Fondata Da Bruno Cartosio E Alessandro Portelli Ácoma
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NUOVA SERIE ANNO 2018 ÁCOMA N.15 Rivista inteRnazionale di studi noRdameRicani Fondata da Bruno Cartosio e Alessandro Portelli Ácoma. Rivista semestrale di studi nordamericani. Fondata nel 1994 da Bruno Cartosio e Alessandro Portelli. Pubblicazione semestrale. Autunno-Inverno 2018. Comitato scientifico: Vito Amoruso, Marisa Bulgheroni, Marianne Debouzy, Jane Desmond, Virginia Dominguez, Ferdinando Fasce, Ronald Grele, Heinz Ickstadt, Djelal Kadir, George Lipsitz, Mario Maffi, Donald E. Pease, Werner Sollors. Direttori: Donatella Izzo, Giorgio Mariani, Stefano Rosso. Comitato di redazione: Annalucia Accardo, Sara Antonelli, Paolo Barcella, Vincenzo Bavaro, Anna Belladelli, Elisa Bordin, Roberto Cagliero, Bruno Cartosio, Erminio Corti, Sonia Di Loreto, Valeria Gennero, Fiorenzo Iuliano, Carlo Martinez, Cristina Mattiello, Marco Morini, Alessandro Portelli, Anna Romagnuolo, Anna Scannavini, Cinzia Scarpino, Cinzia Schiavini, Fabrizio Tonello. Direttore responsabile: Ermanno Guarneri. Segreterie di redazione: Bergamo: Ácoma, Università degli Studi di Bergamo, Piazza Rosate 2, 24129 Bergamo – fax 035/2052789 Roma: Ácoma, Dipartimento di Studi Europei, Americani e Interculturali, Università “Sapienza” di Roma, Via della Circonvallazione Tiburtina, 4, 00185 Roma – fax 06/44249216. E-mail: [email protected]. Sito web: www.acoma.it. Per ottenere i numeri arretrati scrivere ad [email protected]. Ácoma è una rivista peer-reviewed. Oltre agli articoli commissionati dal comitato di redazione, la rivista pubblica anche articoli non sollecitati. Tutti i manoscritti inviati alla redazione saranno sottoposti a valutazione anonima da parte di due o più reviewers. Gli autori sono pregati di rendere non riconosci- bili gli eventuali riferimenti a proprie opere, in testo o in nota. I pareri dei reviewers saranno inviati all’autore entro quattro mesi dalla ricezione del manoscritto. Per ragioni tecniche, qualsiasi contributo non inviato all’indirizzo [email protected] verrà cestinato. Ácoma is a peer-reviewed journal. It publishes unsolicited articles in addition to those commissioned by the editorial board. All submissions are subject to double-blind refereeing by two or more reviewers. Self-identifying citations or references in the article text and notes should be avoided. The reviewers’ reports will be transmitted to the author within 120 days from the date of submission. Articles submitted for publication must be sent as an e-mail attachment to [email protected]. Submissions by any other means will not be considered. ISSN: 2421-423X. Realizzazione editoriale: Michela Donatelli. Copertina: Lisa Larsen, “Picture of a smiling woman factory worker”, LIFE Picture Collection, Getty Images. SOMMARIO UOMINI E MACCHINE Introduzione 5 Fabrizio Tonello Il problema non sono i robot, ma il capitalismo 6 Fabrizio Tonello The American Worker di Paul Romano: un’introduzione 15 Steven Colatrella The worker has to work. La condizione dell’operaio americano 19 negli anni Quaranta Paul Romano Homo (Americanus) ex Machina tra Ottocento e Novecento 40 Alessandra Calanchi “Humanity is overrated”: umani e macchine in House M.D. 54 Gianna Fusco SAGGI Il racconto di Lewis e Clark: dai diari del Corps of Discovery 71 alla costruzione dell’immagine pionieristica Marina Dossena Esuli in casa propria: l’Exodus afroamericano dal Sud dopo la Guerra civile 89 Bruno Cartosio 1937-2017: Ricordando The Spanish Earth di Joris Ivens 99 Elena Lamberti Gatsby nostro contemporaneo 121 Sara Antonelli NOTE Addio alle Armi: la figura del Cappellano, Ettore Moretti e Nick Nerone 134 Vincenzo Di Nardo e Michael Kim Roos ENGLISH SUMMARIES 142 UOMINI E MACCHINE Introduzione Fabrizio Tonello Questa sezione monografica diÁ coma ha come tema “Uomini e macchine” perché, a quanto sembra, nessuna questione è più urgente nelle economie avanzate. Se da un lato ci viene promesso l’arrivo di una cornucopia di beni e servizi portati dall’intelligenza artificiale, dall’altro ci viene detto che quasi metà dei posti di la- voro attuali sarà prossimamente soppressa perché robot più flessibili, più rapidi, più efficienti di noi sostituiranno non solo gli impiegati e gli operai ma anche una parte sostanziale di avvocati, medici, commercialisti.1 I vari contributi di questo numero cercano di affrontare la questione da diversi punti di vista. L’intelligenza artificiale trasformerà le nostre vite? FabrizioTonello fa il punto sul dibattito su robot, produttività e “stagnazione secolare”, quella che secondo alcuni economisti americani ormai ci attende. Segue la ripubblicazione, a cura di Steven Colatrella, di estratti dell’opuscolo di Paul Romano (pseudonimo di Phil Singer) The American Worker, apparso in inglese nel 1947 e, subito dopo, in francese