nostra e il contrabbando. Si dice addirittura che “l’organizzazione si era impadronita di questo affare negli anni Cinquanta”, ma il momento della sua maggiore diffusione si era avuto nel corso della prima metà degli anni settanta. I maggiori contrabbandieri erano i palermitani Tommaso Spadaro e Nunzio La Mattina, entrambi della famiglia di Pippo Calò e il napoletano Michele Zaza (tutti e tre all’inizio non erano “uomini d’onore”, ma lo diventeranno successivamente allo scopo di renderli più disponibili agli ordini della commissione”. Se il contrabbando di sigarette era stato l’affare degli anni Settanta, quello degli stupefacenti lo fu nei primi anni Ottanta. Il contrabbando dei tabacchi era stato abbandonato verso la fine degli anni settanta. Sia per l’incremento delle beghe interne, sia per l’aumento dei rischi che spesso mandavano a monte affari importanti. Il La Mattina, in particolare, aveva avuto modo di conoscere le reti internazionali che si sviluppavano dalle fonti di produzione della materia prima per la produzione dell’eroina, ed era riuscito a convincere gli esponenti più autorevoli di Cosa nostra ad interessarsi a questo mercato di gran lunga più ricco di quello dei tabacchi. La fornitura della materia prima resto affidata allo Spadaro, al La Mattina e a Savoca, i quali lavoravano ognuno per conto proprio, tenendo gelosamente segreti i propri canali. Gli altri partecipano al

100 traffico quotandosi per finanziare l’acquisto e la raffinazione dell’eroina e ritirando poi dai laboratori palermitani il prodotto finito. Nella Sentenza istruttoria viene riportata la dichiarazione di Buscetta per la quale i Nuvoletta, malavitosi di Napoli, erano alle dirette dipendenze di Michele Greco, e, come aveva appreso direttamente, erano in ottimi rapporti con i corleonesi, tanto che avevano procurato loro degli asili in Campania e gestivano per conto di Leggio una grossa proprietà terriera in Campania. Dopo l’arresto di Liggio, i Nuvoletta si mantenevano amici e intensificavano i rapporti con . Salvatore Contorno, a sua volta, ha dichiarato di avere partecipato a ben due riunioni nel 1974 e nel 1979) nelle tenute agricole dei Nuvoletta per problemi di gestione del traffico di tabacchi e, probabilmente e discutere del narcotraffico. Alla prima riunione avevano partecipato, tra gli altri, Federico Salvatore, Stefano Bontate, Giuseppe Calò, Salvatore Riina, Tommaso Spadaro, Nunzio La Mattina, i fratelli Giuseppe ed Antonio Calderone, Bernardo Brusca, Giovanni Pullara, Michele e Salvatore Zaza. Alla seconda erano presenti i Nuvoletta, Michele Zaza, Pippo Calò, Salvatore Riina, Bernardo Brusca e Francesco di Carlo. Buscetta dichiarò che con il controllo della mafia sul contrabbando gli affari si moltiplicarono:mentre in precedenza era considerato un grosso contrabbando quello di cinquecento casse di sigarette per volta, in seguito ogni nave contrabbandiera scaricava non meno di 35-40 mila casse per ogni viaggio. Ne conseguì la necessità per Cosa nostra di far divenire “uomini d’onore” i maggiori contrabbandieri.

101 5. Il contrabbando le dichiarazioni di Buscetta, la seconda guerra di mafia e l’operazione Old Bridge.

Lo storico Salvatore Lupo ha posto recentemente una questione di rilievo a proposito dei rapporti tra contrabbando, Cosa nostra e Stati Uniti mettendo in discussione le dichiarazioni di Masino Buscetta sulla seconda e cruenta guerra di mafia, che sono state giudicate attendibili. Quando gli inquirenti chiedono a Buscetta se le cause della guerra dei primi anni ’80 fossero da ricercare nel controllo del mercato della droga, la sua risposta fu seccamente negativa. Secondo Buscetta tutto si doveva alle mire egemoniche dei corleonesi. “E’ invece evidente – scrive lo storico Salvatore Lupo – che i mafiosi si scontrarono nel 1981-82 per il controllo delle rotte che portavano la droga in America e di conseguenza dei dollari che venivano da lí” [Lupo, 2008:261]. La spiegazione fornita da Lupo si basa sulle molteplici incongruenze individuate nelle dichiarazioni di Buscetta. Lupo con riferimento alle dichiarazioni di Antonino Giuffrè distingue due fasi. La prima, - afferma Lupo – “tendeva a ristabilire il confine tra componente palermitana e componente neworkese, messo in discussione dall’emergere di una terza mafia, e a eliminare gli intermediari del narcotraffico” (261). La seconda “tendeva a garantire una gestione centralizzata dell’onorata società nel momento in cui la tradizionale articolazione in famiglie era stata spazzata via dagli eventi”. “La spiegazione di tutte queste incongruenze – spiega Lupo – sta nelle parti della storia che Buscetta ha tentato sino all’ultimo di tenere

102 nascoste. Lui rappresenta l’uomo degli americani, il costruttore principale – forse insieme a Badalamenti – del nuovo passaggio siculo-americano lungo il quale fluiva la droga tra gli anni ’60 e ’70. Chi lo chiamava in causa sperava che potesse mobilitare i suoi protettori d’oltreoceano per riportare un po’ d’equilibrio nelle cose palermitane; l’assassinio dei suoi amici e parenti faceva parte di una più vasta operazione di segno opposto, tendente a spazzare via col terrore la terza mafia di cui era uno degli esponenti più noti e qualificati” [Lupo, 2008:260]. Tutto ciò mostra come, più o meno conflittuali, i rapporti tra Cosa nostra americana e quella siciliana siano rimasti solidi nel tempo. Già alcune recenti operazioni di polizia avevano evidenziato la permanenza di tali rapporti (in particolare tra le famiglie della provincia di Palermo, e Cosa nostra americana, (in particolare i Gambino di New York: • l'operazione Grande Mandamento, che ha portato tra l'altro al fermo di Angelo Tolentino il 25 gennaio 2005; • il procedimento penale n. 13030/03 R.G.N.R. che ha portato l'11 aprile 2006 alla cattura di Bernardo Provenzano; • l'operazione Gotha, che ha portato tra l'altro il 20 giugno 2006 al fermo di Antonino Rotolo. Due i principali filoni di questi rapporti: da un lato cosa nostra palermitana avrebbe cercato contatti con gli Inzerillo–Gambino per stabilire connessioni con cosa nostra americana e migliorare la loro posizione nel traffico internazionale di stupefacenti. Si è parlato a questo proposito di una trattativa per consentire ad alcuni appartenenti agli Inzerillo (tra i perdenti della guerra di mafia dei primi anni '80

103 esiliati negli Stati Uniti, detti anche gli scappati), di ritornare a Palermo. Queste operazioni sono scattate quando le due organizzazioni mafiose non erano pervenute a mediazioni definitive sulle quali, sicuramente, un influsso notevole hanno avuto la cattura di Bernardo Provenzano e di gran parte dei vertici palermitano (Antonino Rotolo, Antonino Cinà, Francesco Bonura, ed esponenti degli Inzerillo, come Tommaso, Francesco e Francesco Inzerillo. Le indagini sugli Inzerillo sono continuate nel Progetto Pantheon (collaborazione con FBI), attraverso intercettazioni e lettere sequestrate in occasione della cattura di Salvatore e Sandro Lo Piccolo. Le principali famiglie palermitane identificate come interessate alle dinamiche evidenziate sono quelle di Brancaccio, Pagliarelli e Villagrazia di Palermo. Old Bridge é nata dalla collaborazione con le strutture investigative statunitensi come molte altre importanti operazioni, tra cui: • Pizza Connection, sviluppata tra Italia, USA, Svizzera, Francia e Spagna; • Iron Tower, sviluppata tra USA (New York, New Jersey, Pennsylvania e Virginia), Santo Domingo e Italia (Mombaruzzo e Palermo); • Busico, sviluppata tra USA (New York e New Jersey), e Italia (, Taranto, Napoli e Sarno); • Lasima, sviluppata tra USA (California e New Jersey), ed Italia (Palermo, Calabria e Campania);

104 • Adamita-Romano, sviluppata tra USA (New York), e Italia (Palermo, Napoli e Roma). New York é considerato il punto focale delle attività criminose su cui si é indagato in queste operazioni. Le famiglie newyorkesi dei Gambino e, in misura minore, dei Bonanno controllavano la maggior parte del mercato dell’eroina della costa orientale. I clan siciliani avevano un appoggio a New York, in collaborazione con gli americani Con la recente operazione ''Old Bridge'' (2008), realizzata dalla polizia italiana e dall’FBI americano, non solo vengono confermate i rapporti tra le organizzazioni mafiose siculo-americane, ma vengono alla luce anche i conflitti esistenti tra le cosche siciliani sul ritorno in patria dei cosiddetti “scappati” legati agli Inzerillo. Novanta persone arrestate tutte facente parte delle ''storiche'' famiglie mafiose palermitane, che avrebbero riallacciato relazioni sul territorio americano, in particolare con uomini della famiglia mafiosa americana degli Inzerillo-Gambino, collegata all'ex capo di Cosa nostra, Bernardo Provenzano, e, dopo di lui, a Salvatore Lo Piccolo, anche in relazione ai suoi collegamenti internazionali. I magistrati newyorchesi hanno ordinato, tra gli altri, anche l'arresto di Frank ''Boy'' Calì, ritenuto il nuovo capomafia della "famiglia Gambino". Il boss, secondo le indagini condotte in maniera congiunta dall'FBI e dal Servizio centrale operativo della polizia di Stato, era da alcuni anni in contatto proprio con i mafiosi palermitani che facevano capo a Provenzano e a Lo Piccolo. Tra gli arrestati anche l'altro superboss italo-americano Filippo Casamento. L'operazione 'Old Bridge' è il naturale sviluppo delle indagini condotte negli ultimi anni dalla procura di Palermo, che si sono concluse con la

105 cattura di Provenzano e dei Lo Piccolo. All'origine della brillante operazione ci sono una serie di indizi raccolti grazie a “pizzini” di eccezionale rilievo e intercettazioni ambientali e telefoniche. Tutti questi indizi sembra abbiano evidenziato la ricerca di una nuova rete di rapporti tra le famiglie palermitane e americane di Cosa nostra. Al centro del ponte tra i due mondi c'era la famiglia Gambino di New York. Dalle prove raccolte è emerso tra l'altro che i vertici di Cosa nostra hanno a lungo discusso sul ritorno a Palermo degli ''scappati'', ossia alcuni membri della famiglia Inzerillo. Al termine della guerra di mafia dei primi anni '80 alcuni affiliati al clan erano stati risparmiati dalla mattanza a condizione di restare negli Stati Uniti. Evidentemente, però, in nome del nuovo asse tra Palermo e New York i capi della mafia avevano deciso di superare vecchi contrasti e sanguinose guerre. Risulta del tutto evidente il tentativo da parte della mafia palermitana di ristabilire rapporti con la malavita nordamericana e di rientrare nel traffico di droga, molto più lucroso dell’estorsione - protezione. Stando alla ricostruzione degli inquirenti italiani e americani, dopo la seconda guerra di mafia degli anni Ottanta, quella tra i ''Corleonesi'' di Totò Riina e i "Palermitani" (principalmente le famiglie affiliate ai Bontate, ai Badalamenti ai Buscetta e agli Inzerillo), che lasciò sul terreno decine di morti e costrinse i cosiddetti “scappati” ad attraversare il “vecchio ponte” con un ticket biglietto di sola andata, i rapporti tra i boss mafiosi palermitani e Cosa nostra americana sono stati riallacciati. Tra i primi ad andare negli Stati Uniti nel 2003 è stato Nicola Mandalá, che aveva attivato canali e contatti con i boss del

106 mandamento palermitano di Passo di Rigano. I contatti, come affermano i magistrati nel provvedimento di fermo, avevano l'obiettivo di “elaborare e perseguire una strategia di riammissione di alcuni boss che negli anni '80 erano fuggiti da Palermo per scampare alla guerra di mafia scatenata da Totò Riina, e rifugiarsi negli Stati Uniti”. Fra le famiglie mafiose che avevano dovuto abbandonare in fretta e furia la Sicilia per andare negli Stati Uniti spiccano gli Inzerillo, che solo di recente sarebbero stati riammessi sul circuito palermitano per il traffico di droga. L'uomo-chiave dell'indagine sarebbe, secondo gli investigatori italiani e americani Frank Calì, meglio conosciuto come Franky Boy, ufficialmente amministratore di alcune società di import export di frutta a Brooklyn, ma in realtá presunto trafficante di droga. Nicola Mandalá sarebbe andato proprio da Calì per preparare il terreno affinché si potesse ricostituire un grande ponte tra Palermo e New York. Da Calì si sono recati per ''affari'' anche boss mafiosi del calibro di Giovanni Nicchi, uomo di fiducia di Antonino Rotolo. A partire dal 2003, nell'ambito di indagini svolte nei confronti di uomini d'onore appartenenti alle famiglie mafiose di Villabate, di Torretta e di Passo di Rigano, sono stati acquisiti dagli investigatori “numerosi elementi che indicavano il rafforzamento degli interessi di Cosa nostra siciliana in territorio statunitense”. Sono così stati documentati, in quel periodo, “significativi incontri sia nel capoluogo palermitano che negli Stati Uniti d'America”, seguiti da viaggi effettuati in territorio statunitense da mafiosi palermitani di spicco,

107 tanto da indurre a ritenere che i contatti tra le due sponde dell'oceano potessero essere finalizzati alla realizzazione di affari illeciti. Questi i viaggi più importanti: il 26 novembre 2003 Nicola Mandalá e Giovanni Nicchi, rispettivamente esponenti di rilievo delle famiglie mafiose palermitane di Villabate e Pagliarelli, sono partiti alla volta di New York, facendo rientro in Italia il successivo 7 dicembre; il 23 dicembre 2003 sono partiti, sempre alla volta di New York, Giuseppe Inzerillo (nipote di Totuccio Inzerillo, uno dei grandi capimafia siciliani prima dell'avvento dei Corleonesi) e Salvatore Greco. Il 22 gennaio 2004 è partito per Toronto il vecchio boss (82 anni) Filippo Casamento (già sottocapo della "famiglia" di Boccadifalco, prima che i Corleonesi prendessero il potere, e fra gli organizzatori dei traffici della "Pizza Connection'') accompagnato da Giovanni Inzerillo, figlio secondogenito di Totuccio, per incontrare uomini d'onore di origine italiana come Michele Modica e Michele Marrese; il 18 marzo 2004, ha fatto ritorno a New York Nicola Mandalá e Ignazio Fontana, inteso Ezio, anch'egli della famiglia di Villabate. Con l'inchiesta Old Bridge, inoltre a distanza di 26 anni, si è potuto fare luce sull'omicidio di Pietro Inzerillo, individuando i presunti responsabili, tra i quali il cugino della vittima. I provvedimenti di fermo riguardano Filippo Casamento e Tommaso Inzerillo. I due sono accusati di associazione mafiosa per "avere, in concorso tra loro e con ignoti componenti di Cosa nostra - si legge - con premeditazione, cagionato la morte di Pietro Inzerillo, attinto da numerosi colpi di arma da fuoco". Chiuso in un bagagliaio con la testa crivellata di colpi di pistola e una manciata di banconote infilate in bocca e nei genitali: ecco come

108 venne ritrovato il 15 gennaio 1982, in New Jersey, il corpo di Inzerillo, fuggito da Palermo dopo la seconda guerra di mafia vinta dai Corleonesi. Nel linguaggio mafioso, il gesto ha un significato preciso: Pietro Inzerillo voleva infatti tenersi parte del denaro per sé, "senza dividerlo con la famiglia". Nell'operazione è stata fatta luce anche su un altro omicidio di mafia, risalente sempre al 1982, quello di Antonino Inzerillo, cugino di Pietro, fatto sparire e mai più ritrovato. Dell'omicidio è ritenuto responsabile Tommaso Inzerillo. C'è anche un medico, ritenuto amico dei boss, tra i destinatari di un provvedimento di fermo: in carcere è finito Salvatore Emanuele Di Maggio, 49 anni, residente a Torretta, nel palermitano. Secondo gli investigatori, avrebbe mantenuto "nella sua qualità di uomo d'onore del mandamento di Passo di Rigano e Boccadifalco - si legge - più contatti finalizzati alla trattazione di affari illeciti, in particolare con Salvatore Lo Piccolo e Vincenzo Marcianò, oltre che con Francesco e Tommaso Inzerillo. Come si vede, l’operazione “Old Bridge” sembra aver spezzato il vecchio ponte alla costruzione del quale il contrabbando aveva certamente contribuito in misura rilevante. L’auspicio è che quel ponte non solo sia stato spezzato per sempre, ma che una reale cooperazione internazionale ne renda impossibile la ricostruzione.

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112 Gen. C.A. Ugo MARCHETTI

La strategia della Guardia di Finanza nella lotta al contrabbando di t.l.e.

Desidero in primo luogo porgere a tutti gli intervenuti il mio più cordiale saluto e ringraziare, in modo particolare, il Gen. Luciani per l’invito rivoltomi. Nel mio intervento cercherò di sviluppare ulteriormente alcuni punti già illustrati brillantemente dal Sig. Comandante Generale, soffermandomi in particolare sull’evoluzione storica del fenomeno del contrabbando dei tabacchi in Italia ed in Europa per arrivare a trarre delle riflessioni in chiave prospettica, anche con riferimento all’impatto ed alla strategia attuata dalla Guardia di Finanza in questo specifico settore operativo, a contrasto della criminalità organizzata. Iniziando, quindi, dalla parte più prettamente storica del discorso, è noto a tutti che lo sviluppo del contrabbando di t.l.e. sia sul territorio

113 nazionale che nel resto dei Paesi europei può essere storicamente collocato intorno alla seconda metà del XIX secolo, allorquando i Governi decisero di applicare, su questo particolare bene voluttuario, imposte e vincoli di commercializzazione di vario tipo. Tuttavia, solo agli inizi del ‘900, con la notevole diffusione dei consumi di sigarette, molti Stati europei, fra cui l’Italia, decisero di monopolizzare la fabbricazione e la vendita del tabacco per assicurarsi un maggior gettito fiscale. Nondimeno, fino al secondo conflitto mondiale il contrabbando di t.l.e. in Italia era un fenomeno di scarsa entità e, comunque, per lo più localizzato lungo la fascia di confine italo - svizzero. Più che un contrabbando vero e proprio di sigarette, era soprattutto il “prodotto in foglia” che veniva immesso sul territorio nazionale, eludendo il monopolio della coltivazione, per poi essere confezionato artigianalmente. In quegli anni, la produzione del monopolio soddisfaceva ampiamente il fabbisogno nazionale, che si incentrava sui tabacchi di tipo “nazionale” e, in misura minima, sui tabacchi “orientali”. Il monopolio, inoltre, garantiva una distribuzione a prezzi differenziati, in grado di favorire i consumi anche dei ceti meno abbienti. E’ nel corso del secondo conflitto mondiale e, segnatamente, negli anni dell’occupazione alleata che, a fronte di una sensibile diminuzione della quantità e qualità del prodotto nazionale, comincia a diffondersi il “mercato nero delle sigarette”, in gran parte alimentato dagli stessi depositi alleati.

114 L’Adelina-Sofia Loren del film “Ieri, oggi, domani” di Vittorio De Sica che piazza un banchetto e vende sigarette nei vicoli di Napoli è l’icona evidente di quella Napoli e dell’Italia di quegli anni. Quella pellicola del 1963 racconta la vera storia di Concetta Muccardi che continuò la sua attività fino alla morte nel 2000, all’età di 78 anni. Le sigarette americane ed inglesi, soprattutto per le loro caratteristiche qualitative (erano prodotte con tabacchi aromatici “biondi”) e di confezionamento, erano particolarmente ambite dai consumatori, anche per lo “status” che derivava dal loro consumo. E’ in questi anni, probabilmente, che comincia a diffondersi il germe di quella malcelata benevolenza con cui l’opinione pubblica, anche involontariamente, ha accolto ed incoraggiato il contrabbando di sigarette, con il largo consumo dei prodotti immessi sul mercato clandestino18. Il contrabbando di sigarette diventa così una delle componenti, non certo positive, del costume nazionale. Le ragioni di questo approccio anche culturale “dell’uomo della strada” sono solo in parte riconducibili al minor costo al consumo dei tabacchi rispetto a quelli praticati dal monopolio: negli anni ’90, quando il prezzo di un pacchetto di sigarette estere sul mercato legale italiano oscillava dalle 3.900 alle 5.300 lire, il corrispondente pacchetto di contrabbando veniva venduto sul mercato clandestino nazionale a circa 3.000 – 3.500 lire, partendo da un costo iniziale di acquisto variabile tra le 450 e le 750 lire. E’ quindi nei fatti che il contrabbando di sigarette, a differenza di altre forme delinquenziali, è visto più come un fenomeno extralegale che

18 Secondo una stima della seconda metà degli anni ’90, circa il 25% dei consumatori in Italia, il 55% in Spagna ed in Portogallo, il 10% in Germania e nel Benelux ed il 3% in Francia fumano sigarette di contrabbando. 115 criminale, nel quale si annidano e si confondono ragioni anche di ordine sociale. Di fronte ad un mercato del lavoro in quegli anni tradizionalmente “asfittico”, l’attività contrabbandiera: - costituisce un’endemica fonte di sostentamento per una larga parte della popolazione, soprattutto del Sud; - rappresenta - di fatto - una sorta di surrogato del lavoro. Su queste premesse, il contrabbando di sigarette affonda le proprie radici e si sviluppa progressivamente su tutto il territorio nazionale. A partire dai primi anni ’50, il tabacco lavorato estero veniva contrabbandato dalla Svizzera a mezzo dei classici “spalloni” ovvero proveniva dalle scorte alleate; i primi sodalizi criminali cominciano ad effettuare trasporti di ingenti partite di sigarette a bordo di navi passeggeri e mercantili in arrivo nei porti italiani. Siamo agli albori del c.d. contrabbando intraispettivo: le sigarette vengono sbarcate clandestinamente nei porti attraverso false dichiarazioni doganali; ma anche di quello extraispettivo: per far fronte ad una “domanda” sempre più crescente del prodotto estero, iniziano ad essere utilizzati nel trasporto di sigarette i primi motovelieri e panfili, sia italiani che stranieri, provenienti dai porti di Marsiglia, Tangeri e Gibilterra. Le modalità di perpetrazione del contrabbando erano all’epoca piuttosto semplici. Gli emissari delle varie organizzazioni - per lo più insediate nelle grandi città di Genova, Roma, Napoli e Palermo - infatti: - raccoglievano le ordinazioni e, a volte, il prezzo anticipato della merce;

116 - stabilivano un punto d’incontro in mare e, quindi, prendevano i necessari accordi con i capi che si trovavano a Marsiglia o a Tangeri. A partire dal 1955, grazie all’intensificazione della vigilanza in mare della Guardia di Finanza e, nel contempo, ai primi servizi di osservazione aerea, si perviene alla cattura di vari motoryacht (ex unità militari), di diverse navi e di numerosi pescherecci. Proprio la componente navale, che fin dalle origini ha rappresentato il primo fondamentale baluardo alla prevenzione/repressione del fenomeno, fu istituita, nel lontano 1896 (R.D. 8 marzo 1896, n. 75), così come, pressoché in contemporanea con i primi segnali di una forte espansione del contrabbando di t.l.e. su scala internazionale, si registra l’altra fondamentale creazione del Servizio Aereo della Guardia di Finanza che risale, infatti, al 1° gennaio 1954. L’attività di prevenzione e repressione del Corpo nel contrabbando di t.l.e. per via marittima, costrinse le organizzazioni contrabbandiere a modificare gli iniziali “modus operandi”. In questa fase, diventa pressochè massiccio l’impiego, nel contrabbando via mare, di mezzi più piccoli e veloci dei precedenti pescherecci che, in taluni casi, considerata la loro limitata autonomia, venivano trasportati a bordo di “navi - madre”, fino al limite della Zona di Vigilanza Doganale Marittima (12 miglia), per effettuare rapidi sbarchi sulle medesime. Sempre in quegli anni, il contrabbando di t.l.e non era diffuso solo in Italia. Le stesse ricordate metodologie di attuazione si registravano anche in altri Paesi europei, soprattutto in Spagna ed in Francia, ed extraeuropei (Libano).

117 A partire dagli anni ’60, il contrabbando di t.l.e. via mare entrò in crisi a causa di diversi fattori tra cui l’abolizione del porto libero di Tangeri, l’annessione della città all’impero marocchino, nonché l’insorgere di nuovi sistemi e vie di perpetrazione del traffico illecito, quali il contrabbando via terra per mezzo di carri ferroviari e TIR, che segnarono l’autentico inizio del contrabbando intraispettivo. La repentina evoluzione dei mezzi di comunicazione e di trasporto ha inciso, in larga misura, nell’evoluzione del contrabbando di t.l.e. degli ultimi decenni. In Puglia, ad esempio, la nascita dell’interesse della criminalità organizzata per il contrabbando di sigarette può essere temporalmente collocata agli inizi degli anni ’80, allorquando la camorra napoletana - e, per essa, principalmente l’organizzazione facente capo a Mazzarella Ciro - sia per dissidi con paritetiche bande, sia per le reiterate e ficcanti attività repressive condotte dal Corpo, trasferì sul litorale pugliese la propria flottiglia di motoscafi, con il supporto della manovalanza fornita dalla delinquenza operante nel brindisino. Il fenomeno, “esportato” in un ambiente diverso da quello ove aveva potuto prosperare per anni, non poteva non accendere analoghi interessi da parte delle locali forme di delinquenza organizzata e, fra tutte, da parte dell’organizzazione riconducibile al noto Prudentino Francesco di Ostuni (BR) che, dopo breve tempo, stringeva un accordo con l’altrettanto noto trafficante internazionale di origine elvetica Bianchi Corrado, volto all’approvvigionamento diretto di sigarette dai depositi siti nei porti albanesi di Durazzo e Valona, costantemente riforniti direttamente dalle multinazionali del tabacco operanti negli USA.

118 L'apertura di tale nuovo "fronte" ha portato, conseguentemente, allo spostamento dei traffici illeciti di varia natura (sigarette, stupefacenti, armi ed immigrazione clandestina) dal versante tirrenico della Penisola a quello adriatico pur rimanendo immutato - per quanto riguarda i t.l.e. - il principale mercato clandestino di riferimento, ancora radicato nel napoletano. Fin troppo sintomatici sono in quegli anni i collegamenti esistenti fra le organizzazioni contrabbandiere brindisine e quelle camorristiche napoletane, nonché i legami esistenti tra alcune associazioni operanti nella provincia di Brindisi (tra tutte il “clan” facente capo a Giuseppe D’Onofrio) e le “famiglie” mafiose siciliane (“in primis” quella riconducibile al noto Pietro Vernengo che, per anni, è stato improvvidamente soggetto al regime di soggiorno obbligato nella Regione). Per circa un decennio l’origine delle spedizioni dei tabacchi è rimasta localizzata in Albania: solo nella seconda metà del 1991, allorquando - in esito alla sottoscrizione di un Accordo bilaterale tra il Ministro degli Interni italiano e quello dell'Ordine Pubblico albanese - i depositi situati nei citati porti dell'Albania vennero chiusi. Tale circostanza, affiancata dal sorgere - nel 1992 - dei disordini di natura etnico-politica nel vicino territorio della Confederazione jugoslava, ha causato lo spostamento verso nord della flottiglia di motoscafi (in particolare, nei porti montenegrini di Cattaro/Kotor e Bar) e delle strutture di supporto tecnico-logistico delle organizzazioni contrabbandiere che, non potendo più confidare nella sia pur malcelata accondiscendenza delle Autorità albanesi, hanno potuto trovare analoghe

119 condizioni nel territorio degli Stati nati dalla disgregazione della ex Jugoslavia, ed in particolare del Montenegro. L’evoluzione è avvenuta in maniera sostanzialmente sfavorevole agli interessi italiani, poiché la rete di connivenze di cui beneficiano in quella Repubblica i contrabbandieri risulta ben p i ù funzionale e strutturata rispetto a quella precedentemente esistente in Albania, anche grazie a più cospicui impieghi di capitale, finalizzati sia ad acquisire e/o ad ottenere la disponibilità di importanti infrastrutture, sia a garantirsi la compiacenza o, addirittura, la collaborazione degli apparati statuali. L’esperienza investigativa e giudiziaria ha accertato, infatti, che “allo Stato balcanico” erano destinate massicce spedizioni di sigarette, del tutto sproporzionate rispetto alle capacità di consumo del mercato interno; in effetti ciò derivava dall’esistenza di un accordo fra rappresentanti del Governo montenegrino e organizzazioni contrabbandiere, in virtù del quale le autorità statali percepivano la tassa di 5.000 lire per ogni cassa di sigarette, assicurando in cambio ai trafficanti ospitalità, protezione e ausilio logistico per le successive operazioni di esportazione nell’Europa comunitaria19. Tali mutamenti nei punti geografici di riferimento, unitamente a numerose operazioni di servizio condotte dal Corpo in applicazione di norme di diritto internazionale del mare, hanno anche causato variazioni nelle tecniche adottate dalle organizzazioni contrabbandiere che hanno pressoché integralmente sostituito le cc.dd. "navi madri" - veri e propri depositi galleggianti per il rifornimento delle sigarette sui motoscafi, stazionanti in acque internazionali - con depositi siti nelle immediate vicinanze dei porticcioli delle coste montenegrine, ovvero

19 A. MANTOVANO: “Miliardi in fumo. Sviluppo, prevenzione e contrasto del contrabbando” – Ed. Manni- 2001, pp. 55-65. 120 con altre navi stazionanti nelle acque territoriali dello Stato rivierasco o addirittura all’interno di installazioni militari dello stesso. Il territorio pugliese, oltre ad essere interessato dalla penetrazione attuata in forma extraispettiva, vede pericolosamente vicini i porti della Grecia da dove, in particolar modo a far data dal 1° gennaio 1993 - data di abbattimento delle frontiere intracomunitarie - giungono di frequente autoarticolati scortati da documentazione attestante il trasporto di merci a bassa incidenza fiscale o sigarette dichiarate "in transito" sul territorio nazionale verso altri Paesi. I profondi rivolgimenti politici, degli anni ‘90, quali la caduta dei regimi comunisti dei Paesi dell’Europa centrale ed orientale, i nuovi equilibri formatisi in Medio Oriente e l’avvento del mercato comunitario, hanno influenzato in maniera determinante la geografia di riferimento del contrabbando di t.l.e.. L’internazionalizzazione e la ricchezza dei mercati, nonché la crescita economica delle varie componenti delinquenziali hanno profondamente modificato le originarie metodologie ed offerto alle varie organizzazioni criminali dedite al contrabbando dei tabacchi l’opportunità di diversificare, con estrema facilità, le metodologie di perpetrazione dell’illecito. Ad una graduale via via più pericolosa ripresa del contrabbando extraispettivo di t.l.e., si è registrata un’autentica esplosione del contrabbando intraispettivo, due fenomeni non più destinati ad incidere negativamente sulle sole finanze pubbliche nazionali ma, più in generale, sul bilancio stesso dell’Unione Europea. Qualche dato può essere illuminante per comprendere la natura e la portata del fenomeno.

121 Il rapporto percentuale di incidenza tra i flussi intraispettivi e quelli extraispettivi dei tabacchi posti sotto sequestro in Italia: il contrabbando in forma intraispettiva è – di norma – prevalente rispetto a quello extraispettivo, con l’unica eccezione riferita agli anni 1991/1993, dove l’extraispettivo si attesta intorno al 45 – 55% del totale nazionale20. Dal punto di vista operativo, la traversata verso l’Italia avviene in condizioni del tutto particolari, in quanto compiuta spesso in tempo di notte e con sistemi di illuminazione e di segnalazione visiva disattivati. Gli scafi contrabbandieri sono in vetroresina di lunghezza tra i 16 ed i 18 metri, di norma plurimotorizzati (con potenze complessive spesso superiori ai 2.000 HP), equipaggiati con radar, radiogoniometri ed altri sofisticati sistemi di navigazione, in grado di caricare 250/600 casse di t.l.e. (2.500/600 kg convenzionali), nonché irrilevanti quantitativi di combustibile (3/4 tonnellate) necessari per la traversata per e dall’Italia. La rotta, che ancora in epoca recente veniva impostata empiricamente facendo riferimento ai diversi fari esistenti nella zona, veniva successivamente determinata avvalendosi della sofistica strumentazione di bordo, che consentiva la “navigazione ad angolo” (a partire dalla bocche di Cattaro, per esempio, 230° per Bari e 190° per Brindisi).

20 Sebbene una simile distinzione non sia, dal punto di vista pratico, sempre realizzabile (sovente, in occasione dei numerosi sequestri operati all’interno del territorio nazionale non è dato rilevare l’effettiva originaria provenienza di un carico illecito), l’analisi degli elementi disponibili consente di effettuare una ripartizione, ancorché parziale, fra i soli sequestri di t.l.e. di cui è stato possibile, di volta in volta, accertare l’effettiva provenienza intraispettiva o extraispettiva. 122 La testa di sbarco predisposta a terra è a sua volta una struttura di notevole entità e complessità. Di norma, venivano impiegati decine di uomini e diversi mezzi, a ciascuno dei quali veniva assegnato uno specifico compito nel quadro di un assicurato disegno organizzativo. La prima esigenza perseguita dalle organizzazioni all’atto dello sbarco è quella della “sicurezza” delle operazioni rispetto all’intervento di elementi di disturbo, con particolare riferimento alla Guardia di finanza. A tal fine, veniva realizzata, sin da molte ore prima del momento previsto per lo sbarco, una vera e propria interdizione d’area, strutturata su diversi livelli: − monitoraggio dei movimenti terrestri, aerei e navali del Corpo e del personale militare a partire dalle Caserme; − contro-pattugliamento delle direttrici di infiltrazione del teatro delle operazioni, per prevenire l’eventuale sopraggiungere di pattuglie di comandi non direttamente monitorati; − intercettazione e/o disturbo delle operazioni operative via radio del Corpo. Sul luogo prescelto per lo sbarco venivano dislocati diversi elementi di “manovalanza”, addetti al trasbordo delle sigarette dai mezzi navali a quelli terrestri. Detti mezzi terrestri potevano essere di numero e tipologia variabile, in relazione alle modalità dell’operazione da compiere e, soprattutto, dell’ambiente circostante: si spazia dall’autocarro, spesso con trazione integrale, impiegato per il trasbordo nelle zone impervie o nelle situazioni con più elevati margini di sicurezza per l’organizzazione, fino alle autovetture veloci, preferite per le operazioni in cui la velocità di fuga, preferibilmente a “raggiera”

123 dal punto critico, favorita anche dalla buona qualità della rete viaria contigua, diventava l’elemento premiante. Spesso, poi, sui punti di sbarco, venivano impiegati, a completamento della rete di sicurezza dell’operazione, mezzi c.d. blindati. Sotto tale denominazione generica, venivano fatti rientrare nella prassi veicoli di diversa tipologia, tutti accomunati da un’elevata potenzialità offensiva nei confronti dell’eventuale irruzione di pattuglie automontate del Corpo. In alcuni casi, si trattava di autovetture di grossa cilindrata, di non recente produzione, in quanto impiegate “a perdere”, rinforzate, specie sulle parti anteriori e posteriori, con pesanti elementi metallici (rostri, travi in ferro, binari ferroviari), destinate ad essere lanciate contro le autovetture in servizio di polizia per metterle fuori uso. In altre circostanza, i blindati erano vere e proprie auto blindo artigianali, realizzati sulla scocca di potenti fuoristrada, in grado non solo di urtare gravemente e senza riportare seri danni le autovetture del corpo, ma anche di garantire agli occupanti un’elevata sicurezza contro l’eventuale uso delle armi da fuoco. Il momento di massima crisi dell’organizzazione era rappresentato dalla presa di terra da parte dello scafo. Il natante, infatti, approdava – nelle circostanze in cui ciò era possibile – normalmente di poppa (arenandosi parzialmente), sollevando la parte propulsiva dei motori di cui era dotato; ne conseguiva una reattività fortemente ridotta di fronte all’esigenza di fuga improvvisa. Le operazioni di trasbordo dal vettore navale a quello terrestre dovevano pertanto avvenire con la massima celerità. In alternativa, qualora l’approdo di fortuna non fosse stato possibile (avverse condizioni meteo, fondale roccioso o altre cause) veniva

124 organizzato un doppio e più laborioso trasbordo, dal motoscafo a piccoli natanti, di norma gommoni, e da questi ai mezzi terrestri. Anche la successiva fase di trasporto per via ordinaria delle sigarette dal luogo di sbarco a quello di stoccaggio era caratterizzata dalla ricerca della sicurezza mediante “staffettamento”, assicurato da autovetture in numero congruo rispetto alle esigenze contingenti. L’intero svolgimento delle attività illecite era coordinato da una centrale di comando e controllo delle operazioni, spesso dislocata al di fuori dell’area di sbarco; i collegamenti venivano mantenuti a mezzo di telefoni cellulari. Complessivamente, un’operazione di sbarco coinvolgeva a terra in media 20/25 persone ed almeno una decina autoveicoli “specializzati” di vario tipo. Volendo dare ora un’idea dell’importanza dell’azione di contrasto svolta dalla Guardia di Finanza in quegli anni, evidenzio, più in generale, che nel decennio che va dal 1° gennaio 1986 al 31 dicembre 1996, in cui i dati nazionali rivelavano un trend in continua costante crescita del contrabbando di sigarette, la Guardia di Finanza ha sequestrato, a livello nazionale, quasi 8.400 tonnellate di t.l.e., n. 17.167 mezzi terrestri e n. 701 mezzi navali, nonché denunciato all’Autorità Giudiziaria circa 260.000 soggetti, di cui 4.200 tratti in arresto. Il rapporto tra le due forme classiche del contrabbando di sigarette si attestava, in valori percentuali, tra il 66/79% per il contrabbando intraispettivo e il 21/34 % per quello extraispettivo. A livello regionale, i maggiori quantitativi di t.l.e. venivano sistematicamente sequestrati in Puglia dove, rispetto al totale complessivo, si sequestravano in media, su base annua, dal 40 al 60%

125 del totale nazionale; in Campania, i sequestri oscillavano dal 17 al 28%, in Lombardia intorno al 14/18%, ma solo dopo l’abbattimento delle frontiere intracomunitarie (1° gennaio 1993). Di molto inferiori le percentuali che interessavano la Sicilia e la Calabria (dal 2 al 4% circa). Complessivamente, peraltro, a fronte di un notevole incremento dei sequestri di t.l.e. nel periodo successivo all’abbattimento delle frontiere intracomunitarie, non si registrarono sensibili variazioni in termini percentuali tra i sequestri operati, a livello regionale, negli anni 1989/’92 e quelli effettuati nel 1993/’96. Le uniche eccezioni si registrarono in Liguria (dallo 0,93% al 5,12%), Lombardia (dal 5,97% al 16,30%) e Campania (dal 18,17% al 25,10%); in evidente flessione furono, al contrario, i sequestri di t.l.e. operati in Puglia (dal 57,30% al 37,72%). Sempre con riferimento al periodo 1989/1996, l’ammontare dei tributi evasi, calcolato anche considerando i tabacchi risultati consumati in frode, rivelava una progressione costante fino al 1996, ove l’ammontare dei tributi evasi era risultato superiore ai 1.200 miliardi delle vecchie lire. Ma è verso la fine degli anni ’90 che il contrabbando di sigarette raggiunge, nel territorio pugliese, livelli di efferatezza che non hanno precedenti, culminati nella morte cruenta dei Finanzieri Sottile Antonio e De Falco Alberto, nella notte del 23 e 24 febbraio 2000, nel brindisino. Il Piano Straordinario Anticrimine per la Puglia, c.d. “Operazione Primavera”, pianificato dal Dipartimento della P.S. del Ministero dell’Interno ed attuato, tra febbraio e luglio 2000, nei territori delle

126 province di Bari, Brindisi e Lecce, con un parziale coinvolgimento di quelle di Foggia, Taranto e Matera, infligge un colpo durissimo al contrabbando. In quelle province vengono impiegati complessivamente 1.900 uomini: 700 agenti della Polizia di Stato, 700 militari dell’Arma dei Carabinieri e n. 500 militari A.T. - P.I. della Guardia di Finanza. Più in concreto l’Operazione è stata attuata su tre diversi livelli di intervento: servizi anticontrabbando sulla costa; servizi di pattugliamento e rastrellamenti di zone di particolare interesse, con perquisizioni anche a blocchi di edifici. La porzione della costa pugliese maggiormente interessata dall’attività di contrasto fu quella adriatica ricompresa tra Margherita di Savoia (FG) ed Otranto (LE), nonché un tratto della costiera jonica nella zona di Gallipoli (LE) e Torre Lapillo (TA). Significativi i risultati conseguiti complessivamente a livello interforze, con la segnalazione all’A.G. di 1.856 persone, di cui 809 arrestate, ed il sequestro di t.l.e. per circa 59.600 kg, nonché di 378 mezzi, 47 imbarcazione ed ingenti quantitativi di armi e sostanze stupefacenti. Questa importante Operazione interforze segnò un importante spartiacque nell’evoluzione del contrabbando, almeno per quanto riguarda il nostro Paese, dove il mercato delle “bionde” era ormai destinato a scomparire. Infatti, come è stato puntualmente osservato dal Sig. Comandante

127 Generale, l’allargamento ad Est dell’Unione Europea21 e la crisi finanziaria internazionale hanno dato nuovo slancio al contrabbando internazionale di t.l.e.. L’allargamento ad Est, includendo 27 Paesi, ha realizzato un più ampio “spazio economico”, unitario ed indistinto, all’interno del quale sono però oggi inglobati anche territori in cui sono allocati depositi di stoccaggio di t.l.e. nonché fabbriche di sigarette prodotte con marchi contraffatti. E’ il caso, ad esempio, della Polonia e dell’Ungheria, da dove originano anche parte dei flussi intraispettivi di sigarette destinate al mercato clandestino dei restanti Paesi dell’Unione e, segnatamente, del Regno Unito, della Germania, della Francia, dell’Italia e della Spagna. L’allargamento ad est ha “avvicinato” anche Paesi tradizionalmente “a rischio” per il contrabbando di t.l.e., come Ucraina e Lettonia, dove, solo per fare un esempio, un pacchetto di “Marlboro”, sul mercato legale, difficilmente costa più di 70 centesimi di euro. La crisi finanziaria, nel contempo, ha ovviamente reso più appetibile il ricorso da parte dei consumatori al mercato clandestino di t.l.e.. Ma una verità ormai non più ineludibile è che la realtà del nostro Paese è notevolmente mutata rispetto al passato anche recente: oggi, l’Italia non è più solo un Paese di consumo ma anche, e soprattutto, di transito delle sigarette di contrabbando; cartina di tornasole di questo cambiamento è il “termometro” della presenza di “bancarelle” agli angoli delle strade di città come Napoli e Bari, oggi notevolmente ridotto.

