Università degli studi di Modena e Reggio Emilia Facoltà di Scienze della Formazione Corso di laurea in Scienze dell’educazione

La nazione sahrawi: un popolo errante

Relatore: Prof. Gianni La Bella

Tesi di Laurea di: Cinzia Terzi

Anno Accademico 2012_2013

Ai miei genitori a mio fratello Giorgio al Popolo Sahrawi

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Indice Prologo ...... 7 Introduzione ...... 12 Capitolo 1. Il periodo pre-coloniale ...... 18 1.1. Le origini ...... 18 1.2. Gli Almoravidi ...... 21 1.3. L’invasione hilaliana ...... 25 1.4. La società tribale del Sahara occidentale ...... 27 1.5. Il codice di Stato-nazione e la sua applicazione al problema del Sahara ...... 34 1.6. Lo stato tradizionale marocchino ...... 39 1.7. Rapporto tra centro e periferica: la contrapposizione makhzen-siba ...... 39 1.8. Le prime esplorazioni del Sahara occidentale (XII-XVII secolo) ...... 46 1.9. Viaggiatori del Sahara occidentale dal XVI al XVII secolo ...... 50 Capitolo 2. Il periodo coloniale ...... 56 2.1. Le origini del Sahara spagnolo ...... 56 2.2. La pressione francese ...... 57 2.3. La delimitazione delle frontiere ...... 59 2.4. L’occupazione definitiva ...... 61 2.5. La situazione del Marocco dopo l’indipendenza ...... 65 2.7. La trasformazione della società sahrawi in epoca coloniale ...... 70 2.8. L’affermarsi del diritto all’autodeterminazione ...... 75 2.9. Il progetto del “grande Marocco” ...... 77 2.10. Le rivendicazioni marocchine sulla e sull’ ...... 78 2.11. Le rivendicazioni del Marocco sul Sahara occidentale ...... 82 Capitolo 3. Genesi del nazionalismo sahrawi: nascita di una nazione ...... 83 3.1. Il cammino verso l’indipendenza ...... 83 3.2. Mohammed Bassiri e l’Harakat tahrir ...... 85 3.3. La nascita del Fronte Polisario ...... 87 3.4. Le ambiguità algerine ...... 91 3.5. Il progetto di autonomia interna in Sahara ...... 92 3.6. L’offensiva diplomatica ...... 97 3.7. La missione dell’Onu in Sahara occidentale ...... 98 3.8. Le reazioni alla politica spagnola: l’opposizione marocchina ...... 100 3.9. Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia ...... 103 3.10. L’occupazione del Sahara: la marcia verde ...... 108 3.11. L’accordo di ...... 113 3.12. L’occupazione militare del territorio...... 116 3.13. L’esodo dei rifugiati ...... 118 3.14. La fine della presenza spagnola in Sahara occidentale ...... 121 3.15. La nascita della Repubblica Araba Sahrawi Democratica...... 125 3.16. Le ingerenze della Francia e la prudenza degli Stati Uniti e dell’U.R.S.S...... 127 3.17. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale ...... 132

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Capitolo 4. Dalla guerra alla pace ...... 134 4.1. La guerra contro la Mauritania ...... 134 4.2. L’operazione Lamantin ...... 137 4.3. Il colpo di stato in Mauritania ...... 138 4.4. L’accordo di Algeri ...... 140 4.5. La guerra tra Fronte Polisario e Marocco ...... 143 4.6. La strategia dei muri ...... 145 4.7. Il costo della guerra, l’economia e la politica marocchina ...... 151 4.8. L’Organizzazione dell’Unità Africana ...... 154 4.9. L’ammissione della RASD all’OUA ...... 159 4.10. L’ONU e il movimento dei paesi non allineati ...... 161 4.11. La Lega araba e il rapporto del Marocco con Israele...... 164 4.12. L’Algeria e il Marocco tra conflitto e pacificazione ...... 166 4.13. Il pragmatismo spagnolo ...... 174 4.14. L’Europa e il Parlamento europeo ...... 178 4.15. Verso il piano di pace ...... 180 Capitolo 5. L’evoluzione del conflitto: dal cessate il fuoco ai giorni nostri (1991 – aprile 2013) ...... 186 5.1. La situazione politica in Algeria ...... 187 5.2. Gli anni Novanta nel regno del Marocco ...... 192 5.3. Una nuova Marcia verde ...... 193 5.4. Il rapporto di fine mandato di Perez de Cuellar ...... 197 5.5. La ripresa del piano di pace: Kofi Annan e il piano Baker ...... 210 5.6. Gli accordi di Houston: la ripresa del processo di identificazione ...... 212 5.7. L’ascesa al potere di Mohammed VI ...... 216 5.8. L’accordo quadro – il Piano Baker ...... 222 5.9. Il Piano Baker II ...... 229 5.10. La responsabilità dell’ONU ...... 236 5.11. L’impasse 2004 – 2006 ...... 240 5.12. La ripresa dei negoziati ...... 242 5.13. Marocco-ONU: tensioni diplomatiche sul Sahara occidentale ...... 249 5.14. La Francia, gli Stati Uniti e la questione del Sahara occidentale ...... 253 5.15. La Spagna e il ...... 256 5.16. Gli ultimi avvenimenti ...... 264 Capitolo 6. Al di qua e al di là del muro ...... 274 6.1. La nascita di una Repubblica: la R.A.S.D. (Repubblica Araba Sahrawi Democratica) ...... 274 6.2. Le istituzioni della R.A.S.D...... 277 6.3. I campi di rifugiati sahrawi ...... 277 6.4. Donne sahrawi ...... 287 6.5. I territori occupati del Sahara occidentale...... 290 6.6. La prima intifada (1999) ...... 292 6.7. La seconda Intifada sahrawi (2005) ...... 294 6.8. La scelta nonviolenta del popolo sahrawi ...... 301 6.9. Il campo della dignità di Gdeim Izik e la primavera araba ...... 306 6.10. La politica di integrazione del Sahara occidentale ...... 316 6.11. Il Conseil Royal Consultatif pour les Affaires Sahariennes (CORCAS) ...... 320

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6.12. Il petrolio e la pesca ...... 321 Conclusioni ...... 331 Appendice ...... 332 Bibliografia ...... 345

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Prologo Ho conosciuto i Sahrawi nell’estate del 1995, quando mi resi disponibile a collaborare con un gruppo di volontari per accogliere un gruppo di dieci bambini sahrawi ospiti, nel mese di luglio, in un comune della provincia di Modena, dove all’epoca lavoravo. I volontari mi raccontarono qualcosa di questi bambini e del loro accompagnatore: erano profughi, provenivano dall’Algeria, erano musulmani. Il fatto che praticassero la religione islamica, attirò la mia attenzione. Ero difatti da pochi mesi rientrata da un viaggio di due settimane in Pakistan, dove avevo incontrato per la prima volta, da vicino, la religione islamica, che, una volta rientrata in Italia, decisi di approfondire e conoscere meglio. Cominciai a leggere libri sull’Islam, a visitare la moschea di Reggio Emilia e a incontrare musulmani provenienti da vari Paesi e persone, in particolare donne, che si erano convertite all’Islam. Lessi che l’Islam era diffuso in Paesi con culture profondamente differenti e dove si parlavano lingue diverse. Mi resi conto, anche conoscendo i Sahrawi, che le tradizioni pre- islamiche, così come le condizioni socio-politiche incidevano fortemente sull’interpretazione dell’Islam. Forse, fu proprio quest’aspetto a fare la fortuna dell’Islam e che ne favorì la diffusione.

Ogni giorno, dopo il lavoro, trascorrevo ore con i bambini e ad ascoltare i racconti di Bouzeid, l’accompagnatore sahrawi, mentre preparava il tè. Ciò che più mi colpì fu la determinazione con la quale il popolo sahrawi stava conducendo la sua lotta per l’autodeterminazione e per la libertà. Fu quello che si definisce “un amore a prima vista”, una passione che in poco tempo mi coinvolse e mi portò a diventare ben presto volontaria attiva nell’Associazione di solidarietà con il popolo sahrawi “Kabara Lagdaf” di Modena. Nel gennaio del 1996 visitai per la prima volta i campi di rifugiati sahrawi in Algeria, fu un’esperienza umana straordinaria.

Nel 1998 Giorgio, mio fratello, mi presentò a Misiano Barbieri, un giovane volontario dell’Infoshop di Mag 6 di Reggio Emilia e insieme a lui organizzai la prima iniziativa a Reggio Emilia sul popolo sahrawi. Nel 2000 fu costituita a Reggio Emilia l’associazione di solidarietà con il popolo sahrawi “Jaima Sahrawi”, che ho presieduto fino al 2010. L’associazione nasceva con l’obiettivo di sensibilizzare l’opinione pubblica sulla storia di questo popolo e, allo stesso tempo, di stimolare la riflessione sui temi e sui contenuti della solidarietà, dell’educazione alla pace, dei diritti umani e dell’intercultura.

Sono stati dieci anni ricchi di attività e iniziative finalizzate a diffondere e promuovere la realtà culturale, sociale e politica del popolo sahrawi e per attuare iniziative di solidarietà, con il coinvolgimento di enti pubblici e comunità locali. Sono stati realizzati divesi progetti di cooperazione, in particolare in ambito educativo e socio-sanitario, sono stati accolti in Italia gruppi di minori sahrawi per soggiorni estivi, sono state promosse iniziative di sensibilizzazione

7 dell’opinione pubblica e delle istituzioni nazionali e internazionali sulla situazione del Sahara occidentale, anche attraverso viaggi e scambi culturali nei campi di rifugiati sahrawi in Algeria e nei territori occupati del Sahara occidentale. Nel 2007 una delegazione dell’associazione reggiana, insieme a un gruppo di bambini sahrawi, è stata ricevuta dal Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano. Nello stesso anno sono intervenuta alla IV Commissione delle Nazioni Unite di New York, per sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi.

Realizzare la tesi sul popolo sahrawi è stata per me stata l’occasione di analizzare in modo approfondito il contesto storico e quindi le origini o cause (il come e il perché) dell’esilio del popolo sahrawi, esaminare lo sviluppo del conflitto, che dura ormai da tanti anni, e le sue conseguenze a livello regionale e internazionale. Ho cercato nella mia ricerca di non tralasciare elementi importanti e di perseguire un’obiettività storica e scientifica, che potesse far emergere il più possibile uno studio attendibile. La storia, intesa come scienza, usa il passato come laboratorio di analisi, studia cause e concause, elementi di continuità e di frattura, si pone degli interrogativi. Solo dopo aver raccolto, soppesato e analizzato le fonti, ho tentato un’analisi e cercato di individuare le difficoltà e le condizioni utili per la soluzione del conflitto. La ricerca storica, così come quella scientifica, ha come obiettivo quello di avvicinarsi il più possibile a un principio di verità provata dai fatti, capace di costruire una storia condivisa, universale, che però non è mai oggettiva o neutrale, perché sempre il risultato di un’interpretazione. Ho cercato di presentare in una veduta d’insieme un problema complesso, senza dimenticare alcun aspetto importante.

Sono trascorsi quasi quarant’anni dal 14 novembre 1975, quando a Madrid, i rappresentanti del governo spagnolo, marocchino e mauritano sottoscrissero un accordo destinato a cambiare completamente il corso della storia del Sahara occidentale, colonia spagnola fin dal 1884. Questa situazione, già di per sé molto complessa, si è aggravata nel momento in cui è stato necessario definire lo statuto giuridico di questa regione, prima della colonizzazione spagnola. Il Sahara occidentale, così come tutti i territori africani sono una creazione della colonizzazione europea.1

Alla popolazione civile sahrawi, fatta oggetto di bombardamenti, anche con napalm e bombe al fosforo (Marcia verde), prova evidente delle intenzioni di genocidio da parte degli invasori, non rimane che fuggire con mezzi di fortuna verso la frontiera algerina, sotto la protezione armata del

1 Negli ultimi anni dell’Ottocento si verificò una svolta radicale nei rapporti tra Europa e . Si passò all’occupazione diretta del continente africano e sulla sua subordinazione in sistemi di dominio coloniale. Molteplici i fattori che innescarono il cosiddetto Scramble for Africa, la corsa alla conquista del continente da parte delle potenze europee. Nell’analisi delle cause che hanno portato allo Scramble non si può non considerare l’influenza del nazionalismo degli Stati europei e del conseguente sviluppo delle reciproche rivalità nazionali. Gli Stati-nazione europei aspiravano a diventare grandi potenze del sistema internazionale, ad accrescere la propria potenza, che veniva misurata anche in base alla quantità di territorio posseduta, e a ottenerne il riconoscimento a livello globale. 8

Fronte Polisario, che il 27 febbraio 1976 proclama la nascita della Repubblica Araba Sahrawi Democratica (R.A.S.D.), che nel 1987 è già riconosciuta da più di sessanta Paesi e membro dell’Organizzazione dell’Unità Africa (oggi Unità Africana).

Quello del Sahara occidentale è un conflitto poco conosciuto dall’opinione pubblica internazionale, che si presenta come un caso di decolonizzazione piuttosto complesso.

Dopo il 1975, la contesa è stato oggetto di diversi studi, ciascuno dei quali ha difeso l’una o l’altra parte, spesso in maniera unilaterale e senza un sufficiente spirito critico. La posizione del Marocco ha raccolto molti sostenitori, le cui argomentazioni sono state, spesso, scarsamente convincenti.2 A questo proposito è importante sottolineare, che anche lo slancio patriottico prevale sulla riflessione critica, l’ardore della convinzione soffoca il gusto di una ricerca autentica. E’ allora indispensabile esaminare i documenti essenziali (fatti storici, testi giuridici, decisioni delle organizzazioni internazionali, …), con tutta l’obiettività e lo spirito critico necessari.

Un saggio monografico dal titolo “La questione del Sahara occidentale nei libri di testo e negli atlanti”, realizzato da un gruppo di studenti di liceo con la professoressa Gaia Pallottino nel 1989, ha evidenziato che chiunque volesse farsi un’idea della situazione e dei problemi esistenti nel Sahara occidentale avrebbe grandi difficoltà e seri problemi. Il gruppo di studenti, dopo aver esaminato 72 testi scolastici (36 per la scuola media e 36 per la scuola superiore) e 14 atlanti (uno dei quali è il Calendario Atlante De Agostini e quattro atlanti sono tematici) ha evidenziato che solo 7 testi forniscono un documentazione abbastanza corretta ed esauriente della vicenda, mentre 12 forniscono una documentazione accettabile, pur con lacune ed inesattezze. La maggior parte dei libri esaminati, invece, non fornisce alcuna informazione sulla vicenda, oppure fornisce informazioni errate, spesso in contraddizione tra loro. Gli errori più frequenti sono: quello di considerare erroneamente legittima l’annessione del Sahara occidentale al Marocco in violazione alla legalità internazionale e di includere i dati del Sahara occidentale a quelli del Marocco.

Quali sono le ragioni che hanno spinto il Regno del Marocco a occupare il Sahara Occidentale? Quale la situazione politica ed economica interna al Marocco a metà degli anni Settanta? E ancora, chi sono i Sahrawi? Cosa rivendicano? Esiste una nazione sahrawi? Se si, perché al popolo sahrawi non è ancora stato riconosciuto il diritto a costituire uno Stato? Ho cercato nel mio lavoro di ricostruire il contesto storico in cui è avvenuta l’occupazione del Sahara occidentale, con particolare

2 Rézette voleva dimostrare con la sua opera che il Sahara occidentale, come la Mauritania e parte dell’Algeria, non avevano mai cessato di essere sotto l’influenza politica, economica e culturale del Marocco e che era ridicolo pensare di creare unanuovo pseudo-Stato, là dove uno Stato con una struttura moderna, pronto a ri-unire due regioni che non erano, di fatto, mai state separate. 9 attenzione alle posizioni del Marocco, dell’Algeria e della Mauritania, ma anche degli interessi geopolitici di Stati Uniti, Francia e Spagna.

Ho affrontato la storia del popolo sahrawi analizzando un arco temporale vasto. Sono partita dall’epoca precoloniale, cioè dalle origini del popolo sahrawi dal punto di vista antropologico e dal momento del suo inserimento nel sistema di potere del sultanato marocchino. Ho ritenuto indispensabile non tralasciare un inquadramento storico del Marocco, sia in precoloniale, che durante il dominio francese e dopo la decolonizzazione, con cui i Sahrawi hanno dovuto confrontarsi, per poter contestualizzare le motivazioni che hanno spinto il Marocco, proprio nel 1975, a invadere il Sahara occidentale (capitoli 1 – 2). Gli ultimi quarant’anni della storia sahrawi sono stati caratterizzati dalla guerra, dall’esilio nei campi profughi di in Algeria, dalla proclamazione della RASD (Repubblica Araba Sahrawi Democratica) e dall’intervento delle Nazioni Unite. Tutti questi avvenimenti sono stati analizzati nel dettaglio nei capitoli 3, 4 e 5 del mio lavoro, nei quali ho effettuato un excursus storico dal 1970 ai giorni nostri. L’ultimo capitolo della tesi è, invece, stato interamente dedicato all’organizzazione amministrativa e sociale dei campi di rifugiati sahrawi in Algeria e alle trasformazioni sociali, economiche e politiche avvenute in Sahara occidentale, nel corso di quasi quarant’anni di occupazione illegale del territorio.

Fornire un’informazione corretta significa lavorare per una “cultura di pace che non può ovviamente costruirsi su dimenticanze, omissioni, errori”.

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Introduzione Il Sahara occidentale, chiamato Sahara spagnolo fino al 1975, è l’ultima colonia africana. E’ situato nel nord-ovest del continente africano e insieme a Marocco, Mauritania, , Algeria e Libia fa parte di quell’insieme di Paesi denominato Maghreb. Attraversato dal tropico del Cancro un po’ più a sud della citta di Villa Cisneros (Dakhla), è un territorio di circa 266.000 Kmq,3 che confina a nord con il Marocco (con una frontiera di 445 Km), a sud-est con la Mauritania (con una frontiera di 1570 Km), a nord-est con l’Algeria (con una frontiera di soli 30 Km a livello della regione di Tindouf, che dista solo 50 Km dalla frontiera) e a ovest con l’oceano Atlantico (con una costa di circa 1.062 Km.). Il Sahara occidentale, come molti Paesi africani, è frutto della colonizzazione europea, i suoi confini sono artificiali, non seguono alcun criterio di tipo geografico o etnico, ma la linea dei meridiani e dei paralleli e che derivano da svariati accordi tra le potenze coloniali europee, in particolare Francia e Spagna, all’inizio del XX secolo. Il suo territorio è prevalentemente desertico e piatto, con qualche altopiano che non supera i 400 metri d’altezza e comprende due regioni distinte: a nord la Sequia al-Hamra (82.000 Kmq) e a sud il Rio de Oro (184.000 Kmq). Il nome di questa prima regione deriva dal colore argilloso delle rive del fiume che l’attraversa e che, a causa delle scarse precipitazioni, è caratterizzato da un corso intermittente, Saquia al-Hamra significa infatti “fiume rosso”. Lungo le sue fertili rive cresce un tipo di vegetazione adatto all’allevamento, nella sua valle è possibile coltivare mais e orzo.

La zona nord-est, dal fiume Draâ al massiccio di Zemmour, chiamata Hammada, è occupata da un altopiano roccioso con depressioni saline, arido per le rare precipitazioni, ma con pendici abbastanza fertili che ospitano una vegetazione di arbusti.

La zona centrale e meridionale del Sahara occidentale corrispondente alla regione del Rio de Oro è infine caratterizzata da immense e monotone pianure (erg) e da dune di sabbia, salvo poi innalzarsi a sud con il massiccio montagnoso dell’Adrar Soutouf. In questa parte di deserto soffia un forte vento, per buona parte dell’anno; le acque piovane alimentano nel sottosuolo un’importante falda freatica che permette alle popolazioni nomadi la coltivazione dell’orzo. Oltre l’Adrar, si trova una striscia di steppa arida, che si ricopre di vegetazione nel periodo delle piogge, attraverso la quale si giunge al deserto arido e inospitale del Tiris.

Le coste del Sahara occidentale sono per lo più alte e frastagliate, ad eccezione della zona intorno a El Aioun, che si presenta sabbiosa, come quella di Villa Cisneros e la costa della penisola di Capo

3 Si tratta di un territorio dall’estensione non precisamente definita, in quanto, spesso le valutazioni rese dagli studiosi o dalle istituzioni della Spagna o dal Fronte Polisario divergono, tuttavia il dato della sua superficie è attestabile intorno ai

266.000 kmq e l’unica frontiera naturale è rappresentata dalla sua costa sull’oceano Atlantico. M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, , L’Harmattan, 1982, p. 9.

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Blanco, all’estremo sud. E’ qui che si trovano i principali porti del Sahara, nonostante la navigazione in queste acque dell’Atlantico siano particolarmente difficili, a causa delle forti correnti e dei banchi di sabbia, che sono stati la causa di numerosi naufragi nel passato.

Le piogge in Sahara sono scarse, sia sulla costa che all’interno del territorio (dai 30 ai 50 mm in media per anno), spesso sotto forma di violenti temporali, soprattutto in autunno. La mancanza d’acqua rende difficile ogni tipo di coltivazione e scarsi i pascoli per il bestiame.

Sulle coste il clima è più mite e temperato per le influenze atlantiche, mentre all’interno il clima è secco e arido con forti escursioni termiche, estati calde e inverni freddi. Il deserto è spesso battuto da forti venti, che provocano violente tempeste di sabbia.

Questo territorio vasto e desertico è attraversato da poche vie di comunicazione. Ci sono alcune strade asfaltate intorno a El Aioun per raggiungere Boucraa, , Bojador, Dakhla. Per il resto solo piste desertiche.

In un territorio così inospitale e difficile, la maggior parte della popolazione non può che praticare la vita nomade, spesso ignorando i confini. Ciò ha reso difficile raccogliere dati precisi sulla popolazione e sulla loro densità, che resta comunque sempre molto bassa.4 Ma, quanti sono i Sahrawi? Nel 1960 la Spagna ha censito in Sahara occidentale 18.489 abitanti, nello stesso periodo i Marocchini hanno parlato di meno di 50.000 persone, che sono diventate più di 500.000, secondo gli autori sahrawi.5 Possiamo dire che una valutazione esatta, ancora oggi, non è possibile. Questa situazione dipende da molteplici ragioni. Certamente le cifre fornite inizialmente dalla Spagna sono probabilmente state ridotte al minimo per accreditare la tesi della terra nullis; inoltre, dopo l’operazione “Uragano” del 1958, molti Sahrawi si sono rifugiati nei Paesi limitrofi. Per queste ragioni, con ogni probabilità, fino al 1960 il numero degli abitanti del Sahara occidentale censiti è molto ridotto.

Dopo il nuovo censimento realizzato dalla Spagna nel 1974, la popolazione totale del Sahara occidentale risulta di 95.019 abitanti, una densità molto bassa rispetto al territorio pari a 0,35 abitanti per Kmq, di cui 73.497 sono indigeni (pari al 77% della popolazione censita), di questi

4 Nel 1960 la Spagna comunica all’ONU che gli abitanti del Sahara spagnolo erano 23.793 (di cui 18.489 indigeni), nel 1966 sono 33.512, nel 1971 sono 59.777 indigeni. Questo considerevole aumento della popolazione, soprattutto a partire dal 1967, è dovuto alla crescente sedentarizzazione dei nomadi nelle principali città del Sahara, che ha facilitato le operazione di censo. Il Fronte Polisario stima la popolazione del territorio in circa 500.000 persone, di cui una parte costretta a rifugiarsi nei Paesi vicini. Nel 1975 il Polisario parla di 750.000 Sahrawi e 50.000 rifugiati ed esiliati politici. Queste stime, che arrivano a contare fino a un milione i Sahrawi, sono da considersi esagerate. I dati più realistici sono quelli del censimento spagnolo dell’autunno del 1974 e riportati nel rapporto della Missione delle Nazioni Unite nel Sahara spagnolo del 1975 (A/10023/Rev.1 Vol. III p. 39). M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, note p. 14. 5 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de (P.U.F.), 1984, p. 13. 13

38.336 sono uomini e 35.161 donne.6 Le cifre più vicine alla realità sono, senza dubbio queste ultime, ma anche questa cifra non è da considerarsi pienamente attendibile per diversi fattori. Intanto, la popolazione sahrawi è ancora una popolazione semi-nomade, che pascola il bestiame, ben oltre i confini del territorio sahariano sotto controllo spagnolo; inoltre il concetto di censimento non ha avuto un grande rilievo nel Maghreb. Spesso le famiglie hanno considerato queste operazioni come una sorta d’intrusione nell’intimità famigliare e non hanno quindi collaborato attivamente alle operazioni di raccolta dei dati. Tra coloro, che non sono stati censiti, anche i combattenti e i simpatizzanti del Fronte Polisario e le loro famiglie, perché già in lotta con gli Spagnoli per l’indipendenza, oltre a coloro che si sono rifugiati in Mauritania o in Marocco dopo il 1958. Tenendo conto di tutti questi fattori è possibile sostenere che la popolazione sahrawi nel 1974 é sicuramente superiore alla cifra fornita dal censimento spagnolo. E’ verosimile pensare che i Sahrawi residenti in Sahara siano circa 250.000.7

La società sahrawi è una società di tipo patriarcale, nella quale la donna gode di una certa importanza, organizzata in tribù differenti, ma con molti tratti in comune. Le tribù sono rette da un capo tribù (cheikh) e da un’assemblea tribale (djemaa) che riunisce i capi delle frazioni tribali. Nel Sahara spagnolo si contavano un ventina di tribù, ma otto erano le principali, a loro volta divise in 45 frazioni: Erguibat, Izarguien, Ulad Delim, Ulad Tidrarin, Ahl Arousien, Aït Lahcen, Ahl Ma el Aïnin e Yaggout. Malgrado le diversità, le tribù sahrawi formavano un popolo, cioè un insieme di persone relativamente omogeneo con una propria identità, una coesione sociale interna e una propria indipendenza.8 I Sahrawi erano cioè in possesso delle potenzialità necessarie per costruire una nazione, ma mancavano ancora di una coscienza nazionale e della volontà di vivere insieme, che compariranno solo molto più tardi.9

Quando l’esercito marocchino e mauritano hanno invaso il Sahara occidentale, gran parte della popolazione si è rifugiata in Algeria, nei pressi di Tindouf, seguendo le direttive del Fronte Polisario, rimettendosi ad esso per la sopravvivenza, dimostrando una totale fiducia nei confronti dell’organizzazione politica. Certo, l’invasione straniera del territorio e il conseguente esodo hanno rappresentato una profonda frattura nel popolo sahrawi che si è trovato diviso in due, da una parte l’esilio e dall’altra l’occupazione. Nonostante l’assenza di comunicazioni tra una parte e l’altra del muro i legami famigliari hanno continuato nel tempo a unire i Sahrawi. Paradossalmente, l’esilio e

6 M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 14 e 15. 7 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 13-15. 8 La parola popolo mette l’accento sugli elementi che avvicinano, sulle somiglianze e non le differenze e le diversità. Il concetto di popolo è un concetto sociologico e ideologico nello stesso tempo. M. Barbier, Il processo storico della formazione del popolo saharawi, in Sahara occidentale appunti di viaggio, a cura di G. Olmi, Roma, Edizioni associate, 1998, p. 17. 9 M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 16-17 e 22. 14 la guerra non hanno impedito al popolo sahrawi di continuare ad esistere e di rafforzarsi, anzi, la brutalità dell’occupazione ha accellerato un processo di trasformazione già avviato, che ha visto il superamento delle strutture tradizionali, basata sui capi tribù, con moderne istituzioni nazionaliste. Come tutti i popoli africani, anche il popolo sahrawi non è sempre esistito come tale, ma è il risultato di un’evoluzione progressiva e caratterizzata da un’eccezionale continuità, che l’ha reso un caso specifico in Africa. Le popolazioni del Sahara occidentale, sono state a lungo isolate dal resto del mondo, per questo sono state colonizzate tardivamente e in maniera lieve. La realizzazione della loro unità è stata lenta, la loro identità è rimasta a lungo sfumata, il che spiega in parte le pretese dei Paesi confinanti. Ma la storia ha avuto una forte accelerazione alla fine della colonizzazione e con l’avvio della lotta di liberazione, cosicché il ritardo accumulato è stato velocemente colmato. Questo popolo esiste perché si batte e si batte per esistere liberamente. Questa esperienza di esilio e di divisione continuerà senz’altro a segnare la storia di questo popolo quando ritornerà in patria. La sua evoluzione non è ancora terminata ma continuerà fino a quando non raggiungerà definitivamente l’indipendenza.10

A dispetto della sua geografia, il Sahara occidentale, pur essendo quasi totalmente desertico e scarsamente popolato, è un territorio che possiede enormi risorse economiche derivanti dallo sfruttamento del sottosuolo e dall’industria della pesca. Prima della scoperta di queste risorse l’economia sahariana era di tipo tradizionale, basata sull’allevamento del bestiame, soprattutto capre e cammelli e sull’agricoltura, in particolare la coltivazione di orzo nelle depressioni umide (300 ettari producevano 1.500 tonnellate di orzo nel 1972 e 7.000 tonnellate nel 1974).

Ma, la pesca, i fosfati, oltre al petrolio e al ferro sono destinati a modificare l’economia del Paese, tanto da attirare le mire degli Stati vicini.

Le coste del Sahara occidentale sono una delle zone più pescose al mondo. Si calcola che si trovino 190 specie differenti di pesci e molte varietà di molluschi e crostacei, soprattutto aragoste e gamberi. Mentre la pesca con piccole imbarcazioni vicino alla costa tra Tarfaya e Capo Bojador è resa difficile dalla presenza di barriere rocciose, nella zona sud, compresa tra Villa Cisneros e Capo Blanco, è invece più praticabile. L’attività di pesca può essere di tipo artigianale, con piccole imbarcazioni, che gli Spagnoli praticano da secoli a partire dalle isole Canarie, oppure di tipo industriale, un tipo di pesca iniziata dopo la Prima guerra mondiale industriale, praticata da flotte d’alto mare, storicamente giapponesi, sovietiche e sud africane, dotate di apparecchi di gran lunga

10 M. Barbier, Il processo storico della formazione del popolo saharawi, in Sahara occidentale appunti di viaggio, a cura di G. Olmi, Roma, Edizioni associate, 1998, pp. 17-28.

15 più moderni e capaci di raccogliere e conservare enormi quantità di pesce. 11 Se questa zona continuerà a essere sfruttata con questo ritmo da flotte di Paesi che, sono disponibili a fare il giro del mondo, per riuscire pescare la massima quantità di pesce nel minor tempo possible, la pescosità di quest’area di oceano è seriamente minacciata.12 Per quanto riguarda le risorse del sottosuolo, il Sahara occidentale è certamente ricco di petrolio, gas, uranio e ferro, ma soprattutto di fosfati.13 La scoperta delle miniere di fosfati risale al 1947 per opera del geologo spagnolo Manuel Alia Medina. All’inizio degli anni Sessanta, uno studio più dettagliato ha permesso di rilevare che questi giacimenti, che si trovano a centinaio di chilometri a sud-est di El Aioun, costituiscono una delle più grandi riserve al mondo di questo minerale (si parla di una riserva di 10 miliardi di tonnellate di minerale), che si presenta di una qualità eccezionale, nonostante l’alto contenuto di cloro che lo rende inadatto a certi utilizzi. Le miniere si estendono per 250 Kmq, sono suddivise in cinque zone, di cui la più importante è quella di Boucraa. Lo sfruttamento del minerale è molto agevole, visto che si tratta di filoni a cielo aperto. Nel 1962 è istituita l’ENMINSA (Empresa Nacional Minera del Sahara), una filiale spagnola dell’Instituto nacional de Industria, che nel 1969 ha istituito la Società dei Fosfati di Boucraa (FOSBUCRAA), che, con i prestiti ottenuti da due banche americane può affidare alla società tedesca Krupp la realizzazione di un nastro, lungo 97 Km, per trasportare il minerale da Boucraa al porto di El Aioun e quindi alle imbarcazioni per l’esportazione. L’estrazione dei fosfati inizia nel 1972 e la produzione passa dai 2,3 milioni di tonnellate nel 1974, a 10 milioni di tonnellate nel 1980. La maggior parte della produzione è esportata in Spagna, sulla base di un contratto concluso tra la società Fosbucraa e il governo spagnolo, la restante parte è venduta sul mercato mondiale, in particolare in Giappone. La società mineraria di Fosbucraa è un’impresa moderna, anche sul piano tecnico, che nel 1975 impiega 2.620 persone, di cui il 45% sono Sahrawi, anche se solo il 19% di questi occupa posti tecnici.

11 Grandi e ultramoderne navi da pesca hanno permesso di pescare, a livello industriale, enormi quantità di pesce. Nel 1969 sono state pescate nelle acque del Sahara occidentale, 1.281.500 tonnellate di pesce dalle flotte dei seguenti Paesi: Giappone 300.000 t., Canarie 250.000 t., Spagna 200.000 t., U.R.S.S. 200.000 t., Africa del Sud 100.000 t., Corea del Sud 50.000 t., Italia 45.000 t., Portogallo 22.000 t., Polonia 19.000 t., Bermuda 10.000 t., Cuba 8.000 t., altri Paesi 77.500 t.. nel 1972, 4.904 tonnellate di pesce sono state pescate a La Guera, solamente 97 a Villa Cisneros e 11 a El Aioun. M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 24 e nota p. 24. Secondo dati ISTAT del 2003 l’Italia ha importato dal Marocco pesci e prodotti a base di pesce per 83,4 milioni di euro. 12 Inventaire et explotation des richesse économiques, Rapport de Mme E. Assidon presentato all’incontro di Massy dell’1-2 aprile 1978, Paris, L’Harmattan, 1978, pp. 34-35. 13 Le esplorazioni realizzate, a partire dalla fine degli anni ’50, ci dicono che in Sahara occidentale esistono giacimenti di petrolio e gas naturale, anche se ad oggi non è possibile quantificare le riserve. Nel 1958 un piano di esplorazione accorda 43 concessioni a undici gruppi spagnoli e satunitensi. Secondo un ingegnere marocchino, Abraham Serfaty, la Esso identifica un grande giacimento petrolifero in Sahara occidentale ma che non verrà sfruttato a causa dell’incertezza sull’avvenire politico del territorio. Dalla fine degli anni ’60 i geologi hanno valutato che nel sottosuolo sahariano si trovano cica 70 milioni di tonnellate di ferro (si tratta del prolungamento delle minieri di ferro che si trovano in Mauritania) e il servizio minerario spagnolo ha infine rilevato la presenza di uranio, ma non ne ha valutato l’entità. Inventaire et explotation des richesse économiques, Rapport de Mme E. Assidon presentato all’incontro di Massy dell’1-2 aprile 1978, Paris, L’Harmattan, 1978, pp. 36-38. 16

Il Sahara occidentale con ogni probabilità è ricco di altri minerali: uranio, antinomio, rame, nichel, cromo, platino, manganese, stagno, ma su di essi si è sempre mantenuto il riserbo, probabilmente per non scatenare interessate rivendicazioni nazionalistiche o per non tradire progetti strategici; tuttavia, anche senza queste ultime risorse, il Sahara Occidentale rappresenta indubbiamente un territorio dalle crescenti potenzialità, tale da renderlo per anni degna posta in gioco di un conflitto, non a caso ancora aperto.14 Un territorio, un popolo, delle risorse naturali sono le condizioni necessarie per l’esistenza di uno Stato. Ma, questo, non è ancora il destino del Sahara occidentale e del suo popolo, che è vittima di una negazione, cioè della possibilità di decidere liberamente il proprio destino.

14 M. Barbier, Le conflit du Sahara Occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 28. 17

Capitolo 1. Il periodo pre-coloniale

1.1. Le origini

Furono gli arabi, i primi, che nel VII secolo d.C. (685) con una spedizione guidata da Oqba ben Nafi, governatore dell’Ifriqia (Tunisia), oltrepassarono il fiume oued Bou Regreb15 e raggiunsero il Sud del Marocco16 (oued Sous, oued Draa), fino a quel momento considerato il confine assoluto prima degli inesplorati spazi desertici, ritenuti fino ad allora inabitati. Si trattò di un’azione isolata che non diede inizio, almeno nell’immediato, a un processo di espansione verso quei territori, considerati inospitali e ostili. L’interesse degli arabi era infatti rivolto ai territori europei, le cui potenzialità economiche erano certamente superiori.

Moussa Ibn Noussair, nominato governatore dell’Ifriqia nel 705, fu il primo arabo a sottomettere ampie zone del Marocco, lo stesso che, nel 711, inviò attraverso lo stretto di Gibilterra un’armata berbera, agli ordini di Tariq b. Ziyad,17 che sconfisse i Visigoti e conquistò la Spagna in nome dell’Islam.

Fu nel corso dell’VIII e del IX secolo che l’espansione dell’Islam si diffuse nel deserto, soprattutto grazie allo sviluppo di un primo importante commercio transahariano, gestito dagli stessi arabi, lungo la cosiddetta “via dell’oro”,18 che correva da Sijilmâsa fino a Awdaghost19 (probabilmente l’attuale città mauritana di Tegdaust) nel regno del Ghana, così chiamata perché si scambiava l’oro del Sudan con il sale raccolto nelle saline di Teghaza. Le prime testimonianze relative alle tribù sahariane ci vengono fornite proprio dai commercianti arabi e musulmani che percorrevano tale via.

15 Fiume che sfocia nell’Oceano Atlantico tra e Salé (Marocco). 16 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p.16. 17 Fu nel 711 che iniziò l’avventura araba in Europa, quando Tariq, insieme ad un gruppo di berberi musulmani, sbarcò ai piedi della rocca che, ancora oggi, porta il suo nome (Djebel Tariq, la montagna di Tariq, da cui Gibilterra) e si concluse otto secoli più tardi, sotto la spinta della “riconquista” cristiana, con la sconfitta dell’ultimo regno arabo, quello di Granada, nel 1492. In pochi anni l’intera Spagna, chiamata allora al-Andalus entrò a far parte del dār al-islām (la terra dell’islam), come sancito dal fiqh, il diritto islamico. La Riconquista cristiana che ebbe luogo in Spagna fu una vera e propria guerra di religione, tanto che, dopo la caduta di Granada, il nuovo potere espulse per decreto musulmani ed ebrei. Per questo ancora oggi questa terra ha un forte valore simbolico e religioso per i musulmani. Bernard Selwan El Khoury, docente di Questioni arabe, sostiene che al-Andalus è un concetto ricorrente nei forum jihadisti, perché è considerato il “paradiso perduto dei musulmani” da riconquistare. In seguito degli attentati dell’11 marzo 2004 a Madrid, le autorità spagnole pensarono che si trattasse di una nuova strumentalizzazione del concetto di riconquista di al-Andalus, diffuso da ambienti salafiti. Nel periodo che va dall’11 settembre 2001 all’11 marzo 2004, la polizia spagnola tenne sotto osservazione i soldati che si convertirono all’islam. Dopo gli attentati di Madrid El Khoury affermò che l’opinione pubblica spagnola avesse una posizione più ostile nei confronti del mondo arabo-islamico che immaginava di riconquistare al-Andalus. Nel 2010 in Marocco fu smantellata una cellula jihadista denominata Fāth al- Andalus (la conquista di al-Andalus). Bernard Selwan El Khoury, Ritorno ad al-Andalus, in Limes rivista italiana di geopolitica - La Spagna non è l’Uganda - Gruppo editoriale l’Espresso, nr. 4/2012. 18 Gli Stati arabi del Mediterraneo occidentale, l’Ifriqia e la Spagna avevano bisogno dell’oro dell’Africa nera per stampare moneta, per questo si allearono con le tribù locali, che a loro volta si facevano concorrenza nel controllo delle principali piste carovaniere. 19 Zona interna del Bled es Sudan (‘paese dei neri’) in contrapposizione al Trab el Beidane (‘paese dei bianchi’). 18

Ma chi erano le genti che abitavano il Sahara occidentale?

Sembra che i Berberi (Amizigh, plurale di Imazighen: il nome significava in origine ‘uomini liberi’), una popolazione europoide dell’Africa del Nord, popolassero l’area già nel Neolitico (le popolazioni berbere sono citate nei testi egiziani fin dal 3000 a.C.).20 Per la loro depigmentazione21 i Berberi spesso erano assimilati agli arabi, che giunsero però in questa regione solo nel VII secolo.

E’ a partire dal I millennio a.C. il Nord Africa conobbe la colonizzazione di vari popoli, così i Berberi, che i greci e i latini chiamavano ‘barbari’, cioè coloro che non parlano greco o latino, furono dapprima sottomessi dai Fenici e dai Greci e poi dai Romani. Fu Erodoto, il padre della storia, vissuto nel V secolo a.C., a indicare i numerosi nomi delle tribù e la loro relativa collocazione geografica.22

Quando i Berberi furono sottomessi ai Romani cominciò a fiorire la cultura latina. L’arrivo del Cristianesimo trovò gli indigeni nordafricani pronti ad accogliere questa nuova religione.23

Le invasioni barbariche posero fine all’impero romano d’Occidente, senza risparmiare nemmeno il Nord Africa, che venne conquistato dai Vandali di Genserico tra il 430 e il 442 d.C..

La riconquista bizantina nel 534 con la spedizione condotta da Belisario, inviato da Giustiniano, fu seguita da scontri con le popolazioni berbere. Il dominio bizantino ebbe breve durata, stava infatti per affacciarsi da Oriente l’Islam, destinato a contrassegnare la storia successiva del Nord Africa fino ai giorni nostri. L’islamizzazione dei Berberi fu irreversibile. Ciò avvenne nel corso del VII e VIII secolo, a seguito delle prime invasioni arabe del Maghreb.

Fino agli inizi del XIX secolo, quando iniziò la colonizzazione europea, il Nordafrica venne chiamato dagli Europei Berberia (paese dei Berberi). Nel mondo arabo-islamico venne invece usata l’espressione Maghreb, che significa ‘Occidente’.24 Recentemente i Berberi usano l’espressione Tamazgha, che si riferisce a tutti i paesi dove è o è stata parlata la lingua Tamazight (la lingua dei Berberi). I paesi considerati facenti parte del Tamazgha sono: Marocco, Algeria, Libia, Tunisia, Egitto, Sahara Occidentale, Mauritania, Mali, Niger, Burkina Faso e le Isole Canarie (dove la lingua berbera/tamazight non è più parlata).

20 V. Brugnatelli, I Berberi. Elementi di storia, lingua, letteratura, Milano Università degli Studi Milano-Bicocca, 2006. 21 Almeno fino all’età del bronzo (1200 a.C. circa), tra le popolazioni berbere erano caratteristiche diffuse la pelle bianca, gli occhi azzurri e i capelli rossicci, come documentano le pitture rupestri del Tassili (Algeria). 22 Afri, per le popolazioni dell’ex dominio cartaginese (ancora oggi per gli arabi è l’Ifriqia); , più ad occidente, dove si costituirono due regni, quello Massyli (l’attuale Costantina in Algeria) e quello Masaesyli (restante parte dell’Algeria fino al fiume Molochath, oggi Moulouya); Mauritania con i , ancora più ad occidente tra Marocco e Senegal. 23 In Algeria a Thagaste (oggi Aouk Ahras) nel 354 nacque S. Agostino. 24 Come vedremo meglio in seguito Marocco deriva da Maghreb, ma spesso i due termini vengono erroneamente utilizzati come sinonimi. 19

Le tribù di origine berbera che vivevano nel Sahara erano gli Zeneti e i Sanhâja.

Gli Zeneti erano una tribù nomade che, già dal IX secolo, gestiva i principali centri commerciali nel nord del deserto. Nel 757, una delle tribù Zeneti, i Meknasa, dopo aver abbracciato la religione rivoluzionaria ed egalitaria dei Kharigiti, fondarono la città di Sijilmâsa, nel sud del Marocco.25

Le tribù berbere Sanhâja, che invece occupavano la regione a sud del Sahara già prima del VII secolo, vivevano in pieno deserto, praticavano l’allevamento dei cammelli e presentavano un sincretismo culturale con le popolazioni nere preesistenti (regno Soninké del Ghana). Nel X secolo i Sanhâja erano suddivisi in tre confederazioni, che insieme controllavano le saline di Teghaza: i Gudâla, che controllavano la costa atlantica, i Lamtûna che si collocavano a sud nell’Adrar mauritano e infine i Massûfa, che controllavano le zone orientali.

Nel 786 dopo che gli Zeneti estesero il loro dominio verso occidente, verso le oasi del Draa, le tribù Sanhâja furono costrette a spostarsi verso sud alla ricerca di nuovi pascoli. A rendere obbligatoria questa scelta contribuì un altro elemento decisivo: l’invasione araba.

Fu nel VII secolo che gli arabi iniziarono una campagna di conquista religiosa e politica del Nord Africa ispirata alla dottrina islamica. I berberi, che professavano ancora l’idolatria, mostrarono interesse ed apertura nei confronti della religione islamica, senza tuttavia superare la propria riluttanza a lasciarsi assoggettare completamente da un punto di vista politico.

La volontà dei Sanhâja di restare indipendenti fu decisiva, tanto da costringerli a dirigersi verso il sud del Sahara e combattere con le tribù nere africane del regno del Ghana, per restare competitivi nel commercio transahariano. Nel IX secolo Tiloutan riuscì a sconfiggere le tribù Soninké del regno del Ghana e ad occupare Awdaghost, che nel 990 venne ripresa dai Soninké, a causa delle mancanza di unità tra le tribù nomadi.26 I Sanhâja, costretti nel deserto dagli Zeneti a nord e dai Soninké a sud, si trovarono esclusi dal commercio, limitandosi a svolgere modeste attività di trasporto e guida, oltre che a dedicarsi alle razzie (ghazzi).

Intanto, nel 789 il bis-nipote di Alì,27 Idris, si stabilì a Volubilis (Oulili) nel nord del Marocco e fondò la dinastia degli Idrisidi (che proseguì fino al 986) e la città di Fez (Fas). Iniziò così una tradizione di dinastie indipendenti che governeranno il Marocco e che giustificheranno la loro autorità sulla base della pretesa discendenza da Maometto.28 Presero il potere dinastie che, pur

25 Sijilmâsa rimase Stato kharigita sotto la dominazione dei Meknasa (Zeneti) per oltre due secoli. Solo verso la fine del X secolo passò sotto l’influenza di altre tribù Zeneti, i Maghraoua che estesero la loro supremazia fino alle oasi della valle del Draa. Sijilmâsa era allora il più grande centro commerciale della regione nord del Sahara Occidentale. 26 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p.18. 27 Genero del Profeta Maometto. 28 Maometto non aveva eredi maschi diretti, coloro che si richiamano alla sua discendenza si riallacciano alla prole di Alì e Fatima, figlia del Profeta. 20 avendo un’origine berbera, tesero ad arabizzare e a cercare di legittimarsi forgiando genealogie collegate alla stirpe del Profeta. Tra le principali ricordiamo i Merinidi (1196-1464), i Saadiani (1511-1628) e gli Alawiti (1631 fino ad oggi).

Eretico era invece considerato il credo professato in Marocco dalla confederazione dei . Questa dottrina di origine Kharigita,29 che si affermò nel periodo 842-885, ebbe il suo profeta in Salih b. Tarif al-Ihudi (detto l’Ebreo).

Nel X secolo la tribù berbera dei portò al potere Ubayad Allah, che sosteneva di discendere da Fatima ed Alì (figlia e genero del Profeta) e diede origine alla dinastia dei Fatimidi.30 Questa dinastia pose fine ai regni Kharigiti di Taher e di Sijilmâsa e arrivò a riunire molti fedeli. Il nome Fatimidi, come vedremo in seguito, è legato a un evento destinato ad avere enormi ripercussioni in Nord Africa, sia dal punto di vista socio-economico che linguistico.

1.2. Gli Almoravidi

Verso la metà dell’XI secolo nel Maghreb ebbe origine la dinastia degli Almoravidi (1059-1147). Questa dinastia - sorta da una tribù berbera da poco islamizzata e appartenente alla confederazione dei Sanhâja - contribuirà attivamente a una prima islamizzazione del Sahara e del Sudan, attraverso il commercio del sale31 e rappresentava il riscatto dei Sanhâja nei confronti degli Zeneti e dei Soninké.

I Lamtûma32 (tribù della confederazione dei Sanhâja) che vivevano a sud nella regione del Tiris e dell’Adrar (Mauritania del nord), guidati dal marabutto Abdallah ibn Yasîn e dal loro capo tribù Abu Bekr ibn Omar, diedero origine alla dinastia degli Almoravidi,33 che gettò le basi di uno Stato teocratico fondato sulla conquista (jihâd) e sull’islamizzazione delle popolazioni conquistate (Zeneti e Soninké). A partire dal 1053 riuscì ad impossessarsi dei centri nevralgici dell’economia sahariana (Sijilmâsa nel 1053 e Awdaghost nel 1054-1055) e di tutti i vantaggi derivanti dalla gestione della via dell’oro.

29 I Kharigiti erano un movimento democratico, ma anarchico, che rifiutava l’autorità dei Califfi (i cui fedeli erano chiamati Sunniti) e dei discendenti di Alì, il genero del Profeta Maometto (i cui fedeli erano chiamati Sciiti) . I Kharigiti si distinsero in tre ramificazioni: Sufriti (di tendenza estremista), gli Ibaditi e i Nakkariti. I tre regni indipendenti furono: quello sufrita di Sijilmâsa (772-977) nel Sud del Marocco alle soglie del deserto, terminale delle carovane che portavano schiavi e oro dal Sudan; quello di Tlemcen, fondato nel 780, ma che ebbe breve durata; quello ibadita, fondato da Abd Al Rahman b. Rustum, che ebbe lunga durata e grande estensione (regno di Tahert oggi Tiaret). 30 I Fatimidi s’insediarono in Egitto dopo averlo conquistato. 31 E’ importante ricordare che il commercio del sale giocava un importante ruolo nello sviluppo del commercio sahariano, sin dalle origini, un ruolo che spesso era sottostimato rispetto a quello di altri prodotti, come l’oro e l’avorio. 32 Sempre della confederazione dei Sanhâja, i Lumtûma venivano descritti come mulattamun, cioè velati. 33 Secondo il sito www.treccani.it (s.d.) Almoravidi deriva da al-murâbitûn, cioè gente del ribat (convento fortificato) dove si riunivano per studiare la religione e addestrarsi alle arti belliche. Dinastia musulmana berbera che dominò in Marocco, parte dell’Algeria e della Spagna tra l’XI e il XII secolo. All’inizio furono riformatori religiosi alla guida di una comunità che iniziò una guerra santa per riunificare, sotto un unico dominio, i vari Stati del Maghreb occidentale. 21

Gli Almoravidi si diressero poi verso nord, in direzione del Marocco, per conquistare le fertili pianure della costa atlantica e l’Andalusia. Due avvenimenti ne ostacolarono l’avanzata: la morte di Abdallah ibn Yasîn34 e il ritorno di Abu Bekr ibn Omar nel Sahara per sedare alcune rivolte.35 Abu Bekr ritornò in Sahara con una parte delle truppe, e ne affidò il resto al comando del cugino Yusuf ibn Tachufin36, che nel 1062-1063 fondò Marrakech e in seguito conquistò tutto il Marocco (entità territoriale inventata da Yusuf), 37 Ceuta (1084), parte dell’odierna Algeria e tutta la Spagna musulmana, divenendo non più un alleato, ma il capo di un impero.

Entrambi negli anni che seguirono riportarono molte vittorie ed estesero il loro dominio su vasti territori. In teoria, durante il suo apogeo, l’impero Almoravide arrivò a comprendere la zona occidentale del Sahara, il Marocco e l’Andalusia, includendo un territorio che si estendeva da Saragozza al fiume Senegal.

Ma in realtà si trattava di due realtà distinte, createsi e consolidatesi intorno alle due figure di Yusuf e di Abu Bekr: Marocco e Spagna per Yusuf;38 le regioni del Sahara e del regno del Ghana per Abu Bekr39. Il Regno degli Almoravidi era affidato al comando di due persone diverse (anche se cugini) Yusuf e Abu Bekr, ciascuno si occupava di una parte dell’impero, non c’è infatti traccia dell’esistenza di organi preposti alla gestione comune. La storia li aveva divisi: Abu Bekr era rimasto sahariano, mentre Yusuf era marocchino.40

A sud, nel Sahara, la relazione tra i berberi e il regno del Ghana sembrava relativamente pacifica, grazie agli interessi commerciali comuni. Si creò un’alleanza tra le tribù berbere e la popolazione sudanese, che sfociò nei Sahaghaghû, che Ibn Battouta41 a metà de XIV secolo, vide insediati nei pressi del fiume Niger.42 Questa fragile coesione si dissolse molto presto, subito dopo la morte di

34 Morì nella battaglia contro la tribù dei Barghawata, a una trentina di km dall’attuale Rabat nel 1059. 35 Le tribù sahariane male accettavano la sottomissione agli Almoravidi e al capo dei Lamtûna. 36Yusuf Ibn Tachufin divenuto capo militare e religioso degli Almoravidi, nel 1061 ruppe con le tribù sahariane. Dopo la conquista di Marrakech, si assicurò il controllo del nord del Marocco, conquistò Fez nel 1069 ed estese il suo dominio fino all’ovest algerino. Tutti i sovrani del Marocco dopo Tachufin portarono il titolo di “Amir el Moumenin” (‘principe dei credenti’). R. Rézette, Le Sahara occidentale et les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, p. 41. 37 A. García, Historia del Sahara. El mejor u el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, p. 41. 38 Nel 1031 l’Andalusia si scompone in piccoli Stati su base etnica, governati da sultani ed emiri. Quando questi staterelli non furono più in grado di resistere all’invasione cristiana, chiesero aiuto all’emiro dei musulmani del Maghreb, l’almoravide Yusuf ibn Tachufin, che rispose all’appello e che nel 1086 sconfisse l’esercito cristiano a Zalaca. 39 Abu Bekr proseguì la sua conquista del regno del Ghana e sottomise nel 1076 le regioni del Senegal e del Niger occidentale. R. Rézette, Le Sahara occidentale et les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, p. 41 40 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 20 - 21. 41 Ibn Battouta (Tangeri, 1304 – Fez, 1368-69), esploratore e viaggiatore berbero. Per l'importanza e vastità delle sue esplorazioni geografiche è considerato il Marco Polo del mondo arabo. 42 Questo movimento di popolazione è poco studiato, ma ha prodotto una lingua franca, praticata in tutto il sud del Sahara Occidentale, l’azzer. E’ un dialetto soninké fortemente impregnato di berbero. E’ la lingua dei commercianti in tutta questa area geografica. 22

Abu Bekr, avvenuta nella battaglia di Tagant, in Mauritania, nel 1087. Il non-intervento di Yusuf nei confronti delle tribù sahariane nella guerra santa contro i pagani del Ghana, al fine di preservare quello spirito di coesione e unità, per cui Abu Bekr si era impegnato a fondo, dimostrò che la dinastia degli Almoravidi si disinteressava del deserto.43 L’impero di Yusuf andava perdendo le sue origini sahariane per proiettarsi in una dimensione mediterranea.

E’ importante soffermarsi su tutte queste affermazioni, perché ci offrono la possibilità di inquadrare la questione sahrawi, proprio a partire dalla interpretazione dell’epopea almoravide.

E’ inoltre importante ricordare che gli Almoravidi hanno un’origine sahariana, nonostante parte della storiografia abbia occultato tale origine e pertanto reso difficile agli stessi sahrawi identificarsi con i loro lontani antenati, ed abbia esitato ad attribuire alla storia del Sahara occidentale un Impero nato dal nulla, a tutto vantaggio del Marocco,44 che non ha resistito alla tentazione di appropriarsi di una parte di passato, che non gli apparteneva. Ma, anche se riconoscessimo al Marocco di aver espropriato le popolazioni sahariane di una parte della loro storia, ciò non sarebbe sufficiente ad affermare una supremazia storica e politica del Marocco sul Sahara Occidentale.

Partendo da questi presupposti, è possibile sostenere che l’idea del Grande Marocco45 si rifà proprio all’impero Almoravide?

43 F. De La Chapelle, Esquisse d’une histoire du Sahara occidental, in Hespéris. Archives Berbère set Bullettin de l’Institut des Hautes-Études marocaines, tome XI, 1950, p. 65. 44 Al Marocco è attribuito un passato che non è solo il suo, espropriando le popolazioni sahariane di una parte della loro storia. Nell’opera di C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presse Universitaires de France (P.U.F.),1984, si individuano le ragioni di tale atteggiamento nel fatto che la storia del Marocco è stata oggetto di analisi scientifica prima di quella del Sahara, nei confronti della quale, inoltre, gli storici hanno sempre avuto dei ‘pregiudizi’. 45 Questa tesi del ‘grande Marocco’ viene sostenuta nell’opera di R. Rézette, Le Sahara occidentale et les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, p. 35, anche se il progetto politico vero e proprio viene presentato per la prima volta nel 1956 da Allal Al Fassi, leader del partito Istiqlal, il quale propose la riunificazione di circa 2,5 milioni di kilometri quadrati di territorio, compresi tra la costa del Mediterraneo fino al fiume Senegal, includendo il sud-est dell’Algeria, la Mauritania e il nord del Mali. Questa posizione di Rézette si inserisce perfettamente nell’economia generale della sua opera attraverso la quale egli “si propone di dimostrare che il Sahara occidentale, come la Mauritania e le regioni confinanti dell’Algeria, non hanno mai cessato di essere sotto l’influenza politica, economica, culturale del Marocco” p. 10.

23

24

Gli elementi fin qui esaminati non bastano a sostenere un legame storico tra Marocco e Sahara Occidentale, ma anzi, ci inducono a riconoscere che, nonostante un momento comune, la storia del popolo marocchino e quella del popolo sahariano hanno seguito, da questo momento in poi, strade diverse. Anzi potremmo affermare che nell’epopea almoravide, tra l’XI e il XII secolo, la realizzazione del grande Marocco, dall’Atlantico al Senegal, è in realtà la realizzazione di un grande Impero sahrawi.46

In Sahara, la fragile coesione sociale e culturale dell’impero almoravide portò ben presto all’insorgere di conflitti tra le tribù, soprattutto dopo la morte di Abu Bekr.

Due secoli più tardi i Sanhâja si trovarono di fronte alle prime invasioni di tribù di beduini arabi, venuti dall’altra parte dell’Africa del Nord, senza essere capaci di resistervi efficacemente. Tutto ciò modificherà profondamente l’assetto della regione.

1.3. L’invasione hilaliana

Nell’XI secolo, la dinastia musulmana berbera degli Ziriti, luogotenente dei Fatimidi in Ifriqia, si rese indipendente ripudiando la fede sciita. Ciò attirò nell’area la furia devastatrice dei Banu Hilal, tribù arabe particolarmente agguerrite e abituate a vita nomade, cui seguirono i Banu Sulaym e più tardi i Banu Ma’qil, tutte di origine yemenita. I Fatimidi trovarono così il modo di liberarsi di queste tribù, che, visto il loro carattere bellicoso, potevano infastidire gli agricoltori egiziani.

L’invasione hilaliana dell’Ifriquia, iniziata nel 1050, portò profonde trasformazioni nella cultura e nella lingua dei berberi: si diffuse il pascolo, che diventò l’attività prevalente rispetto all’agricoltura, si progredì notevolmente nell’arabizzazione linguistica delle campagne, che fino ad allora erano rimaste sostanzialmente berberofone.

I Bani Hasan (uno dei cinque rami in cui era divisa la tribù dei Maq’il), che progressivamente occuparono il Sahara a partire dal XIII secolo, erano legati agli Hilaliani e accompagnarono il loro movimento verso ovest. Ibn Khaldoun 47 ipotizzò che i Ma’qil Bani Hasan fossero originari dell’Arabia del sud, yemeniti, più precisamente, discendenti di Quda’a ibn Malik ibn Himyar.48

A metà del XIII secolo i Beni Merin, berberi Zeneti del sud-est marocchino, si allearono per un periodo di tempo con gli arabi Ma’qil, per combattere gli Almohadi49 e fondare una nuova dinastia

46 F. Chassey de, Données historiques et sociologiques sur la formation du peuple sahraui, Paris, L’Harmattan, 1978. 47 Ibn Khaldoun (Tunisi 1332 – Il 1406) è stato il massimo storico e filosofo del Nord Africa, viene considerato un sociologo ante litteram delle società araba, berbera e persiana. 48 Se questa è la loro origine significa che i Ma’qil sono cucini dei Berberi Lamtûna, perché anch’essi rivendicano una discendenza yemenita. Vi sono altre teorie che riportano i Bani Hasan a Ja’far al-Tayyar ibn Abu Talib (fratello di Alì e cugino del Profeta) alla famiglia del Profeta. 49 Fu la dinastia che scalzò gli Almoravidi. Anche gli Almohadi nacquero da una forte spinta religiosa, Al Muwahhidun, da cui derivava il nome Almohadi, significava infatti “gli affermatori della unicità di Dio”. Il fondatore fu Ibn Tumart 25 sulle ceneri di quella almohade. Nel 1248 occuparono Fes e nel 1269 Marrakech. A questo punto i Merinidi sciolsero l’alleanza con i Ma’qil, desiderosi di oltrepassare la catena dell’Atlante per raggiungere le pianure dell’Atlantico. Il sultano merinide Abou Youssef (1258-1286) nel 1271 inviò prima una spedizione punitiva contro i Ma’qil, che nel frattempo si erano stabiliti nella valle del Draa, e tre anni dopo assediò la città di Sijilmâsa, in quel momento proprio sotto la dominazione degli arabi Ma’qil.

A partire dalla fine del XIII secolo, i Ma’qil sottoposti a continue pressioni da parte di Merinidi, insieme ad un gruppo di Bani Hasan, decisero di lasciare, a poco a poco, la valle del Draa e di dirigersi verso sud, in direzione del Sahara occidentale, ove stazionavano i Sanhâja,50 per trovare nuovi pascoli. Non si trattò di una invasione brutale, ma di una interazione progressiva, durata all’incirca tre secoli, 51 nel corso dei quali trovarono il giusto equilibrio elementi propri della struttura sociale e culturale araba e berbera, senza forme di assorbimento di una popolazione da parte di un’altra, anche se questo contatto contribuì a trasformare profondamente la struttura tribale sahariana.

Le tribù berbere, come i Sanhâja che predominavano in epoca almoravide, nei secoli successivi lentamente sparirono, per dare vita ad un popolo di lingua araba, con una tipica cultura tribale beduina, oggi conosciuto con il nome di Mauri.52

I Mauri erano un popolo con un’origine araba-berbera-nero africana, 53 che parlava la lingua hassanya, dedito alla pastorizia-nomade, che abitava in una parte del Sahara piuttosto vasta, che si estende dalle rive del fiume Draa al nord, alle rive del fiume Senegal a sud, dalle coste dell’Oceano Atlantico ad ovest, ad una zona desertica impenetrabile ad est, aree che oggi fanno parte della Mauritania orientale. Per i Mauri questa terra era detta “trab el-biedan”, il “paese di bianchi”, per distinguerla dalla zona abitata dai neri africani che vivono più a sud (‘bled es Sudan’ ‘paese dei che si proclamò Mahdi (figura messianica attesa dai musulmani alla fine dei tempi per combattere l’Anticristo e riportare bene e giustizia) conquistò tutti i territori almoravidi (nel 1147 ci fu la presa di Marrakech) in Nord Africa, in Spagna e il suo impero si espanse fino alla Libia (1147-1229). L’impero fu caratterizzato da una intolleranza politica nei confronti delle altre religioni: è in questo periodo che sparirono le comunità cristiane autoctone e molti ebrei vennero portati alla conversione forzata. L’età degli Almoravidi e degli Almohadi furono cruciali per la storia dei berberi che preferirono abbandonare la loro lingua e la loro cultura d’origine a favore dell’arabo ed adottando in pieno la cultura arabo-islamica. 50 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris: L’Harmattan, p. 22. 51 Joao e Valentín Fernandez, due pionieri portoghesi che visitarono il Sahara nel XV secolo, confermavano l’egemonia degli “alarves” (arabi) sugli “znaga” (sanhâja), ma non la loro totale sottomissione. Un secolo dopo Leone l’Africano durante un suo viaggio da Fez a Timbouctou, affermava nella sua “Descrizione dell’Africa” che gli Hasan avevano occupato il Sahara occidentale e i loro greggi pascolavano dal fiume Draa fino al Senegal. Nominò diverse tribù arabe, tra le quali riconosce i Ulad Delim. Gente povera, mal vestita, che viveva di furti e in modo miserabile, ma che era specialista nell’arte della guerra. Il progetto di trasformazione culturale profonda si concluds con la guerra di Char Boubah (all’incirca 1644-1674). 52 Secondo alcuni storici il termine Mauri deriva dal fenicio Mauharin, occidentale. 53 Metissage con gli schiavi e i loro discendenti, risultato di un complesso processo d’integrazione tra la tribù berbera Sanhâja e la tribù araba dei Bani Hasan. 26 neri’). Del popolo dei Mauri facevano parte in questo particolare momento storico, oltre ai nomadi mauritani, anche i Kounta del Mali, i Ergeibat, i Tadjakant d’Algeria, alcune frazioni dei del Sud del Marocco, i Sahrawi o Mauri del Sahara Occidentale.

1.4. La società tribale del Sahara occidentale

La società tribale del Sahara occidentale (Ahel es-Sahel, a partire dal XX secolo, dopo la spartizione del Sahara occidentale tra Spagna e Francia, si cominciò a chiamarli “sahrawi”) si presentava gerarchizzata, cioè suddivisa in “stati” o “ordini”, così come accadeva nella società medioevale, in base ai quali le tribù erano classificate e suddivise, secondo l’attività dominante, in una sorta di classe sociale, ciascuna con un preciso ruolo sociale.

La posizione di vertice spettava alle tribù arabe guerriere (ahel ‘mdaf’ – gente del fucile). Appartenevano a questo ordine le più temibili tribù del deserto, famose per il loro orgoglio e per la loro ferocia.54 La lingua araba che si parlava in Sahara occidentale si chiama hassanya, proprio perché la maggior parte degli arabi che si insediarono in questa zona erano i discendenti di Hasan ben Abdelhadi ben Yafar ben Abi Taleb, parente di Alí, genero del Profeta. Quando si usava il termine “hasani” si faceva riferimento al guerriero per antonomasia, che discendeva dalle tribù arabe, oltre che dalla famiglia del Profeta. Molte tribù che si consideravano discendenti del Profeta e che quindi erano dette šorfa (singolare šerif). Un šerif, per essere considerato tale, doveva conoscere a memoria i nomi dei propri antenati fino a Maometto. Tra le tribù considerate šorfa55 ricordiamo quella degli Ahel šeij, come Ma el ‘Ainin, degli Arosien, dei Ergeibat o Rgaybât, la principale tribù sahariana che si suddivideva in Ergeib es sahel (Erguib della costa) e Ergeib es šarg (Erguib dell’est). La qabila degli Ergeibat, che giocò un importante ruolo nel corso del XIX secolo nel Sahara occidentale, discendeva da Sîd Ahmed ar-Rgaybi, discendente del Profeta e di lignaggio arabo.

Al secondo ordine si trovavano le tribù che nel Sahara erano chiamate zwaya56 (ahel ktub – gente del libro) e che al nord erano denominate marabús. Gli zwaya, di origine Sanhâja,57 erano dediti alla religione ed all’insegnamento.

54 Le tribù guerriere indicate da Baroja sono: i Tekna a nord, gli Ulad Delim a sud, gli Ulad El-lab, gli Ulad Suij o Ergeibat, gli Skarna, gli El Gerrà. I più conosciuti sono gli Ulad Delim. J.C. Baroja, Estudios saharianos, Madrid, Calamara edicion, 1955. 55 Dal punto di vista storico è difficile stabilire in quale esatto momento queste dinastie, ancora oggi esistenti, siano giunte nella zona occidentale del Sahara. 56 Si distinguevano in zwaya dell’ombra e del sole. I primi pagavano piccoli tributi (ghaffer) alle tribù guerriere in cambio di protezione, i secondi erano liberi, ma senza alcuna protezione. 57 La decisione di “abbandonare la spada per il libro” fu presa dai Sanhâja per porre fine alla guerra con i Beni Hasan nell’ambito dell’accordo di Yefdad che pose fine alla guerra dei trent’anni di Char Boubah (1644-1674 circa). 27

Al terzo ordine stavano le tribù tributarie, chiamate znaga o lhama (carne senza ossa), che in cambio di protezione pagavano un tributo (horma) ad una famiglia della tribù dei guerrieri, a cui erano sottomesse. Anche gli znaga, abitualmente dediti alla pesca o al pascolo, erano di origine Sanhâja.

Al quarto ordine della scala sociale stavano i maalemin, gli artigiani che lavoravano per le tribù. Il ma’lem era l’”uomo faber” del deserto che lavorava il ferro e il legno, mentre sua moglie lavorava e cuciva il cuoio. Si diceva che i maalemin fossero di origine ebraica.58

Infine, al quinto ordine si trovavano gli schiavi (‘abid), che arrivarono in Sahara in un primo momento come schiavi dei Berberi e che in seguito diventarono oggetto di un commercio vero e proprio. Nel tempo gli ‘abid potevano affrancarsi e diventare così degli schiavi liberati o , pur rimanendo alle dipendenze di una famiglia, alla quale dovevano pagare un tributo in cambio di protezione, come nel caso degli znaga.

Le gerarchie tribali in realtà erano molto più complesse di quanto può apparire da questa suddivisione, alquanto schematica. Certamente possiamo dire che le tribù non erano mai omogenee, ciascuna al proprio interno aveva caratteristiche particolari, che le derivavano da coloro che ne erano parte.59

58 Il fondatore era un ebreo catturato nella battaglia di Jaibar, all’epoca del Profeta, che una volta convertito all’Islam, si dedicò al lavoro manuale in segno di sacrifico e sposò una donna nera. Da questo matrimonio nacque la casta che discendeva dagli ebrei e dai neri. J.C. Baroja, Estudios saharianos, Madrid, Calamara edicion, 1955 59 “Estamos seguros que no hay ninguna cábila que tenga sangre limpia, de un mismo origen, porque las cábilas se han mezclado entre ellas. Todas tienen sangre Sanhaya, Arab, Chorfa y negra.” A. García, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, p. 45. 28

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Non era solo l’organizzazione sociale60 a distinguere i Mauri dalle altre popolazioni, ma anche particolari tratti culturali e di organizzazione politica. Le tribù61 del Sahara Occidentale erano tribù nomadi dedite alla pastorizia, caratterizzate da una evidente unità linguistica, culturale e sociale, che le contraddistingueva dai Tuareg di cultura berbera, che occupavano l’area orientale del Sahara. Prima del Congresso di Berlino (1881-1884) le tribù del Sahara Occidentale si muovevano ben oltre i confini delle regioni del Saquia el Hâmra e Rio de Oro (Sahara spagnolo), percorrendo in lungo e in largo un ampio territorio compreso tra l’Atlas marocchino e le rive dei fiumi Senegal e Niger,62 parlavano l’hassanya, un dialetto definito la “lingua dei beduini”, introdotto dalle tribù Bani Hasan, giunte nel Magreb tra l’XI e il XII, che si distingueva significativamente dai dialetti magrebini.63

Alcuni scrittori francesi64 scrivevano dei nomadi del deserto distinguendoli in: “grandi nomadi”, “piccoli nomadi” o “semi nomadi” e sedentari. Baroja 65 precisava, che all’epoca della colonizzazione spagnola, la popolazione che viveva nella zona compresa tra Ifni al fiume Draa era sedentaria, lasciava cioè saltuariamente le proprie case per praticare una sorta di transumanza; coloro che vivevano nell’area compresa tra il fiume Draa al fiume Saquia el Hâmra erano invece i transumanti o ‘semi-nomadi’ mescolati ai ‘grandi nomadi’; infine, più a sud del fiume Saquia el Hâmra non si trovavano altro che ‘grandi nomadi’.

Gli uomini sahrawi, ‘grandi nomadi’ del deserto, indossavano vestiti di cotone blu, le deraa e una specie di turbante nero, per proteggersi dal vento e dalla sabbia, el-tham; utilizzavano un particolare

60 I membri di una tribù o qabila dovevano avere un antenato comune, discendente per linea paterna, situato in cima all’albero genealogico. La tribù si suddivideva in diverse frazioni (afkhad), aventi antenati comuni e in sotto-frazioni più piccole, corrispondenti alle famiglie allargate. Esisteva in ogni tribù un sentimento di solidarietà, detto assabiya, necessario ad ogni individuo per poter sopravvivere in un contesto totalmente anarchico, come il deserto. Il patto di solidarietà tra individui, tra gruppi o tra tribù intere poteva essere adottato da qualunque qabila: si creava così uno spirito di solidarietà completamente artificiale, senza alcune legame di sangue. Un patto di questo tipo può dar vita ad una nuova qabila, che riuniva elementi estranei intorno ad una famiglia prestigiosa di un uomo santo o di un guerriero. Questo fu il caso della tribù degli Ergeib (discendente da Sidi Ahmed Reguibi discendente da un santo riconosciuto appartenere al lignaggio del Profeta) che riunì intorno a sé tutte le frazioni ergeibi riconosciute genealogicamente, ma anche gli sconfitti e chiunque volesse beneficiare della egemonia della tribù, della protezione garantita per uomini e greggi. Tutto ciò rese potente e importante dal punto di vista territoriale, demografico, economico, politico e militare la tribù degli Ergeibi in ambito regionale. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 25. 61 Il termine tribù è ancora oggi al centro di un dibattito aperto e controverso che vede opposte concezioni. Nel XIX secolo l’evoluzionismo considera le tribù delle organizzazioni sociali fondate su rapporti di parentela, che precedono la formazione di società-stato più complesse. Le tribù sono state a lungo considerate società umane caratterizzate da omogeneità culturale e linguistica, che non necessariamente dovevano condividere un territorio. Non è raro trovare sottogruppi di una stessa tribù stanziate in territori lontani. Per questo, a livello politico, il concetto di tribù è contrapposto a quello di stato. In realtà a tutt’oggi il dibattito è ancora aperto, molti tendono a rifiutare questa teorizzazione, che contrappone le società organizzate in stato e le società “senza stato”. P. Bonte, Essai sur les formations tribales du Sahara occidental, Bruxelles, Group Luc Pire, 2007 62 Quello stesso territorio è stato ripartito a seguito della colonizzazione tra Sahara spagnolo, Marocco, Mauritania e Algeria. 63 P. Bonte, Essai sur les formations tribales du Sahara occidental, Bruxelles, Group Luc Pire, 2007. 64 J. Célérier, Le Maroc, Paris, 1945. 65 J.C. Baroja, Estudios saharianos, Madrid, Calamara edicion, 1955.

30 modo di sellare e di equipaggiare i cammelli (rahla e tassoufra); amavano la libertà e la parità tra i sessi; erano poveri, ma forti e resistenti per sopravvivere nel deserto; la loro poesia, mescolata alla religione, era capace di esprimere l’umanità nella sua semplice bellezza.

Le tribù sahariane erano inclini alla guerra e ai saccheggi, si spostavano continuamente alla ricerca di pascoli e di acqua in uno spazio immenso e inospitale come il deserto, dove non esisteva alcuna autorità sopratribale capace di mantenere l’ordine. I nomadi erano ben preparati ed equipaggiati per la guerra, che considerano una delle migliori vie per acquisire onori e fortuna. Il senso di insicurezza che derivava da questa situazione portava inevitabilmente le tribù ad allearsi o a firmare accordi di protezione, che potevano essere equi e vantaggiosi per le parti.

Nelle società nomadi i dromedari-cammelli con una sola gobba (ŷmel, plurale ŷmal) erano essenziali alla sopravvivenza. Grazie al loro enorme stomaco, che può contenere duecentocinquanta litri di acqua, i cammelli possono viaggiare senza bere per cinque giorni nei periodi più caldi dell’estate e sette giorni nei periodi invernali; possono percorrere sessanta chilometri al giorno, sono adatti al carico (possono trasportare fino a 150 Kg.). Per tutte queste ragioni questi animali erano molto utili per le famiglie nomadi (famiglie allargate composte da membri appartenenti a più generazioni), che nella loro migrazione continua dovevano trasportare beni e merci su lunghe distanze. I nomadi usavano inoltre la loro lana per fabbricare le tende (khaimat) e dalla loro pelle ricavavano il cuoio. Il dromedario-cammello femmina (nagé, plurale niag) poteva essere considerato il perno dell’economia sahariana, perché oltre a produrre latte, uno degli alimenti base della dieta dei nomadi (un cammello femmina può produrre fino a 6 litri di latte al giorno e fino a 12 litri durante i 6 mesi di allattamento), dava prole e poteva essere utilizzato per il trasporto.

La popolazione sahariana che vive ancora oggi nel Sahara occidentale è chiamata il “popolo delle nuvole”. I nomadi, infatti, osservavano il cielo per seguire le nuvole e dirigersi verso la pioggia per garantire il pascolo ai cammelli, ma anche per orientarsi, in un ambiente privo di punti di riferimento precisi e dove per sopravvivere è necessaria una buona conoscenza del terreno (attitudini che hanno largamente contribuito alla vittoria dei guerriglieri del Sahara Occidentale nel XX secolo). I nomadi facevano corrispondere ai punti cardinali precise aree geografiche: Tell (nord) Gibla (sud), Sahel (ovest), Sarg (est).

I prodotti forniti dai cammelli e dalle capre non erano sufficienti per soddisfare le necessità dei nomadi, che dovevano periodicamente recarsi presso i mercati di Tindouf e di Goulimine, al nord del Draa, per scambiare i loro prodotti (cammelli, lana, pelli) con cereali, tè, zucchero, armi e prodotti manifatturieri. Praticavano il commercio carovaniero per procurasi beni preziosi come oro,

31 schiavi, piume di struzzo, gomma arabica da scambiare nei mercati del Maghreb e dell’Europa in cambio di tessuti.

Per quanto riguardava l’organizzazione politica, i notabili di ogni tribù (cheikh), quindi le persone più rispettate per età, saggezza o ricchezza, si riunivano in assemblee con funzione governativa e legislativa, denominate ŷema’a, quando particolari circostanze lo richiedevano. A livello di tribù questa assemblea, chiamata Aït Arbain, il Consiglio dei Quaranta, si riuniva generalmente in sedute straordinarie in tempo di guerra o di grave crisi, per organizzare la difesa della tribù, ordinare degli attacchi e nominare un capo militare. La vita politica nella società sahrawi precoloniale era una questione collettiva, basata su un sistema democratico ed egualitario, che non aveva niente a che vedere con i sultanati marocchini del nord e gli emirati mauritani del sud. Normalmente, ad eccezione di momenti particolarmente critici, era molto difficile che una intera tribù si trovasse in uno stesso luogo. A causa della mancanza di pascoli e acqua infatti le tribù erano generalmente disseminate in spazi molto ampi e in un grande numero di accampamenti (firqan, singolare friq), dove era impossibile costituire in modo duraturo una autorità sopratribale. In periodi di guerra era quindi possibile che le decisioni fossero prese da una parte della tribù e non a livello di tribù.

Solo nelle zone in cui le precipitazioni erano più abbondanti era possibile concentrare un maggior numero di popolazione (sud e ovest della Mauritania dove le precipitazioni erano più abbondanti, da 7 a 12 centimetri l’anno), a differenza di quanto invece era possibile nelle zone di deserto più aride e poco popolate, come quelle comprese tra l’Adrar e le rive del Draa, dove piovevano meno di 5 centimetri di pioggia all’anno. Un clima così ostile aveva portato le tribù sahrawi a non sottomettersi mai agli emiri66 mauritani, né al sultanato del Marocco.

Questi erano alcuni dei tratti culturali propri del popolo mauro, che caratterizzano ancora oggi la popolazione del Sahara occidentale.

66 Una maggiore concentrazione di popolazione in un luogo, dovuta ad una maggiore disponibilità di acqua e di pascolo, porta alla sedentarizzazione o al semi-nomadismo e dà vita a degli emirati stabili o semistabili che si basano sulla trasmissione ereditaria. Gli emirati sono strutture più o meno centralizzate, governate da un emiro che cerca in ogni modo di garantire privilegi per sé e la sua famiglia. Ogni emiro è sostenuto dalla propria tribù o qabila che ostenta superiorità ed autorità sulle altre. In Sahara occidentale invece la superiorità bellica si traduce in superiorità politica, riconosciuta socialmente, senza alcuna imposizione fisica. “El la tierra de los emires esiste gentes que se dedican a al poesìa y la música (…) En nuestro Sahara, en cambio, existía un sistema más democrático, más igualitario. Porque para vivir aquí hay que tener fuerza, vivir de tu proprio trabajo, de tu sudor, de tu pastoreo. Yo por ejemplo era poeta, pero también pastor del ganado de mi propia familia.” (poeta sahrawi Badi – uld Mohammed Salem uld Mohammed Lamin uld Abdelahi). A. García, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, pp. 54 - 55.

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1.5. Il codice di Stato-nazione e la sua applicazione al problema del Sahara

Abbiamo già visto che a livello sociale in epoca precoloniale, le tribù nomadi del Sahara erano gruppi, che dal punto di vista socio-culturale, si identificavano in una specifica etnia o comunità etnica, ma che non si riconoscevano in una identità nazionale, nel senso moderno del termine.

La dura vita nel deserto e l’ostilità dell’ambiente imponevano ai “grandi nomadi” una sorta di anarchia individuale, che insieme alla dispersione e alla scarsa densità della popolazione facevano sì che esse non si riconoscessero in alcuna autorità centrale o struttura di potere sopratribale, cioè in un modello di società basata sulla superiorità e sull’imposizione, anche fisica, di governanti o istituzioni.67

Ciò che per i sahrawi assomigliava di più a un sentimento di unità nazionale era l’assabiya, lungamente studiata da Ibn Khaldun. L’assabiya è un sentimento di solidarietà, di coesione sociale che esiste tra i membri di una stessa tribù, cioè tra consanguinei e che si traduce concretamente in aggressività offensiva o difensiva di una tribù nei confronti di altre tribù, per aumentare la propria potenza e le alleanze, al fine di sopravvivere e salvaguardare la propria indipendenza.

Alcuni antropologi britannici hanno realizzato studi sulle società tribali dell’Africa settentrionale e hanno approfondito la teoria dei sistemi segmentari elaborata da Durkheim. L’organizzazione sociale delle tribù dei ‘grandi nomadi’, secondo Durkheim, è segmentaria, cioè basata su una coesione sociale fondata sull’interazione di gruppi tra loro omogenei, cioè dotati di analoghi sentimenti e valori. In queste società non esiste alcun tipo di gerarchia, nessuno prevale sull’altro, anche se i lignaggi (segmenti primari)68 possono acquisire una certa preminenza, dovuta perlopiù alla superiorità numerica, (come nel caso dell’aumento della confederazione degli Ergeibat tra il XVIII e il XIX secolo), ma senza arrivare mai al dominio istituzionalizzato.69

Indirettamente sono così spiegate in parte le ragioni alla base dei difficili rapporti tra il Regno del Marocco e le tribù del Sahara occidentale, ma anche delle difficoltà che gli europei hanno incontrato nell’impiantare basi commerciali sulla costa atlantica del Sahara: i sahrawi hanno lottato contro la penetrazione coloniale, così come oggi continuano a lottare per la loro indipendenza.

67 Abbiamo già visto come in alcune zone della Mauritania si costituissero a partire dal XVII secolo gli emirati. 68 I lignaggi sono chiamato anche “segmenti primari”, perché in effetti essi sono il quadro minimo di funzionamento di questo tipo di comunità, garantendo lo svolgimento regolare della vita economica, religiosa e politica dell’intera tribù. 69 Mentre Durkheim non si soffermava sulla natura di tali gruppi, l’antropologia sociale britannica dei decenni successivi ha elaborato una precisa teoria dei sistemi segmentari. Robertson Smith fece specifici studi sugli Arabi del deserto. 34

In contesto islamico, e quindi nell’area maghrebina, la nozione di “territorio” (dār al-islām) non è legata al concetto di Stato e ad elementi di carattere geografico,70 ma al concetto sociale-religioso della umma, cioè alla comunità dei credenti, il cui solo vincolo è la religione musulmana. Il concetto di territorio musulmano non è legato al jus sanguinis (discendenza da persone appartenenti allo Stato) o allo jus soli (nascita nel territorio statale), ma allo ius religionis.

Il territorio diviene categoria concettuale nel momento in cui è lo spazio delle attività della comunità dei credenti e, in quanto tale, non costituisce un elemento fisso, ma si estende contemporaneamente allo sviluppo della comunità. Tra territorio e comunità esiste un vincolo di carattere religioso, che attraverso un processo di aggregazione giungono a coincidere totalmente. Questa fu la prima delle argomentazioni utilizzata da Allal al Fassi nella campagna in favore del Sahara marocchino, musulmano e arabo (lingua e cultura comune).71

Le pretese marocchine sulle ‘province sahariane’ non si basano pertanto esclusivamente su fatti storici, ma anche su principi teorici legati alla nozione di ‘territorio arabo’, applicati al caso del Sahara. E’ quindi necessario innanzitutto riconoscere che la concezione occidentale di territorio, malgrado le apparenze, non è la stessa di quella araba.72

Furono i Romani che per primi elaborarono il concetto territoriale di frontiera. Ciò che gli antichi Romani chiamavano limes era una linea che divideva il mondo barbaro dal mondo civilizzato, lo spazio disorganizzato dal territorio romano. Dopo la caduta dell’impero romano bisognò attendere il Rinascimento e la costituzione dei primi Stati moderni, perché si definisse il significato attuale di territorio.

Generalmente nelle controversie internazionali si fa esclusivo riferimento al diritto internazionale occidentale, senza pensare di prendere in considerare altri sistemi giuridici. Il diritto musulmano, fino ad oggi relegato nell’ambito del diritto privato, trova il suo spazio anche nel diritto pubblico, così, dopo tanti secoli di oblio, è possibile fare riferimento ad altre interpretazioni dei concetti di potere, di territorio e di Stato.

70 La concezione occidentale di Stato-nazione è legata a tre elementi che ne costituiscono i punti di riferimento qualificanti: popolo, territorio e governo. Il territorio è “quella parte geograficamente limitata della terra che è sede stabile del popolo e, salvo casi eccezionali, del governo; il quale vi deve esercitare, comunque, la sua potestà di imperio.” Lavagna. 71 Spesso in Occidente si è cercato di contrapporre le nozioni di territorio arabo e musulmano. Certamente gli arabi, sono il popolo eletto: il Profeta era arabo, il Corano è scritto in lingua araba. In realtà il territorio arabo è la casa del popolo arabo, ma anche di tutti i musulmani, arabi e non arabi. Allal al Fassi dichiarava « Le Maghreb arabe tout entier réclame aujourd'hui que chaque partie du Sahara revienne au Pays auquel elle appartient géographiquement et historiquement ». 72 F. Maurice, La notion de territoire arabe et son application au problème du Sahara., in Annuaire français de droit international, volume 3, 1957, pp. 73 - 91. 35

Il diritto internazionale occidentale (che coincide esattamente con il diritto pubblico) nelle diatribe internazioni relative al territorio o alla modificazione dei confini procede secondo due criteri: le motivazioni storiche e giuridiche e il concreto esercizio della sovranità, cioè il governo e l’amministrazione di quel territorio. Dopo l’esame dei rapporti realizzati da esperti e la loro discussione, si definisce un accordo che viene emesso da un organismo internazionale attraverso un trattato.

Il giurista musulmano non esita a fare propri i principi del diritto internazionale, se li considera favorevoli, ma in caso contrario, l’esperto di diritto islamico non può ammettere che i principi derivanti dal diritto musulmano siano messi in discussione dal diritto internazionale: un diritto fondato sulla religione rivelata non può essere oggetto né di concessioni né di compromessi.

Il Marocco nelle sue campagne annessionistiche non ha mai esitato a fare riferimento ai principi del diritto occidentale, ogni qualvolta questi si sono presentati a proprio favore.

Per quanto riguarda le motivazioni storiche alla base delle rivendicazioni del Marocco sul Sahara occidentale è curioso constatare come tali motivazioni siano più legate a semplici constatazioni, piuttosto che a dati scientifici veri e propri, 73 tanto che nessun giurista occidentale le può considerare accettabili.

Come il Marocco anche il Sahara è stato conquistato dai compagni del Profeta e la popolazione sahariana è musulmana, di conseguenza fa parte dell’umma (comunità dei credenti). Secondo il diritto islamico queste affermazioni non devono essere dimostrate, ma per riunificare la patria è sufficiente verificare l’esistenza di due condizioni essenziali: l’appartenenza al dār al-islām e alla comunità araba. Per un giurista occidentale invece il Sahara o la Mauritania possono essere musulmani e arabi, ma non per questo devono essere necessariamente marocchini.