nella rivista di Cornelius Castoriadis e Claude Lefort Socialisme ou Barbarie. Ci è sembrato necessario riproporlo perché descrive un mondo – quello della fabbrica fordista – per il quale spesso circolano all’interno della sinistra immeritate nostal- gie. Le macchine del 1947 erano pericolose, nocive, sporche, abbrutenti: è opportu- no ricordare anche questo quando si discute delle condizioni di lavoro oggi. Edgar Allan Poe aveva già capito tutto dei cyborg? Alessandra Calanchi so- stiene di sì e mette a confronto un suo scritto con Fahrenheit 451 di Ray Bradbury. Macchine, medici, uomini: Gianna Fusco scruta a fondo ciò che la serie televisiva Dr. House ci rivela sui loro rapporti. NOTE 1 Si veda Michael A. Osborne e Carl B. Frey, The Future of Employment: How Susceptible Are Jobs to Computerisation?, Working Paper 2013. Uomini e macchine Ácoma n. 15, Autunno-Inverno 2018, ISSN: 2421-423X 5 UOMINI E MACCHINE Il problema non sono i robot, ma il capitalismo Fabrizio Tonello* Man is the lowest-cost, 150-pound, nonlinear, all-purpose computer system which can be mass-produced by unskilled labor.1 (NASA report, 1965) Il dibattito su uomini e macchine è tutt’altro che nuovo: tralasciando il fin troppo citato Frankenstein, una creazione europea, prendiamo il celebre dipinto di William Gast del 1872, intitolato American Progress. Nel quadro osserviamo l’avanzata del progresso, che da destra (l’est atlantico) marcia verso sinistra (l’ovest); una prospe- rosa fanciulla avanza nell’aria ma non ha bisogno di ali: è forse il filo del telegrafo che tiene in mano a spingerla dolcemente verso il Pacifico. Alle sue spalle seguono i treni a vapore, mentre più lontano vediamo un affaccendato porto, riconoscibile per New York dai contorni dell’isola di Manhattan e dal ponte di Brooklyn, allora in costruzione. Dove la tecnologia avanza, la wilderness arretra, fugge: mandrie di bisonti in fuga, indiani che non hanno ancora scoperto la ruota e orsi inferociti cercano rifu- gio in un’oscurità che, ben presto, sarà dissipata dalle luci della Civiltà. Chi può avere dubbi sulla benedizione rappresentata dalle moderne macchine, portatrici di comodità fino a pochi decenni prima impensabili? In effetti, se Cesare avesse visitato gli Stati Uniti al di là degli Appalachi nel 1840 non avrebbe avuto alcuna difficoltà nel comprendere la vita quotidiana de- gli americani dell’epoca, che per la stragrande maggioranza vivevano in fattorie, zappavano con attrezzi rudimentali e si spostavano a cavallo come i romani di duemila anni prima. Se invece fosse ritornato sul posto nel 1940 avrebbe scoperto un mondo per lui incomprensibile, al di là di ogni immaginazione, con case ma- gicamente illuminate dall’elettricità, “carrozze” a quattro ruote che si muovevano da sole, perfino ordigni volanti che portavano le persone da una città all’altra. È stato questo secolo, tra la metà dell’Ottocento e la metà del Novecento, a vedere il trionfo della macchina, a creare la promessa di un futuro senza limiti in cui la biblica minaccia “Lavorerai la terra col sudore della fronte” sarebbe svanita come nebbia al mattino. William Gast dipingeva nel 1872: appena sette anni dopo, nel 1879, sarebbe apparsa la luce elettrica e sarebbe stato inventato il motore a combustione interna, quello che ha creato la civiltà automobilistica (e le guerre per il petrolio) del XX secolo. Il numero di città americane in grado di fornire acqua corrente ai propri cit- tadini si moltiplicò per dieci tra il 1870 e il 1900. Negli anni Ottanta del XIX secolo nacquero in rapida successione il telefono, il fonografo, il cinema (che si sarebbe affermato solo più tardi). Uomini e macchine 6 Ácoma n. 15, Autunno-Inverno 2018, ISSN: 2421-423X UOMINI E MACCHINE È la massa critica creata da queste invenzioni, insieme ai progressi della chimi- ca, che ha permesso lo spettacolare miglioramento del tenore di vita tra il 1870 e il 1970, l’illusione che le macchine avrebbero dato a tutti gli americani, se non la ricchezza, quanto meno una vita “migliore di quella di un re africano” nonostante la Grande depressione e due incredibilmente distruttive guerre mondiali (come un certo Adam Smith aveva profetizzato già nel 1776, l’anno dell’Indipendenza). La tesi di un progresso quasi senza limiti era condivisa da tutti, a cominciare da Lenin, secondo il quale la produzione su larga scala, i macchinari, le ferrovie, la rete telefonica avrebbero offerto l’opportunità di ridurre di tre quarti il tempo di lavoro. Negli anni Trenta, economisti assai diversi tra loro come John Maynard Keynes e Joseph Schumpeter manifestavano la loro fiducia non solo nella ripresa dell’economia dopo la crisi del 1929 ma si spingevano assai più in là: “È cosa co- mune sentir dire dalla gente che è ormai conclusa l’epoca dell’enorme progresso economico che ha caratterizzato il XIX secolo”,