21 In particolare, l’allargamento della comunità avvenuto nel 2004, con l’ingresso di Cipro, Estonia, Lettonia, Lituania, Malta, Polonia, Slovacchia, Slovenia, Repubblica Ceca ed Ungheria e quello del 2007, che ha riguardato Bulgaria e Romania. 128 Ma se la piazza interna non è più ritenuta redditizia per le organizzazioni criminali, differentemente i mercati del nord Europa - primo fra tutti quello del Regno Unito - hanno assunto una centralità estrema negli affari dei clan contrabbandieri, in funzione della forza attrattiva che li spinge verso i Paesi dove maggiori sono i margini di guadagno. Si tratta di una delle tante applicazioni dell’elementare legge economica della domanda e dell’offerta; dove più alto è il prezzo delle sigarette nel mercato legale, lì ci sarà maggiore richiesta di tabacchi di contrabbando. Non a caso, in Gran Bretagna un pacchetto di sigarette costa al pubblico fino a 7 sterline, quasi 8 euro, a dimostrazione di un prelievo fiscale sul prodotto più elevato che altrove. Anche rispetto all’Italia, dove su un pacchetto di sigarette incide un’IVA pari al 20%, un’accisa al 58,5% sul Kg. convenzionale, oltre al 10% di aggio del rivenditore, per una tassazione complessiva che sfiora il 75% del prezzo finale. Sussiste, evidentemente, ancora a livello comunitario, un problema di uniformità del prelievo fiscale gravante sulle sigarette22. L’analisi dei dati relativi ai sequestri effettuati a livello comunitario e nazionale conferma questo nuovo trend. Nell’ultimo triennio, la Guardia di Finanza ha sequestrato mediamente, a livello nazionale, circa 270 tonnellate di sigarette, che non sono assolutamente paragonabili alle oltre 1.800 tonnellate del Regno Unito. Ma non basta: occorre ulteriormente osservare che oltre il 90% dei sequestri di t.l.e. in Italia ha interessato il canale intraispettivo (in

22 A livello comunitario, le imposte gravanti sul tabacco oscillano, fra i diversi Stati più industrializzati dell’Unione (Regno Unito, Francia, Italia, Spagna e Germania), mediamente, tra il 70 e 80%. 129 particolare, per circa 2/3 quello portuale) ed una parte di essi è scaturito da precisi input informativi dei servizi antifrode stranieri ed, in particolare, del Regno Unito. Un discorso a parte merita il fenomeno delle sigarette contraffatte. A differenza del contrabbando tradizionale, questa attività criminale si concretizza nell’immissione sul mercato clandestino, e su quello ordinario, di notevoli quantità di sigarette riportanti il contrassegno contraffatto dei monopoli di Stato del paese produttore ed il marchio di fabbrica contraffatto. In questo campo, dove il danno maggiore viene subito dal consumatore finale attesa la scarsa qualità del prodotto, mi sembra utile richiamare una delle ultime Relazioni della Procura Nazionale Antimafia23 in cui, tra l’altro, si fa cenno a: − uno studio della Philip Morris International secondo il quale quasi il 90% delle sigarette di contrabbando sequestrate nel 2002 e recanti il proprio marchio erano in realtà sigarette contraffatte; − un documentario della BBC sul mercato di sigarette nel Regno Unito, che ha rivelato come le sigarette contraffatte contengano percentuali di catrame (+75%), nicotina (+28%) e monossido di carbonio (+63%), rispetto alle sigarette originali. Molte sono persino contaminate da sabbia e da altri materiali di imballaggio come pezzetti di plastica. Si tratta di dati significativi che impongono, a margine, un’ulteriore notazione: per le grandi multinazionali del tabacco i volumi del contrabbando mondiale dei t.l.e. (nel 2008, secondo l’OLAF, 5200

23 Relazione annuale della Direzione Nazionale Antimafia sulle attività svolte dal Procuratore Nazionale Antimafia e dalla Direzione Nazionale Antimafia, nonché sulle dinamiche e strategie della criminalità organizzata di tipo mafioso nel periodo 1° luglio 2007 – 30 giugno 2008 – dicembre 2008. 130 tonnellate di t.l.e.) sono assolutamente indifferenti, in quanto generano per loro comunque profitto: il prezzo di vendita all’origine delle sigarette è pressoché analogo a prescindere dalla natura dell’acquirente (legale o illegale); al contrario, il contrabbando del prodotto contraffatto assume per le “case produttrici” un diverso rilievo perché sottrae loro quote significative di mercato. Un’ulteriore riflessione vorrei dedicarla al livello di integrazione dei dispositivi di contrasto dei diversi Paesi dell’Unione Europea e sulle ricadute che derivano dalle differenze esistenti in ordine all’efficacia dei controlli. Le organizzazioni contrabbandiere, come detto, possono disporre di uno spazio economico unitario, nel quale l'attuale assetto doganale comporta la completa indifferenza del punto di ingresso nel territorio della UE rispetto al luogo finale di arrivo a destino della merce. Ne consegue che se nel sistema ci sono “varchi” dove è più facile che un carico di merce illecita passi indenne ai controlli per carenze nel dispositivo (supponiamo, ad esempio, in Grecia), tale deficienza ricade anche su tutti gli altri Paesi membri, stante il fatto che non ci saranno altri controlli se non quelli, eventuali e/o mirati, frutto di sollecitazioni anche a carattere info-investigativo, effettuati in itinere. E' quindi sempre più indispensabile garantire un approccio globale e unitario al problema, in cui, tenendo conto delle effettive caratteristiche del mercato unico, venga realizzato un sistema armonico di vigilanza e sicurezza finanziaria, articolato in stretta aderenza alle necessità imposte dalle condizioni economiche di riferimento.

131 Da questo generale contesto di riferimento e dalle considerazioni finora delineate, nasce l’approccio operativo più moderno della Guardia di Finanza al contrasto del contrabbando di t.l.e. che si sviluppa normalmente in tre fasi, tra loro convergenti e complementari. Nella prima fase, con l’obiettivo di colpire a monte le organizzazioni criminali, ossia nel momento della consumazione dei reati, per arrivare al sequestro della merce, dei mezzi utilizzati per il trasporto nonché dei profitti illeciti generati dalla vendita dei prodotti. Nella fase intermedia, per individuare i “flussi finanziari” generati dal traffico illecito dei tabacchi lavorati esteri ma sfuggiti alle misure ablatorie nel corso della prima fase dell’indagine; infatti, le organizzazioni criminali, se non decidono di reimpiegare i proventi in altri traffici illeciti (droga, usura, armi o persino il traffico di esseri umani, etc.) hanno necessità di “ripulire” in tutto o in parte i profitti illeciti attraverso operazioni di riciclaggio, poste in essere normalmente al di fuori del territorio nazionale con la collaborazione di soggetti collegati o vicini al sodalizio criminale. In questo contesto, il Corpo può mettere a frutto le competenze e le funzioni antiriciclaggio, attraverso: - l’analisi delle segnalazioni di operazioni sospette di cui all’art. 41 del decreto legislativo n. 231/2007 prodotte da intermediari o professionisti a carico di prestanome o affiliati alla criminalità organizzata; - lo sviluppo delle ispezioni antiriciclaggio alle società finanziarie o ai professionisti eventualmente sospettati di collegamenti con

132 sodalizi criminali, di cui rappresentano i cosiddetti “colletti bianchi”; - i controlli valutari alla frontiera, ai fini del rispetto degli obblighi di dichiarazione per il trasporto di denaro contante per importi pari o superiore a 10 mila euro; - l’effettuazione di indagini finanziarie ad ampio raggio, per individuare i passaggi e le transazioni sospette nonché i reali destinatari delle somme illecite. A tal fine, i Reparti possono usufruire delle potenzialità dell’archivio dei rapporti finanziari per rilevare con tempestività l’esistenza di rapporti ed operazioni extraconto riconducibili ai soggetti coinvolti nelle indagini. L’ultima fase della strategia del Corpo a contrasto del contrabbando è quella dell’aggressione dei patrimoni illeciti accumulati sul territorio dalle organizzazioni criminali, attraverso l’effettuazione di sequestri patrimoniali antimafia, anche mediante l’applicazione della misura ablatoria per sproporzione di cui all’art. 12 sexies del D.L. n. 306/1992; come noto, infatti, tale norma consente di effettuare il sequestro e la confisca di beni, di somme di denaro ed altre utilità di cui gli indagati abbiano la disponibilità, anche per interposta persona, di valore sproporzionato al proprio reddito o alla propria attività economica. A tal riguardo, per sottolineare proprio il livello di importanza delle implicazioni patrimoniali nella lotta al crimine organizzato, mi sembra opportuno richiamare un esempio che in altre occasioni ha già citato il Sig. Comandante Generale nonché il Procuratore Nazionale Antimafia, Dott. Pietro Grasso. Mi riferisco ad una telefonata intercettata nel novembre 1989, nei giorni immediatamente successivi alla caduta del muro di Berlino, in

133 cui un affiliato alla mafia siciliana che si trovava nella parte occidentale della città tedesca chiedeva istruzioni al proprio capo su cosa fare in quel clima di cambiamenti epocali. L’interlocutore senza esitazioni gli raccomandava: ”Tu vai ad Est e compra”. “Che cosa devo comprare?”, ribatteva l’inviato della mafia in terra teutonica”. “Non importa, qualsiasi cosa, pizzerie, discoteche, alberghi, l’importante è che compri”. Il contenuto di questa conversazione tra “soggetti mafiosi” è emblematico, così come lo è la storia del clan camorrista “La Torre” che, come ben evidenziato nel libro Gomorra di Roberto Saviano, ha rappresentano un importante sodalizio criminale che guadagnando ingenti somme di denaro attraverso le estorsioni, il controllo delle attività economiche e degli appalti nelle zone di competenza, provvedeva a trasferire i fondi accumulati all’estero, in particolare in Scozia, dove era stata creata una vera e propria colonia integrata nel tessuto economico locale, in grado di rivitalizzare il comparto turistico ed immobiliare diventando quindi un fiore all’occhiello dell’imprenditoria scozzese, in particolare nella città di Aberdeen. In questo contesto, mutatis mutandis non possiamo meravigliarci se emissari delle organizzazioni criminali dovessero affacciarsi all’estero per investire non solo nel tessuto produttivo locale ma anche sui mercati finanziari per acquisire partecipazioni societarie o asset dal futuro incerto; è verosimile pensare allora che una parte dei proventi che la criminalità organizzata potrebbe reinvestire in questo periodo di

134 crisi a livello interno ed internazionale derivano anche dai traffici illeciti legati al contrabbando di sigarette. Da qui l’assoluta necessità di colpire le organizzazioni criminali nei loro interessi più “cari”, ossia quelli economico - finanziari, con l’obiettivo di disarticolare e smantellare la loro forza propulsiva che deriva dalle ingenti ricchezze accumulate; ciò è possibile farlo attraverso un’applicazione decisa e sistematica nel tempo di sequestri e confische dei beni sia in Italia che nel resto del mondo. In tal senso, è opportuno sottolineare come il quadro normativo di riferimento a contrasto della criminalità organizzata si sia evoluto nel nostro Paese rendendo disponibili strumenti di forte impatto sull’attività operativa dei Reparti del Corpo, con particolare riguardo: - al rafforzamento del sistema sinergico del cosiddetto doppio binario procedimento penale - procedimento di prevenzione, che permette di ricorrervi, in via alternativa o cumulativa, per assicurare la massima efficacia all’aggressione dei patrimoni illeciti; - alla separazione tra misure di prevenzione personali e patrimoniali, che consente di colpire i beni mafiosi disgiuntamente rispetto all’applicazione delle misure di carattere personale. Come si può facilmente intuire, quindi, in questo contesto operativo il Corpo continua a profondere il massimo sforzo, mettendo a disposizione tutte le migliori professionalità dei Reparti specialistici e dei GICO dei Nuclei di Polizia Tributaria per aggredire senza soluzione di continuità le organizzazioni criminali, anche nel versante del contrabbando di t.l.e.. Ho concluso e ringrazio tutti per la cortese attenzione.

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Gen. C.A. Gaetano NANULA

Il contrabbando come fonte di finanziamento della mafia.

All’indomani del secondo conflitto mondiale, il mercato che più di ogni altro sollecitò gli stimoli predatori della mafia, fu quello del tabacco. Non quello degli stupefacenti o – meglio – non ancora quello degli stupefacenti, perché il fenomeno della droga non era ancora, in quel tempo, molto diffuso in Italia; un vizio ancora poco conosciuto dal vasto pubblico e, per quanto le proiezioni ricavabili dalla realtà nord- americana ne predicessero una irrimediabile estensione anche alla nostra Nazione, il fenomeno incominciò ad assumere da noi dimensioni socialmente preoccupanti soltanto a partire dagli anni ’70. Il mercato del tabacco era invece molto più vasto ed interessante; riguardava – negli anni cinquanta e sessanta – un consumo medio annuale di sigarette di circa 90 mila tonnellate, sul quale l’Erario 137 applicava un carico fiscale intorno all’80% del prezzo di vendita al pubblico, per poter fronteggiare significativamente le enormi esigenze del bilancio pubblico, dovute alla ricostruzione ed alla ripresa dell’attività economica. Ecco dunque l’irresistibile disegno, corroborato dal forte ingegno criminale, di appropriarsi di una parte almeno di quell’80% – che era una cifra enorme, costituendo circa il 4% delle complessive entrate erariali – sostituendosi allo Stato nell’acquisto all’estero e nella commercializzazione in territorio nazionale delle sigarette. La capitale dei traffici contrabbandieri nel Mediterraneo era, all’epoca, Tangeri, che godeva di uno speciale statuto internazionale, amministrata a rotazione da rappresentanti delle grandi potenze, sulla base del principio di libertà dei cambi, dei commerci di import-export e di ogni forma d’imposizione fiscale sui redditi realizzati. Tangeri contava nel 1950 un centinaio di banche, circa quattromila società, intestatarie dei traffici più azzardati, lucrosi e sorprendenti; disponeva di un importante porto, che ospitava navi di ogni tipo e bandiera. Tangeri era dunque il centro ideale al quale far affluire, con tutta riservatezza e sicurezza, gli enormi carichi di sigarette americane, viaggianti su navi di linea o da carico, per stoccarli negli appositi depositi franchi predisposti nella cosiddetta zona internazionale della città24. Da li, le sigarette, coperte da una formale licenza di esportazione, riprendevano il largo, a bordo di pescherecci o di veloci motosiluranti

24 Vedi lo straordinario studio dell’allora Cap. Fulvio Toschi – Beve storia del contrabbando dei tabacchi nel Mediterraneo – in Rivista della Guardia di Finanza, 1963, pag. 617. 138 – residuati di guerra – dirigendosi verso le coste di quegli Stati dove il loro prezzo legale risultava aumentato dall’applicazione dei diritti di monopolio e, cioè, verso la Spagna, la Francia e, soprattutto l’Italia. Iniziava così l’era della massiccia aggressione contrabbandiera che vedeva inizialmente nella Sicilia il centro di attrazione più diretto ed immediato, con l’impiego di ingenti capitali, con l’attuazione di una vasta e puntuale struttura organizzativa, che andava dal regolamento monetario degli acquisti, al nolo della nave, all’ingaggio del capitano e dell’equipaggio, alle modalità delle comunicazioni, normalmente in codice, ai trasbordi su natanti minori per raggiungere i punti convenuti della costa, alla formazione delle squadre di sbarco e di smistamento del carico a terra, all’instaurazione dei punti di osservazione e allarme lungo il percorso, al riflusso monetario dei ricavi all’organizzazione. Quando si parla di criminalità organizzata, bisogna in effetti pensare ad un episodio di contrabbando per ritrovarvi tutti i fattori tipicamente caratterizzanti di un’alta scuola delinquenziale, contenente tutti i prodromi della più evoluta e pericolosa criminalità moderna. Fu tale l’aggressione delle navi corsare contrabbandiere alla Sicilia – e però così intensa la reazione della Guardia di Finanza – che, ancora agli inizi del 1957, la Legione di Palermo poteva tracciare il seguente bilancio:25 - 8 mezzi navali esteri catturati; - 2 natanti esteri naufragati dopo estenuanti inseguimenti; - 14 motopescherecci sequestrati; - 130 tonnellate di sigarette complessivamente sequestrate;

25 Vedi Brancato – Guerra al contrabbando in Sicilia – in Rivista della Guardia di Finanza, 1957, pag. 452. 139 - 414 persone denunziate, tra organizzatori, membri degli equipaggi, proprietari di natanti e componenti delle organizzazioni. È bene tener presenti queste cifre per rendersi conto delle potenzialità del fenomeno e delle dimensioni che la sua evoluzione avrebbe successivamente potuto assumere. E per percepire la centralità del rilievo con cui l’argomento veniva considerato dalle cosche mafiose, basti osservare la cronologia dei seguenti avvenimenti: - nell’agosto dello stesso 1957 veniva promulgata la “Carta Reale di Tangeri”, con la quale si dichiarava la piena ed intera sovranità del Re del Marocco sulla città, per cui i traffici illeciti del tabacco ivi svolti avrebbero da quel momento decisamente assunto un maggior tasso di pericolosità; - nel mese di ottobre dello stesso 1957, i capi delle maggiori “Famiglie” di “Cosa Nostra” degli Stati Uniti sbarcarono a Palermo e s’incontrarono con i capi della mafia siciliana, in un famoso summit che si svolse dal 12 al 16 di quel mese presso il lussuoso e centralissimo Hotel delle Palme. Vi parteciparono tutti i maggiori protagonisti del potere mafioso, aldilà e aldiquà dell’oceano, quelli di cui avremmo sentito parlare per molto tempo. L’argomento trattato fu evidentemente quello di impostare le nuove linee strategiche dello sviluppo che il filone di arricchimento contrabbandiero avrebbe da quel momento dovuto assumere sul versante italiano. Bisognava esaminare quali soluzioni potesse offrire al riguardo il porto di Gibilterra, surrogandolo a quello di Tangeri e se potesse essere

140 stabilito un rapporto di merci in transito con Malta, come base avanzata di partenza per le sigarette destinate alla Sicilia, ma soprattutto bisognava affrontare in forze l’avventura contrabbandiera nel Mar Tirreno, cercando accordi con la Camorra, per introdursi nel ricco mercato napoletano e stabilire inoltre linee di rifornimento alle grandi città del centro-nord, specialmente Roma, Bologna e Milano. Ebbene, seguendo le tracce lasciate dai personaggi suddetti, è facile rendersi conto di come – anche quando le dimensioni contrabbandiere si sono fortemente espanse, investendo mercati lontani dalla Sicilia – la mafia abbia sempre svolto un’attenta regia delle operazioni. Così, ad esempio, seguendo i movimenti, i soggiorni, gli incontri ed i rapporti tenuti da personaggi di spicco del contrabbando, come Lucky Luciano (Salvatore Lucania), Joe Adonis (Giuseppe Doto), Joe Bananas (Giuseppe Bonanno), Frank Garofalo, Joe Bonventre, Gerlando Alberti, Joe Imperiale, Angelo La Barbera, Gaetano Badalamenti, i fratelli Greco – l’Ingegnere e il Papa -, Genco Russo, Luciano Leggio, Vincenzo Boccafusca e molti altri ancora, ci si rende conto di come tutta la Penisola sia stata percorsa in lungo e in largo, con continuità ed attivismo, in un reticolo che, dipanandosi dall’asse NewYork-Palermo, si estendeva a Napoli, Roma, Milano, interessando fin d’allora una sorprendente consuetudine di contatti con banche e società di comodo elvetiche, che avrebbero garantito il complice silenzio per il movimento dei capitali. È fuor di dubbio – dunque – che il contrabbando, le esigenze della sua organizzazione ed espansione territoriale, strettamente connesse agli interessi mafiosi, abbiano decisamente contribuito a quella

141 proliferazione mafiosa in tutto il Paese, che costituisce tuttora una nostra preoccupante realtà. E quali furono – che dimensioni ebbero – i flussi finanziari che alimentarono la mafia? Ecco il problema. Bisognerebbe conoscere i quantitativi di tabacchi lavorati esteri contrabbandati, che invece rimangono incogniti. Risalendo nel tempo, troviamo che la Commissione Antimafia della VI Legislatura – che concluse i suoi lavori nel 1976 – aveva tentato una ricostruzione dei flussi di arricchimento mafioso, facendo il seguente ragionamento: - il consumo annuale medio di sigarette era di circa 90 mila tonnellate; - l’incidenza del contrabbando rispetto al consumo totale era del 10- 12%, cioè di 10mila tonnellate circa; - considerando che il profitto per chilogrammo introdotto di contrabbando era all’incirca di lire 12.000, si aveva una “torta” annua da dividere fra le organizzazioni mafiose di 120 miliardi. Da notare che i suddetti conteggi risalgono al 1975, ai prezzi allora praticati. Se il discorso fosse trasferito ai giorni nostri, il profitto per chilogrammo sarebbe di circa 160 euro, per cui la “torta” complessiva da spartire ammonterebbe attualmente a circa 1 miliardo e 600 milioni di euro all’anno; insomma, attualizzando i valori di quell’epoca, si ha un’idea dei flussi di finanziamento annuale, corrispondente ad una piccola manovra finanziaria dello Stato.

142 I dati suddetti sono naturalmente approssimativi e risentono di criteri valutativi a carattere intuitivo più che di riscontri oggettivi, ma il punto cardine del ragionamento, secondo cui la frazione delle sigarette di contrabbando fosse pari ad un 10-12% del quantitativo complessivo delle sigarette consumate, non pare discostarsi molto dalla realtà, per cui il discorso – nel suo complesso – sembra sufficientemente accettabile. Naturalmente, oggigiorno, nell’equazione suddetta, è notevolmente variato il dato relativo al consumo annuo medio delle sigarette, che è sceso ai giorni nostri in caduta libera, riducendosi a poche migliaia di tonnellate; “il fumo uccide”, è scritto attualmente sui pacchetti di sigarette, da cui la conclusione che il filone di finanziamento del contrabbando può considerarsi, salvo ancora qualche sporadico episodio, ormai prossimo ad esaurirsi. Molto grave è però sempre stato, comunque, l’impedimento frapposto dalle istituzioni bancarie e finanziarie all’attingimento di notizie sulle disponibilità monetarie dei contrabbandieri. Osserva la Commissione Antimafia di quei tempi:26 “Uno degli aspetti più sconcertanti del fenomeno mafioso è che non si riesce a conoscere, neppure per larga approssimazione, il “giro d’affari”, nella sua entità economica, della organizzazione mafiosa. Eppure i grandi profitti esistono e sono centinaia di miliardi: dove vanno a finire? Nessuno oggi è in grado di dare una risposta precisa a questa domanda”. Il contrabbando è stato dunque un fattore di ampia alimentazione, di ricco finanziamento delle strutture operative della mafia, e occorre onestamente anche affermare che l’impedimento “sconcertante”

26 Relazione – VI Legislatura, Senato-Camera 1975, pag. 426 e segg. 143 frapposto alla conoscenza dei suoi conti bancari e finanziari è stato – storicamente – un gravissimo errore, che ha concorso in maniera rilevante al suo consolidamento. Con immagine plastica scriveva ancora la citata Commissione Antimafia, in conclusione dei suoi lavori27, che “l’azione coraggiosa, paziente e tenace della Polizia, dei Carabinieri e della Guardi di Finanza, sotto la direzione della Magistratura, stroncò i rami più frondosi della mafia, anche se non riuscì a colpire le radici ed il tronco. Le cosche operanti in Italia furono individuate e debellate, ma intatti sono rimasti i canali economici attraverso i quali si convogliano i grandi profitti delle attività illecite collegate ai traffici internazionali. Da questo tronco germoglierà una nuova mafia, più spietata e feroce della precedente”. Mai immagine fu più profetica; di lì a qualche anno (siamo alla fine degli anni settanta), partiva la campagna intimidatoria quanto terrificante degli “omicidi eccellenti”: Boris Giuliano, Piersanti Mattarella, Gaetano Costa, Pio Latorre, Cesare Terranova, Emanuele Basile, Carlo Alberto Dalla Chiesa, , Ninì Cassarà… per finire a Giovanni Falcone e Paolo Borsellino, sono i nomi dei martiri di quegli anni. Le radici che mantengono in vita il tronco, da cui germoglierà nuovamente - più forte di prima – la mala stirpe, sono le disponibilità finanziarie, da sempre abilmente conservate e protette dall’indecifrabile universo bancario e finanziario; dalla sua miopia politico-sociale, spregiudicata e irresponsabile.

27 Senato-Camera, cit. pag. 417. 144 L’ultima speranza, per estirpare tali radici, è che possa finalmente funzionare, il c.d. “Archivio dei rapporti con operatori finanziari”, che è venuto a sostituire la fantomatica “Anagrafe dei conti e dei depositi”, solo apparentemente istituita, ma di fatto mai entrata in funzione. E intanto, dalla legge Rognoni-LaTorre, del 1982, che imperniava la propria efficacia sulla deterrenza alle disponibilità finanziarie di provenienza illecita dei mafiosi, è passato invano oltre un quarto di secolo, durante il quale il cancro della mafia si è ulteriormente espanso e radicato in tutto il territorio nazionale. Siamo effettivamente di fronte ad un errore storico gravissimo.

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II SESSIONE

(Presiede il Gen. C.A. Ugo Marchetti)

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Pres. Dott. Pierluigi VIGNA

L'evoluzione della legislazione contro la mafia nel secolo XX.

Se dovessi formulare un'osservazione di carattere generale sulla legislazione antimafia, porrei l'accento su due suoi profili: il primo è che spesso essa ha trovato le proprie radici nel sangue (emblematica la nascita, il 13 settembre 1982, dell'articolo 416 bis c.p. dopo gli omicidi di La Torre, presentatore con Rognoni del disegno di legge e del suo autista e poi, il 3 settembre, del Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, di Emanuela Setti Carraro e dell'agente Domenico Russo) dal che deriva il carattere spesso emergenziale di quella legislazione. Da tale emergenzialità (far fronte a fatti che turbano l'opinione pubblica e fanno vacillare la fiducia nelle Istituzioni) deriva poi la

149 seconda impronta di quella legislazione: il suo carattere frammentario, le sue continue modificazioni, aggiunte, variazioni che sovente danno luogo a difficoltà interpretative, con conseguenti negative ricadute sull'azione degli operatori. Tutto ciò è indice di quella che definirei “miopia legislativa” intesa come mancanza di attitudine del legislatore ad affrontare la questione mafia in modo globale, come si conviene di fronte ad un fenomeno strutturato e di ampie dimensioni. Una riprova di quanto sto dicendo si rinviene anche nel fatto che, fino ad oggi, non si è neppure riusciti a dar vita ad un testo unico da tempo vagheggiato e promesso. E tornano, allora, alla mente le parole di Piero Calamandrei che evidenziava la miopia delle leggi (che vedono vicino) contrapponendola alla presbiopia della Costituzione (che vede lontano). Un’ultima notazione preliminare, infine. Come penso di poter chiarire, sul farsi della legislazione antimafia (un vero work in progress!?) ha influito anche la cosiddetta guerra fredda e la caduta del muro di Berlino nel novembre del 1989. Nel breve termine nel quale deve contenersi questa mia relazione penso di dover richiamare la vostra cortese attenzione su due punti: da un lato sul delitto di associazione di tipo mafioso e, dall'altro, sull'identificazione di quelli che, oggi, sono considerati delitti di mafia, con le ricadute che ciò produce non solo sul piano del diritto sostanziale ma anche su quello processuale penale. Tralasciando, purtroppo, altri argomenti anch'essi rilevanti come quelli relativi alle misure di prevenzione anche patrimoniali, nate, queste ultime, in contemporanea con il delitto di associazione di tipo mafioso e che

150 hanno subito, nella loro disciplina, numerose modificazioni introdotte, le ultime, con il secondo “pacchetto” in materia di sicurezza pubblica (legge 15 luglio 2009, n.94) nel quale è anche nuovamente disciplinato il c.d. carcere duro (art. 41bis dell'ordinamento penitenziario). E tralasciando altro ancora come talune disposizioni processuali, la materia dei collaboratori di giustizia, l'esame a distanza e così via. Parliamo dunque, anzitutto, dell'articolo 416bis c.p. che mediante la Legge 13 settembre 1982, n.646, introduce nell'ordinamento penale il delitto di associazioni di tipo mafioso anche straniere. Chiara, peraltro, in questo caso la lungimiranza del legislatore quando individua una delle finalità dell'organizzazione mafiosa nell'acquistare in modo diretto o indiretto la gestione o comunque il controllo di attività economiche. E' questo il vero problema posto oggi dalle mafie che realizzando circa 1500miliardi di euro mediante i traffici illeciti sono in condizione di insidiare, attraverso le loro società “apparentemente lecite”, l'economia legale. E fu lungimirante il legislatore, seppur con ritardo, quando con il d.l. 8 giugno 1992, n.306 conv. dalla legge 7 agosto 1992, n.356, individuò il carattere anche politico ed eversivo della mafia prevedendo tra i suoi fini quello di impedire od ostacolare il libero esercizio del voto o di procurare voti a se o ad altri in occasione di consultazioni elettorali. E ciò in aperta violazione dell'articolo 48 Cost. secondo cui il voto è personale ed eguale, libero e segreto. Con il medesimo provvedimento e nella stessa ottica, questa volta puntata sulla repressione di “camarille elettorali”, veniva inserito nel c.p. il delitto di scambio elettorale politico mafioso con la punizione di chi ottiene la promessa di voti in cambio dell’erogazione di denaro:

151 formula, questa, sicuramente restrittiva, ma che la giurisprudenza interpreta in modo da ricomprendervi la promessa di ogni utilità (ad es. l'aggiudicazione di un appalto). Ebbene, riconosciuto tutto il merito possibile alle ricordate disposizioni è tuttavia da notare che una norma incriminatrice non vive solo di vita propria. Essa per divenire concretamente operante necessita di norme di supporto – che siano, cioè, animate dalla medesima finalità – e soprattutto di disposizioni di tipo organizzatorio. Queste giungeranno, si, ma solo nel 1991. L'anno si apre, infatti, con un d.l. del 15 gennaio che prevede la nuova filosofia legislativa in tema di sequestri di persona a scopo di estorsione e la protezione dei collaboratori di giustizia. Il 3 maggio viene emanato un D.L. diretto a contrastare il riciclaggio, seguito poi da numerosi altri provvedimenti l'ultimo dei quali rappresentato dal D.Lgs. n.231/2007 ed il 13 maggio un altro D.L. prevede la costituzione di servizi centrali ed interprovinciali della Polizia di Stato, dell'Arma dei Carabinieri e del Corpo della Guardi di Finanza per assicurare il collegamento delle attività investigative relative ai delitti di criminalità organizzata. Il medesimo D.L. prevede, ancora, circostanze attenuanti per il mafioso che collabora ed aggravanti per quello irriducibile ispirandosi alla normativa dettata per il terrorismo nel dicembre 1979. Il 20 novembre un altro decreto legge prevede la costituzione della DNA e delle DDA dopo che un analogo provvedimento del 29 ottobre aveva istituito la DIA. Ora, appare singolare che alla previsione, nel settembre del 1982, del delitto di associazione di tipo mafioso siano seguiti ben nove anni di silenzio legislativo, rotti, infatti, solo nel 1991, nell'apprestamento di leggi, anche organizzative, che potessero far divenire diritto vivente

152 quella disposizione. Ed è altrettanto singolare che quelle leggi siano state emanate a breve distanza dalla caduta del muro di Berlino avvenuta nel novembre del 1989. E' mia impressione che a fronte di un pericolo reale, qual'era quello rappresentato dall'URSS, non si volesse una legislazione particolarmente efficace contro le cosche mafiose, con il rischio di perdere consensi elettorali. Un'impressione, quella cui ho accennato, che è ora confortata da quanto riferisce nel suo recente libro «La versione di K» il presidente Cossiga, rammentando che il Cardinal Ruffini gli disse, mettendo in guardia la DC: «Se volete i voti dovete andare a cercare quelli lì e con quelli lì si riferiva ai mafiosi». Il secondo momento di attenzione è riservato, come già si notava, alla identificazione dei così detti delitti di mafia per la cui repressione sono stati istituiti, all'interno dell'ordinamento del pubblico ministero, particolari organismi come le DDA presso ciascuna delle 26 procure distrettuali e la DNA a livello centrale. Ciò al fine di evitare la frammentazione e dispersione delle indagini su quei delitti tra le oltre 160 procure della Repubblica. Con quegli organismi del pubblico ministero collaborano, poi, speciali strutture delle forze di polizia: dai centri operativi della DIA, alle squadre anticrimine dei Carabinieri, alle sezioni specializzate per la criminalità organizzata della Polizia di Stato, ai GICO della Guardia di Finanza, organi che si collegano con i relativi organismi centrali chiamati dalla legge a scambi informativi. Nell'originaria formulazione dell'art.51 co.3 bis c.p.p. la speciale legittimazione alle indagini delle procure distrettuali e delle DDA al loro interno, era ristretta a fattispecie sicuramente tipiche dell'agire mafioso, alcune indicate nominativamente, come l'associazione di tipo

153 mafioso, il sequestro di persona a scopo di estorsione, l'associazione per trafficare stupefacenti, ed altre con una formula aperta riferita ad ogni delitto consumato o tentato con il modus operandi tipico delle associazioni mafiose o per agevolare l'operatività di queste. Il catalogo è stato poi ampliato con riferimento all'associazione contrabbandiera prevista all'art. 291-quater DPR n.43/1973 e la scelta pare appropriata in quanto una delle tipiche attività mafiose, di quella pugliese ma anche di quella campana consisteva nella gestione del contrabbando del t.l.e. Sono questi quelli che potremmo definire i delitti della mafia tradizionale. A questi, però, nel tempo, se ne sono aggiunti altri: il catalogo si è ampliato. E' sorta, infatti, la categoria dei delitti delle nuove mafie, quelle, cioè, che non hanno una matrice di origine nel nostro Paese, ma che qui operano in delicati e rilevanti settori, a volte con l'aiuto delle mafie nostrane. La L.11 agosto 2003, n.228 ha, infatti, inserito tra i delitti di mafia quelli di riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù (art. 600 c.p.), tratta di persone (art. 601 c.p.), acquisto ed alienazione di schiavi (art. 602 c.p.), nonché il delitto di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) se finalizzato alla commissione di quei delitti. Ma il cammino non si è esaurito perché la L.15 luglio 2009, n.94 ha modificato il sesto comma dell'art. 416 c.p. riconducendo ai delitti delle nuove mafie anche l'associazione per delinquere finalizzata a promuovere, organizzare, finanziare, effettuare il trasporto di stranieri nello Stato o a compiere atti diretti a procurare illegalmente l'ingresso nel territorio

154 dello Stato o di altro Stato del quale la persona non è cittadina purché ricorrano due o più delle seguenti ipotesi:

− se il fatto riguarda l'ingresso o la permanenza illegale nello Stato di cinque o più persone;

− se la persona trasportata è stata esposta a pericolo della sua vita o incolumità per procurarne l'ingresso o la permanenza illegale;

− se la persona trasportata è stata sottoposta a trattamento inumano o degradante;

− se il fatto è commesso da tre o più persone in concorso tra loro o utilizzando servizi internazionali di trasporto o documenti personali falsi;

− se gli autori del fatto hanno la disponibilità di armi o di materiali esplodenti (si veda articolo 12 T.U. Immigrazione modif. dal secondo decreto sicurezza). E' poi intervenuta la L.23 luglio 2009, n.99 titolata «Disposizioni per lo sviluppo e l'internazionalizzazione delle imprese, nonché in materia di energia» che modificando alcuni articoli del codice penale e tenendo conto che talune attività illecite sono gestite da organizzazioni straniere specie cinesi ed innovando ancora una volta l'art. 51 comma. 3 bis c.p.p., ha inserito tra i delitti di mafia anche quello di associazione per delinquere se finalizzato a commettere i delitti di «Contraffazione, alterazione ed uso di marche o segni distintivi o brevetti, modelli e disegni» (art.473 c.p.) e di «Introduzione nello Stato e commercio di prodotti con segni falsi» (art.474 c.p.). Una normativa della quale non si può non sottolineare l'anomalia è poi quella dettata dal D.L. 90/2008 conv. dalla L. 123/08 e relativa alla competenza dell'autorità giudiziaria per i procedimenti penali

155 concernenti la gestione dei rifiuti in Campania. Tutti i procedimenti relativi a tali reati – che non sono considerati di mafia – vengono accentrati presso il procuratore della Repubblica del tribunale di Napoli e, come per i reati di mafia, le funzioni di GIP e di GUP sono svolte dai magistrati di Napoli. Le misure cautelari sono emanate da un organo collegiale. Se si ravvisano elementi di criminalità organizzata il PNA può esercitare le proprie funzioni. Come si nota si tratta di una disciplina mista poiché a reati non di mafia si applicano istituti relativi ai delitti di mafia.