L’ambizione marocchina è in realtà quella di costruire l’Unità dell’Islam, di riunire tutta la comunità araba e islamica in un unico califfato, quindi di costituire un nuovo Stato musulmano. Il sultano marocchino, che ha avuto nel corso del tempo rapporti più o meno stretti con il Sahara, non può nemmeno immaginare il Sahara colonizzato da uno Stato non musulmano o come Stato indipendente, pertanto ha letteralmente “costruito” la certezza, che il Sahara occidentale è marocchino, attraverso la presa di coscienza da parte della comunità dei credenti del problema e la costruzione di una opinione pubblica favorevole alle tesi marocchine.

73 Il direttore dell’Alto Istituto religioso di Tétouan giustifica storicamente l’annessione del Sahara affermando: « Chacun sait que les Compagnons du Prophète avaient acquis la totalité du territoire marocain, que leur troupe, après avoir franchi l'Atlas, l'extrême Souss-Drâa, Sijilmâsa et le pays saharien étaient arrivée sur les côtes atlantiques. Le commandant de cette troupe, Okba Ibn Nafik, s'avança sur son cheval dans les flots de la mer et levant les mains vers le ciel, s'écria : Oh ! mon Dieu j'ai atteint l'extrémité de la terre. Ceci prouve que tout le territoire, y compris le Sahara, fut alors occupé ». 36

Fu a questo scopo che al Fassi (detto il ‘campione del Sahara’) organizzò le sue campagne di informazione, fondò la rivista Le Sahara marocaine, curò trasmissioni radiofoniche e televisive utili alla propaganda marocchina. Questo ovviamente valse per il Sahara, così come per le altre rivendicazioni marocchine (Ifni e presidi spagnoli di Ceuta e Melilla), che dovevano rientrare sotto il controllo della monarchia marocchina, come tutte le altre parti del Marocco.

Penso che prendere coscienza dell’esistenza di due punti di vista giuridici (occidentale e islamico), che spesso fanno riferimento a uno stesso vocabolario, dando però a ciascun concetto un significato profondamente diverso, sia un primo passo per andare verso un reale confronto, che può portare i paesi occidentali e arabi verso un progresso evidente. La questione del concetto di ‘territorio’ rientra proprio in questa categoria.

E’ importante ricordare però, che nel momento in cui i paesi arabi chiesero di entrare a far parte delle Nazioni Unite hanno, di fatto, accettarono di far parte di una comunità internazionale che aveva i suoi fondamenti nel diritto internazionale occidentale e nella sua Carta.

Fu nel secondo dopoguerra che il diritto internazionale riconobbe alcuni diritti ai popoli delle colonie. In particolare l’articolo 1 della Carta delle Nazioni Unite 74 attribuiva a tutti i popoli uguaglianza di diritti e in particolare il diritto di “disporre di loro stessi”, mentre l’articolo 55 collegava la cooperazione economica e sociale e lo sviluppo della pace, al rispetto del principio di uguaglianza dei diritti dei popoli e del diritto di disporre di se stessi. L’articolo 56, infine, obbligava gli Stati membri a collaborare con l’Organizzazione.

Il capitolo XI della Carta delle Nazioni Unite si riferiva poi in modo specifico ai Territori Non Autonomi. L’articolo 73 imponeva alle potenze coloniali, amministratrici del territorio, alcuni obblighi finalizzati a mettere nelle condizioni i popoli coloniali di amministrarsi autonomamente, ma di fatto non obbligava le potenze europee a favorire il raggiungimento dell’indipendenza.

Per consentire alle Nazioni Unite di esercitare il controllo della situazione, le potenze amministratrici si impegnarono a trasmettere regolarmente al Segretario generale un aggiornamento sulla situazione economica e sociale dei Territori Non Autonomi. Secondo queste disposizioni le potenze coloniali pur non esercitando più la sovranità sulle colonie, erano ugualmente responsabili nei confronti delle Nazioni Unite della loro amministrazione in modo provvisorio, fino a quando i rispettivi popoli non avessero esercitato il loro diritto all’autodeterminazione.

74 La Carta delle Nazioni Unite fu approvata a San Francisco il 26 giugno 1945 ed entrò in vigore il 24 ottobre 1945. Lo Statuto della Corte Internazionale di Giustizia è parte integrante della Carta. 37

Con l’adozione della risoluzione 1514 (XV) del 14 dicembre 1960 75 l’Assemblea Generale completò e rafforzò il sistema giuridico applicabile alla decolonizzazione su due punti essenziali: da una parte la legittimità della lotta, anche armata, affinchè ogni popolo possa avere la possibilità di esercitare il proprio diritto all’autodeterminazione; dall’altra gli obblighi propri delle potenze coloniali, ma anche di Stati terzi.

La risoluzione confermava che il diritto dei popoli a disporre di loro stessi, inteso come diritto all’indipendenza, era accettato dall’Assemblea degli Stati come una regola di base del sistema giuridico internazionale, una regola jus cogens, cioè una norma imperativa e inderogabile del diritto internazionale. La stessa creazione dell’O.U.A. nel 1963 andava in questa direzione. La risoluzione sulla decolonizzazione che completava la Carta di Addis Abeba aveva coinvolto tutti gli Stati africani nella lotta contro il colonialismo in Africa.76

La risoluzione 2621 (XXV) del 12 ottobre 1970 metteva definitivamente al bando dalla società il colonialismo, che fu qualificato come “crimine” contro il quale i popoli avevano il diritto di lottare con tutti i mezzi necessari, anche facendo ricorso all’uso della forza.

Il 24 ottobre 1970 le Nazioni Unite approvarono la risoluzione 2625 (XXV) “Dichiarazione relativa ai principi di diritto internazionale che riguardano le relazioni amichevoli e la cooperazione tra Stati conformemente alla Carta delle Nazioni Unite”, con la quale riaffermarono i principi della Carta. La dichiarazione ricordava che ogni Territorio Non Autonomo possedeva “uno statuto separato e distinto da quello del territorio dello Stato che lo amministra”. Questo statuto separato poteva esistere fino a quando il popolo del Territorio Non Autonomo non avesse esercitato il suo diritto all’autodeterminazione.77

L’Assemblea generale cercò di invalidare tutti i cambiamenti di statuto diversi dall’indipendenza, che non garantivano la reale e libera scelta dei popoli coloniali, come nel caso del Sahara occidentale.

Con la risoluzione 3314 (XXIV), adottata il 14 dicembre 1974, l’Assemblea generale chiese agli Stati di astenersi da ogni atto di aggressione e dal ricorso all’uso della forza, per “privare i popoli del loro diritto all’autodeterminazione, alla libertà e all’indipendenza o per violare l’integrità territoriale”.

75 La risoluzione fu approvata quasi all’unanimità. Nessuno Stato votò contro, nove Stati invece si astennero (Spagna, Portogallo, Unione Sud-Africana, Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia, Belgio, Australia e Repubblica Domenicana). 76 Nel 1964 l’O.U.A nel summit del Cairo dichiarò solennemente di rispettare le frontiere esistenti al momento dell’indipendenza. 77 Tribunale permanente dei popoli. Le sentenze: 1979-1998, Roma, Fondazione Internazionale Lelio Basso per il Diritto e la Liberazione dei Popoli, 1998; anche in Les fondaments juridiques et institutionnels de la République Arabe Sahraouie Démocratique. Actes du colloque International de juristes tenu à l’Assemblée Nationale. Paris, le 20 et 21 octobre 1984, Paris, L’Harmattan, 1984. 38

Il diritto dei popoli non autonomi a disporre di loro stessi era parte integrante del diritto internazionale, pertanto doveva essere accettato da tutti gli Stati che aderivano alle Nazioni Unite, qualunque fosse il loro regime politico o economico, in conformità con quanto prescritto dall’articolo 53 della Convenzione di del 23 maggio 1969, 78 cui non era consentito derogare.

1.6. Lo stato tradizionale marocchino

Prima del XX secolo, in epoca precoloniale, il Marocco non si presentava come uno stato unitario, ma piuttosto come un insieme di tribù, la maggior parte delle quali sottomesse all’autorità del sultano, cioè al makhzen.79 La sottomissione di una persona o di una comunità avveniva mediante la baya, un vero e proprio atto di sudditanza, che presupponeva il riconoscimento del potere del sultano, come principe di tutti i credenti, emir al mouminin,80 come šerif (letteralmente ‘nobile’, ‘glorioso’), discendente del Profeta e come imam, capo della preghiera. Un potere che si affermava come totale e assoluto, ma che per essere tale doveva però essere riconosciuto dalla comunità dei credenti.81 In realtà, mentre alcune regioni, chiamate bled el-makhzen (terre dell’amministrazione) erano totalmente sottomesse al sultano, altre sfuggivano al suo controllo e per questo venivano chiamate bled es-siba 82 (terre dei dissidenti o rivoltosi). I “figli delle nuvole” mai si sono assoggettati al makhzen, pur rispettando il sultano del Marocco.

1.7. Rapporto tra centro e periferica: la contrapposizione makhen-siba

Durante il periodo precoloniale pochi erano i mezzi dei sovrani marocchini per intraprendere spedizioni finalizzate ad affermare la propria autorità sulle tribù berbere delle montagne, che rinunciavano così a esercitare una vera e propria sovranità territoriale su quelle aree, che peraltro non erano nemmeno definite da confini territoriali precisi.

78 La Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati (1969), si occupava degli accordi stipulati fra gli Stati, della loro validità e della loro efficacia. Articolo 53: “Trattati in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale (ius cogens). E' nullo qualsiasi trattato che, al momento della sua conclusione, è in conflitto con una norma imperativa del diritto internazionale generale. Ai fini della presente Convenzione, una norma imperativa del diritto internazionale generale è una norma accettata e riconosciuta dalla comunità internazionale degli Stati nel suo complesso come norma alla quale non è consentita alcuna deroga e che può essere modificata soltanto da un'altra norma del diritto internazionale generale avente lo stesso carattere”. 79 Makhzen letteralmente significa ‘deposito di denaro’ e indica appunto il governo che raccoglie la Makh, l’imposta sulle transazioni economiche. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo- politica di un’identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, p. 174. 80 Nella religione islamica non esiste distinzione tra autorità civile e religiosa. Sono i sultani almohadi nel XII secolo che per la prima volta si danno il titolo di capo dei credenti. 81 F. Chassey, Données historiques et sociologiques sur la formation du people sahraoui, Paris, L’Harmattan, 1978, p.17. 82 Si tratta in particolare delle tribù che vivevano nelle montagne del e dell’Atlante dove regnavano l’anarchia e la dissidenza e dove vivevano popolazioni berbere costantemente in rivolta, che non si sottomettevano alla raccolta delle tasse governative. 39

I rapporti tra le tribù del Sahara occidentale con il regno marocchino, dalla sua fondazione (avvenuta alla fine del VII secolo ad opera degli Idrissidi) fino al XVI secolo, furono praticamente inesistenti. Prima dell’XI secolo questo regno era estremamente debole e le sue incursioni non andavano oltre il confine naturale della catena dell’Atlante. A partire dal XII secolo i sultani marocchini vennero tagliati fuori dal Sahara occidentale dalle tribù berbere e dalle tribù hasan, che si erano insediate nella zona tra il Tafilalet e il fiume Draa. Fu durante l’impero almoravide, nell’XI e XII secolo, che, come affermano Rézette e al-Fassi, si realizzò il ‘grande Marocco’ (dall’Atlantico al Senegal), che però dopo la morte di Abu Bekr si dissolse e portò le tribù Sanhâja a riconquistare la propria autonomia tribale dall’impero.

Dal XVI agli inizi del XX secolo il regno del Marocco conobbe tre lunghi periodi di anarchia interna e di debolezza esterna, ai quali cercò di far fronte inviando spedizioni in Sahara occidentale, allo scopo di recuperare potere, sia dal punto di vista economico che politico.83 Lo sforzo era finalizzato soprattutto ad assicurarsi il controllo economico e strategico del commercio transahariano e a riportare prosperità al regno (si portava sale dal nord e si risaliva dal sud con oro, schiavi, piume di strutto, gomma arabica). Le spedizioni marocchine, pur avendo avuto scarsa influenza sui sahrawi, pur continuando ancora oggi ad alimentare il mito del Sahara marocchino.

Le spedizioni di Mohamed ech-Cheikh (1548-1557) e di Ahmed el-Mansour (1578-1603) della tribù dei Saadiani si volsero quindi al deserto, via di passaggio obbligata delle grandi carovane, che seguivano un percorso che però estrometteva completamente il territorio marocchino. Comprensibili furono a quel tempo le motivazioni che spinsero i Saadiani a concentrare l’attenzione della “politica sahariana” sulle saline di Teghaza, nel Sahara centrale, in quel momento nelle mani dei sovrani songhay di Gao. I Saadiani, nel 1544, iniziarono a reclamare dei diritti su quelle miniere, provocando la risposta del principe songhay, il quale inviò le sue truppe nelle oasi del Draa.84 Ahmed el-Mansour riuscì a realizzare i suoi sogni di conquista dopo aver vinto la storica battaglia detta dei “Tre Re” (el ksar el Kebir) a Tangeri nel 1578.85 Dopo la conquista di Gao, anche

83 “Dal deserto viene la nostra salvezza, la storia del Marocco risorgerà ancora una volta dalle sabbie mobili del deserto” così afferma Berramdane quando analizza oggi il conflitto del Sahara Occidentale nel suo libro Le Sahara occidental: enjeu maghrébin, Paris, 1992, p. 344. 84 Gao, vicino a Tombouctou, era la capitale dell’impero songhai che comprendeva allora gli attuali territori del Sénégal, del Mali, del Niger e della Nigeria del nord. R. Rézette, Le Sahara occidentale et les frontiéres marocaines, Paris, Nouvelles editions latines, 1975, contrariamente a quanto affermano Hodges e Bontems, Rézette afferma che i sovrani di Gao non opposero nessuna resistenza all’occupazione delle miniere da parte dei marocchini. 85 In questa battaglia muorì re Sebastiano del Portogallo, cui subentrò Filippo II di Spagna, avvenne così l’unione dinastica tra Spagna e Portogallo. 40

Timbouctou si arrese e, per volontà del capo della spedizione,86 pascià Judar, divenne la nuova capitale.

Ma il controllo della regione fu di breve durata, sopravvisse di poco alla morte dello stesso el- Mansour, avvenuta nel 1693. Il Marocco conobbe quindi un mezzo secolo di lotte fratricide e di anarchia e, di fronte alla ripresa delle minacce spagnole, la lontana Timbouctou fu abbandonata e dimenticata.

Anche questa impresa contribuì ad alimentare il mito del Sahara marocchino, resa più significativa dal ricordo delle imprese di pascià Judar. Nella realtà dei fatti, la spedizione non attraversò affatto il Sahara occidentale, ma lo sfiorò soltanto,87 rendendo questo tipo di rivendicazione un mito privo di qualunque tracciabilità storica.

E’ possibile che la semplice apertura di una nuova via commerciale possa tradursi nella conquista di tutti i territori circostanti?88 In realtà, come sostiene Hodges,89 el-Mansour non aveva né i mezzi, né l’ambizione di sottomettere le tribù nomadi del deserto, ma ambiva ad allearsi con loro per assicurarsi la protezione delle carovane.

Altre spedizioni nel Tagant, nell’Adrar e a Trarza furono organizzate da Moulay Ismail (1672- 1727), il secondo e più grande sultano degli alaouiti, una tribù šorfa che viveva dal XIII secolo nel Tafilalet, ma anche in questo caso, non si poté dire che il sultano regnasse sulle tribù sahariane, che riconoscevano solo in alcuni casi e nominalmente la sua sovranità, con il solo scopo di consolidare il loro stesso potere e garantirsi l’indipendenza. Ricordiamo a questo proposito alcune alleanze che Moulay Ismail realizzò per esempio con l’emiro di Brakna, Ali Chandora, che in cambio del riconoscimento della sua sovranità, chiese al sultano di aiutarlo a sconfiggere i suoi nemici. Il sultano ebbe un impatto minimo sulla regione del Sahara occidentale, tanto che alla sua morte nel 1727, l’influenza marocchina sul Sahara si dissipò rapidamente. Ancora una volta il Marocco visse una fase di totale anarchia e di grande debolezza, politica ed economica, 90 che durò fino all’instaurazione del protettorato franco-spagnolo nel 1912 e perse l’opportunità di instaurare un contatto con il ‘paese dei bianchi – trab el-biedan’ e con le regioni del bled es-sida (alcune zone del nord, dell’anti Atlante e del sud del Sous).

86 La spedizione voluta da el-Mansour (‘il Vittorioso’) comandata dallo spagnolo pascià Judar, composta da circa 3000 uomini, per la maggior parte musulmani europei, partì nell’ottobre del 1590 per il Niger e arrivò a destinazione quattro mesi dopo, dimezzata, dopo aver percorso 2000 chilometri nel deserto. 87 F. Chassey de, Données historiques et sociologiques sur la formation du people sahraoui, Paris, L’Harmattan, 1978, p.17. 88 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 39. 89 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 48 - 49. 90 Alla fine del XVIII secolo le vie del commercio transahariano tornarono a deviare il loro percorso verso est a beneficio dei Turchi e verso sud-est favorendo i Francesi che avevano già colonizzato il Sénégal. 41

Per ridimensionare il ruolo economico del sud, il sultano Mohammed Ben Abdallah (1757-1790) decise di chiudere il porto di e trasferire le attività commerciali nel nuovo porto di Mogador. Fu l’ennesimo e sporadico tentativo di sottomettere gli abitanti della regione, che in realtà non ebbe alcun seguito e che invece dimostrò, ancora una volta, la debolezza del makhzen e la sua incapacità di mantenere una presenza continuativa nella regione.

Una ulteriore conferma di questa incapacità derivò da un fatto che accadde poco dopo.

Carlo III, re di Spagna, chiese al Marocco l’autorizzazione a pescare nelle acque dell’Atlantico, di fronte alle isole Canarie e a riaprire lo stabilimento ittico di Santa Cruz de Mar Pequeña, abbandonato oltre due secoli prima. Dopo la sottoscrizione del trattato tra Spagna e Marocco, avvenuta nel 1767, il sultano Mohammed Ben Abdallah scrisse a Carlo III una lettera per descrivere gli abitanti della costa dell’oued Noun. Egli affermava: “essi non sono subordinati a nessuno e non temono nessuno, poiché essi vivono fuori dai miei domini ed io non ho autorità su di essi… questi arabi si spostano come vogliono, senza sottomettersi ad un governo o a una qualsiasi autorità.”91

Moulay Souleiman, che regnò in Marocco dal 1792 al 1822, come il suo predecessore mancava di autorità sugli abitanti della costa dell’oued Noun. Egli sottoscrisse nuovi accordi commerciali con Stati Uniti, Spagna, Gran Bretagna, e Francia. Negli accordi, che avevano come obiettivo il miglioramento dei rapporti tra il Marocco e i paesi europei, si prevedeva che, nel caso in cui una nave europea fosse naufragata nei pressi dell’oued Noun, o in qualunque punto più a sud della costa, il re marocchino s’impegnava a salvare dalle tribù del sud il capitano e l’equipaggio e a riportarli in patria, sani e salvi. Le potenze coloniali, in realtà, erano consapevoli che il sultano non era in possesso di alcun mezzo per imporsi alle tribù del Noun, né a quelle del Sahara. Spesso, infatti, accadeva che i naufraghi catturati venissero venduti dai loro rapitori a dei mercanti, che li portavano più a nord, per liberarli in cambio di un cospicuo riscatto. Il Marocco non aveva l’autorità per chiedere semplicemente la liberazione degli ostaggi e doveva quindi ricorrere a dei veri e propri scambi commerciali con le tribù del sud, per onorare gli accordi sottoscritti.

91 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 51 - 52. 42

43

Gli Ahel Beyrouk, una tribù quasi completamente sedentaria degli Ait Moussa (Tekna), che agli inizi del XIX secolo controllavano gli qsâr di Tindouf e di Goulimine, iniziarono una diretta e promettente attività commerciale con gli europei, scavalcando l’autorità del sovrano Moulay Abderrahman (1822 – 1854), evitando così di pagare le tasse al makhzen.

Moulay Abderrahman in cambio della promessa di Beyrouk di rompere le relazioni commerciali con gli Europei, fu autorizzato ad aprire una base commerciale a Mogador e a trattenere un terzo dei tributi doganali prelevati ai mercanti, diretti o provenienti dal Noun, che transitavano per il porto. I figli di Beyrouk però, dopo la sua morte, ripresero la politica contraddittoria del padre, continuando ad oscillare tra gli accordi con il makhzen e quelli con i governi e i commercianti europei. Nel 1853 i rapporti con i Francesi s’interruppero, ma i Beyrouk trovarono nuovi partner negli spagnoli e negli inglesi. Nel 1879, Mohammed Ben Beyrouk siglò un accordo commerciale con lo scozzese Donald Mackenzie, che durante un suo viaggio nel sud del Marocco si rese conto dell’importanza del commercio carovaniero sulla costa di fronte alle isole Canarie. La North-West Africa Company di Mackenzie venne autorizzata ad aprire una agenzia commerciale a Tarfaya per mercanteggiare lana, pelli, piume di struzzo, gomma arabica in cambio di tè, zucchero e tessuti di Manchester. Moulay Hassan, salito al trono nel 1873, convocò nel 1880 il console britannico a Tangeri, per protestare contro le attività di Mackenzie che, secondo il sultano, danneggiavano fortemente il commercio del Marocco e offrì un lauto compenso per la chiusura dell’agenzia.92 Moulay Hassan fece addirittura incendiare il forte e ingiunse ai Tekna di non commerciare più con Mackenzie,93 che in seguito, per maggiore sicurezza, fece costruire un nuovo forte in pietra, che gli Spagnoli chiamarono Casa Mar.

Fu negli stessi anni che la Francia cominciò a esercitare importanti pressioni militari sul sultanato marocchino. Nel 1844, infatti, l’esercito francese sconfisse un’armata marocchina nella pianura di Isly, vicino a , bombardò Tangeri e Mogador in segno di rappresaglia contro il sostegno che il regno alaouita aveva offerto al capo della resistenza algerina, l’emiro Adel-Kader.

La disfatta di Isly del 1844 da parte dei Francesi e l’invasione spagnola del 1859-1860, che portò all’occupazione di Tétouan, segnarono un momento particolarmente umiliante per il Marocco. L’accordo firmato con la Spagna nel 1860 prevedeva infatti, oltre al pagamento di una enorme indennità di guerra in cambio della liberazione di Tétouan da parte delle truppe spagnole e il mantenimento dei presidi spagnoli sulla costa mediterranea del Marocco (Ceuta era stata occupata dal Portogallo nel 1415 e dalla Spagna nel 1578; Melilla conquistata nel 1496 venne incorporata

92 Moulay Hassan temeva che Mackenzie commerciasse in armi e munizioni con gli autoctoni, ostili al sultanato. 93 Per riprendere le parole di Mackenzie “ils nous déclarerent, ainsi qu’aux Tekna, que tout le pays appartenait au sultan”. 44 dalla Spagna sei anni più tardi), prevedeva la concessione perpetua di una porzione di territorio sufficiente per costruire uno stabilimento ittico nei pressi di Santa Cruz de Mar Pequeña.

Il Marocco tentò in ogni modo di opporsi all’accordo riferendo agli Spagnoli che nessuno era in grado di indicare il luogo esatto in cui si trovasse Santa Cruz de Mar Pequeña dopo che era stata rasa al suolo dalle tribù locali nel 1524, che il makhzen non aveva alcuna autorità sulle tribù della costa atlantica e che pertanto non poteva garantire l’incolumità degli stranieri. In un primo momento gli Spagnoli pensarono che fosse più conveniente continuare i rapporti commerciali diretti con i Beyrouk, ma nel 1878 però, la commissione marocchino-spagnola si accordò sulla concessione di 70 chilometri quadrati a Ifni.94

Come reagì il makhzen alle provocazioni delle tribù che continuavano a commerciare direttamente con gli Europei? Fino a che punto questi rapporti furono veramente verificabili? Come era possibile proteggere l’indipendenza del Marocco, sempre più minacciata dalle potenze europee?

Era giunto il momento in cui era assolutamente necessario affermare l’amministrazione del makhzen nella regione del bled es-sida.

Un primo segnale fu la chiusura del porto di Agadir, cui seguirono due spedizioni militari organizzate da Moulay Hassan. La prima missione diretta nel sud del Sous e del Noun risale al 1882, quando il sovrano marocchino, dopo aver nominato un governatore regionale che si stabilì a Tiznit fece riunire tutti i capi tribù (tra di essi anche Dahman Ben Beyrouk di Goulimine, che il sultano nominò caid) e promise loro di impegnarsi a sviluppare l’economia regionale e di aprire un porto nei pressi di Assaka. Durante la seconda spedizione, organizzata verso il sud-ovest dell’impero nel 1886, Moulay Hassan sottomise definitivamente gli Ahel Beyrouk e insediò una guarnigione permanente nell’area.

Il Marocco iniziò così ad affermare la propria sovranità territoriale sull’impero e contemporaneamente vietò ai suoi abitanti di allacciare relazioni commerciali con gli stranieri.

In seguito, nel 1899 e nel 1890 Moulay Hassan inviò nuove missioni nelle oasi di Gourara, di Touat e di Tidikelt, dove l’amministrazione del makhzen non esisteva da più di 90 anni, anche per prevenire i tentativi delle truppe francesi, stanziate in Algeria, di avanzare più a sud nel Sahara. Nonostante fosse stato restaurato il sistema amministrativo in diverse regioni, a partire dal 1892 il sultano non fu in grado di impedire ai Francesi di colonizzare il Marocco.

94 Moulay Hassan tentò di convincere gli Spagnoli a rinunciare all’art. 8 dell’accordo di pace, e quindi a Ifni, in cambio di un compenso finanziario. 45

Nel 1895 gli inglesi siglarono un accordo con il sultano, con il quale accettavano di abbandonare Tarfaya, ormai in decadenza, in cambio di una ingente somma di denaro; per contro la Gran Bretagna riconosceva la sovranità del Marocco sulle terre comprese tra il fiume Draa e Cap Bojador, che il makhzen si impegnava a non cedere a nessuno, senza l’accordo degli inglesi.

A sud Moulay Hassan non riuscì mai a imporre la sua autorità ai nomadi del deserto. Egli, infatti, non poté andare oltre Goulimine. Tra i vari tentativi vi fu anche quello di inviare propri emissari agli emiri di Trarza, dell’Adra, di Brakna perché riconoscessero la sua autorità, ma nessuno di loro acconsentì, anche gli Ergeibat rifiutarono, così come le principali tribù Tekna95 a sud del Noun e gli Izarguien, che non si sottomisero mai realmente.

Se si fa riferimento al concetto di Stato moderno, concretamente, i “diritti storici” del Marocco sul Sahara non sembrano essere altro che un’espressione della politica espansionista del makhzen, una volontà di supremazia territoriale ed economica.96

Significativa in questo senso è la posizione assunta dal Marocco rispetto al principio dell’uti possidetis, che in epoca post-coloniale puntava ad evitare l’insorgere di conflitti tra Stati per problemi di delimitazione territoriale. Il criterio dell’uti possidetis fu approvato dall’OUA97 nella conferenza del Cairo nel 1964, con l’opposizione di Marocco e Somalia. La risoluzione AHG/16 riaffermava solennemente il rispetto totale per tutti di Stati membri dell’OUA del paragrafo 3 dell’articolo 3 della Carta degli Stati africani98 e attestava che “tutti gli Stati membri si impegnano a rispettare le frontiere esistenti al momento dell’acquisizione dell’indipendenza”.99

1.8. Le prime esplorazioni del Sahara occidentale (XII-XVII secolo)

La prima esplorazione occidentale organizzata del Sahara Occidentale risale al 1850, quando Léopold Panet, su richiesta del governo francese, partì da Saint-Louis in Senegal per arrivare, dopo

95 Il barone Lahure che visitò Tarfaya descrisse le tribù dei Tekna divise in due: i Tekna marocchini sedentari o semi- nomadi, che vivevano nella regione del Noun e i Tekna liberi, non sottomessi al sultano, che vivevano nel Sahara più a sud, tra il fiume Draa e Cap Bojador. I Tekna marocchini si allearono con il sultano per cacciare gli inglesi da Tarfaya. I Tekna liberi continuarono a commerciare con Mackenzie a Tarfaya fino all’intervento militare marocchino del 1888 e insieme agli Ergeibat nel 1895 occuparono Tindouf e sconfissero i Tadjakant. 96 O. Vergnot, De la distance en histoire. Maroc - Sahara occidental : les captifs du hasard (XVIIe-XXe siècles), in Revue de l'Occident musulman et de la Méditerranée, N°48-49, 1988. pp. 96 - 125. 97O.U.A. (Organizzazione dell’Unità Africana) fondata da 30 Stati africani riuniti ad Addis Abeba (Etiopia) nel 1963. 98 L’articolo 3 paragrafo 3 afferma solennemente “il rispetto della sovranità e dell’integrità territoriale di ogni Stato e del suo diritto inalienabile ad una esistenza indipendente”. 99 R. Weexsteen, L’O.U.A. et la question saharienne, in Annuaire de l’Afrique du Nord, 1978. 46 cinque mesi di viaggio, non senza difficoltà, a Mogador (Sud del Marocco nei pressi di Agadir). Al termine del suo viaggio pubblicò un resoconto molto interessante e dettagliato.100

Alla fine del XVIII secolo le tribù che occupavano la regione compresa tra il fiume Noun e la Saquia el-Hâmra, che attraversava i pascoli dello Zemmour e del Tiris, fino al Rio de Oro degli Spagnoli e che si prolungava fino all’attuale Mauritania, abitavano già stabilmente il territorio e avevano i nomi attuali. I primi esploratori europei101 della regione ci fornirono un primo elenco delle principali tribù. L’elenco più completo fu opera di Camille Douls alla fine del 1880. Egli citò “gli Izarguien, i Tidrarin, gli Skarna, i Tadjakant, i Reguibat, gli Aorusien, gli Ouald Delim, i Nechdouf, gli Ouled Bou Sba, gli Ouled Sidi Mohammed e i Mejjat”. In precedenza altri visitatori, europei ed arabi, avevano esplorato, volontariamente o involontariamente, le coste della regione, lasciando indicazioni più o meno precise.

Già nel Medio Evo i paesi compresi tra il Marocco e il Senegal non erano completamente sconosciuti. Gli antichi navigatori conoscevano infatti le isole Canarie, chiamate all’epoca Isole Fortunate e le coste del Sahara, fino a Capo Juby. Ma a partire dalla fine del XIII secolo gli esploratori europei cominciarono a frequentare più assiduamente le coste sahariane, partendo proprio dalle isole Canarie102, perché molto vicine al litorale africano. Le ragioni di questi viaggi erano il desiderio di esplorare questa regione praticamente sconosciuta; di trovare l’oro e gli schiavi neri provenienti dal Sud; di commerciare con gli indigeni; di dedicarsi alla pesca.

Anche i Portoghesi cominciarono a frequentare regolarmente le coste atlantiche dell’Africa, a compiere le prime esplorazioni delle zone interne e a raccogliere preziose informazioni sulla società del Sahara, nell’intento di espandere i propri possedimenti. A queste prime esplorazioni portoghesi seguirono altre spedizioni europee: francesi, britanniche, con l’intento principale di commerciare con le tribù sahariane, che traevano enormi vantaggi da questa concorrenza.

Fu il principe Enrico, detto il Navigatore, che organizzò continue spedizioni lungo le coste africane, dove la navigazione presentava notevoli difficoltà, a causa dei pochissimi approdi possibili dove

100 L. Panet, Premièr exploration du Sahara occidental. Relation d’un voyage du Sénégal au Maroc. 1850, Paris, Le livre africain, 1968 oppure M. Barbier, Les indications de Léopold Panet sur le Sahara occidental en 1850, in Sahara Info, 62, settembre 1982, pp. 10 - 11. 101 Alexander Scott (1821), Leopold Panet (1850), colonello Faidherbe (1859). 102 Ogni ricerca che riguardi il Sahara occidentale non può evitare di prendere in considerazione il forte legame esistente tra l’arcipelago delle isole Canarie e il Sahara occidentale. La conquista spagnola delle Canarie fu la base di partenza per la conquista spagnola dell’Africa occidentale e la prima base europea sulla costa atlantica. Tra il 1312 e il 1335 il genovese Malocello scoprì l’isola alla quale fu attribuito il suo nome e quella di Fuerteventura. Nel 1403 Jean de Béthencourt offrì le isole alla Spagna, che nel 1418 le cedette ai Portoghesi, a Enrico il navigatore, per tornare ad essere spagnole solo nel 1490. R. Rézette, Le Sahara occidentale et les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, pp. 50 – 51. Già nel 1476 Garcia de Herrera e Inés, governatori castigliani delle Canarie, inviarono una spedizione sulla costa atlantica e fondarono Santa Cruz de Mar Pequeña, una delle prime spedizioni commerciali chiamate dagli spagnoli entradas o cabalgadas, che diventarono nei due secoli successivi una delle principali attività degli iberici. 47 potersi rifornire di acqua e delle correnti molto forti, che potevano creare gravi pericoli alle imbarcazioni.103

Solo nel 1434, il navigatore portoghese Gil Eannes riuscì, per la prima volta, a proseguire la navigazione verso Sud; mentre nel 1436 Alfonso Goncalves Baldaia raggiunse il Rio de Oro.

Da questo momento in poi diverse spedizioni portoghesi penetrarono all’interno del paese, per commerciare merci e schiavi con le tribù locali. Nel 1442 a Capo Bianco, a sud del Sahara, i portoghesi scoprirono l’isola di Arguin, dove fu costruita la prima stazione commerciale. Per finanziare le spedizioni, i capitani portoghesi cominciarono a catturare gli indigeni, per rivenderli in Europa come schiavi. Ebbe così inizio lo schiavismo, una prassi che sarebbe enormemente cresciuta nel corso dei secoli successivi e che avrebbe avuto conseguenze devastanti sulla popolazione africana.

Queste scoperte furono importanti perché modificarono il quadro concettuale che gli europei avevano ereditato dagli antichi. Contrariamente a quanto sostenuto dalla teoria di origine tolemaica, avvicinandosi all’equatore il territorio presentava una florida vegetazione e s’incontravano diverse popolazioni.

Fu il portoghese Gomes Eanes de Zurara, che a metà del XV secolo, descrisse la vita delle popolazioni che abitavano questa regione.

Secondo i racconti dell’esploratore portoghese, gli abitanti vivevano nei pressi di Capo Bojador raggruppati in piccoli villaggi; altri agglomerati si trovavano vicino al mare ed erano composti da capanne. Tutto il paese era abitato, contrariamente a quanto si sarebbe potuto pensare, ma le persone vivevano ‘sotto delle tende’. La loro principale occupazione era pascolare greggi di vacche, montoni, capre e cammelli. Avevano dei cani e alcuni dei loro capi possedevano qualche cavallo. Cambiavano accampamento molto spesso, quasi ogni giorno, ma non rimanevano mai nello stesso posto più di una settimana. La loro alimentazione si basava quasi esclusivamente sul latte, sulla carne, sui semi di erbe selvatiche ed eccezionalmente sul grano. Chi viveva sul mare non si nutriva di altro che pesce, crudo o seccato. Bevevano soltanto acqua. Gli uomini indossavano vestiti e pantaloni di pelle, ma solo alcuni capi avevano buoni vestiti e mantelli. Anche le donne portavano mantelli e si coprivano il viso. Le più benestanti portavano gioielli (orecchini e anelli d’oro).

Questa fu una prima descrizione, relativamente dettagliata, degli indigeni di questo paese, maggiori dettagli si sarebbero avuti solo tre o quattro secoli più tardi.104

103 ‘Mare tenebrosum’ (‘mare delle tenebre’) era chiamato il mare dopo Capo Bojador. Nel Medioevo tutti gli esploratori, europei e arabi, che si erano avventurati oltre Capo Bojador erano scomparsi. Ricordiamo che i due fratelli genovesi, Guido e Ugolino Vivaldi, nel 1291 non ritornarono mai dalla loro spedizione. 48

Sempre Gomes Eanes raccontò che nel 1445 Joao Fernandes trascorse sette mesi nel Rio de Oro, da solo, nel mezzo degli znaga (Sanhâja). Fernandes fu, di fatto, il primo esploratore europeo di questa regione che fornì numerose informazioni sulla popolazione indigena, dopo aver percorso liberamente, in lungo e in largo, il paese pascolando il bestiame, insieme ad una famiglia maura.

Secondo i racconti di Fernandes, gli abitanti della regione erano tutti pastori, musulmani, parlavano una lingua particolare, differente da quella degli altri mauri. Vivevano nelle tende con il loro gregge. Non esistevano né regole, né gerarchie politiche, né giustizia, ciascuno faceva ciò che preferiva, nell’ambito delle proprie possibilità. Facevano la guerra con i neri, che poi riducevano in schiavi e vendevano ai Mauri di passaggio o ai Portoghesi che frequentano il Rio de Oro o agli stessi mercanti cristiani provenienti dalle coste tunisine. Una quarantina di anni più tardi, nel 1487, i portoghesi aprirono una nuova agenzia commerciale a Ouadane, principale città dell’Adrar, ma le ostilità con gli znaga impediranno loro di rimanere. I portoghesi comunque rimasero presso il forte d’Arguin.

I Portoghesi non erano gli unici a interessarsi alle coste sahariane. Nella metà del XV secolo un veneziano, Alvise da Ca’ da Mosto, fece due viaggi nella regione, uno nel 1455 e l’altro nel 1456. Nel 1462 scrisse una relazione dei suoi viaggi e delle attività commerciali degli abitanti locali, descrivendo brevemente la costa di Capo Blanco, l’isola di Arguin e alcune zone interne (Hodh e Teghaza).

Anche gli Spagnoli erano molto interessati alla regione e in particolare alla pesca sulla costa atlantica, alla tratta degli schiavi e al commercio, soprattutto di oro.

Fino al XVII secolo i numerosi navigatori, soprattutto portoghesi e spagnoli, continuarono a esplorare le coste sahariane e a commerciare con le popolazioni locali, senza abitualmente avventurarsi all’interno del paese, salvo alcune eccezioni.

Nel 1476 Diego de Herrera installò una base commerciale a Santa Cruz de Mar Pequeña (‘piccolo mare’) dove gli spagnoli restarono per una cinquantina d’anni, malgrado le tante difficoltà.

Nel 1494 Spagna e Portogallo sottoscrissero il trattato di Tordesillas, che concedeva agli spagnoli il controllo di 650 km di costa africana di fronte alle isole Canarie, dall'oued Massa (sud di Agadir – Marocco) a Capo Bojador e ai portoghesi il controllo della costa più a nord e più a sud.105

104 M. Barbier, Trois francais au Sahara occidental (1784-1786), Paris, L’Harmattan, 1984, pp. 11 - 12. 105 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 32. 49

Nonostante il trattato, la rivalità tra Spagna e Portogallo diventò ogni giorno più accesa, fino al 1809, quando con il nuovo trattato di Cintra, la Spagna rinunciò ai suoi diritti sulla costa atlantica, ad eccezione di Santa Cruz de Mar Pequeña,106 in cambio dei diritti sulla costa mediterranea.

La situazione cambiò totalmente quando le tribù del sud del Marocco e del Sahara occidentale intrapresero una jihad contro i cristiani, attaccando i Portoghesi e gli Spagnoli.

Nel 1524 Santa Cruz fu abbandonata dagli Spagnoli, vinti dalle tribù locali. I portoghesi cacciati da Agadir mantennero il controllo dell’isola d’Arguin, situata poco più a sud dell’attuale Sahara occidentale, almeno fino all’arrivo degli Olandesi nel 1638, che si dimostrarono particolarmente interessati al commercio alla gomma arabica, utilizzata all’epoca nelle industrie tessili.

Da questo momento in poi e fino alla fine del XIX secolo, i contatti tra i Sahariani e gli Spagnoli furono ridotti al minimo. Cessarono le entradas, ma gli abitanti delle isole Canarie continuarono a pescare sulla costa del Sahara occidentale, particolarmente pescosa, e a commerciare con le tribù locali sulla costa. Madrid reagì male a ogni ingerenza nella regione da parte di altre potenze europee, in quanto possibili minacce alla sicurezza delle Canarie. Forte fu l’irritazione del governo spagnolo quando nel 1764 lo scozzese George Glas costruì una base commerciale sulla costa sahariana di fronte a Fuerteventura, chiamata Hilsborough, che però ebbe vita breve.

1.9. Viaggiatori del Sahara occidentale dal XVI al XVII secolo

Nel corso del XVI secolo il Sahara occidentale fu visitato da grandi viaggiatori, in particolare da un arabo e da uno spagnolo, che lasciarono informazioni precise e interessanti sulla regione e sui suoi abitanti.

Il primo era un Mauro nato a Granada, El Hasan ben Mohammed, conosciuto con il nome di Leone l’Africano (Cosmographia dell’Africa, descrizione dell’Africa). Egli studiò a Fez, dove la sua famiglia si era rifugiata dopo la presa di Granada nel 1492 e fece numerosi viaggi in Africa e in Oriente, ma al ritorno da un pellegrinaggio alla Mecca fu catturato a Djerba da un pirata siciliano, che lo portò a Roma e lo diede in dono a Papa Leone X. Dopo un anno di cattività si convertì, più o meno volontariamente, al cristianesimo e venne battezzato con il nome di Giovanni Leone, detto Leone l’Africano. Egli scrisse “Descrizione dell’Africa” in italiano all’inizio del 1520. Solo dopo il 1525 fece ritorno in Tunisia e all’Islam.

106 Dopo un primo attacco nel 1517, le tribù locali si impossessarono della base commerciale del ‘piccolo mare’ nel 1524 e la distrussero completamente, al punto da non trovarne pià le tracce. Santa Cruz de Mar Pequeña poteva corrispondere alla laguna di Porto Cansado. Un archeologo francese la fissa a Agoutir de Khnifis nella provincia di Tarfaya. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 32. 50

Leone l’Africano visitò per ben due volte Tombouctou. La prima volta, intorno all’anno 1512, vi giunse attraversando il Sahara e passando per Teghaza e Ouadane, senza andare più a ovest; nel 1513 invece la raggiunse attraverso il Sous, la regione del Draa e Assa, dove soggiornò per una quindicina di giorni. Nella sua opera, pubblicata a Venezia nel 1550, Leone l’Africano descrisse in maniera dettagliata e precisa i paesi visitati e le popolazioni incontrate, in particolare raccontando degli Ulad Delim e gli Znaga, che abitavano l’ovest del Sahara. Si soffermò soprattutto sugli usi e costumi degli Znaga o Sanhâja, i berberi nomadi del deserto. Il gruppo più importante dei Sanhâja era costituito dagli Ergeibat, che formano le due principali tribù dell’attuale Sahara Occidentale. Leone l’Africano descrisse con precisione il loro abbigliamento (tuniche blu, turbanti neri per gli uomini; tuniche, turbanti e accessori d’argento per le donne), la loro alimentazione (latte di cammella e carne secca) e il loro modo di viaggiare (con i loro cammelli e le loro tende). Questi nomadi erano dediti alla caccia, rubavano i cammelli dei loro nemici e riscuotevano delle tasse sulle carovane. Erano molto ospitali e le donne veramente amabili. Queste popolazioni facevano riferimento a un capo onorato e molto stimato. Erano completamente ignoranti e non avevano alcuna conoscenza del diritto islamico, ma avevano gusto per la poesia.

Il secondo viaggiatore che descrisse il Sahara nel XVI secolo è lo spagnolo Luis de Marmol y Carvajal, che partì nel 1556 con una spedizione marocchina di 18.000 cavalieri inviati dal sultano per conquistare l’impero songhay in Sudan. Egli pubblicò un’opera sull’Africa, a Granada, nel 1573. Nella sua opera si ritrovano molte descrizioni simili a quelle di Leone l’Africano. La spedizione fallì il suo obiettivo, i cavalli morirono nel Saquia el-Hamrâ per mancanza d’acqua. Egli descrisse in particolare la regione situata tra l’Atlas e il Sahara (Biledulgerid) e la costa sahariana tra Capo Noun e il fiume Senegal.

Un secolo più tardi, nel 1670, Charant, mercante francese, che visse venticinque anni in Mauritania, raccolse informazioni sulle regioni governate dal sultano marocchino Moulay Rachid, che fondò la dinastia alaouita e regnò dal 1664 al 1672. Con l’intenzione di occupare il paese dei Mauri, egli inviò delle spedizioni nella regione di Ouadane e di Tichit nel 1665 e nella regione del Sous nel 1670.

Nel corso del XVIII secolo Inglesi e Americani frequentarono le coste sahariane, ma gli Spagnoli fecero di tutto per ostacolarli.

La difficile navigazione lungo le coste sahariane, che, a partire dalla seconda metà del ‘700, furono assiduamente frequentate dai Francesi, soprattutto dopo la colonizzazione del Senegal avvenuta nel 1779, causava numerosi naufragi di imbarcazioni, i cui passeggeri abitualmente rimanevano

51 ostaggio delle popolazioni indigene, che venivano liberati solamente dietro il pagamento di una sorta di “riscatto”. Questi naufragi si moltiplicarono tra la fine del XVIII e l’inizio del XIX secolo.

Le cronache dei naufragi ovviamente riportavano le sofferenze patite dei prigionieri europei, ma raccontavano anche delle popolazioni indigene, che destavano grande interesse e curiosità, soprattutto in Francia e in Inghilterra. Leggendo queste testimonianze era possibile non solamente conoscere gli usi e i costumi delle popolazioni locali, ma anche i dettagli dei loro rapporti con il sultano del Marocco al nord e con la colonia francese del Senegal a sud.

I primi naufragi conosciuti riguardarono due imbarcazioni francesi dirette in Senegal: la nave chiamata “Les deux amis”, che naufragò il 17 gennaio 1784 e la “Sainte Catherine”, che conobbe la stessa sorte l’11 luglio 1785. Saugnier, Follie e Brisson sono i tre francesi che rimasero prigionieri per lungo tempo in Sahara e che dopo la loro liberazione scrissero la storia del loro naufragio fornendo una descrizione molto dettagliata della regione e delle sue popolazioni.

L’interesse e il valore delle opere di questi tre autori si trova nella descrizione del Sahara Occidentale e delle sue popolazioni alla fine del XVIII secolo.

Saugnier era un commerciante e un avventuriero, nato a Parigi da famiglia borghese, che decise di partire per il Sénégal in cerca di fortuna. La nave su cui viaggiava, partita dal porto di Bordeaux il 19 dicembre 1783, naufragò alle 4 del mattino del 17 gennaio 1784 tra Capo Juby e Capo Bojador. La maggior parte dei passeggeri morì, mentre una parte, fu fatta prigioniera dagli indigeni, insieme al capitato Carsin. Insieme a Saugnier anche Follie. Entrambi rimasero nelle mani degli indigeni per circa tre mesi, tre mesi di grande sofferenza, nel corso dei quali entrambi riuscirono a imparare un po’ di arabo. Furono liberati grazie alla mediazione di un intermediario mauro di Mogador, che chiese, in cambio della libertà dei naufragi, un riscatto di 180 piastre per Sauvigner e 250 per Follie. Il sultano del Marocco, Mohamed ben Abdallah, non fu contento di questo riscatto operato direttamente senza la sua mediazione e ignorando la sua autorità. I naufraghi rientrarono in Francia alcuni mesi dopo.

Brisson, figlio di famiglia nobile, fu inviato in Sénégal, in qualità di ufficiale d’amministrazione delle colonie dal ministro della Marina francese. La notte tra il 10 e l’11 luglio 1785 la nave “la Sainte Catherine” si inabissò ad Arguin, nei pressi di Capo Blanco. I naufraghi caddero nelle mani degli indigeni della regione, i Labdessabe (Ulad Bou Sba) che portarono Brisson a circa 700 km a sud-est di Capo Bianco, in un’area che sembra corrispondesse all’attuale Adrar, dove fu costretto a pascolare le greggi per un anno e a compiere diversi lavori per ottenere una quotidiana razione di latte. Grazie al rapporto di amicizia creatosi con un indigeno, Brisson fu accompagnato nella città di Oued Noun, vicino a Goulimine e, dopo 66 giorni di marcia, venne consegnato ai negoziatori 52 francesi. Rientrato a Cadice dopo 18 mesi dal naufragio, Brisson scrisse le sue memorie e una breve descrizione delle popolazioni sahariane tra il 1787 e il 1879. Nel suo libro pubblicato nel 1879 a Ginevra, si evidenziava la debolezza del sultano del Marocco nei confronti delle popolazioni sahariane.

Il Sahara107 descritto da Brisson era unicamente abitato da nomadi di origine araba-maura suddivisi in tribù. Gli uomini delle tribù degli Ulad Delim e degli Ulad Bou Sba erano grandi, vigorosi, forti, con i capelli ricci, barbe lunghe e grandi unghie; erano fieri, bellicosi e portati al saccheggio (ghazzi). Brisson attribuì loro perfidia, cupidigia, orgoglio, ignoranza, mancanza di coraggio.

Saugnier e Follie descrissero i Mongearts, un gruppo di nomadi molto poveri che vivevano nel Rio de Oro con le loro greggi, dediti al saccheggio delle navi naufragate. I testimoni descrivevano i Mongearts come molto coraggiosi e pazienti, capaci di sopportare la fame, la sete e la fatica, vivevano in gruppi che potevano comprendere più di un centinaio di famiglie. Ogni gruppo aveva un capo, il primogenito, al quale spettava il compito di scegliere il luogo dove accamparsi e il momento di cambiarlo; giudicava con l’aiuto degli anziani, che erano tenuti in grande considerazione, ma le sue decisioni dovevano essere eseguite immediatamente, senza appello. I Mongearts erano dei pastori nomadi, che periodicamente si rifugiavano nelle montagne nel periodo delle piene. La loro sola ricchezza erano le greggi di montoni, capre e cammelli. Il controllo del gregge era garantito dai bambini o dagli schiavi neri. I Mongearts costruivano le loro tende e le loro scarpe, ma non avevano un vero e proprio artigianato. Per questo motivo qualche artigiano veniva a lavorare presso di loro per riparare recipienti, costruire armi e gioielli per le donne. Erano gli uomini ad andare al mercato per procurarsi le vesti e le cose necessarie, che praticavano la caccia, soprattutto degli struzzi. Le donne si occupavano invece dell’alimentazione, della gestione degli animali, della filatura della lana, della raccolta della legna. Spesso erano i prigionieri neri che facevano il loro lavoro, così le donne passavano il loro tempo a parlare e ad accogliere gli ospiti. Il latte delle cammelle, delle pecore e delle capre era la base dell’alimentazione. I Mongearts mangiavano una volta al giorno, generalmente la sera dopo il tramonto, farina d’orzo e carne, quando si andava a caccia o si uccideva un animale del gregge. I loro abiti erano semplici: tuniche di lana, grandi turbanti, mantelli di lana di capra per i più ricchi. Gli uomini portavano al collo un piccolo sacco per metterci dentro il denaro, la pipa e il tabacco. Essi davano una grande importanza alla qualità e alla bellezza delle loro armi: pugnali, fucili, sciabole; i più poveri si accontentavano dei bastoni. Le donne portavano gioielli, spesso di argento: orecchini, bracciali ai polsi e alle

107 Saugnier, Relations de plusieurs voyages à la côte d’Afrique… , Paris, 1791, pp. 67 – 156, in M. Barbier, Trois francais au Sahara occidental (1784-1786), Paris, L’Harmattan, 1984, pp. 11 - 12

53 caviglie ed erano in uno stato di sottomissione totale al marito. Il matrimonio era caratterizzato da un grande banchetto, da danze e giochi. La donna non portava dote, suo marito le offriva vestiti e gioielli e faceva “un presente” al padre della donna, in base alla sua disponibilità. Le donne che avevano figli erano rispettate e ben considerate, esse non lavoravano e avevano schiavi a loro servizio. Gli uomini avevano abitualmente una sola moglie, ma la potevano ripudiare e separarsi facilmente, soprattutto se la loro donna non aveva avuto figli. I bambini erano circoncisi verso i 7/8 anni, ed entravano rapidamente nel mondo degli adulti per il loro coraggio. La loro educazione era affidata a un maestro coranico (taleb), che insegnava loro a leggere e scrivere. I bambini erano abitualmente impiegati nella sorveglianza delle greggi. Gli abitanti del Sahara erano tutti musulmani, anche se i loro costumi e le loro credenze si basavano su credenze non musulmane. Pregavano solo tre volte al giorno alla presenza di un taleb, se ce n’era uno. Erano tolleranti dal punto di vista religioso, salvo che verso gli Ebrei, che non erano ammessi tra di loro. L’ospitalità era un dovere sacro e una legge non scritta, che doveva sempre essere rispettata. Lo straniero veniva ricevuto dal capo del gruppo che gli offriva un po’ di latte, cibo, una stuoia, una coperta e un riparo per la notte. Alla morte di un padre di famiglia il figlio primogenito assumeva tutte le responsabilità del padre, dividendo gli animali e gli schiavi tra i figli maschi, senza dare nulla alle figlie femmine. Se c’erano dei bambini il capo del gruppo si occupava di loro fino a quando non fossero stati essere autosufficienti. Quasi tutti gli abitanti del Sahara avevano degli schiavi neri, dei servitori, che si occupavano delle greggi e del lavoro domestici. A causa della mancanza di acqua l’igiene era scarsa, la medicina era sommaria, le malattie erano rare e si viveva a lungo.

Gli abitanti della zona di Biledulgerid108 si chiamavano Monselemines109 (denominazione religiosa e non etnica), erano lontani discendenti di una setta musulmana fondata nel VII secolo in Arabia da Mossailima, discepolo e poi rivale di Maometto. I Monselemines, di origine araba, erano l’unione degli Arabi veri o gli Arabi Ma’qil che erano venuti dall’Arabia dei quali avevano mantenuto i costumi e dei Mauri fuggitivi, berberi che avevano lasciato il Marocco per scappare all’autorità del sultano. Nel corso del tempo questi due gruppi si erano uniti, al punto da formare una popolazione omogenea. La maggioranza di questa popolazione era sedentaria e viveva in piccole città (di cui la principale è Goulimine) o in borgate sul versante delle montagne. Abitavano in case di terra e pietra con delle terrazze, costruivano moschee. Fra loro c’erano nomadi che percorrevano il paese con le loro greggi e agricoltori.

108 E’ la regione situata tra l’oued Massa e Cap Bojador. 109 Monselemines è un termine che deriva dalla parola araba muslimin che significa credente. I Monselemines sono repubblicani, aborrano ogni forma di dominazione. 54

I Monselemines avevano una loro particolare organizzazione sociale, si governavano autonomamente in tutta libertà, senza dipendere dal sultano marocchino. Essi cambiavano localmente i propri capi tutti gli anni. Il loro capo religioso era, Sidi Mohamed Moussa, molto amato e rispettato da tutti, una specie di marabutto, che risiedeva nelle vicinanza di Illigh. Egli fu un riferimento morale e politico per tutta la popolazione di Biledulgerid e del Sahara. I Monselemines avevano la fama di essere coraggiosi e invincibili, avevano sempre difeso i loro diritti e non erano mai stati sottomessi al sultano. La zona di Biledulgerid appariva prospera e ricca, i suoi abitanti erano soprattutto dediti al commercio dell’argento, che amavano particolarmente. Il venerdì era giorno di preghiera e di mercato. Tra di loro c’erano artigiani e tessitori. Le famiglie più ricche possedevano greggi di mucche, cammelli, montoni, capre, ma anche cavalli e volatili. Coltivavano il grano, che si seminava a dicembre e si raccoglieva a marzo, e poi stoccato in grandi fosse per essere conservato. Gli Ebrei erano tollerati e potevano praticare la loro religione, vivevano solo nelle borgate o in quartieri separati e praticavano principalmente il commercio. Si trovavano in una situazione sociale d’inferiorità e venivano spesso maltrattati. C’erano anche schiavi neri che guardavano le greggi e facevano lavori domestici. La vita nella zona di Biledulgerid era migliore che in Sahara, l’alimentazione era migliore, si facevano due pasti al giorno (mattina e sera). L’ospitalità veniva praticata come in Sahara. Gli uomini erano ben vestiti e armati, ma i Mauri fuggitivi non portavano armi.

L’immagine della zona denominata Berberie era meno originale. Questa regione comprende i tre regni di Fez, Marrakech e di Sous, era abitata da Mauri e governata dal sultano che veniva chiamato imperatore o re. Il popolo era schiavo e malcontento a causa della dominazione dispotica del sovrano, che all’epoca era Mohamed ben Abdallah. Egli esercitava un’autorità assoluta in modo crudele e arbitrario, opprimeva le persone e le spogliava dei loro beni attraverso le imposte. Saugnier presentava il sovrano come un maestro che esercitava sul suo popolo un potere assoluto, colui che costruiva la propria sicurezza e la sua ricchezza sulla misera dei suoi sudditi. Egli favoriva il commercio che veniva pesantemente tassato, chiedeva importanti somme agli Ebrei e agli stranieri. I governatori delle province e delle città dominate dal sultano si comportavano come dei piccoli tiranni locali. Si arricchivano alle spese dei sudditi, ma essi stessi erano vittime dell’imperatore che li destituiva e che confiscava i loro beni. In queste condizioni il popolo viveva costantemente nella miseria e frequentemente si ribellava contro il sultano.

Il sultano marocchino non aveva alcuna autorità reale su Biledulgerid e ancora meno sul Sahara, anche se certe affermazioni potevano far pensare il contrario.

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Capitolo 2. Il periodo coloniale

2.1. Le origini del Sahara spagnolo

Alla fine del XIX secolo cominciò a delinearsi quello che sarebbe stato l’aspetto del continente africano per i successivi cento anni.

Dalla Spagna, il re Alfonso XII110 e il Primo ministro Antonio Cánovas del Castillo decisero di finanziare spedizioni in Africa per tutelare i propri interessi territoriali ed economici. L’intervento infatti aveva lo scopo di difendere i presidi di Ceuta, Melilla, le isole Canarie e l’attività di pesca dei suoi abitanti sulla pescosissima costa atlantica, dalle mire espansionistiche di altre potenze europee, in particolare Francia e Inghilterra, entrambe già presenti sul territorio nei pressi di Capo Blanco- isola di Arguin (Francia) e a Tarfaya (Inghilterra).

La presenza spagnola nel Rio de Oro ebbe inizio nel 1884 con la spedizione di Emilio Bonelli Hernando, che faceva seguito ad una missione esplorativa finanziata alcuni anni prima dalla Sociedad española dos Africanistas y Colonistas, con l’obiettivo di individuare punti sulla costa in cui poter impiantare basi commerciali, che permettessero l’espansione dell’influenza spagnola in Africa.

Già nel 1876 fu fondata la Sociedad de Pesquería Canario-Africanas, che ottenne la concessione reale per pescare al largo delle coste sahariane. Nel 1883 fu costituita la Compagnia commerciale ispano-africana, finanziata dalla Banca Generale di Madrid, 111 con lo scopo di sviluppare le relazioni commerciali tra Spagna e Africa. Bonelli nel corso di una missione durata sei anni in Marocco (1868-1874) riuscì, anche grazie alla conoscenza della lingua araba, ad entrare in contatto e a costruire un rapporto di fiducia con le tribù locali. Nel 1874 egli sottoscrisse un accordo con la tribù šorfa degli Ulad Bou Sbaa, che costituì il pretesto per porre i territori “del Rio de Oro, dell’Angra di Cintra e della Baia dell’ovest” sotto il protettorato spagnolo nel dicembre del 1884,112 dopo la Conferenza di Berlino,113 che di fatto assegnò “trab el-biedan” a Francia e Spagna.

110 La monarchia spagnola fu restaurata nel 1874. 111 Il fondatore della Banca Generale di Madrid, Segismundo Moret, fu nominato nel novembre del 1885 Ministro degli Affari Esteri. 112 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987. 113Nel 1884-1885 il cancelliere tedesco Bismarck invitò a Berlino tutti i Paesi che già avevano interessi in Africa: Gran Bretagna, Francia, Germania, Portogallo, Paesi Bassi, Belgio, Spagna e Stati Uniti. Allo scopo «di assicurare alle risoluzioni della conferenza l’assenso generale» furono invitati, ma quasi solo come osservatori, l’Austria-Ungheria, la Svezia, la Danimarca, l’Italia, l’Impero ottomano e la Russia. Durante la conferenza furono definite le regole per la colonizzazione dell’Africa. 56

Nel 1885 un decreto reale pose la costa compresa tra Cap Blanc e Cap Bojador 114 sotto la responsabilità amministrativa del Ministero d’oltremare di Madrid e nominò un commissario reale, residente sul posto, che doveva trattare con gli indigeni per prendere possesso dei territori, che non avevano un proprietario noto. L’incarico fu affidato a Bonelli.

Uno dei principali problemi che l’amministrazione spagnola d’oltremare incontrò sin dall’inizio fu la forte resistenza alla presenza straniera da parte dei Sahrawi, che attaccarono ripetutamente gli stabilimenti sulla costa (1885,1887,1892,1894) e impedirono per molto tempo un effettivo insediamento. Anche la presenza francese, che già occupava il Sénégal, la Mauritania, la Tunisia, l’Algeria e stava cercando di conquistare il Marocco e il Sahara, rappresentava un ulteriore impedimento.

2.2. La pressione francese

La politica espansionistica della Francia cominciò a manifestarsi in tutta la sua forza con la chiara intenzione di estendere il proprio dominio sulla regione che andava dall’Algeria al Sudan e al Sénégal.

La pressione militare francese sul Sahara cominciò a essere molto forte, tanto da rendere difficile la difesa della città di Smara, che nel 1907 diventò la roccaforte della resistenza sahrawi contro i francesi, che la occuparono per un breve periodo nel 1912.

La resistenza sahrawi venne organizzata da Mohamed Mustapha Ould Cheikh Mohammed Fadel, detto Ma el-Aïnin, un uomo religioso, che riunì intorno a sé tutte le tribù sahariane in una guerra santa contro i Francesi, un’impresa comparabile all’avventura almoravide.

Ma el-Aïnin nacque nel 1830 in Mauritania, che però abbandonò molto giovane per studiare e conoscere la religione. Nel 1869, alla morte del padre, decise di fermarsi nelle zone settentrionali del Sahara, dove fondò la città (qsâr) di Smara, centro religioso e intellettuale, ma anche caravanserraglio lungo le vie che attraversavano la regione del Saquia el-Hâmra. Qui si riunirono molti telamid desiderosi di ricevere una istruzione religiosa e che diedero vita, nel corso degli anni, ad un’apprezzabile apparato militare, che si oppose vigorosamente alla colonizzazione. Ma el-Aïnin era molto stimato per le sue qualità spirituali, per i numerosi miracoli e per i suoi poteri di mediatore nei conflitti tra tribù; sposò molte donne da cui ebbe numerosi figli.115 La sua fama andava ben oltre i confini del deserto, tanto che il sultano Moulay Hassan (1873-1894) lo incaricò

114 Si stabilì come limite nord Cap Bojador, perché all’epoca Mackenzie era ancora presente a Tarfaya; il limite sud a Cap Blanc, perché la Francia possedeva ancora l’isola di Arguin. 115 Ma el-Aïnin ebbe 31 figli maschi e 30 figlie femmine, altre fonti parlano di 68 figli. 57 di vigilare le frontiere del suo regno tra Dakhla e Tarfaya, cioè sulle zone che in seguito sarebbero state assoggettate al dominio spagnolo.

Dopo il 1896 i suoi collegamenti con il sultanato diventarono ancora più stretti, tanto che il sultano Moulay Abdelaziz inviò suo zio, Moulay Idris Ben Aberrahman Ben Souleiman, a raggiungere le truppe del Cheikh, e a dichiarare che trab el-biedane era parte del Marocco.116

La presenza della Francia al nord e al sud del Sahara occidentale rinforzò l’unità e la coordinazione delle azioni politiche e religiose tra le tribù sahariane e il sultanato marocchino.

Di fatto ciascuna tribù non perse mai la propria indipendenza politica e Ma el-Ainin divenne il capo di una coalizione di tribù, intrinsecamente instabile, capace però di fare fronte comune contro una grave minaccia esterna.

Nel 1906 Ma el-Ainin, dopo la sconfitta di Tidjikja, chiese aiuto a Moulay Abdelaziz a cui successe nello stesso anno il fratello Moulay Hafid, che però, dopo aver firmato gli accordi di Algericas117 con Francesi e Spagnoli, glielo rifiutò. Tutto ciò portò ovviamente al rapido scioglimento dell’alleanza, Ma al Ainin abbandonò Smara e raggiunse Tiznit dove morì e fu sepolto nell’ottobre del 1910.118 Uno dei suoi figli Ahmed el-Hiba (1877-1919) riprese la jihad e nel 1912 si proclamò sultano di Tiznit e occupò provvisoriamente Marrakech, prima che fosse conquistata dalla truppe coloniali.119

116 Al di là di questo specifico contesto tale riconoscimento non ebbe alcun valore. Dopo la morte di Moulay Ismail infatti, per circa due secoli, gli alaouiti non esercitano alcuna influenza diretta su questa parte del Sahara. 117La Conferenza di Algeciras fu convocata dal gennaio all'aprile del 1906, vi parteciparono Francia, Spagna, Italia, Stati Uniti e Marocco per discutere della questione dell’influenza francese sul Marocco, che già aveva provocato l’anno precedente forti tensioni tra la Francia e la Germania, determinando la crisi di Tangeri. La Conferenza arrivò a definire l’Atto di Algericas il 7 aprile 1906, che stabiliva il controllo internazionale a dominanza francese e spagnola sul Marocco. Ciò provocò l’avvicinamento tra Gran Bretagna e Francia e l’isolamento della Germania. L'accordo prevedeva una gestione internazionale della polizia, delle frontiere, delle finanze, del sistema tributario, delle dogane, dei servizi e dei lavori pubblici del Marocco. Parigi non ottenne quello che avrebbe voluto, come il controllo dell’esercito, ma fece un notevole passo avanti verso l’acquisizione della gestione del Marocco, che si realizzerà pienamente nel 1912. 118 La tomba di Ma el-Aïnin è tuttora un luogo di pellegrinaggio. 119 Nel 1912 ‘il sultano blu’, così come venne chiamato Ahmed el-Hiba, a causa del vestito tradizionale sahrawi (la draa), occupò Marrakech a capo di un’armata di sahrawi e marocchini del Sous. Tre giorni dopo l’accordo di Fez Moulay Hafid, abdicò a favore del fratello Moulay Ben Youssef, nonno di Hassan II. Il console francese a Marrakech fu imprigionato. Il colonnello Magin, a capo di un’armata di 5000 uomini, sconfisse el-Hiba a Sidi Bou Othamn e liberò Marrakech. Dopo la morte di el-Hiba, la resistenza anticoloniale continuò sotto l’egida di un altro figlio di Ma el-Aïnin :Merebi Rebbou. Dopo la conquista dell’Adrar da parte dei Francesi nel 1909, egli spostò gli scontri a nord. Le tribù sahrawi rifugiatesi in territorio spagnolo continuarono a tenere in allerta i Francesi in Mauritania fino al 1930. Forti delle loro tradizioni guerriere e utilizzando il metodo del ghazzi, attaccarono di sorpresa i campi militari francesi e delle loro tribù alleate. Per venti anni questa guerriglia servì a giovani sahrawi per recuperare bottini di guerra e acquisire gloria personale, lottare per il trionfo dell’Islam e salvaguardare la propria libertà. Il principale istigatore di questa guerra santa di resistenza dopo la morte di Ma el-Aïnin è un altro dei suoi figli, Mohamed Lagdaf. Agli inizi del 1913 circa 400 uomini degli Ulad Delim e degli Ergeibat si riunirono a Bir Mohgrein per organizzare una campagna contro i Francesi nell’Hodh. Il Commissario generale francese in Mauritania, il luogotenente colonnello Mouret, attraversò le frontiere del Sahara ed entrò in una Smara deserta, senza avere chiesto l’autorizzazione degli Spagnoli. Dopo due giorni i Francesi incendiarono la città e distrussero buona parte della biblioteca che conteneva oltre 5000 volumi. Questo atto 58

2.3. La delimitazione delle frontiere

Le sorti della colonia spagnola apparivano inevitabilmente legate ad un accordo che stabilisse in modo chiaro le zone di influenza spagnola e francese. A questo scopo, a partire dal 1886 Francia e Spagna cominciarono a discutere i punti di un accordo che avrebbe portato alla definizione delle frontiere del Sahara e che introduceva nel Maghreb una nozione del diritto occidentale: la frontiera.

Con questo obiettivo venne designata nel 1900 una commissione franco-spagnola per elaborare un primo trattato (trattato di Parigi firmato il 27 giugno 1900) che confermò di fatto le frontiere spagnole fissate nel 1886 (da Capo Blanco a Cap Bojador), mentre vennero lasciate alla Francia due zone di grande importanza economica, le saline di Idjil e le acque pescose della baia del Levriero (la striscia di Capo Blanco dopo la suddivisione in due parti della penisola). Nel trattato del 1900 non vennero delimitate le frontiere settentrionali del territorio sotto dominio spagnolo perché, in quel periodo, le potenze europee non avevano ancora raggiunto un accordo sulle sorti del Marocco.

Dopo il fallimento di un secondo trattato nel 1902, nel 1904 ripresero le trattative, che questa volta coinvolsero anche la Gran Bretagna, che accettò di rinunciare al Marocco a patto che la Francia a sua volta rinunciasse alle pretese sull’Egitto e sul nord del Marocco, che doveva rimanere alla Spagna (l’unico modo per tenere i francesi ad una distanza strategica da Gibilterra). Gli inglesi si dichiararono invece favorevoli a lasciare alla Spagna il sud del Marocco e il Sahara.120

Francia e Spagna, il 3 ottobre 1904, senza consultare né il sultano marocchino, né le popolazioni sahariane, siglarono un nuovo accordo che permise alla Spagna di ampliare la propria zona d’influenza più a nord, dall’oued Draa fino a Capo Blanco; di mantenere valida la convenzione del 1860, che lasciava agli spagnoli il territorio di Ifni (Santa Cruz de Mar Pequeña), in cambio della cessione di Fez e ai francesi, Tangeri divenne invece “zona internazionale”. Questa convenzione prevedeva inoltre due impegni per le due potenze coloniali europee: non minacciare più l’integrità territoriale dell’impero marocchino sotto la sovranità del sultano e, ancora più importante, assumere l’impegno di intervenire in Marocco, in caso di rottura dello status quo, dividendosi il territorio sul quale ristabilire l’ordine in modo esclusivo (punto ripreso dal progetto di convenzione del 1902).

di vandalismo gratuito irritò profondamente i nomadi. Lagdaf riunì un buon numero di Ergeibat e di Tekna per costringere Mouret a ritornare verso l’Adrar mauritano. 120 La Gran Bretagna non oppose alcuna resistenza al fatto che Tarfaya (Cap Juby) fosse assegnata alla Spagna, semmai il Marocco avesse cessato di esercitare la sua autorità. Nel 1895 gli inglesi siglarono con il sultano del Regno del Marocco un accordo con il quale accettarono di abbandonare Tarfaya, in cambio la Gran Bretagna avrebbe riconosciuto la sovranità del Marocco sulle terre comprese tra il fiume Draa e Cap Bojador, che il makhzen si impegnava a non cedere a nessuno senza l’accordo degli inglesi. 59

Il trattato del 1904 di fatto annullò l’accordo che gli inglesi avevano sottoscritto con il makhzen nel 1895, quando Mackenzie lasciò Casa Mar, ma né Francia né Spagna erano a conoscenza che nessuna truppa marocchina era di stanza a Tarfaya.

Fu con la convenzione di Madrid del 27 novembre 1912 che si fissarono definitivamente le frontiere e le zone di influenza francese e spagnola del Marocco e del Sahara. La Spagna vide ridursi le zone di influenza nel nord del Marocco, a Tangeri e a una piccola zona del Rif; mantenne i presidi121 di Ceuta, Melilla, l’enclave122 di Ifni (1500 chilometri quadrati di territorio compreso tra l’oued Bou Sedra a nord, l’oued Noun a sud, a 25 chilometri della costa a est); aggiunse la regione di Tarfaya (una piccola fascia a sud del fiume Draa). Per quanto riguarda il Sahara, gli accordi del 1912 confermarono i confini spagnoli dal parallelo 27°40’ a nord e Capo Blanco (rimangono validi gli accordi del 1904 che dividevano in due parti la penisola)123. All’interno, nell’immenso Sahara, non vennero volontariamente definite delle precise frontiere, ma solo delle zone di influenza, di amministrazione e di polizia. Le due potenze coloniali, Spagna e Francia, seppur con forza ineguale, cercarono di imporre tutta la loro influenza, anche su questa vasta zona desertica.

Nel frattempo, il 30 marzo 1912, il sultano Moulay Hafid firmava il trattato di Fez, con il quale cedeva la sovranità del Marocco alla Francia, che diventava così un protettorato. 124 Lo stesso accordo prevedeva la possibilità, anche per la Spagna, di istituire un protettorato spagnolo nelle zone di Tarfaya e nel Rif, che erano già sotto la sua influenza.125

121 Presidio, dal latino presidium, propriamente «posto avanzato». Guarnigione militare, contingente di truppe che è di stanza, abitualmente o temporaneamente, in un luogo, al fine di esercitarvi un’azione di controllo, di vigilanza, di difesa anche armata. 122 Enclave, deriva dal francese enclaver, «chiudere con una chiave» e dal latino inclavare. Nel linguaggio internazionale: territorio non molto esteso, che sia completamente circondato da un territorio appartenente a uno stato diverso da quello che ha la sovranità su di esso, è uno stato interamente compreso all'interno di uno stato, che però appartiene ed è governato da un altro Paese 123 La convenzione ratifica l’articolo 6 del trattato del 1904, in cui si conferma che la Saquia el-Hâmra è “fuori dal territorio marocchino”. 124 Secondo il sito www.treccani.it (s.d.) Protettorato, in diritto internazionale, istituto scomparso con la fine del colonialismo, in base al quale uno stato protettore assumeva, in virtù di un accordo (trattato di protezione), l’obbligo della tutela di uno stato protetto, militarmente debole e meno evoluto, e questo a sua volta, senza perdere la sua qualità di soggetto internazionale, accettava che il primo esercitasse un’ingerenza nei suoi affari interni e soprattutto internazionali (specialmente riguardo ai rapporti internazionali o alla sua integrità territoriale). Differente da colonia con cui si intende un territorio la cui sovranità non appartiene alla popolazione autoctona, ma ad uno stato straniero che lo occupa militarmente, ne utilizza le risorse naturali e lo amministra con un ordinamento giuridico particolare, in base al quale i diritti delle popolazioni autoctone non sono equiparati a quelli dei cittadini dello stato occupante. 125 Il protettorato, comprensivo della zona settentrionale del Marocco e della regione di Tarfaya, restava sotto l’autorità civile e religiosa del sultano ed erano amministrate da un suo rappresentante, sottoposto all’Alto commissario spagnolo. 60

2.4. L’occupazione definitiva

Per alcuni decenni la presenza spagnola in Sahara rimase solo sulla carta, visto che si limitò ad occupare soltanto alcuni piccoli insediamenti commerciali sulla costa (Tarfaya, Villa Cisneros, La Güera). L’avvenire del Sahara spagnolo non sembrava essere molto roseo: l’assenza di acqua dolce,126 la mancanza di porti sulla costa, l’instabilità della popolazione locale e del commercio, lo scarso investimento governativo, 127 erano solo alcuni dei motivi che non incoraggiavano ad investire nella regione. L’unica vera risorsa era la pesca.128 Solo alla fine degli anni ’40 furono scoperte le miniere di fosfati di Bou Craa, i giacimenti a cielo aperto più grandi del mondo e di ottima qualità. Fino a quel momento il Sahara non era altro che una colonia senza alcun valore economico e strategico.

Francisco Bens Argandoña, prima nominato governatore politico-militare del Rio de Oro e poi delegato dell’Alto Commissariato spagnolo in Marocco, fu colui che, per primo, cercò di guadagnarsi la fiducia dei Sahrawi, uno degli ultimi popoli africani a sottomettersi alla dominazione coloniale.

Considerato che, le prime lotte armate che annunciavano l’inizio della decolonizzazione iniziarono a metà degli anni ’50, si può affermare che una parte di queste società tribali, in particolare quelle del nord del Sahara, che avevano subito l’occupazione coloniale solamente per una generazione, quindi ebbero la loro possibilità di conservare i valori tribali tradizionali.

I primi spagnoli che si trasferirono nel Sahara spagnolo erano per la maggior parte militari delle basi di Tarfaya e Villa Cisneros. Nel 1920 le autorità spagnole iniziarono a reclutare i Sahrawi in unità speciali di polizia paramilitare (la prima unità delle Truppe di Polizia del Sahara fu istituita nel 1926) e nel 1933, spinti dai Francesi, iniziarono un più ambizioso programma di occupazione di Ifni e del Sahara occidentale. Ifni fu occupata, senza particolari resistenze da parte della tribù degli Ait Ba Amarane di Ifni e dei Sahrawi, che erano oramai rassegnati alla presenza europea, preferendo gli

126 La mancanza di acqua era uno dei problemi che rallentò lo sviluppo economico della regione. Fino al 1960 in tutto il paese vi erano in tutto 130 pozzi, con una capacità di approvvigionamento totale di 12.200 metri cubi di acqua, la stessa quantità d’acqua consumata quotidianamente dai numerosi villaggi rurali spagnoli. 127 Nel 1952 il servizio telefonico non aveva che 24 abbonati su tutto il territorio. Nel 1959 c’erano sei sezioni di scuola primaria con sette istitutori (sei spagnoli e uno sahrawi) per un totale di 366 allievi, di cui 139 bambini sahrawi, 105 bambini spagnoli e 122 adulti. 128 Nel 1919 pescavano al largo della costa occidentale 75 battelli. Nel 1913 venivano esportate 250 tonnellate di pesce. Nel 1948 fu costituita una compagnia di pesca statale (I.P.A.S.A.) dall’Istituto nazionale dell’Industria. Negli anni ’50 si calcolò che ogni anno venivano pescate dalle 2000 alle 6000 tonnellate di pesce, per lo più a Villa Cisneros e a La Güera. 61

Spagnoli, relativamente pacifici, rispetto ai Francesi con i quali si erano più volte scontrati aspramente nel corso degli anni.129

E’ a metà degli anni ’30, durante la guerra civile,130 che la Spagna iniziò la vera colonizzazione del Sahara, anche se la maggior parte degli spagnoli ignorava l’esistenza di questa colonia. Il governo cominciò allora a esplorare e ad occupare le zone interne: dopo l’occupazione di Ifni, nel 1934 gli spagnoli conquistarono la città santa di Smara 131 , bastione della resistenza sahrawi contro l’occupazione straniera; poi Tarfaya, Daora e nel 1940 El Aioun (aïoun, sorgente di acqua fresca), che verrà fatta capitale della provincia spagnola nel 1958.

Con decreto del governo spagnolo del 29 agosto 1934 l’Alto commissario del protettorato spagnolo in Marocco acquisì il titolo di governatore generale di Ifni, del Sahara spagnolo e del Rio de Oro, la cui sede fu trasferita da Tétouan a Sidi Ifni e Tarfaya, dove dos delegatos gubernativos assunsero la responsabilità diretta dell’amministrazione di Ifni e dei territorio sahariani, da Tarfaya a Villa Cisneros fino a La Güera, dove l’amministrazione locale era garantita da dos comandantes.

Angel Doménech-Lafuente, scrittore spagnolo specializzato in affari coloniali, scrisse nel 1945 che questa unificazione amministrativa de facto del Sahara occidentale, di Ifni e delle zone del protettorato spagnolo in Marocco risvegliarono il nazionalismo marocchino, che divenne una forza politica di un certo rilievo, dopo la fondazione del partito dell’Istiqlal (‘indipendenza’) avvenuta nel 1944.

Prudentemente il governo spagnolo, due anni più tardi, decise di separare dal punto di vista amministrativo le colonie di Ifni e del Sahara spagnolo dalle zone del protettorato in Marocco, proprio per ovviare alla fragilità di un sistema amministrativo unificato e che imponeva una separazione di competenze tra le diverse zone.

129 Mohamed el–Mamoun, nipote di Ma el-Anin, uomo colto e profondamente credente, nel 1931 divenne uno dei capi della resistenza sahrawi. Già durante la prima guerra mondiale, el-Mamoun compì delle operazioni di guerriglia contro i Francesi nel nord del Marocco, che continuarono fino al 1934 con imprese definite epiche. Nonostante la profonda conoscenza del deserto, le tattiche di guerriglia e la possibilità di trovare rifugio nei territori spagnoli i sahrawi non avevano più la forza per combattere contro un esercito francese molto ben armato. Un’altra delle motivazioni che erano considerate all’origine della debolezza dei sahrawi era la mancanza di un comandante coerente e duraturo, che fosse capace di definire una strategia precisa. I Francesi erano riusciti a strumentalizzare le rivalità e le ostilità già esistenti tra le tribù, favorirono e accrebbero la tensione e gli scontri tra di esse. La conquista spagnola del sud marocchino agli inizi del 1934 preparava il terreno della pacificazione definitiva con gli Ahel es-Sahel. 130 La lunga e sanguinante guerra civile spagnola (1936-1939) non lasciò tracce sul Sahara occidentale, se non la presenza dei prigionieri politici. 131 Michel Vieuchange rimase folgorato dal deserto, dopo aver letto il libro Corriere del Sud, che Antoine de Saint- Exupéry scrisse e pubblicò nel 1928 dopo aver trascorso diciotto mesi a Cap Juby (Tarfaya), dove fu inviato dalla compagnia aerea francese Latécoère, in qualità di responsabile dello scalo aeroportuale intermedio per la prima rotta intercontinentale Tolosa-. Vieuchange decise di raggiungere Smara partendo a piedi dalla zona a nord di Tiznit. Per evitare di venire ucciso dalle tribù delle zone ‘non sottomesse’ si veste da donna. Morì sulla via del ritorno dopo essersi ammalato di dissenteria. S. Linqvist, Nei deserti, Milano, Ponte alle grazie, 2002. 62

Un decreto del 1946 (e il successivo del 1947) istituì l’Africa Occidentale Spagnola (A.O.E.), una nuova entità comprendente Ifni, la “zona” Saquia el-Hâmra e la “colonia” Rio de Oro (si escluse quindi la zona spagnola del sud marocchino compresa tra il fiume Draa e il parallelo 27° 40’) amministrata dal governatore generale residente a Sidi Ifni e dipendente dal governo di Madrid, attraverso la Direzione generale del Marocco e delle Colonie. Assistito da un segretario generale, il governatore aveva la responsabilità delle forze armate e dell’amministrazione civile. Il protettorato spagnolo era invece affidato al controllo dell’alto commissariato per il Marocco di stanza a Tétouan.

Questi provvedimenti non riuscirono a cambiare il corso degli eventi che interessarono la regione maghrebina a partire dal 1956, anno dell’indipendenza del Marocco. Il richiamo all’insurrezione lanciato dai comandanti dell’Armata di liberazione nel sud marocchino incitarono i Sahrawi a sollevarsi per la prima volta dopo la pacificazione del 1934.

Tra il 1954 e il 1955 la Francia si trovò impegnata su un doppio fronte, algerino e marocchino. L’Algeria con il Fronte di Liberazione Nazionale (F.L.N.) e il Marocco con l’Armata di liberazione132 avevano intrapreso una dura lotta che costrinse Parigi a giungere ad un compromesso con il sultano marocchino, Mohammed V133, che dopo essere rientrato trionfante dall’esilio il 16 novembre 1955, ottenne la fine del protettorato e il riconoscimento dell’indipendenza134, (3 marzo 1956), in cambio della sospensione delle ostilità.

La Spagna a sua volta il 7 aprile 1956 liberò la regione del Rif e poi Tangeri, conservando invece le enclavi di Ceuta e Melilla. Contestualmente il generale Francisco Franco decise di riconoscere la sovranità del Marocco e di rispettare i trattati internazionali.

La scoperta delle miniere di fosfati e l’indipendenza del Marocco nel 1956 modificarono l’equilibrio coloniale fino ad allora esistente.

132 L’ALM (Armata di Liberazione Marocchina) nacque nel 1949 come movimento rurale nato dall’Istiqlal. Era composto da membri attivi del partito, che decisero di lasciare tutto, e se necessario, di morire per la patria. Dopo il ’56 i combattenti continuarono a rimanere sulle montagne, perché erano convinti che l’indipendenza fosse minacciata e quindi volevano essere pronti a difenderla. I. Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l’indipendance à nos jour, Paris, Fayard, 2004 133 I francesi mandarono in esilio Mohammed V perché accusato di sostenere il partito indipendentista dell’Istiqlal. Durante il suo esilio Mohammed V venne sostituito da Moulay Ben Arafa. 134 Allal al-Fassi fu esiliato dai francesi perché capo dell’Istiqlal e rientrò in Marocco poco dopo l’indipendenza. Al suo rientro dichiarò all’AFP: “Io riaffermo a tutti gli Europei, e particolarmente ai Francesi e agli Spagnoli, che i loro interessi legittimi saranno rispettati e che la giustizia sarà riconosciuta a tutti. Nessuno di loro deve essere inquieto per le proprie opinioni politiche o le sue credenze religiose. Io garantisco tutti coloro che vivono nel nostro paese, anche i compatrioti israeliani, che il Marocco è la loro patria naturale e che devono godere degli stessi diritti e gli stessi doveri di noi tutti”. 63

64

2.5. La situazione del Marocco dopo l’indipendenza

La storia politica del Marocco dopo l’indipendenza ruotò intorno a tre re, ciascuno dei quali dominò a proprio modo la scena politica: Mohammed V, Hassan II e Mohammed VI.

Mohammed V, il “padre dell’indipendenza”, fu uomo dalla personalità molto complessa, più indeciso e meno preparato del principe ereditario 135 Moulay Hassan. Nonostante fosse stato manipolato dai colonizzatori, fu comunque in grado di giocare un importante ruolo attraverso l’Armata di liberazione e il Movimento nazionale. Moulay Hassan più volte criticò le relazioni del padre con i movimenti indipendentisti, e a lui, in più occasioni, espresse il proprio dissenso e la paura di perdere il potere e il trono in Marocco.

All’indomani dell’indipendenza la situazione economica del Marocco era disastrosa, le casse dello Stato erano completamente vuote e il Paese si trovava in una situazione di grande caos. Per riportare ordine e sicurezza interna, a partire dal 1956, si pensò di integrare i membri dell’Armata di liberazione nell’esercito regolare. Nacquero così le Forze Armate Reali (F.A.R.) del Marocco indipendente, comandate dal principe ereditario Moulay Hassan, il futuro Hassan II,136 il quale era convinto che questo fosse l’unico modo possibile di proteggere la monarchia marocchina.137

Anche la Spagna fu attraversata da un’ondata di rivolte fomentate dall’Armata di liberazione marocchina, che però grazie all’azione franco-spagnola, fu sconfitta attraverso l’operazione Uragano.138 Una parte dei membri dell’Armata di Liberazione, infatti, era determinta a combattere per la liberazione dal giogo coloniale di tutta l’Africa del Nord e cercò di incentivare anche i Sahrawi ad unirsi alla rivolta comandata da Benhamu Mesfiui, un marocchino originario del Rif.

Venticinque sahrawi, tra cui il giovane Abba el-Cheikh, cominciarono a reclutare guerriglieri tra i sahariani, per partecipare a una nuova jihad contro gli infedeli europei. I Sahrawi ripresero la guerra nel deserto, secondo l’antico stile del ghazzi, questa volta però furono guidati da quadri politici marocchini.

Agli inizi del 1957 l’Armata di liberazione attaccò le truppe francesi in Mauritania, poi si rifugiò nel Sahara spagnolo. I Francesi allarmati139 si riunirono a Tindouf (conferenza militare del 1957) e

135 Nel 1957 Mohammed V con decreto trasformò il sultanato marocchino in monarchia ereditaria. Il 9 luglio 1957 proclamò suo figlio Moulay Hassan principe ereditario e il 15 agosto dello stesso anno egli assunse il titolo di re. 136 Dietro l’Armata di liberazione (el Djir Tahrir) c’era Mohammed V, molto legato al partito dell’Istiqlal, anche se ufficialmente il Marocco negò ogni responsabilità riguardo gli attacchi incontrollabili dell’Armata di liberazione. 137 La sparizione progressiva dell’Armata di liberazione, la dissoluzione dei suoi gruppi, la loro integrazione nelle F.A.R. e il ritorno alla legalità tolsero una grande preoccupazione alla monarchia. I. Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l’indépendance à nos jours, Paris, Fayard, 2004. 138 Si tratta dell’operazione Uragano, Ecouvillon per i Francesi, Teide per gli Spagnoli. 139 Milioni di franchi investiti nelle miniere di ferro di Zouérate in Mauritania (MIFERMA) corrervano un grave pericolo. 65 chiesero agli Spagnoli l’autorizzazione ad entrare nel territorio del Sahara per annientare l’Armata, nel caso di una nuova aggressione.140 L’Armata entrò prima a Ifni, che gli Spagnoli avevano già abbandonato,141 poi attaccò Capo Bojador, dove vennero sequestrati sette spagnoli. Negli scontri vi furono molti morti e feriti. Francia e Spagna congiuntamente decisero di intervenire con una dura azione militare che determinò la sconfitta dell’Armata di liberazione, che era stata abbandonata inspiegabilmente alla sua sorte dalla monarchia marocchina, che si dimostrava soddisfatta nel vedere annientata una forza di opposizione al regime. Per sfuggire al massacro indistinto di combattenti e civili, i sahrawi fecero il loro primo esodo, che li condusse verso i confini mauritani e marocchini.