156 Col. Umberto SIRICO

Il contrabbando quale fonte di finanziamento di camorra e n’drangheta.

Signor Sottosegretario, Onorevole Presidente, Autorità civili e militari, signore e signori, desidero, innanzitutto, ringraziare il Museo Storico della Guardia di Finanza, il quale - con la collaborazione del Comando Interregionale dell’Italia Sud/Occidentale e dell’Ispettorato per gli Istituti di Istruzione, sotto l’egida del Comando Generale - ha organizzato questo importante convegno, dandomi l’opportunità di partecipare a questo simposio che ha come tema il contrabbando,

157 fenomeno criminale al cui contrasto, per ragioni oserei dire storiche, il Corpo da sempre si dedica. Il mio intervento, ovviamente, considerata la presenza di così autorevoli relatori e tenuto conto dei temi da loro già affrontati e di quelli che saranno dibattuti domani, vuole fornire spunti di pensiero che sono stati oggetto o lo saranno di una prospettazione più analitica, sopratutto con riferimento all’inquadramento storico in cui alcuni eventi, fondamentali nell’analisi di questo fenomeno, vanno collocati, anche perché, in alcuni casi, sono stati personalmente vissuti dal punto di vista professionale da chi oggi è stato demandato ad illustrarne i contorni. Il tema che mi è stato affidato è quello del rilievo assunto dal contrabbando di sigarette quale fonte di finanziamento per la Camorra e la ‘Ndrangheta, tema che non posso sviluppare senza dare uno sguardo al passato, ma che, al tempo stesso, nella mia veste di Comandante del Servizio Centrale Investigazione Criminalità Organizzata, mi offre la possibilità di fare un punto di situazione su come oggi il contrabbando di T.L.E. si manifesta e su quali sono le sue possibili prospettive di evoluzione e sul modo in cui la Guardia di Finanza, specialmente dal punto di vista investigativo, si è organizzata per contrastarlo efficacemente. Guardando al passato, vorrei però partire proprio da esperienze che da bambino, cresciuto in un paese molto vicino al comune di Torre Annunziata, nota roccaforte del contrabbando negli anni d’oro del traffico di T.L.E. in Campania, ho vissuto personalmente e che fanno affiorare alla mia mente immagini di un’estate agli inizi degli anni ‘70, nei pressi del mare di Torre, quando il golfo di Napoli non era così

158 inquinato come ora e si poteva ancora fare il bagno in una cittadina che, a quel tempo, ancora riusciva a sfruttare la bellezza di quei luoghi vicini al Vesuvio e le vestigia di un passato commerciale abbastanza ricco, cresciuto intorno al lavoro di importanti maestri pastai che in quella zona avevano fatto piccole fortune. Ebbene, tra quei ricordi ci sono anche le carovane delle auto contrabbandiere, precedute da staffette motorizzate spesso costituite da ragazzi non ancora maggiorenni che fermavano il traffico per far passare in velocità queste colonne di autovetture sgangherate, senza sedili, ad eccezione di quello del guidatore, piene di sigarette, con motori truccati, che cercavano di sottrarsi all’inseguimento delle nostre autovetture di servizio. Non solo, penso anche ai numerosi posti di blocco che i nostri militari organizzavano intorno ai punti caldi degli sbarchi per arginare il fenomeno od ancora ai lunghi e veloci motoscafi blu che spesso sfrecciavano nel braccio di mare antistante Capri, incalzati dalle nostre motovedette. Come ho detto, questi ricordi sono legati ad un periodo storico particolare, a cavallo tra gli anni ’70 ed ’80, quando il contrabbando di sigarette, in continua crescita fin dal dopoguerra, aveva assunto le caratteristiche quasi di un fenomeno di “massa”, rappresentando un’enorme opportunità per la Camorra. L'interesse della criminalità organizzata campana per il contrabbando ha radici lontanissime nel tempo; alle origini, l’attività era rimessa a soggetti estranei alle organizzazioni criminali in senso stretto, mentre queste percepivano una sorta di quota sull’esercizio dell’attività illecita, che veniva favorevolmente tollerata.

159 Proprio il principio della sicurezza delle operazioni è quello che ha consentito alle famiglie mafiose, sin dagli albori del contrabbando, di introdursi nelle organizzazioni, ottenendo inizialmente il “pizzo”, per penetrare poi a poco a poco nei gangli vitali delle stesse formazioni contrabbandiere. E’ del tutto evidente, infatti, che una qualsiasi associazione contrabbandiera (italiana o straniera che fosse) non poteva pianificare una grossa operazione di sbarco su una spiaggia delle coste siciliane, calabresi, campane e pugliesi senza prima ottenere il consenso da parte dei locali esponenti della criminalità organizzata. Proprio questa sorta di “pedaggio”, che garantiva idonee cornici di sicurezza, si concretizzava nel pagamento di una percentuale relativa ai carichi di sigarette portati a buon fine (una sorta di tangente sugli utili). L’esperienza di questo approccio “indiretto”, visto il rischio connesso a questa attività criminale ed i grossi margini di redditività, portò successivamente la Camorra ad assumere un “ruolo diretto” nel traffico illecito, in cui cominciò ad investire in proprio. Ecco, quindi, che il contrabbando inizia a crescere di livello dal punto di vista criminale trasformandosi in attività gestita con metodo “mafioso”. Infatti, “fare le sigarette”, come in gergo camorristico si diceva a quei tempi riferendosi al contrabbando, significava per la Camorra raggiungere tre obiettivi di rilievo, e cioè: - investire i capitali illeciti (in primis provenienti dall’estorsione) in un processo economico in grado di produrre effetti moltiplicativi, tali da garantire allettanti introiti, ma al tempo stesso idonei a

160 finanziare altre attività parimenti illecite, con metodi e idee che appartenevano fino a quel momento all’esperienza criminale di Cosa Nostra; - creare forme di proselitismo e fidelizzazione, attingendo risorse umane nelle fasce sociali meno agiate, attratte dai facili e costanti guadagni che si potevano realizzare fungendo anche solo da “manovalanza” per le attività di carico e scarico delle sigarette; il radicamento delle organizzazioni criminali sul territorio dell’Italia meridionale venne, infatti, favorito dalle condizioni di crisi economica in cui versavano proprio realtà come quella pugliese e campana, dove ai forti livelli di disoccupazione si accompagnava, purtroppo, uno scarso senso di fiducia nelle Istituzioni, tanto che, in questi contesti, l’attività del contrabbando, secondo le testimonianze del tempo, era spesso vissuta come una “vantaggiosa”, benché illecita, alternativa alla disoccupazione; - porre le basi, con la gestione del traffico illecito in parola, per la creazione di una struttura “organizzativa” complessa, fattore questo che poi ha avuto particolare importanza per lo sviluppo del commercio della droga che, all’inizio, spesso, si è appoggiato proprio sulla rete operativa del contrabbando. La Camorra garantì, quindi, una sorta di “welfare dell’illecito”, creando “un’occupazione sotterranea del malaffare”, basata su un sistema di scaricatori, corrieri, scafisti, vedette, bancarelle per la minuta vendita. Gli elevati margini di guadagno erano, però, nelle mani dei vertici delle famiglie, che gestivano questo sistema con metodo sempre più imprenditoriale.

161 In verità, l’ascesa del contrabbando di sigarette appare collegata anche, se non soprattutto, alla valutazione rischio/beneficio che spinse l’interesse della criminalità organizzata verso quel tipo d’illecito; infatti, ai fortissimi guadagni si contrapponevano rischi contenuti rispetto ad altre tipologie di reato, quali il traffico d’armi e di droga, senza trascurare il fatto che, come si è detto, una stessa parte dell’opinione pubblica, oserei dire non solo al tempo, ma tuttora, non assegna al contrabbando di sigarette lo stesso disvalore attribuito ad altri illeciti, talvolta meno gravi, come i piccoli furti o gli scippi, ma ritenuti di maggiore allarme sociale. Ecco quindi che, anche in questa sorta di comprensione giustificata, matura il salto di qualità della Camorra, che si trasforma a tutti gli effetti in “gestore” del traffico, facendo sì che il contrabbando diventi uno degli elementi portanti dei propri affari illeciti. Ricordiamo, infatti, come uno dei più agguerriti clan camorristici di Napoli, il clan “Mazzarella”, nacque proprio come gruppo malavitoso dedito al contrabbando di sigarette, iniziando ad imporsi sulla scena criminale fin dagli anni ‘50, quando la famiglia instaurò le cosiddette “paranze” del contrabbando da Posillipo a Santa Lucia, da Pozzuoli a Bagnoli. Negli anni ‘50, ‘60 e ‘70 erano attivi nel settore soprattutto i fratelli “Zaza”, imparentati con i “Mazzarella”, con a capo Michele Zaza, affermato camorrista/contrabbandiere, divenuto anche affiliato di Cosa Nostra. Dopo diversi anni la gestione di un vero e proprio impero - fondato sul contrabbando di sigarette ed accresciutosi con quello della droga - passò ai nipoti di Michele Zaza, i fratelli “Mazzarella”, i figli di

162 Francesco Mazzarella, Ciro, detto “’O Scellone”, Gennaro, detto “’O Schizzo”, e Vincenzo, detto “’O Pazzo”, alcuni di questi ancora in carcere. Ma anche altre rilevanti organizzazioni camorristiche operavano nel contrabbando, dividendosi le competenze sull’area di Napoli, tra cui possiamo ricordare il gruppo dei fratelli “Spadaro”, il gruppo di Nunzio La Mattina, il gruppo dei fratelli “Nuvoletta” operante a Marano ed Antonio Bardellino, attivo ad Aversa. Il controllo del mercato illecito delle sigarette, inoltre, fu uno dei motivi che portarono alla sanguinosa guerra di Camorra dei primi anni ’80, quando Raffaele Cutolo decise di imporre una “tassa” a tutti gli altri clan camorristici di Napoli; Cutolo richiese una vera e propria tangente su ogni cassa di sigarette sbarcata, innescando la guerra con la federazione della Nuova Famiglia, ai vertici della quale si erano posti proprio i fratelli “Mazzarella”. Questa escalation di violenza, che portò - negli anni ricompresi tra il 1979 ed il 1983 - ad oltre 900 omicidi nella sola regione Campania, secondo ricostruzioni giudiziarie, fu fondata, quindi, anche sugli enormi interessi economici che ruotavano intorno al contrabbando. Tornando all’evoluzione del fenomeno, va’ tenuto presente che il contrabbando, anche per quel che riguarda la Camorra, ha subito un mutamento nel tempo, non soltanto rappresentato dal graduale spostamento dell’asse operativo dalla zona medio tirrenica, con l’epoca degli scafi blu e delle navi Ro-Ro, a quella adriatica, connotata invece dai motoscafi off-shore e dai fuoristrada blindati pugliesi, pronti a tutto, anche agli speronamenti, pur di salvare i carichi.

163 Infatti, sul legame tra la Camorra ed il traffico illecito di T.L.E., va preso in considerazione soprattutto l’aspetto della “specializzazione imprenditoriale”, che è poi diventata una caratteristica del contrabbando “moderno”, organizzato in vere e proprie holding transnazionali in grado di controllare tutte le fasi del processo illecito, non ultime quelle legate al reimpiego di capitali così ottenuti attraverso compagini societarie, semmai collocate in Paesi considerati a fiscalità privilegiata (i cosiddetti paradisi fiscali e finanziari). Non è poi escluso che dietro questa fiorente proliferazione di società emergano personaggi storicamente noti al mondo del contrabbando, che potrebbero ricoprire un ruolo rilevante anche nei nuovi traffici internazionali e che sono dotati di un elevato livello di professionalità. Infatti, l’acquisto di partite di tabacchi lavorati di per sé implica un elevato grado di conoscenza dei meccanismi giuridici, economici, tecnici e commerciali di funzionamento dei mercati internazionali. Di conseguenza, è necessario programmare e coordinare il coinvolgimento di società di spedizione, di banche estere, di società finanziarie, nonché di una vasta e complessa rete di società d’intermediazione, in grado di curare gli aspetti commerciali delle stesse transazioni. Tutto questo non può farlo bene chi non conosce dal di dentro il settore. Il dato rilevante è il pressoché totale abbandono delle forme storiche di contrabbando extraispettivo con il contestuale incremento di forme articolate di contrabbando intraispettivo, fondato prevalentemente sulla manipolazione fraudolenta della documentazione doganale, spesso a cura di veri e propri esperti che presentano alla visita

164 doganale i carichi di tabacco scortati da documenti materialmente o ideologicamente falsi, spesso attestando trasporti di prodotti a bassa incidenza fiscale. L’attività contrabbandiera, spesso, si sovrappone o si affianca ad altre attività illegali, quali il traffico di stupefacenti, lo sfruttamento dell’immigrazione clandestina, il traffico di armi, la contraffazione ed il riciclaggio. Ulteriori conferme in questa direzione provengono, ancora oggi, da attività investigative più attuali, delle quali ritengo significativo fare menzione, poste in essere dai Reparti dipendenti dal Comando Provinciale partenopeo. Di particolare interesse info-operativo, risulta l’operazione denominata “Potiomkin”, portata a compimento dal Gruppo Pronto Impiego di Napoli nei confronti di un’organizzazione contrabbandiera dedita all’introduzione nel territorio dello Stato di ingenti quantitativi di T.L.E. di contrabbando provenienti dalla Polonia e dall’Ucraina. L’attività in argomento, condotta tra il 2005 ed il 2008, ha tratto origine dalla ripresa nel capoluogo campano del fenomeno della cessione al minuto di tabacchi lavorati esteri di produzione polacca e/o ucraina da parte di venditori abusivi partenopei. Le indagini hanno messo in luce i flussi di approvvigionamento dall’estero dei tabacchi ed hanno consentito di pervenire all’identificazione dei sodalizi criminali composti da cittadini italiani, polacchi ed ucraini, dediti all’illecito traffico28, evidenziando in modo

28 In particolare, durante le varie fasi investigative sono stati identificati e verbalizzati i venditori al minuto, i grossisti, i corrieri di t.l.e., nonché attenzionati i promotori italiani del contrabbando internazionale. Questi ultimi, residenti da alcuni anni a Varsavia (Polonia), vi operavano con la collaborazione di apposite cellule composte da cittadini polacchi, cechi ed ucraini con cui erano 165 compiuto tutte le fasi operative, dal confezionamento in Ucraina ed il successivo trasporto in Polonia (presso depositi di primo stoccaggio) fino alla fase finale di destinazione al mercato campano, in particolar modo a quello napoletano. Le investigazioni hanno consentito di individuare tre differenti organizzazioni criminali dedite al riciclaggio dei relativi proventi illeciti, nonché di denunciare oltre 100 soggetti di varie nazionalità, in particolare, oltreché italiani, cittadini dell’Est Europa (Polacchi, Cecoslovacchi ed Ucraini), di cui 83 tratti in arresto in flagranza di reato29. Inoltre, le attività d’indagine hanno disvelato l’esistenza di un’organizzazione delinquenziale composta da cittadini italiani, di origine campana, e da cittadini di etnia cinese, dedita all’introduzione sul territorio nazionale di ingenti quantitativi di generi di T.L.E. di contrabbando contraffatto ed accessori di abbigliamento falsificati di produzione cinese e destinati al mercato nero campano. Da tali evidenze investigative, il medesimo Reparto del Corpo, ha poi intrapreso una nuova ed ulteriore attività investigativa, estesa anche ad altri stati esteri, in particolare la Spagna, quale principale snodo di introduzione nell’Unione Europea delle merci contraffatte, e la Repubblica Popolare cinese, quale Paese di produzione dei beni.

in costante contatto telefonico e che provvedevano all’approvvigionamento del t.l.e. dai luoghi di produzione, verosimilmente ubicati in Ucraina. 29 Nell’ambito dell’indagine sono state eseguite numerose operazioni di controllo su strada che hanno portato al sequestro di oltre 26 tonnellate di tabacchi introdotti in Italia in regime di contrabbando doganale, oltre 16 tonnellate di t.l.e. immessi in consumo in frode alla legge per un valore pari a quasi 3 milioni di euro, circa 70 autoveicoli, disponibilità finanziarie per oltre 140 mila euro ed una centrale di masterizzazione.

166 Detti interventi hanno fatto emergere gli stretti collegamenti tra le organizzazioni criminali cinesi, dedite alla produzione della merce in questione, e quelle campane, impegnate, invece, nella commercializzazione dei prodotti contraffatti30. Lo scenario più recente, caratterizzato da un sensibile e costante aumento dei quantitativi di T.L.E. sequestrati dalla Guardia di Finanza in Campania negli ultimi anni, evidenzia, quindi, una propensione delle organizzazioni contrabbandiere campane ad assumere connotazione trasnazionale, conservando impegno “diretto” da parte dei soggetti italiani nell’attività di direzione e gestione del traffico illecito, demandando le fasi logistiche a gruppi prevalentemente di matrice straniera. Per quanto attiene la ‘Ndrangheta, come già ricordato in altri interventi, va invece sottolineato che il core - business di quest’organizzazione è legato specialmente al traffico di sostanze stupefacenti, che fa assumere alle ‘ndrine un ruolo primario nello scacchiere criminale nazionale ed internazionale, proprio grazie alla loro flessibilità e continua adattabilità allo scenario di riferimento. L’intera organizzazione si è “attrezzata” per ottimizzare una “gestione economico - finanziaria” dei cospicui patrimoni accumulati con i guadagni del narcotraffico. Nonostante ciò, l’analisi delle attività investigative realizzate nel tempo testimonia anche il non trascurabile interesse da parte della ‘Ndrangheta al contrabbando di sigarette, sebbene in forma “mediata”

30 Nel complesso, l’attività ha consentito di denunciare 48 persone (31 delle quali di etnia cinese), di cui 6 in stato di arresto; inoltre, è stata sequestrata oltre una tonnellata di t.l.e. contraffatto di provenienza cinese, di marca “Marlboro”, ed oltre 400 mila articoli di abbigliamento falsi, per un valore commerciale di oltre 1 milione di euro. 167 rispetto al legame diretto che sussiste tra il fenomeno “de quo” e la Camorra. Anche per la Mafia calabrese, che molti specialisti del settore definiscono “Mafia liquida” per l’immensa disponibilità di denaro di cui può far uso, l’esperienza del contrabbando è stata significativa per rafforzarne il peso e la struttura, così da farla fortemente radicare anche fuori del territorio nazionale, per lo sviluppo del commercio della droga. Al riguardo, degna di menzione è l’operazione “Smeraldo”, condotta dall’allora Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Catanzaro il quale, nel giugno del 2000, ha tratto in arresto 23 soggetti facenti capo alle cosche calabresi “Piromalli”, “Commisso”, “Pelle” e “Muto”, ritenuti responsabili di associazione per delinquere finalizzata al traffico internazionale di sostanze stupefacenti e di sigarette, nonché al riciclaggio di ingenti somme di denaro nel nord - Italia, in Francia ed in Svizzera. Nel corso delle operazioni, il medesimo Reparto del Corpo ha, tra l’altro, sequestrato, presso il porto di Gioia Tauro, un container con quasi 5 tonnellate di T.L.E. provenienti dall’Egitto. Inoltre, le ‘ndrine, nel passato, hanno stretto accordi, in particolare con la Sacra Corona Unita, finalizzati a garantire a quest’ultima canali di rifornimento alternativi alle coste pugliesi per i traffici di sigarette di contrabbando. A tal riguardo, quale conferma investigativa, pare opportuno ricordare un’altra operazione, denominata “Stork” (Cicogna), dal sistema adottato dalle organizzazioni contrabbandiere per rilasciare in acque internazionali le motonavi con i carichi di T.L.E. (intesi come neonati), conclusa dall’allora Compagnia Mobile di Milano nel 2000, che mise

168 in luce frequenti contatti per escogitare nuove metodologie di introduzione di T.L.E. di contrabbando in Italia, come ad esempio il contrabbando via terra dalla Spagna o dal Nord Europa, a mezzo camion, o via mare lungo le coste della Calabria, con accordi stretti tra noti contrabbandieri pugliesi ed alcune cosche della locride. Nella circostanza, venne acclarato che alcuni affiliati della ‘Ndrangheta si adoperarono, anche dal carcere, per trovare nuovi appoggi proprio in Calabria ove poter compiere indisturbati sbarchi di sigarette, con il beneplacito, appunto, della locale criminalità organizzata, che avrebbe percepito lauti compensi. Venendo, invece, ai giorni nostri, il Nucleo di Polizia Tributaria di Milano, nello scorso mese di gennaio, in collaborazione con i GG.I.C.O. di Napoli e Bari, ha concluso, tra Lombardia, Campania e Calabria, un’operazione che ha permesso di neutralizzare un’organizzazione transnazionale dedita alla produzione in Cina di T.L.E., nonché alla sua spedizione sul territorio nazionale (e comunitario) all’interno di containers. Il modus operandi dell’organizzazione, che si è avvalsa anche della complicità di soggetti operanti in Calabria, prevedeva che i tabacchi prodotti nella Repubblica Popolare Cinese viaggiassero all’interno di containers i quali, a bordo di navi con destinazione i porti italiani (su tutti Gioia Tauro, Taranto e Bari), sarebbero stati sdoganati per essere successivamente smistati in parte in Italia ed in parte verso il Regno Unito e la Germania. Le indagini, estese anche in campo internazionale, hanno confermato il ruolo strategico proprio del Porto di Gioia Tauro per il traffico illecito in parola.

169 Esso, grazie alla sua favorevole posizione al centro delle rotte commerciali del Mediterraneo, nonché in ragione dello sviluppo favorito dai finanziamenti comunitari, costituisce, com’è noto, una delle più grandi attrattive per la criminalità organizzata, in quanto primo snodo commerciale italiano per movimentazione di containers. E tra i traffici illeciti maggiormente posti in essere nel porto, c’è proprio il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, proveniente soprattutto dall’Oriente ed in particolare dalla Cina, al cui quotidiano contrasto sono preposti i nostri Reparti in quel territorio. Guardando, infatti, i dati statistici nazionali sui risultati delle Unità Operative del Corpo nell’arco temporale di un decennio, dal 2000 al 2009, emerge nettamente la consistenza dei sequestri operati presso il porto dalla Guardia di Finanza calabrese - pari a circa 400 tonnellate - sequestri che in alcuni anni (2000, 2004, 2007) hanno raggiunto, se non superato, le 60 tonnellate. Ed il 2009, con le sue quasi 50 tonnellate, sembra porsi sulla stessa linea, rappresentando oltre il 20% del quantitativo di T.L.E. sequestrato a livello nazionale dal Corpo. Questo dato, apparentemente connesso al solo profilo territoriale, ci fornisce una chiave di lettura importante per considerare non proprio secondario, ancora oggi, l’interesse della ‘Ndrangheta per il contrabbando di sigarette. In conclusione, l’analisi sin qui svolta conferma, quindi, che soprattutto la Camorra e, nei termini sopra indicati, anche la ‘Ndrangheta, hanno attribuito specifico interesse al contrabbando di sigarette, adeguando la loro struttura criminale all’evoluzione del fenomeno.

170 I forti interessi economici in gioco hanno, infatti, in alcune aree del nostro Paese, portato le organizzazioni mafiose ad interessarsi sempre di più a tale traffico illecito, spesso giungendo a “monopolizzarne” l’esercizio sul territorio. Ciò grazie soprattutto alla tipica struttura organizzativa dei sodalizi criminali, costituita da una vasta organizzazione di uomini, ingenti mezzi finanziari e logistici, collegamenti internazionali con la criminalità di altri paesi interessati dai vari transiti dei carichi di sigarette. Non va sottovalutato, in termini di nocività del fenomeno, l’effetto “volano” che lo stesso fenomeno illecito ha prodotto e produce a favore delle altre attività delle organizzazioni criminali, che lo sfruttano per diversificare il “rischio d’impresa” e per finanziare altre attività delinquenziali, tra cui, in particolare, l’usura, il traffico di stupefacenti e di armi. Anche per quanto riguarda la “geografia” del contrabbando, stiamo assistendo ad un’evoluzione del fenomeno: l’Italia, un tempo area di strategico interesse per la destinazione finale dei tabacchi, tende, oggi, a rivestire principalmente un ruolo di transito per i carichi destinati al mercato clandestino del Nord Europa, ove più alto è il livello dell’imposizione fiscale statale e, pertanto, maggiore è il profitto per le associazioni criminali. Un importante canale di immissione delle sigarette in contrabbando, che si affianca alla tradizionale rotta balcanica ed ai traffici provenienti dai Paesi dell’est Europa, risulta quello legato alle navi mercantili

171 (sfruttando il transhipment dei porti internazionali31) che solcano l’Adriatico ed il Mediterraneo orientale; particolarmente significativo è il flusso proveniente dal sud-est asiatico32. Un ulteriore elemento che emerge dall’analisi dei riscontri investigativi è l’operatività dei contrabbandieri anche in aree non tradizionalmente interessate dal fenomeno, quali il nord-est del Paese (in particolare nel Triveneto ed in Lombardia), l’Emilia Romagna ed il medio-alto Tirreno (più precisamente il basso Lazio). Volendo, quindi, delineare un quadro delle aree di interesse per i gruppi criminali emergono, in ordine di importanza, i confini terrestri nord-orientali, i principali scali portuali e le direttrici autostradali che collegano le aree di stoccaggio con i mercati finali, principalmente quelli dei Paesi del Nord Europa. Gli scali portuali italiani rappresentano punti di accesso privilegiati per tutto il mercato europeo: non a caso, nell’ultimo triennio, oltre i 2/3 delle sigarette sottoposte a sequestro dai Reparti del Corpo è avvenuto proprio nelle aree portuali e questo dato confermerebbe la funzione del nostro Paese quale luogo di transito del traffico. Ai sequestri nei porti vanno poi aggiunti quelli, quantitativamente meno rilevanti ma più frequenti, dei tabacchi occultati su furgoni, autobus ed autoarticolati, solitamente provenienti dall’Est europeo e destinati a rifornire di sigarette gli immigrati residenti nel nostro Paese.

31 Particolare rilievo assumono le rotte provenienti da Cina, Emirati Arabi Uniti, Indonesia, Singapore, Filippine, Cipro, Siria, Egitto, Belgio, Olanda, Romania e Federazione Russa. 32 Secondo le stime dell’Europol, la Cina appare infatti come principale base di partenza per i carichi di contrabbando, anche di tabacchi contraffatti, destinati maggiormente a Regno Unito, Belgio e Germania. 172 E qui un altro elemento di novità, oggi nel contrabbando: cresce la presenza di uomini appartenenti alle cosiddette “mafie dell’est” che, in stretta collaborazione con le “mafie autoctone”, o anche autonomamente, si stanno inserendo nel panorama criminale che interessa il fenomeno. Un’innovativa fonte di approvvigionamento è poi quella rappresentata dall’“e-commerce”. Ci sono siti (anche in lingua italiana) che, attraverso internet, promuovono l’acquisto e la spedizione di tabacco e di suoi derivati a prezzi inferiori a quelli praticati nella maggior parte dei Paesi occidentali, offrendo, peraltro, una scelta più ampia di quella presente negli ordinari punti di vendita. Gli aspetti più allarmanti di questo nuovo canale di distribuzione si annidano non soltanto nell’infinita potenzialità commerciale della rete, quanto nella schermatura che la stessa riesce ad offrire a siti costituiti in territorio estero, rendendo più complesse le investigazioni del Corpo, attive anche in questo settore e che hanno prodotto anche significativi risultati. Emblematica al riguardo è l’operazione “Web Tobacco” conclusa nell’ottobre del 2008 dal Nucleo di Polizia Tributaria di Cuneo, il quale ha disarticolato un vasto traffico di contrabbando di tabacchi lavorati esteri via internet denunciando all’Autorità Giudiziaria oltre 1000 acquirenti e sequestrando circa 10 tonnellate di sigarette, per un valore di circa 3,5 milioni di euro. Ebbene, partendo proprio da quest’ultimo servizio, che si aggiunge agli altri importantissimi sequestri che la Guardia di Finanza ha operato a contrasto del fenomeno, ho fatto una statistica sui risultati

173 ottenuti dai Reparti del Corpo negli ultimi 20 anni, rilevando che sono state circa 14.000 le tonnellate di T.L.E. sequestrate e circa 500 i milioni di euro di accise contestate su oltre 31.000 tonnellate di consumato in frode. Vorrei comunque rassicurarvi in ordine al fatto che, da un lato, è sì vero che oggi si può parlare di nuovi segnali di recrudescenza del contrabbando, ma è altrettanto innegabile che grazie anche - anzi vorrei dire soprattutto - all’impegno della Guardia di Finanza, questo fenomeno, che fino agli anni ’90 era una vera e propria piaga sociale, si è poi ridimensionato. Ho pure detto che l’attuale crisi economica rischia di creare nuove opportunità per le organizzazioni criminali visto che, ancora oggi, il margine di guadagno del contrabbando è molto elevato; infatti, su un pacchetto di sigarette, che nel mercato illecito si vende mediamente a 2,5 euro (rispetto ai circa 4 del pacchetto legale), si evadono imposte per circa il 60% del prezzo ufficiale, assicurando, altresì, cospicui guadagni per le medesime organizzazioni. Questo, però, non significa voler alimentare spinte allarmistiche su un’attività illecita che, comunque, rispetto al passato ha volumi più contenuti e che vede, tendenzialmente, l’Italia, oggi, più come Paese di transito che di consumo. Nonostante questo, è importante mantenere la guardia sempre altissima, organizzando il dispositivo di contrasto in modo sempre più puntuale. E’ proprio per rendere armonico tale dispositivo, creando un link sul piano investigativo tra i sequestri operati all’interno degli scali portuali, quelli eseguiti dai Reparti volanti su strada e le investigazioni

174 condotte dai GG.I.C.O. per ricostruire le fila delle associazioni criminali organizzatrici dei traffici, che lo S.C.I.C.O. ha ideato un Piano d’azione, convenzionalmente denominato “Tobago”, che sta portando all’organizzazione di una base dati specifica su questo fenomeno per mettere a sistema il vasto patrimonio informativo disponibile al riguardo, per assicurare un’attenta opera di raccordo tra le attività investigative e per valorizzare i collegamenti e le ricorrenze che esistono tra le varie indagini allo scopo di individuarne elementi di comunanza o di contiguità. Detta attività è, inoltre, supportata dal software “Molecola”, realizzato anch’esso dal Servizio Centrale, in collaborazione con la Direzione Nazionale Antimafia, che si pone come obiettivo principale quello di orientare l’esecuzione delle attività investigative di tipo economico- patrimoniale nei confronti di ampie e composite platee di soggetti, consentendo agevolmente di elaborare, incrociare ed analizzare rilevanti masse di dati secondo metodologie operative standardizzate che permettono di individuare obiettivi proficuamente aggredibili in quanto detentori di beni in misura sproporzionata rispetto al reddito dichiarato. Al tempo stesso va detto che, su di un piano più generale, questa attività va a completamento dell’opera svolta dal Comando Generale, la quale tende, fondamentalmente, a mettere la Guardia di Finanza nelle condizioni di poter sviluppare meglio i rapporti di collaborazione internazionali con gli Organi collaterali esteri che si occupano del fenomeno sfruttando le convenzioni in atto e creando una sinergia più stretta con le Dogane e con l’Amministrazione Autonoma dei Monopoli di Stato.

175 Proprio quest’ultima Istituzione è quella che gestisce il tributo e quindi il settore, anche nell’ottica d’individuazione dei meccanismi che rendono più difficili contraffare i prodotti da fumo, visto che la contraffazione si accompagna sempre di più all’introduzione illecita di tali beni all’interno del territorio nazionale. E’ ovvio che per arginare il fenomeno è stato anche importante aver dato più forza, sul piano normativo, al contrabbando, da un lato inasprendone l’apparato sanzionatorio (con la Legge 50 del 1994), dall’altro inserendo nell’articolo 51, comma 3 bis del codice di procedura penale, e quindi nell’alveo della competenza delle Direzioni Distrettuali Antimafia, anche il reato “de quo” nella sua forma associativa. Tuttavia, è ovvio che tutto questo non basta se non continuiamo ad instillare nell’opinione pubblica, nella gente, soprattutto in quei luoghi dove ha avuto la sua fioritura, l’idea che comunque il contrabbando non è meno peggio della droga o di altri delitti ritenuti più gravi. Anche il contrabbando, infatti, soprattutto oggi che è gestito dalle organizzazioni mafiose, rischia di diventare un potente strumento per alimentare i guadagni delle organizzazioni criminali e, quindi, accrescere i patrimoni delle “mafie”. E come hanno detto molti autorevoli esperti, studiosi della materia, proprio sull’arricchimento illecito ci si deve concentrare per distruggere le imprese mafiose recidendo il circuito che si crea tra i lucrosi guadagni provenienti anche da questo fenomeno ed i patrimoni accumulati, che i mafiosi, attraverso i propri prestanome, cercano di allontanare dalla loro origine illecita.

176 E’ una sfida aperta che la Guardia di Finanza sta combattendo e vuole combattere senza soluzione di continuità. Vi ringrazio per l’attenzione che mi avete dedicato.

177

Gen. Pref. Pietro SOGGIU

Le strategie delle organizzazioni mafiose dal contrabbando di tabacchi al controllo del traffico internazionale di stupefacenti.

E’ sempre arduo dover svolgere una relazione nelle primissime ore pomeridiane, e soprattutto dopo l’eccellente colazione che ci è stata offerta, ma questa volta è ancor più arduo poiché il tema “Mafia – Stupefacenti – Contrabbando” è stato trattato dagli illustri, precedenti relatori questa mattina e dal dott. Vigna poco fa in maniera talmente esaustiva, approfondita, minuziosa e brillante da rendere difficile, se non impossibile, riferire, nella materia, qualcosa di nuovo o – come ogni relatore vorrebbe fare – qualcosa di particolarmente intelligente.

179 E’ un tema, questo, nel quale, inoltre, si è scritto di tutto e del contrario di tutto, come dimostrano la numerosa serie di libri, trattati, studi, convenzioni, rapporti, film, fiction, ecc. che hanno – in specie gli ultimi due – spesso distorto la realtà trattandola in modo falsato se non stravolto: a mia memoria solo un film trattò correttamente uno dei tanti episodi del contrasto al fenomeno criminale: “French Connection”, in Italia con il titolo un po’ caricato “Il braccio violento della legge” che illustrava quella lunga, assai complessa operazione condotta a termine con successo, in Francia, dalla polizia antidroga americana unitamente alla brigata antinarcotici francese. Per il resto, l’opinione pubblica ha in genere conosciuto l’aspetto criminale del fenomeno attraverso rappresentazioni, tecnicamente anche ben realizzate, ma incentrate su sparatorie, inseguimenti, assassinii, stragi, una spruzzata di sesso, spettacolari ma fondamentalmente assai lontane dalla realtà. Tra le tante cose che sull’argomento sono state scritte o riferite un posto di rilievo occupa la tesi che la mafia si sia dedicata al traffico di sostanze illecite dopo aver rilevato che il contrabbando di tabacchi, che l’aveva alimentata per decenni, non era più altamente remunerativo. Per noi, e per tutti gli addetti ai lavori, la tesi suddetta è totalmente insostenibile, perché: - già subito dopo la fine della seconda guerra mondiale esponenti mafiosi di primo se non primissimo piano risultarono chiaramente coinvolti in traffici di droga, nelle americhe ed in alcuni paesi europei;

180 - negli anni ’50 e ’60 la mafia era stata documentalmente attivissima nel traffico di stupefacenti – soprattutto eroina – tra la Sicilia e gli Stati Uniti; - negli anni finali del decennio ’60 la mafia ha avuto parte anche nella c.d. famosa “French Connection” già citata; - è appena il caso di ricordare l’altrettanto nota operazione “Pizza Connection” negli Stati Uniti, che seguì la precedente e che vide la partecipazione dei mafiosi siciliani con i “cugini” americani; - la sconfitta subita dai trafficanti in Francia consigliò lo spostamento dei laboratori di raffinazione in Sicilia; essi verranno scoperti solo molto più tardi, nel ‘78/’79, quando erano gestiti dal mafioso Francesco Marino Mannoia, esperto chimico. Si può quindi concludere pacificamente che nessun “passaggio” sia avvenuto tra contrabbando di tabacchi e traffico di droga ma il secondo, per le dimensioni che il consumo e, quindi, la richiesta progressivamente manifestava in Europa (prima, praticamente inesistente; il primo morto per overdose italiano è del 1973; cinque anni dopo, 120 morti; dieci anni dopo ci si avvicinava ai 1000, poi raggiunti nel 1990, a dimostrazione dell’escalation segnalata) era divenuto più “appetibile”. La mafia, in conclusione, ha costantemente operato nel particolare settore, sia pure con modalità, obiettivi, mezzi tecnici, procedure, collegamenti intercriminali differenziati nel tempo e nei diversi paesi. Inoltre, la tesi del “passaggio”, peraltro arricchita con la già citata ipotesi che lo stesso era anche stato determinato da una compressione del contrabbando di tabacchi, ritenuto non più ben remunerativo negli anni 70/80, è ulteriormente smentita dal fatto che il contrabbando di

181 sigarette proprio negli anni suddetti aveva raggiunto livelli di pericolosità assai elevati, assumendo il connotato di vera e propria impresa. Forse è bene ricordare alcuni parametri finanziari del contrabbando di tabacchi (che qualcuno definitiva, tra i fatti criminali, “povero”): un organizzatore di medio livello, ripeto, medio livello, in quel periodo acquistava nei porti del Nord-Europa (dove i tabacchi giungevano dagli Stati Uniti) un cartone di Marlboro (500 pacchetti) per 500.000 lire e lo rivendeva al primo grossista per un milione di lire: detratte fortettariamente spese per circa 100.000 lire, guadagnava per ogni cassa oltre 400.000 lire. Un organizzatore di medio livello, ripeto, operava su una media di 5.000 casse (Cristoforetti faceva partire le sue navi anche con 50.000 casse) e, pertanto, detratte le spese incassava due miliardi di lire in una sola operazione. Esentasse. La verità è che i due traffici, quindi, si sono costantemente integrati e che il secondo (ma tale solo per questioni temporali), ha continuato ad utilizzare strutture, mezzi, vie di movimentazione, stabili rapporti di corruzione, banche compiacenti ecc. lungamente sperimentati nel contrabbando di tabacchi. Ed è sufficiente, per chi non ha vissuto nella Guardia di Finanza dell’epoca, andarsi a leggere alcuni rapporti di denunzia trasmessi in quel tempo a diverse autorità giudiziarie, della Sicilia in primis, e rilevare i nomi dei denunziati esclusivamente per operazioni di contrabbando di tabacchi. Ce n’è uno, tra i tanti, del 1972, dove appaiono, solo come contrabbandieri, anche: Badalamenti Gaetano, Buscetta Tommaso, Gerlandi Alberto, Greco Salvatore, Davì Pietro, Mancino Rosario e via così, personaggi che, per noi addetti ai lavori,

182 erano da tempo considerati delle icone del traffico di stupefacenti e che venivano, peraltro, indicati in quel rapporto anche come interessati e coinvolti nella speculazione di aree fabbricabili, in costruzioni edilizie, nel mercato del pesce e così via a conferma che la loro attività criminale ha sempre spaziato nei più diversi settori, sempre che questi portassero potere e capitali. Desidero, ora, sviluppare brevemente una considerazione che attiene al disegno – chiamiamolo pure strategia – posto in essere costantemente dal crimine organizzato e finalizzato ad ostacolare e rendere sempre disagevole ed ardua l’azione di contrasto dello Stato; purtroppo questa strategia ha avuto, in diverse occasioni, successo e in proposito, non possono essere nascoste responsabilità anche gravi di quei media nazionali e stranieri che – dietro evidenti input – hanno attivato campagne di disinformazione penetranti, attraverso comunicazioni spesso ambigue, sfrontate, menzognere. Me ne sovviene una, perché recentemente riemersa: a seguito dell’approvazione lo scorso mese del pacchetto di norme del c.d. “Scudo fiscale” sono state assunte da parte del Corpo misure alla frontiera con la Svizzera e, su un quotidiano, ho letto un servizio nel quale si sottolineava come siano tornati gli spalloni degli anni ’50 che, ora, invece di sigarette, entrano in Italia con sacchi di banconote e nell’articolo si rimembrava il periodo del cosiddetto “contrabbando romantico”, posto in essere, appunto, negli anni ’50. Bene, quel contrabbando “romantico” è stata una delle più ignobili falsità che sul fenomeno sono state, ad arte, propalate e che ne hanno poi condizionato il contrasto. Ne ho già parlato in un analogo incontro di tre anni fa ma desidero ripetermi. Negli anni ’50 io operavo, da

183 giovane sottotenente, alla frontiera svizzera: nel mio settore, due finanzieri vennero uccisi, speronati da una vettura nel corso di un inseguimento; molti vennero feriti in colluttazioni con bande formate da decine di spalloni che non volevano perdere il carico e aggredivano i militari; tutti i cani anticontrabbando della mia tenenza vennero uccisi con il veleno e tralascio altri episodi di violenza e, in alcuni casi, di ferocia che proprio non consentono di definire “romantico” quel periodo che ora, a distanza di 60 anni viene rappresentato ancora con lo stesso aggettivo ma che fa parte di quell’opera di minimizzazione del pericolo portata avanti nel tempo, tanto che in diverse zone del Paese, quelle più duramente aggredite dal contrabbando (le cui operazioni erano protette da esponenti della criminalità organizzata locale : mafia siciliana, camorra napoletana e sacra corona in Puglia), il fenomeno veniva considerato con un senso di indulgenza, di tolleranza, quasi a giustificarlo, fingendo di ignorare quale alta scuola di criminalità esso costituiva. Si ricordano, addirittura, palesi inviti, anche da parte di autorità istituzionali, a frenare in alcune zone la solerzia delle operazioni di contrasto al contrabbando di tabacchi, dichiaratamente allo scopo di evitare che quelli che lo ponevano in essere potessero, qualora bloccati, dedicarsi a “ben più pericolose attività”, come furti, rapine, sequestri, estorsioni, traffico di stupefacenti, ecc. In sostanza, l’attività contrabbandiera in certe zone doveva quasi essere considerata, per usare il lessico attuale, una forma di ammortizzatore sociale. Una vergogna. Una vergogna made in mafia. Ci volevano due persone straordinarie per sottolineare, purtroppo solo dopo molti anni, la verità di quanto ho appena detto.