L’operazione Uragano segnò in maniera decisiva il processo di coesione nazionale delle tribù sahrawi, che presero coscienza delle rivendicazioni territoriali marocchine e maturarono la consapevolezza, che per raggiungere l’indipendenza avrebbero dovuto contare solo su loro stessi e non sui loro vicini. Gli anni che separavano la colonizzazione spagnola dalla ri-colonizzazione del Sahara occidentale da parte del Marocco si rivelarono fondamentali per la costruzione del futuro Stato sahrawi.

In seguito, il governo spagnolo, per dare un chiaro segnale ai ribelli, adottò dei provvedimenti che istituivano un legame ancora più stretto con questi territori: il 10 gennaio 1958 venne abolita l’A.O.E. e il Sahara spagnolo e Ifni divennero due “province” spagnole. Queste due regioni non erano più colonie ma parti integranti della Spagna. Il sud spagnolo del Marocco rimase escluso da questo decreto, suggerendo l’intenzione degli Spagnoli di porre fine al protettorato nella regione.

In cambio della promessa da parte di Mohammed V di ripristinare l’ordine nel sud marocchino e di porre fine agli attacchi dell’Armata di liberazione, la Spagna promise di ritirarsi dal territorio situato tra il fiume Draa e il parallelo 27° 40’. Il sultano, che ufficialmente continuava a sostenere l’Armata di liberazione, preferì tendere la mano ai Francesi e agli Spagnoli, meno pericolosi per la monarchia delle tribù sahariane.

Dalla valutazione dei fatti é lecito pensare che la guerra dell’Armata di liberazione non fosse altro che un’azione militare manipolata dal Marocco. I Sahrawi che avevano combattuto a fianco dei marocchini per cacciare i colonizzatori ora vedevano ceduta parte della loro terra al Marocco.

Agli inizi del 1958 i Sahrawi chiesero l’aiuto dei Francesi. Khatri el-Joumani scrisse infatti una lettera all’Alto commissario in Africa Occidentale Francese (A.O.F.), Gaston Cousin, con la quale

140 I Francesi ottennero dagli Spagnoli la possibilità di perseguire i ribelli nel territorio del Sahara spagnolo per 80 km a terra e 100 km in aria. 141 Quando con il trattato di Cintra nel 1969 Ifni fu consegnata al Marocco, la Spagna ormai aveva abbandonato quasi totalmente il territorio, che non aveva nessun valore economico. 66 accusava l’Armata di liberazione di attaccare il territorio sahrawi “causando danni alla gente, ai suoi beni e al paese…”.142

L’Armata di liberazione marocchina proprio in questi anni dichiarava di riconoscersi totalmente negli stessi obiettivi politici dell’Istiqlal. L’Armata di liberazione e la mounadhama siriya (organizzazione segreta o movimento di resistenza e branca semi-clandestina dell’Istiqlal) presenti nelle città e nelle campagne, assoggettate all’autorità del sultano del Marocco, incarnazione del patriottismo marocchino, dichiararono di voler continuare a combattere fino a quando non avessero realizzato l’unità territoriale e l’indipendenza assoluta del Marocco.143

2.6. La strategia maghrebina della Spagna

La letteratura militare sulla guerra di Sidi-Ifni è un importante strumento per tutti coloro che oggi vogliono investigare sugli anni 1956-1958 e più in generale sulla storia coloniale di questi territori. La domanda che tutti si sono posti è: perché l’A.O.E. e il governo spagnolo hanno permesso all’Armata di liberazione marocchina di entrare a Ifni e in Sahara?

La maggior parte degli autori esaminati da Correale144 giustificavano le ragioni dell’A.O.E., la quale essendo priva di mezzi e uomini (le condizioni dell’esercito spagnolo a Ifni come in Sahara erano pessime), puntava a costruire il mito di coloro che, con valore e spirito di sacrificio, più che con armi e fucili, avevano avuto la forza e il coraggio di combattere l’ultima guerra coloniale. Nel far questo essi fecero ben attenzione a non menzionare i bombardamenti che la popolazione sahrawi aveva invece subito in Sahara, da parte dell’aviazione ispano-francese durante l’operazione Uragano.145 Gli stessi autori accusarono invece il governo centrale spagnolo di aver attuato una politica inadeguata, che nascondeva altri fini, per lo più di ordine economico.

La Spagna avrebbe potuto reagire alla pressione dell’ALM inviando nell’enclave spagnola l’esercito spagnolo, ma ciò sarebbe stato in stridente contrasto con le poche e scarne notizie che la censura franchista diffondeva riguardo il conflitto ispano-marocchino di Sidi-Ifni, secondo le quali nell’A.O.E. tutto era sotto controllo. Il 23 novembre 1957, tutte le linee telefoniche di Ifni furono sabotate, duemila guerriglieri dell’ALM invasero l’enclave spagnola e accerchiarono le postazioni

142 Ahmetu Suelim ricordava che “la gente più anziana dal principio non avevano fiducia nel Djir Tahrir, mio padre non diede loro nulla e consigliò gli amici di non farsi coinvolgere. Non si conoscevano i suoi dirigenti, non erano chiari i loro obiettivi, si trattava di avventurieri”. A. García, Historia del Sahara. El mejor u el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001. 143 I. Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l’indépendance à nos jours, Paris, Fayard, 2004, pp. 46 - 47. 144 F. Correale, La ultima guerra colonial de España y la literatura militar entre memoria y conocimiento in Leteraturas africanas entre tradiciones y modernidades, 7º Congresso iberico de estudios africanos, 2010. 145 “I bombardamenti furono terribili colpivano ogni giorno tutto quello che si muoveva, animali, persone o tende. Morì la metà dei nostri animali, la gente era terrorizzata. Dopo tutto ciò la maggior parte delle famiglie abbandonò il deserto per la città, senza cammelli la vita non era più possibile”. A. García, Historia del Sahara. El mejor u el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001. 67 militari. L’attacco, sebbene preannunciato, colse impreparati l’esercito e l’aviazione spagnola, che rivelarono così tutta la loro carenza di mezzi.

La Spagna, in realtà, in nome di un’antica tradizione di collaborazione e buoni rapporti con il mondo arabo, si preoccupava soprattutto di mantenere buone relazioni politiche ed economiche non solo con il Marocco, ma anche con la Mauritania e l’Algeria. Il governo spagnolo, ancora prima dell’indipendenza del Marocco si era già mostrato ostile alla deposizione e all’esilio di Mohammed V, in segno di disapprovazione della sua adesione alle tesi dell’Istiqlal voluti dal governo francese.

Questo orientamento venne mantenuto anche dopo il 1956, quando la Spagna cominciò ad avvalersi di una strategia all’interno della quale confluivano interessi politici ed economici.

Il Marocco da parte sua aveva tutto l’interesse a portare avanti una politica sahariana che non fosse in conflitto con gli interessi spagnoli, visto che la Spagna aveva da parte sua un certo margine di manovra, che le derivava dal possesso dei territori sotto protettorato spagnolo (la regione di Tétouan e del Rif) e dagli altri possedimenti spagnoli, Ifni e la regione di Tarfaya.

Per normalizzare le relazioni con Rabat e fargli dimenticare il Sahara spagnolo, Franco cedette ufficialmente al Marocco la zona di Tarfaya e Tan-Tan, situate tra il parallelo 27° 40’ e il fiume Draa. Il 1° aprile 1958 a Cintra (Portogallo) si mise fine al protettorato spagnolo su questa regione.146

Il trattato di Cintra e quindi il trasferimento al Marocco della sovranità sulla regione di Tarfaya, è un esempio chiaro della strategia spagnola consistente nel gratificare il regno alaouita subito dopo la sconfitta dell’Armata di liberazione. Si può quindi pensare che questa cessione territoriale sia stata una sorta di “ricompensa” al Marocco, testimone inerte della repressione perpetrata ai danni di elementi sahrawi, ma anche marocchini.147

146 Tarfaya rimase occupata dall’armata marocchina fino al 10 aprile 1958. La cerimonia di passaggio dei poteri, che si doveva tenere proprio il 10 aprile, venne rimandata perché i soldati marocchini, comandati da Mohammed Oufkir, partiti da Goulimine non potevano arrivare perché un gruppo di sahrawi li aveva bloccati a 150 chilometri da Tarfaya. Il principe ereditario Hassan si recò allora in elicottero a Tarfaya per trattare con le forze sahrawi. A Bouk’cheibia, vicino alle rive del fiume Chebeika, si organizzò un meeting di riconciliazione, nel corso del quale Hassan promise di liberare i ribelli sahrawi imprigionati. I ribelli non accettarono di deporre le armi e la resistenza continuò nella clandestinità. La cerimonia si realizzò solo il 22 luglio 1958. Moumen Diouri nel suo libro A qui appartient le Maroc? (Parigi, L’Harmattan, 1992) a pag. 110 riporta una notizia pubblicata il 15 maggio 1989 sul giornale nigeriano Guardian, in cui si afferma che la regione di Tarfaya era stata utlizzata dal Marocco come “pattumiera reale” e proprio in quel luogo si trovava il più grande inceneritore di rifiuti tossici (2000 tonnellate provenienti quotidianamente dall’Europa e dagli Stati Uniti). 147 Questa tesi si può ritrovare nel contenuto delle trattative che si svolsero a Tangeri, dal 15 al 17 settembre 195, nel corso delle quali la Spagna si impegnava a ritirarsi dalla regione di Tarfaya “appena l’esercito marocchino avesse messo termine agli attacchi dell’armata di liberazione”. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 108. 68

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Come vedremo in seguito, anche la restituzione di Ifni al Marocco, decretata con il trattato di Fez del 4 gennaio 1969, rappresentava una nuova, importante occasione per confermare le buone e vantaggiose relazioni tra Spagna e Marocco. Lo stesso giorno, infatti, Madrid e Rabat sottoscrissero una convenzione decennale che autorizzava i pescherecci di ciascuno dei due Stati a pescare nelle acque territoriali dell’altro. La convenzione prevedeva inoltre lo sviluppo di una cooperazione bilaterale.

La Spagna intrecciò importanti relazioni economiche anche con e Algeri: nel settore dell’industria e della pesca con la Mauritania e in quello del gas con l’Algeria.148

La cessione della zona di Tarfaya provocò una forte contrarietà tra i Sahrawi, che svilupparono una forte volontà di emancipazione di tutto il popolo e un sentimento d’identità nazionale, che portò a un’irreversibile esigenza d’indipendenza.

Il Marocco, da parte sua, cercò di incoraggiare in ogni modo possibile la cooperazione tra i Sahrawi che vivevano nella zona sud del Marocco e il governo, ma la resistenza all’integrazione al regime marocchino rimase latente a lungo. E da lì che nacquero i leader nazionalisti sahrawi come Bassiri.149

2.7. La trasformazione della società sahrawi in epoca coloniale

Fino agli anni ’60 lo sviluppo della colonia spagnola fu molto lento e pochi Sahrawi decisero di vivere negli insediamenti spagnoli (alcuni, vivevano in accampamenti intorno alle città spagnole), la maggior parte di loro decise di continuare la vita nomade.

L’operazione Uragano e le sue conseguenze accelerarono la trasformazione della società nomade, basata su un’economia pastorale tradizionale, ad una società stanziale, basata su un’economia industriale moderna, che decise di collaborare con l’amministrazione coloniale spagnola, in cambio della possibilità di mantenere la propria lingua, la propria religione e la propria cultura.

Gli Spagnoli, pur non avendo alcuna speranza di poter esercitare un reale controllo amministrativo sulle popolazioni sahariane, che vivevano sparse su tutto il territorio, esercitarono però una certa influenza sulla società sahrawi.

148 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 85 - 87. 149 Circa 8000 sahrawi entrarono a far parte della F.A.R. (tra loro molti appartenenti alle tribù Tekna e alcuni Ergeibat tra cui anche Abba el-Cheikh; i sahrawi invece continuarono la resistenza, in forma più o meno clandestina e per questo continuarono ad essere arrestati, torturarti, minacciati di morte dalle autorità marocchine. Nel suo discorso dopo il tentativo di colpo di stato a Kénitra il re del Marocco citò i sahrawi tra coloro che, a suo avviso, minacciavano seriamente e realmente la monarchia. 70

Le guerre tribali e le razzie intratribali (ghazzi) pian piano scomparvero, permettendo così ai nomadi di spostarsi in gruppi meno numerosi e di conseguenza avere più pascolo. I centri spagnoli diventarono basi commerciali, dove era possibile vendere bestiame, pelli, lana e acquistare tessuti, tè, farina, zucchero. Alcuni Sahrawi erano impiegati nei cantieri, altri nelle forze di polizia (Truppe Nomadi).

Lo schiavismo e la horma (le tribù znaga a seguito della cessazione delle razzie non erano più costrette a pagare un tributo alle tribù guerriere in cambio della loro protezione) cominciarono a diminuire progressivamente sebbene non fossero vietate dagli spagnoli. Le tribù znaga, liberate dall’umiliazione dell’horma, videro aumentare la loro prosperità, mentre le tribù guerriere, non potendo più contare su tributi riscossi dalle altre tribù, si trovarono in maggiore difficoltà, così molti entrarono a far parte della polizia speciale. Quando la Spagna impose a tutti i Sahrawi di pagare le tasse affermarono: “siamo tutti znaga ora”.

Per quanto riguarda l’organizzazione politica ed amministrativa del Sahara spagnolo, la responsabilità era interamente affidata ad un governatore generale, che doveva essere un militare. In quanto comandante delle forze armate del Sahara occidentale, il governatore riceveva gli ordini dal capitano delle isole Canarie, ma per tutto il resto, egli era direttamente responsabile nei confronti del governo di Madrid, attraverso quella che nel 1969 prenderà il nome di Direzione generale della Promozione del Sahara.

Il governo spagnolo era consapevole di non poter amministrare questa provincia come le altre province della penisola, per le sue particolarità territoriali e sociali. Diventò allora fondamentale coinvolgere nell’amministrazione del territorio la popolazione locale, in particolare i capi tribù.

Con specifico decreto della Presidenza del Governo150 si istituì un consiglio provinciale o Cabildo Provincial, con la possibilità di avere una rappresentanza al Parlamento spagnolo; due città, El Aioun e Villa Cisneros, avevano il diritto di avere consigli municipali o ayuntamientos con concejales eletti (dodici a El Aioun e otto a Villa Cisneros), i cui sindaci o alcaldes venivano eletti dallo Stato; le due città di Smara e La Güera, considerate entità locali minori, avevano il diritto di eleggere juntas locali composte da quattro membri.151

Le elezioni di questi organi non erano democratiche, come non lo erano, di fatto, tutte quelle realizzate in Spagna durante il periodo franchista. Solo la metà dei consejales, infatti, venivano

150 Decreto 3249/1962 della Presidenza del Governo del 29 novembre 1962 che approvava l’ordinamento della amministrazione locale per la Provincia del Sahara Bollettino ufficiale dello Stato (BOE), 12 dicembre 1962. 151 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 70 - 71. 71 eletti dalle tribù locali 152 , gli altri venivano nominati da rappresentanti del commercio, dell’industria, della cultura e delle libere professioni, tutti ambiti in cui gli Spagnoli predominavano rispetto ai Sahrawi. Le liste elettorali erano composte da candidati che dovevano essere approvati dal governatore generale ed il cui numero doveva essere tre volte superiore ai candidati da eleggere. Nessuno poteva scegliere i propri candidati.

Le prime elezioni furono realizzate nel maggio del 1963, questi i risultati:153

Spagnoli Sahrawi

Cabildo 7 7

Rappresentante Parlamento spagnolo 1*

Consigli municipali

El Aioun 7 5

Villa Cisneros 4 5

Sindaci

El Aioun 1**

Villa Cisneros 1***

Giunte locali

Smara 2 2

La Güera 2 2

* Khatri Ould Said Ould el-Joumani (Erguibat Lgouacem) ** Pozo Crespo *** Souleim Ould Abdellahi (Ouled Delim) Nessuna di queste istituzioni aveva un potere reale, le loro decisioni riguardavano quasi esclusivamente temi di carattere locale e comunque il governatore generale poteva sempre intervenire e modificarle. Ciascun consigliere era subordinato al governatore generale, che poteva essere sostituito nelle sue funzioni militari dal segretario generale, che invece era ordinariamente incaricato dell’amministrazione civile.

152 Avevano diritto di voto i capi famiglia di sesso maschile di età superiore ai 21 anni residenti nelle municipalità e nei centri minori. 153 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 71 e T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 181.

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I limiti e l’inefficacia della politica di “provincializzazione” della Spagna divennero sempre più evidenti (un sistema giuridico-istituzionale come quello della madrepatria rappresentava una totale astrazione rispetto alla realtà locale) e contemporaneamente cominciò a maturare la consapevolezza di dover aprire dei canali di comunicazione con la popolazione locale, che certamente non potevano essere garantiti da un tipo di organizzazione mutuata da modelli occidentali.

Ma, fino a quando la popolazione sahrawi avesse continuato la vita nomade, le autorità non avrebbero potuto in alcun modo esercitare un’amministrazione diretta. Fu allora necessario pensare ad alcune riforme amministrative, almeno fino a quando un numero maggiore di Sahrawi si sarebbe insediato nelle città. Le autorità coloniali pensarono di istituire un’assemblea consultiva permanente composta da capi famiglia conservatori, uomini che avevano già dato prova di grande fedeltà alla Spagna. A quest’Assemblea Generale del Sahara venne dato il nome di Djemaa, anche se non aveva molto in comune con la djemaa tribale tradizionale. L’Assemblea Generale del Sahara inizialmente era composta da 82 membri, tutti Sahrawi, coadiuvati nel ruolo di consigliere ufficiale dell’Assemblea nella persona del segretario generale, senza diritto di voto, che partecipava con un segretario (spagnolo). Una parte dei membri erano nominati d’ufficio (il presidente del Cabilo provinciale, i sindaci di El Aioun e di Villa Cisneros e i capi delle frazioni tribali riconosciute), solo 42 membri venivano eletti direttamente, ma dovevano essere sottoposti all’approvazione del governatore generale, prima di essere nominati.

La funzione della Djemaa era quella di esprimere un parere su questioni di interesse generale per il territorio (agricoltura, educazione, politica sociale ed economica), di proporre leggi, senza che il governo centrale fosse però in nessun modo vincolato ad esse.

Le prime elezioni, previste entro due anni, furono realizzate solo nell’estate del 1967, dopo aver riunito e selezionato i candidati, che furono suddivisi proporzionalmente all’importanza numerica delle varie tribù.154 L’inaugurazione dell’Assemblea venne celebrata a El Aioun l’11 settembre 1967. Il Presidente e il vice presidente, scelti tra i non eletti erano: Saila Ould Abeida (Ergeibat) e Baba Ould Hasseina Ould Ahmed (Ulad Delim).

Nel 1973 il governo, che decise di sorvegliare più da vicino il sistema di rappresentazione delle tribù, modificò con una nuova ordinanza l’organizzazione della Djemaa. Le tribù vennero suddivise

154 Su 82 membri 42 seggi erano assegnati alla tribù degli Ergeibat, adeguatamente ripartiti tra Ergeibat ech-Charg e Ergeibat es-Sahel; 12 seggi agli Ulad Delim, 9 per gli Izarguien, 5 agli Arosien, 7 agli Ulad Tidrarin, le altre tribù meno importanti dovevano suddividersi i restanti 7 seggi. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 183. 73 in 114 sezioni, chiamate “unità famigliari”, i cui capi famiglia potevano essere eletti da persone di sesso maschile con più di 21 anni e in possesso della carta di identità spagnola.155

Le autorità spagnole fecero del loro meglio per dare alla comunità internazionale l’impressione di impegnarsi a rispettare i costumi e la religione sahrawi.156

Negli anni ’70, risiedevano in Sahara 20.000 civili e altrettanti militari spagnoli, la maggior parte dei quali vivevano nel centro di El Aioun, mentre i cittadini sahrawi, molto poveri, dopo aver perduto buona parte del loro bestiame a causa della siccità che aveva colpito il Sahel tra il 1968 e il 1973, vivevano segregati nei ghetti alla periferia della capitale.157 Gli Spagnoli monopolizzavano i mestieri qualificati e ben pagati, ai Sahrawi non rimanevano che quelli più umili e mal pagati.158 Nell’esercito i Sahrawi si arruolavano nelle Truppe Nomadi, senza alcuna speranza di carriera, visto che tutti gli ufficiali erano Spagnoli; nella Polizia territoriale solamente due Sahrawi furono nominati ufficiali.

Nel 1974 solo il 37% della popolazione sahrawi in età scolare frequentava regolarmente la scuola (tra di loro un modesto numero di bambine), pochissimi tra questi frequentavano la scuola secondaria.

Il Sahara, così come la Spagna metropolitana, fu assoggettato alla dittatura franchista, pertanto tutti i diritti fondamentali, come la libertà di parola, di riunione, di organizzazione politica, di stampa, non venivano riconosciuti e rispettati. Dopo il 1958-1959, quando il Sahara era divenuto una colonia militare, spesso si contavano più militari che civili (due terzi della legione straniera era di stanza nel Sahara). Oltre alle forze militari, spagnole e sahrawi, il regime aveva un Servizio di Informazione e Sicurezza, composto di agenti e spie che sorvegliavano la popolazione sahrawi e denunciavano tutti i comportamenti ritenuti sospetti.

Così, come era avvenuto nei paesi limitrofi, anche i giovani sahrawi più istruiti cominciarono a pensare a come liberarsi dal giogo coloniale e a mal sopportare la cooperazione con il governo spagnolo della Djemaa.

155 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pag. 183. 156 La missione Onu che visitò il Sahara nel maggio 1975 scriveva nel suo rapporto: “I membri della Djemaa dipendono considerevolmente dai consigli delle autorità spagnole […] ed è essenzialmente formata dalle persone più anziane e conservatrici della società sahrawi”. 157 La missione dell’Onu che visitò i territori nel 1975 evidenziò la necessità urgente di costruire degli alloggi per la popolazione sahrawi. 158 A Fosbucraa l’81% dei posti tecnici e direttivi erano occupati da Spagnoli. Per questo i lavoratori sahrawi lottarono per migliorare le loro condizioni, visto che i sindacati erano illegali in Sahara, come nella Spagna metropolitana. 74

2.8. L’affermarsi del diritto all’autodeterminazione

Anche le Nazioni Unite, agli inizi degli anni ’60, cominciarono ad interessarsi al Sahara spagnolo, nel momento in cui la maggior parte delle colonie d’Africa avevano ottenuto o stavano per ottenere l’indipendenza.

Nel 1956, dopo che la Spagna era stata ammessa alle Nazioni Unite,159 il Segretario generale chiese informazioni sulle sue colonie, così Madrid decise, a poche settimane dalla conclusione dell’operazione Uragano, di cambiare lo statuto legale di Ifni e del Sahara in province spagnole. Francisco Franco dichiarò all’O.N.U.: “la Spagna non possiede Territori Non Autonomi perché quelli che sono sottoposti alla sua sovranità in Africa sono considerati come province spagnole conformemente alla legislazione in vigore.”160

Nel 1963 l’O.N.U. iscrisse il Sahara nelle liste dei popoli e dei paesi coloniali aventi diritto alla decolonizzazione, come affermato nella risoluzione 1514 (XV) Dichiarazione sulla concessione dell’indipendenza ai paesi e ai popoli coloniali, approvata dall’Assemblea Generale nella sessione del 14 dicembre 1960.

La prima risoluzione relativa all’autodeterminazione del Sahara occidentale venne adottata dal Comitato della decolonizzazione il 16 ottobre 1964. Fu durante il dibattito, che per la prima volta, Marocco e Mauritania riferirono delle loro rivendicazioni territoriali sul Sahara, ma Comitato speciale non ne tenne assolutamente conto, tanto da chiedere alla Spagna di prendere immediate misure per l’applicazione della risoluzione 1514.

Certamente Madrid non poté a lungo evitare di dare informazioni sulle province africane, ma si indignò molto nel 1965, nel momento in cui l’Assemblea Generale adottò la sua prima risoluzione sul Sahara occidentale. Con la risoluzione 2072 (XX) del 16 dicembre 1965 l’ONU invitava la Spagna a decolonizzare il Sahara e Ifni. Ad un anno di distanza l’Assemblea Generale adottò poi una seconda risoluzione. 161 La risoluzione 2229 (XXI) del 20 dicembre 1966 distinse accuratamente Ifni dal Sahara occidentale. Ifni, infatti, era un’enclave spagnola presa al Marocco durante il periodo coloniale e per questo non aveva niente a che vedere con il caso del Sahara occidentale. L’Onu sollecitò comunque la Spagna a prendere immediatamente le misure necessarie

159 Nel 1995 la Spagna entrò nelle Nazioni Unite come Stato membro. Ciò permise al regime franchista di uscire dall’isolamento internazionale, di cui aveva sofferto dopo la fine della Seconda guerra mondiale. Lo stesso anno fu ammesso all’ONU anche il Marocco. 160 Corte Internazionale di Giustizia de L’Aja, Sahara Occidentale, Avis consultatif du 16 octobre 1975, p. 25. 161 La risoluzione 2229 (XXI) del 20 dicembre 1966 invitava “la potenza amministratrice, la Spagna, a prendere immediatamente le misure necessarie per la liberazione del territorio del Sahara spagnolo” e a procedere “nell’organizzazione di un referendum, che sarà realizzato sotto gli auspici delle Nazioni Unite al fine di permettere alla popolazione autoctona del territorio di esercitare liberamente il suo diritto all’autodeterminazione”. 75 per decolonizzare Ifni e trasferire i poteri al governo marocchino e il Sahara spagnolo, come previsto dalla risoluzione 1514 (XV).

Dal 1967 al 1973 seguirono altre sei risoluzioni sul Sahara occidentale,162 in ciascuna delle quali si affermava che l’autodeterminazione doveva essere realizzata attraverso un referendum.

In questo periodo la Spagna decise di consolidare i suoi già buoni rapporti politici ed economici con il Marocco, la Mauritania e l’Algeria.

Nel 1969 con il trattato di Fez, Ifni fu restituita al Marocco.163 Lo stesso giorno Madrid e Rabat sottoscrissero un altro accordo in base al quale il Marocco autorizzava i pescherecci spagnoli a pescare nelle acque territoriali dell’Atlantico per un decennio. L’accordo, che prevedeva anche lo sviluppo di una cooperazione in materia di pesca (commercializzazione e trasformazione dei prodotti ittici), era successivo ad una serie di altri accordi di carattere commerciale.164

Anche i rapporti tra Spagna e Mauritania si basavano quasi esclusivamente su accordi commerciali: in cambio della possibilità di pescare nelle acque territoriali mauritane, la Spagna garantiva investimenti industriali in territorio mauritano, sempre nell’industria peschiera.

I rapporti più significativi, anche dal punto di vista economico, si svilupparono però quando l’Algeria firmò con la Spagna un importante accordo per l’esportazione di gas.

162 Risoluzioni 2354 (XXII) del 19 dicembre 1967; 2428 (XXIII) del 18 dicembre 1968; 2591 (XXIV) del 16 dicembre 1969; 2711 (XXV) del 14 dicembre 1970; 2983 (XXVII) del 14 dicembre 1972; 3162 (XXIV) del 14 dicembre 1973. 163 La grave crisi economica che oggi sta attraversando il Marocco, spinta dall’indebitamento e dal saldo negativo della bilancia commerciale, ha costretto il governo marocchino ad adottare misure impopolari quali l’aumento del carburante e la soppressione della Caisse de compesantion - strumento finanziario a disposizione dell'esecutivo per calmierare i prezzi dei prodotti di base, il cui intervento fu determinante nel 2011 per arginare la "primavera marocchina" ed assicurare la pace sociale. Queste misure, in mancanza di un’effettiva redistribuzione della ricchezza e dell'incidenza delle "politiche di sviluppo" annunciate dalle autorità, sono destinate ad aggravare la condizione delle fasce più fragili e marginalizzate della popolazione. Oggi, come nel 2008, la popolazione di Sidi-Ifni si è scontrata con le forze di sicurezza marocchine, molti attivisti sono stati arrestati. Gli abitanti della zona, appartenenti alla tribù degli Ait Baamrane, sono storicamente considerati dei ribelli. Prima di cedere alla conquista spagnola, i capi della tribù non hanno mai riconosciuto apertamente l'autorità del sultano alawita. Tra gli Ait Baamrane e la monarchia ci sono sempre stati dei rapporti conflittuali". Allo stesso tempo bisogna però riconoscere che la tribù dei Baamrane si è battuta a lungo contro gli occupanti iberici, riuscendo perfino ad imporsi sul terreno militare.Oltre ai vecchi rancori, nuovi eventi sopraggiungono a complicare le relazioni già tese tra l'autorità centrale e la lontana Ifni. "Nel 1971, in occasione della visita reale, qualcuno tentò di uccidere Hassan II mentre stava attraversando in auto il quartiere di Colomnine. Da quel momento il sovrano ce l'ha giurata a morte". Come se non bastasse, dopo la partenza degli Spagnoli dal Sahara Occidentale e l'inizio del confronto tra l'esercito marocchino e il Fronte Polisario, alcune famiglie degli Ait Baamrane si sono schierate in difesa della RASD (Repubblica araba sahrawi e democratica), sostenendo il governo di Tindouf. L'ennesimo affronto mal digerito dalla monarchia. J. Granci, Tensioni sociali in Marocco. Ritorno a Sidi Ifni, C:\Users\User\Downloads\Desktop\documenti tesi\Tensioni sociali in Marocco_ Ritorno a Sidi Ifni.mht, ottobre 2012, da Osservatorioiraq medioriente nordafrica, http://www.osservatorioiraq.it/. 164 Il 1° giugno 1966 Spagna e Marocco sottoscrissero tre accordi che prevedevano la creazione di società miste nel settore tessile, della fabbricazione della carta e del turismo. Nel 1971 un altro accordo prevedeva la creazione di una commissione ispano-marocchina di cooperazione economica, culturale, scientifica e tecnica. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 178. 76

Nonostante le pressioni dell’O.N.U. la Spagna non aveva nessuna intenzione di realizzare il referendum e decolonizzare il territorio, soprattutto dopo aver scoperto e cominciato a sfruttare gli enormi giacimenti di fosfato di Bou-Craa, ma anche pensando alle prospettive di sviluppo derivanti dalla pescosità del tratto di oceano antistante i territori sahariani.

Per giustificare il rinvio del referendum, le autorità spagnole cercarono di spiegare alle Nazioni Unite che la popolazione del Sahara era ancora per la maggior parte nomade e lo sviluppo economico del paese era ancora molto debole. Nel 1966 800 capi famiglia sahrawi inviarono una lettera all’ONU in cui affermarono di essere disposti a rimanere legati alla Spagna e di rifiutare ogni rivendicazione territoriale da parte dei paesi confinanti.

Gli anni passarono senza che la Spagna si decidesse ad organizzare il referendum, così l’Assemblea Generale utilizzò toni sempre più duri e decisi nelle risoluzioni sul Sahara.

2.9. Il progetto del “grande Marocco”

Come abbiamo già visto fu Allal al-Fassi, capo dell’Istiqlal, che nel 1955, di ritorno dall’esilio e poco prima dell’indipendenza del Marocco, dichiarò che solo una parte dell’antico impero alouita era stato liberato e l’indipendenza del Marocco non era che l’inizio.

L’idea del ‘grande Marocco’ considerata stravagante e sorprendente dalla maggior parte dei marocchini, venne sposata ufficialmente dal governo alla fine del 1957, seppur con alcune variazioni.

Fu dopo il termine dell’operazione Uragano, che Mohammed V, per la prima volta, rivendicò il Sahara ‘marocchino’, senza fare riferimento a confini precisi, in un discorso tenutosi a M’Hamid il 25 febbraio 1958,165 momento in cui decise di istituire una commissione consultiva per discutere della questione delle frontiere, escludendo improbabili rivendicazioni territoriali sul Mali e sul Senegal, come proposto originariamente da Allal al-Fassi.

Nel frattempo Abdelkader el-Fassi, 166 cugino di Allal, nominato responsabile delle questioni concernenti il Sahara e le frontiere del Ministero dell’Interno, cominciò a diffondere attraverso la radio marocchina la “voce del Sahara marocchino” e a reclamare la Mauritania, il Sahara occidentale e parte del Sahara algerino, oltre ad Ifni e ai presidi spagnoli sulla costa mediterranea.

165 In quest’occasione Mohammed V dichiarò che il Sahara era marocchino per ragioni storiche e per la volontà dei suoi abitanti. Da questo momento in poi il re del Marocco non perse occasione per ribadire la marocchinità del Sahara occidentale. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 103. 166 Fu colui che disegnò e pubblicò sul quotidiano dell’Istiqlal Al Alam il progetto del ‘grande Marocco’. 77

Nel 1961 intanto, in Marocco, salì al trono alouita Hassan II, un uomo senza scrupoli e con una grande sete di potere. Hassan che ebbe un rapporto difficile con il padre Mohammed V, morto improvvisamente durante una banale operazione al naso il 26 febbraio 1961.

Il nuovo re, uomo intelligente e nello stesso tempo meschino, odioso e seducente, crudele e generoso, segnò profondamente la storia del Marocco dopo l’indipendenza. Appoggiato dai Francesi, con cui cercò di mantenere un buon rapporto di amicizia, fu un grande conservatore, nemico giurato dell’ideologia socialista, difensore di un liberalismo ‘di facciata’, su cui costruì un’immagine del Paese del tutto illusoria (apparentemente favorevole al multipartitismo, in realtà mirava solamente a limitare il potere dell’Istiqlal). 167 La sua concezione del potere, molto autoritaria, lo portò ad eliminare fisicamente ogni suo oppositore e a promuovere nel Paese una politica del terrore. Le sue uniche preoccupazioni erano il destino e il consolidamento della monarchia alouita.

Hassan II, avvalendosi di fedeli collaboratori, continuò il processo costituzionale avviato dal padre. Elaborò una bozza di Costituzione che gli potesse permettere di istituzionalizzare e consacrare il suo potere assoluto. La Costituzione, pronta nel novembre del 1962, ottenne l’appoggio dell’Istiqlal e del Movimento Popolare, ma non dell’U.N.F.P. (Unità Nazionale delle Forze Popolari), che riteneva la Carta fortemente sbilanciata a favore della monarchia e attribuiva troppo potere al re. Il referendum costituzionale ebbe luogo il 7 dicembre 1962. Il risultato fu quasi un plebiscito, l’85% dei marocchini votò a favore della nuova Costituzione (contro il 2,5% di “no”), nonostante l’U.N.F.P. avesse chiesto di boicottare il referendum. La consultazione avvenne in un clima di grande tensione dovute alle forti pressioni esercitate sull’opinione pubblica da parte della monarchia marocchina, che monopolizzò radio e televisione.168

2.10. Le rivendicazioni marocchine sulla Mauritania e sull’Algeria

Quando nel 1960 la Mauritania raggiunse l’indipendenza, il Marocco si espresse contrariamente alla sua ammissione all’ONU e chiese ufficialmente alle Nazioni Unite l’annessione della repubblica Mauritana e del Sahara (spagnolo e algerino) al suo territorio. La Repubblica islamica di Mauritania venne ammessa all’ONU nel 1961 e il Marocco la riconobbe solo dopo nove anni, non prima che Hassan II e Mokhtar ould Daddah ebbero firmato un trattato di cooperazione, di solidarietà e di buon vicinato.

167 Al-Alam, organo di stampa del partito dell’Istiqlal riportò nel 1962 due dichiarazioni: “il Marocco sta diventando uno Stato di polizia” e i marocchini “vivono sottomessi ad un regime di potere assoluto”. 168 F. Tamburini, Il Marocco, la “democrazia teocratica”, in F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni Plus, 2010, pp. 189 – 192. 78

L’Algeria, ottenuta l’indipendenza, dopo otto lunghi anni di sanguinosa guerra con la Francia, si trovò di fronte un nuovo problema: le rivendicazioni territoriali marocchine, che nel 1963, trascinarono i due paesi nella ‘guerra delle sabbie’ e con la quale il Marocco tentò di prendersi con la forza Tindouf.

Il Marocco rivendicava quelle parti di territorio a sud dell’Algeria, che in passato erano state parte del bled es-sida e poi governate da uomini nominati dal makhzen, 169 con il pieno appoggio dell’Istiqlal, ma anche del Partito Comunista Marocchino (P.C.M.), che attraverso il sostegno del progetto del ‘grande Marocco’ poteva dimostrare ai nazionalisti il proprio sentimento patriottico.

L’Unità Nazionale delle Forze Popolari (U.N.F.P.) che raccoglieva la sinistra dell’Istiqlal, invece, prese le distanze da questa ideologia espansionistica e si dichiarò favorevole all’autodeterminazione e all’indipendenza. Il suo principale leader il 16 ottobre 1963 descrisse le rivendicazioni territoriali del governo marocchino come un pretesto prefabbricato per permettere alla monarchia di realizzare progetti particolari e inconfessabili, 170 per glorificare la dinastia alouita e dividere i popoli del Maghreb. Anche l’Unione Marocchina del Lavoro (U.M.T.), la principale federazione sindacale, all’epoca alleata all’U.N.F.P., rifiutò l’ideologia espansionista.

Né il conflitto, né gli incontri che seguirono e che coinvolsero anche l’O.U.A. e le Nazioni Unite, risolsero la questione. Hassan II decise di abbandonare le rivendicazioni territoriali su Mauritania ed Algeria, solo ed esclusivamente per eliminare ogni ostacolo alla cooperazione economica con quei paesi.

Nel 1969 il presidente Boumediène, succeduto a Ben Balla nel 1965 con un colpo di stato militare, si recò in Marocco, ad Ifrane, per firmare con Hassan II un trattato che impegnava le parti a sottoporre tutte le questioni in sospeso tra loro ad una commissione bilaterale. La commissione, che si riunì per la prima volta nel 1970 a Tlemcen, aveva come ordine del giorno le frontiere algero- marocchine. La commissione finì per confermare de facto le frontiere coloniali e la loro intangibilità. Il Marocco abbandonò così le sue mire sul Sahara algerino, ma in cambio volle la possibilità di entrare a far parte al 50% di una società che sfruttava le miniere di ferro di Gara Djebilet, scoperte nel 1957. Boumediène accettò volentieri la partecipazione del Marocco per ragioni diplomatiche, ma anche per garantirsi la possibilità di esportare il ferro attraverso le coste dell’Atlantico, lontane solo 600 chilometri da Gara Djebilet, piuttosto che attraverso il Mediterraneo che distava oltre 1500 chilometri.

169 Il primo accordo sulle frontiere tra Marocco e Algeria risale al 1845 quando Francia ed Algeria con la convenzione di Lalla Marnia definirono in modo preciso le frontiere a nord, ma non a sud, dove una qualsiasi delimitazione era ritenuta inutile visto che si trattava per lo più deserto. 170 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 129. 79

L’accordo non piacque molto ai sostenitori dell’Istiqlal, che ritenevano ‘non conveniente’ rinunciare al progetto del “grande Marocco”, in cambio di accordi commerciali ritenuti non così convenienti.

Il 15 giugno 1972 a Rabat fu emanata una “Dichiarazione comune algerino-marocchina”, alla quale fu aggiunta una “Convenzione relativa al tracciato delle frontiere reciproche”, che riprendeva il tracciato preesistente alla guerra del 1963. L’Algeria ratificò la convenzione il 17 maggio 1973, mentre il Marocco procedette alla ratifica solo nel maggio 1989. Rabat rinunciò ai territorio algerini nella speranza che Algeri rimanesse neutrale nella questione del Sahara occidentale, regione che presto o tardi la Spagna avrebbe abbandonato.

I risultati, come si vedrà in seguito, non furono quelli sperati. La mancata conquista di territori ritenuti appartenenti al progetto del ‘Grande Marocco’, fu vissuta da numerose frange dell’esercito marocchino come una vergogna nazionale, che allentò la lealtà di molti militari nei confronti della monarchia. Una mancanza di fiducia e di obbedienza che sarebbe sfociata ben presto nei tentativi di colpi di stato contro il re alaouita.

Ma, Hassan II aveva in serbo un altro progetto industriale molto importante, che avrebbe sicuramente incontrato il favore di tutti. Algerini e Marocchini stavano infatti progettando un gasdotto che dall’Algeria doveva trasportare gas naturale in Spagna, attraverso il territorio marocchino, dove nel nord-est si stava impiantando una acciaieria (marzo 1973).

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2.11. Le rivendicazioni del Marocco sul Sahara occidentale

Il Marocco agli inizi del 1970 aveva ormai rinunciato a buona parte delle proprie pretese territoriali mauritane ed algerine, ma non a quelle sul Sahara spagnolo.

Nel 1972 nel corso del summit dell’O.U.A. a Rabat, Mauritania e Marocco presero concretamente in considerazione in modo bilaterale il problema del Sahara, pensando di suddividerlo in due zone, una a sud sotto influenza mauritana e una a nord sotto influenza marocchina, dopo l’uscita della Spagna dal territorio saharaiano.171 Boumediène, presente al summit nella capitale marocchina, offrì il proprio sostegno e la propria approvazione al progetto.

L’accordo rimase segreto fino ad un summit della Lega Araba nel 1974 quando Marocco, Mauritania ed Algeria decisero di approvare le risoluzioni dell’O.N.U. e di riconoscere il diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza del Sahara occidentale.

Il fallimento della strategia politica portata avanti da Rabat e Nouakchott, secondo i canoni di una negoziazione bilaterale e diretta con la Spagna, nel tentativo di garantire a ciascuno un profitto dal problema del Sahara spagnolo, aveva convinto che l’autodeterminazione potesse rivelarsi un giusto strumento per realizzare i propri fini. Si trattava per entrambi di un primo passo verso la realizzazione del piano di integrazione del Sahara occidentale ai propri territori.

Il ministro degli Affari Esteri marocchino Mohammed Cherkaoui, il 13 ottobre 1966, alle Nazioni Unite dichiarò che Hassan II riconosceva la politica onusiana a favore dell’autodeterminazione, e sottolineò che nonostante l’evidenza storica e geografica, la comunità internazionale non aveva riconosciuto le velleità del Marocco sul Sahara, ma era certo che il referendum avrebbe avuto come esito l’annessione e il ritorno del Sahara alla madre patria.

Egli ignorava in realtà che già a partire dalla fine degli anni ’60 e agli inizi degli anni ’70 i sahrawi avevano avviato un processo di coscienza nazionale, che avrebbe portato nel 1973 alla costituzione del Fronte Polisario.

171 La Mauritania pensava che, la soluzione più conveniente per arginare l’invadenza marocchina e mantenere lo status quo, fosse quella di dividere in due la colonia spagnola, costitundo una zona tampone capace di tenere a debita distanza il Marocco. La Mauritania, quindi, chiedeva ufficialmente alla Spagna di abbandonare la colonia africana per permettere la riunificazione del suo territorio, ma in realtà era ben consapevole che la presenza spagnola nel Sahara fino a quel momento era stata per la Mauritania un vero e proprio scudo militare. Per questo motivo, Ould Daddah, grazie alle buone relazioni ispano-mauritane, dovute soprattutto agl investimenti della Spagna nell’industria della pesca di Nouadhibou, cercò di convincere il governo spagnolo a non ostacolare i progetti e gli intrighi marocchini. 82

Capitolo 3. Genesi del nazionalismo sahrawi: nascita di una nazione

3.1. Il cammino verso l’indipendenza

In Sahara occidentale, negli anni ’60-’70, la società nomade tradizionale entrò in una profonda crisi, che la portò ad una importante trasformazione.

La Djemaa era stata snaturata dalla politica coloniale, che l’aveva resa un’assemblea con un carattere meramente consultivo, senza alcuna competenza o autonomia legislativa. I capi tribù (chiuj), che appoggiavano il governo spagnolo, erano sempre più preoccupati di garantire benefici a sé e ai propri famigliari,172 che degli interesse collettivi.

Il cambiamento economico, a seguito dell’industrializzazione, dopo la scoperta dei giacimenti di Bou-Craa, contribuì a modificare la struttura sociale. Nacque il desiderio di una vita stabile, di un lavoro sicuro, che permettesse di accedere anche a beni propri della cultura occidentale (alimentazione, abbigliamento, mezzi di trasporto, radio e televisione, ma anche servizi sociali, istruzione, divertimento).173 Nel giro di poco tempo i commercianti, i lavoratori, i soldati, diedero vita ad una piccola borghesia. Anche l’aristocrazia tribale si era trasformata in un sistema di classi sociali. L’assabiya, necessaria alla vita nomade, lasciava spazio all’individualismo, anche se erano ancora ritenuti fondamentali la generosità e l’ospitalità. Lo scontro tra la cultura nomade e la cultura occidentale generò un forte malessere sociale, povertà e una profonda crisi interna. Comparare i dati dei censimenti della popolazione del 1967 e del 1974 può dare un’idea più chiara della trasformazione in corso nella società sahrawi e che evidenza la loro forte tendenza alla sedentarizzazione.174

172 A partire dal 1958 il governo spagnolo distribuì gratuitamente aiuti sociali alla popolazione locale: farina, riso, tè, zucchero, olio. Un’informativa del Governo Generale della Provincia riportava che i sahrawi consideravano gli aiuti del governo spagnolo come un dono senza averne il diritto; ma nel momento in cui qualcuno otteneva più di altri, si sentivano imbrogliati. Questa rivalità venne abilmente usata dalle autorità per sottomettere i nativi. In cambio di doni, gli chiuj erano disponibili a prendere in considerazione ogni richiesta del governo spagnolo. 173 Secondo il censimento del 1974 solo l’11,6% dei nativi con più di cinque anni sapeva scrivere l’arabo e lo spagnolo; nel 1972 in tutto il Sahara vi erano 22 medici, il 95% dei loro pazienti era europeo. Gli operai di Bou-Craa venivano pagati meno della metà rispetto ai loro colleghi spagnoli. Questi dati dimostrano il fallimento della politica coloniale e d’integrazione adottata dal governo spagnolo. T. Barbulo, La historia prohibida del Sahara Espanol, , Ediciones Destino, 2002, pp. 58 - 59. 174 Dati tratti da T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 170. 83

1967 1974

residenti Sahrawi El Aioun 9.701 29.010

residenti Sahrawi Smara 1.916 7.280

residenti Sahrawi Villa Cisneros 2.364 5.370

Al momento dell’abbandono del territorio da parte della Spagna l’80% della popolazione locale era sedentaria, mentre solo il 17% era nomade. Certo la siccità degli anni 1968-1973 poteva avere in parte contribuito all’abbandono della vita nomade, ma secondo Aguirre175 non era da considerarsi tra le cause principali.

In realtà era la coscienza tribale che si stava trasformando in coscienza nazionale, che come spesso accade, si accende con vigore quando le condizioni sociali sono difficili o inadeguate. In Africa ormai non vi erano altri territori coloniali oltre al Sahara e alle province portoghesi e il colonialismo era considerato un crimine, la negazione dell’identità culturale, sociale e politica dei popoli colonizzati. Nel caso del Sahara occidentale, come per la gran parte dei paesi arabi, l’Islam aveva giocato un ruolo determinante nella ricerca dell’indipendenza, permettendo ai popoli colonizzati di salvaguardare la propria identità culturale e giocare un ruolo fondamentale nel processo di resistenza.

Furono soprattutto i giovani e le donne i protagonisti di questo importante momento storico. La formazione dei giovani sahrawi, impegnati nel movimento anticolonialista, era in questo momento molto diversa da quella dei rivoluzionari, che avevano preso parte all’Armata di liberazione nel 1958-1959.

Il socialismo di Nasser in Egitto, che voleva porre fine alla miseria, la vittoria della rivoluzione algerina contro la Francia, gli esempi di popoli come quello palestinese, che lottavano per la propria libertà, per il proprio territorio e la propria ideologia, spinsero i sahrawi ad uscire dall’isolamento. Molti di loro, dopo un’infanzia trascorsa in forma nomade, si trasferirono nelle città, dove ebbero la possibilità di studiare (alcuni di loro poterono frequentare l’università) e poi di lavorare nelle industrie impiantate dalla Spagna, dando vita ad una piccola borghesia, aperta alle nuove idee socialiste, che creò un legame tra la scena internazionale e la società sahrawi.

175 J. Ramon e D. Aguirre, Guerra en el Sahara, Madrid, edizioni Istmo, 1991 84

Sicuramente anche il pericolo di una spartizione possibile del territorio del Sahara tra i paesi limitrofi favorì la nascita del nazionalismo sahrawi.

Uno dei primi a gettare le basi del movimento indipendentista fu un giovane Ergeibi, Mohammed Sidi Ibrahim Bassari, detto Bassiri, che dopo aver studiato all’estero nelle università del Medio Oriente, diede vita al primo movimento anticoloniale in Sahara occidentale, dopo il tentativo dell’Armata di liberazione.

3.2. Mohammed Bassiri e l’Harakat tahrir

Mohammed Bassiri nacque a Tan-Tan (che diventò parte del Marocco solo nel 1958 con gli accordi di Cintra) tra il 1942 e il 1944. Nel 1966, dopo aver frequentato l’università del Cairo ritornò in Marocco con la testa piena di idee socialiste e pan-arabiste. Nello stesso anno Bassiri fondò una rivista sahrawi ‘Al Chihab’, che mise in allarme il Ministero dell’Informazione marocchino, per una frase riportata in uno dei suoi articoli: “Il Sahara ai sahrawi”. La rivista venne multata e chiusa. Bassiri decise allora di tornare nel Sahara spagnolo,176 a Smara, nella città santa di Ma el-Aïnin dove sfruttando l’insegnamento del corano che dispensava in una delle moschee della città, reclutò nuovi giovani nel movimento anticolonialista clandestino chiamato Harakat tari Sequia el-Hamra wa Oued ed-Dahab o più semplicemente Harakat tahrir (Movimento per la liberazione del Sahara), un’organizzazione indipendentista di carattere moderato.

In quegli anni in Sahara, come nella Spagna metropolitana, il regime franchista proibiva ogni forma di associazione politica. Ma non era il Movimento per la liberazione del Sahara di Bassiri, in realtà a preoccupare le autorità spagnole, che erano molto più infastidite dalle pressioni dell’ONU, del Marocco e della Mauritania, tanto da sospettare che dietro questo movimento si nascondesse in realtà il Marocco.

Il Governatore generale del Sahara pensò di affrontare il problema direttamente e decise di organizzare una manifestazione di adesione alla Spagna a El Aioun il 17 giugno 1970,177 alla quale decise di invitare tutti i capi tribù e la stampa internazionale, una nuova dimostrazione per riconfermare la sottomissione dei sahrawi alla politica coloniale spagnola.

Bassiri decise di organizzare lo stesso giorno una contro-manifestazione indipendentista sempre a El Aioun,178 senza però rinunciare alla possibilità di discutere e trovare un accordo con le autorità

176Ma el-Aïnin combatté ferocemente contro il colonialismo. Quando morì lasciò la speranza che prima o poi sarebbe arrivato un nuovo mahdi. Il caloroso ricevimento che Bassiri ebbe al suo arrivo a Smara, l’appartenenza alla tribù degli Ergeibat, discendente di Sid Ahmed Ergeibi, fecero pensare a lui come al nuovo mahdi. 177 La RASD (Repubblica Araba Sahrawi Democratica) celebra il 17 giugno come giornata dell’Unità nazionale. 178 In tre settimane il Movimento riuscì ad avere l’adesione al movimento di 4700 persone (per lo più giovani residenti nelle città, ma anche militari, poliziotti, impiegati, autisti, insegnanti di religione), attraverso la circolazione di una 85 governative. Bassiri decise di inviare alle autorità spagnole un memorandum in cui illustrava le rivendicazioni del Movimento: scioglimento della Djemaa, termine del sistema corrotto degli chiuj; indipendenza del Sahara, preceduta da un periodo di autonomia; formazione del personale sahrawi nella gestione politica ed amministrativa del territorio; pari opportunità e diritti per europei e locali, sviluppo economico del territorio, fine dello sfruttamento delle risorse del territorio senza il consenso del Movimento.

Il 17 giugno il governatore Pérez de Lema, giunto a Zemla, dove erano riunite centinaia di tende di Sahrawi che avevano raggiunto El Aioun, per la contro-manifestazione promossa da Bassiri, promise di ricevere nei giorni successivi i rappresentanti sahrawi, di discutere con loro le richieste inoltrate e pregò tutti i manifestanti di unirsi pacificamente all’iniziativa ufficiale. Il tentativo di soluzione pacifica del confronto da parte del governatore non ebbe però buon esisto, quindi la polizia procedette allo sgombero forzato della piazza, piena di uomini, donne e bambini. Il governo spagnolo dichiarò successivamente che negli scontri erano morte dieci persone, ma le versioni di quanto accaduto sono diverse e contrastanti. Il comandante Aguirre, che all’epoca lavorava al Servizio d’informazione e della sicurezza del governo generale del Sahara, pur non essendo presente sul posto, riferì di molti feriti, di decine di arresti e di più di una decina di morti.179 Era evidente che non era possibile alcun dialogo con la potenza coloniale che non era intenzionata a mantenere le sue promesse di decolonizzazione, così come aveva dichiarato alle Nazioni Unite.

Quella stessa notte Bassiri fu prelevato e da quel momento nessuno seppe più nulla di lui. Alcuni testimoni dichiararono in seguito che Bassiri scomparve dopo essere stato torturato e interrogato più volte a El Aioun.

La sparizione di Bassiri fu un tremendo errore degli spagnoli, che in questo modo dimostrarono di non aver saputo valutare adeguatemente i fatti e di conseguenza reagirono in modo “stupido e

audiocassetta, che lo stesso Bassiri aveva registrato, in cui spiegava le ragioni e gli obiettivi del Movimento e della manifestazione pacifica, da tenersi in un luogo diverso da quello della concentrazione ufficiale del 17 giugno. Gli strumenti di propaganda di quello che può essere considerato il primo partito politico sahrawi erano molto semplici (per lo più basati sulla comunicazione verbale, molti sahrawi non sapevano né leggere né scrivere) e puntavano alla distruzione del sistema tribale e alla riorganizzazione delle istituzioni esistenti. Il Movimento aveva deciso di sollecitare l’appoggio dei governi vicini. Approfittando del mouggar di Tindouf, una specie di fiera commerciale, che attirava visitatori da tutte le regioni del Sahara, l’organizzazione lanciò un appello ai dirigenti algerini a Tindouf l’8 maggio 1970. Altri appelli simili erano previsti nei confronti delle autorità marocchine e mauritane, ma non furono realizzati prima del 17 giugno 1970. 179 Molti degli arrestati verranno deportati nei paesi vicini, soprattutto in Mauritania, o nei territori amministrati dalla Spagna, altri verranno scarcerati dopo pochi giorni, anche perché le carceri non erano organizzate per ospitare tanti detenuti. Agli ex carcerati doveva essere negato ogni tipo di lavoro, erano sottoposti a forti pressioni soprattutto coloro che avevano relazioni con Bassiri, che doveva rimanere isolato. Se un amico lo accompagnava, subito dopo riceveva la visita della polizia. L’ospitalità e la generosità sahrawi erano perdute. 86 ingiustificato.”180 Bassiri non era un agitatore rivoluzionario, ma un teorico della liberazione araba pacifica.

Anche se nessuno ancora oggi può affermare con certezza che Bassiri sia stato ucciso dagli Spagnoli, ciò che è certo è che, dal momento della sua sparizione, i Sahrawi divennero consapevoli che la decolonizzazione del Sahara occidentale non sarebbe potuta avvenire in maniera pacifica. Il nazionalismo sahrawi iniziò a considerare infatti imprescindibile passare alla lotta armata. Vista la repressione del 17 giugno 1970, la riorganizzazione fu lenta e difficile e avvenne inizialmente nelle città del Marocco, della Mauritania e dell’Algeria, per poi approdare, in un secondo momento, in Sahara.

3.3. La nascita del Fronte Polisario

Nonostante il fallimento, la sollevazione di Bassiri ispirò un gruppo di giovani a formare una propria organizzazione.

Tre anni dopo i fatti di Zemla i sopravvissuti fondarono il Fronte Polisario, un movimento di liberazione indipendentista e radicale, che coinvolse giovani universitari sahrawi che vivevano a Tarfaya, nel sud del Marocco spagnolo, che nel 1958 era stato consegnato al Marocco e che all’epoca studiavano nelle università marocchine.

Molte famiglie sahrawi dopo la sconfitta dell’Armata di liberazione continuarono, infatti, a vivere nel sud del Marocco (Tan Tan, Tarfaya), pur avendo mantenuto nella maggior parte dei casi un forte spirito nazionalista, mantenuto vivo dal Marocco che continuava a discriminare i Sahrawi che non si sottomettono alla monarchia. I Sahrawi, riconoscibili dall’abbigliamento e dai documenti (una sigla riportata sui documenti poteva essere riconosciuta da qualunque funzionario governativo) che si rifiutavano di parlare il dialetto marocchino (dariya) venivano umiliati in ogni modo possibile.

La notizia di Zemla, che fu riportata ingigantita dall’informazione marocchina, allarmò le famiglie sahrawi che avevano dei famigliari nella colonia spagnola e inasprì ulteriormente l’opposizione al colonialismo. Tra il 25 e il 27 maggio 1972 decine di studenti sahrawi scesero nelle strade con cartelli e striscioni, con i quali chiedevano la liberazione del Sahara. La repressione marocchina delle manifestazioni fu feroce. Tra i manifestanti figurava anche El Oulai Mustapha Sayed, colui che in seguito diventerà il primo segretario del Fronte Polisario.

El Ouali nacque intorno al 1948 nel deserto e successivamente si trasferì con la famiglia a Tan Tan dove frequentò la scuola primaria, poi, grazie ad una borsa di studio governativa marocchina, dopo

180 J. Ramon e D. Aguirre, Guerra en el Sahara, Madrid, edizioni Istmo, 1991, pp. 54 – 64.

87 aver conseguito il diploma nel 1970, si iscrisse alla facoltà di diritto dell’Università di Rabat, dove studiò insieme ad un piccolo gruppo di giovani sahrawi.

Tutti questi ragazzi che si interessavano di politica, avevano sentito parlare di Bassiri, conoscevano quanto accaduto a Zemla e le risoluzioni dell’ONU sul Sahara occidentale, sapevano della resistenza palestinese e degli altri movimenti di liberazione e di militanza politica.

A Rabat, El Ouali fondò un primo collettivo di studenti sahrawi, che all’inizio si concentrò più sul porre fine alla dominazione coloniale che sull’indipendenza del Sahara e che lo condusse a ricercare l’appoggio dei partiti marocchini dell’opposizione e quindi anche dell’Istiqlal (il partito che più di tutti gli altri sosteneva il progetto del ‘grande Marocco’) perché contrari alla cooperazione del Marocco con il regime franchista.

Nel corso del 1971 e del 1972 questo gruppo di studenti volle capire meglio quale fosse la situazione interna al Sahara occidentale e così decise di prendere contatto con gli antichi membri dell’Armata di Liberazione Sahrawi (A.L.S.) sopravvissuti all’operazione Uragano; con i sopravvissuti di Zemla, alcuni dei quali si erano rifugiati in Mauritania, a Zouérate e a Nouadhibou dove erano diventati commercianti, lavoratori nelle miniere o in Algeria a Tindouf; con i rappresentanti di altri paesi arabi per recuperare il necessario sostegno politico e militare.

Fu richiesto un aiuto militare alla Mauritania, che solo da dodici anni aveva ottenuto l’indipendenza dalla Francia, che rispose negativamente, anche perché le sue rivendicazioni sul Sahara, finalizzate ad ostacolare la pretesa annessione marocchina della Mauritania, ormai non erano più un segreto e rendevano impensabile il suo sostegno al movimento indipendentista sahrawi. Nell’aprile del 1972 El Ouali scrisse anche una lettera al governo marocchino per chiedere il suo sostegno.181 Soli pochi mesi dopo, la polizia marocchina represse a Tan Tan la manifestazione nella quale venne arrestato anche El Ouali insieme ad altri quarantacinque studenti sahrawi.

El Ouali lentamente si rese conto dei rischi e dell’impossibilità di creare un movimento di liberazione sahrawi in territorio marocchino e quindi decise di dirigersi verso la Mauritania, a Zouérate.182

181 In Marocco agli inizi degli anni ’70 vi era un clima di grande tensione politica dovuto ai due tentativi di colpo di stato militare del 1971 e del 1972 contro Hassan II. Erano anni in cui il numero dei prigionieri politici aumentarono in modo esponenziale, non era certamente il periodo giusto per accettare su territorio marocchino l’esistenza di un movimento di liberazione sahrawi, che stava pensando di organizzare un attacco alla Spagna. Ricordo che i sahrawi erano anche stati menzionati dal re del Marocco come facenti parte della lista di coloro che rappresentavano una reale minaccia per la monarchia alaouita. 182 Il Marocco tentò sempre di infangare l’immagine il vero nazionalismo sahrawi inventando dei movimenti fantastici (Fronte di liberazione del Sahara nel 1966, Movimento di resistenza degli uomini blu nel 1972, Movimento del 21 agosto nel 1974, Fronte di liberazione e unità nel 1975). J. Ramon e D. Aguirre, Guerra en el Sahara, Madrid, edizioni Istmo, 1991 88

Dopo aver raccolto e le idee di tutti i gruppi sahrawi dispersi nel territorio e negli altri paesi, il 10 maggio 1973, in una località ai confini tra Mauritania e Sahara occidentale, venne proclamata la nascita del Fronte Popolare di Liberazione del Saquia el-Hamra e Rio de Oro, un movimento di liberazione che fece propria la lotta armata, ma non il terrorismo, per recuperare la ‘libertà totale’.183

La nascita del Fronte Polisario fu accompagnata dalla pubblicazione di un breve manifesto politico, in cui il Fronte si dichiarava legittimo rappresentante della massa sahrawi (il passaggio dalla nozione di massa a quella di popolo avvenne nel corso del 3° congresso del Fronte Polisario nel 1976) e in cui si delineavano le linee ideologiche del suo programma politico di orientamento socialista. Il Fronte Polisario parlò esplicitamente di indipendenza soltanto nel suo 2° congresso (25-31 agosto 1974), mentre mantenne in un primo tempo una posizione deliberatamente ambigua, così come il Fronte ebbe occasione di sottolineare due anni più tardi, nel 1975, in un bilancio sulla attività realizzata fino a quel momento.184

La realizzazione del programma che doveva portare all’indipendenza doveva passare attraverso la presa di coscienza di tutta la società 185 (uomini e donne), che doveva mobilitarsi per poter “realizzare una unità nazionale autentica”.

Vicino ai paesi arabi progressisti e a fianco dei paesi del Terzo Mondo che lottavano per la loro indipendenza contro il colonialismo e il neo-colonialismo, il Fronte Polisario non riscosse da subito le simpatie dei paesi africani ed arabi, fortemente influenzati dalle pressioni marocchine e mauritane.186

Il Fronte Polisario dimostrò di essere uno strumento di liberazione nazionale e non una ‘rivolta tribale’, come qualcuno voleva far credere. Ben presto, infatti il Fronte venne riconosciuto come il portavoce di tutto il popolo sahrawi (come avrà modo di verificare la missione esplorativa dell’Onu nel 1974 dopo la sua visita in Sahara), che cominciava ad avere fiducia nella rivoluzione e nel movimento dopo i successi ottenuti dell’Armata di Liberazione Popolare (soprattutto nel settembre e nel novembre 1973). Fu El Ouali, che grazie alla sua intelligenza e alla sua giovinezza, riuscì in pochissimo tempo a entusiasmare un intero popolo e a creare le condizioni storiche per la nascita

183 Il Fronte Polisario si rispecchia nei movimenti di liberazione che avevano liberato l’Angola o il Mozambico e si sentì particolarmente vicino alla resistenza palestinese. Non a caso il Fronte scelse una bandiera rossa, bianca, nera e verde come quella palestinese. 184 “Le peuple sahraoui n’a d’autre issue que la lutte jusqu’à attacher l’indépendance, ses richesses et sa souveraineté complète sur son sol”, dal Manifesto politico adottato dal secondo congresso del Fronte Polisario. 185 Già da questo momento erano riconosciuti diritti sociali e politici alla donna, anche se la vera e propria riflessione sul ruolo femminile nella società sahrawi inizia concretamente nel corso della guerra con il Marocco. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 80. 186 Gli anni dal 1970 al 1973 furono gli anni dell’isolamento del Fronte Polisario. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 81 89 della nazione sahrawi. Fu infatti nel momento in cui il popolo Sahrawi riuscì a trovare l’unità nell’insurrezione e nella lotta, che nacque, in modo irreversibile, la nazione sahrawi.

Maurice Barbier ci dice che il concetto di nazione ha in sé due aspetti: uno oggettivo e uno soggettivo. Per essere una nazione è, in altre parole, necessario possedere una cultura, una lingua, una religione, un’organizzazione sociale e politica (caratteri oggettivi), ma anche e soprattutto la volontà di vivere insieme e di avere un destino comune (caratteri soggettivi).187

Nel 1975 il portavoce del Fronte Polisario all’Onu dichiarava che, una volta raggiunta l’indipendenza, la nazione sahrawi non avrebbe avanzato alcuna rivendicazione territoriale, ma avrebbe accettato le artificiali frontiere coloniali del Sahara occidentale, in conformità con le risoluzioni dell’O.U.A., anche se le stesse non avrebbero compreso territori tradizionalmente abitati dai Sahrawi (chiaro è il riferimento alla provincia di Tarfaya, ceduta dalla Spagna al Marocco nel 1958 con gli accordi di Cintra).

El Ouali cercò sin dall’inizio l’appoggio dei paesi arabi e in particolare del Marocco per sconfiggere la Spagna e la sua aggressiva politica coloniale, ma nessuno di questi prese posizione. La profonda delusione che ne derivò, portò i militanti del movimento a rendersi contro che i governi stranieri non avrebbero fornito loro alcun aiuto e che pertanto i sahrawi non potevano che contare sulle proprie forze.188

Il Fronte cominciò a stampare un giornale intitolato “20 maggio” da distribuire clandestinamente nelle città sotto controllo spagnolo.

Il 20 maggio 1973, dieci giorni dopo la fondazione del Fronte Polisario, ebbe luogo il primo piccolo attacco contro gli Spagnoli di dodici inesperti guerriglieri armati di vecchie armi e una sola mitraglietta di piccolo calibro.

Ma, dopo circa un anno di combattimenti, la Spagna non aveva ancora rotto il silenzio su questa guerra lontana, gli Spagnoli non sapevano nulla di quanto stesse accadendo nel Sahara spagnolo, perché il governo franchista aveva posto il segreto di stato su tutto quello che vi stava accadendo nella colonia africana.

Il reclutamento di uomini per il Fronte non fu semplice, molti Sahrawi erano ancora profondamente scossi da quanto accaduto nel 1958 e nel 1970, e combattere contro l’esercito spagnolo, superiore per numero e mezzi, non era certo un gioco. All’inizio del ’75 i combattenti sahrawi erano circa

187 AA.VV., Sahara occidental. Un peuple et ses droits. Colleque de Massy 1 et 2 avril 1978, Paris, L’Harmattan, 1978 188 Nel 1973 El Ouali scrisse una lettera ai membri del partito marocchino P.N.F.P. esiliati in Algeria, dove sembrava quasi che si esprimesse a favore dell’integrazione dal Sahara occidentale al Marocco. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 207 - 208. 90

200, senza armi moderne (se non quelle prese agli spagnoli durante i combattimenti) e privi di ogni appoggio esterno. Tra tutti i Paesi arabi, solo la Libia manifestò qualche simpatia per il movimento e proprio da , nel 1974 il Fronte Polisario trasmetteva il suo primo programma radiofonico “Saquia el-Hamra e Rio de Oro nel cammino della liberazione”.189

3.4. Le ambiguità algerine

A differenza di quanto possa sembrare oggi, l’Algeria all’inizio non appoggiò il Fronte Polisario e i sahrawi, che si erano certamente ispirati alla rivoluzione algerina nella fase di definizione del programma del loro movimento di liberazione, nato, come già ricordato, a seguito degli incidenti di El Aïoun del 1970. Boumediène, in primo luogo, pensava che il Fronte non fosse politicamente maturo e che non godesse di grande un sostegno popolare190; in secondo luogo considerò prioritaria la pace nel Maghreb e non volle, in nessun modo, mettere in pericolo i rapporti faticosamente riallacciati con il Marocco dopo il 1968-1969.

Dalla fine degli anni ’60 l’Algeria, che non aveva mai espresso rivendicazioni territoriali sul Sahara, decise di sostenere il diritto all’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale votando tutte le risoluzioni dell’Onu a favore del referendum, anche se nello stesso tempo non espresse alcuna contrarietà rispetto alle rivendicazioni di Marocco e Mauritania. Abdelaziz Boutaflika, ministro degli Esteri di Boumediène, in un discorso all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 9 ottobre 1975 dichiarava che i due progetti, di decolonizzazione del Sahara voluto dalle Nazioni Unite e le rivendicazioni di Marocco e Mauritania, andavano nella stessa direzione. Entrambi avevano l’obiettivo di porre fine alla dominazione spagnola del Sahara e ciò poteva essere possibile solo

189 La radio fu un mezzo d’informazione fondamentale per le famiglie sahrawi, che grazie al basso costo dei transistor provenienti dalle isole Canarie e all’utilizzo della lingua araba, come lingua franca comune, potevano essere ben informati. Le statistiche dell’UNESCO (Statistical Yearbook, Paris 1973) parlavano di 340 radio ogni mille Sahrawi, contro le 95 in Marocco e le 47 in Algeria. Per i Sahrawi non era perciò così difficile sapere delle risoluzioni dell’Onu, delle dichiarazioni dei governi vicini sul Sahara occidentale, delle guerre che stavano avvenendo in altre parti del mondo, come in Vietnam o in Palestina. 190 El Ouali si recò per la prima volta in Algeria per chiedere aiuto nell’estate del 1972. Le autorità algerine non presero in considerazione le sue richieste perché pensavano che il movimento di liberazione sahrawi fosse debole, disorganizzato, a causa delle lotte interne. Nel febbraio dell’anno successivo El Ouali si recò in Algeria una seconda volta per incontrare alcuni membri del partito marocchino U.N.F.P. esiliati in Algeria e alcuni membri del gruppo di Mohammed Basri, anch’essi venuti a chiedere aiuto all’Algeria per alcuni attacchi nelle montagne dell’Atlante. Per evitare di mettere a rischio la tregua con il Marocco l’Algeria rifiutò di dare aiuti ai Basristi e anche ad El Ouali che fu brevemente imprigionato e poi espulso dal paese nella primavera del 1973, poco prima della fondazione del Fronte Polisario. Ebbe miglior sorte Edouard Moha, leader del Morehob (Movimento di Resistenza degli Uomini Blu), movimento fondato a Rabat nel giugno del 1972, che ebbe il permesso di aprire un ufficio ad Algeri. Moha che in realtà si chiamava Bachir Figuigui era un antico agente della polizia marocchina di 35 anni inviato dal regime di Rabat per raccogliere informazioni sulle relazioni algerino-sahrawi. Moha venne smascherato e espulso. Si trasferisce a Bruxelles, nel gennaio 1975 ritornò a Rabat. Dopo qualche mese viene intervistato dalla missione dell’Onu dopo di che sparì. Questa brutta esperienza ovviamente influenzò le autorità algerine che furono più caute nel relazionarsi con il movimento di liberazione sahrawi. T. Barbulo, La historia prohibida del Sáhara Español, Barcelona, ediciones Destino, 2002. 91 attraverso un referendum di autodeterminazione, che permettesse alla popolazione di scegliere il proprio destino.

Per ragioni di ordine geo-politico l’Algeria, democratica e socialista, era da sempre stata favorevole ad uno Stato sahrawi indipendente: acconsentire alla spartizione del Sahara spagnolo, in nome della pace nella regione maghrebina, avrebbe significato non solo disconoscere il principio di inviolabilità delle frontiere ereditate dal colonialismo, ma avrebbe anche rappresentato un pericoloso precedente per le velleità espansionistiche di Hassan II, autorizzato, ogni volta che le difficoltà interne glielo avessero richiesto, a riportare in auge il progetto del ‘grande Marocco’. L’equilibrio e la stabilità della regione non ne avrebbero certamente avuto beneficio.

Le ambiguità del governo algerino scomparvero all’inizio del 1975, quando il presidente espresse il totale sostegno al Fronte Polisario e ai Sahrawi, dopo essersi accorto che il Marocco non rispettava gli accordi sulle frontiere algero-marocchine, ratificati con la convenzione del 1972,191 in nome del ‘grande Marocco’. Così Boumediène, per garantire in misura maggiore la propria integrità territoriale, unico vero obiettivo, cominciò ad armare e a addestrare i combattenti del Fronte Polisario, che spostarono il proprio quartier generale dalla Mauritania in Algeria.192

Il Fronte di Liberazione Nazionale (F.L.N.), come ultimo tentativo per mantenere la pace nell’area maghrebina, invitò il 16 giugno 1975 i principali partiti di opposizione marocchini (U.N.F.P. e Istiqlal), e il Partito Popolare Mauritano (P.P.M.) di Ould Daddah ad una conferenza sulla crisi sahrawi, ma entrambi rifiutarono di partecipare. Nel frattempo l’ambasciatore algerino in Spagna, su indicazione del presidente Boumediène, cominciò a fare pressioni sul governo spagnolo affinché rispettasse gli impegni presi nei confronti delle Nazioni Unite e del popolo sahrawi.

3.5. Il progetto di autonomia interna in Sahara

Il 20 febbraio 1973 la Djemaa inviò una lettera al generale Franco nella quale, oltre ad affermare la volontà del popolo sahrawi di rimanere legato alla Spagna, che avrebbe continuato a rappresentarlo a livello internazionale, a garantire l’integrità del suo territorio e la difesa delle sue frontiere, chiedeva di consentire alla popolazione sahrawi di scegliere liberamente il proprio destino, senza alcuna pressione o ingerenza esterna, attraverso un referendum di autodeterminazione, in conformità con quanto disposto dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. Nella stessa lettera si

191 La ratifica dell’accordo del 1972 prevedeva la rinunzia delle rivendicazioni marocchine sulla regione algerina di Tindouf, in cambio l’Algeria non avrebbe ostacolato Rabat nella sua politica di recupero dei territori sahariani. Intesa che tendeva a consolidare la sicurezza, la stabilita e la cooperazione nella regione maghrebina. Algeri ratificò gli accordi nel maggio 1973, mentre il Marocco ritardò la ratifica per servirsene come moneta di scambio per assicurarsi l’appoggio dell’Algeria sul problema sahariano. 192 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987 92 chiedeva, inoltre, di poter partecipare più attivamente alla gestione politica ed amministrativa del territorio, per sviluppare le necessarie competenze per governarsi autonomamente.193

Sei mesi più tardi, il 21 settembre 1973, Francisco Franco rispose alla Djemaa annunciando i principi generali di un progetto di autonomia interna per il Sahara occidentale. Così si definiva la nuova politica di Madrid per il Sahara. Le proposte spagnole furono approvate dalla Djemaa nel mese di novembre, nonostante non fossero indicati in alcun modo i tempi entro i quali questi cambiamenti avrebbero dovuto prodursi.

In realtà una serie di avvenimenti costrinsero Franco ad accelerare i tempi, l’unico modo per evitare di mettere in pericolo la realizzazione del piano di autonomia interna, che Madrid aveva messo in piedi per la sua “provincia” sahariana e gli interessi economici spagnoli in Sahara occidentale.194

Gli attacchi del movimento nazionalista sahrawi si facevano intanto sempre più frequenti, così da non poter più essere considerati azioni di guerriglia isolate, incidenti passeggeri e di scarsa rilevanza.195 Altro aspetto che gli spagnoli non potevano sottovalutare fu il sempre maggior seguito che il Fronte Polisario aveva da parte della popolazione sahrawi ed in particolare dei giovani.

Nello stesso periodo in cui gravi erano i disordini nei territori sahariani, anche la Spagna metropolitana si trovava a vivere un momento di grande difficoltà politica. Il fatto più grave fu senz’altro l’assassinio del Presidente del Consiglio dei Ministri, Luis Carrero Blanco, da parte dei nazionalisti baschi il 20 dicembre 1973.

Pochi mesi dopo scoppiò la rivoluzione in Portogallo. La caduta del regime di Salazar ad opera del Movimento delle Forze armate non rischiava solamente di incoraggiare coloro che lottavano per la democrazia in Spagna, ma faceva prevedere anche la fine delle guerre coloniali condotte dal Portogallo e la conseguente concessione dell’indipendenza ad Angola, Mozambico e Guinea Bissau. Di fatto la Spagna si trovava ora ad essere l’unica potenza coloniale ancora in Africa.

Nel luglio 1974 il governo spagnolo aveva elaborato un nuovo ‘statuto politico’ per il Sahara, che prevedeva una riforma del ruolo della Djemaa. Essa non avrebbe più avuto una mera funzione consultiva, ma sarebbe stata trasformata in un’assemblea con potere legislativo su questioni di carattere interno, che però avrebbero dovuto sempre essere validate dal governatore generale.

193 Assemblea Generale dell’ONU 28^ sessione A/9023/Rev. 1 Supplemento 23 Vol. IV (1975). “Rapporto del comitato speciale incaricato di studiare la situazione per quanto concerne l’applicazione della dichiarazione di concessione dell’indipendenza dei paesi e dei popoli coloniali” pagg. 69-70. 194 In questo periodo l’industria dei fosfati andare a gonfie vele e la Spagna puntava ad esportare 10 milioni di tonnellate di fosfati all’anno, facendo diventare il Sahara il secondo esportatore mondiale di questo minerale. Di una certa importanza anche la pesca e l’industria peschiera. 195 Il Fronte era stato fondato “come espressione unica di massa, che opta per la violenza rivoluzionaria e la lotta armata come mezzo affinché il popolo sahrawi africano possa riscoprire la sua totale libertà ed eludere le manovre del colonialismo spagnolo” Manifesto politico del 10 maggio 1973, in Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975, p. 985. 93

Nonostante la Djemaa non possedesse ancora poteri concreti e reali, cominciò ad elaborare leggi di riforma del sistema giudiziario e dell’amministrazione pubblica, a definire i criteri di cittadinanza,196 uno dei punti cruciali per il futuro referendum.

Si rendeva necessaria la contemporanea applicazione di misure economiche e politiche che fossero compatibili con gli interessi spagnoli. Lo sviluppo economico del Sahara era affidato a uno speciale programma di sviluppo, finanziato da 20 miliardi di pesetas, destinati al potenziamento dell’industria dei fosfati, a progetti nei settori della pesca, del turismo e dell’approvvigionamento idrico.

Questo fu il primo passo verso l’indipendenza. Così il 20 agosto 1974 il governo spagnolo annunciò, attraverso una lettera indirizzata al Segretario generale dell’ONU Kurt Waldheim, l’intenzione di organizzare un referendum di autodeterminazione, entro i primi sei mesi del 1975.197

Gli esponenti della Djemaa, pur essendo dei preziosi alleati, erano per la maggior parte anziani capi tribù o notabili, che non erano in grado di mobilitare le persone più giovani ed istruite, che non si riconoscevano nelle posizioni conservatrici della Djemaa.

Così, per cercare di contrastare il Fronte Polisario, che cominciava ad avere sempre un maggiore seguito da parte della popolazione sahrawi, in particolare tra i giovani, le autorità coloniali cercarono di favorire la nascita di una nuova formazione politica sahrawi, nazionalista e moderata, capace di portare il paese verso una forma di decolonizzazione pilotata, con la collaborazione dei notabili più tradizionalisti.

La nascita del Partito dell’Unione Nazionale Sahrawi (P.U.N.S.),198 nel 1974 doveva iscriversi in questa logica. Il suo programma, composto da quattordici punti, prevedeva la realizzazione dell’indipendenza attraverso l’autodeterminazione, il rifiuto di ogni occupazione straniera, ma contrariamente al Fronte Polisario, i Punsistas proponevano che questo programma fosse realizzato in pieno accordo con la Spagna, con la quale si voleva conservare un rapporto di amicizia e di cooperazione in tutti i settori.

196 Erano cittadini sahrawi coloro che erano nati da madre e padre sahrawi; coloro che erano nati in Sahara da genitori stranieri, a condizione che essi stessi fossero nati nel territorio; coloro che erano nati fuori del territorio da genitori sahrawi; coloro che chiedevano di ottenere la cittadinanza sahrawi su raccomandazione di una apposita commissione della Djemaa e che dovevano dimostrare di essere residenti in Sahara almeno da cinque anni in modo continuativo o, in casi eccezionali, da tre anni se avevanocontribuito in qualche modo allo sviluppo del territorio. Rapporto della missione ONU in visita nel Sahara spagnolo, 1975, pp. 44 - 47. 197 Il re del Marocco in una conferenza stampa tenutasi a Rabat il 17 settembre 1974 dichiarava: “Voi pretendete che il Sahara sia terra nullis… il Marocco pretende il contrario. Noi domandiamo l’arbitraggio della Corte internazionale di Giustizia dell’Aia. Essa va a stabilire il diritto… se effettivamente essa dichiara che c’è una res nullis… allora accetto il referendum”. M. Flory, L’avis de la Cour internazionale de justice sur le Sahara occidentale, in Annuaire français de droit International, XXI, 1975, pp. 253 - 277. 198 Il primo nome fu Partito Rivoluzionario Progressista (P.R.P.). Il P.U.N.S. fu ufficialmente registrato a El Aioun il 16 febbraio 1975. Fu in questi anni l’unico partito legale in Spagna, oltre al partito franchista. 94

Il Segretario generale del partito era un giovane e talentuoso ingegnere Ergeibi, Khalihenna Ould Rachid,199 sposato con una spagnola. Le autorità spagnole, che lo prepararono a diventare il capo di uno Stato sahrawi indipendente, aiutarono il partito dal punto di vista organizzativo e finanziario.200

Ma l’ambizioso progetto di Francisco Franco fallì clamorosamente. Il nuovo statuto politico non entrò mai in vigore, il referendum venne rimandato e poi abbandonato, e qualche mese dopo la sua fondazione il P.U.N.S. si sciolse (15 novembre 1975).

Il governo spagnolo si trovò in quel momento di fronte a due possibilità: trattare con il Fronte Polisario o cedere il Sahara a Marocco e Mauritania.

La notizia della presentazione del piano di autonomia per il Sahara suscitò una durissima reazione da parte di Rabat, che considerava il nuovo statuto politico proposto dalla Spagna, come il preludio dell’indipendenza.

Quattro giorni dopo la diffusione delle notizie riguardanti l’iniziativa spagnola, l’8 luglio 1974, in un discorso a Fez, Hassan II replicò di non poter tollerare uno “stato fantoccio” nella “parte meridionale del suo paese” e proclamò il 1974 “ un anno di mobilitazione (…) per recuperare i nostri territori”.201 Per motivazioni di ordine politico ed economico che esamineremo in seguito il “recupero del Sahara marocchino” divenne la principale ambizione del re del Marocco.

Dopo l’annuncio dell’intenzione di Madrid di organizzare un referendum di autodeterminazione sotto gli auspici dell’ONU, Hassan II, temendo che la popolazione sahrawi si sarebbe espressa a favore dell’indipendenza, affermò che il Marocco avrebbe rifiutato il referendum se esso avesse incluso tale opzione. Il Marocco che nel 1973, insieme ad Algeria e Mauritania, si era espresso a favore del principio dell’autodeterminazione, ora lo rifiutava apertamente.

Anche se spesso si è ritenuto che il principale interesse della monarchia marocchina nei confronti del Sahara fosse determinato da ragioni di interesse economico, in realtà possiamo invece considerare che invece siano stati determinanti precisi fattori di natura politica.

199 Khalihenna Ould Rachid proclama la sua lealtà a Hassan II dopo la sua defezione in Marocco. Nel 2002 viene proclamato sindaco di El Aioun. Oggi è considerato uno degli uomini più ricchi del Marocco. 200 I servizi segreti utilizzarono la intimidazione per favorire l’adesione dal P.U.N.S. Gli spagnoli arrivarono ad offrire cibo ai poveri, ad aumentare lo stipendio ai lavoratori in cambio della loro adesione al Partito di Unità Nazionale Sahrawi. 201 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 219. Questo fu il primo di una serie di discorsi in cui il sovrano marocchino ribadì le rivendicazioni del Marocco sul Sahara occidentale. Seguirono i discorsi del 10 agosto e del 2, del 17 e del 24 settembre 1974). R. Rézette, Le Sahara occidentale t les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, pp. 140 - 145. 95

Agli inizi degli anni ’70, la situazione politica interna al Marocco era infatti disastrosa: scioperi, sommosse, due colpi di stato militari contro re Hassan II (1971 e 1972), 202 che però ne uscì miracolosamente illeso.

Hassan II si trovava già in una condizione di isolamento internazionale dal 1965, dopo la dura repressione delle manifestazioni di 203 e la scomparsa di Ben Barka, 204 personalità conosciuta a livello internazionale. Anche la Francia di De Gaulle, in quel momento, ruppe le relazioni diplomatiche con il Marocco. Nonostante tutto ciò Hassan II, grazie ad un sistema repressivo molto sofisticato e l’idea geniale della Marcia verde, alla fine degli anni ‘70, riuscì a riprendersi e a ricostruire la sua immagine di capo assoluto del Marocco, anche se la situazione economica del Paese rimaneva ancora molto difficile: l’economia non decollava, la maggior parte della popolazione si trovava in una situazione di grave indigenza, la società marocchina era corrotta e caratterizzata da forte diseguaglianze.

Durante tutto il suo regno, Hassan II, utilizzò abilmente il metodo della carota e del bastone, ricompensando gli oppositori che si ‘piegavano’ al suo volere e punendo i più recalcitranti. Spesso non esitò a fare riforme205 e a permettere ai partiti di opposizione di organizzarsi, di pubblicare giornali, di presentare candidati alle elezioni, di esprimere il proprio punto di vista in Parlamento. Ma, nel momento in cui il sovrano avvertiva la presenza di una opposizione particolarmente determinata, non esitava ad usare il suo potere costituzionale per sciogliere il Parlamento e regnare attraverso decreti, censurando e chiudendo i giornali dell’opposizione, dichiarando fuori legge i partiti e mettendo in prigione gli uomini politici dell’opposizione. L’enorme potere del sovrano era dovuto alla totale mancanza di una opposizione, che veniva fisicamente eliminata.

Durante questi anni di crisi economica e politica, migliaia di persone furono arrestate per motivi politici: furono gli anni della politica del terrore in Marocco.

In queste circostanze come sarebbe stato possibile recuperare il prestigio della monarchia alouita?

202 Il 10 luglio 1971 un gruppo di militari, irritati per la corruzione dilagante nel paese, entrò nel palazzo reale di Skirhat, situato a 23 km da Rabat, dove Hassan II sta celebrando il suo 42° compleanno e cominciò a sparare sui presenti. Un anno più tardi, il 16 agosto 1972 l’aereo di Hassan II, di ritorno da un viaggio in Francia, venne attaccato, ma il re miracolosamente rimase illeso. Nel 1973 Hassan II fu più volte minacciato e bersaglio di attentati in diverse occasioni sulle montagne dell’Atlante, a Casablanca, a Rabat, a Ouda e . 203 Nel marzo del 1965 il malcontento della gente fece esplodere disordini nei sobborghi di Casablanca che furono violentemente repressi dall’esercito marocchino e che costarono la vita a centinaia di persone. 204 Nell’ottobre 1965 il più grande oppositore politico del re, Mehdi Ben Barka, leader dell’U.N.F.P. in esilio, venne rapito ed assassinato in Francia. I tribunali francesi attribuirono l’assassinio al ministro dell’Interno di re Hassan II, il generale Oufkir. 205 Nel 1970 Hassan II propose una nuova Costituzione che però non vene approvata dai principali partiti dell’opposizione perché, di fatto, mantiene nelle mani del re tutto il potere. La stessa cosa accade nel 1972. Dopo i colpi di stato il re promulgò una nuova Costituzione, che mantenne, ancora una volta, il potere nelle mani del sovrano, l’opposizione la rifiutò e boicottò nuovamente le elezioni. La monarchia marocchina rimane, ancora oggi, una monarchia assoluta, il re ha nelle proprie mani tutti i poteri: esecutivo, legislativo e giudiziario. 96

L’abile Hassan II puntò tutto sul recupero delle ‘province sahariane’, che apparvero come un diversivo politico e un’opportunità concreta per riallacciare i rapporti con i partiti dell’opposizione, che, fin dagli anni ’50, consideravano la liberazione e l’integrazione al Marocco del Sahara sotto dominazione spagnola, come un dovere patriottico.206 Oltre a soddisfare il nazionalismo patriottico marocchino l’occupazione del Sahara avrebbe rappresentato la possibilità di affidare ad una parte dell’esercito, che già due volte aveva attentato alla sua vita, una nuova missione che l’avrebbe tenuto lontano dal Palazzo reale.