184 Infatti, in una sentenza-ordinanza del febbraio 1986, che rinviava a giudizio 707 mafiosi e nella quale un capitolo importante è dedicato anche al coinvolgimento nel traffico di stupefacenti di notissimi contrabbandieri di sigarette, c’è una frase che ci riconcilia, appunto, con la verità, ed è questa: “i vecchi canali contrabbandieri,… sono ormai utilizzati pressoché per intero per il traffico di stupefacenti. Il comprovato coinvolgimento in tale traffico di notissimi contrabbandieri come Cristoforetti e Dapueto, ne sono la più eloquente conferma. Al riguardo è doveroso sottolineare che se il fenomeno del contrabbando di tabacchi non fosse stato sottovalutato, oggi le organizzazioni dedite al traffico di stupefacenti non disporrebbero di collegamenti internazionali collaudati ed efficienti”. Firmato, Falcone e Borsellino” Desidero, però, tornare al tema della disinformazione per evidenziare come essa si sia manifestata, e chiaramente, anche per il traffico di droghe, con obiettivi e finalità non diversi ma con modalità certamente più sofisticate e sempre attraverso campagne di stampa sicuramente eterodirette, convegni internazionali , movimenti di opinione, ecc. che l’O.N.U., nella persona del suo vice segretario generale, dott. Costa, ha definito “campagne pro-droga”, giunte a richiedere persino l’abrogazione delle Convenzioni sul traffico di sostanze illecite promosse dall’organizzazione delle Nazioni Unite, perché – oltre ad altre motivazioni, secondo i presentatori – penalizzerebbero, ad esempio, anche i “poveri” paesi produttori. E’ davvero arduo credere che le ripetute, e molto “raffinate” istanze potessero provenire dagli illetterati campesinos; esse hanno, invece, lo scopo, come ho detto, di rendere sempre meno efficace l’azione di

185 contrasto, giungendo anche a negare o a minimizzare l’intrinseca pericolosità delle sostanze illecite. Quest’ultimo aspetto ha motivazioni e propositi anche ideologici ai quali non è estranea la politica e mi guardo bene dall’affrontarlo. E’ invece il traffico, nel suo aspetto delittuoso, che merita una breve illustrazione, partendo da una considerazione fondamentale: contrariamente al contrabbando di tabacchi, che ha una configurazione nazionale o, al massimo, interessante 3-4 paesi europei, il fenomeno droga presenta connotati di internazionalità come nessun altro: i paesi sono o produttori, o raffinatori, o di deposito, o di transito, o di consumo. Nessuno al mondo ne è esente se è vero, come è vero, che troviamo siringhe in Alaska ed in Madagascar. Il fenomeno, pertanto, è in mano a una pluralità di strutture criminali radicate nei diversi paesi. La mafia italiana può rivendicare, se così si può dire, un diritto di “primogenitura” nell’organizzazione dei traffici di sostanze illecite, ma per condurli a compimento essa ha dovuto sempre operare in simbiosi, in stretti rapporti, a seconda dei luoghi e/o delle sostanze, con le strutture criminali americane, turche, colombiane, francesi, asiatiche, nigeriane, albanesi, di alcuni paesi dell’est europeo, ecc. mafie che, peraltro, hanno poco da apprendere dai mafiosi italiani per disponibilità finanziarie, segretezza organizzativa, violenza, efferatezza. In Italia, ad esempio, i mafiosi non hanno mai attaccato, in armi, il Ministero della Giustizia, cosa che centinaia di trafficanti hanno fatto invece a Bogotà, anche con l’impiego di armi pesanti, provocando circa 100 morti tra i quali i molti membri della Corte Suprema. In Italia non sono mai apparsi enormi manifesti 10 metri x 5, firmati da un famigerato assassino trafficante colombiano che

186 poteva vantarsi di svolgere attività di beneficenza sociale; in Italia le disponibilità finanziarie dei mafiosi, pur assai ingenti, non hanno mai raggiunto i livelli davvero impensabili ed incredibili di quelli realizzati da certi “cartelli” sud americani, proprietari di autentiche flotte navali ed aeree, di vastissimi territori, di interi quartieri edilizi acquistati anche negli USA ed in Canada e pagati sempre e solo in banconote contanti. Inoltre in Italia vi sono stati casi nei quali la parte organizzativa del traffico non era, obiettivamente, definibile mafiosa: il maggiore esponente del contrabbando di tabacchi (dopo l’arresto in Svizzera del , Cicchellero, nel 1976) era diventato il già nominato Cristoforetti Giuseppe che certamente non era un mafioso in senso stretto ma che, quando intraprese la nuova, per lui, criminale attività, fu ovviamente obbligato - e venne chiaramente documentato - ad operare sia con mafiosi italiani che con quelli asiatici e turchi dei paesi produttori. Questo individuo, ricchissimo, vanamente inseguito da una serie di ordini e mandati di cattura e di carcerazione (doveva scontare molti anni di reclusione per tentato omicidio di due fratelli a Genova, per fatti di contrabbando di tabacchi) viveva in lussuose abitazioni in Spagna, Olanda, Grecia ecc. Amico di giornalisti, amava esternare ripetendo considerazioni e concetti diversi nei quali era solito rivendicare la sua posizione di imprenditore-contrabbandiere attaccando con durezza sia la miopia del monopolio statale italiano, sia trafficanti e spacciatori di droga, dichiarando con enfasi che avrebbe strangolato con le proprie mani qualunque suo dipendente che avesse “deviato” dalla sua attività di semplice, obbediente

187 contrabbandiere. Pochi anni dopo, una delle sue navi maggiori fu rintracciata in porti dell’Oceano Indiano e venne con l’ausilio degli agenti USA, attentamente monitorata, scoprendo che aveva già fatto alcuni viaggi dall’Oceano Indiano in Mediterraneo. Al viaggio successivo, si era nel 1983, venne fermata a Porto Said; sulla nave, che si chiamava Alexandros C & C stava, da megalomane quale lui era, per Cristoforetti, vennero rinvenuti oltre duecento kg di eroina bianca, quella tailandese. Duecento kg era, all’epoca, un quantitativo enorme e l’uomo (che risultò in stretti rapporti con la mafia turca) mai consegnato in precedenza all’Italia perché il reato di contrabbando di tabacchi non prevedeva l’estradizione nei paesi dove alternativamente aveva scelto di vivere, capì che stavolta non aveva scampo e decise, quindi, di scomparire. E poiché per scomparire davvero bisogna morire, lui morì. Meglio: un uomo venne trovato morto in un lussuoso albergo di Lisbona con in tasca documenti che lo identificavano come Cristoforetti Giuseppe; coincidenza delle coincidenze, suo fratello passava per Lisbona e lo identificò. Con straordinaria velocità, la salma venne posta in una bara e spedita subito nelle Baleari, dove la sua famiglia viveva. Non sono molti quelli che, anche nel suo “ambiente “, lo considerano defunto. Ho fatto cenno agli ostacoli frapposti da “raffinati movimenti di opinione pro-droga”. Ma non dobbiamo dimenticare che in Italia, a questi, per lungo tempo, si sono uniti quelli di quell’insuperabile moloch dell’immobilismo burocratico sintetizzabile nella frase “non c’è il precedente”. Mi spiego: il mio ufficio collaborava costantemente con gli agenti antidroga canadesi, americani, francesi, tedeschi, turchi ecc. accreditati in Italia e rilevavamo con quale disponibilità di mezzi,

188 a noi sconosciuta, essi potevano operare. Ma tutto ciò era particolarmente riscontrabile quando eravamo noi a recarsi nei loro paesi, a loro richiesta, per concorrere ad indagini che riguardavano la presenza sul loro territorio di mafiosi italiani. E qui il senso di frustrazione era demoralizzante e non perché i colleghi stranieri disponessero solo di mezzi economici sempre per noi impensabili ma, soprattutto, perché affrontavano i gruppi criminali , con apprezzabili successi, utilizzando da tempo disposizioni normative, istituti vari di straordinaria efficacia, a noi resi purtroppo impraticabili dalla rigidità dei nostri codici: le c.d. “consegne controllate”; le “infiltrazioni” di agenti di polizia all’interno di strutture criminali; l’immediata utilizzazione da parte delle forze dell’ordine di tutti i mezzi mobili sequestrati (navi, aerei, autovetture, ecc); l’invio stabile ne paesi esteri più a rischio di ufficiali e funzionari antidroga ecc.

Quando, nel 1990 – all’epoca ero direttore del Servizio Centrale Antidroga – spinsi per far inserire l’intero pacchetto di queste misure nel testo della nuova legge antidroga italiana, che prese il nome Iervolino-Vassalli, allora in preparazione, emersero tutte le difficoltà accennate all’inizio; non parlo degli interventi “frenanti” di alcuni “giuristi”, ma anche i rappresentanti di certi ministeri presenti alle riunioni preparatorie della legge espressero tutta una serie di inattese contrarietà avanzando motivazioni di ordine procedurale, di natura etica, di carattere economico, di assenza di precedenti, ecc. che stavano per fare naufragare il provvedimento che venne in extremis salvato solo dalla straordinaria fermezza di chi dirigeva i lavori preparatori della legge, ricordo costretta ad urlare per giorni nonostante non disponesse, come è noto, di una voce stentorea.

189 Il tempo è volato, caro Ugo, e mi scuso. E’ quindi il caso di concludere. Ancora pochi minuti. Sintetizzando su un argomento che ovviamente meriterebbe più complesse valutazioni, possiamo dire che la mafia, che ha sempre assunto una posizione di rilievo nel lucroso contrabbando di sigarette (e che in tale attività continua sia pure con modalità operative diverse: non più flotte di navi ma, dopo Shengen, libera circolazione di persone e di merci, con grossi autocarri che possono partire da Rotterdam e arrivare a Trapani superando senza subire alcun controllo quattro frontiere attraversate), non si è, poi, trasferita, armi e bagagli, come ho già detto, alla gestione del traffico di stupefacenti proprio perché tale occupazione non l’ha mai abbandonata, avendo sempre direttamente o con i propri cugini americani operato in quei paesi caratterizzati da elevatissimi consumi, progressivamente elevati (USA, Canada in primis); quando poi le droghe hanno iniziato ad invadere i vergini mercati europei, si è dedicata in maniera marcata in Europa e, ovviamente, per il suo atavico radicamento sul territorio, in Italia, mai tralasciando comunque l’assai redditizio mercato estero, soprattutto nord-americano. Il tema affidatomi accenna alla “strategia” dei trafficanti: possiamo identificarla in quella, efficace e ben condotta, dei ripetuti tentativi di disinformazione di cui ho già fatto cenno, anche per il successo che hanno ottenuto in alcuni casi ma non si va oltre, non essendo emerso molto di nuovo nelle procedure mafiose almeno negli ultimi anni. Unica variante, e di grande rilievo - ma qui parlare di strategia appare eccessivo - è quella, dovuta all’enormità dei lucri che il traffico di sostanze stupefacenti ha reso possibile, di un innalzamento dei livelli

190 della corruzione che ha raggiunto anche elevate posizioni istituzionali. (Come è noto, sono stati arrestati in diversi paesi capi di Stato, ministri, capi di polizia, ecc.). Per il resto, rimangono inalterate le condotte improntate a violenza e brutalità, che sono le armi comportamentali del crimine organizzato, tendente sempre ad estendersi e lo fa sia in modo ostentatamente visibile per marcare la propria forza o silenziosamente ambiguo, flessibile come il noto giunco, a situazioni contingenti. C’è, in proposito, un esempio chiaro in sud-america. In Colombia la mafia italiana non può nulla per quanto riguarda le coltivazioni, la raffinazione ed il deposito della cocaina (cioè non può nulla nella fase – importantissima, cruciale – della produzione e, in molti casi, neppure per il trasporto; essa inizia ad operare solo dopo la consegna, organizzando la sua commercializzazione), mentre a poca distanza, in un paese limitrofo alla Colombia, secondo produttore di foglie di coca al mondo, la situazione si è evidenziata in maniera totalmente diversa. In tale paese, infatti, proprio la produzione e la raffinazione sono state gestite, in loco, da un mafioso criminale italiano che, scomparso da molti anni, si accertò essersi stabilmente trasferito in una città situata al centro della zona di produzione, ivi operando e riuscendo a mutarsi, in breve tempo, in un “benefattore” locale, rispettato, apprezzato, ossequiato, riciclando, oltre ai suoi lucri, se stesso. Ho da molto superato il limite di tempo che mi è stato concesso e termino quindi, con una riflessione che però non riguarda il tema di questo incontro: sinora abbiamo tutti parlato di storia dei due fenomeni criminali, cioè del passato. Se invece volgiamo lo sguardo all’attualità, a ciò che il problema-droga ora rappresenta, si rimane

191 atterriti dalla rapidità del suo sviluppo, della quasi rassegnata normalità con la quale viene in alcuni casi addirittura accettato, dell’incredibile diminuzione dell’età della prima assunzione di droghe dure, eroina e cocaina in primis, da episodi eclatanti riguardanti personaggi di un mondo ritenuto (evidentemente a torto) impermeabile al fenomeno. Ho con me molti dati da riferire sull’andamento di questa tragedia sul piano nazionale. Non lo faccio, ovviamente, però mala tempora currunt. Grazie.

192 Gen. D. Domenico ACHILLE

La Guardia di Finanza nel contrasto al contrabbando in Sicilia.

Permettetemi, innanzitutto, di ringraziare ideatori, promotori ed organizzatori dell’odierno convegno di studi ed in particolare il presidente del Museo Storico del Corpo, Generale Luciani, per avermi invitato ad intervenire sul tema del contrasto al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, un segmento operativo nel quale la guardia di finanza, da sempre, riveste un ruolo di protagonista.

193 Ometterò, per evidenti motivi, qualsivoglia premessa in ordine al disvalore che caratterizza il contrabbando, per ripercorrere le tappe attraverso cui il fenomeno si è evoluto sull’isola, per poi passare ad illustrare il concreto ruolo svolto dal corpo in tale contesto. Su un piano più generale, è notorio che il contrabbando dei tabacchi lavorati nel nostro paese si è particolarmente sviluppato in ragione della collocazione geografica della penisola, posta nel cuore del mediterraneo, dell’estensione delle coste e, soprattutto, della presenza di organizzazioni criminali radicate nel meridione. Nei primi decenni del dopoguerra, snodo fondamentale dei traffici contrabbandieri internazionali era costituito dalla città libera di Tangeri, sulle coste del Marocco. Quivi era possibile fruire di un approdo senza limitazioni od obblighi di sorta, con la totale garanzia di impunità per qualsiasi tipo di affare33. I tragitti utilizzati per introdurre i carichi di tabacchi da destinare al mercato europeo attraversavano Gibilterra ed il sud della Francia (Nizza e Marsiglia). Logica conseguenza di tale stato di cose fu l’assunzione di un ruolo di assoluta preminenza nei traffici illeciti da parte dei clan marsigliesi, i quali si erano dimostrati capaci di dettare ed imporre le proprie regole all’intero mercato internazionale. In tale scenario, in una fase iniziale, le organizzazioni criminali siciliane adottarono un contegno di “basso profilo”, limitandosi a cooperare a lungo con i marsigliesi anche se non mancarono personaggi criminali di spicco.

33 “Mafia siciliana e polizia” di Carlo Ruta, antimafia 2000 del 30/09/2009.

194 Negli anni cinquanta, infatti, il palermitano Pietro Davì, detto “Jimmy l’americano”, era riuscito a realizzare effettive linee di contrabbando di rilievo internazionale e tanto da raggiungere il dominio del mercato italiano, in collaborazione con personaggi come i Burms, organizzatori di Tangeri e Salomon Gozal, elemento di spicco del contrabbando provenzale. Col passare degli anni fecero il loro ingresso sulla scena dei traffici illeciti personaggi siciliani come Vincenzo Spadaro, Salvatore Adelfio, Tommaso Buscetta. Il coordinamento delle diverse attività criminali sarebbe stato assicurato dall’italo-americano Lucky Luciano, la cui scomparsa, avvenuta nel 1962, determinò un aspro conflitto fra siciliani e marsigliesi. Una svolta epocale, nell’ambito degli illeciti traffici contrabbandieri, si ebbe con la chiusura del porto franco di Tangeri, avvenuta nel 1961. Tale avvenimento parve subito destinato a modificare profondamente le rotte ed i dispositivi creati negli anni dalle organizzazioni contrabbandiere. Ed in effetti, i clan marsigliesi ripiegarono su Gibilterra, mentre le società produttrici si attrezzarono per collocare i “depositi” lungo le coste della ex Jugoslavia e dell’Albania. Conseguentemente, la proiezione delle rotte contrabbandiere sulle coste italiane dello ionio e dell’adriatico registrò una significativa intensificazione. Tale assetto richiese però una diversa organizzazione logistica e determinò un punto di svolta per le famiglie malavitose siciliane sempre più interessate ad assumere una posizione di dominio nella gestione del contrabbando anche perché, nel frattempo, esse stavano

195 acquisendo un potere finanziario di primissimo piano, grazie alle smisurate risorse derivanti dal cosiddetto sacco delle città, della conca d’oro e della cinta di Palermo. Già a partire dalla metà degli anni sessanta, personaggi come Pietro Davì, Salvatore Greco e altri potenti boss siciliani, come Buscetta, si ponevano come interlocutori privilegiati delle società produttrici, tanto da essere in grado di influire sulle nuove localizzazioni dei depositi all’interno dell’area balcanica. Durante gli anni settanta, uscirono di scena i marsigliesi: l’organizzazione denominata “cosa nostra” dominava gran parte del commercio intercontinentale intessendo stretti rapporti con boss della camorra napoletana come Michele Zaza, Ciro Mazzarella ed Antonio Spavone detto “o’ malommo” i quali vennero addirittura affiliati come uomini d’onore. In un tale momento storico, il contrabbando internazionale dei tabacchi lavorati poteva contare in Sicilia su un’organizzazione - ampia, completa e potente, dotata di ingenti capitali, navi e flottiglie di pescherecci - in grado di rapportarsi con i grandi intermediari della “Philip Morris” o della “Reynold”, oltre a potersi servire delle collaborazioni di una fitta rete di contrabbandieri greci, turchi, albanesi, jugoslavi e bulgari. Permaneva costante in quegli anni l’impegno organizzativo di Salvatore Greco, mentre veniva consacrato il ruolo di primissimo piano ed il prestigio di Tommaso Buscetta, che al contrabbando affiancava il traffico su larga scala di stupefacenti.

196 Ruoli di tutto rispetto venivano poi rivestiti da Vincenzo Spadaro e da Salvatore Adelfio, che con Davì erano stati in grado di estromettere dal mercato i boss provenzali. Altre figure di spessore nel comparto di cui ci si occupa sono rappresentate da Nunzio La Mattina, Pino Savoca e Tommaso Spadaro, i quali proprio nei primi anni settanta, come Zaza e Nuvoletta, erano stati affiliati a “cosa nostra”. Si trattava di personaggi che in quegli anni incutevano timore e soggezione in forza della loro lunga carriera criminale no disgiunta da un potere economico oltremodo consolidato. In quel periodo, personaggi come Buscetta e Davì beneficiavano di ogni sorta di riconoscimento in Italia e all’estero da parte delle strutture criminali di ogni genere. Un cenno a parte merita poi la rilevanza delle coste orientali della Sicilia, che si pongono come siti di sicuro interesse lungo le rotte che congiungono tre Continenti. L’est siciliano, peraltro, vanta una secolare tradizione di traffici marittimi atteso che, sulle coste siracusane ed etnee, oltre ai tabacchi lavorati venivano sbarcati stupefacenti e intere partite di armi per essere imbarcati reperti archeologici. Lo sviluppo delle nuove rotte del contrabbando di tabacco avrebbe però accresciuto l’operatività dell’area. Gli sbarchi nell’isola consentivano, in particolare, un controllo diretto delle situazioni diversamente da quanto stava avvenendo lungo le coste pugliesi, dove, peraltro, assumevano ruoli di primo piano figure estranee al vincolo solidaristico.

197 Anche le coste sud-orientali siciliane, ben incardinate all’interno delle nuove rotte del contrabbando di tabacchi, erano particolarmente ambite in quanto soggette a minori controlli. In tali aree, il contrabbando contava su una consolidata tradizione storica, che lascia tracce addirittura nei toponimi, come nel caso di una rada della costa sciclitana, che viene tuttora chiamata “baia dei contrabbandieri”. Ed inoltre, l’estrema vicinanza dell’isola di malta costituiva un’attrattiva se è vero che quell’isola, sin dall’epoca borbonica, si era caratterizzata per l’immissione verso il territorio siciliano dei più svariati generi di contrabbando. Il balzo qualitativo-quantitativo degli anni sessanta-settanta, facente perno sugli sbarchi dei tabacchi lavorati, fu comunque di assoluta rilevanza. Per i boss palermitani, lo snodo per i rapporti con l’est era rappresentato tradizionalmente dalla città di Catania. Nei primi anni settanta, successivamente alla chiusura del porto franco di Tangeri, nell’area etnea si contavano circa quaranta affiliati che, nonostante il numero limitato, erano stati capaci di organizzare e gestire un considerevole smercio di tabacchi lavorati esteri, in grado di sostentare interi quartieri ed i diversi centri della provincia. Capo carismatico del gruppo era Giuseppe Calderone, affiancato da diversi familiari, fra cui il fratello Antonino. Saliva poi alla ribalta, per il piglio affaristico e la determinazione che lo connotava, Benedetto Santapaola, mentre facevano ingresso nell’organizzazione personaggi come Francesco Mangion, Aldo Ercolano, Giuseppe Strano.

198 Senza voler entrare nello specifico di aspetti che sono oggetto dell’intervento di altri relatori, non posso esimermi dal rimarcare preliminarmente il ruolo centrale che il corpo ha avuto nel contrasto al fenomeno del contrabbando di t.l.e. E tale posizione di rilievo acquista maggior significato in un ambito territoriale come la Sicilia, dove la vigilanza delle frontiere coincide con quella marittima e vengono perciò esaltate le professionalità delle componenti terrestre ed aeronavale. È notorio che il corpo ha recentemente ridisegnato l'assetto del proprio comparto aeronavale prevedendo la suddivisione tra una componente alturiera ed una regionale con un assetto che corrisponde alle nuove esigenze di controllo del mediterraneo e delle sue "autostrade del mare", per la sicurezza degli scambi e contro il traffico di persone e di prodotti illeciti. Orbene, quanto all’attività di contrasto sviluppata nel tempo su tale ambito territoriale, ritengo utile richiamare alcune operazioni di servizio che sono state sviluppate negli ultimi anni. Tale richiamo potrà fornire il quadro dell’evoluzione del fenomeno del contrabbando di tabacchi lavorati esteri sul territorio siciliano nel corso del tempo e che al momento, è connotato da un accentuato affievolimento. Le linee evolutive del fenomeno del contrabbando di t.l.e. registrate a livello europeo hanno, infatti, chiaramente influenzato anche il contesto siciliano e la conseguente azione da parte del corpo. L’individuazione delle nuove rotte provenienti dall’est Europa, la chiusura dei depositi balcanici, il fenomeno della contraffazione cinese, il diminuito appeal sul consumatore nazionale esercitato dal

199 tabacco in genere e da quello di contrabbando e/o contraffatto nel dettaglio, sono misurati indirettamente dai risultati di servizio ottenuti nel recente passato dal corpo atteso che l’attenzione verso il fenomeno non è affatto stata ridimensionata e “la guardia” è sempre stata mantenuta ai massimi livelli. A comprova dell’assunto, negli ultimi tempi, si è assistito al sequestro di limitati quantitativi di t.l.e. provenienti per lo più dall’est Europa e dal nord Africa e presumibilmente destinati al consumo da parte di cittadini extracomunitari, ovvero all’immissione in consumo di tabacchi lavorati che costituiscono provviste di bordo di navi estere in transito nei porti siciliani. Ben diversa la dimensione del fenomeno contrabbando intraispettivo portuale a cavallo degli anni ottanta-novanta. Ed a tal proposito, posso qui fare cenno ad una prima indagine, da me personalmente diretta quando proprio qui a Palermo rivestivo il ruolo di comandante dell’allora II gruppo che, come si ricorderà, si occupava precipuamente del coordinamento sul territorio dell’allora 13^ Legione, delle attività di contrasto al fenomeno illecito del contrabbando, indagine che si concluse nel 1990 e che portò al deferimento all’autorità giudiziaria del noto Tinnirello Gaspare unitamente ad ulteriori 28 soggetti, personaggi che costituivano l’organizzazione criminale e contrabbandiera riconducibile allo stesso Tinnirello - per i reati di: • associazione a delinquere (art . 416 c.p.); • contrabbando doganale aggravato di t.l.e.. Il traffico illecito di tabacchi venne quantificato in oltre 50 tonnellate.

200 L’attività investigativa, supportata anche da indagini di natura tecnica, nacque da una pluralità di elementi informativi acquisiti nei confronti dell’organizzazione contrabbandiera che operava lungo la direttrice Puglia-Sicilia. I primi riscontri circa l’operatività dell’organizzazione erano stati ottenuti a seguito del fermo di due tonnellate di sigarette operato in località Buonfornello, sull’autostrada Palermo-Catania. Già dalle prime battute, era emersa quale figura dominante dell'organizzazione, tale Gaspare Tinnirello, coadiuvato da personaggi come Pietro Virgilio e Riccardo Sgaramella. I tre componevano una sorta di organizzazione triangolare ideale, con i vertici individuabili a Palermo, Napoli e Bari. Durante lo sviluppo dell’attività investigativa e tecnica fu, peraltro, possibile pervenire all’identificazione di numerosi scafisti che operavano nel napoletano, fra cui i noti Salvatore Mancuso e Gennaro Della Porta altrimenti soprannominato “a latrina”. Quest’ultimo personaggio, nell’estate del 1990, era stato intercettato a bordo di un motoscafo blu mentre trasportava più di una tonnellata di t.l.e.. I conseguenti approfondimenti e lo sviluppo degli elementi acquisiti durante l’attività nei confronti di Della Porta, consentirono di accertare e provare la disponibilità di numerosi scafi da parte dell’organizzazione contrabbandiera, per lo più intestati a prestanome. La ricostruzione dell’organigramma del sodalizio, dal punto di vista logistico consentirono altresì di pervenire all’identificazione di numerosi “camionisti” chi si dedicavano ad effettuare i trasporti illeciti, fra cui il noto Gaetano La Rocca, vero e proprio

201 “luogotenente” del Tinnirello, che effettuava numerose trasferte nel barese, tanto ai fini preparatori delle spedizioni, quanto per perfezionare il pagamento dei carichi. Le attività più propriamente investigative furano costantemente affiancate da riscontri sul territorio, che sovente portavano al sequestro di cospicui carichi di t.l.e., come ebbe a verificatesi nell’ottobre del 1990, con il fermo di 4 tonnellate di sigarette di contrabbando in località Scillato, sull’autostrada Catania-Palermo. Tali riscontri permettevano inoltre di capire e meglio delineare le figure ed il coinvolgimento dei diversi sodali all’interno dell’organizzazione. Di fondamentale importanza, si rivelò la costante attività di osservazione e controllo occulto del territorio che, unita alle risultanze delle indagini tecniche, permise di individuare diversi depositi di stoccaggio dei tabacchi - spesso concentrati nella zona del porto - ed una fitta rete di fiancheggiatori in grado di fornire manodopera e mezzi di trasporto. Le sinergie informative poste in essere con i corrispondenti reparti del corpo del barese e del napoletano, attraverso un costante e stretto coordinamento attuati con i locali comandanti, consentirono di eseguire anche diversi sequestri a mare e di accertare, in tal modo, l’ulteriore disponibilità di natanti da parte dell’organizzazione. Fra i personaggi di spicco emersi durante le attività investigative, occorre segnalare anche tale Vito Pacifico che aveva il compito fondamentale di assicurare i collegamenti tra gli scafi contrabbandieri e l’organizzazione a terra, oltre che “recuperare i crediti” che

202 l’organizzazione vantava nei confronti dei soggetti incaricati della vendita al minuto. Una ulteriore peculiarità che emerse fu il vero e proprio coinvolgimento di interi nuclei familiari, organicamente integrati nel sodalizio dedito ai traffici di t.l.e.. È il caso dei figli (Giuseppe e Francesco) di Benedetto Messina i quali avevano il compito di tenere costanti rapporti e contatti con il capo dell’organizzazione contrabbandiera (il citato Tinnirello), fino addirittura a “coordinare le comunicazioni” fra i sodali e ponendo in essere una sorta di “centralino” dell’organizzazione. In realtà, però, il vero valore aggiunto dell’esperienza operativa di cui si discorre, fu dato dal coinvolgimento e dal coordinamento, come detto, di diversi reparti del corpo, ma anche di differenti autorità giudiziarie alle sedi di Napoli e di Bari, che vedevano quale fulcro l’A.G. di Palermo, rappresentata per l’occasione dal procuratore aggiunto di Palermo, dott. Giovanni Falcone, titolare dell’inchiesta. In conclusione, l’attività di servizio portò all’accertamento di un complessivo traffico di t.l.e. quantificato in oltre 50 tonnellate, tra generi effettivamente sottoposti a sequestro e consumati in frode. I relativi diritti di confine evasi vennero stimati in oltre 7 miliardi delle vecchie lire. Una ulteriore operazione degna di menzione è quella sviluppata alla sede di Palermo che portò al sequestro di un ingente quantitativo di tabacchi lavorati esteri (circa 54 tonnellate) consentendo, altresì, di quantificare un consumo in frode di altre 115 tonnellate circa. Nel dicembre 1996, infatti, i reparti del corpo, nell’ambito del porto di Palermo, procedettero al sequestro “a carico di ignoti” di kg. 7.040 di

203 t.l.e. sbarcati, sotto carico di copertura, dalla motonave “City of Dublin”, una portacontainers che era stata segnalata dal II Reparto del Comando Generale in quanto sospettata di traffici illeciti. Il sequestro del relativo container avvenne grazie anche a specifiche indagini tecniche in corso di esecuzione ed, in un primo momento, come anticipato, venne eseguito a carico di ignoti. Nel prosieguo del servizio, grazie alle laboriose indagini che furono espletate, vennero individuati i responsabili dell’ingente traffico illecito. In particolare, lo sviluppo delle investigazioni portò ad individuare un’ulteriore imbarcazione, denominata “City of Salerno” intercettata a circa 10 miglia al largo del porto di Palermo. Si appurò che, al suo arrivo in porto, la “City of Salerno” aveva sbarcato diversi containers alcuni dei quali, in esito a specifico controllo, risultarono contenere t.l.e. (circa 47 tonnellate). Contestualmente vennero tratti in arresto 5 soggetti per associazione a delinquere e contrabbando aggravato e continuato. A seguito delle menzionate operazioni di servizio, culminate con i suddetti sequestri, l'A.G. competente delegò l'esecuzione delle successive attività d'indagine, che consentirono di individuare precedenti spedizioni di t.l.e. ed identificare altresì ulteriori 14 soggetti, alcuni dei quali di nazionalità estera, che erano inseriti quali componenti dell'organizzazione contrabbandiera facente capo ai noti pluripregiudicati Tinnirello e Cammarota, ormai prepotentemente insediati ai vertici delle organizzazioni preposte alla gestione del contrabbando.

204 Le risultanze di tali ulteriori indagini formarono oggetto di interesse anche della Commissione Europea UCLAF. La complessa attività investigativa, consentì di accertare che l'organizzazione aveva posto in essere l'illecito traffico, con modalità intraispettive, perfezionando fraudolente operazioni di importazione mediante l’utilizzo di documentazione commerciale ideologicamente falsa, preordinata per il superamento dei controlli doganali. Il t.l.e., infatti, giungeva a Palermo celato all'interno di containers regolarmente sottoposti alla procedura doganale di importazione, dotati di idoneo carico di copertura ed accompagnati da documentazione commerciale e doganale come detto ideologicamente falsa, in quanto attestante trasporti di merce di tipo regolare - utilizzata quale copertura - e con indicazione di nominativi di operatori commerciali di comodo o addirittura inesistenti. Le merci utilizzate come copertura e dichiarate nei relativi documenti risultava, in tutti i casi, di tipo a bassa incidenza fiscale, allo scopo di rendere meno onerose possibili le operazioni doganali di importazione, operazioni alle quali, come si è detto, la merce veniva regolarmente sottoposta. I beni dichiarati nei relativi documenti ed utilizzati quale copertura risultavano essere: tubi in gomma, tavolinetti, semplici manufatti in metallo, bicchieri di plastica, lavori di paneraio, pannelli in legno da costruzione. Tra la documentazione sequestrata durante le operazioni di servizio, vennero, inoltre, rinvenute dichiarazioni di origine della merce, che si accertò essere state effettivamente e regolarmente rilasciate dalle competenti camere di commercio dei paesi di provenienza

205 (evidentemente senza alcuna verifica circa l'effettiva natura della merce dichiarata), presentate a corredo delle dichiarazioni doganali in sede di importazione, al fine di avvalorare la dichiarazione di carico durante le operazioni doganali. I containers risultarono provenienti tutti da paesi extracomunitari ed, in particolare, da Cipro, dagli U.S.A. e da Israele, come rilevato dai documenti sottoposto a sequestro. Diversamente, dalle risultanze dei documenti commerciali e doganali, le indagini condotte permisero di individuare i soggetti esteri che avevano effettivamente spedito la merce, i quali, in taluni casi, si erano avvalsi della complicità di prestanome che apparivano quali mittenti dichiarati delle spedizioni. I riscontri del caso erano stati resi possibili anche grazie all’attivazione degli organi collaterali esteri per il tramite del Comando Generale. Il destinatario effettivo delle spedizioni, a differenza delle risultanze documentali, venne individuato nel sodalizio costituitosi tra l’organizzazione contrabbandiera campana facente capo, come già accennato, al noto Angelo Cammarota e l’organizzazione contrabbandiera locale facente capo a Gaspare Tinnirello che aveva, altresì, fornito tutto il supporto logistico su Palermo. Si appurò, inoltre, che l'organizzazione aveva introdotto i tabacchi esteri di contrabbando non solo per rifornire il mercato illegale nazionale, ma anche per alimentare la distribuzione su mercati comunitari. In conclusione, a fronte delle 11 spedizioni fraudolente, in cui si è complessivamente concretizzato il traffico illecito: • 7 erano giunte da Limassol (Cipro) a bordo delle motonavi “City

206 of Dublin”, “City of Salerno” e “Zim Liverpool”; • 2 da Haifa (Israele), a bordo delle motonavi “City of Dublin” e “City of Salerno”; • 2 da Miami (U.S.A.), previo scalo a Barcellona dove erano arrivate con la nave “Zim Pusan” e di qui imbarcati alla volta di Palermo a bordo della motonave “Zim Napoli”. In conclusione di questo mio intervento, alcune brevi considerazioni finali. Negli anni passati, come rilevabile dalla destinazione della maggior parte dei carichi di contrabbando sequestrati, l’Italia ha rappresentato uno dei principali mercati di sbocco per il traffico internazionale di t.l.e.. Tuttavia, nel corso del tempo ed, in particolare, grazie al regime di libera circolazione previsto in ambito comunitario, il ruolo dell’Italia si è profondamente modificato: da teatro di consumo, il nostro paese ha assunto il ruolo di crocevia del commercio illegale diretto verso i più remunerativi mercati del nord Europa, come ad esempio il Regno Unito, la Germania, la Francia, l’Olanda e il Belgio. A sostegno dell’assunto, basta guardare ad autorevoli ricerche e studi, in base ai quali risulta che circa l’80% dei tabacchi lavorati sequestrati34 in Italia sono rappresentati da marche non commercializzate nel nostro paese o di scarso interesse dei consumatori finali. A questo proposito, le esperienze operative del corpo hanno permesso di evidenziare la tendenza da parte delle organizzazioni criminali a diversificare rotte e basi logistiche, alla ricerca di nuovi mercati

34 Da “Il contrabbando di tabacchi lavorati: un’analisi economica ed istituzionale” (edizione 2004 a cura di Ref) e Rivista della Guardia di Finanza (giugno 2002). 207 caratterizzati da un minore indice di rischio e da più elevati margini di profitto, quali appaiono i citati paesi del nord Europa (Regno Unito, Francia, Olanda, Germania e Belgio). Vi è inoltre che l’”operazione primavera”, che a partire dal febbraio 2000 ha visto in campo un ingente dispiegamento di forze dell’ordine lungo le coste pugliesi, in concomitanza con gli interventi in zona balcanica, ha reso le rotte dalle coste della ex Jugoslavia più difficoltose da praticare. Quella ”operazione primavera” ha prodotto significativi effetti sulle attività di introduzione delle sigarette tramite sbarchi sul litorale della Regione Puglia, determinandone una rilevante rarefazione connessa agli intervenuti problemi logistico-organizzativi dei gruppi contrabbandieri, i quali sono venuti a trovarsi nella necessità di individuare rotte e metodi alternativi, giungendo persino al ripristino del sistema di rifornimento attraverso le “navi madri” provenienti dalla Grecia35 . La consistente presenza delle forze dell’ordine e le loro attività sembrano, in ultima analisi, avere indotto le organizzazioni ad una diversificazione delle strategie operative: il contrabbando extraispettivo potrebbe essere stato via via sostituito da quello intraispettivo. In particolare, profili di criticità, in relazione alla posizione della Sicilia, possono rilevarsi con riguardo ad alcuni paesi nordafricani (in special modo Marocco, Tunisia e, da ultimo, Egitto) che precedentemente non erano stati interessati da operazioni del genere e

35 Da “Il contrabbando di tabacchi lavorati: un’analisi economica ed istituzionale” (edizione 2004 a cura di Ref). 208 che potrebbero realisticamente costituire nuovi siti di introduzione, consumo e transito delle sigarette. Ad essi, vanno aggiunti la Grecia, per quel che concerne il trasferimento verso i mercati del nord Europa, oltre che la Turchia e Cipro, quali paesi di transito verso le destinazioni comunitarie di cui si è detto (Francia, Belgio, e Gran Bretagna) di sigarette contraffatte, di origine cinese. In conclusione i tratti evolutivi del contrabbando di t.l.e. del contesto sovranazionale hanno chiaramente influenzato anche il teatro siciliano e l’azione, nello specifico comparto, da parte del corpo: la sperimentazione di nuovi itinerari dall’est Europa, il progressivo diminuire dei depositi balcanici, la contraffazione di sigarette ad opera di operatori cinesi, la maggior remuneratività di altri mercati (soprattutto del nord Europa) hanno caratterizzato i risultati dell’attività di repressione del contrabbando che ha, infatti, portato a sequestri di limitati quantitativi di t.l.e.. A sostegno dell’ipotesi, i recenti sequestri operati nell’ambito del Comando Regionale Sicilia e che possono apparire risibili se rapportati con i sequestri del passato: • Il sequestro, effettuato a Ragusa, di appena 23 chilogrammi di tabacchi lavorati esteri nel corso di un controllo su un pullman di linea adibito al trasporto di persone, proveniente dalla Romania; • Il sequestro, nel porto di Palermo, di cinquanta chilogrammi di sigarette tunisine di contrabbando nascosti su un'autovettura appena sbarcata da una motonave proveniente dalla Tunisia;

209 • Il sequestro di 26 stecche di sigarette e di cinque chilogrammi di tabacco per narghilé durante un controllo effettuato sui bagagli di alcuni passeggeri sbarcati nel porto di Palermo; • Il sequestro, ancora nel porto di Palermo, durante i rituali controlli sottobordo delle motonavi provenienti da Tunisi, di 136 stecche; • L’arresto di un cittadino italiano per contrabbando di sigarette rinvenute sul luogo di lavoro e la relativa abitazione. Nonostante l’evidente calo del fenomeno, tuttavia, il nostro livello di attenzione quanto ad acquisizioni informative ed a riscontri operativi, rimane sempre di elevato spessore, in modo da poter seguire l’evoluzione dei traffici illeciti e cogliere con immediatezza eventuali segnali di ripresa, con particolare riferimento all’immissione in consumo di t.l.e sul mercato nazionale. Utili, a tal proposito, appaiono alcune valutazioni operate dalla “British American Tobacco Italia”, emerse nel conteso di specifica tavola rotonda e pubblicizzate attraverso la stampa, secondo cui nei primi 6 mesi dell’anno corrente sono state sottoposte a sequestro ben 170 tonnellate di tabacchi di contrabbando, con un aumento al consumo che potrebbe far registrare un dato di tendenza pari al 45% in più rispetto al 2008. Concludo ringraziando ancora una volta organizzatori e partecipanti per la cortese attenzione riservatami.