3.6. L’offensiva diplomatica

Hassan II, confortato dalle difficoltà che il regime spagnolo si trovava ad attraversare per la grave malattia dell’ormai ottuagenario dittatore, ritenne possibile raggiungere un compromesso. Egli offrì alla Spagna garanzie per i suoi investimenti in Sahara, in cambio della possibilità di recuperare le ‘province sahariane’, convinto che il generale Franco, ormai vecchio e malato, avrebbe ceduto facilmente alle sue pressioni.

Mentre il Marocco veniva invaso da un’ondata di patriottismo, stimolato dalla propaganda che, attraverso la televisione, la radio e la stampa, descrivevano il re come un eroe e come il riunificatore della nazione, la Spagna rifiutava di abbandonare il progetto di autonomia del Sahara e l’idea del referendum. Hassan II però non poteva più tornare indietro, non poteva tradire le speranze e le attese del suo popolo e nemmeno suscitare la collera dell’esercito e dei partiti di opposizione. Il clima si presentava molto teso, tutto faceva pensare all’inizio di uno scontro tra Marocco e Spagna. Ma Hassan II, consapevole degli alti costi, economici e umani, che un conflitto militare di questa natura avrebbe comportato, decise di convocare una conferenza stampa a Rabat, nel corso della quale comunicò di voler sottoporre la questione del Sahara occidentale alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia (ICJ), per pronunciarsi sulla validità delle rivendicazioni territoriali del Marocco. 207 Questo stratagemma diplomatico allontanava, di fatto, il referendum voluto dalla Spagna, dava il tempo necessario al Marocco per riorganizzare le forze armate, molto indebolite dai

206 “Il sovrano marocchino iniziò una grande campagna propagandistica per rendere possibile il recupero del Sahara occidentale all’interno dei confini nazionali, ben sapendo che il nazionalismo marocchino era assai vivo nella popolazione e che poteva essere sfruttato per fortificare il consenso governativo. Nel maggio del 1974 tutti i partiti, compresi quelli dell’opposizione, offrirono al re il loro sostegno per il Sahara occidentale. Persino Ali Yata, leader del partito comunista marocchino, posto fuori legge nel 1969 ( ricreato nel 1974 con il nome di Partito del Progresso e del Socialismo, (P.P.S.)), si disse favorevole al reintegro del Sahara nel Marocco”. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 205. 207 La conferenza stampa ebbe luogo il 17 settembre 1974, alla vigilia dell’apertura della 29^ sessione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite. R. Rézette, Le Sahara occidentale t les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, pp. 144 - 145. 97 tentativi di colpo di Stato che si erano susseguiti e raggiungere un accordo con Nouakchott,208 in attesa di qualche cambiamento politico in Spagna.

Il Marocco riportò un importante successo quando, il 13 dicembre 1974, l’Assemblea Generale delle Nazioni Unite approvò la risoluzione 3292 (XXIX), con la quale si domandava alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia di rilasciare un parere consultivo sulla questione del Sahara, si accettava la proposta di inviare una missione d’inchiesta delle Nazioni Unite in Sahara Occidentale e si ingiungeva alla Spagna di rinviare il referendum, finché la Corte non avesse reso il suo parere.209 Come ebbero a sottolineare gli algerini, il parere giuridico non era determinante per il Sahara occidentale e la sua popolazione, ma poteva condizionare il futuro di più popoli, la stabilità di un’intera regione, l’avvenire di un territorio, le relazioni nel Maghreb e la stabilità delle frontiere africane. Se la Corte avesse invece confermato la tesi marocchina e quindi i legami storici e territoriali tra Marocco e Sahara spagnolo, l’ONU avrebbe dovuto salvaguardare il principio di integrità territoriale, rispetto a quello di autodeterminazione.210

3.7. La missione dell’Onu in Sahara occidentale

Nel tentativo di dimostrare la fondatezza delle sue rivendicazioni, il Marocco tentò di ottenere il riconoscimento internazionale degli effettivi legami giuridici esistenti tra il Sahara occidentale e il Marocco, sottoponendo la questione alla Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia, per avere un parere giuridico, ai sensi dell’art. 96 allegato I della Carta delle Nazioni Unite.

Il Marocco chiese un avviso consultivo su due questioni:

1) il Sahara occidentale era, al momento della colonizzazione spagnola, terra nullius?

In caso di risposta negativa a questa domanda:

2) quali erano i legami giuridici di questo territorio con il Regno del Marocco e l’insieme mauritano?

Tra l’8 maggio e il 2 giugno 1975, la IV Commissione delle Nazioni Unite per la decolonizzazione inviò una commissione d’inchiesta in Sahara occidentale, Algeria, Mauritania, Marocco e Spagna.

208 L’intesa tra Marocco e Mauritania fu raggiunta nel corso del summit della Lega Araba tenutosi a Rabat dal 26 al 29 ottobre 1974. Il presidente mauritano Ould Daddah decise di partecipare alla spartizione del Sahara per tenere lontano il Marocco dalla regione economicamente più importante delle Mauritania, la zona mineraria di Zouérate. 209 Il 16 gennaio 1975 la Spagna annuncia la sospensione del referendum. Votarono a favore della risoluzione Marocco, Mauritania, Algeria; la Spagna si asteneva. 210 La maggior parte dei Paesi arabi sostenne la proposta di risoluzione marocchina. Lo stesso Yasser Arafat, leader del’O.L.P., dopo aver fatto visita a Hassan II, dichiarò di appoggiare il Marocco nel suo tentativo di liberare il Sahara occupato. Il presidente francese Giscard d’Estaing e il segretario di stato americano Kissinger, che avevano visitato Hassan II a Rabat nell’ottobre 1974, avevano tutto l’interesse a non ostacolare il sovrano nei suoi progetti. Le ragioni strategiche erano di ordine politico e militare. Il Marocco oltre ad essere un anticomunista convinto era uno degli alleati tradizionali delle potenze della NATO e tentava da anni di placare l’ostilità araba nei confronti di Israele. 98

La delegazione era composta dall’ambasciatore della Costa d’Avorio all’ONU Simeòn Ake con il ruolo di presidente, dall’alto funzionario del Ministero degli Affari Esteri cubano Marta Jiménez e dal Ministro consigliere alle Nazioni Unite iraniano Manouchehr Pishva. 211 La missione, accompagnata da un’equipe di funzionari dell’Onu, da membri del Ministero degli Affari Esteri spagnolo e da numerosi giornalisti, arrivò in Sahara occidentale il 12 maggio, dopo essere stata alcuni giorni a Madrid, dove aveva ricevuto rassicurazioni da parte del governo spagnolo, ora voleva al più presto procedere alla decolonizzazione del territorio, nel rispetto della volontà della popolazione.

I Sahrawi, nel frattempo, stavano massicciamente entrando nelle file del Fronte Polisario, che continuava assiduamente la propria guerriglia e l’opera di mobilitazione della società civile. A partire dalla fine del 1974, sempre più numerose erano state le manifestazioni e gli scioperi nelle diverse città del Sahara, dove operai, studenti, donne sahrawi chiedevano il miglioramento delle loro condizioni di vita. Nel corso di queste manifestazioni furono numerosi gli studenti arrestati dalla polizia e la situazione continuava ad essere molto tesa.

Fu in questo clima, che la missione d’inchiesta dell’ONU arrivò in Sahara. La delegazione, giunta nel piccolo aeroporto di El Aioun, fu accolta da migliaia di persone nelle strade, che inizialmente sventolavano le bandiere spagnole e del P.U.N.S. (per mettere gli spagnoli di buon umore), ma che poi all’improvviso scomparvero per lasciare posto alla bandiera del Fronte Polisario, sventolata dai manifestanti, tra cui molte donne, che gridavano slogan come “Fuori la Spagna”, “Indipendenza totale”, “No al Marocco e alla Mauritania, noi siamo Sahrawi”.

Le manifestazioni che accompagnarono la delegazione nelle varie città del Sahara per tutta la durata della loro visita, erano un’espressione chiara e spontanea di ciò che desiderava il popolo sahrawi per il proprio futuro. Il Fronte Polisario, che fino all’arrivo della missione non era altro che un movimento clandestino, si pose al centro dell’attenzione emergendo come la principale forza politica del territorio. Il segretario generale del P.U.N.S., Khalihenna Ould Rachid, di fronte alla crisi del partito e di fronte alla possibilità del suo scioglimento da parte del governo spagnolo, decise di sottomettersi al re del Marocco proprio mentre la missione dell’Onu si trovava in visita in Sahara. In una conferenza stampa a Rabat, Ould Rachid dichiarò che il Fronte Polisario era sostenuto dai comunisti e denunciò uno “Stato estremista”.212

La quasi totalità delle persone sahrawi intervistate dalla missione (capi tribù, rappresentanti del P.U.N.S, della Djemaa, del Fronte Polisario, studenti, soldati delle Truppe Nomadi, commercianti,

211 Non facevano parte della delegazione rappresentanti di Paesi europei per evitare condizionamenti. In realtà, sia il rappresentante della Costa d’Avorio che il rappresentante iraniano espressero posizioni pro Marocco. 212 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 251. 99 donne, lavoratori, prigionieri politici) si pronunciarono a favore dell’indipendenza, contro le rivendicazioni territoriali di Marocco e Mauritania e chiesero espressamente il sostegno delle Nazioni Unite, dell’O.U.A. e della Lega Araba per raggiungere il loro obiettivo.

Il governo algerino dichiarò alla missione di non avere alcuna rivendicazione territoriale sul territorio sahariano e di essere favorevole a ogni soluzione, purché rispettasse il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, in conformità con quanto stabilito dalle Nazioni Unite e dall’O.U.A..

Durante la visita in Marocco il governo si pronunciò a favore del referendum sotto l’egida delle Nazioni Unite, purché non prevedesse l’opzione indipendenza, ma solo l’annessione alla Spagna o al Marocco e si dichiarò disponibile a trovare una soluzione al problema sahrawi, in accordo con la Mauritania, il cui governo confermava a sua volta le rivendicazioni territoriali sul Sahara. La delegazione visitò l’estremo sud del Paese dove constatò l’esistenza di manifestazioni a favore della ‘riunificazione’ e incontrò i rappresentanti del MOREHOB e del F.L.U.,213 che si espressero a favore dell’annessione al Marocco e rifiutando l’idea dell’indipendenza.

3.8. Le reazioni alla politica spagnola: l’opposizione marocchina

Nell’estate 1974 Hassan II nominò Ahmed Dlimi214 capo della III regione militare e lo inviò nel sud marocchino per raccogliere informazioni sul Sahara spagnolo e reclutare Sahrawi nelle F.A.R.. Se le reclute delle Forze Armate Reali provenivano dall’esercito spagnolo dopo la loro diserzione, Dlimi le premiava. La stessa cosa accadeva per i giovani che decidevano di arruolarsi nel battaglione meharista (truppe cammellate) di Tan Tan, che, oltre a ricevere circa 50.000 franchi (circa 30 euro) al mese, pari a un sussidio famigliare pari a quello che ricevevano coloro che avevano sei figli e si vedevano immediatamente riconosciuti nove anni di anzianità. Con questa tecnica, alla fine del mese di novembre del 1974, erano già stati ingaggiati nelle F.A.R. 200 giovani,

213 Alla fine del 1974 Hassan II diede ordine di iniziare il reclutamento di veterani sahrawi per un nuovo movimento, il Fronte di Liberazione e Unità del Sahara. Nel sud del Marocco, zona caratterizzata da grande povertà e abitata da Sahrawi discendenti dei guerriglieri dell’Armata di Liberazione che si erano poi arruolati nelle F.A.R., non era difficile reclutare uomini. Il F.L.U. inviò guerriglieri e sabotatori in Sahara, in questo modo il Marocco sperava di poter fare pressione sulla Spagna per indurla a rinunciare al suo progetto di referendum e impressionare la missione dell’Onu, che avrebbe creduto di trovarsi di fronte ad un autentico movimento di liberazione sahrawi favorevole all’unificazione al Marocco. Il governo spagnolo, così come il Polisario considerarono da subito il F.L.U. una creazione del governo marocchino. Il 4 e il 5 maggio 1975 il F.L.U. collocò delle bombe a El Aioun, che causarono la morte di un giovane sahrawi di 13 anni. 214 Ex direttore del Gabinetto militare del re, ex membro della sicurezza dello Stato agli ordini del generale Oufkir, Dlimi era un personaggio tenebroso, disprezzato dall’esercito, con una debolezza per il denaro, torturatore della maggior parte dei leaders dell’opposizione politica e sindacale. Fu lui che si recò a Parigi per assassinare Ben Barka e per riportare il suo cadavere a Rabat in un barile di acido. Egli fu, probabilmente, l’autore del ‘suicidio’ di Oufkir dopo il fallito tentativo di colpo di stato contro il re del 1972. 100 dai 18 ai 20 anni. I vantaggi riservati ai Sahrawi causarono però proteste e malcontento tra i veterani marocchini, che cominciarono a disertare.

Il Marocco, nel frattempo, continuò la sua attività diplomatica per convincere la Spagna ad abbandonare il progetto di referendum per il Sahara, reclamando i due presidi spagnoli sulla costa mediterranea, Ceuta e Melilla e impedendo alle flotte spagnole di pescare nelle acque territoriali marocchine. La situazione si presentava ancora una volta molto tesa. In questo stesso momento il Marocco iniziava a inviare alla frontiera sud del Marocco migliaia di soldati marocchini 215 comandati da Dlimi. Alla radio francese Hassan II dichiarava di aver inviato le sue truppe al sud, perché potessero offrire il loro sostegno alla marcia inesorabile che il popolo marocchino non avrebbe mancato di fare nel Sahara, con il re in testa. Il sovrano marocchino aveva, infatti, deciso di intraprendere un’offensiva annessionista, che però doveva essere attentamente preparata dal capo del governo, il cognato del re Ahmed Osmàn, e dal segretario di stato Driss Basri,216 colui che, in poco tempo, diventò l’uomo del re, colui che avrebbe avuto il compito di eseguire le operazioni più ‘sporche’.

Franco, pochi mesi dopo l’assassinio di Carrero Blanco, nominò come nuovo capo del Governo, Carlos Arias Navarro, un uomo formatosi nella scuola del regime, ma con scarse conoscenze di politica internazionale, per evitare che il problema sahrawi potesse determinare la rottura delle relazioni della Spagna con i paesi arabi e la conseguente interruzione dei rifornimenti di petrolio. Navarro, a sua volta, nominò come direttore generale della Promozione del Sahara Eduardo Blanco, un altro militare. Il governo spagnolo, che si trovava ad affrontare Hassan II nella battaglia del Sahara era composto fondamentalmente da militari e repressori, spesso senza alcuna conoscenza ed esperienza a livello internazionale, che difficilmente avrebbero potuto avere fortuna.

La seconda metà del 1975 fu segnata da una escalation di scontri in Sahara occidentale e da una intensa attività diplomatica.217

Il governo spagnolo per la prima volta, sollecitato da più parti e intenzionato ad evitare un conflitto armato, propose nel maggio del 1975 a Marocco, Mauritania ed Algeria una conferenza, sotto gli

215 Si parla di circa 25.000 uomini. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 255. 216 I Sahrawi sopravvissuti alle sue torture nelle carceri segrete del Marocco possono riconoscergli di essere un degno erede del generale Oufkir e del colonnello Dlimi. 217 Sul piano diplomatico si notò un forte avvicinamento tra Mauritania e Marocco e un inasprimento delle relazioni tra Rabat e Algeri, che cominciava ad allarmarsi a causa della violenta campagna anti-algerina avviata dalla stampa marocchina, che riprendeva a parlare delle antiche rivendicazioni marocchine sul alcune parti del Sahara algerino. Inoltre il Marocco accusava l’Algeria di aiutare il Fronte Polisario, mentre l’Algeria accusava il Marocco di negare ai Sahrawi il diritto all’indipendenza. Tra il 1° e il 4 luglio 1975 Hassan II incontrò Boutaflika a Rabat, che arrivarono ad un accordo, il cui contenuto non fu però mai precisato.

101 auspici dell’ONU, per discutere dell’avvenire del Sahara occidentale. Nonostante i numerosi tentativi da parte del governo spagnolo e del Segretario generale delle Nazioni Unite, il Marocco rifiutò di partecipare a una conferenza con la partecipazione dell’Algeria.

Ma dopo la missione dell’Onu, Madrid non poteva attuare il proprio progetto di autodeterminazione senza rivedere la propria politica nei confronti del Polisario, visto che il P.U.N.S., dopo la diserzione del proprio segretario generale, non godeva più del necessario sostegno popolare per essere a capo di un governo indipendente. Il governo spagnolo cominciò a pensare, che un governo presieduto dal Fronte Polisario rappresentasse un grande pericolo per gli interessi spagnoli.

La Spagna, dopo il Consiglio dei ministri del 23 maggio 1975 a Madrid, chiese al Fronte Polisario, al P.U.N.S. e alla Djemaa di unirsi. Ma questo processo risultò molto difficile. I capi tribù infatti faticavano a sottomettersi ai giovani dirigenti del Fronte e i Punsistas volevano assolutamente conservare l’identità del proprio partito, anche se i membri del Fronte chiedevano loro di sciogliere il partito e di unirsi a loro. La tensione si acuì quando, il 12 e 13 luglio 1975, esplosero a El Aioun due bombe che uccisero tre poliziotti spagnoli e il figlio di un membro del P.U.N.S.. Tra le macerie si trovarono resti degli emblemi del Polisario, ma a posteriori, è verosimile pensare che non sia stato il Fronte a mettere le bombe. Il movimento nazionalista sahrawi infatti non utilizzò mai questo tipo di strategia, definita di terrorismo urbano. Il F.L.U. invece aveva già messo bombe a El Aioun e aveva tutto l’interesse a far fallire i tentativi di unificazione, voluti dalle autorità spagnole.218

L’intensificarsi delle rivendicazioni marocchine, oltre ad accrescere il sostegno dei membri della Djemaa, portò il Polisario ad affermare di essere pronto ad unirsi alla Mauritania, sacrificando il proprio obiettivo di indipendenza totale, se ciò fosse stato necessario per impedire al Marocco di occupare il Sahara. L’intenzione del movimento di liberazione era ovviamente quella di bloccare il patto di spartizione tra Hassan II e Moktar uld Daddah concordato nel corso del summit della Lega Araba, svoltosi a Rabat nell’ottobre 1974. Nell’estate del 1975 El Ouali si recò a Nouakchott per incontrare il presidente mauritano, al quale chiese di creare una federazione sahrawi-mauritana posta sotto l’autorità federale di Daddah, ma la proposta non venne accolta.

Il più grande passo avanti si ebbe il 9 settembre 1975, quando, per la prima volta, un ministro spagnolo e il Fronte Polisario si incontrarono per discutere della loro collaborazione. Dopo una discussione durata una notte intera si giunse ad un accordo: Polisario e Spagna concordarono per il Sahara occidentale un periodo di transizione della durata di 15-20 anni, nel corso del quale venivano riconosciuti gli interessi spagnoli relativi alla pesca e ai fosfati, in cambio del riconoscimento dell’indipendenza e dell’autodeterminazione del popolo sahrawi.

218 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 258. 102

Il 1° ottobre la Spagna informò le Nazioni Unite che il referendum di autodeterminazione, rimasto in sospeso, sarebbe stato realizzato nel corso della prima metà del 1976.

Ma Hassan II era più che mai risoluto ad impedirne la realizzazione del referendum e annunciò che il Sahara occidentale sarebbe stato marocchino entro la fine dell’anno.

3.9. Il parere consultivo della Corte Internazionale di Giustizia dell’Aia

Il 15 ottobre 1975 la Missione dell’O.N.U. pubblicò il tanto atteso rapporto, 219 nel quale si dichiarava che “la maggioranza della popolazione all’interno del Sahara spagnolo è manifestamente a favore dell’indipendenza”,220 e dove si chiedeva di trovare un accordo, accettato da tutte le parti in causa, compresa la popolazione sahrawi. Quella fu la prima volta in cui venne fatta precisa menzione della popolazione sahrawi, senza però precisare esattamente se si trattasse dei membri della Djemaa o dei dirigenti dei diversi movimenti nazionalisti, come il P.U.N.S. e il Fronte Polisario. Era certo che ciascuna delle parti coinvolte pensasse a modalità diverse per arrivare alla decolonizzazione ed esprimesse posizioni divergenti sullo statuto finale del territorio. La stessa Corte ebbe modo di ricordare all’Assemblea generale i diversi modi attraverso cui un territorio poteva ottenere la piena autonomia in conformità con la risoluzione 1541 (XV), che completava la dichiarazione 1514: 1) divenire uno Stato sovrano e indipendente; 2) associarsi liberamente ad uno Stato indipendente; 3) integrarsi ad uno Stato indipendente. In tutti i casi l’autonomia doveva essere il risultato di “una scelta libera e volontaria della popolazione del territorio in questione, espressa attraverso metodi democratici”.221

La Spagna, da parte sua, dichiarava di voler procedere al più presto alla realizzazione del referendum di autodeterminazione e quanto prima, ritirarsi dal territorio lasciando all’ONU il compito di portare a termine il processo di autodeterminazione. Il Marocco e la Mauritania, invece, rivendicavano diritti sul Sahara, dichiarandosi disposti ad accettare un referendum, ma a condizione di poter partecipare alla sua organizzazione. L’Algeria, infine, chiedeva il rispetto del diritto all’autodeterminazione della popolazione del Sahara occidentale, che doveva poter decidere liberamente il proprio destino.

219 La missione rientrò a New York il 14 giugno 1975 per cominciare il lavoro di redazione del rapporto che venne reso pubblico solo quattro mesi dopo, alla vigilia della pubblicazione dell’Avis consultatif della Corte internazionale di Giustizia dell’Aia. Questo rapporto molto dettagliato e caratterizzato da una certa obiettività e imparzialità venne ignorato, anche se di fatto forniva un dettagliato resoconto del Sahara spagnolo nel 1975. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental. Paris: L’Harmattan, 1982, pp. 126 - 127. 220 Rapporto della missione di visita delle Nazioni Unite nel Sahara spagnolo, Assemblea generale supplemento n° 23 (A/10023/Rev. 1), Volume III, pag. 69. 221 Risoluzione dell’Assemblea generale 1541 (XV) del 15 dicembre 1960. 103

Dopo aver analizzato approfonditamente e in modo il più possibile imparziale il problema sahrawi, i componenti della Missione onusiana fecero alcune proposte, con l’intento di conciliare le diverse posizioni ed arrivare ad una soluzione coerente ed accettabile per tutti.

Secondo il loro rapporto, la soluzione del problema sahrawi, doveva passare attraverso il rispetto della volontà della popolazione sahrawi e dei rifugiati,222 che doveva avere la priorità sugli interessi dei paesi vicini e attraverso una consultazione da realizzarsi sotto l’egida della Nazioni Unite, che doveva garantire il ritorno degli esiliati e dei rifugiati, tutelare la pace e la sicurezza nel territorio.

Agli inizi del 1975 la Corte raccolse le esposizioni scritte di alcuni paesi coinvolti (Spagna, Marocco e Mauritania) insieme a quelle di altri paesi, tra cui la Francia e otto paesi latino- americani,223 ma non dell’Algeria e nemmeno del Fronte Polisario o del P.U.N.S., perché, così come previsto dallo statuto, solo gli Stati potevano avere accesso alla Corte dell’Aia.

Tra il 25 giugno e il 30 luglio 1975 la Corte tenne ben ventisette udienze pubbliche, nel corso delle quali, ascoltò le esposizioni orali dei rappresentanti di Marocco, Mauritania, Spagna, Algeria e Zaire.224 Il 16 ottobre 1975, 225 dopo un lungo periodo di riflessione la Corte pubblicò il suo avviso consultativo, accompagnato da numerose opinioni individuali, al termine delle quali rispose alle due domande che le erano state poste.

L’avviso consultativo richiesto alla Corte doveva fornire all’Assemblea generale gli elementi giuridici utili nella trattazione della decolonizzazione del Sahara occidentale. In realtà la Corte che doveva definire lo statuto del Sahara occidentale al momento della decolonizzazione, decise autonomamente di investigare sui legami storici esistenti tra la situazione passata e quella attuale, creando una certa ambiguità, da cui il Marocco e la Mauritania trassero profitto, per avvalorare una interpretazione di parte alla sentenza.

Per poter fare questo, la Corte dovette superare la prima difficoltà e spiegare che cosa si intendesse con l’espressione “al momento della colonizzazione spagnola”. Il termine colonizzazione inteso dal punto di vista economico e politico richiamava all’occupazione reale del Sahara da parte della

222 Il censimento spagnolo del 1974 contavano 73.497 autoctoni del Sahara, 20.126 europei (per la maggior parte residenti temporanei, commercianti, militari con le loro famiglie), 1.396 persone originarie di altri Paesi africani. Per quanto riguardava gli autoctoni sahrawi residenti nei Paesi vicini, la Spagna parlava di 3.000-4.000 sahrawi in Marocco, di 4.000-5.000 in Mauritania, e un numero inferiore in Algeria. Le autorità algerine parlavano di 7.000 rifugiati nel sud dell’Algeria. Queste cifre vennero contestate dalle parti. Vedi Rapporto della missione di visita delle Nazioni Unite nel Sahara spagnolo, Assemblea generale supplemento n° 23 (A/10023/Rev. 1), Volume III , p. 6 e p. 40. 223 Cile, Colombia, Costa-Rica, Ecuador, Guatemala, Nicaragua, Panama e Repubblica Domenicana. 224 Lo Zaire intervene perché per sostenre la tesi marocchina, perché esso stesso rivendicava l’enclave di Cabinda che appartiene all’Angola. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 134. 225 La Corte espresse un parere giuridico perché ritenne di dover dare risposte fondate sul diritto. La Spagna riteneva invece che la Corte non fosse competente in quanto, dal suo punto di vista, il problema in questione non era giuridico ma storico e accademico. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris: L’Harmattan, 1982, p. 135. 104

Spagna, risalente agli anni ’50; in questo periodo anche Marocco e Mauritania si trovavano sotto la dominazione straniera e pertanto non avevano alcun titolo da far valere. La Corte decise invece di far risalire l’inizio della colonizzazione spagnola al 1884, avvalorando le pretese territoriali di Marocco e Mauritania.

La pretesa marocchina era quelle di invocare i legami esistenti prima della colonizzazione fra Marocco e Sahara occidentale per impedire l’applicazione del diritto all’autodeterminazione a questo territorio.

E’ allora lecito chiedersi se questa iniziativa corrispondesse effettivamente alle intenzioni dell’Assemblea generale e se la Corte non avesse sostituito la volontà dell’Assemblea generale stessa con quella del governo marocchino grazie, al talento e alla tenacia dei suoi avvocati.

Per gli avvocati marocchini il primo e il secondo interrogativo erano collegati tra loro ed era proprio sulla base di questo legame che Hassan II interpretò la sentenza: se la risposta alla prima domanda fosse stata positiva (cioè il Sahara occidentale non era terra nullis), allora la risposta alla seconda domanda avrebbe portato inevitabilmente a riconoscere che il Sahara aveva dei legami giuridici con il Marocco e la Mauritania.226

Nel riconoscere, che al momento della colonizzazione spagnola, il Sahara occidentale “era abitato da popolazioni che, benché nomadi, erano politicamente e socialmente organizzate in tribù e poste sotto l’autorità di capi competenti a rappresentarle”,227 la Corte concluse che il Sahara non era terra nullis ed espresse un parere giuridico, a proposito della qualità dei legami esistenti fra questa regione e il regno del Marocco.

Il Marocco dichiarò di avere legami giuridici e di sovranità con il Sahara occidentale da tempo immemorabile e la Corte accolse la sua richiesta di tenere in considerazione la particolare struttura dello Stato sceriffiano (chérifien) e constatò che “al momento della colonizzazione del Sahara occidentale da parte della Spagna, il makhzen era fondato sui legami religiosi dell’Islam che univano le popolazioni e sulla bade della fedeltà delle diverse tribù al Sultano, più che sulla nozione di territorio”. Come prova della sua sovranità il Marocco portò una serie di atti interni e internazionali, che testimoniavano la sua autorità sui territori sahariani (alleanza tra caïd e Sultano, pagamento di imposte religiose,…) e dimostravano il riconoscimento da parte di altri Stati la sovranità marocchina su tutto o parte del Sahara occidentale (trattati sottoscritti con Francia, Stati

226 M. Flory, L’avis de la Cour international de justice sur le Sahara occidentale, in Annuaire français de droit International, XXI, 1975, pp. 263 - 264. 227 La Spagna con l’ordinanza reale del 26 dicembre 1884 dichiarava che il Re prendeva il Rio de Oro sotto la sua protezione sulla base degli accordi firmati con i capi delle tribù locali. Corte internazionale di Giustizia, Sahara occidental. Avis consultatif du 16 octobre 1975, pp. 39. 105

Uniti, Inghilterra, Germania). A fronte di tutto ciò il regno alaouita chiedeva che si procedesse alla decolonizzazione non attraverso un referendum, ma attraverso la semplice riunificazione territoriale alla madre-patria. La ricostruzione dell’”unita nazionale”, che sarebbe esistita anteriormente alla decolonizzazione, doveva comunque realizzarsi, attraverso il rispetto del diritto all’autodeterminazione.228

La Corte riconobbe il legame religioso, come un legame giuridico di sovranità o di subordinazione ad un sovrano, ma puntualizzò anche che l’atto di fedeltà (baya) doveva “essere incontestabilmente effettivo e manifestarsi attraverso atti che testimoniano l’accettazione dell’autorità politica del sovrano, per poter essere considerato come un segno della sua sovranità”.229 La documentazione presentata dal Marocco, secondo la Corte, non era sufficiente a dimostrare l’esistenza di legami di sovranità tra il Sahara occidentale e il Marocco.230 La corte sottolineò inoltre che se le popolazioni sahariane riconoscevano e rispettavano l’autorità spirituale del Sultano, ciò non implicava la loro volontà di farsi amministrare dal makhzen. Si poteva cioè distinguere l’autorità spirituale del sultano, che gli veniva legittimamente riconosciuta, dall’autorità temporale, che invece gli veniva contestata.

Certamente attraverso l’atto di fedeltà si poteva stabilire un rapporto diretto tra il sultano (potere centrale) e la comunità (umma), intesa come comunità religiosa, che attraverso il legame religioso si vincolava al territorio (dar el-Islam).

Fu allora possibile affermare che il legame di fedeltà tra comunità e sultano consentiva a quest’ultimo di esercitare una sovranità di natura territoriale, mentre la comunità era l’elemento di mediazione tra il potere centrale e il territorio.

Difficile a questo punto sostenere la separazione tra l’atto di fedeltà e l’atto di sovranità territoriale, così come fu difficile tenere separati l’aspetto religioso e giuridico, che nell’Islam risultano invece essere profondamente legati.

Hodges ricorda nel suo libro che il sultano cumulava in sé i poteri temporali e spirituali. Il Marocco, quando presentò le proprie considerazioni alla Corte internazionale di Giustizia, pose al centro il makhzen e di conseguenza l’atto di fedeltà, facendone derivare l’esercizio della sovranità,

228 “Possono variare le procedure di consultazione della volontà delle popolazioni decolonizzate; infatti il referendum, non è l’unico metodo di consultazione con queste popolazioni.” Tribunale permanente dei popoli, Le sentenze: 1979- 1998, Fondazione Internazionale Lelio Basso, Lecco, Casa editrice Stefanoni, 1978, p. 12. 229 Corte internazionale di Giustizia, Sahara occidental. Avis consultatif du 16 octobre 1975, paragrafo 95, p. 44. 230 Le genti del bled es-siba non pagavano imposte al makhzen, non mandavano uomini nell’esercito del Sultano, il loro governo era affidato a capi tribù nominati dalle stesse diverse tribù, erano de facto indipendenti. Gli atti interni ed internazionali presentati dal Marocco per testimoniare la sua sovranità sul Sahara occidentale non erano considerati sufficienti per testimoniare l’esistenza del legame di sovranità tra Marocco e Sahara occidentale. Corte internazionale di Giustizia, Sahara occidental. Avis consultatif du 16 octobre 1975, paragrafi 96-97-98, pp. 44 - 45. 106 dimenticando che tra le tribù sahariane l’atto di fedeltà al makhzen era un fatto estremamente raro.231 Nella contrapposizione makhzen-siba, tra centro e periferia, era possibile riconoscere la linea di demarcazione geografica e politica tra l’amministrazione marocchina e le popolazioni sahariane, la cui salda tradizione autonomista aveva impedito loro di fare atto di alleanza con il makhzen e di collocarsi all’interno del suo circuito di potere.

Anche quanto il makhzen, sulla scia dell’invasione europea, iniziò a voler avere nel territorio, e non solo nelle persone, l’elemento di identificazione del potere, non riuscì, in nessun modo, a dimostrare il coinvolgimento dei territori del Sahara occidentale.232

La Corte non qualificò le situazioni precedenti la colonizzazione secondo i criteri del diritto internazionale contemporaneo, erano quindi da considerarsi legami giuridici solo i “legami suscettibili di esercitare ancora oggi un’influenza sul processo di autodeterminazione. Non era possibile qualificare come “giuridici” i legami storici, ai quali non si riconosceva, nel medesimo tempo, uguale incidenza”.233

La Corte, dopo lunga riflessione, dichiarò che il Sahara occidentale non era al momento della colonizzazione terra nullis, che esistevano cioè legami giuridici con il Regno del Marocco e la Mauritania, nel senso che esisteva un legame di fedeltà tra certe tribù sahariane e il Marocco, ma nessun diritto di sovranità.234

Considerato ciò che accadde soltanto due settimane più tardi, è lecito affermare che con questa sentenza la Corte non riuscì a fornire all’Assemblea generale gli strumenti necessari per individuare una chiara strategia di decolonizzazione per il Sahara.235

Come già evidenziato, i diritti storici e culturali reclamati dal Marocco sul Sahara occidentale, non erano altro che un mezzo per imporre una volontà di supremazia e di sopraffazione, che aveva radici politiche ed economiche molto più recenti.

231 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 44. 232 Si fa qui riferimento al tentativo di sottomettere bled es-sida al potere del sultano nel 1892. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 58. 233 Tribunale permanente dei popoli, Le sentenze: 1979-1998, Fondazione Internazionale Lelio Basso, Lecco, Casa editrice Stefanoni, 1998, p. 16. 234 Corte internazionale di Giustizia, Sahara occidental. Avis consultatif du 16 octobre 1975, paragrafo 162 pag. 68. 235 La sentenza della Corte si limitò a ribadire quanto dichiarato nelle risoluzioni dell’ONU: si deve procedere al referendum di autodeterminazione. In questo senso l’avviso era inutile. La Corte non aveva compiuto al meglio la sua missione, non aveva dato indicazioni specifiche all’Assemblea generale, si era semplicemente sostituita a quest’ultima. In questo senso l’avviso era inutile, la procedura adottata pericolosa. La Corte si era spostata sul piano politico, aveva rinforzato l’idea secondo la quale l’indipendenza del popolo sahrawi poteva realizzarsi solo se nessuno Stato avesse dei diritti da far valere sul suo territorio, subordinando così il diritto dei popoli a quello degli Stati. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 135. 107

Il richiamo ai diritti storici rappresentò un punto di forza delle rivendicazioni del Marocco sui territori del Sahara occidentale e questa lotta non si fermò nemmeno di fronte alla necessità di salvaguardare l’ordine giuridico costituitosi nell’Africa post-coloniale.

Solo Marocco e Somalia non approvarono al Cairo nel 1964 la risoluzione dell’O.U.A., xhw impegnava gli Stati africani ad uniformarsi al principio dell’uti possidetis, cioè al rispetto delle frontiere coloniali. Lo stesso Marocco che nel 1989, insieme a Libia, Tunisia, Mauritania e Algeria si impegnò a “garantire l’indipendenza e l’integrità territoriale” di ciascuno degli Stati membri dell’U.M.A.236 (Unione del Maghreb Arabo).

La contraddizione tra queste due posizioni assunte dalla monarchia marocchina era soltanto apparente. Nell’arco di poco più di un ventennio il Marocco era, infatti, diventato paladino dell’integrità territoriale, ma solo dopo aver conquistato le “province sahariane”. Ciò evidenziava, ancora una volta, quanto la storia del Marocco e dell’intera area maghrebina fossero legate alla questione sahrawi.

3.10. L’occupazione del Sahara: la marcia verde

Mentre la Corte continuava a lavorare alla redazione della sentenza, Marocco e Mauritania fecero sapere di essere giunti ad un accordo di spartizione del Sahara occidentale, in base alle zone di influenza dominante: il Marocco avrebbe occupato il Saquia el-Hamra e la Mauritania il Rio de Oro.

Per quale motivo i due Stati ritornarono alle loro posizioni iniziali? E’ verosimile pensare che essi si fossero resi conto che la Corte non poteva favorire le richieste di uno dei due. 237 Marocco e Mauritania, dichiarandosi non favorevoli a concedere al popolo sahrawi l’autodeterminazione attraverso un referendum, decisero di far prevalere le proprie rivendicazioni sul Sahara attraverso l’azione diplomatica e militare.

Il 16 ottobre 1975, qualche ora dopo la pubblicazione dell’avviso consultativo da parte della Corte Internazione di Giustizia dell’Aia, il governo marocchino dichiarava, in un comunicato che l’avviso della Corte giustificava che il Sahara occidentale era parte del territorio marocchino, sul cui territorio esercitava la sovranità il re del Marocco e che la popolazione di quel territorio era pertanto da considerarsi marocchina238. Hassan II non esitò a mentire, affermando che “la Corte aveva dato

236 Il primo summit magrebino a cinque si tenne a Zeralda il 10 giugno 1988. Il punto di approdo naturale era l’U.M.A., costituitasi con il trattato di Marrakech del 17 febbraio 1989. La spinta per la sua costituzione era dovuta a motivazioni ideologiche, ma anche ad esigenze di carattere economico. 237 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 132 - 133. 238 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 263. 108 ragione al Marocco.”239 Nello stesso momento la radio e la televisione marocchina interruppero la programmazione per trasmettere un messaggio del re alla nazione: “la Corte internazionale ha affermato che ci sono dei legami giuridici e di fedeltà tra il Regno del Marocco e il Sahara… il Marocco è soddisfatto dell’avviso consultativo perché ha risposto alle nostre aspirazioni e perché non può contrapporsi a un diritto internazionale più antico e sacro, il diritto musulmano…non ci resta che integrare il nostro Sahara … Il mondo intero ha riconosciuto che il Sahara era in nostro possesso già da molto tempo… Non ci resta altro, caro popolo, che intraprendere una marcia pacifica da nord a sud e da est a ovest… di 350.000 marocchini … e ritornare con i nostri fratelli”. 240 Al termine dell’annuncio la radio cominciò a trasmettere musica militare e molti marocchini scesero nelle strade per manifestare la propria contentezza.

Cominciò così ufficialmente la preparazione della marcia di occupazione “pacifica” di migliaia di marocchini (di cui il 10% donne), protetti dalle F.A.R., verso il Sahara occidentale, che durò quindici giorni.241

Politicamente l’idea della marcia fu un colpo da maestro, perché fece precipitare la situazione. Le Nazioni Unite non ebbero il tempo di esaminare le raccomandazioni della CIJ o della Missione dell’Onu e la marcia esercitò una pressione determinante sulla Spagna, che, nei mesi precedenti, aveva iniziato ad allacciare contatti con il Fronte Polisario, sfociati nell’accordo del 9 settembre 1975, nel quale era stato fissato un termine di sei mesi per la concessione dell’indipendenza. Si trattava di una nuova jihad. La Marcia Verde, così chiamata per ricordare il verde dell’Islam e il colore degli stendardi con i quali centinaia di migliaia di marocchini, provenienti da tutti gli angoli del Marocco, raggiunsero la frontiera con il Sahara spagnolo, dove attesero il segnale per attraversare il confine e raggiungere El Aioun, la capitale della colonia spagnola.242 Si scriveva in questo momento una nuova pagina della storia del Marocco: Hassan II in testa a centinaia di

239 I. Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l’indipendence à nos jours, Paris, Fayard, 2004, p. 426. 240 Discorso di Sua Maestà il re Hassan II, Revue des F.A.R. (126) novembre 1975 pagg. 3-9 da Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975. Vent’anni dopo Hassan II precisò a Eric Laurent che l’idea della Marcia Verde arrivò improvvisamente la notte tra il 19 e il 20 agosto 1975: “Mi svegliai con un’idea nella testa… tu ha visto migliaia di persone manifestare in tutte le grandi città in favore del Sahara. Allora, perché non puoi organizzare una grande manifestazione pacifica che prenda la forma di una marcia? In quell’istante mi sono sentito liberato da un grande peso” Jacques Alain affermò che era qualcuno molto vicino a Herry Kissinger che aveva suggerito ad Hassan II l’idea di una marcia pacifica, dopo aver visto in televisione un reportage su una grande manifestazione in Sud-Africa contro all’apartheid. I. Dalle, Les trois rois. La monarchie marocaine de l’indipendence a nos jours, Paris, Fayard, 2004, p. 427. 241 Era stato pensato a tutto: trasporti, acqua, alimentazione, fornitura di tende. 242 Arrivarono ad iscriversi 650.000 persone tra le quali vennero scelte le più idonee a sostenere le fatiche della marcia. 306.500 persone, di cui 30.650 donne furono trasferite in treno e in camion nella regione di Tarfaya a sud del Marocco da dove doveva partire la marcia. A questi dovevano essere aggiunti il personale organizzativo, i medici e i militari per un totale di 350.000 persone. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 140. 109 migliaia di persone armate solo del “libro di Allah”, entravano in Sahara243 per trasformarsi in coloni, secondo uno schema molto vicino a quello degli israeliani.

L’iniziativa, da una parte, riscontrava l’appoggio e l’entusiasmo di tutto il Marocco, (compresi i partiti politici e le organizzazioni sindacali e religiose), della Mauritania e di alcuni paesi arabi (Giordania, Arabia Saudita, Tunisia, Oman, Bahrein, Qatar, Kuwait, Sudan, Libano ed Egitto), che portarono il Polisario a prendere le distanze dalla Lega araba e da qualche paese africano, come il Gabon; dall’altra suscitava la condanna esplicita di Algeria, Spagna e dei due principali movimenti nazionalisti sahrawi, il P.U.N.S. e il Fronte Polisario. Anche il Consiglio di Sicurezza dell’ONU condannò la marcia di occupazione ma con un intervento molto timido nei confronti del Marocco, che sembrò quasi incoraggiato a continuare l’occupazione.

Il Fronte Polisario, i membri della Djemaa e del P.U.N.S. condannarono Hassan II, che il 23 ottobre 1975, nella sua qualità di Amir al-Muminin, rivolse ai suoi “fedeli sudditi sahrawi” un appello alla riconciliazione. Il presidente della Djemaa Khatri Ould Said Ould el-Joumani fu, però l’unico Sahrawi di una certa rilevanza a rispondere all’invito del re marocchino e il 1° novembre si recò in Marocco dove il giorno seguente giurò fedeltà al re.244 Il Polisario lanciò un appello all’ONU e alla comunità internazionale perché bloccassero la marcia 245 e richiamò la Spagna alle sue responsabilità di potenza amministratrice che, a sua volta, protestò davanti al Consiglio di Sicurezza dell’ONU e non abbandonò il suo progetto di realizzare un referendum di autodeterminazione e di trasferire i poteri ad un governo presieduto dal Fronte Polisario.246

Intanto il 17 ottobre 1975, il giorno successivo all’annuncio di Hassan II, il consiglio dei ministri spagnolo si riunì sotto la presidenza del generale Franco. Mentre il ministro degli affari esteri Cortina cominciava a riferire sulla Marcia verde, Franco ebbe un malore, che ne determinò di fatto il ritiro dall’attività politica. La malattia e la successiva morte del caudillo fecero precipitare la situazione in Spagna e il Paese si trovò diviso su due fronti. Da una parte coloro che volevano mantenere fede agli impegni presi con le Nazioni Unite e la comunità internazionale, ai fini della

243 Importante il carattere religioso e politico della marcia finalizzata a cacciare gli infedeli colonialisti dal suolo islamico marocchino. Il re prima di dare il via all’occupazione guida la preghiera dei fedeli. 244 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 266. 245 La prima risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU adottata il 22 ottobre 1975 n. 377 (1975) è estremamente blanda. Ricorda le precedenti risoluzioni dell’Assemblea e incarica il Segretario generale di consultare le parti e chiede a quest’ultime di collaborare per la buona riuscita della missione. Non viene chiaramente condannata la Marcia e i suoi principi fondanti che sono in flagrante violazione delle risoluzioni ONU. E’ evidente che alcuni membri del Consiglio di Sicurezza, come Francia e Stati Uniti, si rifiutarono di condannare il Marocco e minimizzarono la situazione. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 141. 246 Il governatore generale di El Aïoun, Federico Gomez de Salazar, continuò ad operare per trasferire i poteri al Polisario. Il 22 ottobre, dopo lo scambio degli ultimi prigionieri tra Spagna e Polisario, lo stesso governatore si recò a Mahbes, nei pressi della frontiera algerina, dove concluse un accordo con El Ouali, in base al quale l’indipendenza sarebbe stata concessa entro sei mesi. I leaders del movimento furono invitati ad entrare in città. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 265 - 266. 110 salvaguardia della dignità del Paese, dei propri interessi economici in Sahara (controllo delle miniere di Boucraa e diritti di pesca per le società di pesca delle Canarie) e della tutela della relazione con l’Algeria, che era diventata uno dei principali mercati di esportazione spagnola.247 Dall’altra parte si trovavano alcuni importanti uomini politici spagnoli, come Arias Navarro, Antonio Carro Martínez, José Solí Ruiz, che da anni seguivano gli interessi della famiglia reale marocchina in Spagna, che erano decisi ad evitare, in ogni modo possibile, lo scontro con il Marocco per evitare le conseguenti gravi ripercussioni sul Paese e la dispersione di energie utili, necessarie in questo particolare momento, per garantire una transazione indolore verso il post- franchismo, per limitare il rischio rappresaglie diplomatiche ed economiche dei paesi arabi e la possibile perdita di Ceuta e Melilla.

Il Marocco, da parte sua, non poteva più tornare sui propri passi. Dopo aver infiammato gli animi nazionalisti del paese, una qualunque esitazione avrebbe potuto significare la caduta della regime e la destituzione del sovrano. La strategia del Marocco fu allora quella di mettere la comunità internazionale di fronte al fatto compiuto, così, forte dell’appoggio di Stati Uniti e Francia, che inizialmente rimasero colpiti dal carattere folkloristico del progetto, tanto da dimostrarsi scettici sulla sua effettiva realizzazione.

247 Anche Franco avrebbe avuto dei dubbi a cedere il Sahara al Marocco, ma viste le sue condizioni di salute egli non poté giocare alcuno ruolo sul piano politico. Franco veniva considerato ancora il ‘guardiano’ dei sahrawi. 111

La Marcia verde – novembre 1975

112

3.11. L’accordo di Madrid

Per evitare lo scontro armato con il Marocco il presidente del Governo, Carlo Arias Navarro, si piegò a tutte le richieste e sopportò tutte le umiliazioni di Rabat. Egli tradì i Sahrawi, l’esercito e l’ONU firmando la cessione del Sahara a Marocco e Mauritania pochi giorni prima della morte di Franco, il 14 novembre 1975.

Anche gli Stati Uniti e la Francia, che vedevano in Hassan II un prezioso e strategico alleato, invitarono la Spagna a trovare un accordo con il Marocco.248 Fu in questo momento che il problema sahariano varcò i confini regionali, per approdare a un contesto geopolitico di rilevanza internazionale.

Le negoziazioni tra Spagna e Marocco iniziarono il 21 ottobre 1975, quando Ahmed Laraki, ministro degli Affari esteri marocchino, concluse un accordo con il ministro degli Affari presidenziali Carro Martinez. Nel corso dell’incontro fu deciso che le forze armate spagnole avrebbero permesso ai marciatori marocchini di rimanere ventiquattro ore in un’area di circa una dozzina di chilometri dopo aver oltrepassato il confine tra Marocco e Sahara.249

Intanto il 25 ottobre il Consiglio dei ministri spagnolo decise di cedere il Sahara al Marocco, anche se la notizia non trapelò. Il giorno successivo a Rabat, durante un incontro con Kurt Waldheim, Segretario generale dell’ONU, Hassan II affermava che il progetto della Marcia verde non era la causa della tensione internazionale, ma ne era una conseguenza. Se i diritti del Marocco sul Sahara occidentale fossero stati rispettati non ci si sarebbe trovati in questa situazione. Il Marocco non si presentava all’opinione pubblica e alla comunità internazionale come un aggressore, ma come uno Stato, disposto a tutto, pur di vedere riconosciuto ed applicato il proprio diritto alla decolonizzazione.

Il 31 ottobre 1975 il Segretario generale Kurt Waldheim, dopo essersi recato in visita in Marocco, Mauritania, Algeria e Spagna per incontrare le parti, presentò il proprio rapporto, noto come “Piano Waldheim”, che prevedeva un’amministrazione provvisoria del territorio da parte delle Nazioni Unite. Il Consiglio di sicurezza, con la risoluzione 379 del 2 novembre 1975, chiedeva alle parti di evitare qualunque “azione unilaterale che potesse ulteriormente acuire la tensione nella regione” e invitava il Segretario generale a proseguire nelle consultazioni.

248 Il 22 ottobre 1975 uno dei segretari di stato aggiunti di Henry Kissinger si recò in Marocco per incontrare il re, un giorno dopo che il direttore aggiunto della CIA aveva incontrato a Madrid i dirigenti spagnoli per spiegare loro il punto di vista degli Stati Uniti sulla questione del Sahara. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 273. 249 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 278. 113

Nella speranza di raggiungere un accordo sul “Piano Waldheim”, il rappresentante del Segretario generale Lewin si recò nuovamente in Marocco, Mauritania, Algeria e Spagna, ma constatò che, nonostante la Spagna continuasse ad appoggiare il progetto del Segretario generale, in realtà era propensa ad approvare un accordo tripartito, nel caso in cui le Nazioni Unite fossero state disponibili ad accettarlo.

Il 4 novembre le autorità spagnole cominciarono un’operazione di evacuazione urgente, chiamata operazione Golondrina. Tutti i civili spagnoli, ad eccezione di quelli che lavoravano nei servizi di prima necessità o nell’industria dei fosfati, furono invitati a lasciare il Sahara.

Il 6 novembre alle ore 10.40 Ahmed Osmàn inaugurò ufficialmente la Marcia verde. 250 Vi parteciparono ministri e delegati ufficiali di tre Paesi tra i più conservatori del Terzo Mondo ed alleati con il Marocco: Arabia Saudita, Giordania e Gabon. I marciatori sventolavano le bandiere marocchine, ritratti del Re e urlavano “Allah Akhbar” e “il Sahara è marocchino”. I primi manifestanti entrarono in Sahara occidentale procedendo nel territorio sahariano, per una dozzina di chilometri dalla frontiera. Lo stesso giorno il Consiglio di Sicurezza adottò una terza risoluzione, la numero 380, più severa delle precedenti, con la quale condannava la Marcia e chiedeva al Marocco di ritirare i civili marocchini dal Sahara.

Solo per salvare le apparenze, il governo spagnolo condannò la marcia che esso stesso aveva autorizzato ad entrare in Sahara, in una zona appositamente demilitarizzata per l’occasione. Questa messa in scena avrebbe permesso alle due parti di salvare la faccia di fronte alla comunità internazionale. La Spagna infatti aveva promesso che non avrebbe attaccato le truppe che oltrepassavano il confine tra Marocco e Sahara, purché non avessero superato la “linea di dissuasione”, a circa dieci chilometri dal confine.

Nonostante le ingiunzioni dell’ONU, Hassan II proseguì la Marcia ed intensificò le sue pressioni su Madrid, violando ancora una volta degli accordi. I manifestanti marocchini avrebbero superato la “linea di dissuasione” se la Spagna non avesse deciso di negoziare immediatamente i dettagli dell’abbandono del Sahara. In caso contrario il governo marocchino non escludeva nemmeno lo scontro bellico.

Tutto fece pensare ad un imminente conflitto armato tra Marocco e Spagna, invece il 9 novembre 1975 Hassan II annunciò la sospensione della Marcia e l’inizio dei negoziati con la Spagna.251

250 Il giorno d’inizio della Marcia inizialmente era previsto per il 26 ottobre, poi venne posticipato prima al 28 ottobre, poi ulteriormente rinviato tra il 4 e il 6 novembre 1975. 251 Il 9 novembre il ministro della presidenza Antonio Carro e l’ambasciatore Adolfo Martín Gamero incontrarono ad Agadir Hassan II in una scuola pubblica. Il re in un francese impeccabile annunciò: “Sono disposto a sospendere la Marcia Verde se prima voi mi lasciate il Sahara”. “Maestà” risposero il ministro e l’ambasciatore spagnoli “sapete che 114

Dopo la sospensione della Marcia, l’11 novembre, una delegazione marocchina si recò a Madrid dove fu raggiunta da una delegazione mauritana. Il 14 novembre 1975 un comunicato stampa marocco-mauritano-spagnolo annunciava la firma di un accordo a proposito del Sahara occidentale. Il testo fu reso pubblico solo qualche giorno più tardi, il 21 novembre. La Spagna, riportava il comunicato, si sarebbe ritirata dal Sahara occidentale alla fine di febbraio 1976, nel frattempo avrebbe provveduto all’istituzione di una amministrazione provvisoria, con la partecipazione di Marocco e Mauritania e in collaborazione con la Djemaa.252 Nulla venne anticipato su quanto sarebbe accaduto dopo questo periodo transitorio. La dichiarazione sottolineava che l’opinione della popolazione sahrawi, espressa attraverso la Djemaa, sarebbe stata rispettata”.253 In realtà, nessuno era realmente intenzionato a rispettare il punto di vista dei Sahrawi.

La verità era che, ancora una volta, ci si trovava di fronte ad un documento ambiguo. Sembrava che l’accordo di Madrid fosse l’applicazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, ma in realtà si trattava di una flagrante violazione del diritto internazionale, in materia di decolonizzazione. Gli accordi, infatti, non rispettavano la volontà della popolazione del territorio, espressa attraverso metodi democratici basati sul suffragio universale, come si dichiarava nelle risoluzioni 1514 (XV) e 1541 (XV) e di tutte le risoluzioni ONU, ma sulla consultazione della Djemaa, che non aveva niente a che vedere con il referendum.

La situazione era ulteriormente aggravata dall’esistenza di clausole segrete. L’accordo, oltre a prevedere la spartizione del Sahara occidentale tra Marocco e Mauritania, così come era stato annunciato davanti alla Corte internazione di Giustizia, prevedeva importanti concessioni economiche alla Spagna, che però vennero rese note solo tre anni più tardi, attraverso la stampa spagnola. Marocco e Mauritania concedevano alla Spagna i diritti di pesca per 800 battelli nelle acque territoriali del Sahara per vent’anni (a partire dal sesto anno doveva essere pagato un dazio); il Marocco concedeva al governo spagnolo una quota delle società miste di sfruttamento dei minerali del Sahara, pari al 35% e fosfati per un valore di 300 milioni di dollari attraverso l’O.C.P. (Office Chérifien des Phosphates).254 Nello stesso tempo Hassan II si impegnava a porre fine alle

questo è impossibile in questo momento. Esistono accordi internazionali che dobbiamo rispettare… Siamo d’accordo che il Sahara sia del Marocco, però dobbiamo agire legalmente”. Hassan II rispose: “Il mio popolo necessita un impegno concreto per ritirarsi dalla frontiera”. Dopo tre quarti d’ora Carro si era preso l’impegno di far avere ad Hassan II quella stessa notte una lettera nella quale il Governo spagnolo garantiva il Sahara in cambio del ritiro della Marcia Verde. T. Barbulo, La historia prohibida del Sahara Espanol, Barcelona, Ediciones Destino, 2002, pp. 256 - 258. 252 I marocchini speravano di poter contare sulle buone relazioni con Khatri Ould Said Ould el-Joumani, presidente della Djemaa per superare lo scoglio del referendum. In realtà la Djemaa non era considerato un organo rappresentativo, perché non eletto, ma designato dalle autorità spagnole. 253 Accordo politico del 14 novembre 1975 tra Spagna, Marocco e Mauritania. Annuaire de l’Afrique du Nord, 1975, p. 997. 254 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 283. 115 rivendicazioni di Ceuta e Melilla, almeno fino a quanto la Spagna non fosse rientrata in possesso di Gibilterra.

Il 18 novembre 1975 l’accordo di Madrid fu approvato dal Parlamento spagnolo255 con 345 voti a favore, 4 contrari e 4 astensioni. I rappresentanti spagnoli all’ONU e a El Aioun256 rimasero letteralmente scioccati da quella che, a loro, appariva come una vendita del Sahara al Marocco. Lo stesso giorno i volontari della Marcia verde cominciarono ad abbandonare la regione di Tarfaya per rientrare nelle loro case.

3.12. L’occupazione militare del territorio

Il 25 novembre 1975 Hassan II annunciava la chiusura del dossier Sahara, ma senza considerare due aspetti importanti: la determinazione del popolo sahrawi a resistere all’annessione e l’appoggio dell’Algeria.257 Lo stesso giorno, qualche centinaia di soldati marocchini sbarcarono a El Aioun accompagnati da Bensouda, governatore aggiunto del Sahara occidentale per il Marocco, e dal generale Dlimi, che insieme incontrarono il generale Gómez de Salazar,258 per definire le modalità di trasmissione dei poteri all’amministrazione marocchino-mauritana.

Il 27 novembre un’unità marocchina occupò Smara, e l’11 dicembre El Aioun. Le truppe mauritane oltrepassarono la frontiera del Sahara da sud solo il 10 dicembre e occuparono La Güera, Tichla e Argoub, con il supporto logistico del Marocco,

Il governo algerino alcune settimane dopo l’inizio dell’occupazione militare del Sahara, procedette per rappresaglia all’espulsione di alcuni decine di migliaia di cittadini marocchini dal proprio

255 La dottrina internazionale afferma che gli Accordi di Madrid sono illegali e mai approvati dalle Nazioni Unite. L’ingresso del Marocco e della Mauritania in Sahara è, secondo il diritto internazionale, una occupazione illegale di un territorio indipendente da decolonizzare da una potenza amministratrice,la Spagna. Juan Soroeta, professore di diritto internazionale, raccoglie le cause della nullità degli Accordi tripartiti di Madrid nel libro intitolato “El conflicto del Sáhara Occidental” pp. 149-164 (AA.VV, El conflicto del Sáhara Occidental, Dossier ANUE, 1986). Inoltre il Consiglio Onu per gli affari giuridici ha stabilità che gli Accordi del 1975 non hanno trasferito alcuna sovranità ai firmatari e che lo statuto del Sahara occidentale, come territorio non autonomo, non è stato toccato da questo accordo. Vedi S/2002/161 lettera del 29 gennaio 2002 indirizzata al Presidente del Consiglio di Sicurezza da parte del Segretario Generale Aggiunto degli Affari Giuridici paragrafo 6. 256 Il generale Gómez de Salazar, ufficiale dell’armata spagnola di stanza ad El Aïoun, nel 1978 disse di non essere stato consultato prima della firma dell’Accordo e riferì che il desiderio di indipendenza dei sahrawi era unanime. Fino alla vigilia della firma dell’Accordo aveva continuato ad affermare che il ritiro della Spagna dal Sahara doveva avvenire dopo aver organizzato un referendum di autodeterminazione e creato un esercito sahrawi capace di difendere l’integrità territoriale. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 284. 257L’Algeria considera nulli gli Accordi di Madrid, la Spagna come potenza amministratrice non ha alcun mandato per cedere la sovranità del Sahara a Stati terzi ed invita le Nazioni Unite ad esaminare il dossier del Sahara per giungere ad una reale decolonizzazione del territorio. Boumèdiene attacca violentemente Hassan II. Da questo momento in poi la tensione tra Rabat ed Algeri aumenta moltissimo tanto da far pensare allo scoppio di un conflitto armato. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 148 - 149. 258 Il generale Salazar lasciò il Sahara a fine dicembre, venne sostituito prima dal colonello Rodrígez de Viguri e poi da Rafael de Valdés che si occuperà delle ultime fasi del passaggio dei poteri che terminò alla fine di febbraio 1976 come previsto dall’Accordo di Madrid. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 285 - 286. 116 territorio. Questa ed altre provocazioni dell’Algeria, finalizzate a provocare una reazione della comunità internazionale, furono considerate eccessivamente dure e, come conseguenza, provocarono un riavvicinamento delle forze moderate ad Hassan II. L’astuto monarca marocchino, con l’appoggio delle potenze occidentali (in particolare Francia e Stati Uniti), della maggioranza dei paesi arabi e di alcuni Stati africani, annunciò l’inizio imminente di un conflitto armato con l’Algeria.

Fu così che Hassan II cominciò a sostenere la tesi in base alla quale il dossier del Sahara occidentale poteva essere riassunto in un conflitto tra Marocco e Algeria, una rivalità che si era acutizzata in occasione della decolonizzazione del Sahara occidentale, che non aveva niente a che vedere con l’esistenza di un contenzioso con i Sahrawi.

La politica marocchina portò a sua volta come conseguenza ad un nuovo avvicinamento tra la Libia e l’Algeria. Gheddafi, pur non convito della positività di un Sahara occidentale indipendente (egli riconobbe la R.A.S.D. solo dopo quatto anni dalla sua proclamazione), ma profondamente ostile al regime marocchino, come a tutti i regimi arabi sottomessi alle grandi potenze occidentali, decise di sostenere l’Algeria, quindi anche il Fronte Polisario, nel conflitto contro il Marocco.259

Il Fronte Polisario nel periodo tra gli Accordi di Madrid e la fine del mese di febbraio 1976, cercò in ogni modo possibile di rallentare se non di bloccare l’invasione marocchino-mauritana sabotando alcuni obiettivi strategici, come il nastro trasportatore dei fosfati di Boucraa e la ferrovia che trasportava il ferro delle miniere di Zouérate. Nello stesso periodo, nella zona sud-est di Smara uno scontro violento coinvolse le truppe dell’armata marocchina, il Fronte Polisario e un distaccamento dell’armata algerina, che garantiva viveri e armi ai Sahrawi.

Il Fronte Polisario nonostante potesse contare su un ampio sostegno popolare, prima dell’ottobre 1975 ha solo poche centinaia di uomini, con un’adeguata formazione militare, arruolati nei gruppi di guerriglia. Ma ben presto si unirono al Movimento di liberazione un migliaio di uomini ben addestrati provenienti dalle Truppe Nomadi o dalla Polizia Territoriale, che insieme alle reclute costituirono il nucleo dell’Esercito di Liberazione del Popolo Sahrawi (ELPS).

Il Fronte mal equipaggiato e poco preparato a una guerra di movimento trovantosi a combattere con un esercito molto superiore fu costretto a ritirarsi nel deserto e da qui riuscì ad organizzarsi e combattere la sua battaglia per la riconquista del Paese.

259 Secondo Gheddafi le monarchie arabe moderate, principali alleati dell’imperialismo coloniale, erano di ostacolo all’unità della nazione araba. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 149 - 150. 117

3.13. L’esodo dei rifugiati

Nelle fasi principali del conflitto una delle preoccupazioni del Fronte Polisario fu quella di evacuare e mettere in salvo migliaia di rifugiati sahrawi, che, a partire dal dicembre 1975, cominciarono ad abbandonare le città del Sahara per per raggiungere la regione di Tindouf in Algeria, l’unico Paese confinante che non aveva mai avanzato rivendicazioni sul territorio sahariano.

In un primo tempo il Polisario chiese ai Sahrawi di non abbandonare le proprie case e di non abbandonare il territorio pensando di poter riuscire in questo modo a organizzare una resistenza interna. Fu la paura che condusse migliaia di persone a lasciare tutto e ad affrontare la traversata del deserto in condizioni disperate. Le storie dell’esodo furono tante, come furono tante le persone che lo affrontarono:

“Ci mettemmo in cammino senza pensarci troppo. Credevamo di rimanere fuori solo qualche giorno, non più di una settimana. […] abbiamo chiuso la porta di casa e ci siamo messi la chiave in tasca. […] Avevamo poco da mangiare però lo dividevamo. In quei giorni nacque tra di noi una solidarietà che ci ha accompagnato... […] Erano per la maggior parte donne e i bambini, perché gli uomini si arruolavano nell’esercito […] Le donne si occupavano dell’organizzazione, distribuivano il cibo e le coperte, vegliavano sugli anziani malati, accudivano i bambini, raccoglievano la legna. Tutto ciò avvenne spontaneamente, in quei giorni nacque un modo di fare le cose che successivamente utilizzammo negli accampamenti. […] Il 18 febbraio sei aerei F-5 marocchini colpirono l’accampamento di Um Dreiga, dove si erano concentrati migliaia di rifugiati provenienti dal sud, Dakhla e Rio de Oro. […] Gli aerei apparivano due a due, entravano in picchiata, bombardavano e se ne andavano. Bombardavano con bombe al napalm e al fosforo. Alcuni morirono mutilati o disintegrati, altri bruciarono”.260

La fuga nel deserto dei profughi avvenne in condizioni estreme, senza acqua e cibo, sotto i bombardamenti, anche al napalm, dell’aviazione marocchina che continuava a bombardare i rifugiati con l’obiettivo di sterminare i Sahrawi che non volevano arrendersi.

Il 7 gennaio 1976, il Comitato della Croce Rossa Internazionale annunciò a Ginevra che 40.000 Sahrawi erano fuggiti dalle loro case. La metà di loro, aveva raggiunto l’Algeria e si era installata nella più totale miseria nel deserto dell’Hammada, in uno dei deserti più inospitali, dove d’estate le temperature raggiungono i 50° e gli inverni sono freddi e ventosi; l’altra metà era rimasta in Sahara occidentale cercando rifugio nelle zone più remote del territorio, le città cominciarono a svuotarsi per diventare città fantasma.

260 Cfr. A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, pp. 160 – 163. 118

L’esodo dei rifugiati sahrawi – novembre 1975

Proclamazione della R.A.S.D. – Bir Lahlou - 27 febbraio 1976

(da sinistra in primo piano M’hammed Zeiou, Mahfoud Ali Beiba, El Ouali Mustafa Sayed da sinistra in secondo piano Mohamed Lamin Ahmed, Ahmed Baba Miske)

119

Ad Amgala,261 in una delle tappe dell’esodo verso l’Algeria, alcune centinaia di soldati algerini era di stanza per aiutare il Fronte Polisario a portare alimenti e medicinali ai rifugiati che si stavano dirigendo in Algeria. Il 29 gennaio un’unità marocchina prese d’assalto l’oasi, uccidendo decine di soldati algerini. Questo incidente diede modo al Marocco di dichiarare che la guerra in realtà era tra Marocco e Algeria, non con il Polisario. 262 Da quel momento l’Algeria ritirò le sue truppe limitandosi a fornire il proprio aiuto al Fronte Polisario.

Il numero dei rifugiati che tra febbraio e aprile 1976 raggiunse la regione di Tindouf aumentò rapidamente. L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite nell’ottobre 1976 segnalava la presenza di 50.000 rifugiati263 nei campi profughi, che si trovavano a oltre 2.000 chilometri in Algeria, in una regione in cui le condizioni climatiche non permettevano né l’allevamento, né l’agricoltura. Per garantire il sostentamento delle migliaia di profughi era necessario trasportare i generi di prima necessità via terra, percorrendo strade in cattivo stato. Ovviamente chi soffriva di più erano i bambini. Nel 1976 secondo alcune stime dell’H.C.R. il 25% dei bambini appena nati moriva entro i primi 3 mesi di vita.

Non tutti i Sahrawi seguirono il Fronte Polisario, molti non riuscirono a farlo, dopo l’ingresso delle F.A.R. nelle città, altri preferirono non precipitarsi, altri ancora, decisero di appoggiare la tesi marocchina. Il 6 novembre Khatri Ould Said Ould el-Joumani, presidente della Djemaa, scrisse al presidente del Consiglio di sicurezza dell’ONU, annunciando la volontà dei Sahrawi di “legare definitivamente il proprio destino al Marocco”. Alcuni Sahrawi parteciparono alle elezioni in Marocco e quattro di loro furono eletti deputati al parlamento di Rabat, tra questi anche Khalienna uld Rachid. La diplomazia marocchina riuscì ufficialmente ad ottenere importanti risultati. Nel 1979, 360 notabili sahrawi giurarono fedeltà al re in un pomposo rito realizzato a Rabat a palazzo reale. Il deputato A. uld Leibak, che successivamente passò al Polisario, affermò che il ministero dell’Interno marocchino diede 1.000 dirham a ciascun di loro.264

261 Oasi situata nel Saqiya el Hâmra a circa 290 km dalla frontiera algerina. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 289. 262 L’Algeria non venne più considerata solo come un paese implicato nel conflitto, così come lo erano Francia, Stati Uniti e Arabia Saudita per il Marocco, ma come parte del conflitto. Si trattò di un errore strategico dell’Algeria come scrisse Bontems o un incidente sfruttato dal Marocco ai fini della sua campagna per dimostrare che il conflitto era con Algeri e non con il Polisario come sostenne Hodges? Il presidente algerino non cadde nella provocazione e da quel momento ritirò tutti i militari dal Sahara e si limitò a fornire il proprio sostegno al Fronte Polisario, senza intervenire mai più direttamente nel conflitto. 263 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 290. 264 A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, pp. 169 – 170. 120

3.14. La fine della presenza spagnola in Sahara occidentale

Il 28 novembre 1975 i membri della Djemaa favorevoli al Fronte Polisario e gli cheik ostili alla sovranità marocchina si riunirono a Guelta Zemmour. Nel corso dell’incontro i partecipanti decisero di sciogliere la Djemaa e di rimpiazzarla con un Consiglio nazionale provvisorio, composto da 41 membri, di riconoscere il Fronte Polisario come unico rappresentante del popolo sahrawi e di voler continuare la lotta per la difesa della patria fino all’indipendenza totale (Dichiarazione di Guelta Zemmour).265

Hassan II cominciò ad orchestrare una campagna di denigrazione nei confronti del Fronte Polisario attraverso la “fabbricazione” di testimonianze di un membro della Djemaa che affermava di essere stato prelevato con la forza dal Fronte ed essere stato obbligato a dichiararsi a favore dell’annessione del Sahara all’Algeria. La contro-offensiva marocchina portò i suoi frutti al re: l’opinione pubblica internazionale era fluttuante perché non riusciva a comprendere che cosa stesse accadendo esattamente.266

Le Nazioni Unite, che non erano riuscite ad evitare l’Accordo di Madrid, il 10 dicembre 1975, presentarono all’Assemblea generale due proposte di risoluzioni, che pur essendo piuttosto contraddittorie, riaffermarono il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi.

Il primo progetto, presentato da Madagascar e da Tanzania e appoggiato da altri ventisette paesi, ignorò l’Accordo di Madrid e chiese l’organizzazione di un referendum di autodeterminazione. Il secondo progetto, presentato da Tunisia e Senegal e appoggiato da altri otto paesi, prese atto dell’Accordo di Madrid e pregò l’amministrazione provvisoria di organizzare un referendum libero sotto l’egida dell’ONU.

La prima risoluzione 3458 (XXX), adottata con 88 voti a favore, 0 contrari e 41 astenuti, considerò nullo l’accordo tripartito e le sue conseguenze; la seconda risoluzione 3458b (XXX) adottata con 56 voti a favore, 42 contrari e 34 astensioni, di fatto legittimò la presenza di Marocco e Mauritania in Sahara e chiese all’amministrazione provvisoria di organizzare una “consultazione libera” senza specificare chi dovesse essere consultato.

Il fatto veramente strano fu che le due risoluzioni vennero adottate simultaneamente. Perché?

La posizione del Marocco era in quel momento critica e due Paesi del blocco occidentale decisero di andare in suo soccorso: Stati Uniti e Francia. Furono questi due Paesi a fare pressione perché

265 Questa dichiarazione venne resa nota alla stampa internazionale da alcuni notabili riuniti ad Algeri il 6 dicembre 1975. Il Consiglio nazionale provvisorio fu presieduto da Mohamed Ould Ziou era composto da 41 membri, che ricordava l’antico “Consiglio dei quaranta” (Ait Arbain). C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 152. 266 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 152 - 153. 121 fosse presentato il secondo progetto di risoluzione, a raccogliere i voti di diversi Paesi europei, dei Paesi arabi moderati, di qualche Paese africano e latino americano.

Il 1975 si chiuse nel caos più totale, con un Marocco che sembrava avere riportato una grande vittoria e un popolo sahrawi derubato della propria indipendenza.

Molti Stati contribuirono, più o meno attivamente, a fare sì che si creasse una situazione come questa: alcuni cercarono in questo modo di mantenere l’equilibrio politico nella regione del Maghreb solo sostenendo il Marocco mentre altri considerarono impensabile concedere l’indipendenza ad un nuovo Stato con una popolazione così poco numerosa e con tradizioni legate al nomadismo. In realtà, la maggior parte degli Stati si espresse a favore dell’indipendenza del Sahara occidentale, ma si trattò di una minoranza ancora troppo debole, incapace di imporre il proprio punto di vista alla comunità internazionale.

Il Fronte Polisario, pur partendo da una condizione di evidente svantaggio, si dimostrò capace di dotarsi di istituzioni moderne e di prendersi in carico l’avvenire del popolo sahrawi. Alla ri- colonizzazione i Sahrawi opposero gli ideali, il bisogno di libertà, la propria volontà di indipendenza. Questi sforzi furono progressivamente riconosciuti dalla comunità internazionale. Il Marocco, dopo l’abbandono della Mauritania, si ritrovò sotto accusa, isolato progressivamente dal Terzo Mondo e legato sempre più fortemente agli Stati Uniti.267

Visto che entrambe le risoluzioni proposte dall’Assemblea generale sostenevano il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi e chiedevano all’ONU di svolgere un ruolo nella sua applicazione, il Segretario generale inviò l’ambasciatore svedese alle Nazioni Unite, Olof Rydbeck, in Sahara per valutare la situazione nel territorio e verificare in quale modo l’ONU avrebbe potuto assolvere al proprio mandato.

Rydbeck visitò El Aioun, Smara, Villa Cisneros (Dakla) tra il 7 e il 12 febbraio 1976 e rimase sconcertato per la massiccia presenza militare marocchina, per la repressione politica, l’esodo dei rifugiati e lo stato di guerra esistente nel territorio tra il Fronte Polisario e le forze di occupazione.268 Al suo rientro comunicò a Kurt Waldheim che una consultazione reale ed affidabile della popolazione sahrawi era impossibile.

Il 25 febbraio il governo spagnolo comunicò a Kurt Waldheim che la Spagna avrebbe abbandonato definitivamente il Sahara occidentale il 26 febbraio 1976.

267 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp.153 - 157. 268 Un giovane militante sahrawi del Fronte Polisario riuscì a forzare gli sbarramenti della polizia e a raggiungere la delegazione onusiana, alla quale consegnò una lettera e sotto la protezione personale di Rydbeck lasciò il Marocco per la Spagna. R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, p. 261. 122

Il 14 aprile 1976 Marocco e Mauritania firmarono a Fès la convenzione che stabiliva le nuove frontiere. La “frontiera di Stato stabilita tra la Repubblica Islamica di Mauritania e il Regno del Marocco è definita da una linea dritta, che parte dalla linea di intersezione della costa Atlantica con il 24° parallelo nord e si dirige verso il punto di intersezione del 23° parallelo nord con il 13° meridiano ovest”.269

Il Marocco occupò così le due principali città del Sahara, El Aioun e Smara, e soprattutto le miniere di Boucraa, grazie all’annessione di 176.000 chilometri quadrati di territorio, incrementò di un terzo il proprio territorio e il suo litorale si estese di 600 chilometri verso sud. La Mauritania si ritrovò ad occupare circa 90.000 chilometri quadrati di deserto, all’estremo sud del Sahara, con la città di Villa Cisneros, che riprese il suo antico nome arabo di Dakhla. I suoi 450 chilometri di costa erano molto ricchi di risorse ittiche.

La Mauritania sperava di compensare la mancanza di risorse con vantaggi economici, che le derivavano dalla firma dell’Accordo di cooperazione sottoscritto sempre il 14 aprile 1976 a Rabat.

269 Articolo 1° della Convenzione relativa alla definizione delle frontiere stabilite tra la Repubblica Islamica di Mauritania e il Regno del Marocco. Annuaire de l’Afrique du Nord 1976, pp. 848 - 850. 123

124

Il Marocco con l’Accordo promise una partecipazione della Mauritania al capitale sociale delle miniere di Fosboucraa, di cui possedeva già il 65%, secondo modalità da stabilire in un futuro accordo, la creazione di società miste che avrebbero provveduto allo sfruttamento delle risorse del sottosuolo e della pesca.270 L’accordo non fu però mai applicato.

3.15. La nascita della Repubblica Araba Sahrawi Democratica

Il 26 febbraio 1976 la Spagna, come previsto dall’Accordo di Madrid, abbandonò il Sahara, lo stesso giorno fu convocata ad El Aioun un’assemblea straordinaria della Djemaa, per ratificare la decolonizzazione del Sahara occidentale e il “trasferimento dei poteri pubblici e militari a Marocco e Mauritania”,271 alla quale non parteciparono rappresentanti dell’ONU, della Lega Araba, della Conferenza islamica nonostante fossero stati invitati.272

Al fine di evitare un vuoto giuridico, in seguito al ritiro della Spagna, il 27 febbraio 1976 il Fronte Polisario annunciò la nascita della Repubblica Araba Sahrawi Democratica, durante una cerimonia notturna, che ebbe luogo a Bir Lahlou, una località ad est del Saquia el Hâmra, alla presenza di migliaia guerriglieri e rifugiati sahrawi e di una trentina di giornalisti stranieri.273 Il presidente del Consiglio nazionale provvisorio, M’hammed Ould Ziou,274 annunciò “la nascita di uno stato libero, indipendente, sovrano, retto da un sistema nazionale arabo e democratico, di orientamento unionista, progressista e di religione islamica”.275

L’opportunità di proclamare la Repubblica sahrawi fu lungamente discussa dal Fronte Polisario. El Ouali, in particolare, lavorò a lungo su quattro punti che considerava essenziali perché la RASD fosse giuridicamente inattaccabile: legittimità, legalità, opportunità e rappresentatività. Tutti questi aspetti furono presentati e sviluppati nel memorandum, che la RASD rese pubblico il 20 maggio 1976.276

Al momento della costituzione la nuova Repubblica sahrawi approvò una Costituzione provvisoria composta da 18 articoli, che rimase in vigore fino al 1977, quando, nel corso del 3° Congresso del Fronte Polisario, venne promulgata una Costituzione più completa e definitiva.

270 Accord de cooperation economique entre la Republique Islamique de Mauritanie et le Royame du Maroc pour la mise en valeur des territoires saharienze recuperes, in Annuaire de l’Afrique du Nord, Maroc, 1976, p. 850. 271 La motion votée par la Jemaa. du Sahara 27/2/76, in Annuaire de l’Afrique du Nord, Maroc, 1976, pp. 847 - 848. 272 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp.153 - 161. 273 Tutti i giornalisti presenti a Bir Lahlou sottolinearono l’intensa emozione, l’atmosfera struggente, l’entusiasmo e il coinvolgimento di tutti i presenti. R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, p. 262. 274 Ould Ziou era un vecchio ufficiale dell’armata di liberazione marocchina, imprigionato e torturato dai marocchini dopo il 1958, rifiutò una onorevole carriera nelle FAR con il grado di capitano. R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, p. 262. 275 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 296 – 297. 276 R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, pp. 262 – 263. 125

La Costituzione sahrawi, come quella algerina, fu costruita intorno al concetto di popolo (chaab), il termine utilizzato per indicare l’insieme della popolazione sahrawi e non quello di nazione. La scelta di accentuare lo spirito comunitario, non fu affatto casuale, ma legata ad un precisa idea del Polisario, convinto che l’unità e la coesione della società sahrawi avrebbero potuto realizzarsi rapidamente, solo grazie ad una ideologia di tipo popolare (identità culturale e politica), l’unica capace di creare un legame tra passato e presente e di dare vita ad uno Stato. Il concetto di nazione faceva riferimento alla comunità araba e africana, che doveva invece realizzarsi nel tempo e passare attraverso l’unità del Maghreb.

Come altre costituzioni dei paesi del Maghreb, anche quella della RASD, si basa sulla comunità statale (ummah Wataniya), la comunità araba (ummah arabiya), la comunità islamica (umma islamiya), la comunità africana (ummah ifriquiya): lo Stato sahrawi appartiene alla Nazione araba, si identifica nell’Islam e appartenente alla famiglia africana. Nel processo di riconoscimento dell’indipendenza del popolo sahrawi, l’Islam venne ricondotto alla sua sola funzione religiosa.

Il primo governo della RASD fu designato dal Consiglio nazionale provvisorio il 4 marzo 1976. Venne nominato Primo ministro Mohammed Lamin Ould Ahmed, uno degli uomini più vicini ad El Ouali, Ibrahim Ghali assunse l’incarico di Ministro della difesa, mentre Ibrahim Hakim assunse l’incarico di Ministro degli affari esteri. Il nuovo stato sahrawi, ancora molto fragile, aveva la necessità, per affermarsi a livello internazionale, del riconoscimento da parte di altri Stati. Così il Fronte Polisario intraprese una campagna diplomatica, per favorire il riconoscimento della RASD. Non si trattava di una formalità, ma di una condizione essenziale per la sua esistenza come Stato. Per questo El Ouali il 6 marzo 1976 scrisse una lettera al presidente della Mauritania e al re del Marocco,277 nella quale pose l’accento sulla natura reazionaria dei regimi marocchino e mauritano e sulla necessità di un cambiamento, pur mantenendo sempre al centro l’obiettivo della rivoluzione sahrawi: la liberazione del Sahara occidentale. La caduta dei regimi di Rabat e Nouakchott non era l’obiettivo del Polisario, ma poteva essere una condizione necessaria per far evolvere la situazione. Gli attacchi nel nord della Mauritania prima e nel sud del Marocco poi, dimostravano la volontà dei Sahrawi di portare la guerra oltre le frontiere del Sahara occidentale, secondo una precisa strategia.278

277 Il testo delle due lettere si può trovare in Annuaire de l’Afrique du Nord, Sahara occidental, 1976, pp. 918 – 920. 278 Il Ministro della difesa della RASD alla domanda “Quale obiettivo volete raggiungere portando la guerra in Mauritania e in Marocco?” rispose che in questo modo sarebbe stato possibile far sapere ai popoli fratelli mauritano e marocchino quale atroce guerra fratricida si stava combattendo in Sahara occidentale contro il popolo sahrawi, che non era altro che la concretizzazione dei progetti imperialisti dei due regimi. R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, pp. 264 – 265. 126

Il primo paese a riconoscere la RASD fu il Madagascar (28 febbraio 1976), seguirono il Burundi (29 febbraio 1976), l’Algeria (6 marzo), l’Angola, il Benin, il Mozambico, la Guinea-Bissau, il Togo, il Rwanda e la Corea del Nord. 279 Ad eccezione dell’Algeria, il solo Paese arabo che riconobbe la RASD fu la Libia, nel 1980.

Quali sono le ragioni che portarono solo pochi Paesi del mondo arabo a riconoscere la RASD?

Durante una conferenza stampa tenutasi a Ginevra il responsabile delle relazioni esterne del Fronte Polisario Habib Allah, cercò di interpretare le reticenze dei Paesi arabi come espressione di un loro attaccamento mitico all’unità araba ma non nascose la sua amarezza per la negativa posizione di Arafat, presidente dell’Organizzazione di Liberazione della Palestina, pur segnalando l’appoggio delle organizzazioni palestinesi più impegnate a sinistra.280

Secondo Bontems, 281 il silenzio dei Paesi arabi era dovuto a diverse ragioni, tra queste: il coinvolgimento del Marocco nel conflitto israeliano-palestinese; alcuni Stati arabi assoluti paventarono che l’indebolimento del sistema Marocco potesse in qualche modo determinare un indebolimento del loro stesso sistema governativo; la repulsione degli Stati arabi moderati nei confronti di un Sahara indipendente e progressista appoggiato dall’Algeria e dalla Libia; le forti pressioni americane e francesi alle quali molti Paesi arabi non erano affatto insensibili.

Il problema del Sahara fu periodicamente discusso dalle diverse organizzazioni internazionali, all’interno delle quali forti e profonde erano le divisioni, che riflettevano i rapporti di forza tra gli attori del conflitto e i loro rispettivi alleati.

Fu anche per questo che l’azione degli organismi internazionali si paralizzò e la situazione ancora oggi resta bloccata e non riesce a trovare una soluzione accettabile per tutte le parti in causa.

3.16. Le ingerenze della Francia e la prudenza degli Stati Uniti e dell’U.R.S.S.

Il legame tra la Francia e in particolare il governo di Giscard d’Estaing e il Marocco fu indissolubile, dettato dalla comune volontà di portare avanti una politica imperialista in Africa.

279 Nell’ottobre 1984 la RASD era riconosciuta da 58 Stati, metà dei quali erano africani (29), gli altri appartenevano all’America latina (15), all’Asia (8) e all’Oceania (6). L’importanza dei paesi africani era legata al fatto che si trattava di un problema africano e quindi i Paesi di questo continente erano particolarmente coinvolti. Solo cinque paesi arabi avevano riconosciuto la RASD: Algeria, Yemen del Sud, Libia, Siria e Mauritania. Per quanto riguardava i Paesi occidentali, nessuno riconobbe la Repubblica sahrawi, alcuni per ostilità, altri per prudenza o per indifferenza. Il Fronte aveva comunque buoni rapporti con Austria, Svezia e Grecia. Les fondaments juridiques et institutionnels de la République arabe sahrawouie démocratique. Actes du colloque internazionali de juristes tenu à l’Assemblée nationale. Paris, les 20 et 21 octobre 1984, Paris, L’Harmattan, 1984, p. 53. 280 R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in L’Annuaire de l’Afrique du Nord, 1976, p. 263. 281 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 205. 127

Il primo obiettivo francese era quello di mantenere in Africa i regimi di cui aveva bisogno per salvaguardare dei propri interessi. Per raggiungere questo risultato, dal 1960 al 1968, organizzò venti eserciti nazionali africani, con adeguate dotazioni militari, che in realtà assomigliavano a forze di sicurezza con il compito di mantenere l’ordine interno.282

Quando in Francia, nel 1981, salirono al potere i socialisti, in un primo momento parve possibile un cambiamento di rotta nei confronti del problema sahrawi. In realtà, molto rapidamente, le lobby pro-marocchine riuscirono a ristabilire la loro influenza, nonostante, dal punto di vista morale e ideologico, le simpatie dei socialisti fossero in un primo tempo più favorevoli al Fronte Polisario.

La Francia, che nel 1975 incoraggiò la Spagna a trovare un accordo con Marocco e Mauritania, affermò di essere neutrale nel conflitto sahariano, ma di fatto questa neutralità non era affatto reale. Malgrado le dichiarazioni ufficiali, la Francia intervenne assicurando un aiuto militare a Marocco e Mauritania, fornendo armi283 e, come vedremo nel prossimo capito, intervenendo direttamente nel conflitto.

Dopo la firma della pace con la Mauritania la posizione francese cambiò, sia dal punto di vista politico che militare. Agli inizi del 1979 Giscard d’Estaing riconosceva che il problema del Sahara era un problema di decolonizzazione, così come il diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione, in totale contrapposizione a quanto aveva sostenuto in passato, malgrado una parte della destra francese, come Jacques Chirac, futuro presidente della Repubblica francese, ignorasse totalmente il Fronte Polisario e considerasse il conflitto come uno scontro tra Algeria e Marocco.

L’avvicinamento della Francia alla Mauritania e al Fronte Polisario determinarono come conseguenza un avvicinamento all’Algeria. Nel 1980, dopo la visita ad Algeri del Ministro degli affari esterni le relazioni economiche si svilupparono, facendo diventare l’Algeria, il principale cliente della Francia.284 Malgrado ciò la Francia non aveva nessuna intenzione di ritirare il proprio

282 Il presidente francese Giscard d’Estaing ritornò alla pratica gaullista che consisteva nel portare soccorso ai regimi africani in pericolo. Il primo intervento fu nel marzo 1977, quando 1.500 guerriglieri del Fronte Nazionale di Liberazione del Congo (F.N.L.C.)invasero le province di Shaba (Zaire) ricche di minerali, a partire dall’Angola. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 311. 283 A partire dall’estate 1975 la Francia firmò un accordo per la fornitura di armi con il Marocco che in questo modo modernizzò le F.A.R. (piano di Marrakech) e successivamente il governo marocchino concluse una serie di contratti con industrie d’armamenti francesi. Molti quadri militari francesi (200 nel 1977) furono inviati in Marocco per addestrare piloti marocchini e supervisionare gli armamenti. Tra il 1976 e il 1978 furono venduti al Marocco aerei da combattimento, camion, auto mitragliatrici, un sistema di difesa anti-aerea, missili. La vendita di armi alla Mauritania fu più moderata. Il 2 settembre 1976 Mauritania e Francia firmarono una convenzione per la formazione militare. Nel 1976 dodici militari francesi formarono centinaia di ufficiali e tecnici e di fatto parteciparono indirettamente alla guerra della Mauritania contro il Fronte Polisario. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 248. 284 Le esportazioni francesi in Algeria che erano scese nel 1978 a 6.900 milioni di franchi aumentarono progressivamente fino a raggiungere i 21.800 milioni di franchi nel 1985. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 282 – 283. 128 appoggio al Marocco, per quanto riguardava la questione del Sahara. In Marocco risiedevano all’epoca 55.000 francesi, la monarchia alaouita era il terzo partner commerciale francese in Africa. Nel gennaio del 1981 furono avviati importanti progetti di cooperazione economica: la produzione di uranio, la costruzione dell’aeroporto di Agadir, della metropolitana di Casablanca, accordi di cooperazione nel settore della pesca e in campo militare; gli aiuti finanziari francesi nel settore pubblico aumentarono costantemente soprattutto a partire dal 1984, nel momento in cui cominciarono a diminuire quelli degli altri Paesi arabi.285 Ciò che interessava alla Francia, così come agli Stati Uniti e ai Paesi arabi conservatori era fondamentalmente che la guerra del Sahara non mettesse in pericolo la monarchia marocchina, per questo le relazioni tra i due governi furono costanti e frequenti.

Quando nel 1981 salirono al potere i socialisti con il Presidente Mitterand Hassan II pensava ad un possibile cambiamento della posizione francese, che in realtà non cambiò di molto. L’unica importante variazione riguardava le relazioni con l’Algeria. Mitterand infatti dopo aver visitato Nello stesso anno Algeri sottoscrisse un importante accordo con il governo algerino in base al quale la Francia avrebbe pagato meno caro il gas algerino (9.000 milioni di metri cubi all’anno) in cambio della firma di quattrodici progetti di sviluppo per un valore di 20.000 milioni di franchi.

Il Fronte Polisario venne ricevuto per la prima volta dal Ministro degli affari esteri francese il 5 agosto 1982 e il 1° dicembre fu autorizzato ad aprire una rappresentanza a Parigi. Nell’autunno dello stesso anno l’Assemblea Nazionale francese discusse del riconoscimento della RASD, ma la proposta non poté essere accolta perché in questo modo si sarebbero messe a rischio le relazioni con il Marocco. Contemporaneamente la Francia continuò ad astenersi dal votare tutte le risoluzioni delle Nazioni Unite che chiedevano l’avvio di negoziati diretti tra il Fronte Polisario e il Regno del Marocco e il referendum di autodeterminazione in Sahara occidentale. Ancora nel 1985 tuttavia la Francia continuava a fornire supporto militare e finanziario alla guerra del Marocco in Sahara.

L’atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del problema sahrawi fu invece dettato soprattutto dalla preoccupazione di salvaguardare la stabilità nell’area di ingresso nel Mediterraneo. Il Sahara occidentale, vista la sua posizione geografica, proprio di fronte alle isole Canarie, si trovava inserito nel sistema dell’Africa atlantica, in un’area nella quale, dopo la caduta del regime portoghese di Salazar, gli Stati Uniti avevano perduto due delle basi militari più importanti, nelle isole di Capo Verde e nelle Azorre. Una base nelle isole Canarie avrebbe potuto sostituire le basi perdute e insieme a quelle di Djibuti, Dakar, e Jota, avrebbe garantito la tutela degli interessi statunitensi e della Nato, permettendo il controllo, non solo della rotta del petrolio, dove dal 1967,

285 Gli aiuti finanziari della Francia nel settore pubblico passarono da 98 milioni di dollari nel 1976 a 531 milioni di dollari nel 1985. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 281 – 282. 129 dopo la chiusura di Suez, passavano le super petroliere, ma anche gli spostamenti della flotta sovietica nel Mediterraneo.286 Non fu pertanto considerato propizio dai governi americani l’ascesa al potere di forze politiche, non in sintonia con gli interessi americani, anche se questo significò di fatto la negazione del diritto di autodeterminazione del popolo sahrawi. La vicinanza del Fronte ai paesi socialisti e alla Libia portarono gli Stati Uniti ad appoggiare il Marocco, sicuramente più vicino alle posizioni liberali occidentali.

Gli Stati Uniti volevano anche tutelare i loro interessi economici in Marocco, in particolare i fosfati, soprattutto dopo aver scoperto la possibilità di produrre uranio attraverso l’acido fosforico, e il petrolio287.

Gli aiuti militari americani al Marocco aumentarono considerevolmente a partire dal 1975, passando da 8,2 a 296 milioni di dollari, per diminuire a 104,2 nel 1976. Nonostante il trattato firmato tra i due Paesi nel 1960 proibisse al Marocco di utilizzare le armi di provenienza americana a fini non difensivi oltre le proprie frontiere, per impedire un possibile aiuto al Fronte di Liberazione Nazionale algerino nella sua lotta contro la Francia, Rabat omise di rispettare questo punto del trattato utilizzando gli aerei F-5 americani nella guerra del Sahara, senza alcuna protesta da parte di Washington. Hassan II si rivolse a Kissinger, per la prima volta dopo l’inizio della guerra in Sahara, nel gennaio del 1976, il quale, per non apparire direttamente come sostenitore di una guerra imperialista autorizzò la vendita di armamenti a Marocco e a Mauritania attraverso alcuni paesi amici, come la Giordania.288

Se da una parte gli Stati Uniti sostenevano il Marocco per ragioni politiche, dall’altra dovevano però tutelare gli accordi economici con l’Algeria. Per questo, nonostante gli americani avessero sollecitato la Spagna a sottoscrivere l’Accordo di Madrid e appoggiato chiaramente la politica annessionista di Marocco e Mauritana (gli USA si astennero nella votazione della risoluzione dell’ONU favorevole al Polisario e all’Algeria e invece votato a favore di quella che sosteneva l’Accordo di Madrid) dovevano comunque essere cauti nell’assumere posizioni ‘troppo di parte’.

286 La più grande espressione di questa politica fu la presenza militare statunitense sul suolo marocchino che si tradusse nello stabilimento di diverse basi aeree (Sidi Slimani, Bakhaut, Nouassour, Ben Guerir e Kénitra) e di un centro di ascolto della National Security Agency associato a diverse stazioni radar di interesse strategico. In cambio di queste servitù militari, gli Stati Uniti concessero a Rabat ingenti aiuti finanziari e militari. F. Tamburini, Il Marocco, la “democrazia teocratica”, in F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una indentità regionale, Pisa, Edizioni Plus, 2010, p. 188. 287 Nel 1978 due compagnie, la Philips americana e la British Petroleum inglese, insieme ad una società marocchina iniziarono esplorazioni petrolifere tra El Aioun e Cap Bojador. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 210. 288 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 211 -212. 130

Per tutelare le relazioni con Algeri (a partire dal 1976 gli Stati Uniti divennero il primo partner commerciale dell’Algeria, al posto della Francia289), faticosamente riallacciate nel 1974 dopo una rottura durata sette anni, Washington non riconobbe mai la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale ma solamente una responsabilità amministrativa.

Per giustificare la propria neutralità e prudenza Washington dichiarò che il conflitto sahariano doveva trovare una soluzione interna all’OUA, senza ingerenze straniere.

Quando nel gennaio 1977 salì al potere il Presidente americano Carter, gli interessi degli Stati Uniti in Marocco diminuirono notevolmente in seguito alla chiusura alla fine del 1978 delle basi americane in territorio marocchino, mentre si espresse a favore di una politica di riavvicinamento all’Algeria, vista la sua evidente influenza tra i paesi non allineati,

Ma a seguito della firma dell’Accordo di Algeri con la Mauritania, la caduta dello scià in Iran e la difficile situazione interna al Marocco che avrebbe potuto provocare la perdita del controllo del Paese e la conseguente caduta del trono alauita nell’arco di un anno, il presidente Carter decise di porre fine alle restrizioni nella vendita di armi al Marocco. Il 26 ottobre 1979 il Dipartimento di Stato americano confermava il pieno appoggio ad Hassan II, anche se nella amministrazione Carter qualcuno non era d’accordo.

Nell’agosto del 1979 Stephen Solarz, presidente della Commissione Africa della Camera dei Rappresentanti, visitò Sahara, Marocco, Mauritania, Algeria e i campi di rifugiati sahrawi. Egli sostenne che l’appoggio politico e militare al Marocco poteva compromettere le relazioni con l’Algeria, alleata dell’U.R.S.S., e non avrebbe portato nessun beneficio al Paese, che a seguito della guerra si trovava in gravi difficoltà economiche. La vendita di armi al Marocco, secondo Solarz, non era compatibile né con gli ideali, né con gli interessi nordamericani.290

Il Presidente degli Stati Uniti Ronald Reagan, eletto nel 1981, diede il proprio incondizionato appoggio e sostegno alla monarchia alaouita in Marocco, uno dei punti fermi della politica dell’amministrazione repubblicana in Africa. Tutti gli aiuti ad Hassan II, tanto quelli militari che finanziari, inoltrati attraverso intermediari, erano parte del cosiddetto “Piano Reagan per il Marocco”, che dimostrava al mondo intero come gli Stati Uniti fossero pronti a tutto pur di aiutare un vero paese alleato. Nel 1985 gli Stati Uniti negarono al Marocco la vendita di aerei F-16 per la

289 Gli scambi degli USA con l’Algeria sono dieci volte superiori a quelli del Marocco: nel 1976 le importazioni arrivarono a 2.909 milioni di dollari e le loro esportazioni a 487 milioni di dollari (gli scambi con il Marocco erano rispettivamente di 16,6 e di 297 milioni di dollari). Gli Stati Uniti acquistavano dall’Algeria petrolio, gas naturale, cereali. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 252 - 253. 290 La Camera dei Rappresentanti approvò il 30 gennaio 1980 la vendita di armi al Marocco. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 214. 131 semplice ragione che Rabat non era in grado di pagarli. Anche le relazioni economiche con l’Algeria si deteriorarono nel corso del 1980 e peggiorarono ulteriormente nel 1981.

L’Unione sovietica, nonostante i buoni rapporti con l’Algeria e l’appoggio all’autodeterminazione del popolo sahrawi, 291 nei dibatti onusiani si espresse sempre discretamente, quando doveva esprimere il proprio appoggio alla causa del Fronte Polisario, ciò al fine di tutelare le relazioni economiche con il Marocco, che era riuscito abilmente a servirsi degli interessi sovietici per i fosfati e la pesca, per ottenere un approccio moderato di Mosca. 292

L’U.R.S.S., che aveva assolutamente bisogno dei fosfati per sviluppare la sua agricoltura e colmare il deficit alimentare , sottoscrisse 14 marzo 1978 con il Marocco un accordo-quadro di cooperazione della durata di trent’anni. Nello stesso anno venne firmato un accordo di cooperazione sulla pesca, che però non poteva essere applicato alle acque territoriali del Sahara occidentale. In questo modo Mosca riuscì ad evitare di riconoscere la sovranità marocchina sulla regione.

3.17. La sensibilizzazione dell’opinione pubblica internazionale

La nascita della RASD non suscitò alcuna reazione ufficiale da parte del governo spagnolo, ma generò un certo disagio tra l’opinione pubblica. Diverse furono le manifestazioni in favore della RASD a Barcellona e al Las Palmas (Canarie).293

Mentre nessuno Stato europeo aveva riconosciuto la RASD, per contro, tante associazioni di sostegno al popolo sahrawi si costituirono in Spagna, in Belgio, Francia, Gran Bretagna, Portogallo, Italia, Svizzera, Svezia, Lussemburgo, Paesi Bassi e nella Repubblica federale tedesca. Queste diverse associazioni, che sostenevano il Fronte Polisario e il diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione, sensibilizzavano l’opinione pubblica sul problema del Sahara occidentale e fornivano aiuti umanitari alla popolazione rifugiata. 294 Se da una parte i governi europei sostenevano, più o meno apertamente il regime marocchino, alcuni partiti politici presero posizione in favore del Fronte Polisario. A partire dal 1979 delegazioni di parlamentari appartenenti a

291 L’U.R.S.S. alle Nazioni Unite votò sempre le risoluzioni a favore del diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, ma non rinobbe come abbiamo già visto la RASD. Il Fronte Polisario utilizzò nella guerra armi di fabbricazione sovietica fornite dall’Algeria e, fino al 1983, dalla Libia ma senza riceverle mai direttatamete dall’Unione sovietica. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 464. 292 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 253 - 256. 293 Le pressioni dell’opinione pubblica spagnola sul governo portarono alla promulgazione il 10 agosto 1976 di un decreto legge che consentiva ai Sahrawi che lo desideravano di scegliere la nazionalità sahrawi e portò la Commissione degli Affari esteri del Parlamento spagnolo a convocare le dodici personalità a spiegare le ragioni del ritiro della Spagna dal Sahara. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982 pp. 244 - 245. 294 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 203 - 204. 132 influenti partiti politici europei si recarono in Sahara occidentale e ricevettero in seguito delegazioni del Fronte Polisario.295

Nel dicembre 1976, il Partito socialista spagnolo (PSOE) adottava, nel corso del suo XXVII Congresso, una risoluzione attraverso la quale dichiarava di rigettare totalmente l’Accordo tripartito di Madrid del 14 novembre 1975, di pretendere il rispetto del diritto all’autodeterminazione del popolo sahawi e di appoggiare moralmente e materialmente il Fronte Polisario e la sua lotta per la libertà e l’indipendenza del Paese. Tutte queste dichiarazioni caddero nel nulla, quando il Partito Socialista Spagnolo salì a potere alcuni anni più tardi.296

Agli inizi del 1983, la situazione del Fronte Polisario apparve molto critica, a causa della passività dei Paesi europei e del coinvolgimento nel conflitto di due grandi potenze, Stati Unite e Francia, che si erano rese complici dell’occupazione fornendo armi al Marocco.

In realtà in sette anni molta strada era stata percorsa. Quello che all’inizio apparve come un gruppo di tribù eterogenee e divise, riuscì a dare vita ad uno Stato, cosciente della propria unità. I diritti del popolo sahrawi, anche se solo teoricamente, erano stati riconosciuti dall’ONU, dall’OUA e dai Paesi africani e del Terzo mondo.

295 Si trattava per lo più di partiti socialisti, comunisti e liberali. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, pp. 211 - 213. 296 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 167. 133

Capitolo 4. Dalla guerra alla pace

Il pacifismo è uno dei valori in cui il popolo sahrawi dichiara di riconoscersi. Solo il colonialismo franco-spagnolo e la ricolonizzazione marocchina hanno costretto i Sahrawi a ricorrere alle armi.

L’Armata di Liberazione Popolare Sahrawi (ALPS) all’inizio composta da piccoli gruppi di volontari, andò man mano acquisendo la sua struttura definitiva. Una delle caratteristiche che dichiarava di avere era quella dell’autosufficienza, cioè l’Armata Sahrawi era equipaggiata con le sole armi recuperate dal nemico. Questa affermazione è da considerarsi sicuramente eccessiva, anche se buona parte dell’equipaggiamento utilizzato dai combattenti sahrawi fu realmente recuperato in battaglia, come ebbero a confermare molti osservatori stranieri.297

Un’altra caratteristica dell’esercito sahrawi è quella di non aver mai fatto ricorso ad atti di terrorismo, né in Marocco, né altrove. Tutte le operazioni militari non colpirono mai obiettivi civili, ma solo obiettivi militari ed economici, catturando prigionieri di guerra,298 a volte anche prigionieri civili, per ottenere un riconoscimento politico.

E’ difficile oggi dire quanti uomini erano arruolati nell’ALPS, verosimilmente potevano essere circa 12.000.

4.1. La guerra contro la Mauritania

All’interno della coalizione marocchino-mauritana, l’esercito mauritano era indubbiamente l’elemento più debole. Economicamente la Mauritania non era certo nelle condizioni più adatte per finanziare una guerra e sul piano politico non era riuscita a suscitare lo stesso sostegno popolare all’occupazione, di cui era stato capace Hassan II in Marocco. Oltre a tutto ciò, dal punto strettamente militare, l’esercito mauritano, che contava nel 1975 circa 2000 uomini, non era sufficiente per controllare e difendere efficacemente le frontiere del Paese. Questo piccolo esercito, che nel giro di tre anni passò da 2.000 a 18.000 uomini,299 non doveva infatti solo difendere gli avamposti disseminati nel Tiris el Gharbia,300 ma doveva far fronte agli attacchi dei combattenti sahrawi nel cuore della Mauritania. Infine le strettissime affinità esistenti sul piano sociale tra la

297 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 178. 298 I prigionieri di guerra marocchini visitati regolarmente dalla Croce Rossa Internazionale, per molto tempo non furono riconosciuti dal governo di Rabat. Nel 1989 il Marocco rifiutò di accogliere 200 suoi prigionieri liberati unilateralmente dal Polisario con la mediazione del governo italiano ed evitò a lungo ogni atto che potesse riconoscere, anche solo in modo implicito, il Fronte Polisario. 299 C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 179. 300 Ould Daddah dopo la spartizione del Sahara, il 15 gennaio 1976 nominò un governatore civile, Hamoud Ould Adel- Wedoud tre mesi esatti dopo gli accordi marocchino-mauritano sulle frontiere. Egli doveva dirigere una nuova regione (wilaya) denominata Tiris el-Gharbia, cioè Tiris occidentale che aveva come capitale Dakhla e comprendeva altri centri: Auserd, Tichla e Argoub. La Güera e Bir Gandous erano parte di un altro dipartimento compreso nella regione di Nouadhibou (regione 8). T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 300. 134 società mauritana e sahrawi furono abilmente utilizzate dal Fronte per trovare complicità in seno al nemico, indebolendo in tal modo ulteriormente il governo mauritano. Le ripercussioni della politica di militarizzazione finalizzata alla conquista di un territorio, che di per sé non garantiva alcun vantaggio economico, furono tra le cause della caduta del regime di Mokthar Ould Daddah.

Durante una prima fase del conflitto, dal 1976 al 1978, il Fronte Polisario si concentrò sul nemico più debole: la Mauritania.

Dopo aver risolto i problemi relativi alla tutela dei rifugiati che si stavano spostando in Algeria (aprile 1976) i Sahrawi si impegnarono in una aspra guerriglia contro obiettivi mauritani, per eliminare la Mauritania dalla guerra e distruggere la sua alleanza con il Marocco.

Il successo militare dei Sahrawi contro la Mauritania non fu solo da imputare alla debolezza dell’avversario, ma anche al sostegno logistico dell’Algeria, all’accrescimento del proprio arsenale militare, a seguito del sequestro di armi e veicoli durante i combattimenti e all’attaccamento dei combattenti agli ideali di libertà e indipendenza, che li condussero a compiere operazioni di un eroismo stupefacente. Ma ciò che diede i maggiori risultati fu l’aver unito metodi militari tradizionali (ghazzi) e tecniche moderne. I Sahrawi rinnovarono l’antica tattica delle razzie sostituendo il cammello con la Land Rover. Questa strategia si rivelò estremamente efficace e devastante.

Dal dicembre 1975 la linea ferroviaria che collegava la zona mineraria di Zouérate al porto di Nouadhibou301 e la capitale Nouakchott furono spesso oggetto di atti di guerriglia302, che arrecarono duri colpi all’economia mauritana e portarono alla caduta del regime di Nouakchott nel luglio del 1978.

Il Fronte Polisario nel giugno 1976 e nel maggio del 1977 riuscì a raggiungere la periferia di Nouakchott e a bombardare il palazzo presidenziale. L’attacco sahrawi contro la capitale mauritana dell’8 giugno 1976 mirava a conquistare il potere in Mauritania, così come lasciavano pensare il grande investimento nella spedizione e la presenza dello stesso segretario generale del Fronte

301 La linea ferroviaria di Zouérate era lunga 650 chilometri lungo la frontiera con il Sahara occidentale. I treni erano composti da più di 200 vagoni guidati da quattro locomotive, che impiegavano circa diciassette ore per raggiungere il porto di Nouadhibou. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 304. 302 Tra il 1976 e il 1978 i guerriglieri sahrawi sabotarono la linea ferroviaria in diverse occasioni. I più importanti attacchi furono realizzati nell’aprile e nel dicembre 1976; febbraio, ottobre, novembre e dicembre 1977; gennaio, febbraio, marzo, aprile, giugno (due volte) nel 1978. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 216. 135

Polisario, El Ouali, che vi trovò la morte.303 Le forze mauritane reagirono, nonostante la sorpresa, e neutralizzarono gli attacchi sahrawi, riportarono pesanti perdite umane.

Dopo la morte di El Ouali, Mahfoud Ali Beiba, assunse la guida del movimento fino al 2° congresso del Fronte Polisario, che si tenne dal 26 al 20 agosto 1976, nel corso del quale fu eletto dall’assemblea il Segretario generale, Mohammed Abdelaziz, un giovane Ergeibi, uno dei più stretti collaboratori di El Ouali.

L’altro grande attacco del Polisario in Mauritania fu nuovamente a danno della città mineraria di Zouérate un anno più tardi con l’obiettivo di paralizzare lo sfruttamento delle miniere di ferro, che costituivano l’80% delle esportazioni mauritane e cacciare i quasi 300 operai specializzati francesi che lavoravano alle dipendenze del Comptoir Minier du Nord (C.O.M.I.N.O.R.), filiale della Società Nazionale Industriale e Mineraria mauritana. Il 1° maggio 1977 alle 5 del mattino un gruppo di guerriglieri del Polisario prese d’assalto la cittadina e l’occupò per due ore e mezzo. Oltre a danneggiare gli impianti minerari, negli scontri rimasero uccisi due francesi e altri sei furono rapiti, sotto lo sguardo attonito della guarnigione mauritana.304

Questo episodio mise in evidenza l’incapacità da parte dell’esercito mauritano di difendere il proprio territorio e uno dei suoi punti più nevralgici.

Due mesi, il 3 luglio 1977, dopo l’attacco di Zouérate i guerriglieri sahrawi attaccarono nuovamente Nouakchott e bombardano il palazzo presidenziale. Due settimane dopo il Polisario tornò ad attaccare Zouérate. Come ultimo disperato tentativo il governo di mauritano reclutò numerosi soldati, formatisi nell’accademia militare di Atar, fondata nel novembre 1976, con istruttori francesi.

Questi attacchi convinsero il presidente Ould Daddah che il suo esercito non sarebbe mai stato in grado di affrontare il Fronte Polisario e così chiese aiuto al Marocco e alla Francia. Il 13 maggio 1977 il presidente mauritano sottoscrisse una convenzione di mutua assistenza in materia di difesa che autorizzava le truppe marocchine a stazionare sul territorio mauritano. A luglio 1977 dopo un

303 Con la morte di El Ouali il culto dei martiri morti in combattimento divenne il nucleo della nuova mitologia rivoluzionaria. El Ouali come Bassiri erano morti giovani sul campo e con onore. Il 9 giugno divenne il giorno dei martiri. Le madri lasciavano partire i loro figli per la guerra nella speranza del loro ritorno, ma la ricompensa di morire in guerra, una guerra santa, era grande: il paradiso. Una guerra santa non per fanatismo religioso ma per la purezza degli ideali. “Sono certo che la nostra era una rivoluzione laica però con alcuni principi religiosi, il principale, considerare la nostra guerra come una jihad. L’Islam parla di due tipi di jihad: la crociata contro gli infedeli e la guerra di difesa, anche se l’aggressore è musulmano. La nostra era chiaramente una guerra per difenderci ed evitare lo sterminio. Gli uomini morivano in battaglia per i loro principi. Erano convinti di poter chiudere gli occhi in questo mondo per aprirli in un altro, in paradiso” Mohammed Embarek ‘Fakala’, nato nel 1914. A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, pp. 182 – 184. 304 In totale l’operazione causò 3 morti e 10 dispersi (6 francesi e 4 mauritani). Cf. Le Monde du 4 mai 1977, p. 7. Vedi R. Weexsteen, La question du Sahara occidental, in Annuaire de l’Afrique du Nord, 1978, p. 430. 136 mese dalla prima riunione del comitato misto di difesa marocchino-mauritano, giunsero a Zouérate seicento soldati marocchini, in aiuto alla guarnigione mauritana.

4.2. L’operazione Lamantin

Le offensive del Fronte Polisario in Mauritania, divengono sempre più frequenti e audaci tra il 1976-1977, provocarono una certa inquietudine in Francia. Il presidente Ould Daddah divenne sempre più consapevole che senza un aiuto esterno sarebbe stato costretto a soccombere agli attacchi dei combattenti sahrawi, senza poter mantenere fede agli impegni presi con l’Accordo di Madrid, ma soprattutto causando disordini e instabilità nell’area che avrebbe avuto pericolose ripercussioni i paesi alleati con la Francia, come il Sénégal e il Mali.

Gli accordi militari con la Francia erano stati denunciati dal regime mauritano nel 1973, nell’ambio di un programma di misure nazionaliste comprendenti, tra l’altro, il ritiro dall’area del franco e l’introduzione di una nuova moneta nazionale, l’ouguiya, e la nazionalizzazione delle miniere di ferro nel 1974.305 Ma l’attacco dell’8 giugno 1976 contro Nouakchott indusse il presidente Ould Daddah a chiedere un aiuto militare all’ex potenza coloniale. Il 2 settembre 1976 fu sottoscritto un nuovo accordo militare franco-mauritano, ampliato nel gennaio 1977, che prevedeva l’arrivo di istruttori militari francesi nell’accademia militare di Atar e l’invio di militari francesi appartenenti a tutti i corpi dell’esercito. Parallelamente, sempre nel 1976, Parigi riprese a fornire le armi a Nouakchott.306

Il coinvolgimento della Francia nel conflitto si intensificò nel momento in cui vennero uccisi e sequestrati alcuni cittadini francesi residenti in Mauritania. Questi rapimenti erano una forma di guerra economica, che avevano come obiettivo la paralisi dell’attività delle miniere di Zouérate e far rimpatriare tutti i francesi che lavoravano nel nord della Mauritania. Ma la strategia pensata dai Sahrawi non diede i risultati sperati. Parigi non ordinò l’evacuazione dei cittadini francesi dal territorio mauritano ma utilizzò il sequestro dei connazionali come pretesto per innescare un intervento militare diretto contro i combattenti del Polisario. Il generale Guy Méry, capo di stato maggiore delle Forze armate e capo del Centre Opérationnel des Armées (C.O.A.) fu incaricato di guidare l’intervento militare in Mauritania. Il piano del generale Méry, denominato Operazione Lamantin, prevedeva di effettuare dei raid aerei contro i combattenti del Fronte Polisario, che minacciavano l’attività delle miniere di ferro, dalle quali dipendeva la sopravvivenza del regime mauritano. La base logistica dell’operazione fu l’aerodromo senegalese di Ouakkam, nei pressi di Dakar, dove erano già presenti truppe francese in virtù degli accordi militari franco-senegalesi del

305 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 308. 306 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 308 - 309. 137

1974. Secondo il Fronte Polisario l’aviazione francese intervenne il 2 dicembre per attaccare i Sahrawi nei pressi di Boulanou, una stazione della ferrovia del C.O.M.I.N.O.R., situata a circa 80 chilometri da Nouadhibou. Gli attacchi continuaROno il 12 dicembre quando i guerriglieri sahrawi furono attaccati a circa 60 chilometri da Zouérate. L’aviazione francese bombardò per due giorni consecutivi i combattenti sahrawi in fuga con bombe al napalm e fosforo. I raid aerei francesi continuarono anche dopo la liberazione degli ostaggi francesi.

L’operazione Lamantin, come avevo già avuto modo di sottolineare non era altro che un aspetto della politica interventista francese in Africa, voluta da Giscard d’Estaing, per rassicurare i tradizionali alleati africani che la Francia averbbe fornito loro il suo sostengo in caso di rivolte o insurrezioni.

Con questa operazione Parigi voleva impedire la caduta di Ould Daddah, tuttavia il risultato non venne raggiunto, né il Fronte Polisario, né il governo algerino erano intenzionati a soccombere alle pressioni militari francesi. Da questo momento in poi le relazioni franco-algerine cominciarono a diventare molto tese e il presidente Boumediène cominciò ad attuare azioni di rappresaglia economica nei confronti dell’industria francese. Per quanto riguarda i Sahrawi, i guerriglieri continuarono ad attaccare la ferrovia di Zouérate, ma dovettero perfezionare le loro tecniche in modo da essere meno vulnerabili ai bombardamenti aerei. Qualche mese più tardi, precisamente il 10 luglio 1978, un colpo di stato militare fece cadere il regime mauritano di Ould Daddah, incapace di risolvere le difficoltà interne e fortemente indebolito dal conflitto.

4.3. Il colpo di stato in Mauritania

Nonostante gli aiuti ricevuti da alcuni Paesi arabi conservatori (Arabia Saudita, Kuwait, Emirati Arabi) alla fine del 1977, la Mauritania cadde in una profonda crisi economica e finanziaria.

Le esportazioni di ferro, dal 1974 al 1978, subirono una diminuzione quasi del 44%, il loro valore economico diminuì da 123,5 milioni di dollari nel 1974 a 93,4 milioni di dollari nel 1978.

La guerra non fu la sola causa di questo tracollo. Una buona parte delle risorse economiche mauritane venivano spese per acquistare petrolio, che nel 1973 aveva subito un aumento vertiginoso, contrariamente al ferro, che a partire dal 1976 non faceva che diminuire, a seguito della crisi mondiale dell’industria dell’acciaio. Un’ulteriore causa di instabilità economica fu l’aumento delle importazioni di cereali, a seguito della tremenda siccità che colpì il Sahel dall’inizio degli anni Settanta.

La crisi raggiunse il suo apogeo nel 1978. Il governo fu costretto a bloccare tutte le spese, tranne i salari, ma malgrado tutto ciò, alla vigilia del colpo di stato, Ould Daddah fu costretto a chiedere un 138 aiuto finanziario urgente, pari a 35 milioni di dollari, a Francia, Libia e Marocco per poter pagare i suoi funzionari.

Nel mese di giugno 1978 una delegazione della Banca Mondiale arrivò a Nouakchott su richiesta del governo, per mettere in piedi una strategia di riassestamento economico del Paese. Fu da subito evidente che sarebbe stato in ogni modo impossibile rilanciare l’economia mauritana, se non si metteva fine alla guerra. Il conflitto con il Polisario non solo pesava fortemente sulle finanze del governo, ma generava un clima di instabilità nella regione mineraria mauritana, tale per cui non era certamente possibile realizzare progetti di investimento.307 Era quindi necessario porre fine alla guerra per superare la crisi che fu considerata dagli ambienti imprenditoriali e industriali, una buona occasione per sbarazzarsi di un governo che oltre ad aver portato il Paese in una guerra rovinosa, aveva anche lasciato scarso margine di manovra ai capitali privati, in un sistema economico dominato dalle industrie statali. Ould Daddah cominciò a perdere l’appoggio della sinistra, che non voleva la riduzione delle risorse da destinare ai progetti di sviluppo in favore dell’esercito e non approvava la politica di consolidamento delle relazioni con la Francia e le monarchie arabe conservatrici.

Nel 1978 il presidente si trovò pericolosamente isolato. Nella notte tra il 9 e il 10 luglio 1978 l’esercito mauritano prese il potere a Nouakchott e costuì un Comitato Militare di Risanamento Nazionale (C.M.R.N.) presieduto dal capo di stato maggiore, il luogotenente-colonnello Mustapha Ould Mohammed Salek.

Il colpo di stato fu ben accolto da tutta la popolazione, l’obiettivo era la pace. Due giorni dopo il Fronte Polisario decise unilateralmente di dichiarare il cessate il fuoco con la Mauritania, come gesto di buona volontà nei confronti del nuovo regime.

In realtà i margini di manovra del Comitato erano piuttosto ristretti. Da un lato pesavano le pressioni di Hassan II, che avrebbe potuto reagire molto duramente di fronte ad un eventuale accordo bilaterale tra Mauritania e Fronte Polisaio, dall’altro il Polisaro che avrebbe potuto rompere la tregua, nel caso in cui il nuovo governo non si fosse impegnato in una trattativa seria. Di conseguenza il Comitato Militare cercò di condurre le parti ad accettare un accordo globale di pace.

307 Le miniere di ferro esistenti, quelle di Kédia d’Idjil si sarebbero esaurite alla fine degli anni ’80. Secondo uno studio effettuato dalla Banca Mondiale nel 1977 erano necessari investimenti per 938 milioni di dollari per esplorare nuovi giacimenti. C’erano investitori disponibili ma solo a condizione che nella regione di Zouérate e in Mauritania fosse garantita stabilità e sicurezza. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 323 - 324. 139

4.4. L’accordo di Algeri

Il governo francese308 e mauritano pensavano di poter raggiungere un accordo sulla costituzione di un mini-stato sahrawi nel Tiris el-Gharbia, nella speranza che un simile compromesso potesse essere accettato dal Fronte Polisario, che avrebbe raggiunto l’obiettivo di costituirsi in uno stato indipendente e messo fine alle rivendicazioni del Marocco sul Sahara.

Ma il progetto si rivelò irrealizzabile, perché non soddisfaceva nessuna delle parti.

Hassan II temeva che la creazione di uno Stato sahrawi nel Tiris el-Gharbia avrebbe potuto incoraggiare il Fronte Polisario a continuare la guerra per riconquistare anche la parte di territorio ancora sotto occupazione marocchina, fornendogli anche una base dalla quale poter sferzare i propri attacchi contro il Marocco. Il 20 agosto 1978 il re affermò di essere contrario all’idea di un mini- Stato sahrawi e aggiunse che un qualunque piano di pace avrebbe dovuto rispettare due condizioni: il rispetto dell’integrità territoriale del Marocco e il mantenimento delle frontiere attuali. Il Marocco annunciò al Comitato Militare di non poter fare alcuna concessione territoriale al Fronte Polisario.

A questo punto Moustapha Ould Mohammed Salek si rese conto che la ricerca della pace sarebbe stata lunga e difficile.

Pochi furono anche i progressi del C.M.N.R. con il Fronte Polisario, che dichiarò di non poter accettare la proposta fattagli perché questa avrebbe significato la rinuncia da parte dei Sahrawi ad una parte importante del territorio sahariano, quella parte che comprendeva le miniere di fosfati e le due principali città, in cambio di una regione desertica senza alcuna risorsa importante. Il Fronte Polisario voleva che la Mauritania si ritirasse senza condizioni dal Sahara occidentale, ma il C.M.R.N. era troppo preoccupato della reazione marocchina per poter accettare.

A tale proposito, il quarto Congresso del Fronte Polisario, tenutosi dal 25 al 28 settembre 1978, si espresse a favore del cessate il fuoco ed annunciò le condizioni richieste dal movimento per un accordi di pace permanente con Nouakchott: “1. Il riconoscimento ufficiale della sovranità della Repubblica Araba Sahrawi Democratica. 2. La restituzione della parte che essa occupa alle autorità

308 L’intervento diretto della Francia nel conflitto sahariano era stato più negativo che positivo, così il presidente Giscard d’Estaing decise di cambiare la politica sahariana della Francia. Con il colpo di stato di Nouakchott la Francia pose fine al suo coinvolgimento diretto nel conflitto del Sahara occidentale allo scopo di migliorare le relazioni franco- algerine. Cercò in questa fase di aiutare la Mauritania a porre fine alla guerra e a facilitare i contatti tra Rabat e Algeri. Un primo segno si ebbe il 15 febbraio 1979 quando il presidente francese definì il conflitto del Sahara come “un problema di decolonizzazione” e successivamente il 1° marzo il suo segretario di stato confermò l’intenzione di contribuire alla sua soluzione. Parallelamente cominciò a prendere piede l’idea di uno mini-stato sahrawi nel Tiris el- Gharbia tanto a Nouakchott quanto a Parigi. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 334. 140 della Repubblica Araba Sahrawi Democratica. 3. Il ritiro delle forze mauritane entro le frontiere internazionalmente riconosciute (frontiere del 1960).”309

Nel luglio 1979 il Fronte decise di rompere la tregua, che ormai durava da un anno, dando una svolta decisiva alle trattative, visto che la Mauritania non aveva superato le sue incertezze. L’accordo di pace globale era ormai fallito.

Con grande costernazione del Marocco, la Mauritania durante un Conferenza dell’OUA tenutasi a Monrovia (Liberia) dal 17 al 20 luglio 1979, votò a favore di una risoluzione che auspicava la realizzazione nel Sahara occidentale di un referendum, tramite il quale i Sahrawi avrebbero potuto scegliere tra l’indipendenza e lo status quo. Nel corso dello stesso summit le delegazioni mauritana e sahrawi allacciarono i contatti che sfoceranno nell’Accordo di Algeri, stipulato il 5 agosto 1979, alla presenza di quattro ministri algerini, con il quale, la Repubblica Islamica di Mauritania dichiarava solennemente di “uscire definitivamente dalla guerra ingiusta del Sahara occidentale”.310

Una clausola segreta prevedeva che il C.M.R.N., entro sette mesi dalla firma del presente accordo, avrebbe ceduto al Fronte Polisario la porzione di Sahara occidentale che controllava. Ma questa importante clausola non venne rispettata, l’8 agosto infatti Hassan II comunicò il ritiro della maggior parte delle truppe marocchine dalla Mauritania e lo stazionamento di circa 25.000 soldati nel Tiris el-Gharbia. Il Marocco rifiutava l’accordo di Algeri che venne dichiarato nullo.

Il 14 agosto 1979 nella città di Dakla venne issata la bandiera marocchina, il Tiris el-Gharbia venne ufficialmente proclamata provincia marocchina. La regione prese il nome di Oued ed-Dahab, traduzione araba del Rio de Oro. Lo stesso giorno, una delegazione di abitanti di Dakhla, venne accompagnata dal ministro dell’Interno Driss Basri a Rabat, dove giurò fedeltà al re.

L’uscita dal conflitto della Mauritania non favorì il Marocco da un lato perché occupando la zona sud del Sahara si trovava a dover controllare un territorio molto vasto e con enormi difficoltà; dall’altro perché mostrava chiaramente che si trattava di una occupazione illegittima, che favoriva la credibilità e il riconoscimento internazionale del Fronte Polisario311.

Le relazioni marocchino-mauritane rimasero tese per anni. L’Algeria chiese all’ONU di assumersi le sue responsabilità obbligando il Marocco a ritirare immediatamente le sue truppe di occupazione dal Sahara e convocò ad Algeri gli ambasciatori dei Paesi membri del Consiglio di Sicurezza. La

309 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 336. 310 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 274. 311 Il riconoscimento internazionale della lotta del popolo sahrawi fu dimostrato dall’alto numero di Paesi che nel 1978 e nel 1979 riconobbero la RASD (4 nel 1978 e 17 nel 1979). J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 203.

141 tensione tra Marocco e Algeria aumentava sempre di più, ma nessuno dei due Paesi voleva arrivare allo scontro diretto, così il presidente algerino Bendjedid dichiarò che un conflitto armato in Nord Africa avrebbe potuto facilmente coinvolgere l’Europa; mentre Hassan II, nell’anniversario della Marcia verde, lanciò all’Algeria un appello al dialogo, pur dichiarando l’intenzione del Marocco di non rinunciare mai al Sahara.

I combattenti del Fronte Polisario ora potevano concentrare tutte le loro energie nella guerra contro il loro principale nemico, il Marocco.

Come reagì la Spagna a tutto ciò?

Già nel 1977 il gruppo parlamentare comunista chiese la fine dell’invio di armamenti al Marocco e la dichiarazione di nullità dell’Accordo di Madrid. Il 16 agosto 1979, pochi giorni dopo il colpo di stato in Mauritania e la dichiarazione del cessate il fuoco del Fronte Polisario, il portavoce del gruppo socialista Felipe Gonzáles, chiedeva al Parlamento di analizzare il problema del Sahara, sollecitava il Governo a denunciare formalmente l’Accordo di Madrid (vista la rinuncia della Mauritania), l’occupazione militare e unilaterale del Marocco e chiedeva infine il riconoscimento del Fronte Polisario come legittimo rappresentante del popolo sahrawi, così come dei suoi diritti all’indipendenza e alla sovranità nazionale, in accordo con la Carta delle Nazioni Unite e dell’OUA. Il Governo veniva quindi sollecitato a trovare una soluzione giusta e definitiva al processo di decolonizzazione del Sahara occidentale non ancora terminato, garantendo in questo modo la pace e la stabilità della regione e difendendo gli interessi nazionali spagnoli nell’area. Ma né il Governo, né lo PSOE denunciarono l’Accordo, né intrapreso iniziative determinanti per la soluzione del conflitto in Sahara312.

La destra spagnola si mostrava preoccupata della destabilizzazione del Nord Africa, a fronte della possibile affermazione di un movimento, il Fronte Polisario, che considerava diretto da Mosca ,attraverso l’Algeria e la Libia. Il 10 ottobre 1979 la proposta di riconoscimento del Fronte Polisario venne bocciata, ottenne 121 voti a favore , 136 voti contrari e 9 astensioni.

Le ambiguità della politica spagnola erano la diretta conseguenza delle pressioni marocchine. Il Marocco infatti non ratificò l’accordo di pesca, bloccò e multò pesantemente numerosi battelli spagnoli, si riaprì la questione delle rivendicazioni di Ceuta e Melilla.

Quando lo PSOE salì al potere, nell’ottobre del 1982, il Governo non mantenne le promesse fatte al Polisario e ai Sahrawi. Felipe Gonzáles continuò a soddisfare le richieste marocchine e a garantire stabilità al trono alaouita, per tutelare i propri interessi nell’area.

312 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 204 - 205. 142

4.5. La guerra tra Fronte Polisario e Marocco

L’Armata marocchina era sicuramente ben equipaggiata e numerosa: nel 1976 gli effettivi passarono da 60.000 a 90.000 uomini, con un’ampia dotazione di blindati, cannoni, aerei forniti da Francia e Stati Uniti. Questo straordinario esercito però aveva due grandi debolezze: una scarsa fiducia in Hassan II e nei quadri militari ed era costituito da militari volontari, che potremmo definire mercenari, che si arruolavano perché disoccupati o in stato di indigenza.313

L’Armata di Liberazione Sahrawi era invece organizzata in failek (battaglioni di 350 uomini) e in katibes (compagnie di un centinaio di uomini) interamente motorizzata e con armamenti moderni. Alcune delle sue principali caratteristiche erano la mobilità e la perfetta conoscenza del territorio, che la rendevano un esercito formidabile, a fronte di un esercito classico, come quello marocchino. 314

A partire dalla seconda metà del 1978 e negli anni successivi, i combattimenti dell’ALS furono frequenti, spesso violenti e permisero al Polisario di recuperare armi, veicoli e di catturare prigionieri. La strategia militare del Polisario prevedeva che i combattimenti si sviluppassero principalmente in tre settori: nella zona del Sahara occidentale invasa dal Marocco, nel sud del Marocco e nelle acque territoriali del Sahara occidentale.315

Le truppe marocchine nonostante fossero dotate di attrezzature militari decisamente superiori, non si dimostrarono adatte a condurre una controguerriglia in pieno deserto. I soldati delle FAR provenivano principalmente dall’Atlas e dal Rif (zone montagnose) o dalla città e pertanto non erano abituati al duro clima sahariano e spesso si spaventavano all’idea di trascorrere diversi mesi, se non addirittura anni, nel deserto a scavare trincee. Oltre a ciò non avevano l’audacia e l’ardore dei combattenti sahrawi. Mentre i guerriglieri del Polisario, infatti, conducevano una lotta aggressiva e temeraria, dimostrando di potersi adattare ad ogni situazione e di dominare la tecnologia del nemico, attraverso la rapidità di esecuzione e la grande mobilità, i soldati della FAR si limitavano a mantenere le proprie posizioni, a rimanere nelle trincee, avventurandosi solo raramente nel deserto, combattendo una guerra passiva e difensiva.

313 Nel giugno del 1978 un soldato semplice guadagnava 500 dirham al mese (all’epoca 1 dirham era pari a 1,20 franchi); che diventarono 960 a partire dal 1979. C. Bontems, La guerre du Sahara occidental, Paris, Presses Universitaires de France (P.U.F.), 1984, p. 180. 314 “Dalle sue radici nomadi, al guerriero sahrawi viene il segreto della mobilità estrema; può circolare tutta la notte correndo a rotta di collo a bordo di vecchie Land Rover o Toyota, tagliando attraverso il terrificante paesaggio di rocce e crepacci, senza la minima luce che illumini il suo cammino”.Cfr. J. Lamore, Diario del Polisario, Napoli, l’alfabeto urbano, 2002, p. 87. 315 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 282. 143

I guerrieri sahrawi diventarono l’incubo delle guarnigioni marocchine, sulle quali piombavano senza il minimo preavviso: l’effetto sorpresa era una delle costanti della strategia militare del Polisario.

Dall’aprile del 1976 le FAR guadagnarono il controllo delle principali città, ciò nonostante non si dimostrarono in grado di sorvegliare efficacemente l’intero retroterra desertico del Sahara.

A partire dal 1976 il Polisario, con continui attacchi e sabotaggi, riuscì a paralizzare l’attività delle miniere di fosfati di Boucraa per ben sei anni (1976-1982); e , seguendo l’analoga tattica utilizzata contro la Mauritania, a compiere diverse incursioni nel sud del Marocco, dove viveva una parte della popolazione di origine sahrawi e dove le caratteristiche del terreno si prestavano agli attacchi dei guerriglieri.

Le difficoltà dell’esercito marocchino aumentarono dopo l’uscita della Mauritania dal conflitto, perché permise al Fronte Polisario di concentrare tutta la propria attenzione nella lotta contro il Marocco.

L’offensiva contro le forze marocchine, che prese il nome di ‘offensiva Houari Boumediène’, in onore del presidente algerino scomparso nel dicembre 1978 316 , iniziò nel gennaio 1979 e fu caratterizzata da importanti e sanguinose battaglie.

I primi attacchi furono ancora una volta contro le miniere di Boucraa, poi a El-Aioun e a Tan Tan, in pieno Marocco. La cittadina marocchina di Tan Tan venne occupata per più di quattro ore dai combattenti sahrawi, che liberarono prigionieri e distrussero installazioni militari, depositi di carburanti e la centrale elettrica. L’operazione ebbe una certa risonanza sulla stampa marocchina e l’opinione pubblica si rese conto che le cose stavano andando male.

L’attacco più devastante per le truppe marocchine ebbe luogo il 24 agosto 1979, quando la base di Lebouirate, nel sud del Marocco, dove stazionava la terza divisione di mezzi e corazzate delle FAR, cadde nelle mani dei guerriglieri sahrawi, che la controllarono per più di un anno. Gli abitanti del luogo vennero trasferiti a Tindouf, insieme ai 111 prigionieri marocchini, mentre il Polisario entrò in possesso di un vero e proprio arsenale di guerra, comprendente carri armati e veicoli blindati.317

316 Il Marocco, che pensava di poter approfittare della crisi algerina legata alla successione di Boumediène, si lanciò in una offensiva antialgerina finalizzata a destabilizzare la rivoluzione del Paese vicino. L’Unione Nazionale degli Indipendentisti, nel corso del loro congresso costitutivo, chiese la liberazione delle province marocchine in Algeria, in particolare Tindouf e Tuat. Quando Boumediène era ormai in fin di vita, un aereo marocchino lanciò armi e munizioni in Kabilia. I mezzi di comunicazione di massa marocchini iniziarono una campagna di aggressione nei confronti dell’Algeria. Il 28 dicembre 1978, quando Boumediène morì, l’Algeria si rifiutò di ricevere una delegazione marocchina al suo funerale. Anche il nuovo presidente algerino Chadi Bendjedid eletto dall’F.L.N. continuò ad appoggiare la lotta del Fronte Polisario, la politica algerina non sarebbe cambiata. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 200 – 201. 317 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 359. 144

Questa guerra, sempre più violenta, si estese al mare. A partire dall’aprile 1977 infatti, alcune unità del Fronte Polisario, cominciarono ad attaccare e a sequestrare gli equipaggi dei battelli stranieri, soprattutto spagnoli e portoghesi, accusati di pescare illegalmente nelle acque territoriali della RASD.

I successi e gli attacchi del Polisario diventavano sempre più frequenti, così l’esercito marocchino fu costretto a cambiare strategia. Visto che non era possibile tenere sotto controllo tutto il territorio, il Marocco si limitò da ora in poi, ad occupare alcuni punti strategici come Guelta, Bir Anzaran, Dakhla, le frontiere marocchine e la zona cosiddetta del ‘triangolo utile’, che comprendeva il territorio compresa tra El Aioun, Smara e Boucraa e comprendente le miniere di fosfati, le zone più popolate e più ricche del Sahara.

Tra il 1979 e il 1980, al fine di rafforzare la difesa delle principali città del Sahara furono istituite dal Marocco tre forze speciali, ben equipaggiate, che furono inviate nel deserto. La seconda318 di queste forze speciali, costituitasi nel gennaio del 1980, comandata dal comandante Abrouk venne chiamata Zellagha319, dal nome di una delle celebri vittorie degli Almoravidi sugli Spagnoli nel 1086. I 7.000 uomini comandati Abrouk avevano l’obiettivo di controllare la zona montuosa di Ouarkziz e di scacciare i Sahrawi dal sud del Marocco. Il primo tentativo fallì clamorosamente: i guerriglieri del Polisario attaccarono la colonna Zellagha, che dovette ritirarsi più a nord. Due mesi dopo le FAR riuscirono a porre fine all’assedio di Zaag e ad ottenere il controllo della regione.

Dopo questo successo il nuovo obiettivo strategico dell’esercito marocchino era quello di bloccare le penetrazioni del Polisario nel sud del Marocco. Fu la terza forza speciale, comandata dal colonnello Ben Othman e denominata Larak, a raggiungere l’obiettivo nell’agosto del 1980. In questo scontro il Fronte Polisario subì importanti perdite vicino a Ras el-Khanfra. Gli uomini di Ben Othman furono poi incaricati di un altro progetto molto ambizioso: la costruzione di un muro di difesa marocchino.320

4.6. La strategia dei muri

Dopo le sconfitte subite lo Stato marocchino pensò ad un’altra costosa strategia per sconfiggere avversari tanto audaci. Furono gli Stati Uniti i primi a rendersi conto che il Marocco non sarebbe riuscito facilmente a vincere i guerriglieri sahrawi, nonostante il massiccio aiuto militare

318 La prima chiamata ‘Ohoud’, a ricordo di una delle prime battaglie dell’Islam, comandata dal colonnello Dlimi, dopo la sua istituzione, avvenuta nel settembre del 1979 venne inviata verso sud, a Dakhla. Dopo tre settimane nel deserto Ohoud raggiunse Dakla, senza avere scontri con il Polisario. Dopo tante umilianti sconfitte nel corso degli ultimi anni Rabat considerò questa traversata come una grande vittoria. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 361. 319 Zellagha è una località vicino a Bojador. 320 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 361 – 362. 145 dell’Occidente. I combattenti sahrawi erano insieme eccezionali combattenti e brillanti strateghi, capaci di unire in guerra tradizione e modernità.321

A partire dall’agosto 1980, il Marocco seguendo i consigli di Yitzhak Rabin 322 cominciò la costruzione di un muro da Rad el-Khanfra, in territorio marocchino fino a Smara, un centinaio di chilometri più a sud.323 Di qui, passando per Boucraa, il muro si prolungava fino al mare, isolando il ‘triangolo utile’.

Il progetto consisteva nel costruire un muro difensivo di terra e sabbia (conosciuto con il nome di berm), alto e largo dai 3 ai 5 metri, lungo 2.720 chilometri, protetto da filo spinato, artiglieria e preceduto da campi minati (di preferenza mine italiane Valsella), con diversi punti di osservazione ad intervalli regolari per assicurarne la difesa e rifugi sotterranei per i soldati. 324 Nel 1982 la fortificazione venne dotata di un sistema radar e di sorveglianza e di intercettazione particolarmente sofisticato fornito dagli USA. Dietro il muro erano di stanza le forze di riserva, pronte ad intervenire in caso di attacco. Cinque mesi dopo, nel gennaio 1981, il colonnello Dlimi annunciava la fine della costruzione del primo troncone di muro lungo 400 chilometri, che isolava 42.500 kmq di territorio, circa un sesto della superficie totale del Sahara occidentale.325

Nessuna guarnigione marocchina non protetta dal muro poteva resistere agli attacchi del Polisario, che cercò di opporsi alla costruzione dei muri moltiplicando gli attacchi. Nell’ottobre 1981 i 2.600 soldati del 4° reggimento di fanteria marocchino vennero attaccati dal Polisario a Guelta Zemmour, nel sud del Paese. Nel combattimento, che durò sei giorni, morirono 100 uomini e furono catturati 230 prigionieri.326 Le FAR abbandonarono Guelta Zemmour il 7 novembre 1981. Due giorni più tardi fu evacuata Bir Anzaran, in seguito ai devastanti attacchi del Fronte Polisario. A parte una piccola enclave intorno a Dakhla e ad Argoub, il resto del territorio era totalmente abbandonato e le unità di guerriglia circolavano liberamente.

Da un certo punto di vista l’abbandono dei cinque sesti del territorio non rappresentava una grande perdita per il regime marocchino, che manteneva sotto il suo controllo il ‘triangolo utile’ e le città più importanti e popolose. La costruzione del primo troncone di muro permise, nel luglio 1982, la riapertura delle miniere di fosfati, dopo sei anni di inattività.

321 Forte era l’interesse degli Stati Uniti nei confronti delle tattiche del Fronte Polisario. J. Lamore, Diario del Polisario, Napoli, l’alfabeto urbano, 2002, pp. 89 – 90. 322 Sin dal 1976 il Marocco aveva operato come mediatore tra i Paesi arabi e Israele, ottenendo la gratitudine di Tel Aviv. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, p. 208. 323 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 362. 324 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, p. 208. 325 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 364. 326 A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, p. 220. 146

Il muro, senza alcun dubbio, rappresentava un grande ostacolo per il Fronte Polisario, che però riuscì ad adattarsi anche a questa nuova situazione, dimostrando di poter dominare anche questa nuova tecnologia del nemico. Persino le mine antiuomo e anticarro furono per i guerriglieri sahrawi un ostacolo superabile: sminavano lunghi corridoi per attaccare il muro, considerato invalicabile, costringendo i soldati delle FAR a restare costantemente in allerta.

Nel 1983 Hassan II annunciò ufficialmente che i soldati marocchini di stanza in Sahara erano 80.000, mentre i combattenti sahrawi contavano all’incirca 20.000 uomini.327

Di fronte alle continue offensive del Fronte, 328 i soldati delle FAR nel dicembre del 1983 cominciarono a costruire un secondo troncone del muro, da Smara ad Amgala, che venne terminato in soli due mesi. Il Sahara era diviso in due.

Un terzo troncone di muro venne costruito in tempi record, dal 19 aprile al 13 maggio 1984, da Zaag a Bojador inglobando Hausa, considerata la capitale provvisoria della RASD. Nell’ottobre dello stesso anno 2.000 combattenti sahrawi intrapresero una nuova offensiva chiamata ‘Gran maghreb’, nel corso della quale attaccarono il muro a sud di Zaag.

In risposta all’ennesimo raid, Hassan II ordinò la costruzione di una nuova tranche di muro, la quarta, da Zaag ad Amgala, passando a pochissimi chilometri dalla frontiera algerina, inglobando Mahbes e Farsia, che venne terminato a metà gennaio del 1985.

Nel maggio del 1985 il muro difensivo si estendeva da Amgala fino a Dakhla, inglobando Guelta fino al golfo di Cintra. Durante la costruzione del quinto troncone di muro, che terminò nel mese di settembre 1985, il Polisario sferzò un nuovo attacco al muro a sud-est di Guelta Zemmour.

Il sesto ed ultimo troncone del muro fu costruito tra febbraio e aprile 1987, tra Bir Anzaran e la frontiera sud con la Mauritania e verso ovest fino all’oceano Atlantico, a nord di La Güera. Questo ultimo muro impedì al Fronte Polisario di avere accesso al mare e pose quindi fine ai suoi attacchi navali.

Il regime di Rabat per mettere in sicurezza il ‘Sahara marocchino’, costruì un muro di 2.700 chilometri che inglobava i sette ottavi della superficie totale del Sahara occidentale e divideva in due parti il territorio. Nel 1986 il grosso dell’armata marocchina, circa 120.000 soldati, si trovava nel deserto. Le risorse umane e materiali necessarie per la difesa, la manutenzione e

327 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 364 – 365. 328 Il 10 giugno 1983 il Fronte preparò il più grande attacco dopo la battaglia di Guelta Zemmour (1981), come ebbe a dichiarare il colonnello Bennani, nominato comandante delle FAR in Sahara dopo la misteriosa morte del generale Dlimi a Marrakech nel gennaio dello stesso anno. Circa 2.500/3.000 sahrawi assaltarono Lemseyed, nelle montagne di Ouarkziz, con una intensità mai vista. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p 365. 147 l’approvvigionamento dei soldati posizionati lungo tutto il muro si rivelarono esorbitanti. Tuttavia, questa linea difensiva riuscì a fare quello che nessuna altra tattica era riuscita a fare fino a questo momento: tenere lontano i combattenti del Polisario e la guerra dal territorio occupato.329

La strategia dei muri trasformò la guerriglia degli anni 1976 – 1979 in una guerra d’usura, che obbligò i Sahrawi a cambiare strategia, a intraprendere una guerra di posizione, che riduceva sensibilmente la superiorità tattica di cui essi avevano dato prova negli anni del conflitto. Nonostante le difficoltà, il Polisario non smise mai di realizzare operazioni contro il muro,330 con l’obiettivo di minare il morale dell’avversario e per dimostrare che i sistemi sofisticati e la superiorità numerica e materiale, non erano sufficienti a sconfiggere gli ideali di lotta e di libertà del popolo sahrawi.

Oltre a modificare il carattere militare del conflitto la costruzione dei muri di difesa permetteva al Marocco di avviare e proteggere un processo di sviluppo economico del territorio (sfruttamento delle miniere di fosfati e pesca) e una costosa strategia di seduzione della popolazione nativa, con l’obiettivo di minare la coesione sociale, sulla quale poggiava il Fronte Polisario. Al riparo dai ‘muri’ il Marocco colonizzava il Sahara, come gli Spagnoli non riuscirono mai a fare.

L’edificazione dei muri ebbe anche importanti risvolti psicologici per i Sahrawi. Dividendo in due il Sahara infatti si interrompeva il contatto tra gli esiliati e coloro che erano rimasti in Sahara, tra quelli che si trovavano ‘al di qua’ e ‘al di là’ del muro.331

Ci si trovava ora in una situazione completamente nuova. Da una parte il Fronte Polisario non poteva più respingere le FAR fuori dal Sahara utilizzando strumenti bellici, dall’altro il Marocco non poteva pensare di smantellare questo elaborato sistema difensivo, almeno fino a quando il Polisario fosse rimasto un nemico determinato, bene equipaggiato e sostenuto dalla potente Algeria.332

329 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 366 – 367. 330 Nel 1987 il Polisario comunicò di avere realizzato 595 operazioni contro il muro in gennaio, 355 in maggio, 340 in giugno, 245 in luglio, 246 in agosto e 122 in dicembre. In altre occasioni furono aperte brecce nel muro per far entrare uomini, blindati; settori di 20,30 e 40 km di muro furono attaccati simultaneamente in operazioni che concentravano 2.000/3.000 combattenti. Il Polisario giudicava fallimentare la strategia dei muri adottata dal Marocco. Il muro costava tanto al Marocco in termini di uomini, materiali e denaro e i sahrawi continuavano a far riferimento alla loro secolare strategia: l’infinita capacità di resistenza nelle più avverse condizioni. A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, pp. 223 – 224. 331 A. Garcia, Historias del Sahara. El mejor y el peor de los mundos, Madrid, Los libros de la catarata, 2001, p. 222. 332 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 367. 148

Le tappe di costruzione dei muri (rabt)333

Muro Tempi di costruzione Lunghezza

I muro Agosto 1980 – maggio 1981 500 km

II muro Dicembre 1983 – gennaio 1984 300 km

III muro Aprile 1984 – maggio 1984 320 km

IV muro Dicembre 1984 – gennaio 1985 380 km

V muro Maggio 1985 – settempre 1985 670 km

VI muro Febbraio 1987 – aprile 1987 550 km

333 A.O. Yara, L’insurrection sahraui. De la guerre à l’Etat. 1973 – 2003, Paris, l’Harmattan, 2003, p. 161. 149

150

4.7. Il costo della guerra, l’economia e la politica marocchina

Quello che per i marocchini all’inizio sembrò essere una passeggiata nel deserto, si rivelò un’autentica guerra contro un nemico audace e tattico, capace di azioni di guerriglia in pieno deserto, che nel tempo si trasformarono ben presto in sanguinose battaglie.

Inoltre, il rischio, sempre presente, di un possibile coinvolgimento nel conflitto dell’Algeria obbligarono il Marocco a investire molte risorse nelle spese militari (acquisto di armi, forte accrescimento delle truppe, costi di stazionamento delle truppe in Sahara), che ebbero pesanti ripercussioni sull’economia marocchina, già fortemente provata da una profonda crisi economica, causata da molteplici fattori, tra i quali: la diminuzione delle vendite dei fosfati,334 l’aumento del costo del petrolio,335 la scarsa capacità di produzione alimentare interna,336 e il protezionismo per le esportazioni di prodotti agricoli marocchini della Comunità Economica Europea, soprattutto dopo l’ingresso della Spagna e del Portogallo nel 1986.

Tra il 1974 e il 1987 le spese del Ministero della Difesa furono moltiplicate per sei. Nel 1987 il 36,7% delle spese nazionali era destinato al Ministero della Difesa e dell’Interno. Queste cifre non comprendevano le spese militari che passarono da 5 milioni di dollari nel 1973 a 500 milioni di dollari nel 1979 (13,5% delle importazioni del paese). Le importazioni di armi diminuirono leggermente negli anni successivi arrivando nel 1983 a 320 milioni di dollari (l’8,9% delle importazioni totali del paese). Si trattava di costi elevatissimi che non vennero mai rivelati al grande pubblico.337

Tutti i partiti politici marocchini sostenevano in modo entusiastico il conflitto, solo i giovani studenti marxisti-leninisti, riuniti nel movimento semiclandestino denominato Ila-al-Amam (‘Avanti’), lo rifiutarono, subendo per questo la spietata repressione della polizia. Ma l’euforia e l’esaltazione, che avevano caratterizzato il periodo immediatamente successivo alla Marcia verde ed al ‘recupero’ del Sahara, molto presto si spensero, soffocate dalla grave crisi economica che aggravava le differenze sociali, già molto marcate in Marocco.

334 Nel 1974 il Marocco guadagnava dalla vendita dei fosfati 933 milioni di dollari, nel 1976 il guadagno si ridusse a 486 milioni di dollari per rimanere tale fino al 1985. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 398 - 399. 335 Nel 1985 le importazioni del petrolio grezzo raggiunsero i 987 milioni di dollari, il 45% delle esportazioni totali del paese. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 399. 336 Nel 1960 la produzione di cereali era pressoché sufficiente per soddisfare i bisogni interni, negli anni successivi all’indipendenza la produzione agricola aumentò meno rapidamente della popolazione (dopo il censimento del 1982 il ritmo di crescita della popolazione era pari al 3,3,%). Mentre le esportazioni agricole aumentarono di tre volte dal 1960 al 1980; le importazioni agricole aumentarono di sette volte nello stesso periodo, passando da 420.000 tonnellate nel 1968-1972, a 1,4 milioni di tonnellate nel 1973-1977, a più di 2 milioni di tonnellate agli inizi degli anni ’80. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 399. 337 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 396. 151

La recessione e l’afflusso di contadini che si trasferirono dalla campagna in città, anche a seguito della siccità che aveva colpito il Sahel, fecero aumentare enormemente la disoccupazione nei centri urbani, dove i più poveri vivevano nelle bidonville.

Il Marocco, solo grazie al credito del Fondo Monetario Internazionale e a un maggior aiuto della Banca mondiale, della Francia, degli Stati Uniti, di altri governi stranieri e di alcune banche internazionali, riuscì a superare le enormi difficoltà economiche. In cambio le istituzioni finanziarie e i governi occidentali chiesero al governo marocchino misure di austerità, finalizzate alla riduzione del deficit statale e al debito estero. La legge finanziaria del 1978 era la chiara espressione di una economia di guerra all’insegna del rigore. Gli investimenti furono ridotti di un terzo rispetto al 1977 e fu ritardato di un anno il nuovo piano quinquennale di sviluppo. A fronte di una compressione generale delle uscite, soltanto il bilancio delle spese militari fu mantenuto allo stesso livello dell’anno precedente. Il regime decise di adottare le due strategie di intervento ritenute più adatte, per fronteggiare la situazione: l’aumento della pressione fiscale e l’indebitamento statale.

La ‘riunificazione’ del Paese che doveva essere un’opportunità di crescita economica e politica del Paese, in realtà si stava rivelando come un fattore di forte destabilizzazione del potere della monarchia marocchina, che arrivata a questo punto, non poteva certo tornare indietro e rischiare di arrecare un colpo letale alla sua stessa sopravvivenza. Forse la reazione del popolo marocchino ad una ritirata dal Sahara non sarebbe stata più pericolosa di quella che si sviluppò in seguito all’aumento dei prezzi, anche se i partiti nazionalisti e ultranazionalisti (Istiqlal, P.P.S., U.S.F.P.)338 l’avrebbero considerata come un atto di tradimento.

Fu l’ennesimo aumento del prezzo del pane e dei generi di prima necessità339 che fece scoppiare la crisi nel giugno 1981, la cosiddetta ‘rivolta del pane’. A Casablanca esplosero violente sommosse, che furono represse con la forza dalla polizia marocchina. Alcuni giorni dopo, pochi avevano creduto alle dichiarazioni del Ministro dell’Interno, quando comunicò che negli scontri erano morti solo 66 civili. L’U.S.F.P. parlò invece più verosimilmente di 637 morti. Tutti i giornali dell’opposizione vennero chiusi e Hassan II il 2 luglio annunciò l’arresto di 2.000 persone. Alcuni di loro furono liberati dopo un mese di detenzione, altri furono invece processati e condannati fino a dieci anni di prigione, per aver partecipato agli scontri. Tra di loro anche i leaders di alcuni partiti dell’opposizione, alcuni dei quali rimasero in carcere due anni senza giudizio. L’ordine fu garantito dal pugno di ferro del Ministro dell’Interno Driss Basri, uomo di fiducia del makhzen, che garantì la

338 Parti du Progrès et du Socialisme e Union Socialiste des Forces Popoulaires. 339 Lo zucchero aumentò del 38,6%, l’olio del 27,5%, il latte del 14,3%, il burro del 176,2%, quello della farina del 40%. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 410. 152 sicurezza interna al Paese dal 1979 al 1999, reprimendo con estrema ferocia le opposizioni e chiunque si opponesse alla monarchia (cosiddetto ‘sistema Basri’).

Fino a questo momento i movimenti fondamentalisti, che avevano fatto la loro comparsa in Marocco negli anni ’70, non erano ancora stati considerati una reale minaccia per la monarchia marocchina. Ma le tensioni economiche e sociali del regime e l’indebolimento della sinistra tradizionale avevano portato a un nuovo aggravamento della situazione politica, che favorì la diffusione del messaggio integralista, non solo tra le élites intellettuali urbane, ma anche tra i giovani e i disoccupati. I movimenti fondamentalisti non erano, di fatto, una reale minaccia per la monarchia, ma rappresentavano un enorme problema per il re, dal momento che per la prima volta, veniva contestato proprio sul piano religioso, ove la sua autorità doveva essere indiscussa. Ciò poté spiegare la particolare fermezza con cui il movimento venne represso.340

Solo l’esercito rappresentava un vero problema per il re. Le FAR, amareggiate da anni di guerra in pieno deserto senza riuscire ad annientare l’offensiva sahrawi, avrebbero potuto vendicarsi della monarchia, che le aveva sottoposte ad una prova tanto umiliante. L’abbandono del Sahara sarebbe stato il pretesto migliore per giustificare un colpo di stato. La paura dell’esercito fu probabilmente la principale motivazione che spinse il re a continuare la guerra in Sahara, malgrado essa costasse moltissimo al Paese. Egli sperava sempre che il governo algerino decidesse di voler porre fine alla tensione nel Maghreb, costringendo il Fronte Polisario ad accettare una soluzione al conflitto, alle condizioni imposte da Rabat. Ma l’Algeria non diminuì affatto il proprio sostegno politico e militare al Fronte. Hassan II sembrò essere condannato a una lunga guerra d’usura, che l’economia e la società marocchina faticavano a sostenere.

340 Abd al-Karim Mouti, fondatore del movimento clandestino radicale al-Shabiba al-Islamīya (‘gioventù islamica’) che in seguito si presentò come associazione apolitica e religiosa per la diffusione dei valori islamici con metodi non violenti criticò aspramente l’operato di Hassan II, non sostenne la ‘Marcia verde’ e attaccò apertamente il re per la sua politica “filo-imperialista e sionista”. Abd al-Salam Yassin, ex funzionario del Ministero della Pubblica Istruzione propagandava lo stato islamico e accusava Hassan II di aver fallito come leader spirituale e capo del governo, perché troppo debole e vicino ai valori occidentali. Il re non potendo eliminare fisicamente Yassin, con il rischio di trasformarlo in martire, lo fece rinchiudere in manicomio. L’associazione venne in seguito dichiarato fuori legge e Mouti fu costretto all’esilio. Nel 1979 dopo la rivoluzione in Iran e la fuga dello Shah in Marocco, fece temere che il nel Paese si potesse affermare il fondamentalismo islamico. Per arginare le idee fondamentaliste il re, nel 1980, diede ordine di costruire a Casablanca la più grande moschea del Marocco, costata 600 milioni di dollari. Si trattava di una grande forma di mobilitazione popolare simile alla ‘Marcia verde’. Il re annunciò infatti l’apertura di una sottoscrizione pubblica che permise di raccogliere in quaranta giorni ben 4,7 milioni di dirham (circa 750 milioni di dollari). Questa opera doveva servire a calmare i movimenti islamici e dimostrare che la monarchia non si era troppo ‘occidentalizzata’. La moschea venne inaugurata il 30 agosto 1993. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, pp. 211 – 213. 153

4.8. L’Organizzazione dell’Unità Africana

La proclamazione della RASD avvenne nel corso della 26^ sessione del Consiglio dei ministri dell’OUA,341 quando alcune delegazioni africane si espressero a favore di una ammissione del Fronte Polisario alla organizzazione panafricana, in quanto movimento di liberazione. Dopo una lunga discussione e le minacce di Marocco e Mauritania, che dichiararono di ritirarsi dall’OUA e di sostenere tutti i movimenti separatisti esistenti nei vari paesi africani se il Fronte Polisario fosse stato riconosciuto, solo diciassette Paesi africani 342 votarono a favore del riconoscimento. La richiesta di ammissione del Fronte Polisario fu rifiutata, ma l’OUA lasciò la libertà a ciascun Paese di riconoscere il nuovo Stato sahrawi.

Fino a quel momento il movimento di liberazione sahrawi era stato riconosciuto solo dalla Commissione della Liberazione dell’OUA343, riunitasi a Maputo, in Mozambico, dal 19 al 24 gennaio 1976. Per la prima volta l’Organizzazione Africana si trovava a prendere in considerazione le rivendicazioni di un popolo africano, che lottava per la liberazione del suo territorio, contro una potenza colonizzatrice, anch’essa africana. Per questo la politica marocchina venne giudicata molto severamente da molti paesi africani.

Nel corso di una nuova riunione del Consiglio dei ministri dell’OUA, tenutosi a Port Louis (Isole ) dal 24 al 29 giugno 1976, il Benin presentò una risoluzione a sostegno della giusta lotta per l’indipendenza del popolo sahrawi per l’indipendenza, che chiedeva il ritiro immediato di tutte le forze di occupazione straniera, il rispetto dell’integrità territoriale del Sahara occidentale e della sovranità nazionale del popolo sahrawi. Il Marocco e la Mauritania lasciarono il Consiglio in segno di protesta, una delegazione del Fronte Polisario si trovava in città, ma non fu ammessa alla riunione. La risoluzione venne approvata con 29 voti a favore344.

Il Marocco e la Mauritania minacciarono di lasciare definitivamente l’OUA, se la risoluzione appena approvata fosse stata ratificata e lanciarono un ultimatum che convinse la maggior parte dei governi africani a ritirarsi. L’OUA decise di non assumere una posizione sostanziale sul problema del Sahara occidentale e di rinviare la discussione ad un summit straordinario, che però non ebbe mai luogo.

341 Addis Abeba dal 23 febbraio al 1° marzo 1976. 342 Algeria, Angola, Benin, Burundi, Capo Verde, Ciad, Comore, Congo, Ghana, Guinea, Guinea Bissau, Libia, Madagascar, Nigeria, Sao Tome e Principe, Somalia, Tanzania. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 370. 343 Il comitato di Liberazione dell’OUA aveva il compito di sostenere le lotte di liberazione nell’Africa australe. 344 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 370. Votarono contro: Gabon e Sénégal; si astennero dal voto: Camerun, Repubblica Centroafricana, Egitto, Gambia- Lesotho, Guinea Equatoriale, Malawi, Isole Mauritius, Tunisia e Zaire; erano assenti: Mauritania, Marocco, Seichelles, Sudan, Uganda, Guinea Equatoriale; era presente ma non votò la Costa d’Avorio. R. Weexsteen, L’O.U.A. e la questione sahariana, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1978, p. 227. 154

Durante tutto il 1977 e il 1978 si cercò di organizzare questo incontro straordinario, ma senza successo. Nel Consiglio dei ministri dell’OUA di Lomé (Togo), ancora una volta Marocco e Mauritania lasciarono l’incontro per protesta contro la decisione del governo del Togo (uno dei primi Paesi a riconoscere la RASD), di invitare una delegazione della Repubblica sahrawi, capeggiata dal Ministro degli affari esteri sahrawi, Ibrahim Hakim. Nello stesso momento il Marocco fu accusato di avere favorito il colpo di stato in Benin. L’isolamento del Marocco in ambito africano diventava sempre più rilevante.

Nel luglio 1977345 l’OUA, nel corso del summit annuale tenutosi a Libreville, in Gabon, approvò data e luogo del tanto atteso summit speciale: ottobre 1977 a Lusaka, in Zambia. Ma in settembre lo Zambia annullò bruscamente l’incontro, perché solo due Paesi avevano accettato di partecipare alle fasi di organizzazione del summit e la guerra alle frontiere dello Zimbawe rischiava di mettere in pericolo le delegazioni. Il Presidente del Gabon propose allora di spostare il summit prima ad Addis Abeba, poi a Libreville, in Gabon, mentre il Marocco propose Il Cairo o Khartoum.346 Dopo la visita di un ministro del Gabon ad Algeri, Rabat e Nouakchott, l’OUA si decise di tenere la riunione a Libreville nel mese di marzo del 1978, purché si rispettassero tre condizioni: al summit dovevano essere presenti le parti interessate, la conduzione dell’incontro era a carico dell’OUA e doveva essere garantita la personale presenza di un minimo di capi di Stato.

Solo sette capi di Stato risposero positivamente all’invito, quindi anche in questo caso si decise di annullare l’incontro straordinario. La motivazione ufficiale era la scarsa partecipazione, ma in realtà non si volevano mettere in imbarazzo né il Marocco, né la Mauritania.

Tuttavia, a partire dal successivo vertice dell’OUA, non fu più possibile ignorare il conflitto marocchino-sahrawi. In occasione del summit dell’OUA di Khartoum dal 18 al 22 luglio 1978, pochi giorni dopo la caduta di Moktar Ould Daddah e la dichiarazione del cessate il fuoco unilaterale del Fronte Polisario, i capi di stato africani decisero di creare una Commissione ad hoc o ‘Comitato dei saggi’, composta da cinque capi di stato dell’OUA (Sudan, Nigeria, Guinea, Mali e

345 Nel corso di questo incontro l’OUA approverà la convenzione che vietava l’utilizzo di mercenari in Africa. 346 Il Fronte Polisario non accettò il Cairo come possibile luogo della conferenza perché desiderava che il summit straordinario sul conflitto del Sahara si tenesse in una capitale di un Paese che non avesse relazioni con Israele. Mohamed Abdelaziz presidente della RASD considerò questa proposta come una manovra imperialista-reazionaria che puntava a porre fine all’isolamento dell’Egitto e di Sadat dal mondo arabo. Nel 1979, dopo lunghe trattative facilitate dagli Accordi di Camp David (settembre 1978), Israele ed Egitto firmarono un trattato di pace (il primo tra Israele ed uno stato arabo) che implicava la restituzione all'Egitto della penisola del Sinai ed il riconoscimento dello stato di Israele. Il 6 ottobre 1981 il presidente egiziano Anwar al-Sādāt (premio Nobel per la Pace) fu assassinato durante una parata militare da estremisti arabi, membri dell'Organizzazione Jihād di Shukrī Muṣṭafā, un fuoruscito del movimento dei Fratelli Musulmani, da lui ritenuti troppo "moderati". R. Weexsteen, L’O.U.A. e la questione sahariana, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1978, p. 230 e secondo il sito www.wikipedia.org alla voce Conflitti arabo-israeliani (s.d.).

155

Tanzania) incaricata di studiare in modo approfondito la questione del Sahara occidentale, al fine di individuare una possibile soluzione del conflitto. Una sorta di vittoria dei paesi africani ‘progressisti’ a fronte del successo che i paesi africani ‘moderati’ avevano avuto l’anno precedente nell’incontro di Libreville. Il ‘Comitato dei saggi’ si riunì a Khartoum, in Sudan, dal 30 novembre al 1° dicembre 1978 inviò due dei suoi membri in missione in Marocco, in Mauritania e in Algeria. La missione, composta dal presidente della Nigeria, Olusegun Obasanjo e dal presidente del Mali, Moussa Traoré ebbe luogo dal 1° al 5 maggio 1979, incontrò i leader del Fronte Polisario ad Algeri, il Segretario generale dell’OUA, Edem Kodjo e il Primo ministro spagnolo Suarez il 2 giugno a Madrid.

Obasanjo, Traoré e Kodjo presentarono un rapporto al ‘Comitato dei saggi’ nel corso della seconda riunione tenutasi a Khartoum il 23 giugno 1979. I saggi adottarono una risoluzione che sconcertò il Marocco e che raccomandava: un cessate il fuoco immediato l’esercizio del diritto all’autodeterminazione per il popolo sahrawi attraverso un referendum libero, sotto l’egida dell’OUA e dell’ONU, che permettesse alla popolazione di scegliere tra le due seguenti opzioni: a) indipendenza totale; b) mantenimento dello status quo.

Hassan II per protesta decise di non partecipare al summit dell’OUA di Monrovia, in Liberia, dal 17 al 20 luglio 1979, nel corso del quale la risoluzione della Commissione ad hoc venne approvata con 33 voti a favore e 2 contrari. “Il Sahara è e rimarrà marocchino, costi quel che costi” diceva M’hammed Boucetta, ministro degli Affari esteri marocchino, nel corso di una conferenza stampa che convocò a Monrovia, poco dopo il voto nella notte tra il 19 e il 20 luglio.

La collera di Hassan II non fece altro che peggiorare la reputazione del Marocco in Africa, che crollerà definitivamente dopo l’occupazione di Tiris el-Gharbia, a seguito del ritiro della Mauritania.

Il Marocco decise di non partecipare nemmeno alla riunione della Commissione ad hoc dell’OUA a Monrovia il 4 e 5 dicembre 1979 per discutere del cessate il fuoco e del referendum. Questo ennesimo boicottaggio fu interpretato come un affronto all’Organizzazione Africa. All’incontro parteciparono invece Mohammed Abdelaziz, segretario generale del Fronte Polisario, il ministro degli Affari esteri mauritano e il presidente algerino Chadli Bendjedid.

L’isolamento del Marocco fu ancora più evidente durante la conferenza dell’OUA a Freetown, in Sierra Leone, dal 1° al 4 luglio 1980. Il Marocco rimase costernato quando constatò che una piccola

156 maggioranza di Stati membri dell’OUA (26 su 50) aveva riconosciuto la RASD ed era favorevole alla sua ammissione come membro dell’OUA, conformemente all’articolo 28 della sua Carta.347

Il Marocco, a questo punto, minacciò di ritirarsi dall’Organizzazione Africana se la RASD fosse stata ammessa e contestava l’eleggibilità e l’ammissione della Repubblica Sahrawi, sostenendo che non si trattava di uno Stato indipendente e sovrano.

Il successivo incontro del Comitato, tenutosi a Freetowm dal 9 all’11 settembre 1980 , vide la partecipazione del Primo ministro marocchino, Maati Bouabid e del ministro degli Affari esteri Boucetta, che si limitarono a dichiarare che il Fronte Polisario era un’invenzione dell’Algeria, pertanto il conflitto riguardava Marocco ed Algeria e a sostenere che il popolo del Sahara occidentale non aveva alcuna necessità di esprimere la propria volontà attraverso un referendum. perché aveva già espresso la sua volontà di essere integrato al Marocco.

L’OUA da parte sua ribadì la richiesta del cessate il fuoco a partire dal mese di dicembre 1980 e la necessità di realizzare un referendum preparato e organizzato in collaborazione con l’ONU.

Tutti gli alleati occidentali del Marocco, tra i quali il Presidente degli Stati Uniti Carter, il presidente francese Giscard d’Estaing, il re Juan Carlos, cercarono di convincere Hassan II a scendere a compromessi, almeno sul referendum, altrimenti l’ammissione della RASD sarebbe stata inevitabile nel corso del successivo summit dell’OUA, previsto a nel giugno del 1981.

Per uscire dall’isolamento nel corso del summit di Nairobi, Hassan II annunciò la volontà di realizzazione un referendum “controllato” e di riaprire la questione sahariana, seguendo le raccomandazioni della Commissione ad hoc, pur considerandolo inutile, perché il Marocco era convinto dei suoi diritti legittimi. Il re fu applaudito per la sua magnanimità e per il secondo anno consecutivo nessuna decisione fu presa riguardo all’ammissione della RASD all’OUA.

Ma l’Algeria e il Fronte Polisario dubitavano della sincerità del re, erano convinti che la monarchia stesse cercando di guadagnare tempo per ritardare o evitare l’ammissione della RASD all’OUA, di fatto tutte le dichiarazioni rilasciate dal re nelle settimane precedenti e alla vigilia del summit348 non rivelavano affatto l’intenzione di abbandonare il Sahara, così come dimostrava anche l’adozione della strategia dei ‘muri’.

347 “Tutti gli Stati africani, indipendenti e sovrani, possono notificare al Segretario generale amministrativo la loro intenzione di aderire alla presente Carta. Il Segretario generale ricevuta questa notifica ne invia copia a tutti i membri. La decisione è presa con la maggioranza semplice degli Stati membri” M. Barbier, L’admision de la RASD a l’O.U.A., in Sahara info n. 61 aprile-maggio 1982 pp. 9 – 12. 348 “Noi non rinunceremo a nemmeno un granello di sabbia di questo Sahara marocchino per il quale tanti dei nostri hanno sacrificato il loro sangue e che ci è costato tanto denaro” intervista televisiva di Hassan II il 24 giugno 1980 prima della sua partenza per il summit di Nairobi. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 375. 157

Come ebbe a dichiarare lo stesso Hassan II, la sua interpretazione del progetto di referendum era alquanto restrittiva. In più occasioni dichiarò di essere stato, da sempre, a favore di un referendum con valore confermativo, ma non all’autodeterminazione, perché metteva in discussione la sovranità del Sahara. Probabilmente il re pensava ad una consultazione che riguardasse solo la popolazione residente nel Sahara sotto controllo marocchino, senza tenere molto in considerazione gli esiliati sahrawi in Algeria.349 Il re dichiarò inoltre che considerava parti interessate nel conflitto sahariano oltre al Marocco, l’Algeria e la Mauritania e non il Fronte Polisario, che non era mai stato riconosciuto nemmeno dalla comunità africana.350

Era possibile che l’accettazione del referendum fosse per il Marocco una tattica per uscire dall’isolamento internazionale e per godere dell’appoggio dei suoi alleati, per guadagnare tempo, al fine di attuare la sua nuova politica sahariana, per spostare il dibattito su un altro terreno.

La conferenza di Nairobi351 adottò la risoluzione AHG/Res. 103 (XVIII), un piano di pace, che in otto punti invitava le parti in conflitto ad osservare un cessate il fuoco immediato, chiedeva all’ONU di inviare una missione di pace per seguire l’organizzazione e lo svolgimento del referendum. Veniva inoltre creato un Comitato esecutivo composto dai Presidenti di Kenia, Guinea, Mali, Nigeria, Sierra Leone, Sudan e Tanzania con l’incarico di prendere, in accordo con le Nazioni Unite, tutte le misure necessarie per garantire al popolo sahrawi l’esercizio di un referendum di autodeterminazione regolare.352

Il Comitato esecutivo dell’OUA si riunì sempre a Nairobi il 25 e 25 agosto 1981 e senza alcuna esitazione adottò la risoluzione, che però non accontentò né il Marocco, né il Fronte Polisario, né l’Algeria. Nel corso delle settimane successive il Fronte Polisario chiese al Marocco di procedere con dei negoziati diretti, ma Hassan II rifiutò la proposta, dichiarando di voler discutere solo con gli algerini. Da parte sua, il Presidente Chadli Bendjedid si rifiutò categoricamente di negoziare al posto dei Sahrawi.

Nel corso di una riunione, tenutasi a Nairobi il 6 e 7 febbraio 1982 tra i ministri degli Affari esteri della Comitato esecutivo, si tentò di trovare una soluzione per far uscire dall’impasse il piano di pace dell’OUA, affermando che le uniche parti in conflitto coinvolte nei negoziati dovevano essere Fronte Polisario e Marocco. Il re decise di non partecipare personalmente alla conferenza dell’8 e 9 febbraio 1982 ma inviò al suo posto il ministro degli Affari esteri marocchino Boucetta, che

349 Solo successivamente Hassan II dichiarò che i Sahrawi rifugiati a Tindouf saranno liberi di scegliere se andare o meno a votare in Marocco. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 244. 350 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 376. 351 Il 18° vertice dell’OUA si tenne a Nairobi dal24 al 26 giugno 1981. 352 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 245. 158 dichiarò che il Fronte Polisario non era stato mai riconosciuto come movimento di liberazione, che la Repubblica Sahrawi non era uno Stato e che il re non poteva che negoziare con i suoi pari: Algeria e Mauritania. Nello stesso tempo il re del Marocco cercò di far comprendere all’OUA che l’opinione pubblica marocchina non avrebbe più tollerato compromessi.353

Il Comitato preoccupato di perdere totalmente la cooperazione del Marocco decise di non nominare direttamente le parti coinvolte nel conflitto, che così non poterono negoziare, nemmeno indirettamente, un cessate il fuoco. Di conseguenza il Comitato si dovette accontentare di adottare una risoluzione che stabilisse un cessate il fuoco, che sarebbe entrato in vigore dopo aver consultato tutte le “parti interessate”. Per il Marocco questa risoluzione fu un grande successo, in quanto permise al re di ignorare ancora una volta il Fronte Polisario.354

4.9. L’ammissione della RASD all’OUA

Nell’estate del 1981 il Segretario generale dell’OUA comunicava al governo della RASD la sua ammissione all’Organizzazione Africana, ai sensi dell’articolo 28 della Carta dell’OUA. La RASD rinforzava la sua legittimità nel contesto africano, era il 51° membro dell’Organizzazione dell’Unità Africana, con il sostegno di ventisei Stati africani.