210 Gen. B. Gaetano GIANCANE

La Guardia di Finanza nel contrasto al contrabbando in Calabria, Campania e Puglia

1. Premessa

Il contrabbando nelle sue due forme di intraispettivo attraverso i varchi doganali ed extraispettivo fuori di essi, che risale alla notte dei tempi, anche se le definizioni sono relativamente recenti, è ancora attuale e probabilmente continuerà ad esistere in futuro, ma con un rapporto dell’uno rispetto all’altro certamente mutevole nel tempo.

211 Nel XX secolo, dopo un’affermazione del contrabbando extraispettivo, si è avuto un progressivo spostamento verso quello intraispettivo, sicuramente più marcato soprattutto negli ultimi anni del secolo scorso, progressione che continua tutt’ora. Il primo tipo di contrabbando ha avuto i suoi focolai maggiori in aree territoriali ben definite, quali, in ordine di tempo, la fascia territoriale del confine svizzero e poi nel decennio maggiormente significativo degli anni settanta in Campania con epicentro Napoli ed infine negli anni ottanta, con il momento storico più cruento all’inizio degli anni novanta sulle coste pugliesi, con provenienza dalle coste iugoslave ed albanesi. Una parte significativa nella storia del contrabbando si è avuta anche con le navi madre poste fuori dalle acque territoriali, ancora prima che vi fosse la terza conferenza delle Nazioni Unite, che ha approvato la Convenzione di Montego Bay del 1982, ratificata dall’Italia nel 1994, con la previsione che una nave, anche se si trovi fuori dalle acque territoriali, si rende compartecipe della violazione commessa da una delle sue lance. Queste forme di contrabbando si sono diradate a partire dagli ultimi anni del secolo scorso, facendo prevalere il contrabbando di tipo intraispettivo soprattutto con i Tir. Il contrabbando a mezzo Tir ha assunto notevoli dimensioni aumentando ulteriormente quando la Convenzione, all’iniziale previsione di trasporto internazionale di merci solo su strada, ha esteso il regime anche ai containers trasportati via mare. È riprova del forte incremento del contrabbando tramite Tir, la circostanza che l’Unione Europea per farvi fronte ha messo in

212 funzione un controllo telematico, studiato ed attuato tra il 1995 ed il 2000, che va sotto la denominazione di NCTS, adattando, da ultimo, il modello usato come T1 dalla versione cartacea del DAU a quella più idonea all’uso telematico del DAT, corrispondenti rispettivamente agli allegati 31 e 45bis delle disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario recate dal regolamento n.2454/1993. Prima di passare alla parte più specifica del tema vorrei evidenziare che mentre il contrabbando extraispettivo, ora in declino, ha riguardato maggiormente il tle, quello intraispettivo, invece in aumento, interessa indifferentemente diversi prodotti egualmente sensibili, come le carni, il burro, l’alcole ed ovviamente i tabacchi, espressamente elencati nell’allegato 44quater delle citate disposizioni.

2. Il contrabbando in Calabria

Il contrabbando, quale fenomeno illecito interessante la regione Calabria si coniuga fondamentalmente con le caratteristiche di arretratezza socio-economica della regione e con la presenza sul territorio di fenomenologie criminali di tipo associativo che connotano la realtà regionale sin dai primi anni dell’unità d’Italia. Nei primi decenni del secolo scorso ed ancor più diffusamente nel secondo dopoguerra, il contrabbando vede interessata, soprattutto, la parte meridionale della regione e, segnatamente, la costa tirrenica della provincia di Reggio Calabria, prospiciente le coste siciliane. Larghe fasce di popolazione, appartenenti ai ceti economicamente più deboli, trovano sostentamento attraverso piccole attività illecite e il contrabbando a livello individuale del sale, tra la Sicilia e la Calabria,

213 in ragione del differente regime monopolistico cui il bene era sottoposto sulle due sponde dello Stretto. Dal secondo dopoguerra, in seguito al progressivo consolidarsi del fenomeno ‘ndranghetista, si affermano organizzazioni più complesse anche se molto distanti dalle realtà contrabbandiere del confine alpino prima e del golfo di Napoli poi. Una prima operazione di servizio di rilievo del 1974, nelle acque di Crotone, inerente il sequestro della M/N “Isola de Coiba” con oltre 18 tonnellate di tabacchi, indica che il fenomeno contrabbandiero incomincia ad assumere una maggiore rilevanza rispetto ai pregressi decenni, come confermato poi nei successivi anni 80/90 con alcune operazioni svolte nell’alto Ionio in corrispondenza dell’attuale provincia di Crotone. Complessivamente, dal 1996 al 2001 sono sequestrate dalla Guardia di Finanza in Calabria oltre 275 tonnellate di tle, che costituiscono, in confronto alle 1.580 tonnellate di tle sequestrate in Puglia nel solo 1998, un quantitativo relativamente modesto che trova il suo riflesso nella cruenta lotta condotta in quegli anni sul versante pugliese. Infatti, dopo il 2000, con la fine della repressione condotta dal Corpo sulle coste pugliesi, che vede anche un grosso contributo di sangue da parte dei militari, e l’esaurirsi dei fenomeni bellici che interessano l’area balcanica, il fenomeno del contrabbando extraispettivo si va progressivamente esaurendo, mentre quello intraispettivo incomincia ad affermarsi nello scalo portuale di Gioia Tauro, il più grande terminal per transhipment del mar Mediterraneo. Tale scalo, efficientemente organizzato per la ricezione di grandi navi porta container provenienti dall’estremo oriente attraverso il canale di

214 Suez e il mar Mediterraneo, vede crescere i propri traffici commerciali in maniera esponenziale e nel volgere di pochissimi anni raggiunge, con oltre 3 milioni di Teu imbarcati (1 Teu è pari a 20 piedi corrispondenti a circa 6 metri lineari di container), il terzo posto in Europa dopo Rotterdam ed Amburgo ed il primo nel Mediterraneo. Il porto di Gioia Tauro diviene per la criminalità organizzata un punto strategico per i propri interessi illeciti, primi fra tutti i traffici di stupefacenti, armi e generi di contrabbando, soprattutto tle di provenienza asiatica. Negli ultimi anni 90, lo sforzo del Corpo è stato quindi orientato, preminentemente, nella ricerca e individuazione di nuove procedure operative che, pur tenendo conto delle esigenze commerciali e di movimentazione dei carichi di cui sono portatrici le imprese operanti nel sedime portuale, possa consentire alle unità operative ivi dislocate, a fianco dei Funzionari doganali, di poter efficacemente contrastare le attività illecite perpetrate attraverso le spedizioni in containers. Il dispositivo di vigilanza del Corpo attraverso il riscontro diretto, effettuato presso i varchi doganali, il controllo dinamico degli spazi e del perimetro doganale e l’analisi dei rischi, svolta in collaborazione con la Dogana, nonché l’utilizzo di strumentazioni tecnologicamente avanzate, quali gli scanner, funzionanti tramite apparecchiature a “Raggi X” montate su automezzi, che consentono il controllo non invasivo dei contenitori, appaiono idonei a contrastare al meglio le illecite attività della criminalità organizzata. L’efficienza di tale dispositivo di controllo è testimoniata dalla rilevanza dei risultati conseguiti, con il sequestro nel porto di Gioia Tauro di 60 tonnellate di tle nel 2007, 30 nel 2008 e 50 nei primi dieci

215 mesi del 2009 e il sequestro di merce contraffatta per alcuni milioni di pezzi. Inoltre, nel porto di Gioia Tauro nei primi 10 mesi di questo anno è stata individuata circa la metà dei 1.180 Kg. di cocaina sequestrata dalla Guardia di Finanza nell’intera Regione (a fronte di 7 e 1,8 Kg. sequestrati nel 2007 e nel 2008), che dimostra l’interesse della ‘ndrangheta anche per questo tipo di traffico intraispettivo.

3. Il contrabbando in Campania

Durante l’occupazione alleata il prodotto nazionale divenne scarso e di scadente qualità, favorendo così la diffusione del mercato nero di sigarette, spesso procurate dagli stessi depositi alleati oppure contrabbandate dalla Svizzera in varie parti d’Italia, compresa la Campania, che da quel momento vide un’attività contrabbandiera crescente con un’impennata negli anni settanta, fino a registrare una regressione nel decennio successivo. Nel golfo di Napoli, subito dopo la guerra, si cominciarono ad effettuare trasporti di grosse partite a bordo di navi passeggeri e mercantili in arrivo nei porti Italiani. Le organizzazioni contrabbandiere approfittarono dell’iniziale tolleranza del fenomeno, che fu poi alla base di quel consenso sociale locale nei decenni successivi, vedendo molto redditizia l’ipotesi di poter utilizzare un grande porto nel centro del Mediterraneo. Il traffico di sigarette proliferò, gli interessi crebbero, la struttura del contrabbando divenne più efficiente, ma le bande napoletane, che prima gestivano il mercato nero, ricoprirono solo ruoli marginali dell’organizzazione, come quelli dello sbarco o della minuta vendita,

216 mentre gli investimenti erano curati dai clan siciliani ed italo- americani. A partire dagli inizi degli anni settanta, a fronte di un’impennata del volume di contrabbando di tle corrispose una più intensa attività repressiva da parte della Guardia di Finanza. Nel solo 1973, infatti, il Corpo conseguì importanti risultati di servizio nel settore con il sequestro di una nave, 50 natanti minori e 380 automezzi e la denuncia di 4.128 persone, di cui circa 150 in stato di arresto. Successivamente, l’impegnativa attività del Corpo e la cattura delle “navi-madre”, con il sequestro di centinaia di tonnellate di sigarette, accentuarono per i contrabbandieri il rischio di sbarchi in Campania preferendo continuare il contrabbando di tle con l’indebito uso del regime TIR e dal mare spostando i propri traffici sul versante pugliese. Infatti, in Campania, a partire dalla 2^ metà degli anni ’70, si ebbe un’autentica “escalation” di brillanti operazioni di servizio che hanno segnato la storia della lotta della Guardia di Finanza al tle, soprattutto con l’innovativa procedura che portò, nel novembre del 1976, alla cattura della motonave Olympios Hermes ed al sequestro di 222.242 Kg di sigarette di contrabbando; seguirono il sequestro di una ventina di altre motonavi, tra le quali si ricordano, per l’entità del carico illecitamente trasportato: La Star I (46.996 Kg), la Nikos Litohoron (42.276 Kg) e la Agios Nikolaos (126.246 Kg). Parallelamente venivano condotte sul territorio analoghe importanti operazioni di servizio. La notevole azione di contrasto, condotta con il coordinamento di tutte le forze terrestri, navali ed aeree a disposizione, indusse il definitivo

217 abbandono dello scenario operativo delle coste campane da parte delle organizzazioni contrabbandiere, che preferirono cosi spostarsi sulle coste pugliesi. In sintesi, tanto regredisce il contrabbando in Campania, quanto progredisce in Puglia quasi come un passaggio di consegne tra le due regioni nel corso del decennio degli anni ottanta.

4. Il contrabbando in Puglia

Come già accennato, negli anni ’90, l’area Balcanica e il versante Adriatico erano diventate le principali basi operative del contrabbando nel Mediterraneo. In particolare, nel Montenegro, a seguito della disgregazione dello Stato Jugoslavo, gli associati alla “sacra corona unita” brindisina, alla camorra e ai clan baresi, avevano costituito delle vere e proprie “colonie criminali” per gestire il flusso del contrabbando di sigarette verso le coste italiane con una considerevole flotta di circa settanta motoscafi. I natanti adibiti al trasporto del T.L.E., con scafi da 18/21 metri e velocità di circa 70 nodi, erano in condizione di coprire in poco più di due ore la distanza intercorrente fra i porti montenegrini, principale base di stoccaggio delle sigarette destinate al mercato Europeo e alla Puglia. A partire dalla 2^ metà degli anni novanta la Guardia di Finanza ha dovuto, quindi, far fronte ad una aggressione criminale senza precedenti nella storia del Corpo, che ben presto si trasformerà in un vero e propri problema di sicurezza pubblica per tutta l’area pugliese, con riflessi sul piano nazionale.

218 Conferma del livello precario di sicurezza è lo speronamento, nel triennio 1996/1998, di 153 automezzi del Corpo, con 94 militari feriti, 2 uccisi ed il sequestro di ben 146 mezzi contrabbandieri blindati e l’impiego massiccio della componente aerea e navale diuturnamente chiamata a fronteggiare i mezzi veloci utilizzati per il trasporto del tle sulle coste nazionali. Il fenomeno dell’utilizzo dì mezzi blindati a terra, più volte ripreso dagli Organi di informazione, anche per il coinvolgimento in incidenti stradali di automezzi privati, creò un diffuso allarme nella popolazione che reclamò una maggiore tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica, soprattutto quando iniziarono a verificarsi vittime sia tra gli appartenenti al Corpo sia nella popolazione civile. Nacque quindi l’esigenza di fronteggiare la situazione con uno straordinario impiego di uomini e mezzi di tutte le Forze di Polizia, che trovò concreta attuazione con la nota “OPERAZIONE PRIMAVERA”, avviata nel febbraio 2000 e terminata nel giugno dello stesso anno. Il piano straordinario determinò un massiccio potenziamento del dispositivo di controllo del territorio pugliese con l’invio nella Regione di rinforzi pari a 500 finanzieri e 1.400 poliziotti e carabinieri. I risultati furono estremamente lusinghieri e a seguito della ferrea repressione, si iniziò a registrare una drastica inversione di tendenza che determinò la progressiva anemizzazione del fenomeno criminale, fino alla completa scomparsa del contrabbando extraispettivo. Parallelamente all’attività operativa svolta con un impiego massiccio di risorse, il legislatore, a seguito dell’allarme sociale creato

219 dall’aggressività del contrabbando, emanava la legge n.92/2001, introducendo per le violazioni sanzioni più severe. Inoltre, veniva introdotto nel codice penale l’art. 337bis che sanziona chiunque modifichi, occulti o custodisca mezzi di trasporto di qualsiasi tipo che, rispetto alle caratteristiche omologate, presentano alterazioni o modifiche o predisposizioni tecniche tali da costituire pericolo per l’incolumità fisica degli operatori di polizia. Leggendo questa norma viene in mente l’offensiva dei contrabbandieri nella lotta in terra di Puglia dove le modifiche dei mezzi erano predisposte per opporsi alla Guardia di Finanza in caso di scoperta del crimine, con l’amara sorpresa che il contrabbandiere si pone per la prima volta non sulla difensiva, ma in attacco. La stessa legge ha dato anche maggiore sistematicità alla materia con l’inserimento nel Testo Unico delle Leggi Doganali degli articoli 291bis e ter, rispettivamente dedicati al contrabbando semplice ed aggravato e ha previsto, con il 291quater, l’associazione per delinquere finalizzata al contrabbando di tabacchi lavorati esteri, reato che comporta le stesse conseguenze stabilite per l’associazione a delinquere di stampo mafioso, ex articolo 416bis del codice penale.

5. Considerazioni complessive relative alle tre Regioni.

Una sintesi relativa alle dinamiche ed al contrasto del contrabbando nelle Regioni Campania, Puglia e Calabria, porta a considerare che la Guardia di Finanza ha costituito un vero sbarramento all’illecita attività contrabbandiera mettendo in atto una strategia operativa vincente sia nell’affrontare materialmente in mare e sul territorio le agguerrite organizzazioni criminali e sia con il sapiente studio per

220 opporsi all’insidiosa minaccia delle navi madre, pervenendo con lungimiranti interpretazioni al loro sequestro. Il contrabbando extraispettivo è stato, infatti, sradicato prima in Campania dove negli anni cinquanta fino alla metà del settanta è cresciuto, declinando poi nel decennio successivo, sia in Puglia iniziando a crescere mentre declinava in Campania per essere, infine, debellato sul finire del 2000. In Calabria, invece, il contrabbando è apparso un effetto quasi collaterale a quello pugliese, essendosi manifestato maggiormente nel periodo più cruento della lotta in Puglia. La circostanza porta a ritenere che il contrabbando in Calabria sia stato determinato dalla decisione di fare una rotta più lunga rispetto alla destinazione verso le coste pugliesi, dove l’emergenza aveva suggerito di impiegare ulteriori risorse rispetto a quelle ordinarie. Le organizzazioni criminali calabresi appaiono, infatti, storicamente meno interessate al contrabbando extraispettivo di tle, privilegiando il traffico di droga, l’infiltrazione negli appalti, il controllo della prostituzione, l’estorsione e l’usura e apparirebbe dai dati in possesso anche il contrabbando intraispettivo, tramite il porto di Gioia Tauro. In definitiva, la ‘ndrangheta non pare abbia avuto un forte interesse per il contrabbando extraispettivo, preferendo quelle attività criminali che non comportano una particolare visibilità. In questo modo i proventi della ‘ndrangheta scivolano silenziosamente nei suoi forzieri ed altrettanto silenziosamente vengono investiti in ulteriori operazioni illecite ed in attività legali. Le stime indicano un volume di affari annuo della ‘ndrangheta per diversi miliardi di euro e cointeressenze in tutta Italia, Europa e nel

221 mondo. Una ricchezza che trova riscontro nell’ammontare dei sequestri di beni immobili, quote societarie, conti correnti ed altro, operati dalla Guardia di Finanza in Calabria nei primi dieci mesi del 2009 per oltre mezzo miliardo di euro, anche se quelli effettuati nel quinquennio precedente complessivamente non raggiungono i cento milioni.

6. Conclusioni

Traendo delle conclusioni sulla base di quanto appena esposto, si può dire che la fine del secolo scorso si caratterizza per la scomparsa del contrabbando definito impropriamente di tipo romantico dello spallone al confine svizzero, ma anche per la notevole attenuazione del contrabbando via mare, avventuroso in Campania o addirittura cruento soprattutto in Puglia, mentre si afferma in modo più insidioso l’intraispettivo di interesse della criminalità organizzata tanto quanto lo era quello svolto con navi e motoscafi. Il problema ha diversi aspetti che comprendono il coinvolgimento imprenditoriale della criminalità organizzata, la sottrazione di tributi e la tutela dei consumatori. L’ultima circostanza ha indotto l’Unione Europea a ridurre la coltivazione del tabacco ammettendo minori quote a contribuzione annuale con gradualità per non creare forti squilibri nell’occupazione, che, però, lasciano ulteriore spazio al contrabbando di tle. Per questo motivo nell’ultimo decennio la produzione europea annua è scesa a 334.000 tonnellate dalle 350.000 (di cui 107.000 prodotte in Italia) previste fino a un decennio fa con una percentuale a livello

222 mondiale del 5,4% che colloca l’Unione Europea al quinto posto dopo la Cina con il 38%, il Brasile 9%, l’india 8% e gli Stati Uniti 7%. Il più grande produttore in assoluto è dunque la Cina e non a caso sono proprio cinesi le sigarette sequestrate in containers nel porto di Gioia Tauro nel corrente anno per circa 50 tonnellate in transito, dirette a Stati arabi. Che si tratti di traffico in transito non deve portare a sottovalutare il fenomeno che al momento non coinvolge l’Italia solo perché il contrabbando scoperto ha riguardato marche non in uso sul territorio italiano, ma non può escludersi che in futuro l’interesse della criminalità organizzata possa considerare anche l’ipotesi di immissione in consumo in Italia, di prodotti graditi ai consumatori. Non si può sottovalutare, infine, la pericolosità del contrabbando di merci diverse dai tabacchi che ovviamente oltre a richiedere un’analisi dei rischi per scoprirlo, metodo valido anche per intercettare il tle, comporta l’esigenza di una cultura che guardi all’attività di verifica come uno strumento utile per combattere il contrabbando intraispettivo, che si va ormai affermando quasi in modo esclusivo. Questo tipo di contrabbando, che si è affermato verso la fine del XX secolo e che continua nei nostri giorni, è silenzioso, ma per questo più insidioso e più interessante per la criminalità organizzata che preferisce fare i propri affari con minore rumore possibile. In conclusione si ritiene che il contrasto debba avvenire con le stesse armi dell’avversario con silenziose analisi, basate sull’attività di intelligence e con l’uso degli scanner e delle banche dati doganali che, con l’informatizzazione prevista dal nuovo codice doganale comunitario del 2008, permettono di conoscere, prima dell’arrivo

223 delle merci, tutta una serie di dati sul traffico commerciale, contenuti nell’ormai obbligatoria dichiarazione sommaria prevista dall’attuale allegato 30bis inserito nelle disposizioni di applicazione del codice doganale comunitario.

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TESTIMONIANZE

Presiede il Gen. D. Vittorio Alvino

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Sono il Generale di Divisione in congedo Vittorio Alvino, pilota osservatore ed ho l’onore di presiedere la 3^ sessione di questo prestigioso Convegno organizzato dalla Guardia di Finanza che tanto interesse ha destato ieri attraverso gli interventi di autorevoli conferenzieri. Oggi si scende sul pratico. Sono ricordi di tempi passati ancora però vivi nella mente dei protagonisti, che vedrete all’opera al seguito del Giudice Falcone, nel ricordo di Tommaso Buscetta e nella vita pratica nei vicoli napoletani nella lotta alla camorra. Non poteva mancare il lato spettacolare: la lotta dal cielo alle correnti contrabbandiere. Invito a parlare il Cap. Severino di cui oggi leggo il curriculum. Lasciatemi aggiungere un particolare personale. Il Capitano è il nostro angelo tutelare nel campo della ricerca dei precedenti nel vastissimo e prestigioso archivio, del nostro Museo Storico, del quale possiede una padronanza specifica di valore non comune.

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Cap. Gerardo SEVERINO

La collaborazione della Guardia di Finanza ai Giudici Falcone e Borsellino.

Buongiorno a tutti. Ringrazio innanzitutto il Sig. Generale Luciani e il Sig. Generale Michelacci per aver organizzato, in questa splendida sede, il convegno di studi sul contrabbando quale forma di finanziamento della criminalità organizzata. Sono commosso e devo dire onorato nello stesso tempo per la presenza autorevole, oltre ai nostri Superiori qui sul territorio, soprattutto della Professoressa Maria Falcone, Presidente della fondazione “Giovanni e Francesca Falcone” la quale in questi anni mantiene forte e viva la testimonianza e il valore non solo della figura del fratello ma anche di tutti

229 gli operatori che negli anni hanno sacrificato la loro esistenza per la lotta a questo crimine orrendo. Ecco il mio intervento vuol essere una piccola testimonianza rispetto a tutto l’impegno che il Corpo ha assicurato nella lotta alla mafia, quando la Guardia di Finanza non era certo conosciuta per questi compiti. Nell’immaginario collettivo, le Fiamme Gialle svolgevano compiti tradizionali quali possono essere la lotta al contrabbando delle sigarette, ma non certo eravamo conosciuti anche per questa forma di lotta alla criminalità e quindi la lotta alla mafia. Fra le varie esperienze professionali ed umane che hanno caratterizzato la mia decennale permanenza presso i reparti anticrimine della Guardia di Finanza, ritengo doveroso dare testimonianza della più esaltante di esse: quella che in qualche modo ha cambiato la mia vita. Nell'estate del 1985 mi trovavo presso la Scuola Sottufficiali di Cuneo, col nuovo incarico di sottufficiale istruttore, quando in Sicilia, ed in particolar modo a Palermo, si registrava una recrudescenza del fenomeno mafioso. I numerosi attentati mietevano vittime anche fra i rappresentanti dello Stato: fra quegli uomini simbolo che rappresentavano un baluardo a difesa della legalità e della giustizia. Erano, quelli, giorni terribili per la democrazia, momenti tragici in cui ogni cittadino onesto covava nel proprio animo un forte spirito di ribellione verso una violenza assurda ed arrogante. Già alcuni mesi prima della fatidica estate '85 la mafia si era risvegliata "rumorosamente", consumando una infinita serie di omicidi, attentati dinamitardi ed intimidazioni di ogni sorta. Sfogliando le pagine di cronaca di qualsiasi giornale si aveva l'impressione che la Sicilia si trovasse in guerra, tant'è vero che il quotidiano "L'ORA", credo che molti presenti se lo ricorderanno,

230 di Palermo apriva ogni edizione addirittura con l'aggiornamento del numero degli assassini commessi il giorno precedente; c’era proprio in prima pagina l’elencazione della statistica, ad esempio: quota 85, quota 86, cioè era un bollettino di guerra nel vero senso della parola. Essendomi da sempre interessato di detta problematica sociale, era per me spontaneo seguire allora i vari telegiornali e la stampa nazionale, nella speranza di apprendere fatti nuovi, possibilmente notizie riguardanti i successi conseguiti dalla Magistratura e dalle Forze dell'ordine. Nel seguire l’evolversi della lotta alla secolare piaga sociale, in virtù della quale acquistavo libri e saggi appropriati, avevo avuto modo di apprezzare l'opera di un coraggioso Giudice palermitano, Giovanni Falcone, il quale, proprio in quei momenti, stava lavorando alla realizzazione di un mega rinvio a giudizio nei confronti di ben 705 indiziati di appartenere a "Cosa Nostra" in quel contesto ricordo per la cronaca nacque anche un’eccezionale collaborazione con il Nucleo di Polizia Tributaria, con lo stesso Nucleo di Palermo riguardo alle indagini che portarono poi alla famosa operazione “Pizza Connection”. Il magistrato era da tempo seguito da gran parte dell'opinione pubblica nazionale, sopratutto per i brillanti risultati che stava ottenendo (unitamente al compianto Paolo Borsellino ed altri giudici di chiara fama) Leonardo Guarnotta, Ignazio De Francisci, Lello Figliuoli e tanti altri cari amici soprattutto nell'ambito delle indagini giudiziarie conseguenti alle allora recenti confessioni del noto Tommaso Buscetta. Come tanti italiani ammiravo moltissimo questi integerrimi servitori dello stato, i quali, a rischio della loro stessa vita, avevano scelto di riconquistare i capisaldi della democrazia e della libertà, ove innalzare il vessillo della legalità, rimasto per lungo tempo ammainato.

231 Tuttavia, trovandomi a svolgere l'incarico di istruttore, mi lagnavo per non avere avuto anch'io la possibilità di svolgere un incarico operativo: desiderio, questo, comune a tutti i neo sottufficiali, i quali avevano atteso ardentemente la fine del biennio di corso principalmente nella speranza di essere destinati ai reparti territoriali quindi ai reparti operativi. Fu per tale ragione che nel giugno 1985 chiesi ed ottenni di poter essere trasferito ad un reparto territoriale. Fatalmente, nel mese di agosto venivo destinato proprio in Sicilia, assegnato al Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Palermo, comando che raggiunsi negli ultimi giorni dello stesso mese. Inizialmente fui assegnato, dall’allora Colonnello De Marco, al Drappello Antisofisticazioni, nel contesto del quale ebbi modo di partecipare a diverse operazioni mirate alla repressione del fenomeno delle sofisticazioni vinicole. Questo incarico era molto ambito in quel periodo perché, da poco nel Nord Italia, era scoppiato lo scandalo dei vini al metanolo che aveva causato numerosi morti tra la popolazione e quindi chi ebbe modo di operare in quel contesto si sentiva anche gratificato dal punto di vista morale. Rimasi in forza al Drappello per circa un mese e mezzo, riuscendo ben presto ad inserirmi nel nuovo ambiente di lavoro e nel nuovo tessuto sociale. In tale periodo il contatto con la realtà locale fu più vivo e costruttivo, tant'è vero che ciò che in precedenza riassumevo - con molta approssimazione - in un giudizio critico, formulato attraverso le notizie di cronaca, si trasformò, ben presto, in un giudizio immediato e razionale, scevro, quindi, da qualsiasi preconcetto. Vivendo in Sicilia ed in particolar modo a Palermo si ha l'opportunità di conoscere e giudicare diversamente il popolo siciliano, ritenuto spesso causa

232 ed effetto di quel problema sociale qual è appunto la mafia. In Sicilia vi è ed è la maggioranza tanta bravissima gente, cittadini desiderosi di giustizia e di pace: questa è l'impressione che ho avuto vivendo a Palermo dal 1985 al 1988, peraltro confermata dalle recenti manifestazioni dei giovani d’innanzi alla Questura di questa città. Fortunatamente si trattava di un’impressione comune a tanti altri italiani, destinata comunque a crescere specialmente per effetto delle manifestazioni di protesta generale, seguite alle note stragi mafiose di qualche anno dopo. Nel mese di ottobre 1985 accadde un fatto veramente strano: fui chiamato a rapporto dal Colonnello Comandante del Nucleo. Avendo da poco iniziato la mia carriera di sottufficiale non immaginavo affatto quale potesse essere il motivo reale di tale conferimento. Pensai subito ad un probabile errore in servizio, ovvero a qualche comportamento scorretto nei confronti dei miei superiori. Fortunatamente non si trattava di ciò che immaginavo: il Comandante in persona mi aveva chiamato, invece, per informarmi riguardo ad un nuovo incarico che mi aveva affidato presso il Drappello del Nucleo Regionale di Polizia Tributaria di Palermo all'epoca distaccato presso l'Ufficio Istruzione Processi Penali del Tribunale palermitano, che in quel momento veniva egregiamente retto dal Istruttore Dottor Antonino Caponnetto. Questo Drappello faceva parte della Sezione IEFSCO (Sezione Indagini Economico Fiscali sulla Criminalità Organizzata) che il qui presente Gen. Nanula, allora comandante del Nucleo di Palermo, aveva istituito su espressa richiesta del Giudice Falcone. Il Drappello aveva il compito di svolgere indagini non solo dal punto di vista societario ma soprattutto bancario e anche in collaborazione con gli altri reparti che componevano il Nucleo di Palermo.

233 All'inizio non capii subito di cosa si trattasse; sì, conoscevo dei colleghi che lavoravano al Drappello, ma non era mai capitata l'occasione per chiedergli di cosa si occupassero realmente. La decisione mi destò non poche preoccupazioni, anche perché ritenevo di non possedere quelle esperienze operative necessarie e sopratutto perché, ad appena due mesi dalla fine del corso sottufficiali - intriso com’ero di sola teoria - mi spaventava la sola idea di dover dipendere dalla Magistratura, la quale era giustamente esigente in materia di polizia giudiziaria. Nello stesso pomeriggio chiesi, quindi, qualche piccola delucidazione al mio capitano capo sezione, Cap. Michele Persiani, il quale confermò appieno il mio presentimento, precisando anche che la mia nuova attività avrebbe riguardato il settore delle indagini bancarie connesse alle inchieste antimafia condotte dal Dottor Giovanni Falcone. Occorre precisare che da qualche anno il Dott. Falcone, unitamente agli altri Giudici Istruttori antimafia, si avvaleva della collaborazione di un modesto contingente di finanzieri, che lo coadiuvava in alcune delicate indagini bancarie e di P.G. nei confronti di numerosi personaggi indagati per associazione mafiosa. Il piccolo reparto, dipendente organicamente dal citato Nucleo, era diretto in loco da un nostro Maresciallo Capo, simpaticamente sopranominato, nell’ambiente del Palazzo di Giustizia, "Il Giovanni Falcone n.2", per via di una singolare somiglianza fisica con il noto magistrato. L'indomani raggiunsi gli uffici del Tribunale, accompagnato dal mio nuovo comandante di sezione, per essere presentato al Dott. Falcone. In effetti il mio trasferimento, seppure ufficiale, andava comunque ratificato previo gradimento da parte della stessa autorità giudiziaria. Con tanta paura e, come si suol dire, con il cuore in gola, feci ingresso nell'ufficio di Falcone convinto

234 di non destare una buona impressione, temendo anche domande specifiche riguardo ad eventuali e pregresse esperienze di servizio. Per fortuna si trattò solo di una presentazione formale e, per certi versi, dai connotati simpatici. Seppi, poi, nel pomeriggio che il magistrato mi aveva accolto nella sua struttura operativa, meglio nota come "Pool Antimafia". Fatta conoscenza con i colleghi d'ufficio, ben presto mi tuffai a capofitto nella nuova esperienza professionale, caratterizzata, come detto prima, dallo svolgimento di indagini bancarie e di P.G. coordinate personalmente dal Dott. Falcone e dagli altri Giudici Istruttori del "Pool". Riguardo ai primi giorni di lavoro, ricordo perfettamente di aver collaborato alla rilegatura di non so quante schede bancarie, riguardanti ognuna i rapporti di credito ed i collegamenti tra mafiosi, ovvero fra questi con insospettabili uomini d'affari. Questa era una nuova concezione investigativa che aveva ideato proprio il Dott. Giovanni Falcone. Si potrebbero scrivere fiumi d’inchiostro riguardo alle tecniche antimafia, che si poggiavano sclusivamente sulle indagini bancarie per combattere la mafia dal punto di vista economico. Sarebbe veramente una relazione molto lunga e complicata; sta di fatto che lui aveva una conoscenza incredibile, non solo del sistema bancario ma di tutto le regole che gestivano il settore, quindi anche dal punto di vista tecnico conosceva tutti i meccanismi che regolavano anche non ufficialmente il sistema bancario. Conosceva, quindi, anche segreti che ogni Direttore di Banca si riserva per sé nella gestione del sostema bancario, quale ad esempio, una nozione tecnica che mi è servita molto negli anni sccessivi, quale l’esistenza presso ogni filiale del cosiddetto “Fascicolo di Segreteria”. Nel fascicolo di segreteria erano contenute tutte le informazioni riservate, quindi non previste nemmeno per

235 legge, era un documento unico istituto della Banca autonomamente e quindi la Banca non era tenuta ad esibirlo a nessuno. Attraverso delle ordinanze di perquisizione siamo riusciti a mettere le mani su questi documenti preziosissimi. Di dette schede, che costituiranno parte integrante della prima maxi sentenza di rinvio a giudizio nei confronti di 705 indiziati di appartenere a "Cosa Nostra", molto se ne è parlato sulla stampa ed in occasione di vari convegni riguardanti il fenomeno. Si trattava, infatti, di uno strumento nuovo, ideato personalmente dal Dottor Falcone, e della cui valenza ne è testimonianza la stessa conferma delle condanne da parte della Cassazione. Attraverso di esse, in buona sostanza, si provavano: conoscenze, interessi mafiosi, collegamenti fra le cosche siciliane; fra queste e la mafia americana; i collegamenti fra la mafia e la camorra; i rapporti con i contrabbandieri napoletani; i collegamenti con la criminalità organizzata romana e sopratutto si dimostrava la veridicità delle dichiarazioni fatte da taluni pentiti. Determinanti furono, altresì, le indagini bancarie e valutarie, in virtù delle quali fu possibile provare gli interessi della mafia nel riciclaggio dei proventi dei traffici illeciti e nell’esportazione di capitali all’estero, con il cosiddetto “sistema delle compensazioni”. Nell'affidarci questi gravosi e rischiosi compiti, ai quali si associarono spesso anche riscontri presso uffici pubblici e bancari, ivi comprese le perquisizioni, Giovanni Falcone aveva tenuto conto della notoria esperienza professionale maturata dalla Guardia di Finanza nello specifico campo delle indagini valutarie e societarie: esperienza che si sposava benissimo con le verifiche di natura fiscale, a carico di aziende od imprese in odore di mafia, che lo stesso Magistrato richiedeva alla Polizia Tributaria di Palermo. In

236 questa sala sono presenti alcuni dei vecchi Capi Sezione dell’allora Nucleo di Palermo, penso al Cap. Giancane, lo stesso Cap. Gibilaro, il Ten. Cesari e tanti altri che assieme a me hanno operato in quel contesto e si ricorderanno come quasi tutto il Nucleo Regionale di Palermo alla fin fine lavorava per lo stesso obbiettivo: quello delle indagini bancarie e societarie anche attraverso delle importanti verifiche nei riguardi di importanti gruppi economici della città e spesso anche dell’intera isola. Dopo la rilevanza - a livello internazionale - suscitata dalla maxi sentenza, la nostra azione fu potenziata e raffinata maggiormente. Il piccolo reparto usufruì di una particolare attenzione da parte della superiore gerarchia, la quale assicurò al "Pool" ulteriore e proficua collaborazione anche mediane l'ausilio di altri reparti del Corpo. In poche parole, fu costituita una struttura di "intelligence", capace di sviluppare indagini a livello nazionale, ottenendo risultati operativi ed istruttori di tutto rilievo. L’8 novembre 1985, nel depositare la sentenza-ordinanza di rinvio a giudizio nei confronti di Abbate Giovanni + 474, dalla quale scaturì il primo “Maxi Processo” a Cosa Nostra, il Dottor Falcone ci riconobbe di avere svolto un “prezioso ed intelligente lavoro”, giudizio lusinghiero che accompagnò anche le sentenze emesse successivamente. E su questa linea continuò il nostro impegno anche in occasione delle altre indagini che seguirono: si proseguì dunque con il "maxi due", con il "maxi tre" e con l'operazione "Iron Tower". Altri reparti del Corpo, fra i quali è doveroso ricordare il Nucleo Centrale di Polizia Tributaria di Roma e quello Regionale di Napoli, collaborarono, invece, ad altre delicate indagini giudiziarie sul settore

237 dei traffici internazionali di stupefacenti, scrivendo assieme al “Pool” alcune fra le pagine più belle della lotta alla mafia. Oltre ai consueti rapporti professionali, noi finanzieri avevamo ottenuto anche un ottimo rapporto di amicizia con tutti i giudici istruttori e sopratutto con Giovanni Falcone. A parte gli incarichi affidati personalmente, il magistrato ci riuniva settimanalmente (solitamente di sabato) per discutere delle indagini in corso e per affidarci nuovi compiti e nuovi riscontri. Da lui si riceveva spesso un’accoglienza affettuosa e nel corso dei colloqui non mancavano mai battute spiritose, qualche barzelletta (che il Magistrato raccontava benissimo) e, perché no, qualche buon caffè. Falcone amava molto entrare nei particolari, dimostrando sempre di avere una conoscenza ed una partecipazione attiva anche riguardo al nostro lavoro quotidiano, spesso costituito dall'esame di copiosi carteggi e da montagne di assegni bancari. A volte, nel visionare una firma di girata posta su di un qualche assegno, ricordava addirittura in quale contesto ne aveva vista una simile oppure se si trattava di un’eventuale falsificazione. Allora al Tribunale di Palermo, presso l’Ufficio Istruzione, lo ricordavo prima con la signora Falcone, il Dott. Falcone, credo che sia l’unico esempio in Italia, aveva fatto venire da Roma un macchinario che veniva utilizzato per la microfilmatura di tutti i carteggi processuali. Man mano che le Forze dell’Ordine inviavano i rapporti giudiziari, lui prima li vedeva insieme agli altri Giudici e poi li faceva microfilmare. Questo per due motivi: il primo per ottenere una ricerca molto più facile del documento e quindi avere un riscontro diretto, senza perdere tempo nello sfogliare centinaia e centinaia di carte ma soprattutto nella ventilata ipotesi che qualche documento potesse sparire, cosa allora come penso anche oggi facile nei Tribunali. Fra le tante cose che si potrebbero

238 raccontare, cito una cara persona, il collaboratore Giovanni Paparcuri, il nostro tecnico informatico, che tra l’altro era stato l’autista del Dott. Chinnici, scampato miracolosamente all’attentato che invece causò la morte di quel grande Magistrato. Paparcuri è stato un grande collaboratore perché grazie a lui siamo riusciti a fare dei riscontri proprio attraverso la documentazione microfilmata. Era un magistrato veramente eccezionale, avendo una preparazione come si suole dire a 360 gradi e concernente campi non prettamente giudiziari, quali appunto quelli relativi al sistema bancario, finanziario e quello societario, dei quali conosceva gli aspetti più reconditi. Dei finanzieri apprezzava sopratutto la modestia e la riservatezza: qualità piuttosto rara fra i collaboratori dei Magistrati. Aveva avuto modo di constatare che il nostro drappello era composto da gente serissima, accuratamente selezionata, e questo gli dava molta serenità, specie in un contesto temporale in cui si ipotizzava l'esistenza di qualche delatore o peggio di eventuali talpe nel Palazzo di Giustizia. D'altro canto anche noi Fiamme Gialle andavamo fieri di questa collaborazione, compiaciuti del fatto di essere stati prescelti per un così delicato incarico operativo. Spesso era lo stesso Falcone che ci ricordava l'importanza del nostro silenzioso lavoro, insostituibile in quel contesto storico particolare, esortandoci per questo al massimo impegno ed alla massima dedizione. Allorquando alcuni mezzi di comunicazione iniziarono ad attaccare il Giudice, criticandone metodi e concezioni investigative, i suoi più stretti collaboratori ne soffrirono enormemente, condividendo con Falcone e gli altri giudici le ansie e, perché no, la rabbia.

239 Tale situazione subì una notevole accelerazione nei primi mesi del 1988, allorquando al Dott. Falcone fu negata la carica di Consigliere Istruttore del Tribunale di Palermo, conferita, invece, al Dott. Antonino Meli seguendo un criterio di anzianità. In quel clima di polemica che ne scaturì, si verificò un episodio particolare, in conseguenza del quale io ed un altro sottufficiale del Corpo fummo trasferiti d'urgenza a Roma, per motivi di sicurezza. E' probabile che "cosa nostra" cercasse di ostacolare il lavoro dei collaboratori del "Pool Antimafia", mediante atti dimostrativi o possibili attentati. Nel mese di marzo 1988, assieme all'altro collega, l’allora Brigadiere Enrico Riccardi attuale Maggiore presso il Comando Generale (lo cito perché è stato il primo ad utilizzare i sistemi informatici presso il tribunale di Palermo, con un mitico Commodore 64 nel quale sono confluite migliaia e migliaia di notizie) giunsi al Nucleo Centrale di Polizia Tributaria di Roma. Entrambi fummo assegnati ad una Sezione che si occupava di criminalità organizzata. Era stata, questa, una precisa volontà manifestata dallo stesso Giovanni Falcone, volontà espressa all’allora Ispettore della Guardia di Finanza per l’Italia Meridionale, il compianto Gen. Pierpaolo Meccariello, desideroso di non veder sprecata la nostra esperienza operativa. Più tardi fui trasferito al GICO di Roma, ove rimasi sino al luglio del 1994. Rividi, per l'ultima volta, il Giudice Falcone nel maggio 1989, allorquando tornai a Palermo per consegnargli a mano copia di un rapporto giudiziario, concernente gli affari mafiosi nella Capitale, che il mio Comandante di Gruppo, l’allora Ten. Col. Stefano Pitino, aveva pensato di inviargli in virtù degli importanti collegamenti che provava. Nel fargli visita in Tribunale, non nascondo di aver provato una certa nostalgia, cosa che avvertì lo stesso magistrato, chiedendomi scherzosamente se desideravo ritornare al drappello.

240 Risposi con un sorridente rifiuto, ricordandogli quello che mi era accaduto appena l'anno prima. Nei tre anni di permanenza presso il "Pool Antimafia" ricordo con piacere anche la figura del Dott. Paolo Borsellino, anch'egli futura vittima della mafia. Sarà lui l'unico a ricordare la presenza e l'operato delle Fiamme Gialle nell'ambito del "Pool", in una delle sue ultime interviste concesse - se non ricordo male - nel 1993 allo speciale del TG2 intitolato "Lezioni di Mafia". Grazie al Dott. Borsellino la nostra opera silenziosa ed importante fu resa pubblica al Paese, a distanza di qualche anno dallo scioglimento della piccola unità investigativa, in conseguenza del varo della riforma del processo penale. Ora che queste figure di uomini e di magistrati non ci sono più, i mezzi di comunicazione ne elogiano l'operato e lo spirito di sacrificio, forse anche ipocritamente, avendoli spesso osteggiati ed abbandonati nei momenti di particolare bisogno. Di questi magistrati conserverò nel mio cuore un ricordo indelebile, essendo loro riconoscente per tutto quello che mi hanno dato, sia in termini di insegnamento professionale, sia in termini di esperienze umane e - non per ultimo - per gli innumerevoli servigi resi alla Nazione, tutelando il diritto ed affermando il principio di libertà. Dell'operato e della non comune vocazione alla causa della giustizia dimostrati da questi uomini valorosi, ho reso e renderò sempre testimonianza nell'ambiente di lavoro e fra le persone che conosco, sicuro di contribuire alla perpetuazione della loro memoria e sopratutto del loro esempio.

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Gen. B. Ignazio GIBILARO

Il contrabbandiere Tommaso Buscetta

Autorità, gentili presenti, non posso iniziare il mio intervento senza rivolgere un sentito ringraziamento a tutti gli organizzatori di questo convegno e a coloro che mi hanno chiamato a prendervi parte attiva. Ma il mio saluto deferente e - mi sia permesso - affettuoso, va soprattutto a colui di cui mi trovo oggi ad essere – con un sincero, reverenziale timore – il sostituto: il generale Giuliano Oliva.

243 Nessuno meglio di colui che, per intere generazioni di finanzieri ha personificato uno dei maggiori simboli della lotta al contrabbando di t.l.e., avrebbe potuto affrontare il tema “Il contrabbandiere Tommaso Buscetta”! Ma, purtroppo, egli è impossibilitato ad essere qui tra noi e, quindi, tocca a me l’onore di intervenire su tale argomento. La mia “testimonianza” nell’ambito di questo convegno ritengo trovi la sua ratio nell’incarico che, giovanissimo capitano, ho avuto la fortuna di rivestire dal gennaio 1987 alla primavera del ’90: quello di Comandante della neo-istituita Sezione Indagini Economico-Fiscali sulla Criminalità Organizzata di Palermo. L’incarico, cioè, di Comandante di quell’articolazione del Nucleo Regionale PT del capoluogo siciliano da cui dipendeva un’aliquota di sottufficiali del Corpo fisicamente distaccata presso gli uffici dell’allora “pool antimafia” dell’Ufficio Istruzione. Come dianzi ricordato dal Cap. Gerardo Severino, missione di tale aliquota di militari era quella di eseguire gli accertamenti bancari e societari relativi ai così detti “maxi processi alla mafia” (e ad altre “maxi-inchieste”), operando a diretto contatto e supporto di un “pool” che - a quel tempo - era diretto da Antonino Caponnetto e composto da magistrati quali Giovanni Falcone, Leonardo Guarnotta, Giuseppe Di Lello, Giacomo Conte, Gioacchino Natoli, Ignazio De Francisci. Ebbene, in tale ambito, il Buscetta di cui mi interessavo, era soprattutto quel “personaggio” indicato per decenni dagli organismi di polizia come “mafioso di rango e trafficante di stupefacenti” che,

244 violando il dogma dell’omertà, aveva iniziato a collaborare con la giustizia36. Il “mafioso” che, oramai isolato all’interno di “Cosa Nostra” e braccato dai feroci avversari “corleonesi”, aveva infine deciso di affidare allo Stato la sua sorte ed i segreti dell’organizzazione criminale siciliana, segnando così con le sue dichiarazioni l’inizio di un nuovo corso nella lotta alla mafia; un corso la cui efficacia si fondava in gran parte sulla possibilità di guardarne “dall’interno” strutture e meccanismi e di disporre, quindi, di una preziosa chiave di lettura dei c.d. “fatti di mafia”37. Ma un ulteriore, peculiare, profilo della tormentata vicenda umana e giudiziaria del c.d. “pentito dei due mondi” mi si è ripresentato - in tutta la sua evidenza e valenza “storico-criminale” - pochi mesi orsono, allorché, proprio nella prospettiva di focalizzare ogni utile elemento di conoscenza sui legami intercorrenti tra criminalità organizzata di tipo mafioso e contrabbando di t.l.e., ho avuto modo di leggere alcuni “antichi” – o, meglio, “storici” - “rapporti penali di denuncia” redatti già negli anni ’50 e ’70 da prestigiosi ufficiali del Corpo. Un primo atto di polizia giudiziaria meritevole di essere ricordato è il “rapporto penale di denuncia a carico di Molinelli Pascal ed altri 36 responsabili di associazione per delinquere e contrabbando pluriaggravato di tabacchi”, firmato il 30 dicembre 1958 dal Col. Enrico Formato, a quel tempo Comandante del “Nucleo Centrale

36 Vds Ordinanza – Sentenza nel p.p. contro ABBATE GIOVANNI +706 dell’Ufficio Istruzione Processi Penali del Tribunale di Palermo - depositata 08 novembre 1985 – (C.D. “maxi processo” cosa nostra); 37 Ibidem. 245 Polizia Tributaria Investigativa”, avente sede in Roma, al “mitico” civico 45 di Via dell’Olmata38. Tale rapporto sostanzialmente poneva il suo focus investigativo sulle più potenti organizzazioni contrabbandiere del Mediterraneo, con basi di partenza delle merci a Tangeri, Gibilterra e Malta. In particolare, oggetto del voluminoso atto di polizia giudiziaria era l’organizzazione contrabbandiera tangerina diretta dal cittadino francese Molinelli Pascal, rivelatosi in quegli anni come uno dei più forti operatori del contrabbando in danno dell’Italia, sia per il numero dei mezzi navali impiegati, sia per la quantità dei tabacchi trasportati; una organizzazione, la sua, che per anni ha alimentato gran parte del contrabbando dei tabacchi in Italia, interessandosi anche del traffico degli stupefacenti in collegamento con elementi di primissimo piano in campo internazionale. In tale documento, il col. Formato, ¾ nel rappresentare che il rapporto da lui sottoscritto si basava sull’esame comparato di numerosi elementi di prova acquisiti attraverso «l’intercettazione radio; l’osservazione aerea; le operazioni repressive …; gli atti compilati in relazione … alla perdita di un aereo impiegato dalla Guardia di Finanza nei servizi di ricognizione; il sequestro di telegrammi …; l’intercettazione telefonica; altri atti di polizia compiuti in Italia e all’estero; documentazioni fornite da organi di polizia stranieri» ¾ non mancava di rimarcare che «la pericolosità dell’associazione è dimostrata dalle seguenti circostanze:

38 Foglio n. 25905/D.M. in data 30 dicembre 1958 del “Comando Nucleo Centrale Polizia Tributaria Investigativa”, avente per oggetto “Rapporto penale di denuncia a carico di Molinelli Pascal ed altri 36 responsabili di associazione per delinquere e contrabbando pluriaggravato di tabacchi”. 246 ƒ il danno arrecato all’erario dello Stato per il contrabbando dei tabacchi è di circa £ 2.800.000.000 di soli diritti doganali evasi …; ƒ vari membri dell’organizzazione sono pericolosi pregiudicati; ƒ i principali organizzatori si dedicano al traffico di stupefacenti e sono sospetti anche di dedicarsi al traffico delle armi; ƒ due componenti dell’organizzazione (De Val e Chiarena) sono ex funzionari della polizia francese; ƒ il Molinelli Pascal … è uno dei membri del Comitato di Salute Pubblica della Corsica; ƒ l’esistenza di una rete di stazioni radio clandestine può prestarsi agevolmente all’attività di spionaggio; ƒ la permanenza continua di navi dell’organizzazione al largo delle coste italiane favorisce … gli espatri clandestini; ƒ il trasporto e lo sbarco clandestino di ingenti partite di tabacchi può favorire l’introduzione in Italia di stupefacenti, armi, valuta ecc.; ƒ i componenti l’organizzazione sono scaltriti criminali … che riescono, grazie alla potenza del denaro di cui dispongono largamente, a trovare favoreggiatori …; ƒ i comandanti dei natanti contrabbandieri sono decisi a contrastare anche con la violenza l’azione delle unità del Naviglio della Guardia di Finanza … ». Ebbene, al 21° posto dell’elenco dei denunziati per associazione per delinquere e contrabbando pluriaggravato compare tale «Buscetta Tommaso detto “Masino”, di Benedetto e di Bauccio Felicia, nato a Palermo il 13.7.1928 ed ivi residente, via S. Pellico n.34».

247 In particolare, nelle conclusioni del rapporto del Nucleo Centrale, si legge che «il Buscetta non ha precedenti per contrabbando, ma dagli accertamenti svolti è emersa chiaramente la sua attività illecita nel quadro della squadra del Antonino39» Ma un ulteriore rapporto di polizia giudiziaria non meno meritevole di essere menzionato è quello sottoscritto, in data 17 gennaio 1972, dal Colonnello Giuliano Oliva - al tempo Comandante della 13^ Legione della Guardia di Finanza di Palermo – ed avente per oggetto “richiesta di notizie sul conto dei presunti mafiosi facenti parte o collegati ad organizzazioni contrabbandiere”40. In tale relazione indirizzata all’A.G. del capoluogo siciliano41, nell’analizzare quelli che vengono espressamente definiti gli “aspetti mafiosi del contrabbando”, viene tra l’altro affermato che: ¾ «… Vi sono vari elementi che fanno ritenere che esistano finanziatori (ndr del contrabbando) più o meno insospettabili che, senza figurare, anticipano forti somme di denaro. Questa attività è agevolata in Sicilia dai legami mafiosi e soprattutto dalla multiforme attività della mafia. …» ¾ «… In sostanza gli esponenti delle squadre contrabbandiere o fanno parte della mafia o con la mafia debbono trattare, pagando la relativa percentuale per effettuare le operazioni di sbarco. Ad

39 Camporeale Antonino, detto “U Principe”, nato a Palermo il 6 agosto 1920 ed al tempo residente in Ercolano (NA), noto nel campo del contrabbando di tabacchi sin dal ’57, avrebbe progressivamente assunto una nuova fisionomia, divenendo elemento di primo piano nel contrabbando attuato - nei primissimi anni ’70 - lungo le coste napoletane, catanesi e trapanesi (vds rapporto n. 215 in data 17 gennaio 1972 del “Comando 13^ Legione Guardia di Finanza”). 40 Foglio n. 215 in data 17 gennaio 1972 del “Comando 13^ Legione Guardia di Finanza”, avente per oggetto “richiesta di notizie sul conto dei presunti mafiosi facenti parte o collegati ad organizzazioni contrabbandiere”. 41 Dr. F. Neri – Giudice Istruttore presso il Tribunale Civile e Penale di Palermo. 248 esempio se una squadra contrabbandiera palermitana progetta di eseguire uno sbarco nella zona di Castellammare del Golfo o nella zona di Ribera, non vi è dubbio che debba collegarsi con la mafia locale per poter operare indisturbata. …» Proseguendo in tale rapporto, l’allora Colonnello Oliva, ¾ dopo aver ribadito che «… vari elementi fanno ritenere che i grossi esponenti del contrabbando siano in gran parte mafiosi e che alcuni rivestono posti di primo piano nelle organizzazioni di questo tipo, che, peraltro, svolgono una poliedrica attività che comprende anche il contrabbando» ¾ nel citare alcuni di tali “elementi di primo piano”, quali ƒ Alberti Gerlando, ƒ Badalamenti Gaetano, ƒ Bontade Stefano, ƒ Davì Pietro, ƒ Greco Salvatore, ƒ Greco Paolo, ƒ Giaconia Stefano, ƒ Spadaro Tommaso, ƒ Spadaro Giuseppe, non manca di inserire in tale elencazione “esemplificativa” anche il “nostro” Buscetta Tommaso. E sempre al “noto” Buscetta viene dedicata un’apposita sezione della relazione di polizia giudiziaria, da cui si evince che: ¾ era (al tempo) residente a New York … ¾ era in stretti contatti con … Greco Salvatore, Vitrano Arturo, Pennino Gioacchino, Mancino Rosario, La Barbera Angelo (ndr

249 soggetti indicati in molteplici atti giudiziari come “uomini d’onore”)… ¾ era già gravato da numerose pendenze, quali: ƒ denuncia in stato di arresto – in data 9 marzo 1958 – del Comando Gruppo Guardia di Finanza di Taranto, per associazione per delinquere, contrabbando pluriaggravato, simulazione di reato e favoreggiamento, unitamente - tra gli altri – a Scavone Gaetano, Savoca Giuseppe, Sansone Antonino, (ndr nomi “storici” del contrabbando e della criminalità organizzata siciliana); ƒ denuncia – in data 30 dicembre 1958 - del Nucleo Centrale Polizia tributaria Investigativa di Roma, per associazione per delinquere, contrabbando pluriaggravato di tabacchi lavorati esteri (vds il già citato rapporto a firma del Colonnello Enrico Formato). Peraltro, sempre il Colonnello Giuliano Oliva, nell’aprile del 1972, firmava un altro rapporto42 che integrava quello già redatto il precedente 17 gennaio. Tale ulteriore atto di polizia giudiziaria, ¾ per un verso, arricchiva il pedigree contrabbandiere di Buscetta evidenziando che ƒ con sentenza in data 20 marzo 1963 del Tribunale di Taranto era stato condannato per contrabbando di t.l.e.; ƒ in seguito al sequestro di 370 kg di t.l.e. operato in data 5 novembre 1965 in provincia di Forlì, il Nucleo p.t. di Taranto

42 Foglio n. 1603 in data 01 aprile 1972 del “Comando 13^ Legione Guardia di Finanza”, avente per oggetto “rapporto penale concernente ulteriori notizie sul conto di presunti mafiosi facenti parte o collegati ad organizzazioni contrabbandiere”. 250 aveva segnalato i collegamenti del Buscetta con altri noti contrabbandieri; ¾ per un altro, nel trarre le conclusioni delle indagini eseguite, segnalava che: «Il gruppo mafioso che appare ben delineato è quello che fa capo a Gerlando Alberti senior, derivato dal gruppo Greco. Vi sono poi altri gruppi, o singoli esponenti mafiosi più o meno direttamente ad essi collegati, quali quelli facenti capo a: Greco Salvatore (detto l’ingegnere), Badalamenti Gaetano, Bontade Stefano, Spadaro Tommaso, Albanese Giuseppe, Calderone Giuseppe. … … Per quanto concerne il gruppo facente capo a Gerlando Alberti senior, non vi è dubbio che questi – negli ultimi anni – abbia svolto un’intensa illecita attività, prevalentemente nel continente, dedicandosi – specificatamente al settore di competenza della Guardia di Finanza – al contrabbando di: ƒ tabacchi esteri in Lombardia; ƒ burro, già in parte denunziato; ƒ tabacchi esteri via mare, avendo come base il napoletano.» Ebbene – sempre leggendo tale rapporto della 13^ Legione della Guardia di Finanza - il gruppo mafioso facente capo all’Alberti (nel cui ambito viene ad esempio collocato – insieme a numerosi altri - anche il “famoso” Fidanzati Gaetano) «risulta collegato direttamente o indirettamente ad altri elementi mafiosi o solamente contrabbandieri quali: Buscetta Tommaso, … Spadaro Tommaso, Vincenzo e Giuseppe, Badalamenti Gaetano, Camporeale Antonino,

251 Calderone Giuseppe, … Greco Salvatore (detto l’ingegnere), Greco Paolo, Bontade Stefano e Giovanni, …». Dopo la lettura di tali dati “di polizia” sulla carriera contrabbandiera di Buscetta Tommaso, risulta particolarmente interessante “dare la parola” allo stesso don Masino, rifacendoci a quanto da lui “confessato” al noto sociologo Pino Arlacchi nell’ambito del libro- intervista “Addio Cosa Nostra - La vita di Tommaso Buscetta”43 Tra i diversi brani particolarmente significativi anche nella nostra specifica prospettiva, ne ho scelti alcuni che ritengo “emblematici”. Un primo stralcio di palmare attinenza con il tema del nostro convegno, è quello in cui Buscetta – dopo aver espressamente ammesso che negli anni ’50 si era dedicato con profitto al contrabbando - ci fornisce un interessante spaccato di un periodo storico in cui – secondo le sue parole - “i mafiosi” controllavano solo una parte modesta del traffico illecito di tabacchi lavorati esteri. In quegli anni, infatti, le navi che trasportavano i tabacchi erano di proprietà di grandi fornitori francesi ai quali – ovviamente - non importava molto di chi fosse l'acquirente di una partita di sigarette; pertanto, oltre ai contrabbandieri di “Cosa Nostra”, operavano diverse squadre di grossisti della malavita comune. Anzi, i non affiliati all’organizzazione mafiosa facevano la parte del leone, per una molteplicità di fattori: ¾ avevano – al tempo - un giro di affari più grande e, quindi, maggiori disponibilità finanziarie; da ciò discendeva la capacità di pagare in contanti le partite prenotate e, conseguentemente, di ottenere prezzi più vantaggiosi;

43 “Addio Cosa Nostra - La vita di Tommaso Buscetta” di Pino Arlacchi - RIZZOLI EDITORE – Roma, 21 aprile 1994. 252 ¾ erano ottimi marinai ed avevano la disponibilità e la capacità di gestire i pescherecci e le barche che occorrevano per trasbordare le casse dalle navi alla terraferma; ¾ scaricavano e smerciavano da soli, fino al singolo pacchetto, il contenuto delle casse. Gli uomini d'onore, invece, dovevano ricorrere a quello che oggi definiremmo l’out-sourcing; cioè a equipaggi di pescherecci, squadre di scaricatori e squadre di rivenditori costituite da “non affiliati”. Inoltre, i gruppi riconducibili a “Cosa Nostra”, non solo non disponevano ancora di capitali adeguati a contrattare con i fornitori da una posizione di forza, ma - non avendo risorse finanziarie sufficienti per poter pagare l’anticipo necessario per “comprare” l’intero carico di una nave – erano costretti ad associarsi tra loro per acquistare limitati quantitativi di casse. In uno dei due rapporti del Col. Oliva dianzi citati44 - nell’ambito dell’elencazione dei precedenti di polizia per contrabbando di “don Masino” - veniva espressamente menzionata anche una denuncia in stato di arresto redatta (in data 9 marzo 1959) dal Comando Gruppo Guardia di Finanza di Taranto nei confronti del Buscetta, unitamente - tra gli altri – a Scavone Gaetano, Savoca Giuseppe, Sansone Antonino45. Ebbene, in un altro capitolo del libro di Arlacchi, Buscetta ci narra la sua versione di questo suo arresto “pugliese”. In particolare, egli ricorda di essersi recato in Puglia perché era stato avvertito che alcuni malviventi locali avevano intenzione di rubare un grosso carico di sigarette di contrabbando che lui aveva “acquistato”

44 Quello in data 17 gennaio 1972. 45 Nomi “storici” del contrabbando e della criminalità organizzata siciliana. 253 in società con i cugini Giuseppe e Vincenzo Savoca (uomini d'onore) e con Gaetano Scavone (un delinquente che si trovava “sotto osservazione” per essere ammesso in Cosa Nostra). Il carico, proveniente da un porto franco della Yugoslavia, sarebbe stato sbarcato sulle coste pugliesi e poi sarebbe stato trasportato nel napoletano, per essere quindi destinato al ricco mercato locale. La sera dello sbarco - benché i capi della mala tarantina avessero dato le più ampie assicurazioni circa l'assenza di pericoli per il carico – il Buscetta volle comunque recarsi sul posto per “sovrintendere” alle operazioni di scarico e trasporto. Ma mentre a bordo di un’auto seguiva l’ultimo dei camion che trasportavano i tabacchi esteri verso Napoli, la autocolonna contrabbandiera venne intercettata da numerosi militari dell’Arma dei Carabinieri che – come Buscetta apprese successivamente – stavano cercando una banda di maniaci sessuali che assaltava le coppie che si appartavano in macchina. Narra sempre il Buscetta che, avendo trovato sugli automezzi “solo” delle sigarette, lo stizzito colonnello sopraggiunto sul posto – dopo aver rimproverato in modo aspro i subordinati perché lo avevano svegliato nel cuore della notte per un “volgare” affare di contrabbando – fece chiamare la guardia di finanza, che fu ben lieta di portare in galera tutti i fermati. Al riguardo il Buscetta non manca di “vantarsi” del fatto che – sentendosi beffati e “offesi” per il fatto di essere stati arrestati a causa di un gruppo di volgari stupratori – “loro”, “uomini d'onore con tanto di giuramento”, un paio di settimane più tardi, quando videro arrivare

254 nel loro stesso carcere quella banda di depravati appena catturati dalla polizia, non mancarono di rendergli la vita impossibile. In un altro capitolo dei suoi “ricordi”, Buscetta parla anche del periodo trascorso nel carcere di Palermo (il famoso Ucciardone), in cui venne rinchiuso nel dicembre 1972, pochi mesi dopo essere stato arrestato in Brasile. In una prima parte di tale capitolo, egli si sofferma su come, negli anni che vanno dal 1973 al 1977 - proprio grazie alla “posizione di prestigio” di cui godeva all'Ucciardone - ebbe la possibilità di notare i primi sintomi del mutamento che stava investendo “Cosa Nostra” e di conoscere fin nei minimi dettagli le fonti di reddito dei suoi “fratelli mafiosi”. In quegli anni, infatti, gli uomini d'onore cominciarono a mostrare segni di benessere e di ricchezza mai visti in precedenza; una ricchezza – rimarca Buscetta - che derivava dal boom del contrabbando di sigarette, oramai praticato massicciamente dagli uomini d'onore siciliani che si erano messi in società con alcuni esponenti della camorra napoletana. Il volume d'affari del commercio illecito di sigarette era diventato enorme: dalle 500 casse che negli anni '50 costituivano una grossa partita, si era passati alle 35/40.000 sbarcate a ogni viaggio tra Napoli e Palermo da una nave contrabbandiera. Per “Cosa Nostra” il controllo del contrabbando era divenuto di importanza capitale e il “pericolo” che tale traffico illecito rappresentava per la pace appena raggiunta dalle famiglie di “Cosa Nostra” divenne così evidente che ci furono pochissimi dissensi in seno alla “Commissione” a proposito dell'atteggiamento da tenere nei

255 confronti degli organizzatori del traffico e delle modalità del suo svolgimento. Tuttavia, anche dopo l'intervento regolatore della “Commissione”, le controversie e i malintesi per la gestione del ricchissimo traffico di tabacchi non cessarono. Ebbene, asserisce il Buscetta, << furono questi conflitti e la pressione della Guardia di Finanza, che cominciò a intercettare e sequestrare intere navi, a far declinare - intorno al 1977/78 - il business del contrabbando e a incoraggiare quello della droga >>. In un ulteriore brano - anch’esso relativo al periodo di detenzione all’Ucciardone (1973/1977) - il Buscetta, con toni ostentatamente “indignati”, si sofferma su come gli ingentissimi guadagni derivanti dal contrabbando abbiano dato l’avvio ad una sorta di progressivo decadimento etico degli “uomini d’onore”, che ne avrebbe infine corrotto i costumi, un tempo molto più sobri ed austeri (sic !). Il coinvolgimento nel contrabbando, infatti - dopo gli anni bui seguiti alla strage di Ciaculli46 - aveva risollevato le sorti economiche di parecchi uomini d'onore; ebbene, le conseguenze di tutto ciò si riverberavano in modo eclatante anche nella vita carceraria: i mafiosi, diventati oramai ricchi, avevano individuato nella corruzione il modo più sbrigativo per acquisire privilegi e considerazione anche in prigione. Sempre Buscetta non manca di rammentare, con un equivoco mix di disapprovazione e vanagloria, che:

46 In contrada Ciaculli, località nei dintorni di Palermo, il 30 giugno 1963, a seguito della deflagrazione di una giulietta imbottita di esplosivo, morirono due uomini del genio militare e quattro carabinieri. 256 «Prima degli anni '70, i detenuti mafiosi ricevevano dai parenti la dotazione essenziale: qualche paio di mutande e di calzini, le camicie e un pò di cibo cucinato in casa. Per i familiari degli uomini d'onore era un vero problema far giungere ai loro cari in galera qualche finocchio e qualche melanzana. Quando il contrabbando divenne un affare consistente, vidi arrivare in carcere camicie e vestaglie di seta, completi da passeggio e da sera, set completi di biancheria, veri e propri corredi. Roba elegante e costosa, acquistata in blocco nei migliori negozi di Palermo. Per non parlare del cibo. Cominciò ad arrivarne talmente tanto che dovetti allestire una stanza intera per conservare le derrate e uno stanzone per i pranzi e le cene. In questa sala gli uomini d'onore detenuti consumavano i propri pasti: si formavano tavolate di trenta-quaranta persone, servite da uomini d'onore che pensavano poi a sparecchiare e rigovernare le stoviglie. … Eravamo una piccola comunità di eletti che se la passava benissimo, tra pranzi e cene succulenti, consumati nelle ore di nostro gradimento e non secondo gli orari assurdi della vita carceraria.» Un ultimo passo della confessione-intervista ad Arlacchi che merita di essere ricordato è quello in cui il contrabbandiere Buscetta nel ricercare la causa della definitiva “crisi di valori” che aveva portato alla catastrofe “Cosa Nostra”, la individua in quell’abnorme crescita di ricchezza illecita che era stata innescata dal contrabbando dei primi anni '70, ma era infine “esplosa” - dopo il 1978 - allorquando le principali famiglie avevano cominciato a raffinare la droga.

257 Ed il Buscetta “mafioso di vecchio stampo”, non manca di rammentare, con una sorta di nostalgica malinconia (sic !) quando - durante i loro lunghi giri in auto per le strade di Palermo – don Stefano Bontade (storico esponente delle famiglie “perdenti” della guerra di mafia scatenata dai “corleonesi” nei primi anni ’80) gli spiegava che la grande trasformazione in atto era dovuta ai soldi provenienti dal traffico della droga. In tali occasioni, il Bontade avrebbe concordato con Buscetta nel valutare negativamente quanto accadeva, vedendo anche lui, alla fine del tunnel, la oramai inevitabile rovina di “Cosa Nostra” (o, meglio, della “loro” Cosa Nostra !). In particolare, “don Stefano”, parlando al fidato Masino, avrebbe detto che «all'origine del cambiamento c'era stata l'iniziativa di Nunzio La Mattina, il contrabbandiere della Kalsa che avevamo fatto uomo d'onore per controllarlo da vicino e impedirgli di creare scompiglio con i soldi prodotti dai suoi affari. Quando, un paio di anni prima, si era cominciato ad abbandonare il contrabbando in seguito alle beghe interne sempre più frequenti e all'accresciuta pressione della Guardia di Finanza, La Mattina aveva proposto ai capi di Cosa Nostra di cercare di entrare nel grande traffico degli stupefacenti. Questi ultimi si erano infine convinti a tentare la sorte e avevano investito una certa quantità di capitali nell'affare. Dopo i primi guadagni, avevano reinvestito somme ancora più consistenti, fino a quando i laboratori non avevano prodotto denaro a palate. …

258 …Le esigenze di espandere il traffico avevano costretto molti uomini d'onore a ricorrere a soggetti non mafiosi, a coinvolgere personaggi poco affidabili nelle attività di approvvigionamento della morfina, di trasporto, di confezione, di produzione e di vendita della merce. Gente da poco, abituata alla frode, alla menzogna sistematica, al doppio gioco, che si trovava associata con uomini d'onore in affari lucrosissimi e delicati, dove la fiducia reciproca è fondamentale. Il risultato era la confusione più completa. Gli equivoci e i sospetti erano all'ordine del giorno e si trasferivano nei rapporti interni alle famiglie e tra gli uomini d'onore, avvelenandoli e minando alla base gerarchie consolidate.» Insomma, così Cosa Nostra si sarebbe avviata verso la tragedia della sanguinaria guerra di mafia scatenata e vinta dai “corleonesi” di Riina e Provenzano. Dopo aver riletto degli storici atti di polizia e dopo aver dato “la parola” anche a Tommaso Buscetta, per cercare di integrare il seppur parziale ritratto di colui che è comunque stato uno dei personaggi maggiormente noti della storia criminale e giudiziaria della nostra Repubblica, risulta opportuno ricordare velocemente alcune delle principali tappe della sua vita. Nato il 13 luglio 1928 in una indigente famiglia palermitana (padre vetraio e madre casalinga), ultimo di 17 figli, si sposò a soli sedici anni con Melchiorra Cavallaro, da cui ebbe 4 figli: Felicia, Benedetto, Domenico e Antonio (questi ultimi due saranno vittime della lupara bianca nel corso della guerra di mafia dei primi anni ’80. Durante la sua vita, Buscetta ebbe altre 2 mogli e altri 4 figli.

259 Negli anni della guerra, per far soldi, iniziò una serie di attività illegali, come lo smercio clandestino delle tessere per il razionamento della farina. Questa attività lo rese abbastanza noto a Palermo, dove nonostante la giovanissima età venne soprannominato “don Masino”. A 20 anni entrò nella famiglia mafiosa di Porta Nuova. Al termine della seconda guerra mondiale si recò a Buenos Aires e a Rio de Janeiro, dove aprì una vetreria: gli scarsi risultati economici di tale attività lo indussero, nel 1950, a tornare a Palermo. Qui - negli anni cinquanta - Buscetta si legò al clan di Salvatore La Barbera ed iniziò a dedicarsi al contrabbando del tabacco. Nel marzo del 1958, a Roma, venne arrestato per la prima volta con l'imputazione di associazione per delinquere e contrabbando di sigarette; aveva organizzato una spedizione in Sicilia trattando con Pascal Molinelli (vds. quanto precedentemente detto con riferimento al rapporto firmato dal Comandante del Nucleo Centrale in data 30 dicembre 1958)47. Le sigarette sarebbero dovute arrivare sulle coste palermitane dal porto franco di Tangeri e i suoi soci ne avrebbero curato lo sbarco; ma la Guardia di Finanza aveva scoperto l’operazione e Buscetta e soci vennero arrestati a Roma, a casa di Wanda Persichini (la sua “fidanzata” romana)48. Nel marzo 1959 venne arrestato per la seconda volta, mentre si trovava in Puglia per organizzare – in società con i Giuseppe e

47 Vds già citato foglio n. 25905/D.M. in data 30 dicembre 1958 del “Comando Nucleo Centrale Polizia Tributaria Investigativa”, avente per oggetto “rapporto penale di denuncia a carico di Molinelli Pascal ed altri 36 responsabili di associazione per delinquere e contrabbando pluriaggravato di tabacchi”. 48 Tre anni più tardi il Buscetta venne prosciolto per insufficienza di prove. 260 Vincenzo Savoca – il trasporto di un carico di sigarette dalla Yugoslavia al mercato napoletano (vds. episodio precedentemente riportato sulla base del già citato libro-intervista di Arlacchi)49. La colonna di automezzi che trasportava il carico venne però casualmente intercettata dai carabinieri che ricercavano una banda di stupratori e Buscetta – unitamente ai suoi correi – venne tratto in arresto per contrabbando aggravato50. Allo scoppiare della guerra di mafia dei primi anni ’60 fuggì all’estero; utilizzando false identità (Manuele Lopez Cadena, "Adalberto Barbieri" e Paulo Roberto Felice) si spostò da paese a paese, passando per gli Stati Uniti d'America, il Brasile ed il Messico. Il 2 novembre del 1972, la polizia brasiliana riuscì a mettere le manette ai polsi all'imprendibile mafioso, accusandolo di traffico internazionale di narcotici. Il Brasile non lo processò ma lo spedì a Fiumicino dove lo attendevano altre manette; il 3 dicembre del 1972 si aprì per lui la porta di una cella del terzo braccio del carcere dell'Ucciardone; carcere in cui avrebbe dovuto scontare – a seguito di sentenza del Tribunale di Salerno - una condanna a dieci anni di reclusione (poi ridotti in appello a otto) per traffico di stupefacenti. A dire il vero il Buscetta, in un primo momento, avrebbe dovuto trascorrere in carcere solo tre anni, in quanto alcune delle imputazioni a suo carico erano via via decadute e la condanna ricevuta al

49 “Addio Cosa Nostra - La vita di Tommaso Buscetta” di Pino Arlacchi - RIZZOLI EDITORE – Roma, 21 aprile 1994. 50 Alla fine del 1959, dopo sei mesi di detenzione preventiva, il Buscetta torna in libertà. 261 “processo di Catanzaro”51 era stata ulteriormente ridotta da un'amnistia; in realtà il Buscetta venne colpito da un nuovo atto di accusa, questa volta originato dagli Stati Uniti. L'imputazione consisteva nell'aver trafficato droga assieme a tale Giuseppe Catania che aveva conosciuto in Messico. Il processo a suo carico fu istruito a Salerno; mentre nel processo che si svolse negli Stati Uniti i coimputati di Catania e Buscetta furono assolti, il tribunale di Salerno, per gli stessi fatti, condannò don Masino a dieci anni, ridotti a otto in appello Buscetta, infatti, era stato riconosciuto quale componente di un'organizzazione di narcotraffico internazionale che si appoggiava alla malavita corsa e aveva come scopo l'importazione di droga negli Stati Uniti. Evase dal carcere il 13 febbraio del 1980 e visse sei mesi di latitanza a Palermo. L'8 giugno dello stesso anno, sentendosi in pericolo di vita, scappò di nuovo e si recò in Paraguay e, poi, di nuovo in Brasile. La seconda guerra di mafia e l'ascesa dei corleonesi, schieramento opposto a quello di cui faceva parte Buscetta, portarono allo sterminio della sua famiglia; tra il 1982 e il 1984, su ordine dei capi “corleonesi”, due figli scomparvero per non essere mai più ritrovati e vennero uccisi anche un fratello, un genero, un cognato e 4 nipoti.