Il 22 febbraio 1982 si apriva ad Addis Abeba un nuovo Consiglio dei Ministri dei Paesi dell’OUA, a cui, per la prima volta, prese parte una delegazione della RASD, composta dal Ministro degli affari esteri Hakim e dal Ministro dell’Informazione Ould Salek. Si prevedevano reazioni negative da parte del Marocco ed effettivamente la delegazione marocchina, composta da un solo ambasciatore, abbandonò la conferenza insieme ad altri diciotto Paesi, che si unirono al boicottaggio marocchino, determinando la sospensione del summit per mancanza di quorum. Hassan II inviò in seguito due lettere al Presidente e al Segretario generale dell’OUA, che si trovarono ad affrontare una crisi senza precedenti.355 Gli Stati africani favorevoli all’ammissione

353 Le argomentazioni del re furono rinforzate da alcune dichiarazioni del comitato politico dell’U.S.F.P. che dichiarò: l’accettazione del progetto di referendum dell’OUA fa presupporre una predisposizione alla rassegnazione della monarchia, che vuole abbandonare le provincie del Sahara occidentale. Questa dichiarazione dell’U.S.F.P. fu una benedizione per Hassan II, perché gli permise di far pazientare l’OUA. L’opinione pubblica marocchina non poteva ammettere che il Marocco facesse altre concessioni. Dal punto di vista interno le dichiarazioni del partito diedero al re il pretesto per accentuare la repressione nei confronti dell’U.S.F.P., che non aveva ottenuto lo stesso sostegno popolare che aveva avuto all’epoca della ‘rivolta del pane’. La dichiarazione del 5 settembre 1982 concretamente, provocò solo un leggero imbarazzo negli alleati socialdemocratici dei partiti stranieri, come per esempio il presidente Francois Mitterand, da poco eletto Presidente in Francia. Cinque degli otto membri dell’esecutivo dell’U.S.F.P. furono arrestati e accusati di turbare l’ordine, la tranquillità e la sicurezza. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 377 – 378. 354 La stampa ufficiale marocchina affermò che il Fronte Polisario non era altro che una Algeria travestita, l’Algeria è il Polisario, il Polisario non è altro che l’Algeria. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 247. 355 In primo luogo Hassan II denunciava il “fatto compiuto” e qualificò l’ammissione della RASD come un “brigantaggio giuridico”, in secondo luogo egli considerò questa decisione nulla, in quanto, la RASD, ai suoi occhi, non 159 della RASD erano in maggioranza, ma le conferenze per potersi realizzare avevano bisogno della presenza dei due terzi degli Stati (34 dopo l’ammissione della RASD). Le due conferenze organizzate nei mesi di marzo ed aprile del 1982 furono boicottate come quella di Addis Abeba.356

Il 23 marzo 1982, il ministro degli Affari esteri marocchino Boucetta chiese all’OUA di convocare una sessione straordinaria per revocare l’ammissione della RASD. Sembrava difficile poter riunire la maggioranza dei due terzi degli Stati membri per sostenere questa richiesta. Il summit avrebbe dovuto tenersi in Libia, che ne avrebbe dovuta assumere la presidenza. Ma i paesi africani allineati con l’Occidente, i cosiddetti paesi ‘moderati’, con la pressione degli Stati Uniti, decisero di ritirarsi dalla conferenza, con il pretesto di non voler discutere dell’ammissione della RASD all’OUA, che fu dichiarato “un grave errore”, 357 non permettendo così al presidente libico di assumere la presidente dell’OUA per un anno intero.

I Paesi che avevano boicottato il vertice libico, l’8 agosto 1982 crearono un comitato di cinque capi di Stato africani (Congo, Libia, Mali, Zambia e Tanzania) al fine di riorganizzare il summit entro tre mesi. Per non esasperare lo schieramento francofono, detto ‘moderato’, favorevole al Marocco e per non aggravare la crisi dell’OUA, la RASD decise, nonostante le reticenze, di non partecipare volontariamente al vertice di Addis Abeba del 1983, nell’interesse dell’integrità dell’Unità Africana. La conferenza fu salva e finalmente dopo essere stata rimandata molte volte si realizzò. L’assenza volontaria della RASD dal summit rappresentò una grande vittoria diplomatica per i Sahrawi, perché permise l’avanzamento del piano di pace proposto dall’OUA nel 1981. L’11 giugno 1983 il summit adottò per consenso la risoluzione AHG 104, 358 attraverso la quale l’Organizzazione Africana si pronunciò con estrema chiarezza, invitando, per la prima volta e in modo esplicito, le parti in causa, Marocco e Fronte Polisario, a procedere a negoziati diretti, con l’obiettivo di giungere ad un accordo sul cessate il fuoco e alla realizzare un referendum di autodeterminazione, in tempi brevi. Ciò mise in moto la collaborazione e il coordinamento tra ONU e OUA. L’Organizzazione africana chiedeva all’ONU di inviare delle forze di pace per garantire la pace e la sicurezza nel periodo precedente alla consultazione referendaria, mentre il Marocco e il Fronte furono invitati ad incontrarsi insieme al Comitato esecutivo, per studiare le modalità del

era uno Stato sovrano e indipendente M. Barbier, L’admision de la RASD a l’O.U.A., in Sahara info n. 61 aprile-maggio 1982 pp. 9 – 12. 356 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 379 – 380. 357 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 380. 358 La risoluzione AHG 104 dell’11 giugno 1983 è contenuta integralmente nella risoluzione 38/40 del 7 dicembre 1983 dell’Assemblea Generale dell’ONU. 160 cessate il fuoco, del referendum, in modo tale che questo potesse realizzarsi nell’arco di sei mesi, ossia nel dicembre del 1983.359

Ma Hassan II non voleva saperne di negoziare con il Fronte Polisario360 e di accettare la risoluzione AHG 104. Questo non aiutava certamente a rafforzare la posizione del Marocco in ambito africano, perché anche gli Stati, come il Sénégal, che avevano sostenuto le sue operazioni di boicottaggio dei vertici dell’OUA, nel 1982 cominciarono a perdere la pazienza davanti all’intransigenza marocchina e a preferire l’attuazione della risoluzione approvata dall’OUA.

Come conseguenza diretta del rifiuto di Rabat a negoziare con il Polisario il 27 febbraio 1984, in occasione dell’8° anniversario della proclamazione della Repubblica sahrawi, la Mauritania riconosceva la RASD e pochi giorni dopo fu la volta del Burkina Faso (4 marzo 1984).

Il successivo vertice dell’OUA che doveva tenersi a Conakry, in Guinea, a metà del 1984, fu spostato al 12 novembre 1984, a causa del colpo di stato e la morte del presidente della Guinea Ahmed Sekou Touré, alleato di Hassan II. Il 20° summit dell’OUA si celebrò allora ad Addis Abeba alla presenza ufficiale della delegazione della Repubblica sahrawi, come Stato membro a tutti gli effetti.361 La delegazione marocchina presieduta da Reda Guedira, consigliere personale del re, annunciò ufficialmente, che in segno di protesta contro l’ammissione della RASD, il Marocco abbandonava l’Organizzazione dell’Unità Africa, insieme allo Zaire, che però nel vertice del 1986 rientrò a pieno titolo.362

La battaglia internazionale dei Sahrawi cominciava a dare buoni risultati, ma non poteva fermarsi al continente africano, ma doveva estendersi all’America, all’Asia e all’Oceania.

4.10. L’ONU e il movimento dei paesi non allineati363

Nel 1976 e nel 1977 il Marocco riuscì a distogliere l’attenzione dell’ONU, dell’OUA e del Movimento dei paesi non allineati dai Sahrawi. In realtà il progetto dell’OUA, approvato nel vertice

359 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 382. 360 In realtà Mohamed Abdelaziz rivelò che il 9 giugno 1983 tre alti funzionari marocchini Boucetta, Driss Basri (Ministro dell’Interno) e Ahmed Reda Guedira (consigliere del re), incontrarono Mahfoud Ali Beiba (Primo ministro), Mohamed Salem Ould Salek (Ministro dell’informazione), Bachir Mustapha Sayed (fratello di El Ouali e membro del comitato esecutivo), ma senza alcun esito positivo. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 382 383. 361 Non solo la RASD poteva occupare il suo seggio all’OUA, ma fu eletta nel 1985 per la prima volta alla vice- presidenza. 362 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 250. 363 Il Movimento dei paesi non allineati è un'organizzazione internazionale che riunisce più di 100 Stati che si considerano non allineati con o contro le principali potenze mondiali. Il Movimento fu istituito da Tito, presidente della Repubblica Socialista Federale della Iugoslavia, insieme a Nehru (India) e Nasser (Egitto), per creare un’alleanza tra Stati che non volevano schierarsi con le potenze della Guerra Fredda. Il primo vertice si tenne a Belgrado nel 1961 con 25 membri, che dichiararono la loro opposizione al colonialismo, all’imperialismo e al neocolonialismo. Il vertice successivo si tenne al Cairo nel 1964 tra 46 Stati, molti dei quali erano Stati africani che avevano appena raggiunto l'indipendenza. Tra gli argomenti principali di discussione il conflitto arabo-israeliano. 161 di Port Louis,364 prevedeva di riunire in una sessione straordinaria proprio per discutere della questione del Sahara occidentale. Nel corso del 5° summit dei Paesi non allineati di Colombo, in Sri Lanka, nel luglio del 1976 fu adottata una risoluzione nella quale si sperava che l’OUA, dopo il vertice straordinario, potesse giungere a una soluzione giusta e duratura del conflitto. Nel 1979 nel vertice di Cuba, i Paesi non allineati adottarono una risoluzione molto favorevole alla causa sahrawi, seconda la quale la conferenza si felicitava dell’accordo di pace tra Mauritania e Fronte Polisario, condannava l’occupazione armata del Marocco del Sahara e affermava che il popolo sahrawi doveva poter esercitare il suo diritto all’autodeterminazione. Nel 1981, nella conferenza dei Ministri degli affari esteri riunitasi a Nuova Dehli, i Paesi non allineati invitavano le parti coinvolte a negoziare.

Anche le Nazioni Unite con la risoluzione dell’Assemblea Generale A/RES/31/45 del 1° dicembre 1976, prese atto della “decisione presa dalla conferenza dei capi di Stato e dei governi dell’Organizzazione dell’Unità Africana di organizzare una sessione straordinaria, in vista di trovare una soluzione giusta e duratura al problema del Sahara occidentale” e di rinviare l’esame della questione all’anno successivo.365

Dopo il colpo di stato in Mauritania non fu più possibile al Marocco impedire che l’Assemblea Generale dell’ONU prendesse una propria posizione, in merito alla questione del Sahara occidentale.

Anche in questa occasione furono proposti due progetti di risoluzione contrapposte. La risoluzione 33/31-A,366 facendosi al rapporto della missione delle Nazioni Unite del 1975, alla sentenza della Corte di Giustizia Internazionale dell’Aia e al vertice di Khartoum riaffermava l’inalienabile diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione e alla indipendenza, ricordava le responsabilità dell’ONU in materia di decolonizzazione, riconosceva per la prima volta l’esistenza del Fronte Polisario ed esprimeva il proprio apprezzamento per la dichiarazione del cessate il fuoco con la Mauritania. La risoluzione fu approvata con 90 voti a favore, 10 voti contrari367 e 39 astensioni. Il secondo progetto di risoluzione 33/21/-B sostenuto dal Marocco si limitava a prendere atto delle decisioni dell’OUA nella conferenza di Khartoum del luglio 1978 e lanciava un appello a tutti gli Stati della regione affinché sostenessero gli sforzi dell’Organizzazione Africana per arrivare a una soluzione giusta e pacifica del problema sahrawi. Questo progetto di risoluzione ottenne 66 voti a

364 Risoluzione AHG/Res. 81 (XIII) approvata dall’OUA nel luglio del 1976. 365 Il Marocco anche l’anno successivo riuscì ad impedire la realizzazione della sessione straordinaria dell’OUA e così ancora una volta le Nazioni Unite si limitarono ad approvare una nuova risoluzione A/RES/32/22 del 28 novembre 1977 sulla base del rapporto della IV Commissione e a rimandare ogni decisione all’anno successivo, il 1978. 366 Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU A/RES/33/31 A del 13 dicembre 1978. 367 Voti contrari di Marocco, Mauritania, Repubblica centroafricana, Egitto, Gabon, Grenada, Indonesia, Israele, Nicaragua e Zaire. 162 favore, 30 contrari, capeggiati dall’Algeria,368 40 astensioni, tra di loro la Francia e i Paesi socialisti. Ancora una volta, come nel 1975, prima dell’invasione del Sahara, si manifestò una profonda frattura nell’ONU di fronte ad un problema di decolonizzazione che faticava a realizzarsi.369

Nel 1979 le Nazioni Unite e i Paesi non allineati370 espressero attraverso l’approvazione di una nuova risoluzione la loro soddisfazione per la firma dell’Accordo di Algeri e la pace tra Mauritania e Fronte Polisario, condannarono l’occupazione marocchina del sud del Sahara, precedentemente amministrato dalla Mauritania e ribadirono il diritto inalienabile del popolo sahrawi all’autodeterminazione e all’indipendenza. La risoluzione votata dall’ONU il 21 novembre 1979, chiedeva inoltre al Marocco di intraprendere un percorso di pace capace di portare al più presto alla fine dell’occupazione del territorio sahariano e di riconoscere il Fronte Polisario come legittimo rappresentante del popolo sahrawi.371

Dopo che Hassan II si impegnò a realizzare il referendum e che l’Organizzazione dell’Unità Africana realizzò il Comitato esecutivo, deciso nel corso del vertice di Nairobi del 1981, le risoluzioni dell’Assemblea Generale si focalizzarono sulla necessità di realizzare dei negoziati diretti tra Fronte Polisario e Marocco.372

La risoluzione A/RES/38/40 del 7 dicembre 1983 adottò pienamente il testo della risoluzione AHG 104 approvata dall’OUA. In particolare appoggiava del piano di pace africano soprattutto le negoziazioni dirette tra le parti, sollecitava il Segretario generale delle Nazioni Unite a impegnarsi con ogni mezzo possibile per coinvolgere attivamente l’ONU nell’organizzazione del referendum.373

Nell’insieme possiamo dire che il Fronte Polisario fece degli impressionanti progressi sul piano diplomatico. Nel 1987 avevano riconosciuto la RASD 69 Paesi, la RASD era divenuta il 51° membro dell’OUA, ma soprattutto OUA e ONU insieme stavano appoggiando la richiesta del

368 Il governo algerino, è sempre stato all’avanguardia nel sostegno ai popoli in lotta per l’emancipazione dalle potenze coloniali e dalle interferenze politiche ed economiche occidentali, assumendo un ruolo di primo piano fra i Paesi non allineati durante il periodo della guerra fredda. 369 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 254 – 255. 370 I Paesi non allineati si riunirono nel 6° summit a La nel settembre 1979 e approvarono la risoluzione AHG 104 dell’OUA nel corso della conferenza dei Ministri degli affari esteri riunitasi a Luanda (Angola) nel 1985; nello stesso modo si pronunciarono nell’8° vertice dei non allineati di Harare, in Zimbawe, nel settembre del 1986, ratificando il piano di pace dell’ONU e dell’OUA; ed infine nel comunicato finale della riunione dei Ministri degli affari esteri dei non allineati tenutasi a Nicosia, a Cipro, nel 1988, si ribadiva l’appoggio al diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 259 – 260. 371 L’Assemblea Generale approvò con 85 voti a favore e 6 voti contrari la risoluzione A/RES/34/37 del 21 novembre 1979 e con 88 voti a favore e solo 8 contro la risoluzione A/RES/35/19 dell’11 novembre 1980. 372 Risoluzione A/RES/36/46 del 24 novembre 1981; risoluzione A/RES/37/28 del 23 novembre 1982. 373 Negli anni successivi furono approvate dall’Assemblea Generale una risoluzione, ciascuna ribadiva gli stessi punti: A/RES/39/40 del 5 dicembre 1984; A/RES/40/50 del 2 dicembre 1985; A/RES/41/16 del 31 ottobre 1986; A/RES/42/78 del 4 dicembre 1987; A/RES/43/33 del 22 novembre 1988. 163

Fronte Polisario di negoziare direttamente con il Marocco, per arrivare in un primo momento a un cessate il fuoco e procedere poi alla realizzazione di un referendum di autodeterminazione, sotto l’egida delle organizzazioni internazionali. Ormai il Marocco poteva trovare appoggi in Occidente, e in una certa misura nel mondo arabo, malgrado ciò Francia, Stati Uniti e Arabia Saudita, Paesi che avevano messo a disposizione aiuti militari e finanziari al Marocco in tutti questi anni, ora si rifiutavano di riconoscere ufficialmente la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale.

4.11. La Lega araba374 e il rapporto del Marocco con Israele

Nei primi anni di guerra la maggior parte dei Paesi arabi, ad eccezione dell’Algeria e della Libia, avevano dato il loro pieno sostegno al Marocco e alla Mauritania. L’Arabia Saudita aveva aiutato finanziariamente il Marocco per l’acquisto di armi e aveva sostenuto la debole economia mauritana. Nel corso degli anni il successo diplomatico e militare del Fronte Polisario portò alcuni governi arabi ad agire con prudenza Hassan II perse il favore di qualche Stato arabo, soprattutto dopo aver incoraggiato Sadat a visitare nel 1977 Gerusalemme e averlo lodato, per aver avviato, di fatto, il processo di pace tra Egitto e Israele, che si concluse nel 1978 con la firma del Trattato di Camp David. 375 La situazione del re del Marocco si aggravò dunque nel momento in cui accolse il presidente Sadat in Marocco, dopo la firma degli accordi di Camp David.

A fronte di questa situazione, nel 1978 lo Yemen del sud decise di riconoscere la RASD e nel 1980 arrivò il momento di Siria e Libia. All’inizio del 1978, l’Arabia Saudita, dopo aver manifestato disappunto per la politica del Marocco in Medio Oriente, sospese gli aiuti finanziari al governo marocchino.

Nel 1985 l’amministrazione Reagan concesse forniture militari al Marocco, proprio per il merito che Hassan II si era guadagnato come moderatore nel conflitto arabo-israeliano. Israele, da parte sua, era fedele al principio della cosiddetta ‘dottrina della periferia’, attraverso la quale cercava di neutralizzare l’aggressività degli Stati arabi confinanti, mediante la creazione di legami sia con Stati

374 La Lega araba si costituì nel 1945 ad opera di Egitto, Siria, Arabia Saudita, Yemen, Giordania, Iraq e Libano. Successivamente aderirono anche Libia, Sudan, Tunisia, Marocco, Kuwait, Algeria, Somalia, Emirati arabi uniti, Bahrain, Qatar, Oman, Mauritania, Gibuti, Comore, OLP. Furono ammessi come osservatori a partire dal 2002: Brasile, Eritrea, Venezuela e India. La sede delle Lega fu fissata a Il Cairo, in Egitto, ad esclusione del periodo che va dal 1979 al 1989 quando l’Egitto venne sospeso a causa dei trattati di Camp David. In quel periodo la sede fu spostata a Tunisi, in Tunisia. Dal 16 novembre 2011 la Siria è sospesa. 375 A seguito dell'alleanza con gli Stati Uniti, il Marocco fu uno dei primi Paesi islamici a riaprire i rapporti con Israele; per contro, come vedremo, questo causò un allontanamento dal resto del mondo arabo, nonostante molti membri dell’Istiqlal fossero ebrei e lo stesso partito avesse da sempre avuto ottimi rapporti con il World Jewish Congress. Quando la situazione in Medio Oriente peggiorò moltissimi ebrei marocchini decisero di abbandonare il Paese. Il governo non si dimostrò propenso a far emigrare i 250.000 ebrei che risiedevano in Marocco e che costituivano la parte più ricca ed istruita del Paese. Dal 1957 al 1961 circa 18.000 ebrei lasciarono il Marocco, ma solo pochi si stabilirono in Israele, la maggior parte emigrò in Canada, Francia e Stati Uniti. Attualmente i marocchini di religione ebraica costituiscono lo 0, 2% della popolazione. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, p. 197. 164 non arabi della periferia del Medio Oriente (Turchia, Etiopia, Iran), sia con Stati arabi ,geograficamente lontani dal problema mediorientale (Marocco, Mauritania, Oman).376

Così Hassan II decise di incoraggiare ulteriormente l’aiuto americano annullando il trattato con la Libia 377 e invitando, nel luglio 1986, in Marocco Shimon Peres, accordando con lui una collaborazione in campo agricolo e militare, tra gli ufficiali israeliani e le FAR, nonostante questa gesto fosse mal visto dal mondo arabo.378

Il cambiamento di approccio del mondo arabo nei confronti di Hassan II si rivelò chiaramente già nel corso dell’Assemblea Generale dell’ONU del 13 dicembre 1978, quando solo l’Egitto e la Mauritania votarono contro un progetto di risoluzione che riconosceva l’autodeterminazione del popolo sahrawi. La maggior parte degli altri Stati arabi, tra cui l’Arabia Saudita, si astennero. Hassan II, in un primo momento pensò allora di cambiare strategia per riconquistare l’appoggio dei Paesi arabi e recuperare la relazione con i sauditi.379 Nel corso del summit di Bagdad del novembre 1978, si riallineò alla politica degli altri Paesi arabi nel Medio Oriente, accettando di boicottare l’Egitto e di ritirare il proprio ambasciatore, in risposta agli accordi di Camp David. Il presidente egiziano, che si era sentito tradito da Hassan II, decise di riguadagnare i favori del re inviando armi al Marocco.

Hassan II, abile statista, seppe costruirsi un’immagine in politica estera per uscire dall’isolamento internazionale, dovuto alla sua politica sahariana. Non erano mancati alti e bassi.

376 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, pp. 214 – 215. 377 Nell’ottobre 1985 gli Stati Uniti bombardarono Tripoli e Bengasi, nell’aprile dell’anno successivo Gheddafi, visto il non intervento del Marocco in suo favore, e valutando l’avvicinamento alle potenze occidentali attraverso la mediazione marocchina non aveva dato i risultati sperati, decise di annullare il trattato di Oujda e di riavvicinarsi all’Algeria. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 278. 378 “Israele e Marocco crolla un altro muro. - Si è aperta ieri un'altra breccia nel muro che divide Israele dal mondo arabo. Dopo l'Egitto di Sadat, 15 anni fa, anche il Marocco di re Hassan II ha avviato le relazioni diplomatiche con Gerusalemme. "Il governo di Israele annuncia la sua decisione di aprire un "ufficio di rappresentanza" a Rabat e autorizza il regno del Marocco ad aprire un ufficio analogo a Tel Aviv", recita la nota diffusa dal ministero degli Esteri israeliano. Una formula prudente che però, secondo ministro degli Esteri Shimon Peres, è la base verso lo scambio di ambasciatori. […] Contemporaneamente all'ufficio di Gerusalemme, Rabat aprirà un "ufficio di rappresentanza" anche a Gaza, sede dell’Autorità nazionale palestinese che amministra i territori occupati. Rabat continuerà a mantenere un rappresentante anche a Tunisi dove rimane il governo palestinese in esilio. Re Hassan II ha voluto dare così un colpo al cerchio, l' Olp, e un colpo alla botte, Israele. Tanta cautela è giustificata dal timore di suscitare attriti con gli altri Paesi arabi che rimangono su posizioni intransigenti nei confronti di Tel Aviv. […]Storicamente il Marocco è stata sede di una fiorente comunità israelitica, che tuttavia negli ultimi decenni è in gran parte emigrata in Israele. Circa 600.000 israeliani, un decimo della popolazione dello stato ebraico, é di origine marocchina. Il governo di Re Hassan II da anni intrattiene di fatto relazioni con quello israeliano e negli anni 70 si prodigò per spingere l' Egitto alla pace. Due primi ministri israeliani sono stati in visita a Rabat, l'ultima volta fu proprio Rabin. I due Paesi intrattengono rapporti commerciali nell'ordine di centinaia di milioni di dollari. […]” Corriere della Sera, Israele e Marocco. crolla un altro muro re Hassan ha avviato relazioni diplomatiche con Gerusalemme. Secondo i giornali israeliani il sovrano vuole assicurarsi una posizione forte sul futuro dei luoghi santi dell’Islam, 2 settembre 1994, p. 7. 379 Il re saudita Khaled nel 1979 decise dopo una visita in Marocco di riprendere a sostenere finanziariamente il governo marocchino. 165

Nel 1965 furono temporaneamente sospese le relazioni con la Francia di De Gaulle a seguito dell’affaire Ben Barka; negli anni ’80 vi fu un momento critico con gli Stati Uniti, quando Hassan II decise di firmare un accordo con Gheddafi, in cambio della sospensione degli aiuti al Fronte Polisario;380 ma soprattutto in Africa, all’OUA, il re non ottenne l’approvazione del suo progetto di annessione del Sahara Occidentale. Anche per queste ragioni Hassan II si rivolse ad altre aree, in particolare al Medio Oriente, dove fu uno dei protagonisti più moderati, fin dai tempi degli accordi di Camp David. Il re compì il passo più audace intrattenendo relazioni con il governo israeliano, ma nel 1985 accolse in Marocco anche Papa Giovanni Paolo II, visita che poi gli fu ricambiata in Vaticano nel dicembre 1991 affermandosi come uomo del dialogo, anche con il mondo cristiano.

Tra il 1979 e il 1982 il Marocco ottenne un grande aiuto finanziario dall’Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo per l’acquisto di armi, che furono procurate in Francia e negli Stati Uniti. Ma a partire del 1983, a causa della caduta del prezzo del petrolio, l’Arabia Saudita diminuì drasticamente il suo supporto al governo marocchino.

Raramente i Paesi arabi conservatori offrirono apertamente il loro appoggio alla politica sahariana del Marocco per prudenza e per non mettere in pericolo le relazioni con l’Algeria. La maggior parte di loro preferì astenersi dal votare le risoluzioni dell’ONU sul problema del Sahara occidentale, senza schierarsi apertamente né da una parte, né dall’altra. Nessun Paese arabo infatti votò contro la risoluzione dell’Assemblea generale che proponeva l’avvio di negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario adottata il 2 dicembre 1985, ma anzi sette Paesi arabi votarono a favore,381 gli altri si astennero o si assentarono durante le operazioni di voto.

4.12. L’Algeria e il Marocco tra conflitto e pacificazione

Il conflitto in Sahara fu il principale focolare di tensione in Africa nord-occidentale dopo il 1975. Questa guerra d’usura minacciava il morale della FAR, aggravava la situazione economica marocchina e la stabilità del regno alaouita. Senza dubbio fu questa particolare situazione del Marocco all’origine dei segnali di apertura, che sul finire degli anni ’80, il governo marocchino cominciò a rivolgere verso l’Algeria, scongiurando il pericolo di una guerra tra Algeri e Rabat.

380 Nell’estate del 1983 Hassan II assicurò a Gheddafi che il Marocco non avrebbe appoggiato il presidente Hadré in Ciad che era in lotta con le forze del G.U.N.T. appoggiate dalla Libia. Il trattato di unione venne firmato a Oujda il 13 agosto 1984. Lo scopo del trattato era quello di contribuire in futuro all’unificazione del Maghreb arabo e alla realizzazione dell’unità della ‘nazione araba’. L’Unione sollevò diverse critiche in Occidente, in Francia dove il presidente Mitterand espresse la sua preoccupazione nel vedere il Marocco legato a un paese che stava combattendo le truppe francesi in Ciad. Anche gli Stati Uniti non espressero soddisfazione per l’accordo con il leader libico, perché andava contro la politica statunitense d’isolamento della Libia. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 387 e F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus, Pisa University press, 2010, p. 214. 381 Algeria, Egitto, Mauritania, Sud Yemen, Sudan, Siria e Tunisia. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 388. 166

Quale era il ruolo dell’Algeria nello scenario intermaghrebino? Quale peso aveva la questione del Sahara occidentale nei rapporti tra i paesi del Maghreb?

L’Algeria cominciò ad avere un peso politico internazione dopo l’indipendenza dalla Francia.382 Fu solo attraverso un lento percorso storico di crescita che l’Algeria riuscì gradatamente a maturare l’autocoscienza delle sue enormi potenzialità, indipensabile bagaglio per l’acquisizione di una centralità all’interno del Maghreb, in chiara contrapposizione alle aspirazioni del Marocco, che da sempre pretendeva di essere l’unico punto di riferimento della regione.

In questo contesto due sono le fasi fondamentali dell’evoluzione storica dell’Algeria che debbono essere prese in considerazione: la prima è la guerra delle sabbie dell’autunno del 1963, momento in cui l’antagonismo tra Algeri e Rabat si manifestò in maniera diretta; la seconda è la questione del Sahara occidentale, che rappresentò un momento di scontro indiretto tra Algeria e Marocco.

Le frontiere algerine ereditate dalla Francia determinarono da subito un antagonismo tra Marocco e Algeria. Il deficit territoriale del Marocco, che si era tradotto in un elemento di egemonia e dunque di vantaggio per l’Algeria, portò la monarchia marocchina a riassorbire questo deficit fagocitando ampie porzioni dei territori limitrofi, che sfociò nel progetto del ‘Grande Marocco’. 383

Il 6 luglio 1961, prima dell’indipendenza algerina, il Marocco e il Governo Provvisorio della Repubblica Algerina (G.P.R.A.), siglarono un accordo attraverso il quale era possibile intravedere una soluzione pacifica del problema delle frontiere tra i due Paesi.384 I due governi decisero di intraprendere la costruzione del Maghreb arabo, un’alleanza tra paesi ‘fratelli’ che prevedeva una collaborazione di tipo politico ed economico. Il governo marocchino inoltre dichiarò l’intezione di

382 La sanguinosa guerra di liberazione per l’indipendenza si concluse il 1° luglio 1962, giorno in cui secondo quanto stabilito dagli accordi franco-algerini di Evian, si svolse il referendum attraverso il quale il 91% della popolazione algerina votò a favore dell’indipendenza, proclamata ufficialmente il 5 luglio. Donini I Paesi arabi Editori riuniti 1983 383 Anche dal punto di vista territoriale l’Algeria occupava una posizione dominante tra gli Stati maghrebini, già questo era un primo importante elemento di giudizio capace di delinerare il quadro dei rapporti interstatali nell’area maghrebina. Oltre al dato quantitativo era utile anche evidenziare la particolare configurazione territoriale dell’Algeria, che si presentava come un corpo centrale, i cui margini si protendevano verso l’esterno riuscendo a lambire i confini di tutti gli Stati del Maghreb (Algeria 2.381.741 Kmq; Libia 1.757.000 kmq; Mauritania 1.030.700 kmq; Marocco 458.730 kmq; Sahara occidentale 252.120 kmq; Tunisia 164.150. Dati contenuti nell’Atlante geografico De Agostini). La configurazione territoriale dell’Algeria fu il risultato della politica di penetrazione francese, mossa dalla volontà di “porre sotto la sovranità della Francia la maggior estensione di territorio possibile”. Non era il solo dato quantitativo l’unico elemento da prendere in considerazione, ma anche la valenza politico-strategica di un territorio, quello algerino, i cui margini protendono verso ovest, riuscendo così a lambire tutti gli stati del Maghreb e ad accerchiare il Marocco (pensiamo alla città di Figuig che si incastra in pieno territorio marocchino) determinando una continuità algerina dal Mediterraneo all’Atlantico e la conseguente interruzione di ogni possibile contiguità del territorio marocchino con il resto del Maghreb. E. Mèric, Le conflit algéro-marocain, Revue française de Science politique, 15e année, 1965, n. 4 pag 747. 384 Dopo il trattato di Lalla Marnia del 1845 stipulato tra Francia e Marocco definì esattamente solo 165 km di confine, dal Mediterraneo verso sud, fino a Teniet el-Sassi, località dopo la quale non si ritenne opportuno fissare limiti precisi, essendo un’area desertica, dove alcune tribù esercitavano la propria influenza. L’indeterminatezza dei confini proseguì anche dopo il Protocollo di Parigi del 1901, che stabilì solo alcuni presidi doganali e militari a sud di Teniet-el-Sassi fino a Figuig. Nel 1956, dopo l’indipendenza del Marocco, i confini algero-marocchini erano ancora indefiniti, come lo erano nel 1845. 167 appoggiare incondizionatamente il popolo algerino nella sua lotta per l’indipendenza. Lo stesso accordo prevedeva l’istituzione di una commissione algero-marocchina, che avrebbe dovuto riunirsi per decidere, nello spirito di fratellanza e di unità maghrebina, la definizione delle frontiere tra i due paesi.385

Hassan II attese il 1963 per invadere l’Algeria, attese cioè il momento in cui questa, fortemente indebolita dalla lunga guerra per l’indipendenza con la Francia, non fosse in grado di reagire, così Algeri si trovò ad affrontare la sua prima guerra post-coloniale, la cosiddetta ‘guerra delle sabbie’. Le motivazioni che determinarono la decisione di Rabat di entrare in conflitto con l’Algeria derivavano dalle dichiarazioni rilasciate del colonnello Boumediène, che durante un’intervista rilasciata al giornale egiziano ‘Al Ahram’ nella primavera del 1963 dichiarava: “La rivoluzione algerina non si fermerà alle frontiere dell’Algeria”.386

L’obiettivo degli algerini fu sempre quello di preservare l’integrità del loro territorio, anche se questo poteva determinare uno scontro armato con il Marocco. Per l’F.L.N. cedere una parte del territorio algerino avrebbe significato, in primo luogo, andare contro al sentimento popolare degli algerini, che avevano pagato un prezzo molto alto per la loro libertà e in secondo luogo, rinunciare alle enormi potenzialità di sviluppo economico celate, in gran parte, nel sottosuolo sahariano.

L’Algeria inoltre non aveva mai dichiarato di avere mire espansionistiche, a differenza del Marocco, che invece privilegiò sempre l’elemento territoriale, quale strumento di affermazione della propria supremazia, mentre per l’Algeria era il fattore politico-ideologico ad avere un’assoluta preminenza. L’Algeria non poteva abiurare al suo ruolo di guida ideologica delle forze progressiste, soprattutto del Maghreb e necessitava di un continuo impegno per mantenere inalterato il suo prestigio.

In questo contesto i confini della rivoluzione venivano allargati, non nel senso di una conquista territoriale, ma bensì spargendo il seme delle idee che l’avevano determinata.

Nel settembre 1963 l’esercito marocchino superò le frontiere algerine occupando la regione algerina di Hassi-Beida e di Tinjoub. Qualche giorno più tardi, il 5 ottobre, i ministri degli affari esteri di Marocco e Algeria si incontrarono a Oujda per trovare un accordo. Nulla potè essere fatto per superare lo scontro e per evitare che il conflitto armato si aggravasse. Il 14 ottobre 1963 il presidente algerino Ben Bella richiamò in servizio tutti i veterani della guerra d’indipendenza ed organizzò una controffensiva, che condusse l’esercito fino alla città marocchina di Figuig.

385 R. Rézette, Le Sahara occidentale t les frontières marocaines, Paris, Nouvelles éditions latines, 1975, pp. 112 – 121. 386 E. Mèric, Le conflit algéro-marocain, in Revue Français de Science politique, 15e année, n. 4, 1965, pp. 743 – 752 e T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 125. 168

L’intenzione di Hassan II di dichiarare guerra all’Algeria nasceva da diverse motivazioni: infliggere un duro colpo al nascente socialismo algerino, che cominciava a rivelarsi pericoloso per la monarchia e per le sue influenze verso i partiti di sinistra marocchini; consolidare il supporto popolare alla monarchia, distraendo l’opinione pubblica dalla profonda crisi economica che stava vivendo al Paese; acquisire nuovi territori ricchi di risose minerarie che avrebbero potuto rivitalizzare l’esangue economia marocchina.

Su pressioni di Francia e Stati Uniti e in seguito alla mediazione dell’OUA, alla fine di ottobre 1963, le delegazioni dei due Paesi s’incontrarono in Mali, con la mediazione dell’Etiopia, dove accordarono un cessate il fuoco. La pace fu costruita dopo l'incontro dei giorni 29 e 30 ottobre 1963 nel corso del quale si raggiunse un accordo che prevedeva l’entrata in vigore del cessate il fuoco il 10 novembre 1963.

Le tensioni tra Algeri e Rabat, in realtà, si protrassero a lungo, il Marocco, infatti, continuava a rivendicare la zona di Tindouf. Diversi trattati furono firmati tra le parti a partire dal 1969 (nel 1969 ad Ifrane, nel 1970 a Tlemcen, nel 1972 a Rabat), attraverso i quali si arrivò a definire la frontiera tra i due Paesi e a firmare una serie di accordi di cooperazione economica, che però non furono mai ratificati dal Marocco, lasciando, di fatto, la questione aperta, che riesplose con il problema del Sahara occidentale.

Dopo la ‘guerra delle sabbie’, conclusa dal punto di vista militare nell’arco di un breve lasso di tempo, agli inizi degli anni ’70 sembrava avviarsi un processo di avvicinamento tra Marocco, Algeria e Mauritania. Dopo che il Marocco ebbe riconosciuto la Mauritania e risolto il contenzioso sui confini algero-marocchini divenne fattibile la ‘triplice alleanza’, destinata a risolvere lo spinoso problema del Sahara spagnolo.

Pur senza avere mai manifestato pretese territoriali sul Sahara, l’Algeria non era totalmente disinteressata a quei territori, consapevole che il territorio sahariano era un ‘pezzo’ importante nella regione del Maghreb, sia dal punto di vista territoriale che economico e politico.

La decolonizzazione dei territori sahariani avrebbe avuto certamente delle conseguenze sull’insieme maghrebino, ma la spartizione fra il Marocco e la Mauritania, successiva all’Accordo di Madrid, si rivelò la peggiore soluzione per l’Algeria. L’occupazione del Sahara fece svanire in un momento tutti gli sforzi compiuti dalla diplomazia algerina, finalizzati alla riapertura del dialogo tra i tre Stati ‘fratelli’: Algeria, Marocco e Mauritania.

L’Algeria si era sempre espressa a favore del diritto all’autodeterminazione, come strumento per la soluzione della questione sahariana e in questo progetto aveva tentato di coinvolgere Marocco e

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Mauritania. La creazione di uno Stato sahrawi indipendente avrebbe consentito all’Algeria di stabilire con esso un rapporto privilegiato, visto che non aveva mai rivelato velleità espansionistiche, e questo non avrebbe che accresciuto il divario politico ed economico dell’Algeria rispetto al Marocco e alla Mauritania.

Di fronte all’occupazione e alla spartizione del Sahara, Algeri decise di mantenere la sua condotta e di abbracciare totalmente la causa sahrawi, non solo dal punto di vista politico, ma anche dal punto di vista militare ed economico. E’ indubbio che senza l’appoggio dell’Algeria alla causa sahrawi, l’accoglienza dei rifugiati, il Fronte Polisario e la RASD avrebbero avuto grandi difficoltà ad affrontare l’invasione del 1975 e del 1976. Ma per resistere il popolo sahrawi, oltre agli aiuti militari e economici, aveva bisogno di una forte volontà di esistere come nazione e come Stato, senza questa volontà non avrebbe potuto sopportare 15 anni di guerra. Il sostegno algerino alla causa del popolo sahrawi fu il naturale proseguimento della lotta di liberazione nazionale.

Le relazioni tra Algeri e Marocco si interruppero nel febbraio 1976, all’indomani del riconoscimento algerino della RASD.

La contrapposizione che si venne a creare tra le forze progressiste algerine e la monarchia conservatrice marocchina era inevitabile; così come a livello internazionale le forze rivoluzionarie dei giovani Stati africani si opponevano all’imperialismo.387

Dopo l’inizio della guerra in Sahara, Hassan II sperava che l’Algeria non continuasse a sostenere i guerriglieri del Fronte Polisario e fosse disponibile a sottoscrivere un accordo bilaterale, in cambio della ratifica della convenzione frontaliera di Rabat del 1972388 e di fronte alla possibilità di dare avvia ad una cooperazione economica per lo sfruttamento delle miniere sahariane. L’Algeria rimase

387 La presenza e il sostegno di regimi moderati e conservatori nel Maghreb avrebbero garantito l’avvenire di Israele in seno ad un mondo arabo uniformemente moderato. Il sostegno algerino alla causa sahrawi era inteso come un modo per contrastare i progetti imperialistici, che sembravano volersi affermare dopo gli accordi di Camp David. Dopo la caduta di Ben Balla e l’arrivo di Boumediène il regime algerino aveva inoltre intrapreso un processo di decolonizzazione economica nei confronti dei circuiti economici occidentali, in particolare francesi. Nel 1971 l’Algeria decise unilateralmente di nazionalizzare gli oleodotti e il gas naturale. Fino al allora le relazioni franco-algerine, rispetto alla questione petrolifera, erano state disciplinate dall’accordo del 20 luglio 1965, che garantiva un regime di favore alle compagnie francesi, un approvvigionamento sicuro e regolare d’idrocarburi a prezzi vantaggiorsi, in cambio di una partecipazione francese all’industrializzazzione algerina. Si trattava di uno scambio fra “materie prime contro sviluppo economico”. La durata dell’accordo avrebbe dovuto essere di quindici anni, anche se, in base all’art. 27, si indicava nel 1969, l’anno in cui si sarebbe dovuto rivedere il prezzo degli idrocarburi. Proprio l’impossibilità di giungere a un accordo sul nuovo prezzo rappresentò l’occasione per contestare, da parte algerina l’intero accordo e annullarlo. S. Sur, Aspects juridiques du diferend pétreolier franco-algérien: la position algérienne, in Questions d’actualité, Annuaire de l’Afrique du Nord, 1971, pp. 234 – 235. 388 Il Marocco ratificò gli accordi di Ifrane del 1969 e le due Convenzioni che ne stabilivano le modalità operative presentate nell’ambito del summit africano di Rabat il 15 giugno 1972, solo il 14 maggio 1989. L’Algeria li aveva già ratificati nel marzo del 1973. Il lunghissimo ritardo da parte marocchina dimostrava la rilevanza strategica e l’importanza che Rabat attribuiva a quei territori. 170 ferma sulla propria posizione, continuò ad armare i combattenti sahrawi e a sostenere un piano di pace che garantisse il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi.

Nei primi mesi di guerra anche il vice presidente egiziano Hosni Moubarak, il principe Fahd Ibn Abelaziz dell’Arabia Saudita e il presidente del Sénégal Senghor tentarono, invano di convincere il governo algerino a cambiare idea. 389 La speranza di Hassan II di trovare un accordo con il presidente algerino diminuiva sempre di più soprattutto dopo il colpo di stato in Mauritania e la dichiarazione unilaterale del cessate il fuoco del Fronte Polisario.

Hassan II fece un ultimo tentativo per forzare la situazione. Pochi giorni prima della morte di Boumediène, alla fine del 1978, le FAR lanciarono armi in Kabilia con l’intento di armare piccoli gruppi di ribelli algerini, nella speranza di un rovesciamento della posizione algerina, nel dopo Boumediène. Un’operazione che in realtà non portò altro che un ulteriore elemento di crisi nelle relazioni algero-marocchine.390

Non faciliva certamente la situazione, la decisione del re marocchino di ricevere in Marocco il presidente Sadat e il ministro israeliano Begin, dopo la firma degli accordi di Camp David. Boumediène fu tra coloro che rimasero costernati da questo fatto.

Il successore di Boumediène, Chadli Bendjedid, membro del Consiglio della Rivoluzione dal 1965, ribadì il totale appoggio dell’Algeria alla lotta del popolo sahrawi, al Fronte Polisario e ai suoi combattenti.

Nel settembre 1982, nel corso di un vertice della Lega araba a Fez iniziarono i primi contatti che portarono ad un primo incontro tra Hassan II e Bendjedid, che si tenne nei pressi di Oujda, il 26 febbraio 1983. Il vertice di Akid Lofti fu un avvenimento determinante nelle relazioni algero- marocchine: per la prima volta dall’inizio della guerra in Sahara, i due capi di Stato si trovavano faccia a faccia in un colloquio privato che durò cinque ore. Bendjedid sottolineò che l’incontro aveva lo scopo di portare la pace nella regione, seppur nel rispetto del diritto all’autodeterminazione e all’indipendenza del popolo sahrawi e aggiunse di non essere stato inviato a parlare in nome del popolo sahrawi. La proposta algerina fu sostanzialmente quella di delinerare un progetto di unione

389 Dopo gli scontri tra le truppe marocchine e algerine ad Amgala nel gennaio 1976 Moubarak tentò di riunire Hassan II e il presidente Boumediène con il Presidente Sadat durante un vertice al Cairo. Nello stesso periodo (gennaio-marzo 1976) il presidente Senghor, su indicazione di Hassan II, propose invano agli algerini di abbandonare i combattenti del Fronte Polisario, in cambio della partecipazione allo sfruttamento delle miniere del Sahara. Nel mese di novembre 1976 il principe saudita Fahd dopo aver visitato Marocco, Mauritania e Algeria mise a punto un progetto di autonomia limitata per le province marocchine e mauritane del Sahara oltre a garantire l’applicazione degli accordi frontalieri algero-marocchini del 1972. Anche questo tentativo fu rifiutato da Algeri. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 430 – 441. 390 Ad Hassan II non venne permesso di partecipare ai funerali di Boumediène. La sola personalità marocchina presente fu Mohammed Basri, uomo della sinistra marocchina in esilio. 171 maghrebina, che poteva dare ad Hassan II la possibilità di ritirarsi dal Sahara, senza perdere la faccia davanti al suo popolo e dare inizio di un dialogo tra Marocco e Fronte Polisario, come sollecitato dalla risoluzione AHG 104 dell’OUA.391

Il 19 marzo 1983 Algeria e Tunisia firmarono un trattato di Fraternità e di Concordia, un patto di sicurezza regionale nel Maghreb arabo che impediva ai firmatari di aderire a ogni alleanza di carattere militare o politica diretta contro l’integrità e l’indipendenza delle parti e di tollerare l’attività di gruppi, che attraverso azioni violente, tentino di cambiare il regime. Il patto aveva una durata di venti anni ed era aperto ad ogni altro paese del Maghreb che ne accettasse i principi.

Nell’aprile del 1983 per la prima volta Hassan II inviò tre personalità marocchine ad Algeri per un incontro con i leader del Fronte Polisario. Nel corso dell’incontro, gli emissari del re proposero ai Sahrawi un progetto di autonomia del Sahara (proposta che fu rifiutata integralmente dai Sahrawi), e si dichiararono non disponibili a dialogare con il Fronte Polisario. Le speranze di pace, nate sotto gli auspici dell’incontro di Akid Lotfi, svanirono.

Il segno tangibile dell’instaurarsi di un nuovo clima tra Algeri e Rabat fu la ripresa delle relazioni diplomatiche tra i due stati avvenuta il 16 maggio 1988, in vista della riunione della Lega araba in programma per il 7 giugno ad Algeri.392 Nel corso dell’incontro, che vide la partecipazione di Arabia Saudita, Kuwait, Siria, Giordania, Libia, Tunisia, Libano e Yasser Arafat dell’OLP, la Lega araba oltre a dichiarare il proprio appoggio alla rivolta palestinese nei territori occupati e ribadita la necesità di un avvicinamento tra Algeria e Marocco, per dare un nuovo impulso alla costruzione dell’unione del Maghreb.

Il re del Marocco pretese che al vertice di Algeri non partecipasse una delegazione del Fronte Polisario, che il giorno successivo, l’8 giugno 1988, fece avere un messaggio ai capi di Stato arabi nel quale affermava che l’unione maghrebina non sarebbe stata possibile senza la soluzione del problema del Sahara. Il messaggio determinò un’immediata e negativa reazione da parte del Marocco, che abbandonò la riunione.

Il buon lavoro diplomatico algerino e l’influenza del principe Fadh permisero di convocare un mini- vertice dei paesi del Maghreb il 10 giugno a Zeralda, a pochi chilometri da Algeri. I rappresentanti di Algeria, Marocco, Tunisia, Libia e Mauritania si riunirono per gettare le prime basi dell’Unione

391 J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, pp. 264 – 265. 392 Prima dell’88 vi erano stati altri tentativi di riconciliazione tra Marocco e Algeria. Il più importante fu l’incontro del maggio 1987 fra Chadli Bendjedid e Hassan II, nel corso del quale oltre a gettare le basi della pacificazione algero- marocchina si tentò anche di ricomporre la grave frattura che divideva gli Stati del Maghreb, schierati su posizioni pro- algerine o pro-marocchine. All’alleanza tra la Libia e il Marocco, stipulata sulla base del trattato di Oujda nell’agosto del 1984, si contrapponeva quella fra l’Algeria, la Mauritania e la Tunisia, che nel febbraio 1983 avevano sottoscritto un trattato di pace e di fratellanza. 172 del Maghreb in attesa del vertice previsto per l’anno successivo. I capi di Stato costituirono l’Alta Commissione maghrebina, o Commissione unitaria che, riunitasi ad Algeri il 13 luglio 1988 decise di istituire cinque commissioni speciali alle quali vennero affidati precisi compiti da realizzare entro il mese di settembre successivo. Si trattava di elaborare programmi di armonizzazione economica, doganale e sociale che avrebbero costituito le basi del dibattito del secondo incontro.

Dal 6 all’8 febbraio 1989 il Presidente algerino Chadli Bendjedid fece la sua prima visita ufficiale in Marocco. Pochi giorni dopo, il 16 e il 17 febbraio a Marrakech si costituì l’Unione del Maghreb Arabo (U.M.A.), con l’obiettivo di realizzare un’integrazione maghrebina essenzialmente economica, basata su politiche comuni.393

Sembrava emergere l’idea che Marocco e Algeria avessero ‘congelato’ il conflitto del Sahara per riuscire meglio nello sforzo dell’edificazione maghrebina consapevoli che il riavvicinamento algero-marocchino poteva certamente avere importanti risvolti economici e politici per entrambi.394 La questione del Sahara occidentale continuava a essere un elemento di tensione tra i due Paesi, contrariamente a quanto immaginavano gli osservatori internazionali. La presenza del Presidente algerino Boutaflika ai funerali di Hassan II, nel luglio 1999, fece intravedere la possibile fine delle ostilità.

In realtà, il problema del Sahara condiziona ancora oggi il buon esito di una costruzione maghrebina, come si evidenziava già nel corso del secondo summit dell’U.M.A., svoltosi a Tunisi nel gennaio 1990.395

393 In un rapporto presentato nell’ottobre 1990 al Consiglio dei Ministri degli Affari esteri, dell’economia, delle finanzie e dell’agricoltura dei Paesi membri dell’U.M.A si definivano alcune strategie finalizzate all’integrazione del Maghreb da realizzarsi in quattro fasi: la creazione di una zona di libero scambio (entro la fine del 1992), un’unione doganale, un mercato comune e un'unione economica (entro la fine del 1995). Gli ambiti privilegiati di intervento suggeriti erano quelli dell’energia (petrolio e gas) e dei trasporti. L. Blin e E. Gobe, L’Unione du Maghreb Arabe: un bilan de l’intégration, in Annuaire de l'Afrique du Nord, Tome XXVVI, 1989, pp. 377 – 384. 394 La recessione che aveva colpito i Paesi industrializzati tra il 1980 e il 1988 provocò una forte diminuzione nelle importazioni di petrolio e un conseguente abbassamento del suo prezzo. Da 43 dollari al barile nel 1979, si passò a 15- 18 dollari del biennio 1988-1989. Questa situazione ebbe gravi ripercussioni anche in Algeria, che vide dimunire di circa il 38% le esportazioni di petrolio, conseguentemente un forte aumento del debito estero, che passò da 19,2 miliardi di dollari nel 1980 a 26 miliardi nel 1988. Il fallimento dei piani di sviluppo fondati sulle previsioni di un positivo andamento delle esportazioni spiegavano le origini dei gravi disordini che si registrarono in Algeria e che provocarono la violenza esplosione popolare dell’ottobre 1988. 395 Se, da una parte, gli anni 1988 – 1990 segnarono il risveglio dell’unità maghrebina e l’inizio di un processo di integrazione con la nasciata dell’U.M.A, all’altra la guerra del Golfo (1990-1991), la violenza islamista in Algeria, la fragilità dei regimi politici e delle loro politiche ne detereminarono l’arresto. Le difficoltà dell’UMA derivano da un nuovo aggravamento delle relazioni tra Algeria e Marocco, i due Paesi considerati centrali nell’edificazione dell’UMA, soprattutto dopo l’attentato avvenuto a Marrakech il 24 agosto 1994, che provocò la morte di due turisti spagnoli. I primi segnali della cooperazione maghrebina si ebbero nel 1992, dopo l’apertura delle frontiere tra Marocco e Algeria, che permetteva la libera circolazione di persone e beni, scambi che però continuarono ad incontrare ostacoli di ogni genere. “L’Unità Maghrebina è ancora oggi una speranza”, si affermava in un’editoriale su Le Monde del 16 settembre 1994. Oggi i risultati dell’U.M.A, sia dal punto di vista economico che politico, sono davvero molto limitati. La stessa integrazione economica tra i Paesi del Maghreb è molto difficile, perché ciascun Paese gioca da solo le proprie carte, pensiamo per esempio alla domanda di adesione del Marocco all’Unione Europea. Inoltre, la totale dipendenza degli 173

4.13. Il pragmatismo spagnolo

Anche grazie alla sua conformazione fisica e alla sua posizione geografica, la Spagna da da sempre una duplice vocazione, atlantica e mediterranea. In realtà, i rapporti e gli interessi tra Madrid e i Paesi del Maghreb non hanno avuto tutti lo stesso peso. Mentre in passato i rapporti più intimi la Spagna li intratteneva con Marocco e Algeria, negli ultimi decenni, gli interessi spagnoli e dell’UE si sono estesi dalla Mauritania verso sud, comprendendo buona parte dell’Africa occidentale.

L’avvio della transizione democratica della Spagna ha coinciso cronologicamente con l’inizio del conflitto in Sahara occidentale, che ha condizionato le relazioni ispano-maghrebine, nello stesso modo in cui le stesse relazioni inter-maghrebine ne sono state a loro volta influenzate. Malgrado le dichiarazioni, la Spagna non ha sviluppato una politica chiara nei confronti del Maghreb, ma ha continuato a mantenere una posizione ambigua, soprattutto riguardo al problema del Sahara occidentale. Tale politica, cosiddetta ‘di equilibrio’ o ‘pragmatica’, ha puntato a mantenere buoni rapporti con tutte le parti coinvolte nel conflitto e a multilaterizzare la questione sahrawi in sede ONU. Ciò ha permesso alla Spagna di comportarsi con il Marocco come se questo problema giuridico, morale e politico non esistesse.396

Nei primi anni successivi alla caduta del regime franchista, la Spagna orientò molte delle sue energie al consolidamento del progetto di democratizzazione del Paese e alla rottura del suo secolare isolamento a livello internazionale, attraverso l’adesione alle diverse istituzioni e organizzazioni europee. Si dovette attendere la fine degli anni ’80 per vedere lo sviluppo di una vera politica spagnola nei confronti del Maghreb.397

Negli anni ’80 Madrid migliorò le sue relazioni con l’Algeria,398 si avvicinò al Fronte Polisario, allo scopo di ottenere la liberazione dei pescatori spagnoli catturati durante la guerra,399 e nello stesso tempo cercò di mantenere buone relazioni con il Marocco, per non risvegliare le sue rivendicazioni

Stati maghrebini dal mercato internazionale, evidenzia la debolezza degli scambi inter-maghrebini e rendono difficile l’integrazione economica del Maghreb ed evidenziano la dipendenza dei Paesi del Maghreb dall’Europa. A. Raouadjia, L'UMA mise á male, in Annuaire de l’Afrique du Nord, tome XXXIII, 1994, pp. 849 – 855. 396 Bernard Selwan El Khoury, Ritorno ad al-Andalus, in Limes rivista italiana di geopolitica - La Spagna non è l’Uganda - Gruppo editoriale l’Espresso, nr. 4/2012, p. 188. 397 M.H. de Larramendi, Perception espagnole du Maghreb et politique etrangère de l’Espagne démocratique, in Annuaire de l’Afrique du Nord, tome XXIX, 1990, pp. 153 – 169. 398 L’Algeria negli anni ’80 fu il primo mercato di esportazione della Spagna in Africa. Nel 1983, per esempio, la Spagna esportava verso l’Algeria per 656 milioni di dollari, il doppio rispetto alle esportazioni verso il Marocco che erano pari a 282 milioni di dollari. Nel 1984 le relazioni commerciali tra Madrid e Algeri si deteriorarono determinando una forte diminuzione delle esportazioni spagnole (321 milioni di dollari). T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 465. 399 Dopo la firma degli accordi di pesca tra Marocco e Spagna, il Fronte Polisario nel corso della guerra sequestrò alcuni battelli spagnoli nelle acque territoriali del Sahara occidentale. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 306. 174 su Ceuta e Melilla e per poter continuare a pescare al largo delle sue coste.400 Ma questa politica di equilibrio e di neutralità si dimostrò particolarmente difficile.

A metà del 1977 infatti una coalizione di sei partiti dell’opposizione, tra i quali il Partito comunista spagnolo e il Partito socialista dei lavoratori, rilasciarono una dichiarazione comune con la quale si chiedeva la revoca dell’Accordo di Madrid e il ritiro immediato delle truppe marocchine e mauritane dal Sahara occidentale. Ma fu la ripercussione del conflitto sahariano nelle isole Canarie e di conseguenza nella politica interna spagnola, che trascinò la Spagna in una profonda crisi.

Nelle isole Canarie, così come accadeva nei Paesi baschi e in Catalogna, era presente una forte corrente nazionalista, che nelle elezioni politiche del 1979 riportò un’ampia vittoria, probabilmente a causa della distanza geografica e all’abbandono delle isole da parte del potere centrale Il principale movimento indipendentista era l’Unione del Popolo Canario (U.P.C.), che ben presto divenne il secondo partito dopo l’Unione Democratica di Centro (U.C.D.) di Adolfo Suárez.

Nel gennaio 1978, nel corso di un vertice tenutosi a Tripoli, il governo algerino persuase l’allora Comitato di Liberazione dell’OUA ad adottare una risoluzione a favore della decolonizzazione delle isole Canarie, che chiedeva agli Stati africani di mettere a disposizione il proprio sostegno materiale al Movimento Per l’Autodeterminazione e l’Indipendenza dell’Arcipelago della Canarie (M.P.A.I.A.C.). La stessa risoluzione fu approvata dal Consiglio dei Ministri dell’OUA il 22 febbraio 1978. Questa campagna, sostenuta dagli algerini, irritò moltissimo la sinistra spagnola, tanto da portare Felipe González, il leader della sinistra, a recarsi direttamente del Presidente Boumediène, ad Algeri, per protestate contro le ingiustificate ingerenze algerine negli affari interni alla Spagna. 401 Il governo spagnolo inoltre dubitava del Marocco, che vista la sua indole espansionistica, nonostante l’alleanza con la Spagna, avrebbe potuto in ogni momento, rivendicare diritti sull’arcipelago spagnolo. In seguito il M.P.A.I.A.C., privato dell’appoggio algerino, si indebolì.

Un’altra minaccia però incombeva sugli interessi spagnoli: la campagna del Fronte Polisario contro i battelli spagnoli che pescavano al largo delle coste sahariane, dopo la firma degli accordi di pesca ispagno-marocchini del 17 febbraio 1977, che consentiva ai pescatori spagnoli di pescare nelle acque sotto giurisdizione marocchina, comprendenti Marocco e Sahara occidentale, in cambio di un aiuto della Spagna a sostegno dell’industria ittica marocchina. Il Fronte Polisario nel marzo 1976 comunicò al governo spagnolo di non poter più garantire l’incolumità di coloro, che partecipavano al saccheggio delle risorse naturali del Sahara. E così fu. Dopo due mesi dalla firma dell’accordo il

400 Tra il febbraio 1976 e il gennaio 1977 la Spagna consegnò al Marocco materiale militare per un valore di 27 milioni di dollari. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 466. 401 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 467. 175

Polisario cominciò ad attaccare i battelli spagnoli nelle acque territoriali del Sahara occidentale, sequestrando gli equipaggi. 402 Ciò che poteva risolvere la difficile situazione, secondo alcuni osservatori, era un cambiamento di rotta nella politica sahariana. Il Ministro degli Affari esteri Oreja, il 14 dicembre 1977, dopo aver annunciato la sospensione della vendita di armi a Marocco e Mauritania, il riconoscimento del Fronte Polisario come legittimo rappresentante del popolo sahrawi in lotta, ottenne la liberazione di alcuni pescatori della nave Las Palomas, ancora nelle mani dei combattenti del Fronte Polisario. Nella primavera del 1979 il primo ministro spagnolo Suárez si recò in visita ad Algeri, per incontrare Mohammed Abdelaziz e il Presidente algerino Chadli.

Nonostante tutto ciò la politica spagnola restava ancora fortemente ambigua, il governo di Madrid infatti non voleva scontrarsi con Hassan II, che regolava le relazioni bilaterali sulla base dell’atteggimento spagnolo nei confronti del Sahara occidentale. Le relazioni nel campo della pesca divennero uno dei principali ambiti in cui si riflettevano i momenti di tensione tra i due governi. Hassan II era consapevole dell’importanza della pesca nell’economia spagnola e la utilizzò sempre come arma a sua favore. In un primo momento Hassan II non volle ratificare gli accordi di pesca con la Spagna, perché il governo tardava a riconoscere la sovranità marocchina nelle acque situate a sud di Cap Noun.403 Nel giugno 1979, Juan Carlos visitò il Marocco, per controbilanciare la visita di Suárez in Algeria, e cominciò a sottoscrivere accordi intermedi ogni tre, sei, nove mesi, secondo l’andamento delle relazioni bilaterali.

Quando il partito socialista spagnolo salì al potere, nell’ottobre 1982, si pensò ad un cambiamento di rotta della politica spagnola nel Maghreb, in particolare nei confronti del Sahara occidentale. In realtà i socialisti spagnoli, vincolati dall’ingresso della Spagna nella NATO e dalla conservazione dei presidi di Ceuta e Melilla, ben presto si resero conto dell’importanza di garantire la stabilità del regime marocchino, per l’Occidente e per la Spagna al fine di evitare che nell’area si affermasse un sistema rivoluzionario o un regime fondamentalista islamico.404

402 Tra giugno e settembre 1976 furono attaccati sette battelli, il 5 ottobre 1978 tre pescatori spagnoli furono feriti durante un attacco al loro battello. T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 468. 403 Il primo accordo di pesca ispano-marocchino venne ratificato dal Marocco solo cinque anni dopo, nel 1985. Questa pratica, spesso utilizzata dal Marocco, cominciò a scomparire nel 1983, dopo l’inserimento negli accordi di precise clausole che prevedevano la provvisorietà degli accordi fino alla loro ratifica. 404 Il 30 novembre 1982, Fernando Morán, ministro degli Affari esteri, dichiarò in nome del suo governo “Non solo noi non faremo niente per destabilizzareil re del Marocco, ma, noi faremo tutto quello che è in nostro potere per mantenere la sua stabilità” T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 470 – 471. 176

Per dimostrare ad Hassan II l’amicizia dello P.S.O.E., Felipe González, prese le distanze dal Fronte Polisario, rinnegando tutte le promesse fatte in precedenza.405 Ogni qualvolta che il Primo ministro spagnolo faceva riferimento al diritto di autodeterminazione del popolo sahrawi e all’applicazione delle risoluzioni dell’OUA e dell’ONU, la stampa marocchina ricordava il contenzioso di Ceuta e Melilla e il governo marocchino bloccava gli accordi di pesca sottoscritti nell’agosto del 1983, che permettevano alle flotte spagnole di pescare nelle acque territoriali del Marocco e del Sahara occidentale, per quattro anni, fino al 1987, anno in cui si dovevano avviare i colloqui con l’Unione Europea, finalizzati alla firma di un accordo di pesca tra Marocco e Comunità Economica Europea.406

Il nuovo governo socialista spagnolo intraprese una cooperazione economica molto importante con il Marocco, anche in ambito militare. Per la prima volta nel 1984, l’aeronautica militare marocchina e spagnola eseguirono manovre comuni (Atlas 84). Tra il 1982 e il 1984 la vendita di armi spagnole al Marocco raggiunse i 15 miliardi di pesetas.407 La destra spagnola, espresse soddisfazione per le iniziative dello P.S.O.E., che dimostrò di avere preso le distanze dall’Algeria e di aver intrapreso una politica orientata a neutralizzare la cosiddetta “minaccia sud”, soprattutto dopo la firma del trattato di cooperazione tra Libia e Marocco.

Una delle conseguenze della politica spagnola nel Maghreb fu un profondo cambiamento delle relazioni economiche con l’Algeria, che non firmò un solo accordo con la Spagna durante tutto il 1984. Le esportazioni spagnole in Algeria scesero da 656 milioni di dollari nel 1983 a 321 milioni di dollari nel 1984. L’Algeria, il primo cliente africano della Spagna, nel 1984 passò al quarto posto.

La politica di equilibrio e il pragmatismo spagnolo misero in crisi le relazioni tra Spagna e Fronte Polisario. Nonostante la Spagna avesse votato a favore della risoluzione dell’Assemblea generale dell’ONU 39/40 di ispirazione algerina, attraverso la quale si chiedeva l’inizio di negoziati diretti

405 Dopo la sua elezione González scelse di effettuare la sua prima visita ufficiale in Marocco dal 28 al 30 marzo 1983. Si trattò di un viaggio con un alto valore simbolico e politico che dimostrava l’importanza che il governo spagnolo attribuiva alla relazione con il Maghreb e in particolare con il Marocco. Da parte sua, Hassan II garantì al Primo ministro spagnolo di non rivendiare Ceuta e Melilla, fino a quando Gibilterra non fosse ritornata ad essere spagnola. 406 Gli accordi di pesca dovevano garantire al Marocco 550 milioni di dollari da investire nell’industria peschiera. In realtà il 45% di quelle risorse venne utilizzato per l’acquisto di armi e per mantenere il contingente militare il Sahara occidentale. M.H. de Larramendi, Perception espagnole du Maghreb et politique etrangère de l’Espagne démocratique, in Annuaire de l’Afrique du Nord, tome XXIX, 1990, pp. 162 – 163. 407 Quando i socialisti spagnoli salirino al potere in Spagna era in vigore un decreto che impediva la vendita di armi ai paesi in guerra, che non rispettavano i diritti umani, che erano assoggettati ad embargo da parte dell’ONU e ad alcuni Paesi ai quali la Spagna aveva deciso di non vendere armi come Libia, Siria, Vietnam. Molte di queste limitazioni furono ignorate dal governo dello P.S.O.E., a dispetto di quanto pensavano i suoi elettori. Il governo socialista spagnolo non incluse il Marocco tra i paesi che non rispettavano i diritti umani e non tenne in alcun conto che l monarchia alaouita era la prima minaccia proveniente da sud (‘minaccia sud’), indicata nel Piano Strategico congiunto. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 297. 177 tra Fronte Polisario e Marocco, nell’ottica della realizzazione di un referendum di autodeterminazione, nel settembre del 1985 i combattenti del Fronte attaccarono il battello spagnolo, Junquito, e una petroliera spagnola denominata Tagomago. Negli scontri rimasero uccisi due spagnoli e altri sei furono sequestrati. Il governo spagnolo descrisse gli incidenti come inqualificabili aggressioni, ma senza alzare eccessivamente i toni. Nei giorni seguenti il Fronte Polisario dichiarò di essere responsabile degli attacchi, dichiarando che il battello Junquito stata pescando illegalmente nelle acque territoriali della RASD. Il 30 settembre 1985 il governo spagnolo decise, per rappresaglia, di chiudere tutte le rappresentanze del Fronte Polisario in Spagna e di espellere tutti i rappresentanti del Fronte Polisario.408 Il 20 dicembre Mohammed Abdelaziz scrive una lettera a González con la quale accusava lo P.S.O.E. di aver cambiato posizione nei confronti del problema del Sahara.

Le relazioni ispano-sahrawi non erano mai state così tese dalla firma dell’Accordo di Madrid nel 1975.

4.14. L’Europa e il Parlamento europeo

Dopo l’uscita dall’OUA Hassan II poté contare solo sull’appoggio dai Paesi occidentali, e fu proprio in questa direzione che la diplomazia marocchina cominciò a muoversi, per controbilanciare il rifiuto degli Africani. Per ottenere l’appoggio degli Stati Uniti e dei Paesi europei e in cambio del riconoscimento della sovranità marocchina sul Sahara occidentale, il re del Marocco non esitò a sciogliere gli accordi con Gheddafi e a ricevere il premier israeliano. Fu in quest’ottica che Hassan II decise di recarsi in visita ufficiale al Parlamento europeo.

Già a partire dal 1976 il Parlamento europeo cominciò ad interessarsi del conflitto in Sahara occidentale e dei profughi sahrawi.409 Nel 1981 venne adottata la prima risoluzione del Parlamento europeo, presentata ed imposta dalla destra europea. La risoluzione faceva riferimento ad un conflitto tra Marocco ed Algeria, che negava l’esistenza del popolo sahrawi.410 Sette anni più tardi, di fronte a una situazione profondamente modificata, non fu più possibile utilizzare le stesse argomentazioni. Fino alla fine degli anni ’70 e nei primi anni ’80, il conflitto del Sahara occidentale era ancora poco conosciuto e poche erano le informazioni disponibili, di conseguenza il Parlamento

408 Il 1° ottobre 1985, Buhari Ahmed, attualmente rappresentante del Fronte Polisario all’ONU, fu arrestato e condotto all’aeroporto e imbarcato su un volo con destinazione Ginevra. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 294. 409 Decisione della Commissione europea del 15 gennaio 1976 relativa alla fornitura urgente di 100 tonnellate di latte scremato in polvere al Comitato della Croce Rossa a titolo di aiuto alimentare a favore dei rifugiati del Sahara occidentale, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale delle Comunità europee n. 19/30 del 28 gennaio1976. 410 La risoluzione pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale C 77 del 6.4.1981 pp. 43 – 45, recitava al paragrafo 9 il Parlamento europeo “invita i governi della Comunità a tentare, sul piano bilaterale e multilaterale, una mediazione tra il Marocco e l'Algeria, nell'intento di tutelare la pace e l'equilibrio in quella regione”. 178 europeo, i Parlamenti nazionali e l’opinione pubblica non avevano avuto il tempo e il modo, di farsi un’opinione su quanto stesse accadendo nella regione.

A partire dalla metà degli anni ’80 la situazione cominciò a cambiare. Nel mese di giugno 1986 si costituì un intergruppo parlamentare ‘Pace per il popolo sahrawi’, con l’obiettivo di promuovere la pace in Sahara occidentale, conformemente alla risoluzione AGH 104 dell’OUA e alle risoluzioni dell’ONU, che l’anno successivo condannò la violazione dei diritti umani nei territori del Sahara occidentale da parte del Marocco. 411 Il 15 marzo 1989 il Parlamento europeo adottò una nuova risoluzione con 205 voti a favore, 45 contrari e 26 astensioni, che presentava la questione del Sahara occidentale come un problema di decolonizzazione, da risolvere nel rispetto del diritto all’autodeterminazione, in conformità alle risoluzioni dell’OUA e dell’ONU, e con la quale confermava il suo pieno appoggio alla giusta rivendicazione del popolo sahrawi.412

Il Parlamento europeo nel 1996 invitò la Commissione a vigilare sul rispetto dei diritti umani e sull’evoluzione democratica in Marocco e chiese di elaborare, almeno una volta l’anno, una relazione su questi temi. I Parlamentari europei chiesero alla Commissione di aumentare il sostegno umanitario alla popolazione sahrawi rifugiata attraverso l’Agenzia ECHO,413 e al Consiglio414 di sostenere l’autodeterminazione attraverso un referendum libero e onesto, facendo riferimento anche alla storica responsabilità di alcuni Stati membri e all’importanza della pace per tutta la regione.

L’Unione europea è tuttora uno dei principali sostenitori della causa del popolo sahrawi, in quanto destina fondi, adotta numerose risoluzioni, proposte, interrogazioni in merito a tale questione. Il Parlamento e la Commissione europea415 ricoprono un ruolo di primo piano nella regione.

411 Risoluzione del Parlamento europeo sulla situazione del Sahara occidentale pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale C13 del 18 gennaio 1988 p. 102. 412 Risoluzione sulla situazione politica nel Sahara occidentale pubblicatas sulla Gazzetta Ufficiale C 96 del 17 aprile 1989, pp. 59 – 61. 413 L'Ufficio umanitario (ECHO) è stato istituito nel 1992 [ regolamento (CE) n 1257/96 ] per esprimere la solidarietà europea con le persone bisognose in tutto il mondo. Durante i suoi vent’anni di esistenza, ha stanziato 14.000.000.000 di euro in aiuti umanitari alle vittime di conflitti e catastrofi in 140 Paesi in tutto il mondo. Negli ultimi cinque anni, il bilancio annuale di ECHO è in media di un miliardo di euro. Solo nel 2011, questi fondi hanno aiutato quasi 150 milioni di persone tra le più vulnerabili al mondo, in più di ottanta Paesi. Nel 2004, ECHO è diventata la Direzione generale per l'assistenza umanitaria, prima di unirsi alla protezione civile nel 2010 per migliorare il coordinamento e la risposta alle catastrofi in Europa e oltre i suoi confini. Nel 2010, Kristalina Georgieva è diventato il primo commissario per la Cooperazione internazionale, aiuti umanitari e risposta alle crisi. Nel complesso, gli Stati membri e le istituzioni europee forniscono più della metà degli aiuti globali. Sito web: www.ec.europa.eu. 414 Il Consiglio europeo definisce gli orientamenti e le priorità politiche generali dell’Unione europea. Con l’entrata in vigore del Trattato di Lisbona, il 1° dicembre 2009, è diventato un’istituzione. Il Consiglio europeo è composto dai capi di Stato o di governo degli Stati membri, dal suo presidente e dal Presidente della Commissione. L'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza partecipa ai lavori. Se l'ordine del giorno lo richiede, ciascun membro del Consiglio europeo può decidere di farsi assistere da un ministro e il presidente della Commissione da un membro della Commissione. Sito web: www.european-council.europa.eu. 415 I membri del Parlamento europeo rappresentano i cittadini dell'UE, sono eletti direttamente a suffragio universale ogni cinque anni. Il Parlamento, insieme al Consiglio dell'Unione europea, è una delle principali istituzioni legislative dell'UE. Il Parlamento europeo ha tre funzioni principali: discutere e approvare le normative europee congiuntamente al 179

Anche il Consiglio si è interessato più volte della questione del Sahara Occidentale, ma la sua posizione è sempre stata molto ambigua. Le azioni svolte e le risposte date alle interrogazioni poste dai deputati del Parlamento europeo, sono state piuttosto vaghe, pur avendo sempre ribadito il supporto dell’Unione europea all’operato delle Nazioni Unite, al fine di trovare una soluzione accettabile per entrambe le parti, il sostegno umanitario ai profughi sahrawi, senza però far alcun riferimento o denunciare la violazione dei diritti umani da parte del Marocco in Sahara occidentale.416

4.15. Verso il piano di pace

Il Segretario generale dell’ONU, Perez de Cuellar, di fronte all’impossibilità di procedere a negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario e dopo aver realizzato un primo viaggio di ricognizione a Rabat nel luglio del 1985, organizzò a New York, nella primavera 1986, insieme al Presidente di turno dell’OUA, Abdou Diouf, una prima audizione separata (colloqui indiretti) delle parti in conflitto. L’iniziativa non ebbe alcun esito, le posizioni parevano essere inconciliabili e la situazione rimase bloccata.417

Nel 1987 ONU e OUA decisero di inviare una missione tecnica nella regione per esaminare la situazione, al fine di proclamare l’inizio del cessate il fuoco e realizzare il referendum di autodeterminazione. La missione si recò nel mese di novembre di quello stesso anno in Marocco, Sahara occidentale, Mauritania, nei campi di rifugiati sahrawi di Tindouf e nei territori controllati dal Fronte Polisario. I componenti della missione restituirono al Segretario generale un dettagliato rapporto, che non fu mai reso pubblico.

La ripresa delle relazioni diplomatiche tra Marocco ed Algeria, avvenuta il 16 maggio 1988, determinò un’accellerazione del piano di pace e il riconoscimento da parte del governo marocchino dell’esistenza di un conflitto in Sahara occidentale con il Fronte Polisario e non con l’Algeria, come

Consiglio; controllare le altre istituzioni dell'UE, in particolare la Commissione, per accertarsi che agiscano democraticamente; discutere e adottare il bilancio dell'UE congiuntamente al Consiglio. Sito web: www.europa.eu. La Commissione europea è l'organo esecutivo dell'UE e rappresenta gli interessi dell'Europa nel suo insieme (a differenza degli interessi dei singoli paesi), prepara le proposte per nuove normative europee. Il termine "Commissione" si riferisce sia al collegio dei commissari che all'istituzione stessa, la cui sede principale è a Bruxelles (Belgio). Alcuni uffici sono a Lussemburgo. La Commissione è inoltre presente in tutti i paesi membri dell'UE con le cosiddette "rappresentanze" e prepara le proposte per nuove normative europee. Sito web: www.ec.europa.eu. 416 Università di Bologna Polo scientifico e didattico di Forlì, L’Unione europea e la questione del popolo saharawi, sito web: www.puntoeuropa.it, consultazione 10 maggio 2013. 417 M. Barbier, L’evolution du conflit saharien en 1988, in Sahara Info, n. 77, marzo 1989, pp. 5 – 7. 180 aveva sostenuto fino a quel momento.418 Nel mese di maggio del 1988 Perez de Cuellar incontrò separatamente Hassan II e Mohamed Abdelaziz. Nel corso di questi incontri il Segretario generale e l’inviato speciale del Presidente di turno dell’OUA, presentarono ai rappresentanti di Marocco e Fronte Polisario, un piano di pace che proponeva un cessate il fuoco, le modalità di identificazione del corpo elettorale, il ritorno dei rifugiati e il referendum di autodeterminazione, senza fare alcun cenno a negoziati diretti tra le parti.

Il 30 agosto 1988, Marocco e Fronte Polisario accettarono il principio del referendum di autodeterminazione e approvarono, in linea di principio, il piano di pace proposto, ma con alcune riserve su due punti particolarmente delicati. Il primo punto riguardava il quesito referendario: la popolazione sahrawi doveva scegliere tra l’indipendenza e l’integrazione al Marocco; il secondo punto, il più controverso, concerneva invece il corpo elettorale, che secondo il piano di regolamento doveva essere definito sulla base del censimento spagnolo del 1974. Il Fronte Polisario accettò questo secondo punto a condizione che la maggior parte del contingente militare marocchino presente in Sahara occidentale (circa 120.000 soldati) avesse abbandonato il territorio e che un’amministrazione internazionale sostituisse quella marocchina.419

Il Consiglio di sicurezza dell’ONU con la risoluzione S/RES/621 (1988) del 20 settembre 1988 approvò il piano di pace e chiese al Segretario generale di presentare al Consiglio un rapporto dettagliato e di nominare un rappresentante speciale per il Sahara occidentale.420

Nei mesi successivi il governo marocchino rifiutando i negoziati diretti con il Fronte Polisario, ebbe prefigurare il tentativo da parte di Rabat di volersi sottrarre agli impegni presi, a seguito delle pressioni internazionali.

Il 22 novembre 1988 l’Assemblea generale dell’ONU approvava la risoluzione 43/33 421 che confermava ancora una volta il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi e chiedeva alle parti in conflitto di negoziare direttamente per arrivare alla instaurazione del cessate il fuoco e per realizzare il referendum.

418 Un ruolo importante in questo particolare momento fu giocato dall’Arabia Saudita che, desiderosa di approfittare di questo nuovo e positivo clima politico, invitò i leader del Polisario e del Marocco a incontrarsi segretamente nella località saudita di Ta’if nel luglio del 1988. 419 Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Rapport du Secrétaire général, La situation en ce qui concerne le Sahara Occidental S/21360 del 18 giugno 1990. 420 Il 14 ottobre 1988 fu nominato il primo inviato speciale per il Sahara occidentale. Si trattava di Héctor Gros, giurista uruguaiano della Corte Interamericana dei Diritti Umani, che, in seguito fu sostituito dallo svizzero Johannes Manz. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 367 e p. 379. 421 L’esito della votazione fu: 87 voti favorevoli, 53 astenuti, tra i quali si ritrovano i Paesi arabi vicini al Marocco, Stati Uniti, Giappone, Canada e la Comunità Europea ad eccezione della Spagna, della Grecia e dell’Irlanda. La Spagna nonostante le pressioni marocchine non si astenne dal voto e ciò determinò nuove rivendicazioni del Marocco su Ceuta e Melilla. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 371. 181

Il 16-17 dicembre 1988 si celebrava a Casablanca un summit franco-africano al quale prese parte anche il Presidente francese Mitterand, che sollecitò Hassan II a ricevere in Marocco una delegazione del Fronte Polisario.

Il 4 gennaio 1989 il re del Marocco accolse a Marrakech una delegazione del Fronte Polisario,422 facendo credere di aver ceduto ai negoziati diretti, dopo tredici anni di guerra, e di essere disposto a trovare una soluzione condivisa al conflitto, sotto l’egida dell’ONU e dell’Organizzazione dell’Unità Africana. In realtà l’incontro si presentò più come la concessione di un’udienza del re ai “figli ribelli di Tindouf”, più che di un negoziato diretto vero e proprio. Ancora una volta Hassan II rifiutava di riconoscere il Fronte Polisario come interlocutore, a differenza di quanto avevano fatto le Nazioni Unite e l’OUA, che avevano riconosciuto nel Polisario il legittimo rappresentante del popolo sahrawi. Era evidente che questo happening era più finalizzato a favorire l’imminente visita ufficiale del Presidente algerino a Fez, dopo quindici anni dalla rottura delle relazioni diplomatiche, per presentare l’idea di una ‘terza via’, per porre fine al conflitto, attraverso la concessione di un’ampia autonomia del Sahara, simile ai ‘lander’ tedeschi.423

In seguito al rifiuto di Hassan II a riprendere i negoziati diretti, il 1° marzo 1989, il Polisario comunicava di porre fine alla tregua unilaterale, che aveva dichiarato all’avvio dei negoziati come segno di buona volontà, a seguito dell’intransigenza marocchina.

Il 27 giugno 1990 il Consiglio di sicurezza dell’ONU con la risoluzione S/RES/658 (1990) approvava all’unanimità il piano di pace globale, redatto, dopo molte consultazioni da Perez de Cuellar, in applicazione alla risoluzione 621/88. La risoluzione oltre ad approvare il rapporto del Segretario generale dell’ONU del 20 giugno 1990 e definire il ruolo dell’ONU nell’organizzazione e nella sorveglianza del referendum di autodeterminazione in Sahara occidentale, chiedeva alle parti in conflitto di cooperare con le Nazioni Unite e l’OUA al fine di giungere “ad una soluzione rapida della questione del Sahara occidentale”. Il Consiglio di sicurezza inviava una missione tecnica nella regione con l’obiettivo di precisare i costi della missione, che Perez de Cuellar avrebbe presentato nel suo rapporto. 424

La caduta del muro di Berlino e la fine della guerra fredda permise al Consiglio di sicurezza di sbloccare la questione del Sahara occidentale, anche se proprio a partire dal 1990, molta attenzione era rivolta alla crisi del Golfo e alla guerra in Iraq.

422 La delegazione del Fronte Polisario era composta dal Primo ministro e dal ministro della difesa della R.A.S.D. Mahfud Ali Beiba e Gali uld Sidi Mustafa e dal responsabile delle relazioni esterne del Poliario Bachir Mustafa, tutti membri del Comitato esecutivo del Fronte Polisario. B. Sayed, Marrakech: un rencontre qui en appelle autres, in Sahara Info, n. 77, marzo 1989, p. 7. 423 O. Vergniot, L’enjeu référendaire (1975-1988), in Annuaire de l’Afrique du Nord, XXVIII (1989), pp. 407 – 416. 424 AFP (Agence France Press), 28 giugno 1991 in Sahara info, dossier de presse, supplemento n. 78, settembre 1990. 182

Il 19 aprile 1991 il Segretario generale presentava il suo rapporto definitivo,425 che completava il rapporto presentato l’anno precedente e che definiva con chiarezza l’intero iter del piano di pace per il Sahara occidentale e che secondo il giurista di diritto internazionale Claude Bontems può essere considerato come un altro piano di pace, rispetto al precedente.

Il documento apportò importanti modifiche rispetto al rapporto dell’anno precedentee alle proposte congiunte dell’ONU e dell’OUA del 1988. Innanzitutto istituiva la MINURSO (Missione Internazionale delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale) alle dipendenze del rappresentante speciale e composta da unità civili, militari e di polizia,426 prevedeva un periodo di transizione di venti settimane a partire dalla data del cessate il fuoco, il cosiddetto giorno D, che terminava con la proclamazione dei risultati del referendum, che avrebbe dovuto realizzarsi dopo 6 mesi dall’entrata in vigore del cessate il fuoco.

In base al piano di pace il Marocco doveva ridurre a 65.000 unità (circa la metà degli effettivi) le sue truppe nel territorio entro undici settimane, dal giorno D, sotto l’attenta vigilanza dei militari della MINURSO. Questa soluzione venne solo in un secondo momento accettata dal Polisario per dimostrare la propria disponibilità a risolvere la questione del Sahara occidentale. Non bisogna dimenticare che nel 1975 fu il Marocco a dichiarare alla missione di inchiesta dell’ONU che le truppe coloniali, in questo caso le truppe spagnole, doveva abbandonare totalmente il territorio in vista della realizzazione del referendum di autodeterminazione. Il Polisario da parte sua chiedeva nell’agosto del 1988 il ritiro totale o la riduzione a 10.000 unità delle truppe marocchine dal Sahara occidentale, cifra che secondo il movimento di liberazione del Sahara occidentale corrispendeva ai suoi effettivi.427 Il piano prevedeva poi la liberazione dei prigionieri politici e di guerra da entrambe le parti.428

Ma uno dei punti più discussi del piano di pace fu l’identificazione degli aventi diritto al voto. Il piano di pace prevedeva la creazione di una commissione d’identificazione, con il compito di

425 Consiglio di Sicurezza dell’ONU, Rapport du Secrétaire général, La situation en ce qui concerne le Sahara occidental, S/22464 del 19 giugno 1991. 426 Il quartier generale della MINURSO dall’aprile del 1991 aveva la propria base a El Aioun. Il cessate il fuoco del 6 settembre 1991 non venne accompagnato da un contemporaneo dispiegamento delle unità della MINURSO sul territorio. L’equipaggiamento e il materiale della MINURSO rimasti inspiegabilmente bloccati all’aeroporto di Agadir, costrinsero in un primo momento il personale della MINURSO a dipendere totalmente dalla logistica marocchina. Secondo Ali Omar Yara , questo intralcio voluto dalle FAR e dal Ministro dell’Interno marocchino dimostrò che la monarchia non aveva alcuni interesse a che un simile corpo di peace keeping si insediasse in Sahara occidentale, non solo perché si trattava di una situazione militarmente ancora incerta, ma soprattutto perché esercitava un’azione contraria alla politica marocchina. A.O. Yara, L’insurrection sahraui. De la guerre à l’Etat. 1973 – 2003, Paris, l’Harmattan, 2003, p. 103. 427 M.De Froberville, Sahara occidental, la confiance perdue, Paris, L’Harmattan, 1996, p. 134. 428 Nel maggio del 1989 Il Fronte Polisario liberò senza condizioni 200 prigionieri di guerra marocchini che furono rifiutati dal re del Marocco. Non è noto il numero dei prigionieri sahrawi ancora oggi nelle mani del Marocco, ciò che è certo è che i militari sahrawi furono equiparati ai delinquenti comuni. J. Ramón e D. Aguirre, Guerra en el Sáhara, Madrid, Istmo, 1991, p. 328. 183 aggiornare l’ultimo censimento della popolazione sahrawi effettuato dalle autorità spagnole nel 1974 che doveva servire come base per la definizione delle liste elettorali, essere aggiornato dei decessi, includere i maggiori di 18 anni e tutti coloro che ne facevano richiesta ed erano in grado di dimostrare di avere vissuto nel Sahara spagnolo. Il piano di pace dell’aprile 1991, riutilizzava il termine “popolazione del Sahara occidentale”, già abbandonato dalle Nazioni Unite e dall’OUA negli anni ’80.

Il piano ONU prevedeva un periodo di campagna politica che doveva iniziare diciassette settimane dopo il giorno D, secondo un codice di condotta che le parti si impegnavano a rispettare.

Un altro punto importante era quello che riguardava il rimpatrio dei rifugiati sahrawi aventi diritto di voto che sarebbe avvenuto attraverso un programma dell’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati (A.C.N.U.R.).

Il 29 aprile 1991 il Consiglio di sicurezza dell’ONU con la risoluzione S/RES/690 (1991) approvava il secondo rapporto del Segretario generale e auspicava la piena collaborazione delle parti, ai fini dell’applicazione del piano di pace. Il 17 maggio 1991,429 il budget della MINURSO venne adottato dall’Assemblea generale dell’ONU. Lo stesso giorno Hassan II si recò a Smara, capitale spirituale del Sahara occidentale, con l’obiettivo di rinnovare il legame di sottomissione al sovrano delle tribù locali e riaffermare così la marocchinità del Sahara, una visita che agli occhi degli osservatori apparve come una sfida che la monarchia alaouita doveva vincere.430 Era evidente che da parte marocchina non si era disposti ad accettare la possibilità di un Sahara indipendente.

Da questo momento in poi ogni mezzo venne considerato valido da Hassan II per ritardare o bloccare l’applicazione del piano di pace.

Il 24 maggio 1991 il Segretario generale dell’ONU propose alle parti di proclamare il cessate il fuoco il 6 settembre, il cosiddetto giorno J, momento in cui iniziava concretamente l’applicazione del piano di pace.