51 Storico processo scaturito dalle indagini conseguenti alla “strage di Ciaculli” (località nei dintorni di Palermo in cui, il 30 giugno 1963, a seguito della deflagrazione di una giulietta imbottita di esplosivo, morirono due uomini del genio militare e quattro carabinieri) e conclusosi nel dicembre 1968 con una sentenza da molti indicata come emblematica della bancarotta dell'impegno giudiziario e repressivo degli anni Sessanta. L’esito di tale processo fu infatti di assoluzione per tutte le imputazioni di omicidio e di poche condanne per il reato di associazione per delinquere semplice ad una media di circa quattro anni di carcere, con ulteriori assoluzioni e con pene diminuite ancora di più in Appello. 262 Il 24 ottobre del 1983 venne arrestato dalla polizia brasiliana; a nulla valse un tentativo di corruzione degli agenti operato dallo stesso Buscetta, che venne rinchiuso in prigione. Nel 1984 i giudici Giovanni Falcone e Vincenzo Geraci gli chiesero di collaborare con la giustizia, ma Buscetta inizialmente non ammise nulla. Alla notizia dell'estradizione in Italia, tentò il suicidio ingerendo della stricnina; salvato in extremis e condotto in Italia, cominciò a collaborare con il G.I. Giovanni Falcone, diventando il più famoso “pentito” dei suoi tempi. Dopo avere testimoniato in Italia,venne estradato negli Stati Uniti, dal cui governo aveva ottenuto, in cambio della sua collaborazione contro la presenza mafiosa negli Usa, cittadinanza, nuova identità sotto copertura e protezione per sè e per la sua famiglia. Negli USA eseguì anche molti interventi di plastica facciale per depistare i numerosi killer che gli davano la caccia. Il 2 aprile del 2000, morì a New York per un male incurabile. Tale pur breve e sommario excursus vitae di “don Masino”, ci aiuta a ridimensionare la “maschera” che egli tentò di accreditare fin dall’inizio della sua collaborazione con la Giustizia italiana. Cioè quell’immagine di “uomo d’onore” legato ad “antichi valori mafiosi”, in fin dei conti meritevoli di considerazione (sic !!!), nonché quell’immagine di “rispettabile” (sic !!!) contrabbandiere che non accettava di sporcarsi le mani con quel traffico di stupefacenti che egli poneva alla base del disfacimento morale di “Cosa Nostra”. Al riguardo, per sgomberare il campo da possibili fraintendimenti, non si può non ricordare quanto disse – nel corso di diverse pubbliche

263 dichiarazioni – la professoressa Maria Falcone, sorella del giudice ammazzato dalla mafia il 23 maggio 1992: «Giovanni intuì che Tommaso Buscetta era la chiave con la quale si sarebbe potuta scardinare la società segreta chiamata Cosa Nostra. Era una novità assoluta, ma nonostante ciò ebbe con lui un rapporto molto formale. Non ne divenne mai amico, né indulse a un cameratismo fuori luogo.» La figura che quindi ci sembra emergere con evidenza, è quella di un criminale la cui stessa vicenda umana e giudiziaria è emblematica di come il non essere riusciti a smantellare drasticamente le organizzazioni che sin dall’immediato dopo guerra avevano organizzato e gestito il contrabbando di tabacchi lavorati esteri, abbia di fatto consentito, o quantomeno agevolato, la successiva utilizzazione del know-how e delle strutture organizzative di tale illecito traffico transnazionale per quello, successivamente divenuto predominante, delle sostanze stupefacenti. Insomma, la stessa tormentata vicenda terrena di Tommaso Buscetta può ben rappresentare un monito, per ciascun cittadino di questo nostro stupendo ma talora immotivatamente indulgente Paese, sulla necessità di riflettere su come il confine tra gestione della “borsa nera”, contrabbando, traffico di stupefacenti, omicidi e quant’altro sia storicamente risultato assolutamente inconsistente. Da tutto ciò dovrebbe pertanto scaturire la diffusa consapevolezza di come il tollerare attività illecite apparentemente (ed erroneamente) ritenute “minori”, apra sovente la strada ad ulteriori, devastanti, forme di criminalità. Ai nostri giorni il pensiero non può non andare – ad esempio - ad un fenomeno nei cui confronti il cui comune sentire è tuttora troppo di

264 sovente simile a quello che negli “anni di Buscetta” veniva riservato al contrabbando di sigarette: l’importazione, produzione e commercializzazione di prodotti contraffatti. L’augurio è che, una volta tanto, historia sia effettivamente magistra vitae.

265

Gen. C.A. Francesco D’ISANTO

Le indagini del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria di Roma che originarono il maxiprocesso di Palermo contro la mafia del 1986

Gli avvenimenti che si andranno ad esporre si inquadrano nella particolare situazione che caratterizzava, all’inizio degli anni ’80, la Capitale, turbata da una serie di avvenimenti che avevano scosso l’atavica apatia dei suoi abitanti. Mi riferisco ai sequestri di persona (alcuni dei quali condotti con modalità particolarmente efferate), agli episodi di terrorismo (che avevano versato il sangue di molti servitori dello Stato), alla scoperta dell’esistenza della loggia massonica P2 (alla quale erano risultati appartenere anche alcuni vertici istituzionali).

267 In tale contesto e come risposta al dilagante traffico di eroina, la Guardia di Finanza adottò, nell’ambito del Nucleo Centrale di Polizia Tributaria e con riferimento alle problematiche investigative di ampio respiro, un modello ordinativo che prevedeva la costituzione di un gruppo di sezioni (il I) articolato su due sezioni stupefacenti (una delle quali con competenza nazionale), una sezione criminalità organizzata (con specifiche attribuzioni antiriciclaggio) ed una sezione servizi vari (che, oltre agli specifici compiti nel settore extra-tributario, come si diceva allora, fungeva di “riserva” per specifiche e temporanee esigenze operative). Tale modello ordinativo – attuato con l’immissione nei ranghi del reparto di giovani e brillanti sottufficiali, appena usciti dalla Scuola, che andarono ad affiancare i colleghi più esperti – rese possibile incentrare l’attenzione sulle organizzazioni criminali, oltre che sullo sviluppo investigativo degli elementi acquisiti nel corso dei consistenti sequestri di eroina che venivano effettuati presso l’aeroporto di Fiumicino. La prima di queste strutture criminali che fu posta sotto osservazione fu la “famiglia” De Stefano, di Reggio Calabria, il cui esponente principale (il latitante Paolo) alla fine dell’estate del 1982, individuato in Costa Azzurra, fu arrestato e tradotto in Italia. Nel corso della suddetta attività investigativa, si accertò un collegamento, mai precedentemente rilevato, tra la predetta “’ndrina“ e la mafiosa catanese dei Ferrera-Santapaola, attiva nel traffico di stupefacenti ed emersa, frattanto, in un’altra indagine: la cosiddetta connessione thailandese, ovvero l’approvvigionamento in esclusiva, da parte di un gruppo di malavitosi che controllavano uno dei più

268 popolosi quartieri romani, dell’eroina ”bianca” avente un grado di purezza superiore a quella turca che, fino a qualche tempo prima, era la più diffusa. Gli accertamenti ricevettero un decisivo impulso allorché fu arrestato un cittadino inglese (A.T.) identificato, poi, quale il “controllore” dei carichi di eroina thailandese diretti in Europa occidentale. Questi, convinto dagli inquirenti a collaborare (operazione non semplice perché, al tempo, la normativa “premiale” non si estendeva a quelle specifiche manifestazioni criminali), rafforzò ed ampliò il quadro investigativo già delineatosi e che così poté riassumersi: - punto nodale dell’invio dell’eroina thailandese in Europa era un cinese (K.B.K.), il quale, durante un periodo di detenzione in Italia, aveva conosciuto due personaggi di rilievo appartenenti alla mafia (G.F. e G.M.) nonché un cittadino svizzero di origine turca (P.W.). Quest’ultimo, allora quasi sconosciuto, successivamente fu inquadrato come elemento molto attivo nel rifornimento di morfina base e di eroina turca alle organizzazioni siciliane; - la “cosca” catanese, d’accordo con l’analoga struttura calabrese, aveva sbarcato, sulle coste di quest’ultima regione, ingenti quantitativi di hashish avvalendosi delle collaudate strutture logistiche dei contrabbandieri di t.l.e.; - nei confronti del K.B.K. erano in corso indagini anche da parte della Polizia di Stato (Criminalpol Roma) sotto la direzione dell’Ufficio Istruzione del Tribunale di Palermo, nella persona del dott. Giovanni Falcone. Dopo l’esecuzione dei primi arresti, le indagini proseguirono – di concerto con la Polizia di Stato, ma con autonome iniziative – sotto

269 la direzione di quest’ultima autorità giudiziaria che, da quel momento, subentrò alla Procura della Repubblica di Roma.

Due importanti sequestri di eroina ampliarono l’orizzonte investigativo di questi finanzieri che avevano imparato, da tempo, come tali accadimenti (sempre più frequenti, attesa la consolidata professionalità dei loro colleghi in servizio presso l’aeroporto di Fiumicino che vigilavano sugli arrivi dalle zone sensibili quale era, allora, tra le altre, il sud-est asiatico) erano solo un mero dato statistico se non inseriti in indagini di più ampio vasto raggio:

- il primo, a Fiumicino, nell’ottobre 1982, nei confronti di un giovane palermitano (M. A.), collegato ad un personaggio già oggetto di attenzione (G. M); - il secondo, nel maggio 1983, nel canale di Suez, ove le polizie egiziana e greca sequestrarono, a bordo della m/n Alexandros G., 233 kg. di eroina thailandese ed arrestarono, tra gli altri, un italiano (F. P.). Dagli elementi raccolti emerse un nuovo e più completo quadro investigativo, che così poté riassumersi:

- durante la detenzione in un carcere italiano, i due esponenti della mafia già noti (G. F. e G. M.), associati a due diverse “famiglie”, si erano accordati con K.B.K. e P.W. per gestire, verso l’Italia, il flusso di eroina proveniente, rispettivamente, dalla Thailandia e dalla Turchia; - in tale ambito, il trasporto del quantitativo, poi sequestrato a Suez, era stato organizzato, per conto della mafia, dal più grande contrabbandiere di sigarette attivo nel Mediterraneo occidentale (l’italiano, residente in Svizzera, G.C.), il quale, per la sua attività,

270 aveva collaudati legami nel settore del trasporto via mare, nel quale eccellevano navi e capitani greci; - entrambe le partite di eroina erano destinate in Sicilia, da cui, poi, sarebbero state smistate in Italia e negli USA. Nell’estate 1983, a Bangkok, K.B.K. venne arrestato e tradotto in Italia. Il successivo novembre vennero arrestate numerose persone, alcune delle quali, incluso il citato K.B.K., si convinsero a collaborare con gli inquirenti. Si accertarono, così: - per la prima volta, i legami, tra alcuni esponenti di spicco del contrabbando di t.l.e. e la mafia, che avevano consentito, a quest’ultima organizzazione, di avvalersi, a decorrere dalla fine degli anni ’70, degli sperimentati canali usati per il riciclaggio dei proventi finanziari e per il trasporto, via mare, di ingenti quantitativi di stupefacenti; - gli accordi, risalenti all’inizio del 1982, tra la mafia e la ‘ndrina De Stefano, per sbarcare in Calabria hashish e un quantitativo di fucili automatici (di questa ultima circostanza non fu possibile acquisire obiettivi riscontri); - la sostituzione dell’approvvigionamento di morfina base di provenienza turca, dopo la scoperta delle raffinerie di e di , con quella di provenienza thailandese. La complessa indagine, poi confluita nel cosiddetto maxi processo di Palermo, fu condotta da un limitato numero di ufficiali, sottufficiali, appuntati e finanzieri (i cui nomi sono ben vivi nel ricordo di quanti, all’epoca, seguivano queste vicende) che agivano in quadro giuridico e tecnologico molto diverso da quello attuale. Basti ricordare, ad esempio, che non erano consentite le consegne controllate; che le

271 operazioni “sotto copertura” erano estremamente disagevoli; che era quasi impossibile localizzare le chiamate fatte verso un telefono intercettato; che non era possibile seguire quella che ora viene definita la “sica elettronica” ecc. Mi auguro, a conclusione di questo breve intervento, che la dedizione, il coraggio e lo spirito di sacrificio di coloro che ho ricordato siano di viatico a quanti, oggi, percorrono la stessa via di fedeltà istituzionale, che essi, con la loro meritoria opera, hanno tracciato.

272 Gen. D. Vittorio ALVINO

Un esempio di operazione aeronavale contro il traffico contrabbandiero nelle acque siciliane verso la fine dell'anno 1958

1. Premessa

Verso la fine del 1958 il Servizio Aereo della Guardia di Finanza era un organismo in piena attività ed aveva un notevole grado di efficienza. Quanto sopra malgrado gli aerei ad ala fissa fossero residuati di guerra, abbondantemente superati. Il personale navigante, perfettamente addestrato continuava a preferirli per l’ottima manovrabilità e per la sufficiente autonomia che nel Mediterraneo consentiva di coprire vasti spazi senza necessità di rifornimento52.

52 Il C45 era un aereo di collegamento dalle notevoli prestazioni, quali la facilità di pilotaggio, l’estrema manovrabilità e la relativa autonomia (4 ore). Nato nel 273 Significativi risultati repressivi con la cattura di numerose unità contrabbandiere erano in particolare assicurati dall’efficienza della nostra rete di rilevamento che consentendo precise triangolazioni assicurava agli equipaggi incaricati della ricerca, lo arrivo in tempo reale sul natante da ricercare53. Verso la fine del 1958 peraltro iniziarono a manifestarsi alcune situazioni operative durante le quali si avvertirono alcune discrasie dovute in modo particolare al rilevamento radiogoniometrico delle unità contrabbandiere.

2. Il sistema di rilevamento

Il sistema di rilevamento basato su triangolazione goniometrica e su rilevamento di centri di ascolto non aveva in precedenza causato difficoltà In particolare,anche se con l'utilizzo di sottintesi che era facile interpretare (tengo una colomba che mi sorvola) gli equipaggi contrabbandieri si abbandonavano a continui colloqui con i propri centri di riferimento il che facilitava enormemente l'azione repressiva. Ora verso la fine dell’estate (settembre 1958) accanto ad una regolare e continua comunicazione da parte avversaria si iniziò ad avvertire la mancata individuazione dei natanti rilevati da parte della ricerca aerea. Tipico il caso di una ricerca natanti effettuata da un aereo di Roma un SM 82 richiesto alla Aeronautica per la urgenza del caso con a bordo il ten. Pierpaolo Meccariello quale osservatore.

1938, venti anni dopo era abbondantemente superato tanto da destare la meraviglia degli americani quando lo vedevano volare. La competenza e l’abilità dei nostri specialisti lo ha tenuto in linea per altri dieci anni! 53 La precisione dei nostri rilevatori raggiungeva vertici efficacissimi. Nella ricerca del "Palo Azul" nel marzo 57, giunsi sul natante con tre minuti di anticipo sulla E.T.A. (tempo previsto di arrivo) indicatami dalla Centrale. 274 Dopo lunghe ore di ricerca ad ovest della Sardegna il velivolo rientrò senza aver avvistato nulla il che sembrò talmente strano alla Centrale Operativa che uno degli ufficiali più arguti, il ten. Fulvio Toschi, coniò per il Ten. Meccariello l’appellativo di "cieca di Sorrento!" Venne immediatamente incaricato dello stesso volo il mio velivolo da

Pisa. Rilevo dal mio libretto di volo che partito dall’aeroporto toscano prolungai la missione sino al giorno 11 dello stesso mese con atterraggi ad Alghero e Cagliari, missioni spinte sino ai massimi limiti di autonomia svolte su aderenti indicazioni della Centrale Operativa: risultato completamente negativo il che mi meritò l’analogo appellativo assegnato al Ten. Meccariello. Sempre dal mio libretto di volo rilevo la missione 15-17 settembre, Pisa, Alghero, Pisa. Potrebbe sembrare un volo normale solo che da Alghero volai verso ovest per oltre quattro ore senza avvistare altro che pescherecci e navi mercantili.

3. Nuovi orientamenti di servizio.

Indubbiamente la delineata situazione presentava aspetti nuovi relativamente alle tecniche di impiego delle principali organizzazioni contrabbandiere. Fermo restando che le procedure di partenza dai porti principali del Nord Africa occidentale erano rimaste le stesse, come confermato dagli organi occulti del Corpo ivi ubicati54 risultavano evidenti i seguenti elementi obiettivi di riscontro: • I natanti contrabbandieri non effettuavano le continue trasmissioni in precedenza intercettate;

54 Centri occulti del Corpo, diretti da prestigiosi elementi perfettamente inseriti nell’ambiente consentivano di accertare sia la partenza dei natanti contrabbandieri, sia l’entità del loro carico. 275 • Era pertanto probabile che si servissero di natanti appoggio dalle dimensioni più varie (pescherecci, piccole imbarcazioni, natanti da diporto) i quali provvedevano allo smistamento delle informazioni con le località di sbarco; • Era evidente che almeno per il momento era stata abbandonata l'area ad ovest della Sardegna come confermato dalle recenti infruttuose missioni aeree. Sulla base delle precedenti considerazioni la Centrale Operativa, essendo indisponibile per revisione l'aereo di Palermo, mi ordinò, il 22 settembre, di recarmi in tale località dalla quale, sino al 24, operai nelle acque a Sud della Sicilia con atterraggio anche a Pantelleria. Rilevai, in punti tra loro non contigui, una serie di piccoli natanti sospetti alcuni dei quali catturati a terra con relativi quantitativi di tle. Particolarmente interessante fu l'esame della situazione svolto in una riunione presso la Legione di Palermo, diretta dall’allora Capo dell’Ufficio Operazioni della stessa, Col. Carmelo Brancate, profondo conoscitore della situazione ambientale e dei problemi alla stessa connessi. L'ufficiale evidenziò un avvertito mutamento evolutivo dell’organizzazione mafiosa con sempre maggiori interessi non solo nel controllo del contrabbando di tabacchi lavorati esteri, ma anche a quello molto più pericoloso del traffico internazionale di stupefacenti. Era molto probabile che il nuovo sistema di triangolazione delle comunicazioni tra i natanti contrabbandieri e le località di sbarco si avvalesse delle numerosissime possibilità offerte dalla situazione ambientale siciliana mentre risultava quasi evidente lo spostamento delle correnti di traffico dalla zona nord occidentale alle località adiacenti la Sicilia.

276 Considerazioni perfettamente coincidenti con i nuovi orientamenti della Centrale Operativa del Comando Generale. Evidenzio, dal mio libretto, le seguenti missioni: • dall'11 al 13 ottobre: Pisa-Elmas-Pisa con volo da Elmas al limite dell’autonomia nella zona sud ovest Sardegna, ovest Sicilia; • dal 17 al 22 dicembre: Pisa-Palermo-Catania-Pisa; • dal 21 al 25 gennaio 1959: Pisa-Elmas-Palermo-Pisa; • le notizie raccolte nel corso delle suindicate ricognizioni, pur non avendo portato alla scoperta di natanti contrabbandieri, furono di particolare utilità per lo sviluppo dell’azione di contrasto svolta nel periodo, dai reparti navali e terrestri, della Legione di Palermo. Il 1° febbraio 1959 con la promozione a Capitano, cessava la mia attività di volo. Lo sviluppo degli avvenimenti successivi ha confermato quanto la previsione svolta dal Col. Brancato, fosse valida ed efficace tanto da costituire la base dell’azione di contrasto svolta successivamente dai reparti del Corpo.

277

Gen. D. Giorgio BIANCO

Quando gli “impedimenti” si risolvono in “giovamenti”: il caso del M/P Pietro S.

Considero un privilegio essere l’ultimo a testimoniare su episodi di servizio tanto lontani nel tempo (oltre mezzo secolo!) eppure sempre tanto vicini alla mia mente ed al mio cuore. Preliminarmente ringrazio l’impareggiabile Presidente del Museo Storico, il Gen.C.A. ed amico Luciano Luciani non soltanto per l’onore che ancora una volta ha voluto conferirmi, invitandomi quale correlatore a questi Convegni, ma anche e soprattutto – come ebbi a dire in quel di Bari nel novembre 2007 – per ciò che Egli dona con queste iniziative ai commilitoni in servizio. Dico questo da stagionatissima ma sempre più accesa fiamma gialla.

279 La ricerca di documenti, atteso il lungo tempo trascorso, ha dato risultati molto modesti e pertanto farò capo essenzialmente ai miei ricordi custoditi tra le cose più care ed alla mia memoria. Giunsi a Palermo nel novembre 1956, giovane Tenente al termine della frequenza del corso di Osservazione Aerea presso la Scuola di Aerocooperazione di Guidonia, orgoglioso del conseguimento del relativo brevetto militare ed impaziente di mettermi alla prova. Fui assegnato al locale Nucleo P.T. per lo specifico impiego, Reparto comandato dal Ten. Col. Carmelo Brancato il quale, all’epoca, era anche il Capo della “Camera Operativa”. Il sullodato Ufficiale Superiore, che considero il mio più prezioso maestro di vita e di servizio, dopo la presentazione ebbe l’amabilità di intrattenermi nel suo ufficio per circa un’ora e, tra l’altro, mi rivolse paternamente le seguenti raccomandazioni. “La Sicilia è una realtà difficile e per essere rispettati da tutti, anche dai fuorilegge, è indispensabile attenersi rigidamente a questi principi: 1) prima di chiedere agli altri il rispetto della legge bisogna costantemente dare l’esempio, tra l’altro senza mai abusare del potere; 2) considerare il fuorilegge come l’avversario da neutralizzare e, possibilmente, da recuperare e non come il nemico da annientare; ciò per evitare che da una parte e dall’altra si proceda senza esclusione di mezzi, leciti o illeciti che siano; 3) non fare mai promesse che potrai mantenere soltanto venendo a patti con la tua coscienza di uomo, di cittadino e, soprattutto, di fedele Servitore dello Stato;

280 4) da solo si può fare moltissimo ma sempre meno di quanto si può realizzare in gruppo, a condizione che questo sia “affiatato” ed “autodisciplinato” (la disciplina militare “sana” è volta all’autodisciplina).” All’epoca l’esplorazione aeronavale a largo raggio veniva svolta con aerei dell’Aeronautica Militare del tipo BEECHCRAFT C45, bimotore da ricognizione residuato di guerra, con equipaggio costituito da pilota, motorista, e fotografo dell’Arma Azzurra e Ufficiale Osservatore della Guardia di Finanza, questo responsabile della parte operativa e quindi della condotta della navigazione;

la stessa attività a medio e breve raggio veniva eseguita da elicotteri della Guardia di Finanza, pilotati da personale dell’Aeronautica militare, con a bordo Sottufficiali della Guardia di Finanza addestrati dall’Ufficiale Osservatore e battezzati “Vedette dall’elicottero”.

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Il CA.V. (Centro Addestramento Volo) di Palermo-Boccadifalco disponeva di due C45 tre piloti, due motoristi e due fotografi, mezzi ed equipaggi che generalmente fronteggiavano le esigenze d’Arma al mattino e quelle della Guardia di Finanza nel pomeriggio, lavoro in certo senso massacrante e che costringeva quasi sempre a non osservare rigidamente gli orari di inizio missione talché, al rientro, nel riferire con la prevista, dettagliata relazione di volo al Ten. Col. Brancato c’era sempre la sua affettuosa, ironica “tiratina d’orecchie” all’Ufficiale Osservatore. Ebbene, un giorno di un mese caldo del 1957, venerdì, 17, a seguito di preciso ordine a decollare in orario, l’Ufficiale Osservatore raccomandò per tempo telefonicamente ai componenti dell’equipaggio di essere pronti a decollare per le ore 15.00. Si sale a bordo piuttosto frettolosamente e, nelle operazioni che precedono la messa in moto del velivolo il motorista, nell’azionare l’arricchitore di miscela- in gergo chiamato “cicchetto” –, rompe lo

282 strumento per cui si scende dall’aereo, si fa fronte all’avaria e si decolla già con 15 minuti di ritardo. La missione deve svolgersi a Sud della Sicilia e precisamente tra Malta e Gozo. Si è esattamente al centro dell’isola, al traverso di Monte Cammarata quando il fotografo, Maresciallo Leto, constata di avere dimenticato a terra la macchina fotografica, “strumento” che l’operatore aveva sbarcato al momento della riparazione del “cicchetto” allo scopo di evitare che la temperatura interna dell’aereo a terra danneggiasse la pellicola. (Le macchine fotografiche per lo specifico impiego all’epoca richiedevano particolare cura!). Attesa l’indispensabilità della fotografia in presenza di risultati positivi, si inverte la rotta e si ritorna a Boccadifalco. Il pilota, nell’effettuare la virata base prima dell’atterraggio, nella fretta opera in modo tale da impattare non perfettamente la pista, ragione per la quale scoppia il ruotino di coda. A questo punto, con l’aereo fermo a metà pista, il pilota puntualizza all’Osservatore: “venerdì, 17, cicchetto, macchina fotografica dimenticata, ruotino di coda scoppiato”, dalle 15.30 siamo arrivati alle 16.45, è proprio il caso di non partire. Tuttavia, dopo un rapido scambio di parole conclusosi con il pensiero rivolto alla delusione che sarebbe stata data al Ten. Col. Brancato, si decide di far sostituire il ruotino di coda e di partire per eseguire la missione. Ebbene, era necessario giungere in zona di ricerca con quasi due ore di ritardo giacché il natante-madre (MV IRAZU)

283

ed il motopeschereccio ( Pietro S.),

284 tenuto conto che i rispettivi Comandanti, sapendo che l’aereo, non essendo abilitato al volo notturno, dopo una certa ora sicuramente non poteva essere in zona per rientrare entro le “effemeridi” a Palermo Boccadifalco, furono sorpresi nel mentre effettuavano il trasbordo delle sigarette di contrabbando (in sostanza, normalmente, quando c’era minaccia di sbarco durante la notte, venivano avvistati distanti l’un dall’altro i natanti interessati e ciò determinava l’intensificazione della vigilanza a terra durante la notte). L’aereo, non potendo rientrare a Palermo, effettuò un atterraggio di fortuna a Comiso, all’epoca aeroporto non attivo. Ebbene, per il caso all’esame i servizi informativi fecero poi sapere che il natante madre fece ritorno a Tangeri con l’intero carico di circa 12 tonnellate di t.l.e. mentre il motopeschereccio Pietro S.(S. sta per Savoca, nome illustre all’epoca), riparò a Malta ove sostò per circa una settimana, cambiando il colore delle fiancate e rientrando quindi a Palermo. L’espediente non giovò agli interessati perché, grazie alle fotografie, riportanti anche il numero di matricola del peschereccio e tenuto conto che nelle condizioni di mezzi, di tempo e di luogo il tentativo per l’effettuazione era equiparato alla consumazione, il processo si concluse con la condanna dei responsabili. Di qui le parole pronunziate dal pilota dopo l’operazione: “gli impedimenti talvolta si risolvono in giovamenti”. Questo episodio di servizio lumeggia quanto sia proficuo un forte e quotidianamente alimentato spirito di gruppo, originato dal carisma del Capo.

285 Concludo con una riflessione di valenza permanente: il dopo, per essere veramente proficuo e duraturo, deve essere costruito sulle migliori radici e non sulle macerie o, peggio ancora, sulle ceneri del prima.

286 Gen. C.A. Luciano LUCIANI

CONCLUSIONI

Ci sono diversi modi di trarre le conclusioni di un convegno. Il primo è di riassumere gli interventi dei relatori distribuendo lodi e più raramente dei biasimi. L’ampiezza degli argomenti trattati in questo interessantissimo convegno, in uno con l’autorevolezza, la completezza e la brillantezza delle relazioni, mi impedisce di scegliere questa strada. Esaminerò invece il tema del convegno, impostato, come ho espresso in sede di presentazione, sulla ricerca storica relativa al modus operandi delle agenzie di trasporto dedite ai traffici illegali, come la mafia e le consimili bande criminali per trarre una sintesi di quanto avvenuto nella seconda parte del secolo scorso, che ha visto la saldatura dei sodalizi contrabbandieri con la criminalità organizzata.

287 L’approfondimento dei temi relativi al collegamento tra organizzazioni criminali e contrabbando ormai non appartiene più alla cronaca giudiziaria, ma soltanto alla ricerca storica. Questa era la finalità del convegno che ora si conclude con piena soddisfazione degli organizzatori e, spero, di coloro che l’hanno seguito. Le relazioni, tutte brillanti ed esaustive, hanno evidenziato come il fenomeno del contrabbando sia stato largamente sottovalutato dalle Istituzioni e dall’opinione pubblica, ma non dalle associazioni criminali, che di questa forma di evasione fiscale hanno subito colto le potenzialità in termini di facile conseguimento di utili elevati, che puntualmente hanno consentito a mafia, camorra, n’dragheta e sacra corona unita un salto di qualità che da fenomeno criminale regionale le hanno trasformate in potenti organizzazioni a livello nazionale e internazionale, grazie alla disponibilità di elevate disponibilità finanziaria. L’azione di servizio della Guardia di finanza e le indagini giudiziarie hanno confermato l’esistenza di un collegamento organico fra contrabbando e organizzazioni criminali di tipo mafioso. Gli interessi connessi con l’illecito traffico hanno indotto la criminalità organizzata ad inserirsi sempre più nel fenomeno, controllando i territori ove esso risulta facilitato dalla conformazione topografica. Contrabbando e criminalità organizzata sono risultati legati da reciproci e organici collegamenti, il più delle volte diretti, quando l’organizzazione e la condotta di entrambe le attività si fondono integralmente; talora indiretti, attraverso la sovrapposizione o

288 l’affiancamento di una serie di attività illegali (stupefacenti, migrazione clandestina, armi) ai tipici canali finanziari e geografici utilizzati e percorsi dal contrabbando; infine con un “protettorato mafioso”, tipico dell’ambiente campano e pugliese, che consente alle associazioni contrabbandiere, previo pagamenti di tangenti, di operare sul territorio controllato dalla criminalità organizzata. Le organizzazioni che un tempo si limitavano al contrabbando, oggi costituiscono una vera e propria holding del crimine, con collegamenti sempre più stretti con mafia ed organizzazioni similari e sempre più di frequente con i gruppi eversivi e terroristici. L’efficienza e l’affidabilità delle organizzazioni contrabbandiere è tale – essendo collaudata da tempo- da aver indotto i trafficanti di narcotici a ricorrere a queste complesse strutture per il trasporto, via mare, ed il recapito fino ai mercati di consumo delle sostanze stupefacenti. Emblematiche sono le risultanze delle indagini giudiziarie che hanno rilevato un filo diretto tra mafia e organizzazioni contrabbandiere del golfo di Napoli. In contrasto con la convinzione di molti, è stato dimostrato come da tempi ormai lontani le due strutture criminali abbiano trovato un punto di incontro, orientando la propria attività per ottenere un unico risultato, offrendo gli uni un flusso inarrestabile di sostanze stupefacenti dal medio e dall’estremo Oriente e gli altri la manovalanza sulle navi adibite al trasporto, ed a terra per lo sbarco e lo smistamento nei depositi. Fin dagli anni ’50 del secolo scorso la criminalità si era impadronita di questo enorme traffico, come dimostrato, dal coinvolgimento di

289 Tommaso Buscetta in un processo per contrabbando di sigarette a Bari, nel 1951. Ma la vera esplosione del fenomeno si registrò negli anni ’70, quando spadroneggiavano famosi contrabbandieri come Nunzio La Mattina, Tommaso Spadaro e Michele Zaza. Cosa Nostra aveva compreso le enormi potenzialità del mercato illegale, affrettandosi ad aggregare all’organizzazione, come “uomini d’onore” i predetti, con il pretesto di voler appianare i contrasti in atto tra le varie organizzazioni contrabbandiere. Peraltro il contrabbando di tabacchi non è mai stato un illecito di scarsa importanza per la collettività e lesivo soltanto di un interesse finanziario dello Stato, come da più parti si sosteneva: ha sempre costituito un rilevante business che ha consentito alla criminalità organizzata di acquisire ingenti mezzi finanziari e quindi crescere in potenza e pericolosità, ma è stato anche il primo fattore di disgregazione nell’assetto tradizionale di Cosa Nostra. La mafia, infatti, allo scopo di assumere il controllo e la direzione dell’intero traffico di tabacchi, non disdegnò di reclutare come uomini d’onore semplici contrabbandieri di sigarette, l’unico merito dei quali era quello di essere esperti del settore, a prescindere dal possesso dei requisiti che , di norma, venivano pretesi dagli aspiranti mafiosi. I contrabbandieri mafiosi, infatti, infransero la prassi invalsa nell’associazionismo tra criminali di una rigida suddivisione tra “famiglie”, essendo sempre più necessario il ricorso, per le dimensioni del traffico, a manovalanza esterna poco affidabile e svincolata da quei doveri di solidarietà e riservatezza ai quali erano tenuti gli “uomini d’onore”.

290 Questi fattori di inquinamento si manifestarono ulteriormente con il coinvolgimento nel traffico di stupefacenti e per conseguenza le strutture di Cosa Nostra divennero, negli anni ’80 e ’90 del secolo scorso, mero simulacro formale di ratifica e di sostegno del gruppo dei Corleonesi. Che il contrabbando di sigarette fosse un reato sottovalutato dall’opinione pubblica viene confermato dalle dichiarazioni rese nei processi loro intentati da alcuni capomafia: Tommaso Spadaro si proclamò in un processo innanzi al Tribunale di Firenze l’“Agnelli del contrabbando”, Michele Zaza al Tribunale di Roma si vantò di essere “il re del contrabbando” e Giuseppe Ferrera riferì al Tribunale di Palermo di essere un “vecchio contrabbandiere”. Con siffatte affermazioni, tutti ritenevano di allontanare responsabilità ben più gravi, quali quella di appartenere ad associazioni mafiose, senza tener conto però che già allora era provata la gestione del contrabbando da parte della criminalità organizzata. Subito dopo la II Guerra Mondiale, la città libera di Tangeri, in Marocco era la base di partenza per ogni operazione di contrabbando nel Mediterraneo. Qui chiunque poteva entrare senza passaporto e senza obbligo di dichiarazione per le merci al seguito. I tabacchi vi provenivano da Gibilterra, da Nizza ed, in particolare da Marsiglia, sede di clan malavitosi che dirigevano gli illeciti traffici in tutto il sud Europa. La mafia, fiutate le prospettive del business, si inserì nel mercato progressivamente cercando sempre la cooperazione con i marsigliesi e con il loro capo, Vincent Molinelli. Protagonista di questa prima fase,

291 che coprì tutti gli anni cinquanta del XX secolo fu Pietro Davi, di Palermo, detto “Jimmy l’americano” che si impose come principale interlocutore per il mercato italiano. Tra i collaboratori di Davi troviamo alcuni mafiosi emergenti tra i quali Tommaso Buscetta, Vincenzo Spadaro e Salvatore Adelfio. Il porto franco di Tangeri cessò di operare nel 1961 per effetto dell’annessione della città al Marocco. Allora le famiglie mafiose siciliane avevano già accumulato capitali così consistenti da consentire loro il controllo dei nuovi depositi ubicati sulle coste orientali dell’Adriatico e di monopolizzare il contrabbando si sigarette verso l’Italia. Sono di questo periodo gli accordi con gli esponenti della camorra napoletana Ciro Mazzarella, Michele Zaza e Antonio Schiavone, che venivano affiliati a Cosa nostra dal capomafia Michele Greco. Gli anni settanta furono l’epoca d’oro del contrabbando in Italia meridionale. In quel tempo spadroneggiavano, oltre ai citati Greco, Buscetta e Spadaro, i capomafia Bontade e Badalamenti, Nunzio La Mattina, Pino Savoca. Essi godevano nella malavita riverenza e rispetto per la loro competenza e soprattutto per l’acquisito potere economico. Un ruolo importante assunsero in quell’epoca le cosche mafiose della Sicilia orientale, fin dall’ottocento importante area per i traffici contrabbandieri provenienti da Malta. Qui il contrabbando veniva gestito dal clan facente capo a Giuseppe Calderone, e dall’astro emergente, Nitto Santapaola alleato dei corleonesi. La diffusione del contrabbando in seno a Cosa Nostra ebbe anche l’importante effetto di far entrare la mafia nei grandi circuiti finanziari

292 internazionali. Nel processo Spatola, un mafioso giudicato alla fine degli anni ’70, fu individuato un canale attraverso il quale fluiva un ingente flusso di denaro, ricollegabile al riciclaggio dei proventi del contrabbando di tabacchi effettuato da organizzazioni italo-elvetiche. Il contrabbando favorì anche la saldatura tra mafia e camorra napoletana ed in particolare tra i clan Nuvoletta, Zaza e Bardellino ed i capo-cosca Michele Greco, Badalamenti e Bontade, consentendo a questi ultimi di entrare in forze nel traffico di sigarette e quello internazionale di stupefacenti perpetrato nel Golfo di Napoli negli anni ’80 del XX secolo. Quando gli sbarchi di sigarette a Napoli furono resi impossibili dalla Guardia di finanza che, grazie all’istituto della “presenza costruttiva”, riusciva a catturare le grosse navi stazionanti fuori dalle acque territoriali dalle quali i motoscafi blu si rifornivano di sigarette da portare a terra, le organizzazioni contrabbandiere si trasferirono in Puglia, ove in relazione alle diverse situazione geografica era possibile alle piccole imbarcazioni veloci rifugiarsi direttamente sulla opposta sponda dell’Adriatico albanese o montenegrina. Qui, però, i napoletani ed i siciliani trovarono ben radicata nel territorio la “Sacra corona unita” che in un primo tempo si inserì nel traffico con proprie squadre di affiliati e successivamente ne assunse il controllo monopolistico in sostituzione dell’attività delle altre organizzazioni, imponendo una tangente sulle merci sbarcate sulle coste di sua pertinenza e contrastando l’espansionismo dei contrabbandieri campani. Come ho detto in sede di presentazione del convegno, queste due giornate di studi avevano lo scopo di rievocare fatti storici riguardanti

293 il contrabbando, un fenomeno lungamente sottovalutato dall’opinione pubblica e dalle Istituzioni, ma non dalle organizzazioni criminali che con gli ingenti proventi dell’illecito traffico hanno accumulato i capitali che hanno consentito loro di consolidarsi ed affermarsi quali entità potenti anche sul piano finanziario. Il ricordare la storia non è sterile esercizio. E’ utile e anche indispensabile per evitare che errori e sottovalutazioni di pericolosità di fenomeni criminali abbiano a ripetersi. Ritengo che quanto emerso dalle relazione di questo convegno e dei precedenti con lo stesso tema abbia corrisposto efficacemente alle finalità che gli organizzatori si erano proposti.

La Prof.ssa Maria Falcone sorella del Magistrato e Presidente della Fondazione Giovanni e Francesca Falcone ripresa tra il Gen.C.A. Luciano Luciani (a destra), Presidente del Museo Storico del Corpo, e il Cap. Gerardo Severino, Direttore dell’Ente.

294

APPENDICE

295

Col. Carmelo BRANCATO

Guerra al contrabbando in Sicilia

(Tratto dalla Rivista della Guardia di Finanza, anno VI n.4, luglio-agosto 1957, pag. 451)

Lineamenti del conflitto

Il tema che ci proponiamo di svolgere abbraccia tutto il ciclo di quella vasta azione anticontrabbando che i mezzi aeronavali della Guardia di Finanza stanno conducendo da alcuni anni a questa parte, ininterrottamente, contro il naviglio corsaro nel Mediterraneo. Il teatro delle operazioni di cui stiamo per occuparci comprende diverse zone del Tirreno, del Canale di Sicilia, dello Jonio e dell'Adriatico. Più particolarmente, in questa breve trattazione, vogliamo riferirci agli avvenimenti che si sono verificati nei mari della Sicilia dove più duramente si è aperta la lotta e dove, per la caparbietà e per l'audacia con cui si è impegnato, il naviglio della centrale di Tangeri ha subito perdite rilevanti. L'accanimento dimostrato dai contrabbandieri nell'intento di non perdere la clientela siciliana trova spiegabile ragione nei larghi margini di utile che il traffico delle sigarette offre agli imprenditori, in misura tale da coprire i grossi rischi rappresentati dalla cattura dei mezzi in mare o dai sequestri a terra di considerevoli partite di prodotti. Tuttavia ciò ha un limite di tollerabilità, oltre il quale i danni finirebbero con il togliere ogni ulteriore incentivo alla speculazione. Le graduali ed intense azioni repressive condotte dalla Guardia di Finanza inizialmente nelle campagne della fascia costiera palermitana e successivamente in mare, con il decisivo apporto della cooperazione dei mezzi aerei, hanno inflitto alle organizzazioni contrabbandiere

297 danni così ingenti da superare abbondantemente il limite massimo dei rischi e da indurre le correnti del traffico corsaro a trascurare i mercati siciliani. Le perdite delle imprese dedite al contrabbando nello scacchiere della Sicilia, nel recente periodo, si possono così riassumere:

— 8 natanti esteri catturati (Monte Carmelo - Tulyar - Suresh - Padma -Romos - Sito - Sleek - M.F.V.1); — 2 natanti esteri naufragati (Donna Betta, incendiatasi nella zona delle Egadi dopo che si era sottratta all'inseguimento delle nostre unità, e Tai-Fun, affondato nella tempesta);

— 14 motopescherecci e motobarche sequestrati (Luigi S. - Michelangelo - Elisabetta Morana - Bruna - Cittadina - Piedigrotta - Torino - Graziosa - Serafina - S. Antonio C. - S. Giuseppe Giacomo - Vincenzo Bellini - S. Nicolò Vito - Pino Nicolò);

— 130 tonnellate di sigarette complessivamente sequestrate, di cui 68 tonnellate a bordo di natanti catturati e 62 tonnellate nelle operazioni terrestri antisbarco o nella fase di trasporto e di deposito;

— 37 automezzi (da trasporto ed autovetture) sequestrati; — 414 tra organizzatori ed esecutori di primo piano delle diverse organizzazioni denunziati all'Autorità Giudiziaria, compresi i membri degli equipaggi ed i proprietari dei natanti stranieri e nazionali catturati.

La valutazione in moneta del complesso dei materiali dianzi elencato fa ascendere a circa un miliardo e mezzo i danni patrimoniali veri e propri, senza considerare l'onere delle ingenti spese processuali che

298 hanno finito col depauperare, irrimediabilmente, i mezzi finanziari destinati ad alimentare l'illecito traffico. Nella citata valutazione non sono compresi i risultati della repressione del contrabbando spicciolo, quello cioè che dà luogo alla minuta vendita rionale delle sigarette. Sono state direttamente colpite alcune migliaia di piccoli trafficanti marginali. I graduali incrementi che il Monopolio dei tabacchi ha tratto in Palermo dalla vendita dei prodotti nazionali hanno raggiunto, nel 1957, punte massime del 100% -in peso- rispetto agli anni precedenti. Riteniamo quindi di poter affermare che le operazioni della scorsa primavera (cattura del «S. Nicolò Vito», dell'«M.F.V. 1» e del «Pino Nicolò») e le riuscite operazioni di Pozzillo e di Gela, abbiano finito col dare un colpo decisivo ad una tra le più tenaci ed irriducibili correnti del contrabbando nel Mediterraneo. Gli stessi contrabbandieri locali, che ancora ieri battevano i nostri mari con carichi ingenti, non hanno potuto nascondere una certa stanchezza e manifestano la convinzione che non sarà possibile resistere a lungo con successo alla pressione che i reparti terrestri ed i mezzi aeronavali della Guardia di Finanza sono ormai in grado di esercitare dovunque. Bisogna, è vero, considerare gli avvenimenti con prudenza, poiché non si può prevedere se e quali contromisure saranno escogitate dagli organizzatori degli illeciti traffici per riconquistare l'iniziativa; ma è comunque fuor dì dubbio che siamo in presenza di risultati fondamentali in tema di repressione del fenomeno contrabbandiero. L'opera della Guardia di Finanza apparirà poi in tutto il suo valore se ai risultati tangibili si aggiungono quelli invisibili e non valutabili, ma

299 certamente grandiosi, arrecati dal conseguimento dei compiti preventivi affidati al nostro servizio d'istituto, troppo spesso ignorati non soltanto dal grosso pubblico, ma anche da improvvisati «ragionieri» che relegano sic et simpliciter il rendimento della Guardia in un empirico computo di entrata ed uscita per il bilancio dello Stato. È proprio in questo calcolo, nel quale, ovviamente, la voce entrata è costituita soltanto dal valore della merce e dei natanti o mezzi di trasporto sequestrati, che dovrebbe essere incluso con tutto il suo peso l'elevatissimo apporto della vigilanza come prevenzione del reato fiscale.

Nuovi mezzi e nuove facoltà

Abbiamo accennato al decisivo apporto della cooperazione aerea, i cui mezzi (apparecchi da ricognizione ad ala fissa ed elicotteri) hanno potuto assicurare due ordini di attività di capitale importanza: a) ricerca, avvistamento, identificazione, localizzazione e tallonamento dei natanti contrabbandieri in alto mare; b) cooperazione attiva con le unità del Naviglio per l'immediato intervento operativo a coronamento del servizio di vigilanza.

Le azioni della «fase a)» costringono le navi contrabbandiere ad una snervante e costosa mobilità da un mare all'altro, obbligandole a tenersi molto al largo dalle coste e riducendole spesso a corto di viveri e di carburanti. Ciò impone alle navi stesse lunghe ed inoperose crociere, logoranti pendolamenti che vanno oltre i limiti di tempo al di là dei quali l'impresa diventa almeno antieconomica. Si considerino, ad esempio, i rischi di naufragio (caso «Tai-Fun») e talvolta l'eventualità del ritorno alle basi (Tangeri, Gibilterra, Malta)

300 senza che si sia potuta effettuare in tutto o in parte la consegna del carico. Le azioni della « fase b)», quelle propriamente repressive, altro non sono che il logico, razionale, tempestivo sfruttamento delle prime, allorché il comandante delle operazioni, avendo valutato la situazione e, nel frattempo, opportunamente manovrato e dislocato i mezzi, ritiene che sia giunto il momento di stringere. L'azione si esplica allora improvvisa e nella zona di mare in cui il natante estero sta per iniziare il trasbordo del carico di sigarette su imbarcazioni nazionali convergono con la massima rapidità possibile i mezzi navali destinati a concludere l'episodio, preceduti, guidati ed assistiti dai velivoli, in genere elicotteri. È qui che si attua la parte più redditizia della cooperazione nave- velivolo, ma i presupposti del successo sono stati creati durante la prima fase. Certo si è che l'avvento dell'elemento aereo ha colmato vuoti molto spesso lamentati in passato, fornendo informazioni, indicazioni e suggerimenti di decisiva importanza e mettendo la complessa macchina repressiva in grado di muoversi con tempestività ed a ragion veduta. Non sembra vano, a dare un'idea dell'utilità dianzi accennata, esporre alcuni dati riassuntivi del lavoro compiuto dai mezzi aerei del Corpo nello scacchiere in argomento: — aeroplani: dal mese di luglio 1955 al mese di agosto 1957: 137 ricognizioni positive, con il 47 per cento di avvistamenti utili;

— elicotteri: dal mese di luglio 1956 al mese di agosto 1957: 50 missioni positive, con il 26 per cento di avvistamenti utili.

301 Si deve considerare che l'impiego degli elicotteri ha carattere prevalentemente repressivo, come per inciso abbiamo anticipato poco fa, e più specificamente avviene quando sta per svilupparsi l'azione delle unità veloci del Naviglio contro le navi contrabbandiere già avvistate, cioè proprio nella fase in esame. È nel corso di questa che i due scopi (preventivo e repressivo) del nostro servizio vengono a collimare nel perseguimento d'un risultato concreto: guidati da un'unica volontà, personale e mezzi all'uno ed all'altro scopo assegnati si apprestano ad aprirsi la via verso un tangibile successo. L'operazione, normalmente, è diretta a realizzare la cattura dei natanti nazionali (per lo più motopescherecci o motobarche); questi, in virtù della Legge 13 dicembre 1956, n. 1409, sono ora giuridicamente perseguibili anche in alto mare, vale a dire oltre i limiti della zona di vigilanza doganale marittima che si estende, com'è noto, per 12 miglia dalle coste.

Sempre in questa fase, il natante nazionale può essere inseguito e catturato purché nel frattempo non riesca a rifugiarsi in zone territoriali soggette alla sovranità di altri Stati. Una simile eventualità può verificarsi in specchi d'acqua prossimi alla riviera francese, alla Corsica, alla Tunisia, a Malta oppure in Adriatico.

Prima della Legge 13 dicembre 1956 suaccennata, bisognava invece organizzare l'operazione in modo tale che i mezzi aeronavali fossero lanciati allorché la nave nazionale si fosse venuta a trovare entro le 12 miglia della zona dì vigilanza doganale marittima, pena il certo insuccesso. Tale situazione, in pratica, si verificava quasi sempre di notte, anzi tutta l'abilità dei contrabbandieri e l'efficienza della loro

302 organizzazione miravano proprio al risultato di coprire con le ombre notturne le fasi della navigazione del carico in zona di vigilanza e del suo sbarco in costa. Il felice esito delle operazioni intraprese dipendeva dunque non solo -e neppure in prevalenza- dal meccanismo aeronavale pronto a scattare al momento e nella direzione voluta, sibbene dal complesso di elementi disparati che davano al comandante la possibilità di individuare la rotta ed i punti di sbarco entro i quali le unità del Naviglio e le pattuglie mobili a terra avrebbero potuto colpire l'avversario in situazione illegale e catturarlo.

I fattori caso, fortuna ed imponderabile intuizione giocavano un ruolo talvolta decisivo.

Infatti, dei 14 motopescherecci nazionali bloccati nelle acque intorno alla Sicilia, solo due («S. Nicolò Vito» e «Pino Nicolò») sono stati perseguiti m alto mare in virtù della ripetuta legge 13 dicembre 1956, mentre tutti gli altri furono attaccati e presi entro le rituali 12 miglia dalla costa. Le azioni contro il «Pino Nicolò», il «S. Nicolò Vito», il «Vincenzo Bellini», il «Serafina», il «S. Giuseppe Giacomo» e il «Cittadina» furono condotte a buon fine con la cooperazione aeronavale. Pertanto, la nuova legge, che si ispira alla norma del nostro ordinamento giuridico (articolo 4 del Codice Penale) secondo cui la nave è considerata territorio dello Stato ovunque si trovi, salvo che sia soggetta per il diritto internazionale ad una legge territoriale straniera, ha fornito lo strumento adatto a colpire già in alto mare i natanti nazionali più largamente usati nel traffico del contrabbando in dipendenza delle loro caratteristiche di manovrabilità e di costo relativamente basso.

303 La legge li ha tassativamente determinati sotto la specificazione di: «navi nazionali di stazza netta non superiore alle 200 tonnellate». Evidentemente, il legislatore ha scartato l'ipotesi che navi di maggiore portata, e quindi di notevole valore, vengano impiegate nella perpetrazione del contrabbando. In effetti, finora, i natanti contrabbandieri nazionali catturati non hanno mai superato la stazza dei comuni motopescherecci e sarebbe invero antieconomico per associazioni anche potenti esporre al rischio della confisca natanti di maggiore tonnellaggio, il cui costo raggiunge facilmente cifre altissime. La legge ha quindi considerato con giusta misura tale requisito, uniformandosi del resto al contenuto degli articoli 36 e 99, lettera c), della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, relativamente alle facoltà concesse alla Guardia di Finanza nella zona di vigilanza doganale marittima di salire a bordo delle navi di stazza netta non superiore a 200 tonnellate per farsi esibire dal capitano il manifesto e gli altri documenti del carico, ed all’ipotesi di contrabbando formale posta a carico del capitano che trasporti senza manifesto merci estere con nave di stazza netta non superiore a 200 tonnellate. Sono appunto tali disposizioni che la nuova legge 13 dicembre 1956, n. 1409, allo scopo di infrenare il contrabbando dei tabacchi, ha voluto rendere operanti anche in alto mare, in omaggio al principio sancito dal nostro ordinamento giuridico sulla territorialità dei natanti nazionali e sul legittimo esercizio della sovranità dello Stato nei confronti dei natanti stessi che ne battono la bandiera. La legittimità di azioni coercitive sui natanti nazionali contrabbandieri in alto mare era stata del resto pacificamente accolta in passato, talché

304 la Corte di Appello di Napoli (Sezione VI - 29 dicembre 1955 – Presidente Mazzocco - P. M. Conti - procedimento «Tre Bambù») aveva avuto occasione di affermare che «commette contrabbando una motobarca italiana la quale, ricevuto a bordo da una nave straniera un carico di sigarette estere, si diriga verso la costa e venga sorpresa al di fuori della zona di mare sottoposta a vigilanza doganale; nessuna rilevanza ha il fatto che il trasbordo sia avvenuto al di fuori di detta zona, essendosi l'azione compiuta su nave italiana e quindi su territorio italiano». Vi è di più: la Corte di Cassazione, in una lontana decisione ( 11 ottobre 1887, Corte Suprema 1887-727) ritenne che «nel caso di trasbordo a scopo di contrabbando di merce estera da una nave su barche, quando anche il trasbordo avvenga oltre la zona di vigilanza doganale marittima, è reo di contrabbando il capitano della nave ed è confiscabile la nave stessa». La Corte di Appello di Napoli aggiungeva che « le critiche rivolte alla citata decisione del 1887, nel senso che sarebbe incriminabile soltanto la nave italiana in base all'articolo 4 del Codice Penale e non anche la nave straniera, dimenticano che, in caso di trasbordo da una nave all'altra, si e in presenza di un reato concorsuale per il quale e applicabile l'articolo 6 del Codice Penale, onde, essendosi compiuta l'azione, anche soltanto in parte, su nave italiana, del reato rispondono tutti, anche i concorrenti che hanno agito esclusivamente all'estero». Ma tratteremo più oltre la parte che riguarda le azioni coercitive esercitate sui natanti esteri catturati nei mari della Sicilia, in base al « diritto di inseguimento » già universalmente accolto e recentemente

305 formulato nel rapporto della Vili Sessione della Commissione di Diritto Internazionale delle Nazioni Unite a Ginevra. Per finire gli argomenti trattati dalla Legge 13 dicembre 1956, n. 1409 sotto il titolo «Norme per la vigilanza marittima ai fini della repressione del contrabbando dei tabacchi», notiamo che l'efficacia della legge riguarda solamente le navi nazionali di stazza netta non superiore alle 200 tonnellate che trasportino tabacchi ed i cui capitani hanno l'obbligo, in tal caso, di essere muniti del manifesto di carico anche fuori della zona di vigilanza doganale marittima. Per il controllo in alto mare sull'osservanza di tale obbligo, sono attribuite ai militari della Guardia di Finanza le stesse facoltà loro conferite per l'accesso a bordo dalla legge doganale nell'ambito della zona di vigilanza doganale marittima. La Legge prevede infine le altre sanzioni del Codice della Navigazione a carico del capitano che non obbedisca alla intimazione di fermo delle nostre unità del Naviglio o che commetta atti di resistenza o di violenza contro le unità stesse. Con separato provvedimento, sarà disciplinato l'uso delle armi in alto mare nei confronti delle navi nazionali di stazza netta non superiore alle 200 tonnellate e nei casi che saranno contemplati dal provvedimento stesso. Nessuna norma vi è nella legge circa la competenza per territorio dell'organo giurisdizionale (Tribunale) chiamato a decidere sui delitti di contrabbando accertati in alto mare. A noi sembra che tanto il criterio delle coordinate geografiche passanti per il punto di cattura, quanto quello della sede della Dogana presso

306 cui viene scortata la nave per i definitivi accertamenti, siano ugualmente idonei a stabilire il Tribunale competente per territorio. Le Magistrature di Palermo e di Agrigento, che hanno trattato numerosi procedimenti a carico di natanti contrabbandieri, hanno finora pacificamente accolto l'uno e l'altro dei due criteri.

Il problema dei natanti stranieri

Vogliamo ora addentrarci nella parte riguardante gli otto natanti stranieri catturati nelle acque siciliane, di cui sette in conseguenza di avvistamento entro la zona di vigilanza doganale marittima e successivo ininterrotto inseguimento ed uno — il «Sito» — avvistato a 26 miglia e catturato a 36 miglia dalle coste, dopo che aveva consegnato un carico di 300 casse di sigarette ad un motopeschereccio (il «S. Giuseppe Giacomo»), pure catturato. Le azioni contro l'«M.F.V.1», lo «Sleek» ed il «Sito» furono realizzate coti la cooperazione aeronavale, mentre quelle contro il «Monte Carmelo», il «Tulyar», il «Suresh», il «Padma» ed il «Romos», erano state condotte a termine precedentemente con il solo impiego di normali motovedette del tipo canadese. Sul «diritto di inseguimento» (in base al quale sono state condotte le operazioni di cattura delle navi «Monte Carmelo», «Tulyar», «Suresh», a «Padma», «Romos», «Sleek» ed «M.F.V. 1»), vogliamo riportare qui appresso lo stralcio di una recente sentenza della Suprema Corte (19 settembre 1956 - Avv. Gen. Faccini - Procedimento a carico di Archibald Mc Sporran ed altri) la quale in forma più ampia e definitiva non fa che riconfermare quanto già in

307 precedenza la stessa Suprema Corte aveva avuto occasione di decidere: «Il mare, secondo l'ordinamento giuridico internazionale, tranne che in quelle parti che appartengono ai singoli Stati, è una "res communis omnium", ossia una "res" inappropriabile, in quanto è in condizioni di libertà. Ne consegue che le navi in alto mare sono sottoposte alla potestà dei singoli Stati cui appartengono ed il trovarsi a bordo di una nave in tali acque equivale a trovarsi nel territorio dello Stato del quale la nave ha la bandiera. La potestà di compiere atti di polizia in alto mare, su navi straniere, mediante l'esercizio dei così detti diritti di arresto, di inchiesta di bandiera, di ispezione e di sequestro, può aver luogo solo in forza di speciali accordi, che sono indice di una pia marcata evoluzione del cennato principio di libertà verso forme di cooperazione degli Stati per una concordata e disciplinata utilizzazione delle acque marine. Ora, a prescindere da questi casi regolati da specifiche intese, "una sola eccezione" al principio di libertà è ammessa, in tempo di pace, dal diritto internazionale consuetudinario, cui automaticamente si adegua l’ordinamento italiano (art. 10 della Costituzione), ed e quella dell’inseguimento oltre le acque territoriali di navi straniere che, stando in tali acque, si siano rese colpevoli di atti contro il potere dello Stato rivierasco. Ed in applicazione di tale regola e opportuno ricordare che, proprio con riguardo al contrabbando, questa Suprema Corte ebbe a ritenere commesso nel territorio dello Stato tale reato, allorché la nave contrabbandiera sia stata avvistata nel limite di dodici miglia previsto per la zona di vigilanza doganale -zona da intendersi nel significato di mare territoriale- anche se la nave sia poi fermata in

308 alto mare (Cassazione 2 novembre 1953 e Cassazione 28 ottobre 1953)». La citata sentenza (che e del settembre 1956) appare ispirata al contenuto del rapporto dell'VIII Sessione della Commissione di Diritto Internazionale di Ginevra (del luglio 1956), che all'articolo 47 così si esprime:

«1) - L'inseguimento di una nave straniera può essere intrapreso quando le competenti autorità dello Stato costiero hanno buone ragioni di credere che la nave ha violato le leggi ed i regolamenti di quello Stato. Tale inseguimento può avvenire quando la nave straniera si trova entro le acque interne o entro il mare territoriale dello Stato che esercita l'inseguimento e può essere continuato al di fuori delle acque territoriali soltanto se l'inseguimento non è stato interrotto... Se la nave straniera si trova in una zona contigua (lo è per noi, ad esempio, quella compresa tra il margine esterno delle acque territoriali -6 miglia- ed il limite delle 12 miglia della zona di vigilanza doganale marittima) l'inseguimento può essere intrapreso soltanto se vi è già stata violazione dei diritti, a protezione dei quali la detta zona è stata stabilita». A tale concetto di Ginevra risponde infatti l'affermazione della nostra Suprema Corte nel senso di considerare la zona di vigilanza doganale marittima (istituita in funzione anticontrabbando) nel significato di mare territoriale.

«2) - Il diritto di inseguimento cessa non appena la nave inseguita entra nelle acque territoriali del proprio paese o di un terzo stato». Il rapporto di Ginevra contempla anche le altre norme sull'accertamento del punto di avvistamento della nave entro i limiti

309 delle acque territoriali o della zona contigua, ed inoltre le modalità dell’intimazione del fermo. Il progetto di Ginevra non esclude infine l'impiego dei mezzi aerei nell'esercizio del diritto di inseguimento sotto condizione dell’assoluta continuità dell'azione che va dall'avvistamento all'inseguimento, previa intimazione del fermo, fino alla cattura. Mezzi aerei e navali possono alternarsi nell'azione, sempreché i primi siano in grado di fare intervenire quelli navali senza che l'inseguimento subisca interruzioni. Gli elementi fondamentali perché sia legittima l'azione coercitiva contro una nave straniera sono pertanto: a) la determinazione del punto di avvistamento della nave entro le 12 miglia della zona di vigilanza doganale marittima; b) la constatazione che la nave abbia compiuto atti idonei univocamente diretti a commettere il contrabbando; c) l'intimazione di fermo mediante l'apposito segnale del codice internazionale o con altri mezzi idonei; d) la determinazione del punto di cattura.

Di tutti gli elementi di cui sopra, quelli che sono stati più vivamente contestati dalla difesa, in sede dibattimentale, sono i primi tre, e cioè; la determinazione del punto di avvistamento; il fatto che la nave abbia potuto compiere, entro la zona di vigilanza doganale marittima, atti idonei univocamente diretti a commettere il contrabbando; l’adempimento da parte delle unità della Guardia di Finanza della formale intimazione del fermo. Si tratta, in effetti, delle tre condizioni fondamentali su cui e imperniata la legittimità della cattura.

310 Lo spazio a nostra disposizione non ci consente di dare agli argomenti un ampio sviluppo, ma, basandoci sull’esperienza fatta in mare e durante i procedimenti penali, riteniamo di potere fissare i seguenti concetti:

Determinazione del punto di avvistamento della nave.

A tale scopo sono stati usati i grafometri (di giorno) e successivamente i radar, di cui sono dotate oggi le unità di crociera del Naviglio. I rilevamenti compiuti con gli strumenti di cui sopra, riportati sulla carta nautica, consentono di stabilire subito l'esatta posizione della nave avvistata. Con l'uso del grafometro fu stabilita, infatti, dalla motovedetta «Gori» la posizione esatta del «Tulyar», che alle ore 8,15 del 21 luglio 1954 veniva avvistato 8 miglia a levante dell'isola di Ustica insieme ad un motopeschereccio. I due natanti distavano circa 5 miglia dalla «Gori» e appena videro la nostra unità si dettero alla fuga. La nave straniera prese il largo verso nord-est, mentre il peschereccio si mise in rotta per sud-ovest, e cioè andò decisamente incontro alla «Gori» sperando che questa decidesse di fermarlo e di visitarlo in modo che la nave straniera potesse interporre maggiore distanza e sfuggire al fermo. Il comandante della «Gori» intuì invece tale proposito e, aumentando il regime dei motori fino a 15 nodi, decise molto opportunamente di non interrompere l'inseguimento del «Tulyar», limitandosi a far fotografare il motopeschereccio a distanza ravvicinata così da ottenerne il riconoscimento ai fini processuali.

311 Il «Tulyar» fu raggiunto e catturato alle ore 9,25 a circa 20 miglia a nord-est di Ustica. Il punto di avvistamento della nave fu anche confortato da un certificato rilasciato dal Semaforo della Marina Militare di Ustica che aveva annotato sui propri registri «un natante con scafo nero indistinto a due alberi a circa 10 miglia dall'isola, con rotta nord-est». Gli avvistamenti diurni del «Padma», del «Romos» e dello «Sleek» nelle acque doganali di Ustica e quello dell'«M.F.V.I» nelle acque di Capo S. Marco, furono invece eseguiti riportando sulla carta nautica i rilevamenti fatti con il radar e successivamente confortati dalle altre incontrovertibili testimonianze tempestivamente raccolte a bordo dei natanti stessi. L'avvistamento notturno del «Suresh», mentre era a 8 miglia a nord di Ustica, fu fatto pure con il radar ed il natante -il quale era a sua volta munito di tale apparecchio- si trovava in attesa di un motopeschereccio che durante la giornata era uscito da Palermo per effettuare il trasbordo di 270 casse di sigarette, che il «Suresh» aveva già pronte fuori stiva, a proravia. L'operazione notturna contro il «Suresh» -molto laboriosa- si concluse infatti a 18 miglia a nord di Ustica, dove il natante fu catturato. La sola operazione per la quale non furono sollevate questioni sull'avvistamento, fu quella contro la nave «Monte Carmelo», che si trovava di notte a tre miglia dalla costa palermitana e fu raggiunta e catturata entro i limiti della zona di vigilanza doganale marittima. Nel corso dei vari procedimenti penali, la difesa, affidata a valorosi professionisti, ha contestato la veridicità degli avvistamenti prodotti dalla Guardia di Finanza, tentando di dimostrare, con abili

312 argomentazioni, la scarsa attendibilità dei procedimenti usati nella determinazione degli avvistamenti stessi, specialmente con l'impiego del radar. Le vivaci ed interessanti discussioni svoltesi sulla bontà tecnica di tale strumento sono state tuttavia volta per volta superate sia dalla palese attendibilità dei rilevamenti fatti entro distanze ravvicinate, tali da non lasciar dubbio alcuno sulla fondatezza di essi, sia infine dalle altre riprove testimoniali e documentali, specie quelle tempestivamente raccolte a bordo dei natanti catturati ed acquisite agli atti. Le discussioni in fatto di determinazione del punto di avvistamento nascondono evidentemente il proposito di riuscire a scardinare l'elemento fondamentale su cui poggia la legittimità dell'azione coercitiva contro i natanti stranieri.

Constatazione che la nave avvistata abbia compiuto atti idonei univocamente diretti a commettere il contrabbando.

Questo secondo elemento c’è stato volta per volta manifestamente offerto dal comportamento stesso dei natanti, che, trovandosi nelle acque doganali, si sono dati alla fuga non appena hanno avvistato le nostre unità. È naturale che, trattandosi di navi cariche di sigarette e seguite dai mezzi della Guardia di Finanza in zona di vigilanza doganale marittima, la fuga non può che costituire, per se stessa, la prova degli atti preparatori idonei già posti in essere per commettere il contrabbando. E un siffatto comportamento non può scaturire che dalla consapevolezza di trovarsi in istato di palese violazione dell'ordine penale italiano, il quale, come abbiamo già riportato,

313 all'articolo 99, lettera c), della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, attribuisce la responsabilità di contrabbando al capitano che su nave di stazza netta non superiore alle 200 tonnellate trasporta, entro la zona di vigilanza doganale marittima, merci estere senza il manifesto prescritto dalla legge stessa. A noi sembra che tutto ciò, tempestivamente suffragato dalle altre circostanze probatorie che volta per volta sono state raccolte e poste a carico della nave a dimostrazione della sua illecita attività entro la zona di vigilanza doganale marittima, produca l’idoneità giuridica degli atti univocamente diretti a commettere il contrabbando. La difesa, non avendo mai potuto controbattere i nostri elementi processuali su tale punto, si è limitata a riportare in discussione solamente la validità del punto di avvistamento della nave.

Formale intimazione di fermo alla nave avvistata in Zona di Vigilanza Doganale Marittima.

Questo e un altro dei punti che ha effettivamente molta rilevanza giuridica nell'azione coercitiva contro i natanti, ma non si è mai verificato che i natanti stessi abbiano obbedito alle intimazioni di fermo loro rivolte mediante l'uso della bandiera K o mediante tutti gli altri mezzi volta per volta usati a tale scopo. Anche questo comportamento, associato a quello della fuga, non può ascriversi, giuridicamente, che a carico del natante e va consacrato negli atti, ad ogni fine processuale.

314 FASE ESECUTIVA: a) l'inseguimento

L'inseguimento, una volta iniziato, deve effettuarsi senza alcuna interruzione, fino all'atto della cattura della nave avvistata. Una qualsiasi soluzione di continuità porterebbe alla illegittimità della operazione. A tale scopo, l'unità che insegue deve impiegare tutti i mezzi a disposizione -compreso il radar- per non perdere mai di vista il natante inseguito e di ciò si deve dare atto nei documenti di bordo, riportando sulla carta nautica, oltre che il punto di avvistamento, anche le rotte di inseguimento, in modo che, processualmente, non possano affiorare dubbi di sorta sulla continuità dell'azione iniziata e proseguita. Lo scrupoloso adempimento di tutte le citate formalità toglie alla difesa ogni possibilità di contestazione. Finora l'inseguimento effettuato contro i natanti catturati è stato sempre eseguito dai mezzi navali che hanno avvistato i natanti stessi. Non è da escludere peraltro che il rapporto dell'VIII Sessione della Commissione di Diritto Internazionale di Ginevra sulla promiscuità di impiego dei mezzi aerei e navali nelle fasi di avvistamento e di inseguimento -purché si abbia la continuità dell'azione- possa modificare in tal senso le modalità finora seguite, se e quando il progetto di Ginevra sarà accolto e recepito anche dal nostro ordinamento.

315 b) la cattura

La cattura della nave inseguita è la fase più difficile e più rischiosa dell’operazione, che richiede abilità e accorta audacia in coloro che stanno per realizzarla. Bisogna tener presente che il natante contrabbandiero (come sempre avviene) compirà tutte le evoluzioni possibili per rompere l'inseguimento e per impedire che i militari dei nostri mezzi riescano a metter piede sulla nave in fuga. Sono quindi possibili le collisioni (caso «Sleek»), le cadute in mare dei militari che si accingono a saltare sulla nave in corsa (caso «M.F.V.I») e non è da escludere il proposito del capitano straniero di danneggiare qualcuna delle nostre unità, facendo delle accostate pericolose, come e avvenuto durante la cattura del «Romos», o tentando veri e propri speronamene, come in altri casi si è verificato. Se a tutto ciò si aggiungono le condizioni del mare non sempre favorevoli, è da prevedersi che l'inseguimento possa protrarsi a lungo e portare i nostri mezzi molto al largo, come avvenne per lo «Sleek» che, avvistato nella zona di vigilanza doganale marittima di Ustica, fu catturato, sul calare della notte, a circa 90 miglia dalle coste palermitane dopo un ininterrotto e faticoso tallonamento. In questa fase può ravvisarsi l'opportunità di lanciare all'attacco i mezzi veloci che, mantenendo il contatto tra la nave inseguita e le unità della Guardia, assicurano la continuità dell'operazione e, al momento e nelle circostanze legali, possono determinare la cattura secondo la tecnica di volta in volta giudicata più adatta dal responsabile del servizio.

316 Non è qui il caso di addentrarci nell'esposizione d'una casistica che conta innumerevoli episodi altamente indicativi del sentimento del dovere e della abnegazione con cui i nostri militari compiono il servizio sul mare in genere e nella conclusione d'un inseguimento in ispecie: basti ricordare come sia posta sempre a dura prova l'abilità dei comandanti e siano collaudati coraggio, nervi e muscoli di quanti, sovente in condizioni inimmaginabili, debbono saltare sul bordo del natante fuori legge. Realizzatasi la cattura, si procede subito, in contraddittorio col suo comandante, alla determinazione del punto-nave in cui essa è avvenuta, facendo uso degli appositi strumenti di bordo e riportando i dati sulla carta nautica come su tutti gli altri atti relativi all'esecuzione del servizio in corso. Il capitano della nave fermata viene sempre invitato a firmare, se vuole farlo, le annotazioni riportate sui documenti citati, insieme con le eventuali riserve, osservazioni e contestazioni che egli ritenesse di avanzare. Naturalmente, i calcoli effettuati dalla Guardia di Finanza sono confortati da altre prove concomitanti: tra esse, le rotte, le velocità di crociera ed il tempo poste in essere dal convoglio per coprire la distanza tra il punto di cattura e la sede in cui la nave contrabbandiera viene scortata. Questi elementi sono acquisiti agli atti dell'operazione alla presenza del capitano incorso nel reato e tanto più essi contribuiranno al buon esito finale del servizio quanto più saranno numerosi, accurati, suffragati da tecnica e da logica. Nel momento in cui queste brevi note vengono compilate, due soli procedimenti debbono essere espletati: quello relativo alla cattura

317 della nave «M.F.V.I», fermata a sud di Capo S. Marco il 18 marzo di quest'anno e quello del «Sito», fissato per l'ottobre dinanzi al Tribunale di Palermo, dove è anche predisposta la celebrazione del procedimento contro l'equipaggio del motopeschereccio «San Giuseppe Giacomo» che dette luogo all'operazione contro il «Sito».

Un caso tipico: il «Sito»

È il solo natante contrabbandiero che fu avvistato fuori delle acque comprese in zona di vigilanza doganale marittima (26 miglia dalla costa) e catturato a 36 miglia da Capo San Vito, dopo che aveva trasbordato 300 casse dì sigarette sul motopeschereccio «San Giuseppe Giacomo», a sua volta bloccato nelle acque doganali di Alicudi. Tutti gli imputati furono rinviati al giudizio del Tribunale e la sentenza istruttoria, ispirata alla dottrina ed alla giurisprudenza, affermava «essere applicabile la legge italiana nel caso di contrabbando perpetrato dallo straniero all'estero d'accordo con i correi residenti in Italia. E a nulla, nella specie, rileva il fatto che la nave «Sito» sia stata avvistata fuori della zona di vigilanza doganale marittima e che il trasbordo delle sigarette sia stato effettuato al di fuori di tale zona. Essendosi l'azione compiuta anche in parte su nave italiana, e quindi su territorio italiano, del delitto devono rispondere tutti coloro che in esso sono concorsi e quindi anche quelli che hanno agito esclusivamente all'estero». La Sezione Istruttoria della Corte d'Appello di Palermo, confermando il provvedimento del Giudice Istruttore, aveva respinto la domanda di scarcerazione degli imputati del «Sito» e ciò anche per effetto

318 dell'articolo 139 della legge doganale 25 settembre 1940, n. 1424, la quale prevede l'arresto obbligatorio degli stranieri che non prestino idonea cauzione. Di avviso differente fu la Corte Suprema di Cassazione che, con sentenza del 18 gennaio di quest'anno, annullava l’ordinanza della Sezione Istruttoria della Corte d'Appello e disponeva l'immediata scarcerazione degli imputati. La motivazione del diverso provvedimento è che, pur essendo esatto il principio secondo il quale nei casi in cui trova applicazione la legge sostanziale italiana deve spiegare piena efficacia anche la legge processuale italiana (intesa nella sua funzione strumentale, con particolare riferimento alle forme del processo ed ai mezzi di prova), tale principio non ricorre nel caso di cattura degli imputati, considerata non per quanto attiene alle forme ed alle modalità di esercizio del relativo potere, ma con riguardo al potere medesimo nel suo aspetto sostanziale di vincolo alla libertà personale. In definitiva, nel caso specifico, contro i prevenuti non poteva esercitarsi il potere di cattura in quanto essi non si trovavano in luogo soggetto alla sovranità dello Stato italiano. La potestà di compiere atti di polizia in alto mare su navi straniere, ove non esistano speciali accordi tra gli Stati, è ammessa in tempo di pace solo nel caso di inseguimento, nel senso che già abbiamo avuto modo di trattare. La Suprema Corte, quindi, concludeva per la non legittimità della cattura del «Sito» in quanto avvistato o fermato in alto mare senza che sussistessero i requisiti e le condizioni dell'esercizio del diritto d'inseguimento.

319 Resta da vedere quali saranno le decisioni del Tribunale di Palermo circa la responsabilità concorsuale a carico degli stranieri e quali le cautele che potranno conseguentemente essere adottate sulla nave a garanzia dei diritti dovuti all'Erario.

Conclusione

La lotta che la Guardia di Finanza ha impegnato e duramente sostenuto con tutte le sue specialità e con tutti i suoi mezzi nel settore nevralgico della Sicilia non è ancora finita. Momento per momento, per quanto essa sia stata lunga e difficile, reparti e militari singoli vi hanno risposto con entusiasmo e spirito di sacrificio, sovente con sprezzo d'ogni rischio e continuano a rispondervi con inesausto fervore. I cittadini che apprendono i risultati del tenace lavoro di cui questa lotta è intessuta non sanno forse da quante difficoltà ed asperità esso è complicato, in un'episodica giornaliera sempre ricca di sorprese e di colpi di scena, sempre acuita dalla protervia e dall'astuzia di uomini abilissimi decisi a tutto, votati a ricalcare con spirito ben poco romanzesco e molto brigantesco le orme dei più spregiudicati corsari. Di uomini che, oltre tutto, possono contare su mezzi larghissimi e su omertà a volte indistruttibili. Non sanno, i cittadini che apprendono dalla stampa o dalla radio il rapido resoconto in cifre d'un operazione di servizio, quante volte il ritorno degli uomini impegnati in mare, in aria, sulla costa, è stato atteso con ansia, in un clima di guerra guerreggiata, mentre tutto intorno era pace e normalità di vita.

320 La nostra gratitudine va ai militari d'ogni grado, dei quali nessun evento ha mai incrinato lo slancio e la dedizione. Anzi, è capitato spesso ai capi di dover placare il rammarico di quanti, all'inizio di fasi conclusive, venivano lasciati a riposo perché in precedenza impegnati o perché legati a mezzi fuori turno, nell'avvicendamento reso indispensabile da un ritmo di attività terrestre ed aeronavale sempre più incalzante. Il Corpo deve ad essi se il martellamento e lo scardinamento delle organizzazioni contrabbandiere, condotti su tutti i mari e lungo tutte le spiagge della bella terra di Sicilia, ha dato frutti di concreti apporti all'Erario del Paese e di grave scompiglio, di larghi squarci nelle maglie della frode. A loro volta questi uomini, operando nella piena consapevolezza del danno che all'economia patria arrecano avventurieri senza scrupoli, gangs internazionali cui nessuna attenuante può essere accordata neppure sul piano della morale più condiscendente, pronte a sfruttare, per sete d'illecito guadagno, situazioni locali di miseria e d'ignoranza, si sono sentiti sorretti nella fatica quotidiana non solo dall'azione di comando dei capi e dalla premurosa attenzione del Corpo tutto, ma anche dalla disponibilità di mezzi più larga che la situazione generale di volta in volta consentisse. Molta strada si è fatta da quando le vetuste, instancabili motovedette «Gori», «Smalto» e «Rosati» sopportarono da sole il primo periodo della repressione del contrabbando su vasta scala nelle acque siciliane, infliggendo alla frode organizzata i primi colpi ed aprendo il ciclo di attività sul quale abbiamo in brevi cenni portato l'attenzione del lettore.

321 Molta strada resta da fare. Non mancheranno i mezzi migliori per percorrerla fino in fondo. Non mancheranno, soprattutto, gli uomini e la fede che li ha animati fino ad oggi.

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