Nell’agosto del 1991, alla vigilia dell’applicazione del cessate il fuoco, le truppe marocchine distrussero alcune località nei territori controllati dalla RASD. Il 4 e 5 agosto 1991 l’aviazione marocchina attaccò la cittadina di , Bir Lahlou e M’heiris. Il 24 agosto dello stesso anno la MAP (Maghreb Arabe Press, l’agenzia di stampa marocchina) riportava la notizia che l’armata marocchina avrebbe proseguito l’offensiva militare in Sahara occidentale, per impedire

429Esaminato il rapporto del Segretario generale A/45/241/Add. 1 dell’8 maggio 1991, la risoluzione dell’Assemblea generale A/46/266 del 17 maggio 1991 stabiliva che il costo della MINURSO ammontasse a un costo lordo di 180.617.000 di dollari. La ripartizione dei costi e le previsioni di spesa della MINURSO dal 17 maggio al 29 febbraio 1992 furono indicati dettagliatamente dalla risoluzione dell’Assemblea generale A/46/783 del 16 dicembre 1991. 430 Le monde, 17 maggio 1991 in Sahara Info, dossier de presse, n. 82, giugno 1991. 184 l’avanzamento delle operazioni che avrebbe dovuto portare, a metà del mese di gennaio 1992, alla realizzazione del referendum e per provocare una reazione del Fronte Polisario, per far fallire il piano di pace senza assumersene la responsabilità.

Il 7 agosto 1991 il Segretario generale del Fronte Polisario Mohammed Abdelaziz per evitare al marocco il pretesto per ritardare l’applicazione del piano di pace e l’inizio del cessate il fuoco chiese all’ONU di intervenire per mettere fine alla escalation militare del Marocco in Sahara occidentale. Di fronte a questa situazione, il governo spagnolo e il Segretario generale dell’ONU si dichiararono molto preoccupati per l’aggravarsi della situazione, a seguito delle operazioni militari in Sahara occidentale.

Nonostante tutto ciò, il 6 settembre 1991 il generale canadese Armad Roy proclamò il cessate il fuoco. Da questo momento in poi il Marocco, oltre a mettere in atto forme di propaganda, che certamente non contribuivano a creare il clima di fiducia necessario al piano di pace, violò ripetutamente il cessate il fuoco431 e tentò in ogni modo possibile di ostacolare l’operato dei caschi blu della MINURSO.432

Le dichiarazioni di Jean-Luc Held, ufficiale medico svizzero e membro della MINURSO dopo aver visitato tutto il Sahara occidentale, sia quello occupato dal Marocco che quello sotto il controllo del Polisario, nell’ottobre-novembre 1992 e nel giugno-luglio 1993 dichiarò: “Dal mio punto di vista, oltre che da quello dei miei colleghi, le autorità marocchine fanno di tutto perché la MINURSO non possa compiere la sua missione. Le autorità marocchine impediscono di incontrare o di ricevere persone, prolungano sistematicamente le discussioni per perdere tempo, mettono di fatto i bastoni tra le ruote. […] Come svizzeri, abituati a una certa neutralità, sono rimasto scioccato che nella base di El Aioun la bandiera marocchina sventoli a fianco di quella dell’ONU. […] In sostanza, in modo generale, le autorità marocchine hanno impedito agli osservatori di svolgere il loro lavoro.”433

Con la risoluzione 46/67 (1991) dell’11 dicembre 1991 l’Assemblea generale definiva le caratteristiche e i compiti di una commissione speciale incaricata della preparazione del referendum. Sedici anni dopo la Marcia verde il popolo sahrawi si trovava nelle condizioni di poter scegliere il proprio destino, ma Hassan II era davvero disposto ad accettare l’esito del referendum?

431 Nel periodo compreso tra settembre 1991 e fine 1993 le violazioni militari del cessate il fuoco denunciate dall’ONU furono 258, di queste 236 erano a carico del Marocco. M. De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, Editions ANEP, 2009, p. 123. 432 Nel gennaio 1992 una missione del Senato americano in visita nella regione denunciava l’ostruzionismo del governo marocchino nei confronti della MINURSO e al contrario la totale disponibilità a collaborare del Fronte Polisario. Nello stesso periodo alcuni ufficiali britannici della missione ONU denunciarono che le autorità marocchine impedivano loro l’accesso alle base militari nel territorio. M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 142. 433 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 142 – 143. 185

Capitolo 5. L’evoluzione del conflitto: dal cessate il fuoco ai giorni nostri (1991 – aprile 2013)

Il Marocco, come abbiamo visto, cercò di approfittare di tutte le circostanze per avvantaggiarsi e convincere l’opinione pubblica della marocchinità del Sahara occidentale e il suo avvicinamento all’Occidente fu ancora più palese durante la Seconda guerra del Golfo, nell’estate del 1990, quando Hassan II inviò 1.200 soldati per liberare il Kuwait invaso da Saddam Hussein. L’iniziativa del re fu tenuta segreta fino al febbraio 1991. Quando l’impegno del regno del Marocco contro Saddam Hussein fu dichiarato, scatenò violente proteste nell’opinione pubblica marocchina, che coinvolsero non solo i sindacati e i lavoratori, ma anche gli studenti, i disoccupati, le forze dell’opposizione e gli islamici.434 Tutti sfilarono in solidarietà con l’Iraq, protestando contro la politica estera del re, colpevole di essersi venduto agli interessi di Israele e dell’imperialismo americano. Per la prima volta Hassan II fu contestato pubblicamente. Per tutta l’estate si susseguirno manifestazioni e scioperi, che convinsero Hassan II a iniziare un programma di riforme, che preparavano il terreno per la sua successione. A seguito delle pressioni nazionali e internazionali il regime dovette intraprendere una serie di iniziative in particolare nel campo dei diritti umani. L’8 maggio 1990 venne istituito il Conseil consultatif des droits de l’homme (CCDH).435

Proprio alla fine del 1991, anche la situazione politica in Algeria precipitò, a tutto vantaggio del Marocco, che decise di ratificare gli accordi frontalieri del 1963, che Hassan II aveva promesso di ratificare nel 1989, dopo la riconciliazione maghrebina, ma mai approvati dal Parlamento marocchino, fino al 24 giugno 1992. In questo modo il Marocco pensava di fare pressioni sugli Algerini, al fine di ottenere il loro sostegno all’occupazione del Sahara occidentale. Ma anche questa volta i piani di Hassan II fallirono e il presidente dell’Alto Comitato di Stato Boudiaf ribadì pubblicamente il sostegno algerino al referendum di autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale. In questo momento i responsabili del Fronte Polisario si convisero che l’Algeria non avrebbe tradito gli impegni presi, gli Algerini, infatti, si espressero chiaramente su tre punti: la questione del Sahara occidentale era un problema di decolonizzazione da risolvere attraverso il

434 Il clima sociale era già surriscaldato dallo sciopero generale indetto dai sindacati il 14 dicembre 1990. Le marce di protesta si tennero il 3 febbraio 1991. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 215. 435 L’istituzione del CCDH seguiva la creazione nel 1984 dell’Association de Défense des Droits de l’Homme au Maroc (ASDHOM) e nel 1988 dell’Organisation Marocain des Droits de l’Homme (OMDH) ad opera di esponenti marocchini dei partiti di sinistra e di professori universitari. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 215 – 216. 186 piano di pace ONU/OUA; la stabilità del Maghreb non poteva realizzarsi senza una soluzione soddisfacente al problema sahrawi; l’Algeria non voleva avere altri problemi sulle frontiere.436

5.1. La situazione politica in Algeria

Nel 1990 le elezioni amministrative in Algeria furono vinte dal FIS (Fronte Islamico di Salvezza), che si aggiudicò anche il primo turno delle successive elezioni politiche, le prime elezioni libere in tutto il Paese (26 dicembre 1991). La vittoria dei fondamentalisti, che rifiutavano non solo i valori occidentali, ma anche la democrazia rappresentativa in quanto tale poiché frutto della colonizzazione,437 risiedeva nel proporre una rottura con lo Stato esistente. Il FIS si riconosceva come legittimo erede del FLN, il cui demerito era quello di non aver eretto, al momento dell’indipendenza, uno Stato islamico. La vittoria del FIS, inaspettata, determinò l’applicazione della sharī’a e della morale islamica: i negozi di videocassette furono chiusi; la musica popolare algerina ra’y (‘opinione’), nata negli anni ’30 nella zona di Orano tra i pastori berberi con influenze musicali andaluse, francesi e africane fu criminalizzata; le impiegate comunali furono costrette a portare il velo; gli stabilimenti balnerari promiscui furono proibiti; furono vietate le antenne paraboliche, definite ‘paradiaboliche’ perché diffondevano programmi televisivi francesi. Il FIS fece breccia nelle classi pù disagiate e popolari, perché mise in atto dei provvedimenti urgenti a favore delle persone meno abbienti: distribuzione gratuita di medicinali, di alloggi, miglioramento della rete elettrica e fogniaria. Tuttavia la piccola e media borghesia, che in un primo tempo aveva sostenuto il FIS, si trovò disorientata di fronte alla radicalizzazione di alcuni provvedimenti.

L'11 gennaio 1992 l'esercito assunse il potere con un colpo di Stato, rendendo inevitabili le dimissioni del Presidente Chadli che le annunciò alla televisione. Il 14 gennaio 1992 il controllo del Paese passò nelle mani di una giunta militare ("Alto Consiglio di Sicurezza") che affidò la gestione politico amministrativa ad un "Supremo Comitato di Stato", composto da cinque membri (un militare, due del FLN e due indipendenti) guidato, su richiesta dei militari, dal vecchio resistente Muhammad Boudiaf, richiamato dall'esilio in Marocco dopo 28 anni, ma assassinato poi il 29 giugno 1992 e a cui subentrò da Ali Kafi, sino al dicembre 1993.

Il colpo di stato venne accolto con favore non solo dalla popolazione algerina ma anche da molti Paesi occidentali, primo tra tutti gli Stati Uniti, che in un primo momento condannò l’operato dei militari, ma ventiquattro ore dopo cambiò posizione sostenendo il nuovo esecutivo: una dittatura

436 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 144 -145. 437 Secondo la teoria politica islamista l’Islam si fonda sull’idea del tawhīd, ossia l’unicità divina: Dio è unico e non può essere associato ad alcuno. Il concetto di ‘popolo sovrano’ è quindi impensabile, poiché il popolo, ergendosi a divinità, si parificherebbe a Dio. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 67. 187 militare era preferibile all’instaurazione di uno stato fondamentalista islamico come quello iraniano.438

Questi due anni (1992-1993) furono caratterizzati da arresti di massa e da una forte repressione nei confronti del FIS e dei suoi affiliati. L'immediata reazione islamista al colpo di stato fu la formazione del Movimento Islamico Armato (MIA) dedito alla guerriglia contro l’esercito e la polizia sulle montagne e del più radicale Gruppo Islamico Armato (GIA) nelle città (soprattutto ad Algeri e dintorni), uno dei gruppi più sanguinari e violenti, che vedevano nella jihad l’unica soluzione vincente. Tra i membri del GIA molti giovani disoccupati, ed ex combattenti.

Il 14 gennaio 1995 venne firmato a Roma con la mediazione della Comunità di Sant’Egidio un accordo per una soluzione politica e pacifica della crisi algerina. Sette partiti di opposizione laici e islamici, a cui aderirono il FLN e anche il FIS, si impegnarono a rispettare la Costituzione del 1989 e proposero un periodo di transizione, da gestire con l’esercito prima di arrivare ad indire nuove libere elezioni.

Gli accordi di Roma non vennero però accettati dal governo algerino, forse per il timore che in un “governo transitorio di coabitazione, frutto di elezioni monitorate internazionalmente, il FIS avrebbe potuto ottenere ancora la maggioranza”. Il GIA da parte sua avviò una propaganda contro gli stessi accordi di Roma, che considerava non validi, in quanto firmati “all’ombra della croce vaticana”. 439

Nonostante i militari avessero operato profondi cambiamenti ai vertici dello Stato, l’Algeria continuava ad essere scossa da numerosi attentati terroristici, la maggior parte dei quali indirizzati dal GIA contro gli stessi Algerini: furono sterminati interi villaggi, soprattutto intorno ad Algeri, e uccisi, tra l'altro, molti dei pochi preti e frati cattolici.

Il 30 gennaio 1994 l’Alto Consiglio di Stato terminava il suo mandato. Venne scelto come Presidente della repubblica algerina un ex generale con un passato da ambasciatore, Liamine Zéroual, che favorì la pacificazione, anche se il suo mandato coincise con il picco massimo di violenze terroristiche, duramente represse dall’esercito. Il 16 novembre 1995 si tennero le elezioni presidenziali e Zéroual venne eletto con il 61% dei voti. Una volta eletto il Presidente algerino iniziò un processo di rinnovamento del Paese, partendo da una nuova Costituzione, che introdusse importanti novità. Tra le più importanti l’introduzione del bicameralismo.

438 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 68 – 74. 439 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 78. 188

A sorpresa, l'11 settembre 1998 Zéroual annunciò le dimissioni. Le necessarie elezioni presidenziali del 15 aprile 1999 videro la vittoria di Abdelaziz Bouteflika, con il 73% dei voti, erede politico di Boumediène e tuttora presidente. Boutaflika fu il primo presidente algerino non militare dell’FLN dopo l’indipendenza, un candidato scelto dai militari, che ufficialmente non desiderano esporsi.

I militari non avevano ancora totalmente risolto il problema del fondamentalismo, che dal 1992 aveva fatto più di 100.000 morti, ma certamente la presa sull’opinione pubblica algerina dell’islamismo aveva allentato la sua presa. Boutaflika, poco dopo la sua elezione, propose al Parlamento una legge detta della ‘Concorde civile’, che prevedeva un’amnistia per tutti coloro che erano stati membri di gruppi armati, che non si fossero macchiati di massacri, stupri di massa o di attentati in luoghi pubblici e prevedeva inoltre, per coloro che si autodenunciavano, un considerevole sconto della pena. Gli ex-terroristi dovevano presentarsi davanti ad apposite commissioni, che però si riunivano a porte chiuse e non contemplavano la presenza di rappresentanti della società civile e delle associazioni di difesa dei diritti umani. La ‘Concorde civile’ si rivelò quindi un mero strumento tecnico, che portò alla resa circa 4.200 terroristi e che portò il Presidente algerino ad essere definito l’’uomo della pace’ e a migliorare l’immagine internazionale dell’Algeria, reintegrandola nel contesto internazionale, dopo anni di guerra civile. Tuttavia gli attentati non cessarono.

Nel 2005 a seguito dei numerosi dei numerosi atti terroristici che colpirono soprattutto le zone rurali, dove la presenza delle forze di sicurezza era più scarsa, fu proposto un referendum per l’approvazione di un progetto di legge denonimato ‘Charte pour la Paiz et la Réconciliation’, che prevedeva una nuova amnistia per gli ex terroristi, un risarcimento per le vittime della guerra civile, aiuti dello Stato alla famiglie bisognose che avevano perso un famigliare in vicende legate al terrorismo. Il referendum vide quasi il 98% dei voti favorevoli e quindi la conversione in legge del progetto.

Ma le violenze non cessarono ancora nonostante il Gruppo Islamico Armato (GIA) si era ormai progressivamente sfaldato, i vertici del Gruppo Salafita per la Predicazione e il Combattimento (GSPC), non aderendo ai progetti di conciliazione, ben presto si trovò isolato sul piano interno, dalla politica di riconciliazione nazionale di Bouteflika, che portò alla defezione di numerosi jihadisti. Il GSPC passò da 4.000 unità nel 2002 a 500 nel 2006. L’11 settembre 2006 il numero due di al-Qā’ida, Ayman Al-Zawahiri, annunciava in un video l'adesione ufficiale ad al-Qā’ida di quest’organizzazione algerina, che il GSPC perdeva la sua accezione localistica per diventare un’organizzazione fondamentalista islamica a livello internazionale, finalizzata alla riconquista

189 della dignità perduta.440 Il 24 gennaio 2007 il GSPC cambiò ufficialmente nome in ‘Organizzazione di al-Qā’ida nel Paese del Maghreb Islamico’, più semplicemente al-Qā’ida nel Maghreb Islamico (AQMI). La scelta del nome non fu casuale. Il Maghreb considerava come un unico Paese a maggioranza musulmana, ben guidato da un califfato che dopo aver abbattuto le frontiere artificaili della colonizzazione, ripristinava, culturalmente e storicamente, l’impero degli Almoravidi prima e degli Almohadi poi, che regnarono sul Maghreb dall’XI al XII secolo. Si trattava quindi di un movimento transnazionale che riuniva diversi movimenti jihadisti che aveva ampliato il suo raggio di azione operando non solo in Algeria, ma anche in Marocco, Mauritania, Tunisia, Ciad, Niger e Mali.441

Dopo la morte sospetta di un giovane in una caserma della gendarmeria, la primavera del 2001 fu contrassegnata da grandi manifestazioni nella regione della Cabilia, che, nonostante la dura repressione delle forze di sicurezza, continuarono ad estendersi nel Paese, dove la gente chiedeva più libertà, diritti e democrazia. La cosiddetta ‘primavera nera’ venne repressa con estrema durezza: i gendarmi spararono sulla folla e oltre 100 persone rimasero uccise.

Le elezioni dell’Assemblea Nazionale Popolare del 2002 riportarono il FLN al centro della vita politica algerina, dopo anni di crisi. In nuovo governo dichiarò di voler rompere con il passato e quindi anche con l’ideologia socialista e di aprirsi al cambiamento. Un terzo dei 38 ministri fu affidato a personalità appartenenti alla ‘società civile’ e questo nuovo governo vide una massiccia presenza femminile. Boutaflika fu anche abile a ricostruire la politica estera algerina, riallacciando, dopo l’11 settembre 2001, i rapporti con gli Stati Uniti. L’Algeria dopo l’attacco alle torri gemelle si schierò a fianco degli Stati Uniti nella lotta contro il terrorismo islamico, dichiarandosi a favore di una coalizione internazionale sotto l’egida dell’ONU. Il riavvicinamento di Algeri a Washington consentì inoltre di rileggere gli anni della guerra civile algerina e di interpretare diversamente i metodi, a volte molto duri e non rispettosi dei diritti umani, adottati dalle forze di sicurezza. Questa rilettura diffuse una diversa versione delle cause della guerra civile, che vide nell’Algeria la prima vittima storica del fondamentalismo islamico e il popolo algerino ostaggio di un complotto internazionale, messo a punto da Marocco, Iran, dalle monarchie del Golfo e dai mujāhidīn afgani.

Il ravvicinamento algerinocon gli Stati Uniti proseguì anche con l’intento di attirare investimenti statunitensi in Algeria al di là del petrolio e del gas, che avrebbe consentito a Boutaflika di svincolarsi dalla Francia di Chirac, con cui le relazioni non erano molto idilliache, come un tempo.

440 M. Guidère, Una filiale di al Qaeda in Algeria?, novembre 2006, da Le Monde Diplomatique, web site http://www.ossin.org/integralismo-terrorismo-/al-qaeda-algeria.html. 441 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 94 - 95.

190

Boutaflika cercò di bilanciare le relazioni algero-americane con l’apertura nei confronti della Russia di Putin, desideroso di riacquistare uno spazio nel mondo arabo. Nel marzo 2006 Algeria e Russia firmarono un accordo per la fornitura di sofisticati armamenti sovietici per un valore di 8 miliardi di dollari, che resero l’Algeria lo Stato meglio armato di tutto il Maghreb. Questo riarmo, ovviamente, fu un chiaro segnale per il Marocco, con il quale Algeri non aveva ancora buone relazioni diplomatiche, anche a causa dell’occupazione marocchina del Sahara occidentale, ma anche per i Paesi occidentali e gli Stati Uniti.

Sicuramente una delle maggiori preoccupazioni per l’Algeria era, ed è tutt’oggi, il difficile rapporto con il vicino Marocco. Le frontiere tra i due Paesi sono ancora chiuse dell’agosto del 1994, dopo l’attentanto all’Hotel Atlas Isni di Marrakech, che causò la morte di due turisti spagnoli. Furono le dichiarazioni del Ministro dell’interno marocchino Driss Basri, che accusò i servizi segreti algerini di essere i mandanti dell’attentato, a determinare la chiusura delle frontiere, che procurò enormi danni economici, a entrambe le parti.442

La questione più importante tra i due Paesi rimaneva quella del Sahara occidentale: Algeria e Marocco continuavano ad accusarsi reciprocamente di essere la causa del fallimento del dialogo sul Sahara occidentale.

Bouteflika, nel 2004, dopo essere stato eletto Presidente per la seconda volta, adottò una politica di equilibrio, apportando innovazioni nel codice civile, senza particolari stravolgimenti, e assecondando vistosamente la religiosità esteriore degli algerini (finanziamento del Ministro degli Affari Religiosi dei pellegrinaggi alla Mecca; l’inizio, nel 2008, della costruzione della Grande Moschea di Algeri o ‘Mecca Boutaflika’, che potrà ospitare 120.000 fedeli, la più grande moschea del mondo islamico dopo i luoghi santi, in aperta concorrenza con la moschea Hassan II di Casablanca).

Nel 2006 il Presidente algerino propose una nuova modifica della Costituzione del 1996 per rafforzare i poteri del Presidente e l’eliminazione del limite dei mandati presidenziali, permettendo così a Bouteflika di ricandidarsi per il terzo mandato, nel 2009 e vincere ottendendo lo strabiliante 90,24% dei voti favorevoli (certamente i candidati che si opponevano al Presidente uscente non avevano a disposizione la stessa imponente macchina elettorale). Restava da vedere quanto, Bouteflika, uomo della consolidata oligarchia al potere, potesse tenere testa alle sfide della contemporaneità e alle promesse fatte al popolo algerino, che dopo essere uscito dagli anni bui del terrorismo voleva migliorare le proprie condizioni di vita.

442 Gli scambi prima dell’agosto 1994 tra i due Paesi si aggiravano intorno a 1,2 – 1,5 miliardi di dollari, ora c’è spazio solo per il contrabbando. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 89. 191

5.2. Gli anni Novanta nel regno del Marocco

All’inizio degli anni Novanta la monarchia si trovò in una difficile e delicata situazione a seguito di alcuni fattori di ordine internazionale e di politicha interna. Innanzitutto, la fine della Guerra fredda con la caduta del muro di Berlino aveva aperto nuovi scenari e la Seconda guerra del Golfo aveva avuto serie ripercussioni in Marocco. Inoltre i partiti tradizionali dell’opposizione (U.S.F.P. e Istiqlal) e quelli islamici erano notevolmente cresciuti, al punto da far pensare a una loro vittoria nelle elezioni.

Questa situazione portò il re a decidere di conciliarsi con l’opposizione, per tutelare la monarchia e assicurarsi il potere, a proporre una serie di riforme di democratizzazione del Paese e la promessa di una nuova Costituzione, dopo quella del 1972, che nonostante gli emendamenti degli anni ’80, era considerata ormai superata dal nuovo clima politico. Nonostante la modernizzazione della Costituzione, varata il 4 settembre 1992, i partiti dell’opposizione non ebbe l’approvazione dell’opposizione, che giudicava che la nuova Carta lasciasse ancora troppe prerogative al sovrano, per questo chiese ancora una volta agli elettori di boicottare il referendum costituzionale, che tuttavia fu approvata dal solito plebiscito, nonostante le denunce di brogli elettorali. Il nuovo testo fu definito una mera “operazione di chirurgia estetica”. Pur avendo introdotto alcune importanti innovazioni, soprattutto l’adesione del Marocco ai diritti dell’uomo universalmente riconosciuti, di fatto si era ancora lontani da una costituzione democratica.443

Per cercare di accattivarsi l’opposizione, Hassan II decise nell’ottobre del 1993 di introdurre il concetto di “alternanza concordata”, cioé la concessione agli esponenti dell’opposizione di assumere incarichi di governo, ad eccezione dei posti chiave (ministro dell’Interno, degli Esteri, della Giustizia e delle Forze armate), che dagli anni ’60 erano prerogativa del sovrano. L’offerta fu rifiutata dall’opposizione, che chiese come condizione la destituzione del ministro dell’Interno Driss Basri. Il re non accettò la proposta e l’opposizione si rifiutò di entrare nel governo. Il sistema dunque era ancora destinato a basarsi sul potere personale del re e della sua cerchia. Di fronte a questo rifiuto il re decise di affidare alcuni incarichi di governo a industriali, professori universitari, professionisti, meno compromessi col potere e con il “sistema Basri”:444

Proprio in questo periodo il Marocco si trovò a dover fronteggiare per la prima volta un attentato terroristico di matrice islamica. L’attentato, compiuto da due algerini e da due marocchini, avvenne

443 Hassan II riferendosi a questa modernizzazione disse che “il Marocco è come un albero, le cui radici affondano profondamente nella terra d’Africa, e che respira attraverso il suo fogliame frusciante i venti d’Europa”. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 217. 444 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 218. 192 a Marrakech e provocò la morte di due cittadini spagnoli. L’attentato, come era prevedibile, ebbe forti ripercussioni internazionali: Driss Basri espulse dal Marocco migliaia di cittadini algerini ed impose il visto per chiunque provenisse dall’Algeria. L’Algeria, per ritorsione, chiuse le forntiere con il Marocco. L’attentato di Marrakech sfatava due illusioni: che il Marocco fosse una nazione in cui non poteva affermarsi l’islamismo radicale e che l’islam marocchino non potesse essere coinvolto in azioni violente. 445

Nel 1996 Hassan II annunciò una nuova riforma costituzionale. Questa volta ottenne l’appoggio delle opposizioni. La nuova Costituzione, varata il 13 settembre 1996, era il risultato di un lavoro che vedeva la partecipazione anche di costituzionalisti francesi. La Carta, approvata con un referendum costituzionale, apportò importanti cambiamenti, come l’introduzione del bicameralismo, ma, di fatto, il re continuava a preservare le sue prerogative costituzionali che già si trovavano nella prima Costituzione del 1962. Le elezioni ebbero luogo il 14 novembre 1997 e nonostante le accuse di brogli elettorali questa volta rivolti all’opposizione (in particolare all’U.S.F.P.), nel mese di marzo del 1998 assunse il ruolo di capo del governo Abderrahman Yussufi che costituì una coalizione governativa di centro sinistra formata da sette partiti. Driss Basri rimaneva il ministero dell’Interno mentre i principali ministri, furono scelti personalmente dal re. Ciò evidenziava come la sicurezza interna rimanesse saldamente nelle mani della monarchia. 446

Il primo ministro Yussufi dichiarava che nel suo programma di governo erano inclusi la risoluzione dei casi di violazione dei diritti umani, ancora in sospeso e l’attuazione di riforme giudiziarie.447

5.3. Una nuova Marcia verde

In un primo momento il referendum venne ostacolato dall’inestricabile problema della definizione del corpo elettorale. Come previsto dal calendario del piano di pace, dodici settimane prima del 6

445 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 218 – 219. 446 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 219 – 222. 447 Nel mese di ottobre 1998, ventotto prigionieri politici erano stati rilasciati dal governo in seguito ad un’amnistia. La maggior parte di essi era stata condannata sulla base di confessioni estorte con la tortura. Il CCDH annunciò il riesame di 48 casi di possibili prigionieri politici e 20 casi di altri prigionieri, ai quali non era stata concessa l’amnistia. Più di trenta prigionieri politici e di coscienza imprigionati in seguito a processi iniqui rimanevano in carcere. Tra di loro il prigioniero di coscienza Mohamed Daddach, abitante del Sahara occidentale, arrestato nel 1979 e condannato all’ergastolo per aver tentato di disertare dalla gendarmeria marocchina, dove erano arruolato con la forza. Restavano in carcere quattro prigionieri di coscienza, condannati a cinque anni per aver “insultato la famiglia reale”. Decine di studenti islamici sarebbero stati picchiati dalle forze di scurezza e molti di loro sono stati arresteti durante l’anno in diverse città del Marocco. Pare che alcuni di loro siano stati torturati dalla polizia. Venti abitanti del Sahara occidentale furono arrestati in seguito a dimostrazioni a favore dell’indipendenza. Si trattava di possibili prigionieri di coscienza. Nel corso del processo avrebbero mostrato segni di tortura, tra cui segni di corde sulle gambe e bruciature di sigaretta e dichiararono di essere costretti sotto tortura a firmare i verbali della polizia. La difesa dispose un parere medico, richiesta che venne però respinta. Rimanevano senza spiegazioni le centinaia di sparizioni di abitanti del Sahara occidentale e di alcuni cittadini del Marocco, dopo il loro arresto. Dal Rapporto annuale ’99 di , Marocco e Sahara occidentale. 193 settembre 1991, giorno di proclamazione del cessate il fuoco, il cosiddetto giorno J, la Commissione di identificazione doveva pubblicare le liste degli elettori, per dare il tempo di procedere alle eventuali integrazioni. Ma la monarchia marocchina iniziò ben presto a rallentare i lavori della Commissione, ostacolando l’aggiornamento del censimento spagnolo che, una volta revisionato, contava 70.204 persone idonee a votare.448

Il 15 settembre 1991 Hassan II scrisse una lettera al Segretario generale dell’ONU nella quale annunciava il trasferimento di 170.000 potenziali votanti, che omessi dal censimento spagnolo del 1974, ora si recavano in Sahara occidentale per ‘facilitare’ le operazioni di identificazione da parte dell’ONU. Secondo quanto dichiarava la monarchia marocchina, si trattava per la maggior parte di Sahrawi che si erano trasferiti nelle province del nord durante diversi periodi della colonizzazione spagnola e che ora rientravano nelle diverse città del Sahara, a El Aioun, Smara, Dakla e Bojador. Questo trasferimento di persone, fu definito dagli osservatori ONU come una ‘seconda marcia verde’. Il 21 settembre 1991 il Segretario generale del Fronte Polisario denunciava a Perez de Cuellar le operazioni in corso. Il 26 settembre 1991erano già arrivate in Sahara occidentale 25.000 persone provenienti dal sud del Marocco, dalla regione di Tan Tan e Goulimine, dove si erano trasferite a seguito dell’operazione Uragano e che potevano essere più facilmente in possesso dei documenti d’identità spagnoli. Il Segretario generale lasciò che 35.000 persone provenienti da tutto il regno del Marocco si installassero nella città di El Aioun, sotto le tende dell’accampamento dell’unità’ con l’intenzione di farle partecipare al referendum di autodeterminazione organizzato dalle Nazioni Unite. 449 Secondo il Fronte Polisario la decisione di questa nuova marcia verde fupresa da Hassan II nel luglio del 1991, quando furono inviate a tutte le province marocchine delle ‘istruzioni reali speciali’ per il reclutamento dei ‘volontari’. Nullatenenti, piccoli commercianti, proletariato urbano subirono forti pressioni e minacce da parte delle autorità marocchine, perché si trasferissero in Sahara occidentale a spese del governo e con la garanzia di ricevere aiuti una volta giunti a destinazione. A tal proposito, occorre però ricordare che il piano di pace fissava in maniera precisa le modalità di rientro dei Sahrawi in Sahara occidentale, che risiedevano fuori dal territori e che erano state riconosciute idonee a votare al termine delle operazioni della Commissione di identificazione.

Invece con un piano di ricolonizzazione, in stile quasi israeliano, il Marocco era andato via via colonizzando l’ex colonia spagnola con decine di migliaia di suoi cittadini, tanto che i Sahrawi si trovarono ben presto in minoranza.450

448 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 165. 449 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 149 – 152. 450 Il miraggio del Sahara, El País, Spagna, in Internazionale, 3-9 marzo 2000, p. 6 e 7. 194

Negli Stati Uniti alcuni rappresentanti democratici e repubblicani sollecitarono l’intervento del Presidente americano nei confronti del Consiglio di sicurezza dell’ONU con una risoluzione l’intervento del Presidente americano nei confronti del Consiglio di sicurezza dell’ONU che doveva evitare il naufragio del piano di pace o il suo rallentamento.

Il rappresentante speciale del Segretario generale dell’ONU per il Sahara occidentale, Johannes Manz, dichiarò che il trasferimento d’individui non identificati nel territorio sahariano era da definirsi una ‘violazione non militare’ del piano di pace. Il 20 dicembre 1991 di fronte all’evidente mancanza di volontà politica dell’ONU di denunciare le violazioni del Marocco, l’ambasciatore Manz si dimise dall’incarico.451

Il Marocco continuò la sua politica di occupazione obbligando tanti marocchini a trasferirsi in Sahara anche nel giugno del 1993 e nel febbraio 1995.452

451 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 153 – 154. 452 A.O. Yara, L’insurrection sahraui. De la guerre à l’Etat. 1973 – 2003, Paris, l’Harmattan, 2003, p. 111. 195

196

5.4. Il rapporto di fine mandato di Perez de Cuellar

Il 19 dicembre1991, Perez de Cuellar, a meno di due settimane dal suo ritiro previsto per il 31 dicembre 1991, nel suo rapporto al Consiglio di Sicurezza comunicava un ritardo nell’esecuzione del piano di pace ed annunciava lo spostamento sine die della data del referendum, precedentemente fissata per il mese di gennaio 1992, a causa della complessità delle operazioni di identificazione dei votanti ed al differente modo dei due contraenti di interpretare i relativi paragrafi del piano.453

Nell’introduzione del rapporto il Segretario generale uscente dichiarava che “una delle due parti”, senza nominare direttamente il regno del Marocco, non aveva potuto accettare che il periodo transitorio cominciasse il 6 settembre 1991, in concomitanza con il cessate il fuoco, come previsto dal piano. Nonostante ciò, il Rappresentante speciale confermava il 6 settembre come data dell’entrata in vigore del cessate il fuoco e annunciava il rinvio dell’inizio del periodo transitorio,454 e dopo aver sciolto il nodo delle liste elettorali, inviava 200 osservatori militari e amministrativi sul posto, al fine di evitare la ripresa delle ostilità. Si trattava di un punto di grande importanza poiché il periodo di transizione, oltre ad affidare al Rappresentante speciale dell’ONU in Sahara occidentale i poteri previsti dal piano di pace, prevedeva la diminuzione della presenza militare marocchina in Sahara occidentale. Il piano del 1991 prevedeva che, con l’inizio della transizione, i soldati marocchini dovessero essere raggruppati e ridotti fino a 65.000 unità, circa la metà di quelli presenti. Poiché la transizione venne spostata in avanti il Marocco non inizò il ritiro delle sue truppe e Perez de Cuellar decise di inviare solo 100 caschi blu, anziché di 1700 previsti, e di ritardare l’arrivo del suo rappresentante speciale in Sahara occidentale. Nello stesso rapporto Perez de Cuellar specificava il ruolo degli osservatori della MINURSO, che dovevano occuparsi di vigilare il cessate il fuoco e interrompere le ostilità.455 I caschi blu dell’ONU restarono, di fatto, sempre confinati nelle loro caserme, con gravi difficoltà logistiche, i loro contatti con la popolazione locale furono sistematicamente impediti.

Nell’allegato del rapporto “Istruzioni relativi ai compiti della Commissione di Identificazione”456 il Segretario generale introdusse modifiche sostanziali al piano di pace. Considerate le difficoltà relative alla registrazione e alla identificazione di tutti i Sahrawi ammessi al voto, dopo aver richiamato le disposizioni del piano di pace e il ruolo della Commissione di Identificazione, egli fece riferimento alle speficiche caratteristiche della società sahrawi e al suo carattere tribale e

453 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafo 8. 454 Hassan II chiese ed ottenne che il cessate il fuoco non fosse considerato l’inizio del periodo transitorio. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafi 3 e 4. 455 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafo 13. 456 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafo p. 5. 197 nomade. 457 Malgrado queste difficoltà, nel 1974, l’amministrazione spagnola realizzò un censimento della popolazione che contava 73.497 Sahrawi e dichiarò di aver rilasciato 32.516 documenti d’identità che furono considerati nel piano di pace come gli unici criteri di riferimento per l’individuazione degli aventi diritto al voto. 458 Sorprendentemente Perez de Cuellar, senza consultare il Fronte Polisario, decise di modificare alcuni punti essenziali del piano di pace. In particolare modificò i criteri di aggiornamento delle liste elettorali che consentivano margini molto ampi e quindi la possibilità di aumentare gli aventi diritto al voto e quindi i partecipanti al referendum.

I cinque criteri di aggiornamento delle liste elettorali, non cumulativi, erano i seguenti:

1. essere iscritti nel censimento spagnolo del 1974; 2. avere vissuto nel territorio come membro di una tribù sahrawi all’epoca del censimento del 1974, senza essere stato censito; 3. essere ascendente o discendente diretto di uno dei primi due gruppi; 4. essere nato da padre nato nel territorio; 5. essere membro di una tribù sahrawi appartenente al territorio e che risiede nel territorio da sei anni consecutivi o per dodici mesi non continuativi prima del 1° dicembre 1974.

La procedura di identificazione dipendeva dalla documentazione che gli interessati erano in grado di presentare al momento della presentazione della domanda. Perez de Cuellar sosteneva che la Commissione di Identificazione doveva limitarsi a valutare non solo i documenti, ma anche le testimonianze orali, visto che, nella società sahrawi queste ultime avevano un importante ruolo nella vita sociale.459

Il rapporto provocò ovviamente l’indignazione e le proteste del Fronte Polisario. Lo smisurato ampliamento dei criteri di identificazione dei votanti e l’aleatorietà delle testimonianze orali apparivano come un invito per i cittadini dei Paesi vicini a far parte del corpo elettorale e un avvallo alle pretese del Marocco che voleva includere nelle liste elettorali 170.000 nuovi potenziali votanti (due volte e mezza in più dei Sahrawi censiti nel 1974) e garantirsi così un esito favorevole del referendum.

Altri elementi potevano far pensare ad un allineamento del Segretario generale dell’ONU alle posizioni marocchine. Egli, per esempio, non denunciò l’illegalità della nuova marcia verde, che fu

457 Perez de Cuellar richiamò il rapporto della missione dell’ONU del 1975 nel quale si evidenziavano grandi difficoltà nel fare un censimento completo degli abitanti del Sahara spagnolo a seguito del continuo attraversamento dei confini del Sahara ai paesi vicini da parte dei Sahrawi. Allegato al Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafi 9-12, III. 458 Allegato al Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafo 16. 459 Allegato al Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23299 del 19 dicembre 1991, paragrafo 32. 198 definita, solo qualche giorno più tardi, come una ‘violazione non militare’ del piano di pace dal Rappresentante speciale Manz; non definì inoltre in modo preciso la data entro la quale le forze marocchine dovevano lasciare il territorio per garantire l’organizzazione di un referendum credibile; limitò il numero degli osservatori ONU a 200 assegnò all’unità militare della MINURSO l’unico compito di sorvegliare il cessate il fuoco; imputò indirettamente la responsabilità del ritardo nell’applicazione del piano di pace ai Sahrawi e alla particolare strutturazione della loro società. Oltre a ciò Perez de Cuellar minimizzò il ruolo dell’OUA nell’organizzazione del referendum a un semplice ruolo ‘consultativo’, dimenticando che l’Organizzazione Africana aveva, per prima nel 1983, elaborato il piano di pace per il Sahara occidentale con la risoluzione AHG 104. Anche questo mise in dubbio l’imparzialità del Segretario generale e portò molti osservatori a chiedersi le ragioni di un tale cambiamento.460

Le accuse di allineamento sulle posizioni marocchine parvero confermate nel gennaio 1993 quando Perez de Cuellar, poco tempo dopo aver terminato il suo mandato all’ONU, fu nominato vicepresidente della società francese di commergio internazionale Optorg, filiale della Omnium Nord Africain, di proprietà per il 70% della famiglia reale marocchina e del Ministro degli Affari esteri marocchino Filali.461

Il rapporto di Perez de Cuellar non venne totalmente adottato dal Consiglio di sicurezza dell’ONU a seguito delle accese discussioni che sollevò. Molti Paesi membri come l’Austria, Cuba, Zimbawe, India rifiutarono il rapporto e presentarono una serie di emendamenti sul testo, ma la Francia e lo stesso Segretario generale si opposero. Il 31 dicembre 1991 il Consiglio di sicurezza per la prima volta non adottò il rapporto del Segretario generale, ma nemmeno ne rigettò il testo, limitandosi ad accogliere con soddisfazione il rapporto sulla situazione in Sahara occidentale. Tuttavia non rifiutando il rapporto, il Consiglio di sicurezza con la risoluzione 725 prendeva di fatto in considerazione l’ampliamento dei criteri di identificazione dei votanti e il rinvio sine die del referendum. Il piano di pace fu inevitabilmente modificato nonostante le rimostranze dell’OUA, dell’Algeria e della Mauritania, che si dichiararono contrari ad uno stravolgimento del piano di pace iniziale.

Negli anni che seguirono iniziò una nuova guerra tra il Marocco e il Fronte Polisario, una guerra di cifre e di criteri che porterà a rinvii, periodi di stallo, tergiversazioni che allontanarono sempre di più il referendum.

460 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 160 – 164 e p. 171. 461 T. de Saint Maurice, Sahara occidental 1991 – 1999. L’enjeu du référendum d’autodétermination, Paris, L’Harmattan. Histoire et Perspectives Méditerranéennes, 2000, p. 28. 199

Per il Marocco il referendum sembrava essere il mezzo più idoneo per risolvere, in un modo o nell’altro, la situazione, rifiutarlo era impensabile, una simile decisione avrebbe ben presto portato il Paese in una condizione di isolamento internazionale. Hassan II pensò allora di ritardare il più possibile la realizzione del referendum mantenendo uno status quo capace di allungare i tempi di applicazione del piano di pace e le sue operazioni, di rallentare le attività della MINURSO, di violare ripetutamente il cessate il fuoco, creando un clima di tensione che, dal suo punto di vista, avrebbe giocato a proprio favore. Il Marocco attuò cioè quella che potrei definire la strategia del ‘perdere tempo’, una situazione di né guerra né pace, che perdura tutt’oggi.

Ma questa tattica oltre a costare moltissimo alla monarchia marocchina, che per mantenere l’occupazione del Sahara e il controllo del territorio attraverso l’esercito e le forze di sicurezza doveva sostenere costi elevatissimi, inadeguati alla fragile economia marocchina, non ebbe gli effetti sperati. I Sahrawi infatti, da parte loro, si dimostrarono determinati ad ottenere la loro indipendenza dopo anni di guerra, di occupazione e di esilio.

5.5. Lo stallo del processo di identificazione

Il 1° gennaio 1992 Boutros Boutros-Ghali, ex Segretario di Stato agli affari esteri egiziano, venne nominato Segretario generale dell’ONU dopo Perez de Cuellar. La sua candidatura venne sostenuta dal Ministro degli affari esteri francese, Roland Dumas.

Dopo la tempestosa discussione al Consiglio di sicurezza a seguito della presentazione del rapporto di Perez de Cuellar, tutti si aspettavano che il nuovo Segretario generale avrebbe studiato obiettivamente la situazione, analizzato le ragioni dello stallo del processo di pace e presentanto proposte per far uscire il piano di pace dall’impasse in cui si trovava.

Se da una parte il primo rapporto di Boutros-Ghali 462 confermava alcune azioni marocchine finalizzate a ritardare l’applicazione del piano di pace (le violazioni militari del cessate il fuoco e il blocco del materiale della MINURSO nei porti marocchini) che evidenziavano un ostruzionismo del Marocco nei confronti della missione onusiana, delle ‘violazioni non militari’ (nuove marce verdi), non se ne faceva alcun cenno.463 Uno dei punti più controversi che Boutros-Ghali dovette prendere

462 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23662 del 28 febbraio 1992. 463 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/23662 del 28 febbraio 1992, paragrafi 6-7-9-17. Delle 77 violazioni denunciate, 75 erano a carico del Marocco e 2 a carico del Fronte Polisario. Malgrado le numerose e gravi violazioni militari (voli di ricognizione, costruzione di bunkers e di trincee, posizionamento di mine) l’unità militare della MINURSO contava solo 375 militari, che dovevano sorvegliare un territorio di 250.000 kmq e 160.000 militari marocchini, senza contare le forze di polizia e di sicurezza, mentre le truppe marocchine non si erano ritirate e nemmeno ridotte. Era alla gerarchia dell’Onu che mancava la volontà politica necessaria a garantire le condizioni necessarie affinché la MINURSO potesse essere una missione efficace e credibile. Senza un presa di posizione chiara da parte dell’ONU era il Marocco a dettare legge. Nel secondo rapporto di Boutros-Ghali (S/24040 del 29 maggio 1992) 200 in considerazione, al fine di poter superare l’attuale situazione di stallo, riguardava le divergenze delle parti a proposito dei criteri di identificazione del corpo elettorale.

Nel gennaio del 1992 i Sahrawi nei territori occupati del Sahara occidentale continuavano le prosteste nelle strade, dove si gridavano slogan inneggianti all’indipendenza (“Sì all’indipendenza, no all’occupazione”) che furono immancabilmente represse con violenza dalle forze di sicurezza marocchine, senza alcun intervento da parte degli osservatori ONU.

Il 25 marzo 1992 l’ex ministro degli Affari esteri pakistano, Sahabzada Yacoub Khan, molto vicino alla monarchia marocchina, fu nominato Rappresentante speciale per il Sahara occidentale da Boutros-Ghali. Il nuovo Rappresentante speciale effettuò la sua prima visita nella regione dal 19 al 30 aprile 1992.464

Nel suo secondo rapporto S/24040 del 29 maggio 1992 Boutros-Ghali annunciava 102 violazioni militari dopo febbraio, di cui 97 a carico del Marocco e 5 del Fronte Polisario, mentre continuava a passare sotto silenzio il trasferimento dei coloni marocchini in Sahara occidentale, sotto gli occhi degli osservatori ONU, ridotti di una trentina di unità, che non avevano alcuna disposizione per impedirlo.

Mentre da una parte Rabat continuava a violare il piano di pace, dall’altra il Fronte Polisario rifiutava di accettare i nuovi criteri d’identificazione dei votanti.

A tale proposito era necessario ricordare che Yakoub Khan, l’11 novembre 1992, comunicava, in una lettera alle parti, l’intenzione di convocare a Ginevra il 30 novembre e il 1° dicembre dello stesso anno, una conferenza dei capi tribù (19 scelti dal Fronte Polisario e 19 scelti dal Marocco), il cui parere poteva contribuire a risolvere i problemi relativi all’interpretazione dei criteri di iscrizione nelle liste elettorali, definiti nel rapporto del Segretario generale del 19 dicembre 1991. A seguito di una disputa circa la legittimità di alcuni capi tribù marocchini, l’incontro tuttavia non ebbe luogo.465

Il Segretario generale decise allora di indicare nel suo nuovo rapporto S/25170 del 28 gennaio1993, tre possibili vie per uscire dall’impasse: annunciava 102 violazioni militari dopo febbraio, di cui 97 a carico del Marocco e 5 del Fronte Polisario. M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp.178 – 180. Per quanto riguarda le violazioni ‘non militari’, nel giugno 1993 l’ex capitale del Sahara spagnolo si apprestava a ricevere una terza marcia verde, dopo quelle del novembre 1975 e del settembre 1991, scriveva il corrispondente de El País. Il 10 giugno 1994 il Fronte Polisario denuciò una quarta marcia di diverse migliaia di persone; il 27 febbraio 1995 una quinta denuncia venne presentata al presidente della Commissione di Identificazione da parte del Fronte. Oltre a non farne cenno nel suo rapporto il Segretario dell’ONU non fece nulla per mettere fine al trasferimento di coloni marocchini nel territorio, nonostante fosse contrario al piano di pace e alle convenzioni di Ginevra. M.De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, Editions ANEP, 2009, pp. 143 – 144. 464 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 180. 465 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 190 – 191. 201

1) proseguire e se possibile intensificare i negoziati; 2) immediata applicazione del piano di pace e all’identificazione del corpo elettorale sulla base delli criteri fissati il 19 dicembre 1991, anche senza l’accordo delle parti; 3) individuazione di un’altra soluzione non basata sul piano di pace. 466

Questo rapporto mise il Consiglio di Sicurezza di fronte ad una scelta: la prima opzione era priva di ogni speranza, la seconda era considerata come la resa di fronte all’intransigenza marocchina e la terza l’abbandono del piano di pace e il fallimento delle Nazioni Unite.

Il progetto di risoluzione francese che fu presentato al Consiglio si pronunciò a favore della seconda opzione. La Francia socialista si schierava così per la seconda volta a favore del Marocco (la prima volta fu in occasione del rapporto del 19 dicembre 1991), sacrificando, di fatto, il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi. La proposta non piacque al Rappresentante statunitense che sottolineò invece l’importanza di trovare un accordo tra le parti, per favorire una soluzione giusta e duratura del conflitto.

Il progetto di risoluzione, approvato dai cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza e adottato all’unanimità il 2 marzo 1993 con la risoluzione S/RES/809 (1993), prevedeva l’organizzazione di un referendum prima della fine del 1993. La risoluzione stabiliva di iniziare rapidamente la registrazione dei votanti, partendo dalle liste aggiornate del censimento del 1974 e chiedeva alle parti di cooperare pienamente con il Segretario generale per l’applicazione del piano di pace, approvato dal Consiglio con la risoluzione 658 (1990) e 690 (1991).467

Da gennaio 1992 a marzo 1993, non fu presa alcuna decisione tendente a favorire l’applicazione del piano di pace, il Segretario generale e il suo Rappresentante speciale furono incapaci di organizzare dei negoziati diretti tra le parti, la MINURSO non fu distribuita sul territorio come previsto dal piano e il suo mandato rimase limitato, l’esercito e le forze di sicurezza marocchine, circa 200.000 unità, erano ancora presenti nel territorio sahariano, l’identificazione degli aventi diritto al voto si trovava a un punto morto.

Il 22 aprile 1993 Boutros-Ghali nominò il diplomatico inglese, Erik Jensen, presidente della Commissione di Identificazione e annunciò nel suo rapporto la sua prima visita nella regione, dopo la nomina a Segretario generale delle Nazioni Unite, insieme al Rappresentante speciale. La missione si svolse agli inizi di giugno dello stesso anno, dal 31 maggio al 4 giugno 1993, per “tentare ancora una volta di trovare un compromesso”.468

466 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/25170 del 28 gennaio 1993 paragrafi 28-34. 467 Risoluzione Consiglio di Sicurezza S/RES/809 del 2 marzo 1993. 468 Rapporto del Segretario generale della Nazioni Unite S/25818 del 21 maggio 1993, paragrafo 4. 202

Il 2 luglio 1993 la stampa annunciò la notizia di un incontro tra Marocco e Fronte Polisario, sotto l’egida delle Nazioni Unite, da tenersi dal 17 al 19 luglio 1993 a El Aioun, capitale occupata dal Sahara occidentale, allo scopo di avviare finalmente il processo di pace e di esaminare le prospettive future.

L’incontro di El Aioun veniva dopo il primo incontro ufficiale tra Marocchini e Sahrawi del Fronte Polisario, avvenuto nel 1989 a Marrakech. In realtà altri incontri si realizzarono tra le parti, ma sempre con un carattere informale o segreto (Bamako 1978, Algeri 1983, Lisbona 1985, Taëf 1988, Algeri 1992), il Marocco infatti rifiutò sempre gli incontri ufficiali e i negoziati diretti con il Fronte Polisario, perché implicavano indirettamente il suo riconoscimento come legittimo rappresentante del popolo sahrawi.

La decisione di realizzare il summit a El Aioun entusiasmò i Sahrawi, che per la prima volta dal 1975, rientravano nella Patria occupata non in forma clandestina. Il Polisario era certo che la presenza di una delegazione del movimento di liberazione nella capitale occupata del Sahara occidentale avrebbe riacceso lo spirito di resistenza della popolazione sahrawi. Ma i Marocchini, consapevoli delle possibili conseguenze, vietarono ogni forma di manifestazione, già alcuni giorni prima degli incontri.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite, il suo Rappresentante speciale e il Presidente della Commissione di Identificazione accolsero le due delegazioni che arrivarono a El Aioun il 16 luglio 1993.

La delegazione sahrawi era composta da sei membri della direzione politica del Fronte Polisario guidata da Bachir Mustapha Sayed. La delegazione marocchina era invece accompagnata dall’ambasciatore Ahmed Senoussi, rappresentante permanente all’ONU del Marocco e da nove marocchini di origine Sahrawi, i cosiddetti “tecnici”.

Il 17 luglio 1993, nel quartier generale della MINURSO, all’apertura dell’incontro, l’ambasciatore Senoussi come capo delegazione e inviato speciale del re dichiarò di essere presente all’incontro come semplice osservatore, mentre il resto della delegazione marocchina oltre a dichiarare di rappresentare il “Conseil Consultatif Royal pour les affaires sahariennes” (CORCAS) asseriva che l’incontro non mirava a discutere il piano di pace, che si trovava già in buone mani a New York. Il 18 luglio 1993 la delegazione sahrawi, non riconoscendo alcuna rappresentatività alla delegazione marocchina, decise di abbandonare l’incontro e chiese di poter negoziare con una vera rappresentanza politica e governativa.

203

In ottobre dello stesso anno il Rappresentante speciale tentò di organizzare un nuovo round di negoziati, ma anche questa volta la delegazione marocchina, resa nota solo poche ore prima dell’apertura della riunione, era composta da membri del Consiglio Reale Consultativo per il Affari Sahariani e da trasfughi sahrawi che avevano giurato fedeltà al re.

Boutros Boutros-Ghali si rese conto dell’impossibilità di realizzare i negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario. Anche la rappresentate statunitense all’ONU Madeleine Albright, definì una provocazione, l’invio di una simile delegazione da parte del Marocco. In questo modo Hassan II rivelò più chiaramente quale era il suo gioco: trascinare la questione, nella speranza che con il tempo l’ONU gli desse ragione. L’atteggiamento marocchino destò disapprovazione negli Stati Uniti, in Francia e nell’intera comunità internazionale.469

Il 4 novembre 1993470 il presidente della Commissione di Identificazione annunciava il termine dei lavori di aggiornamento delle liste dei potenziali elettori, ma fu impossibile procedere alla fase successiva di identificazione e registrazione a causa dell’irremovibilità del Marocco, che si dichiarava disponibile a procedere a condizione che i criteri di identificazione posti da Perez de Cuellar fossero accettati in toto dal Polisario e pienamente applicati. La monarchia fu colta di sorpresa nel momento in cui il Fronte Polisario si dichiarò disposto ad accettare i criteri fissati nel rapporto del 19 dicembre 1991. Il processo di identificazione doveva cominciare l’8 giugno 1994, quando il Primo ministro marocchino Adellatif Filali, inviò una lettera al Segretario generale con la quale si oppose alla presenza di due membri del segretariato dell’OUA ad assistere ai lavori della Commissione di Identificazione, in quanto membri di una organizzazione che il Marocco considerava ostile agli interessi della monarchia e a favore dell’autodeterminazione del “popolo del Sahara occidentale”.471

Il 17 luglio 1994 per la prima volta il Fronte Polisario inviò una lettera al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite denunciando apertamente il ruolo ambiguo del Segretario generale dell’ONU e del Marocco, che stava cercando di ritardare in ogni modo possibile il processo di identificazione e di modificare il piano di pace approvato dal Consiglio di sicurezza e dall’OUA.

469 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp.199 - 207. 470 Negli stessi giorni il rappresentante speciale Yacoub Khan, visitò nuovamente la regione. Dopo aver soggiornato cinque giorni a Rabat e fatto una breve scalo ad El Aioun, si recò presso la commissione di identificazione di Tindouf dove si fermò poco più di tre ore, senza nemmeno onorare il ricevimento che il Presidente della RASD aveva organizzato in suo onore, per rientrare a Rabat dove rimase per assistere alle celebrazioni della marcia verde. Il comportamento di Yacoub Khan, in qualità di rappresentante speciale dell’ONU era veramente inaccettabile, tanto da provocare la reazione di tre membri del Consiglio di Sicurezza (Stati Uniti, Spagna e Venezuela) che lo accusarono di parzialità nella gestione del dossier del Sahara occiedentale. Il 15 marzo 1994 il presidente della Commissione di identificazione Erik Jensen, viene nominato rappresentante speciale aggiunto per il Sahara occidentale con effetto immediato. In assenza di Yacob Khan egli doveva coordinare tutte le attività concernenti il referendum. M.De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, Editions ANEP, 2009, pp. 151 – 152. 471 M.De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, Editions ANEP, 2009, p. 145. 204

Un anno dopo la situazione non era ancora risolta, così Boutros-Ghali decise di chiedere al presidente tunisino Ben Ali, presidente di turno dell’OUA, di nominare i rappresentanti dell’Organizzazione Africana. Il 23 agosto 1994 la MINURSO comunicò che il Marocco ora accettava i rappresentanti dell’OUA e così il processo di identificazione poteva avere inizio. Era il 28 agosto 1994.472

Le operazioni iniziarono simultaneamente a El Aioun occupata e nei campi di rifugiati in Algeria, alla presenza di notabili sahrawi, rappresentanti del Marocco, del Polisario e dell’OUA.473

Le persone che non erano iscritte nelle liste avevano diritto di appellarsi alla Commissione, ma era possibile appellarsi anche per contestare l’inclusione nella lista di persone che si riteneva che non ne avessero diritto. Al termine del processo d’identificazione la MINURSO aveva poi il compito di pubblicare la lista degli aventi diritto al voto e consegnare a ciascuno dei votanti un certificato elettorale.

Come comunicato dal Rappresentante speciale aggiunto Jensen alle parti, il termine ultimo per la presentazione delle domande d’iscrizione era il 15 ottobre 1994, ma a causa di un violento temporale che si era abbattuto su Tindouf l’8 e il 9 ottobre, la data venne spostata di dieci giorni.474

Durante la seconda quindicina di ottobre la Commissione venne sommersa dalle domande,475 molte di più di quelle previste. Il 31 ottobre 1994 la MINURSO annunciò di aver ricevuto 230.000 domande. Il Marocco presentò all’ultimo minuto, in un colpo solo, più di 100.000 nuove domande di persone residenti al di fuori del territorio. Alla stessa data solo 50.000 richieste (il 21% del totale) erano state analizzate e intervistate poco più di 4.000 potenziali elettori. Queste operazioni avrebbero richiesto diverse settimane in più rispetto a quelle previste, soprattutto se non si poteva disporre di aiuti supplementari. Boutros-Ghali allarmato dalla situazione decise di realizzare insieme ad Erik Jensen una nuova visita nella regione. I tempi, ancora una volta, erano destinati a prolungarsi e la data del referendum, fissata nel precendente rapporto del Segretario generale del 12 luglio 1994, per il 14 febbraio 1995, era destinata ad essere nuovamente spostata.476

A metà maggio 1995 i centri d’dentificazione passarono da due a otto,477 malgrado questo, solo 40.000 delle 120.254 persone che avevano presentato domanda furono identificate, 478 senza contare

472 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1994/1257 del 5 novembre 1994. 473 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 213. 474 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1994/1257 del 5 novembre 1994, paragrafo 14. 475 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1994/1257 del 5 novembre 1994, paragrafo 15. 476 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite S/1994/1420 del 14 dicembre 1994. 477 Quattro nei campi di rifugiati sahrawi e quattro nelle principali città del Sahara occidentale occupato (Bojador, El Aioun, Smara, Dakla). M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 216. 478 81.855 dai territori occupati, 28. 831 dai campi di rifugiati, 14.568 dalla Mauritania. M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 216. 205 le ultime 100.000 richieste presentate all’ultimo momento dal Marocco. Il Polisariò interpretò questa situazione come un escamotage messo in atto dalla monarchia marocchina, per inserire nelle liste elettorali tanti votanti marocchini e inficiare così il risultato del referendum.

L’identificazione delle persone iscritte nella lista aggiornata del 1974 era abbastanza semplice: la persona presentava la documentazione rilasciata dalla Spagna e la sua identità doveva essere confermata dallo cheikh. Questa procedura venne adottata per la stragrande maggioranza dei rifugiati nei campi profughi e per un numero considerevole di persone che erano già incluse nel censimento spagnolo. I problemi comparivano nel momento in cui i richiedenti non erano inseriti nella lista revisionata e la cui iscrizione nelle liste elettorali si basava sulle testimonianze orali. Questa procedura richiedeva molto tempo.

Nel rapporto del 19 maggio 1995 il Segretario generale stimava che il referendum potesse avere luogo agli inizi del 1996, se le operazioni di identificazione fossere avanzate ad un ritmo accelerato.479

Il 26 maggio 1995 (S/1995/995) il Consiglio di sicurezza dell’ONU decise di inviare sul posto una missione composta da cinque diplomatici dei Paesi membri del Consiglio di sicurezza (Argentina, Stati Uniti, Francia, Honduras, Oman), guidata dall’ambasciatore del Bostwana. La missione che si realizzò dal 3 al 9 giugno 1995 aveva come obiettivo quello di far comprendere alle parti la necessità di cooperare pienamente con la MINURSO e sottolineare che ogni ritardo poteva compromettere l’avvenire della missione; valutare i progressi compiuti nel processo di identificazione tenendo conto della data fissata per il referendum (gennaio 1996); identificare i problemi relativi alle altre aree previste dal piano di pace (la riduzione della presenza marocchina nel territorio, l’acquartieramenteo delle forze del Fronte Polisario, la liberazione dei prigionieri e dei detenuti politici; lo scambio dei prigionieri di guerra e il ritorno dei rifugiati).480

Il 21 giugno 1995, poco dopo il rientro degli ambasciatori dell’ONU a New York, un gruppo di otto studenti sahrawi di El Aioun, di età compresa tra i 18 e i 21 anni, furono condannati a 15, 17 e 20 anni di prigione per aver attentato alla sicurezza dello Stato e all’integrità territoriale del Marocco per aver manifestato, distribuito e acclamato slogan come “Patria o martirio”, “Via la Repubblica Araba Sahrawi Democratica”, nel corso delle dimostrazioni, che si erano tenute nella capitale del Sahara, l’11 e il 12 maggio 1995.481

479 Il ritmo era di 150 persone identificate ed intervistate da ciascun centro al giorno. A maggio 1995 solo 35.851 erano state identificate. Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite S/1995/404 del 19 maggio 1995, paragrafo 6. 480 Rapporto della missione S/1995/498 del 21 giugno 1995, introduzione e paragrafo 3 (a, b, c). 481 Gli otto giovani sahrawi furono giudicati dal tribunale militare di Rabat a porte chiuse. La loro difesa fu garantita da quattro avvocati d’ufficio. Erano presenti tre osservatori, uno dell’Associazione Marocchina dei diritti dell’Uomo 206

A seguito delle pesanti condanne degli otto giovani sahrawi e al tentativo di Rabat di imporre la registrazione nelle liste elettoriali di 100.000 nuove persone residenti al di fuori del territorio, il 23 giugno 1995, il presidente Mohamed Abdelaziz, Segretario generale del Fronte Polisario, comunicò al Consiglio di sicurezza la sua decisione di sospendere la partecipazione dei Sahrawi al processo di identificazione. La stessa lettera fu inviata anche al Presidente algerino, Liamine Zeroual, al Presidente mauritano, Ould Taya e ai segretari generali dell’ONU e dell’OUA.482

Nei stessi giorni l’ambasciatore degli Stati Uniti a Rabat convocò il ministro marocchino incaricato dei diritti umani, che nel corso del colloquio dichiarò all’ambasciatore, che molto probabilmente, la Corte suprema marocchina avrebbe annullato il giudizio del tribunale militare di Rabat perché considerato incompetente.483 Il 9 luglio 1995 Hassan II ridusse le pene degli otto giovani sahrawi ad un anno di reclusione. Il sovrano sottolineò che questa decisione era stata presa a seguito della domanda di grazia presentata dai genitori e dai tutori degli otto giovani prigionieri.484

Lo stesso giorno il segretariato nazionale del Polisario si riunì e decise di partecipare nuovamente ai lavori della Commissione di Identificazione.

Le difficoltà si presentarono non appena si trattò di identificare le persone che non erano presenti nel territorio al momento del censimento e che rappresentavano la maggior parte degli individui di cui il Marocco aveva richiesto l’iscrizione. Il punto di maggior dissenso riguardava le cosiddette ‘tribù contestate’, i gruppi tribali H41, H61 e J51/52,485 composti da persone che vivevano per la maggior parte in Marocco e in Mauritania e non in Sahara occidentale.

Marocco e Polisario ammettevano che il censimento spagnolo avesse riconosciuto le principali tribù del territorio (i Reguibat Charg, i Reguibat Sahel, gli Izarguien, gli Aït Lahsen, gli Arosien, gli Ulad Delim e gli Ulad Tidrarin), ma differivano sulle altre tre (tribù del nord, Chofra e tribù della costa e

(AMDH) e due dell’Organizzazione Marocchina dei Diritti Umani (OMDH). Come riportato dal rapporto degli osservatori dell’OMDH non fu permesso di assistere al giudizio né ai giornalisti, né a due diplomatici americani. Gli imputati inoltre dichiararono di essere stati maltrattati dopo il loro arresto (bendati, ammanettati e trasportati da El Aioun a Rabat in condizioni inumane). Dopo 50 minuti di sala di consiglio il tribunale militare proclamò le sentenze: quattro giovani, LEMBARKI Ahmadou, DAHOU El Mahfoud, NlSSAN Marabih Rabou, LAKEHAL Abdeh furono condannati al massimo della pena, a 20 anni di carcere; mentre gli altri quattro, BABA Larbi, CHOUIKHATOU Abdelkebir a 17 anni. LAGOUARA Ahmed et ELBECHRAOUI Nebet, furono condannati a 15 anni di carcere. Gli osservatori dell’OMDH dichiararono il processo ingiusto da Rapporto dell’OMDH Rabat 28 giugno 1995. Anche Amnesty International intervenne sulla sentenza e chiese la liberazione immediata degli otto giovani sahrawi considerati prigionieri di opinione e denunciava le torture e i maltrattamenti ai quali erano stati sottoposti da Rapporto del mese di ottobre di Amnesty International sezione svizzera, ottobre 1995. Sito web: www.arso.org. 482 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 227 - 228. 483 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue. Paris, L’Harmattan, 1996, p. 229. 484 Il 13 luglio 1995 il Parlamento europeo adottò una risoluzione nella quale si chiedeva la liberazione immediata e incondizionata degli otto giovani sahrawi condannati il 21 giugno 1995. 485 Si trattava principalmente delle tribù Aït Bâamrane, Aït Oussa, Aït En-Nos, Azoafit, Cheraga, Aït Yarra, Bani Bouyahi, Nbi Zeroual, Chenagla, Antifa, Fir, F’hamma, Seraghna, Oulad Isa, Oulad Settout, Gomara, Zinati, Lamiar, Ideigob, Kenta, Oulad Ammoni. T. de Saint Maurice, Sahara occidental 1991 – 1999. L’enjeu du référendum d’autodétermination, Paris, L’Harmattan. Histoire et Perspectives Méditerranéennes, 2000, p. 28. 207 del sud). Queste tre tribù, erano in realtà gruppi tribali, che riunivano un certo numero di tribù riunite in questo modo dagli Spagnoli per distinguere le persone, che pur vivendo in Sahara occidentale non facevano parte dei sette gruppi principali. 486

Le prime sette tribù, dalla A alla G, erano tribù sahrawi che vivevano in Sahara, le altre tre, dalla H alla J, all’epoca della colonizzazione spagnola vivevano solo in piccola parte in Sahara occidentale, mentre il loro nucleo principale viveva fuori dal territorio, in Marocco e in Mauritania.

Il Marocco voleva che le dieci tribù fossero trattate in modo identico, il Polisario invece annunciava la sua decisione di non partecipare al processo d’identificazione, se non si fosse tenuto conto delle differenti caratteristiche dei tre gruppi contestati nell’identificazione. Nell’agosto del 1995 le operazioni s’interruppero ancora una volta.

Nell’ottobre del 1995 Boutros-Ghali cercò di sbloccare la situazione proponendo un nuovo compromesso per l’individuazione degli aventi diritto al voto tra le persone appartenenti ai gruppi contestati. Le persone dovevano presentare alla Commissione di Identificazione un documento rilasciato dalle autorità competenti, all’interno delle frontiere riconosciute a livello internazionale, prima del 1974, cioè dalla Spagna.487 Il 29 ottobre 1995 il ministro dell’interno marocchino Driss Basri rifiutò questo criterio, perché contrario agli interessi del suo Paese, così come fu riportato nel rapporto del Segretario generale dell’ONU del 25 novembre 1995.488

Al 12 novembre 1995, erano state valutate 233 487 richieste d’identificazione (176.533 dal Marocco, 42.468 dal Fronte Polisario, 14.486 dalla Mauritania). Furono convocate 75.794 persone (46.701 residenti nel Sahara occidentale occupato e 29.093 nei campi di rifugiati), 58.947 furono identificate (37.708 residenti nel Sahara occidentale occupato e 21.239 nei campi di rifugiati). I restanti 157.693, tutti residenti in Marocco, rimanevano ancora in sospeso.489

Nell’estremo tentativo di superare l’impasse, il Segretario generale propose nel suo rapporto S/1995/986, di far procedere l’identificazione delle persone appartenenti alle tribù contestate, secondo le normali procedure, anche alla presenza di una sola delle due parti. In caso della mancata presenza di entrambe le parti l’identificazione avveniva sulla base della documentazione presentata.490

486 E. Jensen, : Anatomy of a Stalemate, Boulder (Colorado) - , Lynne Rienner Publishers, 2005, p. 60. 487 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1995/924 del 6 novembre 1995. 488 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1995/986 del 24 novembre 1995 paragrafo 6. 489 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1995/986 del 24 novembre 1995 paragrafi 12 e 13. 490 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1995/986 del 24 novembre 1995 paragrafo 7. 208

La proposta non venne accolta con favore né dal Fronte Polisario, né dall’Algeria, né dall’OUA che dichiararono chiaramente di non poter considerare validi i risultati di un processo di identificazione unilaterale, che escludeva una delle due parti. 491 Lo stesso Nelson Mandela, presidente del Sudafrica, fece pervenire un messaggio a Boutros-Ghali attraverso il quale esprimeva la sua inquietudine circa le ultime vicende verificatesi in Sahara occidentale e sollecitava il governo del Marocco e il Fronte Polisario a negoziare, per arrivare al più presto alla soluzione dei problemi ancora in sospeso.

Con la risoluzione 1033 (1995) del 19 dicembre 1995, approvata all’unanimità, il Consiglio di sicurezza affermava con chiarezza che una soluzione giusta poteva essere trovata solo con l’accordo delle due parti. A tal fine accolse con favore la decisione del Segretario generale di intensificare le consultazioni con le parti, per giungere al più presto al superamento delle divergenze che ostacolavano il processo d’identificazione.492 Nel caso in cui fosse impossibile giungere ad un accordo il Segretario generale doveva sottoporre all’esame del Consiglio un nuovo rapporto con una serie di opzioni, incluso un programma di ritiro della MINURSO.493

Nei primi giorni di gennaio del 1996, l’inviato speciale del Segretario generale, Chinmaya Gharekhan, iniziava l’annunciata tournée nella regione. Nel suo rapporto il diplomatico indiano confermava la volontà delle parti di collaborare con le Nazioni Unite e di superare gli ostacoli concernenti il processo di identificazione del corpo elettorale, al fine di organizzare un referendum libero ed onesto in Sahara occidentale, come previsto nel piano di pace, ma evidenziava che Marocco e Fronte Polisario non erano più disponibili a fare concessioni unilaterali.494 Il Fronte continuava, infatti, a rifiutarsi di esaminare le domande presentate da persone appartenenti ai tre gruppi tribali contestati; il Marocco, da parte sua affermava che la domanda di ogni richiedente doveva essere valutata senza discriminazione, secondo la normale procedura.495

Nel suo nuovo rapporto del 19 gennaio 1996 Boutros-Ghali, oltre ad evidenziare che il ritiro della MINURSO dal Sahara occidentale avrebbe determinato un alto rischio d’instabilità nell’intera

491 M. De Froberville, Sahara occidental. La confiance perdue, Paris, L’Harmattan, 1996, pp. 232 – 233. 492 Risoluzione 1033 (1995) del 19 dicembre 1995, paragrafo 3. 493 Risoluzione 1033 (1995) del 19 dicembre 1995, paragrafo 4. 494 L’inviato speciale di Boutros-Ghali sperava di poter appianare le divergenze tra le due parti circa l’identificazione dei votanti. C’erano delle possibilità di avvicinamento tra i Sahrawi e i Marocchini su questa questione? “Il tema necessita di chiarimenti. I Sahrawi non hanno alcun problema. Non ci sono delle divergenze tra la nostra posizione e quella del piano di pace del 1991. Noi rimaniamo fedeli alla nostra posizione. Il problema riguarda il Consiglio di sicurezza, l’ONU e le autorità marocchine; il regno del Marocco e il piano di pace. Il Marocco vuole allontanarsi da quel piano e imporre un numero importante di elettori per arrivare a cambiare il referendum, vuole trasformarlo in un referendum confermativo. Noi difendiamo il referendum di autodeterminazione. Non bisogna dimenticare che anche l’ONU è presente in Sahara occidentale per organizzare un referendum di autodeterminazione”. A. Ratiba, Nous ne voulons pas d'une opération sale. Intervista a Mohamed Abdelaziz, presidente della RASD, in Le Matin, Alger, 9 gennaio 1996. Sito web: www.arso.org. 495 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1996/43 del 19 gennaio 1996, paragrafi 27 e 28. 209 regione,496 constatava che il dialogo tra le parti avrebbe potuto dare un nuovo impulso al processo di pace.497 La MINURSO quindi restava, nonostante gli alti costi per il suo mantenimento,498 ma il processo di identificazione si arrestava e Boutros-Ghali, con il rapporto dell’8 maggio 1996, dichiarava la sospensione temporanea del processo di identificazione, a seguito dell’impossibilità di indurre le parti a riprendere il processo di identificazione in Sahara occidentale, già bloccato da più di cinque mesi, fino a quando i protagonisti non si dimostrassero convinti e risoluti nel riprendere il processo di pace.499

Il Consiglio di sicurezza accolse le raccomandazioni del Segretario generale con la risoluzione del 29 maggio 1996, riduceva del 20% la presenza militare della MINURSO, che però veniva prorogata per sei mesi, fino al 30 novembre 1996, e si dichiarava pronto a riprendere il processo di identificazione se le parti coinvolte dimostravano la volontà politica, la cooperazione e la saggezza necessarie farlo.500

Il fallimento politico della MINURSO si innescava in un momento di grave crisi delle operazioni di peace-keeping promosse dall’ONU (alle prese con scarsi risultati e altissimi costi di gestione). La MINURSO avviava le operazioni di rimpatrio di un centinaio di uomini dal Sahara occidentale.501 Tra di loro anche sei ufficiali italiani.

5.5. La ripresa del piano di pace: Kofi Annan e il piano Baker

Quando il 1° gennaio 1997, il ghanese Kofi Annan fu nominato nuovo Segretario generale delle Nazioni Unite, il processo d’identificazione del corpo elettorale era di fatto sospeso dal 1995, a seguito dell’inconciliabilità delle posizioni delle parti coinvolte. Con lo scopo di rilanciare il processo di pace il nuovo Segretario generale pose tre questioni da esplorare prima della fine del mandato della MINURSO, previsto per il 31 maggio 1997, allo scopo di rilanciare il processo di pace:

496 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1996/43 del 19 gennaio 1996, paragrafo 37. 497 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1996/43 del 19 gennaio 1996, paragrafo 31. 498 Il costo della MINURSO variava tra i 40 e i 60 milioni di dollari per anno. Nel 1999 Kofi Annan aveva previsto un budget da 49 milioni di dollari per il periodo compresto tra il 1° luglio 1999 e il 30 giugno 2000. T. de Saint Maurice, Sahara occidental 1991 – 1999. L’enjeu du référendum d’autodétermination, Paris, L’Harmattan, Histoire et Perspectives Méditerranéennes, 2000, p. 32. 499 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1996/343 dell’8 maggio 1996, paragrafi 30 e 38. 500 Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU S/1996/1056 del 29 maggio 1996. 501 Tra gli uomini della MINURSO anche sei ufficiali italiani, uno dei quali, il capitano Stefano Bassett, che rimase gravemente ferito nel 1991 a causa dell’esplosione di una mina anticarro sotto il suo fuoristrada e che per questo venne decorato con medaglia di bronzo al valore militare. G. Gaiani, La questione del Sahara occidentale. Di fronte al fallimento della missione dell’ONU, il Polisario minaccia la ripresa della lotta armata per l’indipendenza, in Panorama difesa, ottobre 1996, p. 63. Il Corriere della Sera riporta l’episodio il 7 luglio 1992 a p. 11 nell’articolo dal titolo “Ferito da una mina un italiano dell' Onu. Il capitano italiano Stefano Basset della forza di pace ONU dislocata nel Sahara Occidentale, é rimasto ferito per lo scoppio di una mina”. Sito web: www.archiviostorico.corriere.it.

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a) il piano di pace poteva essere applicato nella sua forma attuale? b) in caso contrario, erano possibili alcuni aggiustamenti accettabili dalle parti, che potevano renderlo possibile? c) in alternativa, la comunità internazionale era in possesso degli strumenti necessari per aiutare le parti a risolvere il conflitto che le opponeva? 502

Dopo sei anni trascorsi a cercare di risolvere gli ostacoli relativi all’identificazione degli elettori ed il conseguente stallo del piano di pace, il 17 marzo 1997 Kofi Annan nominava come suo inviato personale per il Sahara occidentale l’ex segretario di stato americano James Baker.503

Ad aprile 1997 il nuovo inviato personale visitò la regione e incontrò Hassan II, il Segretario del Fronte Polisario e altri leader del movimento con l’intento di proporre una serie di negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario e, sotto l’egida delle Nazioni Unite, alla presenza dei Paesi osservatori del piano di pace, Algeria e Mauritania. Al rientro dalla sua missione Baker comunicò al Segretario generale che né Marocco, né Fronte Polisario erano disponibili a individuare una soluzione al conflitto diversa da quella prevista dal piano di pace e annunciò che l’unica possibilità era quella di organizzare dei negoziati diretti tra le parti.

I primi incontri indiretti furono realizzati a Londra il 10 e 11 giugno 1997. In quell’occasione Kofi Annan discusse separatamente con le delegazioni marocchina, sahrawi, algerina e mauritana alle quali propose di organizzare degli incontri diretti tra le parti. Si decise di far partecipare agli incontri, in qualità di osservatori, i rappresentanti di Algeria e Mauritania. Nel corso delle consultazioni Baker fu assistito dal Rappresentante speciale ad interim Erik Jensen, dall’ex Sottosegretario di stato americano agli affari africani Chester A. Crocker e dall’ex sottosegretario di stato americano per le organizzazioni internazionali John R. Bolton.504

Baker convocò per la prima volta Marocco e Fronte Polisario a Lisbona dal 23 al 25 giugno 1997 per partecipare a negoziati diretti, con l’obiettivo di analizzare, uno ad uno, tutti gli ostacoli che bloccavano l’applicazione del piano di pace, per individuare i mezzi per superarli e definire un piano di azione globale.505 Uno dei punti centrali discussi nel corso dei negoziati diretti di Lisbona era senz’altro il problema dell’identificazione degli aventi diritto al voto. Al termine Baker dichiarò alla stampa che nel corso dei due giorni di incontri alcuni progressi si erano realizzati.

502 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1997/166 del 27 febbraio 1997, paragrafo 7. 503 James Baker, 66 anni, diresse la diplomazia americana dal 1989 al 1992 durante la presidenza di George Bush padre. Egli giocò un importante ruolo nella guerra del Golfo e nel conflitto israeliano-palestinese. Fu segretario di stato durante la presidenza Reagan, dal 1985 al 1989. Presiedeva un istituto di studi di politica internazionale a Houston (Texas). La sua nomina venne accolta con favore dal Fronte Polisario e con un certo scetticismo da parte del Marocco. Baker poteva certamente contare sull’appoggio del dipartimento di Stato americano. 504 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1997/742 del 24 settembre 1997, paragrafo 4. 505 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1997/742 del 24 settembre 1997, paragrafi 5 - 7. 211

Un nuovo round di negoziati ebbe luogo un mese più tardi, il 19 e il 20 luglio 1997, questa volta a Londra. In quest’occasione, le parti convenirono di non presentare per l’identificazione alcun membro appartenente alle tribù contestate, ad eccezione delle persone regolarmente registrate nel censimento spagnolo del 1974 e ai membri delle loro famiglie.506

Nel terzo round d’incontri diretti tenutosi il 29 agosto 1997 a Lisbona, le parti trovarono un accordo tra le parti sulla riduzione dell’esercito marocchino in Sahara occidentale e sulla liberazione dei prigionieri di guerra e dei detenuti politici sahrawi.507

Il quarto round di negoziati diretti si realizzò a Houston, in Texas, dal 14 al 16 settembre 1997, presso l’Institute for Public Policy dell’Università Rice, l’ultima tappa di un percorso che doveva portare alla definizione di un accordo prima della scadenza del mandato della MINURSO, previsto per il 30 settembre 1997 e al quale assistettero nuovamente in qualità di Paesi osservatori, i rappresentanti di Algeria e Mauritania. Al termine di tre giorni di dibattito a porte chiuse, le parti, dopo gli incontri di Londra e Lisbona, si accordarono sulla condotta da osservare durante la fase precedente e successiva il referendum, sui poteri dell’ONU durante il periodo transitorio, si giunse così alla definizione di un accordo generale, che fu sottoscritto dalle parti, i cosiddetti accordi di Houston.508

5.6. Gli accordi di Houston: la ripresa del processo di identificazione

Gli accordi di Houston ebbero come effetto immediato la ripresa del processo d’identificazione del corpo elettorale bloccato ormai da lungo tempo. Kofi Annan del suo rapporto S/1997/882 del 13 novembre 1997 propose il 7 dicembre 1998, come data del referendum, e definì un calendario che prevedeva che le operazioni di identificazione riprendessero il 1° dicembre 1997, per permettere l’inizio del periodo di transizione previsto per il 7 giugno 1998, oltre al rafforzamento delle forze della MINURSO di 1850 persone. Il processo di identificazione riprese ufficialmente il 3 dicembre 1997, “in buone condizioni”, come ebbe a dichiarare Robin Kinloch, il Presidente della Commisisone di Identificazione. Se la paralisi dell’applicazione del piano di pace del 1995-1996 poteva essere attribuita al Fronte Polisario, che rifiutava di esaminare i casi delle tribù contestate, fu a partire dal 1998 che il Marocco cominciò a rallentare il processo di pace e tentò in diversi modi di intralciare gli accordi di Houston, attraverso l’imposizione di queste famose tribù contestate.509

506 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1997/742 del 24 settembre 1997, annexe I paragrafo 1. 507 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1997/742 del 24 settembre 1997, annexe II. 508 Rapporti del Segretario generale dell’ONU S/1997/742 del 24 settembre 1997 e S/1997/882 del 13 novembre 1997. 509 T. de Saint Maurice, Sahara occidental 1991 – 1999. L’enjeu du référendum d’autodétermination, Paris, L’Harmattan, Histoire et Perspectives Méditerranéennes, 2000, p. 41. 212

Nel periodo compreso tra il 3 dicembre 1997 e il 10 gennaio 1998, 18.688 persone furono convocate dalla Commissione d’Identificazione, di queste 13.227 si presentarono portando così a 73.399 le persone identificate dall’inizio delle operazioni di identificazione.510 Conformemente agli accordi di Houston, le parti avevano convenuto che nessun caso di persone appartenenti alle tribù contestate sarebbe stato valutato, ad eccezione di quelle comprese nel censimento spagnolo del 1974, senza tuttavia avere alcuna possibilità di impedire a chicchessia di presentarsi personalmente alla Commissione.511 Nel giorno in cui la Commissione convocò le 830 persone appartenenti alle tribù J51/52, iscritte nel censimento del 1974 per l’identificazione, si presentarono spontaneamente 3.927 persone a El Aioun e 495 a Tindouf. Nei giorni successivi altre 8.613 persone appartenenti ai gruppi tribali H61 si presentarono ad El Aioun. 512 Kofi Annan espresse allora forti dubbi sulla possibilità che il processo di identificazione si concludesse in tempo, per consentire l’avvio della fase di transizione prevista.513 Nel febbraio 1998, Charles F. Dunbar514 fu nominato nuovo Rappresentante speciale del Segretario generale per il Sahara occidentale, in sostituzione del Rappresentante speciale ad interim Erik Jensen.515 Nel rapporto del 13 aprile 1998 il Segretario generale comunicava al Consiglio di sicurezza che in aggiunta alle 60.112 persone identificate nella prima fase del processo di pace (da agosto 1994 a dicembre 1995), altre 56.703 persone erano state convocate dalla MINURSO ai fini dell’identificazione, dopo la ripresa delle attività nel dicembre del 1997. Di queste persone solo 41.660 si presentarono, portando il numero totale delle persone identificate a 101.772.516 Nello stesso rapporto Kofi Annan rilevava un rallentamento dell’identificazione nel mese di febbraio e marzo 1998, a causa del rifiuto da parte del governo marocchino d’iniziare le operazioni d’identificazione nel nord del Marocco e di terminare l’identificazone dei gruppi tribali contestati, ma lo stesso fissava per la fine di luglio il termine del processo di identificazione dei gruppi tribali non contestati.517

510 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/35 del 15 gennaio 1998, paragrafo 7. 511 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/35 del 15 gennaio 1998, paragrafo 9. 512 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/35 del 15 gennaio 1998, paragrafo 10. 513 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/35 del 15 gennaio 1998, paragrafo 31. 514 Charles F. Dunbar, ex ambasciatore americano in Afganistan, Qatar, Yemen. All’inizio della sua carriera fu ambascaitare a Teheran, Algeri, Rabat e Nouakchott. Parla francese, arabo e persiano. M. De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, Editions ANEP, 2009, p. 172. 515 Il 27 dicembre 1997 il Segretario generale dell’Onu propose al Consiglio di sicurezza l’intenzione di nominare Dunbar Rappresentante speciale per il Sahara occidentale. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/35 del 15 gennaio 1998, paragrafo 3. 516 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/316 del 13 aprile 1998, paragrafo 3. 517 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/316 del 13 aprile 1998, paragrafi da 4 - 6 e 32. 213

Nel rapporto del 18 giugno 1998 il Segretario generale constatò invece un’accelerazione delle operazioni d’identificazione; le persone identificate a maggio 1998 erano 127.472, rimanevano solo 20.000 persone da identificare tra i gruppi tribali non contestati, era possibile sperare che le operazioni potessero terminare entro il mese di agosto 1998. Nessun progresso invece veniva fatto riguardo le tribù contestate, malgrado i numerosi sforzi effettuati.518 Finalmente Kofi Annan nel suo rapporto S/1998/849 dell’11 settembre 1998 annunciava la fine dell’identificazione delle persone appartenenti alle tribù non contestate, la cui identificazione poteva essere ritenuta completa. Erano state intervistate dalla Commissione di Identificazione 143.350 persone (60.112 nella prima fase 94-95 e 87.238 nella seconda fase a partire da dicembre 1997). Kofi Annan sottilineava però che nessuna delle parti era riuscita a individuare proposte valide per risolvere il problema dell’identificazione delle persone appartenenti ai gruppi tribali contestati (H41, H61, J51/52). Egli affermava inoltre che il suo inviato personale doveva consultare Marocco e Fronte Polisario a fine settembre-inizio ottobre 1998, per valutare se il piano di pace poteva essere applicato nella sua forma attuale o se fosse possibile apportarvi alcuna modifica, purché considerate accettabili da ambo le parti, tali da aumentare le possibilità di una sua attuazione. In caso di fallimento elgi avrebbe dovuto suggerire altre soluzioni possibili.519 Nel mese di ottobre 1998 le Nazioni Unite presentarono a Marocco e Fronte Polisario alle parti un pacchetto di proposte i cui provvedimenti principali erano: la pubblicazione delle liste dei votanti entro il 1° dicembre 1998, per permettere l’inizio delle procedure di ricorso per gli esclusi già identificati; l’avvio dell’identificazione delle persone appartenenti ai gruppi contestati che, desiderosi di partecipare al referendum, si erano presentati individualmente ai centri di identificazione dell’ONU; la formalizzazione della presenza nel territorio dell’Alto Commissariato per i Rifugiati (HCR), per accelerare le operazioni di rimpatrio dei rifugiati; la definizione di un calendario aggiornato, in base al quale definire l’inizio del periodo di transizione, previsto per giugno-luglio e del referendum che avrebbe dovuto aver luogo nel dicembre del 1999.520 Kofi Annan nel corso di una visita nella regione realizzata alla fine del 1998, accolse il totale sostegno alle proposte presentate dall’ONU da parte del Fronte Polisario, dell’Algeria e della Mauritania. Il Marocco invece espresse dapprima alcune preoccupazioni, chiese alcuni chiarimenti, dopodiché, nel marzo del 1999, si dichiarò favorevole, in linea di principio, alle proposizioni onusiane. Il Segretario generale inoltre esortò il Marocco a formalizzare la presenza dell’HCR e a firmare l’accordo sullo stato delle forze militari dell’ONU in Sahara occidentale, che venne

518 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/534 del 18 giugno 1998, paragrafi da 3 - 5. 519 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/849 dell’11 settembre 1998, paragrafi da 2 - 4, 20 e 23. 520 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/997 del 28 ottobre 1998, paragrafi da 2 - 5. 214 finalmente sottoscritto l’11 febbraio1999, definendo in tal modo lo statuto legale della MINURSO, che doveva garantire la necessaria sicurezza per il rimpatrio dei rifugiati.521 Nel rapporto sulla situazione in Sahara occidentale del Segretario generale del 22 marzo 1999,522 il Marocco, pur avendo accettato in linea di principio le proposte del Segretario generale per sbloccare la situazione, propose una serie di emendamenti ai protocolli di identificazione e alle procedure di presentazione dei ricorsi, che di fatto spostarono il referendum da dicembre 1999 al 31 luglio 2000. Il 21 maggio 1999 William Eagleton venne nominato Rappresentante speciale per il Sahara occidentale, dopo le dimissione di Dunbar. Il 15 giugno 1999, dopo che la MINURSO aveva reso pubbliche le modalità di identificazione dei potenziali elettori, appartenenti ai tre gruppi tribali contestati (H, I e J), le operazioni di identificazione poterono ripartire. In particolare per quanto concerneva il gruppo H61, la designazione degli cheikh non necessitava del consenso dell’altra parte e l’unico criterio richiesto era di aver compiuto 18 anni al 31 dicembre 1993. Per valutare le richieste di coloro che dichiaravano di essere appartenenti al gruppo H61 gli cheikh potevano avvalersi dell’aiuto di consiglieri. Le procedure di ricorso sarebbero iniziate il 15 luglio 1999, nella stessa data in cui sarebbe stata pubblicata la prima parte della lista provvisoria degli aventi diritto al voto. Le operazioni di identificazione terminarono il 30 dicembre 1999, un giorno prima della scadenza fissate per il 31 dicembre 1999. Lo stesso giorno doveva essere pubblicata l’ultima parte della lista provvisiona degli aventi diritto al voto che potevano presentare ricorso fino alla metà del mese di gennaio e la cui valutazione doveva invece terminare entro il 28 febbraio 2000.523 Kofi Annan dovette riferire al Consiglio di sicurezza che in realtà, solo ad una piccola percentuale di coloro che appartenevano ai gruppi contestati, venne riconosciuto il diritto di votare e concluse che, se tutti coloro che erano stati esclusi avessero presentato ricorso, il numero dei casi da riesaminare sarebbe raddoppiato.524 Dal 15 luglio 1999, giorno della pubblicazione della prima parte delle liste elettorali, al 6 dicembre 1999 erano già stati presentati 79.000 ricorsi. Anche la seconda parte della lista, pubblicata il 17 gennaio 2000,525 avrebbe sicuramente avuto lo stesso

521 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1998/1160 dell’11dicembre 1998. 522 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1999/307 del 22 marzo 1999. 523 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1999/483/Add. 1 del 13 maggio 1999. 524 Dopo il 15 giugno la Commissione di Identificazione aveva identificato 42.774 richiedenti, appartenenti ai tre gruppi tribali contestati, di cui 8.371 residenti in Sahara occidentale, 667 nella regione di Tindouf in Algeria, 33.002 in Marocco e 734 in Mauritania. Al 30 novembre 1999 il totale delle persone identificate a partire dal 1994 erano 190.023. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1999/1219 del 6 dicembre 1999. 525 Furono individuati nell’ambito dei complessivi 51.220 richiedenti appartenenti alle tribù contestate altri 2.135 votanti che fecero salire il numero degli aventi diritto al voto da 84.251 a 86.386. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/131 del 23 febbraio 2000, paragrafo 6. 215 effetto. Kofi Annan fu quindi costretto a prorogare ancora una volta la data del referendum al 2002 o addirittura oltre.526 Nel suo rapporto S/2000/131 del 23 febbraio 2000 Kofi Annan oltre a fornire una panoramica storica dei risultati della MINURSO e di come, nonostante le tante difficoltà, il processo di identificazione fosse proseguito, sottolineava la possibilità che, alla pubblicazione della lista degli aventi diritto al voto, prevista per il 25 febbraio 2000, altre centinaia di migliaia ricorsi avrebbero potuto essere presentati.527 Ora era più che mai certo, che non erano le difficoltà dovute alle caratteristiche nomadi e alla struttura tribale della popolazione sahrawi ad aver impedito di definire in tempi brevi, il corpo elettorale. Nonostante il processo di identificazione fosse stato concluso il 30 dicembre 1999, il capitolo era ben lontano dal potersi ritenere chiuso, vista l’enorme quantità di ricorsi presentati e le procedure sempre più lunghe, complesse e controverse che dovevano essere affrontate. In queste condizioni Annan, che riteneva di non poter più definire un calendario delle varie fasi del processo di pace, spostata più volte in nove anni, non fissò una nuova data per il referendum. Nel fare ciò il Segretario generale sottolineava che il piano di pace non prevedeva alcuna disposizione che obbligasse le parti ad accettare il risultato del referendum e proponeva di consultare le parti per riesaminare la situazione, al fine di arrivare ad una soluzione duratura del conflitto.

5.7. L’ascesa al potere di Mohammed VI

Il 23 luglio 1999, moriva Hassan II, saliva al trono suo figlio Sidi Mohammed, con il nome di Mohammed VI, il quale manifestò da subito “la volontà di voltare definitivamente pagina e di rompere con il passato, costruendo uno vero Stato di diritto, seppur all’interno della tradizionale monarchia di origine divina”. 528 Il nuovo re, che aveva sedotto con il suo fascino, tanto i Marocchini quanto l’opinione pubblica internazionale, annunciò riforme e cambiamenti epocali che dovevano portare alla rottura con il regime precedente. In realtà anche il nuovo re, come il precedente, conservava saldamente nelle proprie mani il potere decisionale nella gestione degli affari del Paese, un ruolo che, in una monarchia costituzionale, doveva normalmente essere assunto dal governo, in quel periodo presieduto dal socialista Abderrahman Yussoufi, che era invece condannato ad un totale immobilismo. Nel giro di poco tempo le critiche a questo riguardo si

526 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/1999/1219 del 6 dicembre 1999, paragrafo 28. 527 All’11 febbraio 2000 erano già stati presentati 29.690 ricorsi. Il 25 febbraio 2000 la MINURSO aveva complessivamente ricevuto 54.884 ricorsi dopo la pubblicazione della seconda parte della lista dei votanti, due terzi dei quali provenivano dal Marocco o dai territori occupati del Sahara occidentale. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/131 del 23 febbraio 2000, paragrafo 7 e Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/461 del 22 maggio 2000, paragrafo 14. 528 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 222. 216 moltiplicarono e cominciarono a far sorgere dubbi sull’effettiva trasformazione del Marocco. Come suo padre, Mohammed VI diede prova di grande attivismo, nominando diverse commissioni reali: sul Sahara, sugli investimenti, sui diritti della persona, sull’insegnamento, sulla povertà, sui problemi sociali.529 Il re e il primo ministro non erano i soli attori di questo complesso periodo di transizione, la società civile marocchina cominciava, infatti, a occupare uno spazio politico sempre più ampio e chiedeva riforme e cambiamento.530 E’ importante ricordare il ruolo delle associazioni di difesa dei diritti umani, come il forum Verità e Giustizia, creato nell’ottobre del 1999 per le vittime della detenzione arbitraria e della sparizione forzata, che non erano soddisfatte delle indennità promesse, ma volevano la condanna dei responsabili, sostenendo che non era possibile giungere ad una riconciliazione, senza prima avere AVUTO giustizia. Mohammed VI rispose a queste pressioni evocando il valore islamico del perdono: “Ciò che onora l’uomo è la capacità di andare oltre la vendetta”. La speranza che questo nuovo re aveva fatto nascere nella gente era immensa e Mohammed VI sembrava esserne consapevole. Nella sua prima intervista il nuovo re parlò dei drammi della sua gente, per questo venne chiamato il “re dei poveri”: 29 milioni di abitanti, oppressi dalla disoccupazione (25% della popolazione attiva), dall’analfabetismo (oltre la metà della popolazione era analfabeta, il 70% delle donne), dalla mancanza di assistenza sanitaria (93% della popolazione), di corrente elettrica e di acqua potabile. Con questo suo atteggiamento nei riguardi della gente modesta, Mohammed VI riprese il monopolio degli interventi caritatevoli agli islamisti, che cominciarono a vederlo come un grande rivale, non solo in termini di legittimità religiosa (in quanto discendente di Maometto e ‘capo dei credenti’), ma anche in termini di solidarietà con i bisognosi.531

Nell’ottica di questa politica di rispetto dei diritti umani e delle libertà individuali, il nuovo re fece un altro gesto spettacolare: il 9 novembre destituì bruscamente Driss Basri, 532 ex ministro dell’Interno e dell’Informazione, braccio destro di Hassan II, responsabile di una politica repressiva durata quasi trent’anni. Altri oppositori in esilio furono autorizzati dal re a tornare in Marocco (i famigliari di Ben Barka, Abraham Serfaty).

529 Z. Daoud e K. Abderrahim, Activisme du monarque, immobilisme du gouvernement. Le Maroc change-t-il vraiment?, in Le Monde diplomatique, 14 febbraio 2000. 530 “Bisogna essere cieci per non rendersi conto che i Marocchini hanno rialzato la testa, sono intimamente più liberi, hanno incominciato a respingere le catene della paura e del fatalismo. Mentre le condizioni materiali dei più bisognosi non sono cambiate e l’inferno del quotidiano, cioè del presente, frantuma le loro vite, essi sentono che il futuro ridiventa possibile” Le Journal, Casablanca, 8 aprile 2000, I. Ramonet, Tra speranza e frustrazione. Il Marocco al bivio, in Le Monde diplomatique, luglio 2000, p. 1. 531 I. Ramonet, Tra speranza e frustrazione. Il Marocco al bivio, in Le Monde diplomatique, luglio 2000, p. 1. 532 La sostituzione di Driss Basri, morto in esilio a Parigi nel 2007, era stata interpretata come la fine degli anni di piombo in Marocco. Basri fu sostituito con Driss Jettou (di origine berbera). 217

Nell’autunno del 2002 si realizzarono nuove elezioni, che nonostante il clima di correttezza e democraticità diffuso, videro un alto tasso di astensionismo, forse per il grande numero di formazioni politiche, che disorientarono l’elettorale. Questa situazione in realtà risultò favorevole al monarca che non dovendo fronteggiare una solida maggioranza o un partito unico, aveva le mani libere. La principale novità fu l’enorme successo del partito islamico moderato, il PJD (Parti de la Justice et du Développement), guidato da Abdelkrim El Khatib, che aveva come principale obiettivo quello di “riportare la religione nel cuore della società”, senza estremismi fondamentalisti, ma assicurando il sostegno alla monarchia e ammettendo che essa potesse svolgere un ruolo fondamentale per l’unità del Paese. Il sostegno alla monarchia fu ciò che contraddistinse il PJD dal movimento islamico di Yassine, Giustizia e Carità (al-Awal-Ihsan),533 che si rifiutava invece di riconoscere il re come ‘capo dei credenti’.

Tra le principali riforme realizzate in Marocco in questo periodo, vale senz’altro la pena ricordare la revisione del codice di famiglia. Certamente si trattò di una trasformazione importante anche se restava ancora molto da fare per affermare l’uguaglianza tra uomo e donna. Per esempio, l’alto tasso di analfabetismo tra le donne si ripercuoteva inevitabilmente sulla conoscenza e l’applicazione effettiva della riforma. Il nuovo re realizzò alcune riforme importanti, ma di fatto, queste non contribuirono ad accelerare il processo di transizione democratica: il potere era ancora saldamente nelle mani del re e della monarchia.

In un Paese in cui la popolazione era passata da 11,5 milioni nel 1960 a quasi 30 milioni nel 2000, più della metà dei quali aveva meno di 25 anni e dove nel 2000 il numero degli abitanti nelle città si era quadruplicato, fino a superare il 55% della popolazione totale, la maggior parte dei Marocchini viveva sotto la soglia di povertà, la maggioranza dei giovani non sentiva più di avere una speranza, non credeva più nel proprio Paese e nel rinnovamento incarnato dal giovane re. La mancata soluzione degli endemici problemi economici, sociali e demografici in Marocco e alcuni eventi politici internazionali (crisi in Medio-Oriente e la guerra in Afganistan) fecero emergere l’islamismo che secondo alcuni osservatori era possibile contrastare solo con l’impegno nel sociale, la lotta contro la corruzione e la povertà.534 L’unica alternativa per molti marocchini, nonostante gli

533 Fondato nel 1985 dallo sceicco Abdeslam Yassine, costretto a dieci anni di domicilio coatto e liberato nel 2000. Fatiha, 20 anni, studentessa alla facoltà di diritto di Rabat spiegava: “visitiamo i malati, li aiutiamo nell’acquiso dei medicinali, contribuiamo alle spese funerarie; e inoltre teniamo corsi serali per gli allievi, aiutiamo le donne sole, vedove o divorziate, contribuiamo alle spese dei pellegrinaggi, provvediamo all’assistenza legale delle vittime di determinati abusi. La nostra azione non è solo spirituale, è concreta, dà sollievo a chi si trova alle prese con i problemi quotidiani. A fronte delle carenze dello stato e delle brutali condizioni di vita, grazie a noi la gente scopre la solidarietà, l’aiuto reciproco, la fratellanza, e si rende conto che l’islam è umanesimo”. I. Ramonet, Tra speranza e frustrazione. Il Marocco al bivio, in Le Monde diplomatique, luglio 2000, p. 8. 534 “Se non ci fosse tanta corruzione, sostiene Driss El Atlassi, 55 anni, manager a Kénitra, il decollo economico potrebbe essere formidabile. Ma per l’amministrazione gli investitori, nazionali o stranieri, sono vacche da mungere. E 218 enormi rischi, era emigrare, spesso accettando di attraversare lo stretto di Gibilterra con mezzi di fortuna, molto spesso senza mai arrivare a destinazione.535

Il 16 maggio 2003 a Casablanca dodici persone si fecero esplodere quasi simultaneamente in ristoranti e hotel frequentati da europei, nonché in sedi ebraiche, causando la morte di quarantacinque persone e colpendo i simboli della modernità e della tolleranza religiosa in Marocco. Il governo rispose agli attacchi terroristici con arresti e varando una durissima legge anti- terrorismo (legge n. 03-03 del 23 maggio 2003), che rafforzò i poteri della polizia e inasprì le pene per gli atti di terrorismo.536 Gli attentati di Casablanca dimostrarono che in Marocco qualcosa stava cambiando. Le esplosioni alla stazione Atocha di Madrid dell’11 marzo 2004 resero evidenti le capacità organizzative dei movimenti islamici in Marocco, infatti, in questo caso tutti i responsabili dell’attentato erano cittadini marocchini.

Le principali formazioni terroristiche, come al-Haraka al-Salafīya al-Jihadīya (Movimento salafita per la jihad), il Groupe Islamique Combattant Marocain (GICM), al-Sirat al-Mustaqim (La retta via), al-Takfir wal Jijra (Scomunica ed esilio) avevano tutti rapporti con al-Qā’ida o con l’AQMI, che reclutava uomini da mandare in Iraq a supporto della guerriglia antistatunitense. Tutti questi gruppi avevano in comune l’antisemitismo, l’odio per gli Stati Uniti e la volontà di creare uno Stato islamico. Povertà, corruzione, analfabetismo, disparità sociale, mancanza di opportunità rendevano il Marocco un terreno fertile dove poter reclutare facilmente persone che si dichiaravano contro la monarchia marocchina accusata di essersi occidentalizzata e quindi allontanata dall’Islam, soprattutto dopo la riforma del codice di famiglia.537

li dissangua fino all’ultima goccia. Per questo si mantengono tanto prudenti. Solo i privilegiati rischiano i propri capitali, e guadagnano immancabilmente. C’è poi un’economia sommersa di dimesioni imponenti, legata alla droga – il Marocco è il primo esportatore mondiale di hashish – e al contrabbando proveniente da Melilla o diretto in Algeria. Molti ufficiali ne traggono utili ingenti. E il potere chiude gli occhi. Come si spiega altrimenti il fatto che dei cento maggiori patrimoni del Marocco, i primi cinquanta appartengono a militari o a commissari? Basterebbero i patrimoni dei venti militari più ricchi per pagare i 17 milioni di dollari di debito estero”. I. Ramonet, Tra speranza e frustrazione. Il Marocco al bivio, in Le Monde diplomatique, luglio 2000, pp. 8 – 9. 535 Circa 40.000 marocchini ogni anno riescono ad espatriare. La comunità marocchina all’estero (soprattutto in Francia, Belgio, Italia, Spagna, Canada e Stati Uniti) supera oramai i due milioni di persone, che ogni anno inviano ai loro famigliari i loro risparmi, valutati complessivamente in circa due miliardi di dollari. Per il Marocco, questa cifra rappresenta un apporto maggiore dei proventi delle esportazioni di fosfati, sommati a quelli della produzione agricola. I. Ramonet, Tra speranza e frustrazione. Il Marocco al bivio, in Le Monde diplomatique, luglio 2000, p. 8. 536 La legge anti-terrorismo fu molto criticata dalle associazioni di difesa dei diritti umani non solo perché prevedeva per certi reati la pena di morte, ma perché aveva esteso il fermo di polizia a dodici giorni, nel corso dei quali il detenuto non poteva godere di assistenza legale e/o medica, né ricevere visite o avere contatti con i famigliari. Numerose furono le denunce di uso indiscriminato della tortura da parte dei servizi segreti della DGST (Direction Générale de la Surveillance du Territoire) dipendenti dalla Direction Générale de la Sûreté Nationale (DGSN) del Ministero dell’Interno. La DGST si occupa di controspionaggio all’interno del Regno, mentre invece la Direction Générale des Études et de la Documentation (DGED), creata nel 1973 e totalmente dipendente dal sovrano, ha il compito dello spionaggio all’estero. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 236. 537 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 237. 219

Il 14 febbraio 2006 fu emanata una nuova legge (n. 36-04) che vietava la costituzione di partiti politici che si richiamavano all’Islam e si dichiaravano contro la monarchia o all’integrità territoriale. Di per sé questa legge era da considerarsi un paradosso perché proibiva la costituzione di partiti islamici, quando era proprio il regime stesso a fondarsi sulla religione islamica; inoltre come era possibile ammettere che una legge dello Stato riguardasse solo alcuni partiti e non il PJD,? Forse perché quest’ultimo era rispettoso della monarchia?538

Nel marzo e nell’aprile 2007 si ebbero ancora nuovi attentati a Casablanca: un nuovo segnale per la monarchia alauita. Il rischio conseguente agli attentati non era solo perdita della stabilità interna al Paese, ma anche il crollo dell’industria del turismo, principale fonte di reddito del Marocco. Mohammed VI decise quindi di contrastare con durezza i movimenti islamici fondamentalisi, come quello dello sceicco Yassine e di favorire i partiti islamici moderati, come il PJD, per incanalare le correnti islamiche presenti nel Paese e renderle inoffensive.539

Le elezioni del 2007 furono caratterizzate dalla più bassa affluenza alle urne nella storia marocchina (37% degli aventi diritto) e una valanga di schede nulle o bianche (19%). Dati che evidenziarono una scarsa fiducia nella politica da parte dei marocchini, soprattutto dei giovani. Mohammed Vi nominò Abbad al-Fassi, del partito nazionalista dell’Istiqlāl, Primo ministro.

Nonostante i deboli progressi la democrazia marocchina non può ancora oggi essere definita avanzata o compiuta, perché il principale dei suoi governanti, il re, non viene eletto, alcuni suoi poteri sono definiti dalla Costituzione, altri sono extracostituzioanli, tra di essi la sacralità della monarchia, che permette al re di stroncare sul nascere ogni critica. Esemplificativo da questo punto di vista è il sequestro e la chiusura di giornali e riviste che commentano la politica della monarchia e che mettono in discussione la marocchinità del Sahara occidentale.540

538 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 237. 539 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 237 – 238. 540 La Costituzione marocchina, in vigore nel 2009, all’articolo 23 recitava che la persona del re era sacra e inviolabile e quindi costituiva un attentato nei suoi confronti il fatto di aver sottoposto la monarchia alla pubblica valutazione. Inoltre l’articolo 1 del codice della stampa precisava che i giornalisti dovevano esercitare la loro professione nel rispetto della Costituzione. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 239. Mentre nell’aprile 2000 Rabat ospitava il “Quinto laboratorio internazionale delle istituzioni internazionali per la promozione dei diritti umani” e inaugurava il Centro di documentazione sui diritti umani, il Ministro della comunicazione rilanciava la vecchia tradizione della censura. Vennero licenziati due giornalisti della tv pubblica 2M, per “colpe professionali” e censurato il settimanale più diffuso nel Paese, Le Journal, perchè aveva accennato al Sahara occidentale e al Fronte Polisario. G. Sgrena, Modernizzazion marocchina. Mohamed VI risarcisce, poche, vittime della repressione. Ma esclude i Sahrawi e rilancia la censura, Il Manifesto – Mondo, martedì 8 agosto 2000, p. 11. Anche un giornalista francese, Claude Jouvenal, responsabile dell’ufficio dell’Agence France Presse a Rabat fu costretto ad abbandonare il Paese su ordine del Prefetto. Jouvenal aveva recentemente pubblicato i nomi di quattrodici funzionari del regime di Hassan II, colpevoli di gravi violazioni dei diritti umani. La direzione dell’AFP, dichiarò che si 220

Mentre alcuni continuano a definire la monarchia marocchina una “iper-monarchia” 541 o una monarchia assoluta, altri invece pensano al Marocco, come a una delle democrazie più avanzate nel contesto maghrebino e arabo. Questo fu il giudizio dell’Unione Europea che, il 13 ottobre 2008, decise di accordare al Marocco lo statuto avanzato, rafforzando la sua posizione nel partenariato euro-mediterraneo. Si trattava forse di una nuova operazione di “chirurgia plastica” che lasciava sostanzialmente il potere nelle mani del re? La “primavera marocchina” annunciata non era germogliata e il Marocco era passato dall’essere una monarchia assoluta, repressiva e brutale a una monarchia istituzionalizzata, che dirigeva il Paese attraverso il makhzen, quella struttura politico- amministrativa sulla quale riposava il potere del Marocco, una struttura fatta di sottomissione, di rituali, di cerimonie, di tradizioni. Consisteva cioè in una concezione specifica dell’autorità, che impregnava l’intera classe politica e di cui il re costutiva l’elemento principale: solo il monarca poteva stabilire limiti al proprio potere, il Parlamento era allora trasformato in una cassa di risonanza delle volontà reali e il governo un semplice esecutore delle politiche reali.542

Restava il problema del Sahara occidentale, che il re non voleva abbandonare e che condizionò molto il futuro del nuovo Marocco, che continuava a riversare il 20% del proprio bilancio, per mantenere in Sahara circa 200.000 uomini. Le risorse investite per le spese militari avrebbero potuto essere spese più utilmente, per portare avanti una buona politica sociale e rilanciare l’economia. Opera del nuovo monarca erano state anche le feroci repressioni nei confronti delle manifestazioni pacifiche, organizzate nel settembre 1999, dai Sahrawi nel Sahara occidentale occupato e le esemplari condanne inflitte ai manifestanti.

L’11 aprile 2007 Mohammed VI presentava a Ban Ki-Moon un piano di autonomia per il Sahara occidentale, parallelamente creò il Conseil Royal Consultatif pour les Affaires Sahariennes (CORCAS), un’entità politica che doveva rappresentare il popolo del Sahara occidentale, Sahrawi e Marocchini, ma anche con il compito di curare lo sviluppo economico della regione. Il CORCAS aveva sede a Rabat, il suo Presidente era Khalihenna Ould Rachid,543 era composto da 9 vice- presidenti, da un segretario generale e da 140 membri (tra cui quattrodici donne), nominati dal

trattava di un “flagrante attentato al diritto di informare”. Era la prima volta che accadeva un fatto di censura così clamoroso dopo l’ascesa al trono di Mohammed VI. Il Ministero della cultura e dell’informazione marocchino precisarono che l’esplusione di Jouvenal era avvenuta per motivi professionali e non per limitare la libertà di informazione. Il lavoro di Jouvenal, disse un funzionario dell’Agenzia ufficiale marocchina, “aveva un carattere ostile verso il Marocco e le sue istituzioni”. Il re Mohammed VI censura l’agenzia francese. Marocco, espulso giornalista dell’Afp, in La Repubblica, domenica 5 novembre 2000. 541 A. Amar, Mohammed VI. Le grand malentendu. Dix ans de règne dans l’ombre de Hassan II, Paris, Édition Calmann-Lévy, 2009. 542 A. Amar, Mohammed VI. Le grand malentendu. Dix ans de règne dans l’ombre de Hassan II, Paris, Édition Calmann-Lévy, 2009, pp. 7 – 14. 543 Fondatore nel 1974 del Partito de la Unión Nacional Sahrawi (P.U.N.S.), un partito filo-spagnolo, che nel 1975 giurò fedeltà al re, che lo ricompensò nominandolo sindaco di El Aioun. 221 sovrano che restavano in carica per quattro anni. Aveva a disposizione un budget proveniente dalla Corte reale e si componeva di cinque Commissioni: 1) affari sociali, sviluppo umano e ambiente; 2) affari esteri e cooperazione; 3) difesa dei diritti umani; 4) affari economici e educazione; 5) promozione della cultura hassaniya, informazione e comunicazione. Il CORCAS avrebbe offerto la possibilità alle élites locali di iniziare a gestire il territorio e a imporsi come interlocutore verso l’esterno, soprattutto nei confronti della Nazioni Unite e dell’Algeria, al posto del Fronte Polisario. A supporto del progetto di regionalizzazione del Sahara, la monarchia marocchina istituì nel gennaio 2010 la Commissione Consultiva sulla Regionalizzazione (CCR), un organismo composto da ventuno membri, di cui tre donne, con il compito di studiare il modello marocchino di regionalizzazione.544

5.8. L’accordo quadro – il Piano Baker

Con la risoluzione 1292 (2000) del 29 febbraio 2000 il Consiglio di sicurezza aveva deciso di prorogare il mandato della MINURSO fino al 31 maggio 2000 e affidava a James Baker, l’incarico di mediatore. L’inviato personale di Kofi Annan si impegnava a consultare le parti e, tenendo conto degli ostacoli, sia esistenti che potenziali, doveva esaminare i termini e i modi per arrivare ad una soluzione “rapida, durevole e concordata del contenzioso”. La risoluzione suscitava nuove speranze, esprimeva il totale appoggio delle Nazioni Unite per l’organizzazione di un referendum “libero, regolare e imparziale” e faceva appello alle parti di collaborare al fine di trovare una soluzione “durevole”. La risoluzione diede largo mandato nella regione all’ex Segretario di Stato americano per il rilancio il processo di pace. Baker si recò in visita nella regione dall’8 all’11 aprile 2000,545 per incontrare le parti e tentare di sbloccare il piano di pace delle Nazioni Unite.

James Baker una volta rientrato dalla missione decise di convocare un primo incontro privato e diretto tra le parti. Il meeting, che si tenne a Londra il 14 maggio 2000, fu descritto come franco e diretto ma non portò ad alcun risultato. Il Marocco e il Fronte Polisario furono allora sollecitati dall’inviato personale a riunirsi nuovamente a Londra il 28 giugno 2000, ma questa volta portando proposte concrete miranti a risolvere le molte controversie attinenti il piano di pace. All’incontro furono invitati con il ruolo di osservatori anche i rappresentanti di Algeria e Mauritania. Al termine del meeting Baker comunicò al Segretario generale non solo che gli incontri diretti non avevano prodotto alcun avanzamento, ma che addirittura avevano determinato un regresso, in quanto

544 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 231. 545 James Baker si recò in Marocco, nei campi di rifugiati sahrawi, in Algeria. A causa di motivi di salute la visita in Mauritania venne sospesa.Baker riuscì comunque a conversare telefonicamente con il presidente mauritano. Il 12 aprile incontrò le autorità spagnole e francesi a Parigi e a Madrid. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/461 del 22 maggio 2000, paragrafi 1 - 8. 222 avevano reso più profonde le differenze tra le parti, che non si dimostrarono disponibili a presentare delle proposte concrete, capaci di avvicinare i punti di vista e a fare concessioni in caso di vittoria del referendum. Lo stesso Kofi Annan dichiarava nel suo rapporto che era assolutamento necessario trovare una soluzione politica, per evitare in ogni modo possibile il fallimento del processo di pace ed evitare in ogni modo possibile la ripresa delle ostilità.546

La posta in gioco era alta, i negoziati lunghi e difficili “sono stati in realtà un gioco a “somma zero” che ciascuna parte ha ritenuto di dover vincere assolutamente perché la natura dell’accordo delle Nazioni Unite produrrà solo un vincente e un perdente.547

Il terzo round di negoziati ebbe luogo a Berlino il 28 settembre 2000.548 Anche in questa occasione furono invitati come osservatori l’Algeria, che lasciò l’incontro dopo aver ascoltato la relazione iniziale di Baker senza partecipare alla discussione tra le parti e la Mauritania, che però non inviò alcuna delegazione. Durante il meeting Marocco e Fronte Polisario ribadirono il proprio sostegno al piano di pace, ma questa volta l’inviato personale si dichiarò scettico rispetto alla veridicità delle loro dichiarazioni. Egli fece osservare a entrambi che dal 1997 si stava discutendo degli stessi argomenti, senza tuttavia trovare alcun accordo che evidenziasse, da una parte e dall’altra, la volontà politica necessaria per giungere a una soluzione del conflitto. Baker ricordò inoltre che era possibile arrivare all’autodeterminazione in diversi modi: attraverso la guerra o la rivolzuzione, attraverso le elezioni oppure attraverso un accordo, senza abbandonare il piano di pace. Il Fronte Polisario dichiarò il suo attaccamento al piano di pace del 1991 e agli accordi di Houston (lo stesso fece in seguito l’Algeria), mentre la delegazione marocchina si dichiarò favorevole alla possibilità di negoziare una soluzione alternativa, sotto l’egida dell’inviato personale, rispettosa della sovranità nazionale e dell’integrità territoriale del Marocco. Dopo quattro anni di negoziati e di consultazioni James Baker era giunto alla conclusione, condivisa da Kofi Annan, che nessuna soluzione rapida, durevole e concertata era possibile, a meno che il governo marocchino, in qualità di “potenza amministratrice” del Sahara occidentale, non fosse stato disposto ad offrire o ad accettare la delega di funzioni governative a tutti gli abitanti dei territori occupati del Sahara occidentale, in conformità

546 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/683 del 13 luglio 2000. 547 F. Baffigo, Sahara occidentale. Un capitolo dimenticato della storia coloniale europea?, da Il Popolo – Mondo, sabato 17 novembre 2001, p. 8. 548 Su sollecitazione di Baker le parti parteciparono a delle riunioni tecniche di esperti il 20 e 21 luglio 2000 a Ginevra, allo scopo di esaminare le questioni relative ai ricorsi, ai prigionieri di guerra e ai rifugiati. Questi incontri svolti alla presenza del rappresentante speciale Eagleton, dell’assistente dell’inviato personale Bolton e dei coordinatori della MINURSO, Mohamed Loulichki e M’hamed Khaddad si rilevarono inutili e improduttivi. La delegazione marocchina annunciò durante la riunione di non essere autorizzaa a discutere delle procedure dei ricorsi perché si trattava di problemi politici e non tecnici. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/1029 del 25 ottobre 2000, paragrafi 2 – 5. 223 alle norme internazionali. 549 Per la prima volta le Nazioni Unite presero in considerazione un progetto di autonomia interna al Sahara occidentale, sotto l’autorità di Rabat.

L’incontro di Berlino ebbe il merito di rendere esplicite le intenzioni del Marocco, che dichiarava di puntare alla cosiddetta “terza via”, che escludeva, di fatto, la tenuta del referendum di autodeterminazione a favore di un’autonomia interna al Marocco. Secondo un comunicato diffuso il 28 settembre 2000 dal Ministero degli esteri marocchino, il Marocco era disponibile ad avviare “un dialogo sincero e franco con gli indipendentisti del Fronte Polisario, nella prospettiva di un decentramento del Sahara occidentale”.550

Inevitabile la reazione del Fronte Polisario che in un comunicato dichiarava che il Marocco, con l’incontro di Berlino, affossava il processo di pace dell’Onu e presentava una pseudosoluzione che mirava a legittimare l’occupazione coloniale del Sahara occidentale da parte del Marocco.551

Il progetto della “terza via” ribattezzato “accordo quadro” o Piano Baker I, che consisteva in una forma di un’autonomia illusoria, quindi in un’integrazione del Sahara occidentale al Marocco, fu sottoposto al Fronte Polisario il 5 maggio 2001. La Francia, che non aveva mai nascosto il suo sostegno al Marocco e il suo rifiuto di un Sahara occidentale indipendente, si dichiarò favorevole alla proposta di Annan e Baker, lo stesso fecero Stati Uniti e Gran Bretagna. Cosciente dell’opposizione dell’Algeria, dei Sahrawi e della maggior parte dei membri dell’Assemblea generale dell’Onu, il Consiglio di sicurezza si astenne dall’approvare l’”accordo quadro” e chiese a Baker di preparare un altro piano. A Washington, alcuni senatori democratici, tra i quali Edward Kennedy e John Kerry scrissero al Segretario di Stato americano Colin Powell per espremere la loro “inquietudine rispetto alla scelta dell’ONU di abbandonare il referendum a favore di una soluzione che proponeva l’integrazione del Sahara occidentale al Marocco, contro la volontà del popolo sahrawi”.552

Baker presentò il nuovo “accordo quadro sullo statuto del Sahara occidentale”, presentato al Consiglio di Sicurezza il 20 giugno 2001, prevedeva l’elezione di nuovi organi esecutivi, legislativi e giudiziari, che dovevano svolgere le loro funzioni per un periodo di tempo non superiore ai cinque anni. Attraverso tali organi la “popolazione del Sahara occidentale”, non il popolo sahrawi, avrebbe esercitato la propria competenza esclusiva nei seguenti ambiti: amministrazione governativa locale,

549 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2000/1029 del 25 ottobre 2000. 550 Fallimento Onu. Sahara. Rabat affossa il piano di pace, da Il Manifesto - Mondo, sabato 30 settembre 2000, p. 11. 551 Fallimento Onu. Sahara. Rabat affossa il piano di pace, da Il Manifesto - Mondo, sabato 30 settembre 2000, p. 11. 552 Y. H. Zoubir, Lorsque la géopolitique et la realpolitik empêchent de résoudre un conflit et violent le droit International: le cas du Sahara occidental, in AA.VV., Le droit International et la question du Sahara occidental, IPJGET, Porto, 2007, capitolo 17, pp. 284 – 285. 224 tasse e imposte territoriali, mantenimento dell’ordine e della sicurezza interna, protezione sociale, cultura, educazione, commercio, trasporti, agricoltura, miniere, pesca e industria, politica ambientale, case e sviluppo urbano, acqua ed elettricità, strade e altre infrastrutture di base. Al regno del Marocco furono affidati, in forma esclusiva, le competenze in materia di politica estera, sicurezza e difesa nazionale, tutte le questioni relative alla produzione, alla vendita e all’utilizzo di armi ed esplosivi, la tutela dell’integrità territoriale contro i tentativi di secessione provenienti dall’interno e dall’esterno del territorio. Si estendevano al Sahara occidentale la bandiera, la moneta, i servizi doganali, postali e di telecomunicazioni già in uso in Marocco.

L’esecutivo, che doveva essere eletto da coloro che erano stati giudicati idonei a votare dalla MINURSO e il cui nome compariva nelle liste elettorali pubblicate il 30 dicembre 1999, sarebbe rimasto in carica per un periodo iniziale di quattro anni. Il potere legislativo veniva affidato ad un’Assemblea eletta a scrutinio diretto e con mandato quadriennale. Per poter eleggere i membri dell’Assemblea era necessario aver compiuto 18 anni ed essere residenti nel territorio in modo continuativo a partire dal 31 ottobre 1998 o essere iscritto nella lista dei rifugiati da rimpatriare al 31 ottobre 2000. Tutte le leggi promulgate dall’Assemblea e tutte le decisioni dei Tribunali, inoltre, dovevano essere conformi alla Costituzione marocchina; mentre tutte le consultazioni elettorali e i referendum dovevano essere condotte in conformità con quanto stabilito negli accordi di Houston del 1997, salvo diversa disposizione. Né il Marocco, né i tre organi del governo provvisorio del Sahara occidentale avrebbero potuto modificare o abolire unilateralmente lo statuto del territorio, che doveva essere deciso attraverso un referendum da realizzarsi dopo quattro anni dall’entrata in vigore dell’accordo quadro e al quale potevano partecipare tutti coloro che avevano compiuto 18 anni e che avevano eletto la loro residenza nel territorio, durante tutto l’anno precedente la consultazione.553

Le molte ambiguità del progetto anticipavano a grandi linee il risultato finale: l’inevitabile annessione al Marocco. Non a caso la preservazione dell’integrità territoriale contro tentativi secessionistici era affidata a una delle parti, la stessa che aveva i mezzi per poterla attuare (produzione, possesso e utilizzo di armi ed esplosivi). Al referendum avevano diritto di partecipare tutti coloro che erano residenti in Sahara occidentale nell’anno precedente la sua attuazione. Al fine di assicurare un esito finale del referenum favorevole alla monarchia, anche se di fatto, il progetto non specificava in nessun modo tra quali opzioni gli elettori avrebbero dovuto scegliere, il governo marocchino incentivò e incoraggiò l’insediamento di nuovi coloni marocchini in Sahara occidentale nel corso dei quattro-cinque anni che precedevano il referendum.

553 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2001/613/Annexe I del 20 giugno 2001. 225

L’accusa rivolta ai promotori del progetto e all’Onu era di essersi piegati alle sollecitazioni del Marocco e alla sua politica di regionalizzazione. Dietro la “terza via” si potevano nascondere conseguenze pericolose per la pace e la stabilità dell’area. In questa fase di grande instabilità il Fronte Polisario ribadì davanti alla IV Commissione dell’ONU che sforzi d’immaginazione dovevano essere concentrati nel cercare idee e meccanismi “per sormontare gli ostacoli che si frappongono alla realizzazione del piano di pace”. Se il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi fosse stato violato il ritorno alle armi sarebbe stato inevitabile, riportando il conflitto indietro di dieci anni, al punto di partenza.

Il passaggio attraverso il Sahara occidentale del rally Parigi-Dakar agli inizi del mese di gennaio del 2001 contribuì ad aumentare sensibilmente la tensione tra le parti. Mai, in passato, il rally aveva attraversato il Sahara occidentale senza che gli organizzatori avessero chiesto l’autorizzazione alle due parti, Marocco e Fronte Polisario. Ma in questa occasione il nulla osta venne chiesto solo al governo marocchino. Questo episodio sommato al malcontento dovuto alla lunga impasse in cui si trovava il piano di pace delle Nazioni Unite, portò il Fronte Polisario il 22 dicembre 2000 a diffondere un comunicato in cui dichiarava che il passaggio senza autorizzazione della Parigi-Dakar attraverso il Sahara occidentale costituiva una violazione del cessate il fuoco. In questo caso l’esercito sahrawi, al passaggio del rally, si riteneva autorizzato a riprendere le operazioni militari a scopo difensivo. Il governo marocchino dichiarava che, se ciò fosse avvenuto, il regno avrebbe adottato tutte le misure difensive necessarie. Il 5 gennaio 2001 William Eagleton in un comunicato spiegava che il passaggio della Parigi-Dakar non determinava il riconoscimento della sovranità sul territorio, il cui statuto finale doveva ancora essere definito e chiedeva alle parti di dare prova di grande moderazione. Diversi governi lanciarono appelli alle due parti, così il 7 gennaio 2001, giorno in cui il rally doveva oltrepassare il confine del Sahara occidentale, Mohamed Abdelaziz dichiarò che il passaggio della competizione sportiva era da considerarsi una flagrante violazione del cessate il fuoco, di cui il Marocco era totalmente responsabile, ma, considerando gli appelli ricevuti dalla presidenza dell’OUA, dall’Algeria e dagli Stati Uniti, il Fronte Polisario decideva di sospendere la ripresa delle attività militari. Questo episidio fece aumentare la tensione nell’intera regione e deteriorò ulteriormente le relazioni tra le parti.554

554 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2001/148 del 20 febbraio 2001, paragrafi 3 - 7. 226

Il 29 giugno 2001 il Consiglio di sicurezza adottò una posizione neutrale limitandosi a chiedere la proroga del mandato della MINURSO fino a 30 novembre 2001 e a Baker e al Segretario generale di continuare i loro sforzi per giugere ad una soluzione mutualmente accettabile.555

Dal 27 al 29 agosto 2001, James Baker invitò a Pinedale, nel Wyoming (Stati Uniti), l’Algeria, la Mauritania e il Fronte Polisario per esaminare in modo specifico l’accordo quadro, che di fatto spianava la strada dell’integrazione al Marocco del Sahara occidentale, ma né il Fronte, né Algeri erano disposti ad impegnarsi in una discussione approfondita del progetto.556

Nell’ottobre 2001 il Fronte Polisario inviava all’inviato personale un memorandum nel quale il movimento di liberazione, evidenziava le criticità del piano Baker che dovevano essere superate, per rimettere in moto il piano di pace che, a differenza dell’accordo quadro, garantiva al popolo sahrawi un referendum libero, autentico e imparziale e il conseguente rispetto dell’inalienabile diritto all’autodeterminazione. Due erano le principali differenze tra l’accordo quadro e il piano di pace: 1) l’ampliamento delle persone che avevano diritto di votare nel referendum; 2) l’implicito sostegno ad un progetto di autonomia del Sahara occidentale sotto sovranità marocchina.557

Nello stesso periodo il Segretario generale del Fronte Polisario Mohamed Abdelaziz esprimeva al Segretario generale dell’ONU le sue inquietudini riguardo a certi fatti avvenuti da poco in Sahara occidentale, in particolare tutto quanto riguardava la sottoscrizione da parte del Marocco di accordi di ispezione petrolifera nelle acque territoriali del Sahara occidentale con alcune società petrolifere straniere. Oltre a ciò, il 17 novembre 2001, le forze di sicurezza marocchine avevano represso con la forza alcune manifestazioni avvenute a Smara. Decine di manifestanti furono arrestati e alcuni di loro condannati.558

Da parte sua l’Algeria inoltrava al Segretario generale dell’ONU e al suo inviato personale un lunga e articolata analisi del progetto di accordo quadro. Nel pro-memoria inviato, l’Algeria presentava il piano Baker come un grave violazione del diritto internazionale e della Carta delle Nazioni Unite perché portava a riconoscere l’occupazione illegale del Sahara occidentale e di conseguenza la sua

555 Risoluzione Consiglio di sicurezza dell’ONU S/RES/1359 (2001) del 29 giugno 2001. Furono Russia, Irlanda, isole Mauritius, Mali, Singapore, Giamaica, Bangladesh a insistere perché il piano di pace restasse una delle opzioni. Oltrea questi sette Paesi, altri otto votarono a favore della risoluzione (Cina, Colombia, Francia, Norvegia, Tunisia, Ucraina, Gran Bretagna e Irlanda del Nord, Stati Uniti). S/pv. 4342^ sessione di venerdì 29 giugno 212.35 a New York. 556 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/41 del 10 gennaio 2002, paragrafo 3. 557 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/41 del 10 gennaio 2002, paragrafo 9 e Annexe I. 558 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/41 del 10 gennaio 2002, paragrafi 31 e 32. 227 integrazione al Regno del Marocco. In alternativa Algeri proponeva alle Nazioni Unite di assumere la sovranità del Sahara occidentale.559

Dopo un anno di impasse e il rifiuto fermo e categorico dell’accordo quadro da parte del Fronte Polisario e dell’Algeria,560 pur riaffermando il proprio totale appoggio a ricercare una soluzione che garantisse l’inalienabile diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione, il Segretario generale lasciava al suo inviato personale cinque mesi per risolvere il problema del Sahara occidentale. 561

James Baker dopo aver tentato di risolvere il conflitto attraverso una soluzione “mutualmente accettata”, chiese al Consiglio di sicurezza di valutare e di approvare una delle quattro soluzioni proposte attraverso il rapporto S/2002/178 del 19 febbraio 2002, attuabili anche senza il consenso delle parti, così da giungere ad una soluzione della questione.

Secondo la prima opzione l’ONU poteva tentare ancora una volta di applicare il piano di pace, ma senza esigere il consenso delle parti. In base alla seconda James Baker, tenendo in considerazione le preoccupazioni espresse dalle parti, revisionava l’accordo quadro (Piano Baker I), che dopo l’approvazione del Consiglio di sicurezza veniva presentato alle parti come soluzione non negoziabile. Con la terza soluzione il Consiglio di sicurezza invitava Baker ad esaminare con le parti la possibilità di una divisione del territorio e nel caso in cui quest’ultime non fossero in grado di accordarsi sulla divisione entro il 1° novembre 2002, egli avrebbe presentato al Consiglio una proposta di partizione del territorio non negoziabile. Infine la quarta opzione prevedeva il ritiro della MINURSO dal Sahara occidentale e il conseguente riconoscimento della impossibilità dell’ONU di risolvere il problema del Sahara occidentale.562

Il Marocco non accettava nessuna delle opzioni presentate, ma, se avesse dovuto scegliere, avrebbe scelto la seconda; il Fronte Polisario invece accettava la prima e la terza, ma non la seconda. L’Algeria apprezzava la terza opzione, considerandola un buon compromesso. Nessuno accettava di prendere in considerazione la quarta opzione, che prevedeva il ritiro della MINURSO.

Nel luglio 2002 il Consiglio di sicurezza dell’ONU prorogava il mandato della MINURSO fino al 31 gennaio 2003 e invitava Baker a continuare nella sua opera di mediazione. Dopo diversi mesi di trattative e di confronti, si giunse all’approvazione di una risoluzione con la quale si auspicava una rapida applicazione del piano di pace del 1991 e di tutte le altre soluzioni poliche alternative, purché

559 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/41 del 10 gennaio 2002, Annexe II. 560 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2001/613/Annexe II e IV del 20 giugno 2001. 561 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/178 del 19 febbraio 2002, paragrafo 42. 562 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2002/178 del 19 febbraio 2002, paragrafi 47 - 51. 228 fossero accettate dalle parti e capaci di assicurare l’autodeterminazione, senza tuttavia fare specificatamente riferimento al referendum, come strumento per l’esercizio di tale diritto.563

5.9. Il Piano Baker II

James Baker intraprese una visita nella regione per trovare una soluzione politica accettata dalle parti, che contenesse il principio di autodeterminazione, come richiesto dalla risoluzione 1429 (2002) del 30 luglio 2002 del Consiglio di sicurezza. A partire dal 14 gennaio 2003 ci si ritrovò a discutere con le parti di una nuova proposta di soluzione del conflitto. Tuttavia, nonostante alla metà di marzo, l’inviato personale avesse già ricevuto i commenti dalle parti coinvolte, il Consiglio di sicurezza, alle prese con la guerra in Iraq, rinviò la discussione sul Sahara occidentale.

Baker elaborò il “Piano di pace per l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale”, il cosiddetto Piano Baker II, che il Segretario generale presentò al Consiglio di sicurezza in allegato al suo rapporto del 23 maggio 2003.564 E’ importante sottolineare che questo piano veniva proposto come soluzione politica, vale a dire come un compromesso negoziato e accettato dalle parti in conflitto e non come una soluzione conforme al diritto internazionale e alla procedura stabilita per la decolonizzazione (per questo motivo il termine decolonizzazione non veniva mai menzionato nel rapporto del Segretario generale dell’ONU e nemmeno nella risoluzione 1495 (2003) del Consiglio di sicurezza).565

Secondo il Segretario generale e il suo inviato personale, il Piano Baker II rappresentava una soluzione politica equilibrata e ottimale per il Sahara occidentale, capace di garantire a ciascuna delle parti una eguale possibilità di vincere il referendum, dopo cinque anni di autogoverno, e capace di favorire pace e stabilità nella regione, aprendo così la via a un accrescimento degli scambi e della cooperazione tra i paesi dell’Unione del Maghreb Arabo. Il Piano Baker II era molto più dettagliato del precedente accordo-quadro, incorporava alcuni punti del Piano Baker I accettati dal Marocco, alcuni punti del piano di pace del 1991 e degli accordi di Houston favoriti dal Fronte Polisario,566 anche se per certi aspetti risultava essere più vantaggioso per il Fronte Polisario.567

Il piano prevedeva un periodo di transizione, nel corso del quale le responsabilità erano suddivise tra le due parti, in attesa di giungere alla realizzazione del referendum di autodeterminazione, da realizzarsi, non al momento dell’applicazione del piano, ma dopo quattro anni ma non oltre il quinto

563 Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU S/RES/1429 (2002) del 30 luglio 2002. 564 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, con allegati i commenti sul progetto di Marocco, Fronte Polisario, Algeria e Mauritania. 565 W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 132. 566 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, paragrafi 48 - 60. 567 W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 132. 229 anno. Il referendum garantiva agli “abitanti autentici del Sahara occidentale” la possibilità di decidere lo statuto finale del Sahara occidentale. Le alternative della consultazione referendaria erano: indipendenza, integrazione al Marocco e una terza alternativa, probabilmente l’autonomia.568

Coloro che erano ammessi a votare al referendum, organizzato e condotto dalle Nazioni Unite e sorvegliato da osservatori internazionali accreditati, dovevano avere compiuto 18 anni e rientrare in una di queste categorie: essere iscritti nella lista provvisoria compilata dalla MINURSO e pubblicata il 30 dicembre 1999, senza tenere conto dei ricorsi o di altre obiezioni; essere inclusi nella lista rifugiati da rimpatriare al 31 ottobre 2000; essere residenti in modo continuativo sul territorio sahariano a partire dal 30 dicembre 1999. A differenza da quanto previsto dall’accordo quadro, coloro che appartenevano al terzo gruppo dovevano dimostrare di essere stabilmente residenti in Sahara occidentale alla data prevista dal piano, attraverso la testimonianza di almeno tre persone, degne di fiducia, e/o attraverso prove documentali credibili. La valutazione delle prove era a carico delle Nazioni Unite le cui decisioni erano definitive.569 A un primo sguardo il piano Baker, riconoscendo il diritto di voto ai coloni marocchini che si trovavano in Sahara occidentale, concedeva un potenziale vantaggio al Marocco, che poteva allargare il proprio elettorato in funzione dei suoi interessi. In realtà, a differenza dell’accordo quadro, la monarchia marocchina non sarebbe stata in grado di invadere il territorio con un numero decisivo di Marocchini, negli anni che precedevano la consultazione referendaria.

Come nell’accordo quadro, l’amministrazione del Sahara occidentale, nel periodo compreso tra l’entrata in vigore del piano stesso e la definizione dello statuto finale attraverso il referendum, veniva gestita collettivamente dall’Autorità del Sahara Occidentale (ASO)570 e dal Marocco. Baker ridusse la responsabilità marocchina nel proteggere il territorio da tentativi secessionisti, sia interni che esterni, attraverso un cauto passaggio sul tema della libertà di espressione, durante la campagna elettorale. La difesa dell’integrità territoriale non poteva essere invocata per giustificare qualunque azione utilizzata per preservare, impedire, reprimere, ostacolare l’esercizio pacifico del diritto al dibattito e della libertà di espressione, principalmente nel periodo del referendum. Oltre a ciò, le materie che toccavano direttamente gli interessi del Sahara occidentale, e quindi i poteri in possesso del Marocco nelle relazioni internazionali, erano da esercitare in collaborazione con l’Autorità del Sahara Occidentale. Il potere esecutivo e legislativo entro l’Autorità del Sahara Occidentale erano esercitati da persone elette dal popolo del Sahara occidentale (erano da considerarsi elettori coloro

568 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe II, paragrafo 2. 569 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe II, paragrafi 5 e 6. 570 Dopo la firma del presente accordo il Fronte Polisario spariva come attore politico, al suo posto subentrava l’Autorità del Sahara Occidentale che doveva esercitare il proprio mandato fino al momento del referendum. W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 133. 230 che erano inclusi nella lista provvisoria pubblicata il 30 dicembre 1999 e nella lista dei rifugiati al 30 ottobre 2000). Il potere giudiziario, esercitato da una Corte suprema e dai tribunali inferiori creati dall’Autorità del Sahara occidentale, dovevano giudicare in conformità alle leggi e ai regolamenti del Sahara occidentale (non alla Costituzione marocchina come nel Piano Baker I), alle norme internazionali relative ai diritti umani e potevano essere rese nulle o abrogate, se incompatibili con il presente piano. Le Nazioni Unite erano coinvolte direttamente durante tutta la durata del periodo di transazione e ogni disputa tra le due parti doveva essere sottoposta al Segretario genrale, le cui decisioni e interpretazioni erano vincolanti.571

Una clausola del piano prevedeva il mantenimento della presenza della MINURSO, anche se il suo nome e il mandato potevano essere cambiati.572 A differenza del piano di pace del 1991, il piano Baker II non necessitava del consenso delle varie fasi di applicazione dalle parti coinvolte, 573 tuttavia entrambe inviarono alle Nazioni Unite lunghe ed articolate repliche, dopo aver analizzato attentamente il nuovo piano delle Nazioni Unite.

La principale opposizione del Marocco riguardava l’inserimento dell’opzione indipendenza offerta dal referendum, nonostante fosse prevista anche dal piano di pace del 1991 che il governo marocchino aveva a suo tempo già approvato. Era difficile pensare ad una soluzione politica capace di assicurare il diritto all’autodeterminazione escludendo l’opzione indipendenza, come una delle alternative referendarie possibili. Probabilmente la posizione di Rabat evidenziava una difficoltà più grande: il Marocco non si dichiarava favorevole all’applicazione del piano di pace del 1991 e al referendum e di conseguenza all’indipendenza, perché, come aveva avuto modo di ribadire in più occasioni dall’inizio del conflitto, il Sahara occidentale era parte integrante del territorio marocchino. Un altro punto critico era la definizione del corpo elettorale. Il governo marocchino protestava contro la decisione di non tenere in considerazione gli oltre 130.000 ricorsi presentati alla Commissione di Identificazione, dichiarava inoltre di non avere mai ricevuto dall’UNHCR la notifica della lista dei rifugiati al 31 ottobre 2000 e riteneva ingiusto che fossero inseriti nelle liste elettorali solamente le persone residenti nel territorio a partire dal 30 dicembre 1999, mentre considerava più democratico permettere a tutti coloro che erano residenti in Sahara di partecipare

571 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annex II, paragrafi 8 - 18. 572 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe II, paragrafo 21. Il cambiamento del mandato della MINURSO avvenne dopo che il Consiglio di sicurezza decise di non trattare più la questione ai sensi del capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite (“Azioni nei casi di minaccia alla pace, di conflitto e di aggressione”) ma, per la prima volta, decise di agire ai sensi del capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite (“Soluzione pacifica delle controversie”). In quest’ultimo caso il Consiglio di sicurezza non poteva comminare sanzioni alle parti ma solo fare raccomandazioni. La responsabilità della soluzione del conflitto era delle parti coinvolte che dovevano trovare un’accordo. W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 134. 573 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe II, paragrafo 49. 231 alla consultazione referendaria.574 In conclusione Rabat rifiutò categoricamente il Piano perché non vi era alcuna certezza che il risultato del referendum, semmai si fosse realizzato, fosse a suo favore; la non soluzione del conflitto e il passare del tempo, di fatto avantaggiavano il Marocco che rafforzava la sua posizione sia a livello internazionale (accordi con l’Unione Europea sui diritti di pesca nelle acque del Sahara occidentale), sia a livello locale (presenza dell’amministrazione, della polizia e dell’esercito marocchino in Sahara occidentale).575

L’8 marzo 2003 il Segretario generale del Fronte Polisario inviava le proprie considerazioni relativamente al piano Baker II. Mohamed Abdelaziz, oltre a riaffermare l’inalienabile diritto del popolo sahrawi all’autodeterminazione attraverso un referendum libero e trasparente, organizzato e supervisionato dalle Nazioni Unite, esprimeva preoccupazione riguardo l’incolumità dei rifugiati sahrawi al momento del loro rientro nel “loro Paese illegalmente occupato”, per eleggere l’Autorità del Sahara Occidentale e citò in tal senso le esperienze di Timor Est e del Rwanda. Il Fronte, quindi, oltre a chiedere che l’elezione dell’ASO avvenisse entro un anno dall’entrata in vigore del piano, pretendeva la protezione dei civili sahrawi soprattutto nei mesi che precedevano la formazione del nuovo governo provvisorio. 576 In pratica, una volta eletta l’ASO, i 65.000 soldati marocchini dovevano abbandonare il territorio, mentre la MINURSO non doveva limitare il proprio mandato al solo periodo che precedeva le elezioni politiche e legislative (un anno), ma doveva restare nel territorio fino al referendum e oltre, assumendosi la responsabilità che gli era propria rispetto ai territori non autonomi come il Sahara occidentale. 577 Il Fronte Polisario, dopo aver definito il Marocco “potenza occupante” e non “potenza amministrativa” del territorio, considerava inopportuno affidare a Rabat le relazioni esterne e quindi la possibilità di concludere accordi economici o convenzioni riguardanti il territorio e le ricchezze del Sahara occidentale, né tantomeno determinare le sue frontiere internazionali, dal momento che nessun Paese aveva mai riconosciuto la sovranità marocchina sul territorio sahariano. In coerenza con quanto già dichiarato Mohamed Abdelaziz chiese che il piano prevedesse il ritiro dell’amministrazione marocchina dopo l’elezione dell’Autorità del Sahara Occidentale. 578

Il Segretario generale del Fronte evidenziava che il Piano, conferendo all’ASO competenze esclusive in materia fiscale e di sviluppo economico, poneva fine al saccheggio delle risorse naturali del Sahara occidentale, soprattutto fosfati e pesce, da parte dell’occupante marocchino, ma chiedeva di specificare meglio, che le ricchezze del Sahara dovevano ricadere sul territorio e sul suo

574 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto 5, p. 25. 575 W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 135. 576 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto 1, pp. 33 e 34. 577 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punti 5 e 6, p. 35. 578 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punti 7 e 8, pp. 35 - 36. 232 popolo.579 Baker aveva previsto di concedere al Marocco l’amministrazione delle poste e delle telecomunicazioni, questo secondo il Polisario, metteva in pericolo il principio universale che garantiva la libertà e la segretezza delle telecomunicazioni e della corrispondenza, chiese di inserire nel piano una disposizione che permettesse il libero accesso al territorio da parte degli stranieri, in particolare alle organizzazioni non governative e ai media. 580 Infine per quanto riguarda il referendum finale che doveva stabilire lo statuto definitivo del Sahara occidentale, il Fronte Polisario si oppose ai criteri che definivano gli aventi diritto al voto, asserrendo che in questo modo l’applicazione del piano Baker avrebbe subìto nuovi rallentamenti, così come era già avvenuto per il piano di pace del 1991, e dato un margine troppo ampio al Marocco, che poteva facilmente inserire persone e mettere a disposizione prove documentali. Il documento peraltro, sottolineava il Polisario, non prevedeva alcuna disposizione volta ad impedire nuovi massicci spostamenti di coloni marocchini in Sahara occidentale.581

La posizione dell’Algeria fu presentata al Segretario generale dell’ONU accompagnata da una lettera del Presidente algerino Boutaflika, datata 26 febbraio 2003. La posizione algerina non metteva di per sé in dubbio il progetto, ma insisteva, soprattutto nel primo capitolo, sulle sue lacune, consistenti per lo più nella mancanza di disposizioni precise sull’organizzazione del referendum e nell’insufficienza di garanzie per i Sahrawi nel primo periodo, quello compreso tra l’entrata in vigore del piano e l’elezione dell’ASO. Secondo gli Algerini, in questo primo lasso di tempo, senza una presenza e una tutela dell’ONU, l’incolumità dei Sahrawi avrebbe corso un grave rischio.582 Nella sua analisi l’Algeria suggeriva di acquartierare le ridotte truppe marocchine rimaste nel territorio a disporsi lungo il muro, in posizione difensiva, e che gli osservatori della MINURSO dovevano essere in numero sufficiente per vigilare su di esse. 583 Algeri insisteva molto sulla necessità di garantire che i risultati del referendum sullo statuto finale del territorio, fossero rispettati e applicati in modo adeguato e nell’ultimo capitolo del suo memorandum chiedeva alcune garanzie al Segretario generale e al Consiglio di sicurezza, che contribuivano ad aumentare la credibilità delle Nazioni Unite. Il governo algerino chiedeva in particolare all’ONU di: garantire una presenza adeguata sul territorio dall’entrata in vigore del piano, fino all’applicazione del risultato del referendum sullo statuto finale del territorio e il rispetto dei tempi previsti delle varie fasi del piano; assicurare le parti interessate, i Paesi confinanti e la comunità internazionale che i risultati dell’elezione dell’ASO e del referendum finale sarebbero stati applicati con misure

579 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto 9, p. 36. 580 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto 15 e 17, p. 37. 581 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto 21 e 22, pp. 38 – 40. 582 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punto da 1 a 11, pp. 46 – 48. 583 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punti 1 e 2, pp. 51 – 51. 233 adeguate. 584 L’Algeria in definitiva non rifiutava la proposta, ma precisava che il piano era certamente una scommessa per la pace nel Maghreb585 e forzava le resistenze del Fronte Polisario ad accettare il piano. Algeri otteneva così una vittoria diplomatica sul Marocco (che si ritrovava ad essere il solo a rifiutare il piano) e migliorava i suoi rapporti con Stati Uniti e Francia, a spese del Marocco. Nella rivalità intra-maghrebina l’Algeria stava guadagnando terreno.586

Il quarto Paese a sottoscrivere il piano fu la Mauritania, che si limitò a inviare una breve e sobria lettera a firma del Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione, con quale ribadiva il pieno appoggio alle Nazioni Unite, impegnate a trovare una soluzione al conflitto.587

Il rappresentante del Fronte Polisario alle Nazioni Unite, Boukhari Ahmed, il 10 luglio 2003 annunciava che il Fronte Polisario, pur non abbandonando il piano di pace del 1991, era disposto ad esaminare la proposta di James Baker, per raggiungere quanto prima l’autodeterminazione del popolo sahrawi. La decisione venne presa anche a seguito delle numerose pressioni che il Fronte ricevette da diversi Paesi, dentro e fuori il Consiglio di sicurezza, tra cui l’Algeria e la Spagna. Fronte Polisario e Algeria dichiararono il loro accordo di principio sul piano, contrariamente al Marocco che lo rifiutò.

L’ambasciatore degli Stati Uniti, John Negroponte, a nome del Gruppo degli Amici del Sahara occidentale, dopo l’approvazione del piano Baker II da parte del Fronte Polisario, mise a punto e distribuì un progetto di risoluzione ai membri del Consiglio di sicurezza che adottava esplicitamente il piano di pace di Baker, considerato la migliore via per giungere, quanto prima, ad una soluzione del conflitto. Tuttavia su pressione della Francia, che tentò di proteggere il Marocco da una soluzione imposta, il Consiglio rifiutò la proposta statunitense.588

L’11 luglio 2003, il Presidente del Consiglio di sicurezza, lo spagnolo Inocencio Arias, all’apertura della sessione chiese ai membri del Consiglio di non limatarsi ad approvare una proroga tecnica del mandato della MINURSO, ma di pronunciarsi sul nuovo piano di pace. Il 31 luglio, il Consiglio di sicurezza, dopo aver ritenuto il “Piano di pace per l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale” una soluzione politica ottimale, in quanto basata sull’accordo delle parti, approvava all’unanimità la risoluzione 1495 (2003) del 31 luglio 2003, con la quale il Consiglio “sosteneva fortemente” la proposta Baker e chiedeva alle parti di collaborare con l’ONU e tra di loro, per l’accettazione e l’applicazione del piano di pace. Questa risoluzione non imponeva nulla alle parti

584 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, punti da 1 a 3, p. 56. 585 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, p. 56. 586 W. Ruf, Sahara occidental: un conflit sans solution?, in Annuaire de l’Afrique du Nord, XL (2002), p. 136. 587 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, Annexe III, p. 59. 588 M. De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, ANESP, 2009, pp. 214- 215. 234 ma, al contrario, le incitava a proseguire il dialogo diretto e a ricercare insieme una soluzione giusta, duratura e mutualmente accettata.589

Il coordinatore sahrawi con la MINURSO, M’hamed Khaddad, considerò questa risoluzione un modo per dimostrare al Marocco che la sua politica intransigente era pericolosa e contro- producente. L’ambasciatore del Marocco all’ONU, Mohamed Benounna, ribadì che il Marocco non avrebbe mai accettato il corpo elettorale previsto, né un referendum di autodeterminazione che prevedesse l’opzione indipendenza.590

Tra la fine del 2003 e i primi mesi 2004 James Baker accolse più volte a Houston delegazioni del governo marocchino, per discutere del piano di pace, come chiesto dalla risoluzione 1495 (2003).591

La risposta del Marocco alla proposta di Baker fu un progetto di autonomia del Sahara occidentale sotto sovranità marocchina, che, secondo il Marocco, avrebbe permesso alle popolazioni del Sahara occidentale di gestire le proprie questioni interne in modo libero e democratico, nel pieno rispetto della sovranità del Marocco, della sua integrità territoriale e della sua unità nazionale. Di fatto il Marocco non concedeva l’indipendenza, ma solo l’autonomia alla “regione autonoma del Sahara”. Una simile soluzione, concordata tra le parti e l’Organizzazione della Nazioni Unite - continuava Benaïssa, Ministro degli Affari Esteri e della Cooperazione marocchino - avrebbe chiuso la questione dell’autodeterminazione e garantito la stabilità della regione.592 Tutti, secondo il Ministro, avrebbero compreso che il Marocco non poteva acconsentire alla realizzazione di un referendum di autodeterminazione che metteva a rischio i principi “più sacri”, che nel corso della storia, avevano garantito unità e stabilità nel Paese. In questo senso il Marocco era disponibile a negoziare con le parti e con l’ONU al fine di pervenire ad una soluzione mutualmente accettata. 593 Cosa più importante, nel documento non si faceva alcuna menzione all’auto-governo.

L’inviato personale tendendo conto della risposta marocchina al suo piano suggerì al Consiglio di sicurezza attraverso il Segretario generale, di adottare una tra queste due soluzioni: 1) ritiro della MINURSO che, dopo aver tentato per tredici anni di risolvere il problema del Sahara occidentale senza successo ed aver speso 600 milioni di dollari, rimetteva la questione all’Assemblea generale dell’ONU, che avrebbe impostao a una o a entrambe le parti, concessioni che fino ad ora si erano rifiutate di fare volontariamente; 2) avvio di nuove trattative tra le parti finalizzate all’accettazione e

589 Communiqué de presse CS/2532 del 31 luglio 2003. 590 M. De Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, ANESP, 2009, p. 216. 591 Gli incontri si realizzarono il 17 settembre e il 23 dicembre 2003 e il 2 aprile 2004. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/325 del 23 aprile 2004, Annexe I, p. 11. 592 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/325 del 23 aprile 2004, Annexe I, p. 11. 593 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/325 del 23 aprile 2004, Annexe I, p. 12. 235 all’applicazione del piano di pace. A tal fine Kofi Annan chiedeva di prorogare il mandato della MINURSO di altri dieci mesi, fino al 28 febbraio 2005. 594

Il 29 aprile 2004, la risoluzione S/RES/1541 (2004) segnò un passo indietro rispetto alla 1495. Il Consiglio di sicurezza, pur ribadendo il proprio sostegno al piano di pace e all’operato dell’inviato personale, dimostrò scarsa determinazione nell’imporre alle parti una soluzione, e nonostante il rifiuto del piano di pace da parte del Marocco, si limitò a riaffermare “la sua volontà di aiutare le parti a pervenire ad una soluzione politica, giusta, duratura e mutualmente accettata che permetta l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale secondo le finalità e i principi sanciti dalle Nazioni Unite”, 595 nonostante, già nel 2002, il Segretario generale e il suo inviato, avessero comunicato al Consiglio, che una tale soluzione era impossibile da raggiungere.

Il 1° giugno 2004 Baker informava il Segretario generale di voler abbandonare il suo mandato, dichiarando di aver tentato in ogni modo possibile di risolvere il conflitto, senza riuscirvi. Il Marocco non nascose la sua soddisfazione. Il Ministro degli Affari Esteri marocchino definì le dimissioni di Baker un “trionfo della diplomazia marocchina”.596

Dopo le dimissioni di Baker, il Segretario generale chiese all’allora Rappresentante speciale per il Sahara occidentale Alvaro de Soto, di continuare a lavorare con le parti e i Paesi vicini.

5.10. La responsabilità dell’ONU597

Come abbiamo visto l’impegno delle Nazioni Unite in Sahara occidentale risale al 16 dicembre 1965, quando l’Assemblea generale chiese alla Spagna di “adottare tutte le misure necessarie” al fine di decolonizzare il territorio e cominciare a trattare la questione della sovranità.

594 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/325 del 23 aprile 2004, paragrafi 36 – 40, pp. 8 – 9. Nello stesso rapporto si faceva esplicito riferimento ad una delle attività (“misure de confiance”) messe in atto dall’HCR e dal Rappresentante speciale per il Sahara occidentale, William Lacy Swing, per facilitare gli scambi interpersonali e i contatti tra i rifugiati sahrawi di Tindouf e i Sahrawi residenti in Sahara occidentale. Le proposte furono presentate alle parti a fine 2003 che furono accolte con favore dalle parti, compresa l’Algeria, Paese di asilo dei rifugiati. Una di queste attività era lo scambio di visite tra i rifugiati e il Sahara occidentale. Il primo scambio, avvenne il 5 marzo 2004 e portava 21 rifugiati sahrawi a El Aioun occupata e 19 sahrawi di El Aioun occupata nei campi di Tindouf con un aereo della MINURSO. Le visite avevano una durata di cinque giorni. Un’altra delle attività riguardava l’installazione di una linea telefonica a senso unico tra il campo “27 febbraio” e i territori occupati. Il primo collegamento fu realizzato il 15 aprile 2003, ma subito dopo il Fronte Polisario chiese di sospendere il collegamento, almeno fino a quando non fosse consentito ai rifugiati sahrawi, che non avevano vicino un punto telefonico, di recarsi presso l’HCR per telefonare. I collegamenti telefonici furono ripristinati il 14 gennaio 2004. Riguardo i servizi postali al 23 aprile 2004 nessun accordo era ancora stato trovato. Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/325 del 23 aprile 2004, paragrafi 24 - 32, pp. 6 – 8 e Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2003/565 del 23 maggio 2003, paragrafi 13 - 17, pp. 3 – 4. 595 Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU S/RES/1541 del 10 maggio 2004. 596 Institute of Peace, Special report di Anna Thofilopoulou, The United Nations and Western Sahara. A never-ending affair, www.usip.org. 597 United States Institute of Peace, Special report di Anna Thofilopoulou, The United Nations and Western Sahara. A never-ending affair, www.usip.org. Anna Thofilopoulou responsabile del settore del Maghreb e del Sahara occidentale per il Dipartimento degli Affari Esteri americano dal 1994 al 2004. Fu l’assistente di James Baker III nel momento a cui gli fu affidato il ruolo di inviato personale del Segretario generale dell’ONU per il Sahara occidentale, dal 1997 al 2004. 236

Tra il 1966 e il 1973 l’Assemblea generale adottò sette risoluzioni sul Sahara, in ciascuna delle quali ribadiva la necessità di realizzare un referendum di autodeterminazione. Le Nazioni Unite non furono mai del tutto convinte che il referendum potesse portare a una reale soluzione del problema del Sahara occidentava, lo dimostravano l’indecisione e l’incoerenza dei suoi organi deliberanti e la condotta di chi doveva applicare le risoluzioni.

Considerando gli sforzi che in quindici anni le Nazioni Unite fecero per risolvere il conflitto, è ammesso porsi tre domande: 1) le Nazioni Unite avevano un’idea di che cosa significasse risolvere il conflitto marocchino-sahrawi, assumendosi in prima persona la responsabilità di un referendum di autodeterminazione? 2) le Nazioni Unite avevano adottato le strategie giuste per raggiungere questo importante obiettivo? 3) se la soluzione politica era la soluzione, le Nazioni Unite erano convinte che la giusta strategia fosse quella di non parlare del problema e di prolungarlo così a lungo?

Per rispondere alla prima domanda bisogna guardare agli sforzi compiuti dall’Onu prima dell’approvazione del piano di pace di Perez de Cuellar nel 1988. Poche sono le informazioni disponibili relative ai colloqui tra Perez de Cuellar e le parti, ciò dimostra che il Segretario generale intendeva trattare la questione del piano di pace con molta riservatezza, un atteggiamento necessario e molto comune nei rapporti diplomatici, ma che, nel caso del Sahara occidentale sembrava finalizzato a mettere in secondo piano gli sforzi messi in atto dalle Nazioni Unite per risolvere il conflitto. Nei suoi rapporti Perez de Cuellar metteva sullo stesso piano Marocco e Fronte Polisario ed affermava che, pur conoscendo le loro differenze, non riteneva opportuno discutere una soluzione del conflitto con l’intenzione di intaccare la loro autorità. Era molto preoccupato per le difficoltà che le Nazioni Unite avrebbero incontrato, ma non ne parlava mai espressamente. Invece di sviluppare e mantenere una strategia finalizzata a ridurre le difficoltà, sembrava che le Nazioni Unite lasciassero libere le parti di manipolare la situazione. Perez de Cuellar scelse di intervenire con autorevolezza per condurre in prima persona l’applicazione del piano di pace, superando le difficoltà che le parti man mano di ponevano, ma lasciò che Marocco e Fronte Polisario interrompessero la loro cooperazione con la MINURSO, quando la situazione non era a loro favore. I tentativi di riconciliazione messi in atto dalla MINURSO si basavano per la maggior parte su compromessi di tipo tecnico e il Consiglio di sicurezza, informato di questi sviluppi attraverso i rapporti del Segretario generale, focalizzava la propria attenzione sugli eventi positivi, senza prendere in considerazione le difficoltà, avvallava le soluzioni tecniche e allungava i tempi di applicazione del piano di pace, consapevole che in questo modo non si sarebbe giunti alla soluzione della questione politica.

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Ancora una volta, uno dei punti più controversi fu certamente il processo di identificazione del corpo elettorale, che le Nazioni Unite non tentarono mai di risolvere politicamente. L’O.N.U. invece di lavorare ad una soluzione politica, si pose come obiettivo principale quello di terminare il processo di identificazione degli aventi diritto al voto. Mentre il Polisario insisteva su un’interpretazione restrittiva del corpo elettorale legata al censimento spagnolo dl 1974, il Marocco da parte sua, cercava di guadagnare elettori, per assicurarsi voti favorevoli all’integrazione, ma senza darne l’impressione, pur essendo consapevole di poter contare, in caso di difficoltà, su importanti amicizie tra i Paesi membri del Consiglio di sicurezza, in particolare della Francia. Le Nazioni Unite continuarono, nonostante tutto a proporre soluzioni tecniche atte a colmare il divario tra le parti, ma che invevitabilmente consolidavano le rispettive e inconciliabili posizioni. Il Consiglio di sicurezza chiese a Marocco e Fronte Polisario di cooperare spontaneamente, non fu mai richiesto a nessuno di loro di conformarsi a uno specifico e deciso piano di azione.

Probabilmente l’ONU e Perez de Cuellar pensavano che l’unica soluzione del conflitto fosse l’autonomia. Lo stesso Hassan II, che in un primo momento si era dichiarato disponibile a discutere di un progetto di autonomia, in seguito cambiò idea, asserendo di essere disposto ad accettare solo due opzioni, l’integrazione o l’indipendenza, pur sapendo in cuor suo di non poter accettare la seconda soluzione, ma consapevole di non poterlo dichiarare apertamente.

In realtà, l’idea di un progetto di autonomia del Sahara occidentale era già nei pensieri delle Nazioni Unite già dal 1980, ma il primo a dichiararlo pubblicamente fu Boutros-Ghali, che dichiarò di non credere alla riuscita del referendum. La strategia del nuovo Segretario generale era quella di mantenere le parti focalizzate sull’obiettivo, fino a quando parlare e discutere non fosse più possibile.

Erik Jensen, primo responsabile della Commissione di Identificazione, cercò di superare le difficoltà, che via via si presentarono, adottando soluzioni di tipo tecnico, nonostante le resistenze delle parti. Nel suo libro “Sahara occidentale, l’anatomia di un uomo di stato” Jensen dichiarava che nessuno si sarebbe mai aspettato che il piano di pace sarebbe arrivato a buon fine.

Dopo un lungo periodo di impasse, nel 1997, il Consiglio di sicurezza fu informato della nomina di Baker, con il mandato di trovare un punto d’incontro tra le parti e allontanare la logica del “vincitore prende tutto”. Baker constatò da parte del Fronte Polisario una totale disponibilità a discutere con il Marocco e le Nazioni Unite puntarono su questa apertura, per avviare una serie di negoziati diretti, con la speranza che le parti trovassero un accordo tra loro. Purtroppo il Marocco ogni volta si rifiutava di discutere con il Polisario, che non voleva riconoscere come suo pari e come legittimo rappresentante del popolo sahrawi.

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Nell’estate del 1997, dopo una serie di incontri tra Marocco e Fronte Polisario, dove le Nazioni Unite ebbero un ruolo attivo, si arrivò agli Accordi di Houston, che avevano lo scopo di ultimare il processo di identificazione. Già in quel momento grande era il dubbio che una delle due parti, prima o poi, avrebbe abbandonato il progetto, si doveva solo aspettare per vedere chi lo avrebbe fatto per prima. Baker cercò di allontanare l’idea che fosse un esclusivo compito delle Nazioni Unite trovare una soluzione tra le parti, ma ciascuno dei soggetti coinvolti doveva partecipare attivamente trovare una soluzione. Nel 2002 Baker informò il Consiglio di sicurezza che il conflitto non poteva essere risolto attraverso una soluzione “mutualmente accettata” e chiese allo stesso di approvare una soluzione senza l’accordo delle parti. Il Consiglio non fu disposto a farlo, anzi chiese all’inviato personale di trovare un’altra soluzione nell’ambito del capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, che prevedeva la soluzione pacifica delle controversie attraverso raccomandazioni prive di forza vincolante, piuttosto che del capitolo VII, che invece autorizzava il Consiglio a emanare decisioni che vincolavano gli Stati membri. La richiesta del consenso delle parti e la decisione dell’ONU di astenersi da ogni imposizione diedero al Marocco la possibilità di allontanarsi dal piano ogni volta che lo riteneva necessario, al fine di tutelare i propri interessi. Tale decisione fu ovviamente presa principalmente dalla Francia, che non voleva mettere in pericolo le proprie relazioni strategiche con la monarchia marocchina.

Dopo una lunga agonia fu approvato un nuovo piano di pace. Ma, mentre gli Stati Uniti volevano l’adozione consensuale del progetto, a seguito della forte opposizione francese, il Consiglio di sicurezza approvò una risoluzione, che adottava il piano di pace, sole se soluzione accettata dalle parti.

Il nuovo piano di pace fu considerato l’unica soluzione possibile per risolvere il conflitto, non proclamava né vincitori, né vinti e concedeva il sacrosanto diritto all’autodeterminazione. Con il periodo di transizione veniva data al Fronte Polisario la possibilità di governare e di concorrere così alla vittoria del referendum; il Marocco aveva modo di esercitare la sua sovranità, legittimando la sua occupazione del territorio. Ancora più importante, definiva un corpo elettorale equilibrato, perché comprendeva quelli che erano iscritti nella lista delle Nazioni Unite, i rifugiati e i residenti in Sahara occidentala dal 30 dicembre 1999.

Mentre si discuteva di chi fosse la responsabilità del fallimento delle Nazioni Unite, la gestione del conflitto, coordinata da soggetti che avevano interessi propri da tutelare, determinò le dimissioni di Baker. Il Consiglio di sicurezza poteva certamente essere visto come responsabile del fallimento del piano di pace in Sahara occidentale e della manipolazione del mandato di Baker.

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E’ difficile capire e spiegare perché le Nazioni Unite abbiano agito in questo modo. In molte occasioni, infatti, i membri del Consiglio di sicurezza avevano preso le parti di uno dei contendenti, con il risultato che il Consiglio non si esprimesse mai in modo unanime, lasciando sempre in sospeso le sue decisioni.

Durante tutto il periodo successivo alle dimissioni dell’ex segretario di Stato americano, Marocco e Fronte Polisario mantennero la loro posizione: il primo continuava ad offrire l’autonomia sotto la sua sovranità, il secondo l’applicazione del piano Baker. Il Consiglio di sicurezza da parte sua continuava a discutere e ad approvare risoluzioni di scarsa rilevanza politica, continuando ad oscillare tra l’applicazione del piano di pace e la soluzione politica, senza indicare una strategia di intervento precisa e chiara. Ovviamente le parti non potevano che approfittare di questa situazione di instabilità.

5.11. L’impasse 2004 – 2006

Dopo sette anni l’inviato personale di Kofi Annan lasciava il suo incarico e Alvaro de Soto, su mandato del Segretario generale dell’ONU, “continuava a lavorare con le parti per giungere ad una soluzione politica, giusta, duratura e mutuamente accettata che permettesse al popolo del Sahara occidentale di esercitare il suo diritto all’autodeterminazione”.598

Negli incontri che de Soto fece nell’area a partire dagli ultimi mesi del 2004 constatò che il Marocco non aveva in alcun modo cambiato la propria posizione nei confronti del piano Baker, mentre il Fronte Polisario si dichiarava ancora pronto a appoggiare, in linea di massima, il piano di pace e a discuterne le varie fasi, ma solo nel momento in cui, il Marocco avesse manifestato la sua disponibilità ad accettarlo e a sostenerlo.599

Nella seconda metà del 2005 Kofi Annan nominò suo inviato personale l’olandese Peter van Walsum come rappresentante speciale per il Sahara occidentale e capo della MINURSO, l’italiano Francesco Bastagli, già rappresentante speciale aggiunto in Kossovo, che assunse le sue funzioni a El Aioun il 14 settembre 2005 e come comandante militare della MINURSO, il generale danese Kurt Mosgaard. Il nuovo inviato personale dopo aver realizzato un breve round di consultazioni preliminari a New York con i rappresentanti del governo marocchino, del Fronte Polisario e di dei Paesi vicini, Algeria e Mauritania, si recò in visita nella regione dall’11 al 17 ottobre 2005.600

Di ritorno dalla missione van Walsum informò il Segretario generale che la situazione rimaneva bloccata e che nessun accordo era ancora stato trovato. Il 18 gennaio 2006 nel resoconto della sua

598 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/827 del 20 ottobre 2004, paragrafo 3. 599 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2004/827 del 20 ottobre 2004, paragrafi 4 - 7. 600 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2005/648 del 13 ottobre 2005, paragrafi 4 -6. 240 missione presentato al Consiglio di sicurezza l’inviato personale sottolineava che dal 24 aprile 2004, già dal momento in cui il Marocco rifiutò il piano Baker perché non disponibile ad accettare un referendum che includesse l’opzione indipendenza, tale piano non fu più menzionato in nessun rapporto del Segretario generale, né in nessuna risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU. Apparentemente nessun Paese con stretti rapporti con il Marocco utilizzò la sua influenza per cercare di indurlo a rivedere la sua posizione, ciò spinse l’inviato personale del Segretario generale a pensare che il Consiglio di sicurezza fosse determinato a prendere in considerazione solo soluzioni consensuali al problema del Sahara occidentale. Secondo van Walsum sarebbe stato inutile quindi redigere un nuovo piano di pace, perché questo sarebbe stato inevitabilmente rifiutato dal governo marocchino, a meno che esso escludesse l’opzione indipendenza. Ma in questo caso le Nazioni Unite non avrebbero potuto prendere in considerazione la proposta. Secondo l’inviato personale non restavano che due possibilità: prolungare indefinitamente l’impasse attuale, scelta scartata a priori dallo stesso van Walsum, o la realizzazione di negoziati diretti tra le parti, che avrebbero dovuto realizzarsi senza condizioni preliminari. I principali ostacoli alla realizzazione dei negoziati senza condizioni, non si trovavano solo nelle posizioni delle due parti in conflitto, ma anche nei Paesi esterni alla regione. L’inviato personale sottolineava che nessun Paese si sarebbe mai dichiarato apertamente favorevole al mantenimento dello status quo, perché generatore di violenza, ma indirettamente notò che la soluzione del conflitto in Sahara occidentale non occupava un posto di rilevo nell’agenda politica internazionale e che pertanto molti Stati, che desideravano mantenere buoni rapporti, tanto con il Marocco che con l’Algeria, assumevano un atteggiamento ambiguo, più tollerante nei confronti dell’impasse esistente e meno disponibile nei confronti di una qualunque altra soluzione possibile. Dopo anni di piani di pace, ora furono le parti coinvolte ad impegnarsi direttamente per trovare una soluzione mutualmente accettata, pur tuttavia senza essere abbandonate a loro stesse dalle Nazioni Unite.601

Al termine di una visita di cinque giorni nel Sahara occidentale, il re del Marocco, Mohammed VI, confermò che l’unica possibile soluzione politica negoziata al conflitto doveva passare attraverso l’accettazione “di un’autonomia nel quadro della sovranità del Regno”,602 avvertendo che il suo Paese non intendeva cedere “un solo pollice, un solo grano di sabbia, del nostro caro Sahara” agli indipendentisti sahrawi del Fronte Polisario. 603 Come gesto di buona volontà il re, nell’ultima giornata di visita nella città di El Aioun, ex capitale del Sahara occidentale, annunciava la concessione di un’amnistia per 216 prigionieri sahrawi, tra i quali trenta attivisti arrestati nel corso

601 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2006/249 del 19 aprile 2006, paragrafi 31 - 39. 602 A. Oppes, Il Marocco e la guerra del deserto. “Sahara autonomo ma resta nostro”. Dopo 30 anni di conflitto il re Mohammed VI nega l’indipendenza al Fronte Polisario, in La Repubblica, domenica 26 marzo 2006, p. 17. 603 Sahrawi. Marocco: “Il Western Sahara è nostro”, in Il Manifesto, domenica 26 marzo 2006, p. 9. 241 di alcune manifestazioni pacifiche nel giugno 2006. Ma le prime reazioni alla proposta di Mohammed VI non furono concilianti. In una dichiarazione comune i Presidenti di Algeria e Sudafrica, Abdelaziz Boutaflika e Thabo Mbeki, ribadivano che l’autodeterminazione era “l’elemento chiave per qualunque soluzione” al conflitto del Sahara occidentale. Gli Stati Uniti continuavano invece a mantenere una posizione prudente, invitanto le parti alla ricerca di una “soluzione realistica” nell’ambito delle Nazioni Unite, il cui unico successo fino ad oggi era quello di aver garantito il rispetto del cessate il fuoco, attraverso la MINURSO.604

Il 28 aprile 2006 il Consiglio di sicurezza dell’ONU prorogava il mandato della MINURSO al 31 ottobre 2006. Nel preambolo della risoluzione 1675, adottata all’unanimità, il Consiglio domandava nuovamente alle parti e agli Stati della regione di continuare a cooperare con l’ONU per mettere fine allo stallo in cui versava il conflitto e per progredire verso una soluzione politica. Il Consiglio accoglieva la proposta del Segretario generale (rapporto del 19 aprile 2006) di procedere a negoziati diretti tra le parti, senza condizioni preliminari. L’obiettivo dei negoziati era quello di raggiungere un compromesso tra la legalità internazionale e la realpolitik, capace di tradursi in una soluzione politica giusta, duratura e mutualmente accettata e in grado di assicurare l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale.605

Il Consiglio di Sicurezza decise di affrontare questo problema adottando il suggerimento del Segretario generale di avviare dei negoziati tra le parti senza accordi prestabiliti. Non era la prima volta che il Consiglio di sicurezza, di fronte a una scelta difficile, e attraversato da un dissenso trasversale, restituisse la responsabilità delle sue scelte al Segretario generale. Si pensò di aver trovato uno spiraglio, dal momento in cui le parti si erano accordate per dei colloqui diretti. Tuttavia, considerata la natura inconciliabile delle proposte messe sul tavolo da entrambe le parti, poche erano le possibilità di arrivare a un qualche risultato. Nel migliore dei casi, quest'ultima decisione del Consiglio di Sicurezza non fece altro che mantenere la situazione di stallo esistente, destinata a durare ancora per molti anni a venire.

5.12. La ripresa dei negoziati

Nel 2007 dopo la scadenza del mandato di Kofi Annan fu nominato nuovo Segretario generale della Nazioni Unite, Ban Ki-Moon, che invitò Marocco e Fronte Polisario a riprendere i negoziati diretti, dopo un lungo periodo di stallo.

604 A. Oppes, Il Marocco e la guerra del deserto. “Sahara autonomo ma resta nostro”. Dopo trent’anni anni di conflitto il re Mohammed VI nega l’indipendenza al Fronte Polisario, in La Repubblica, domenica 26 marzo 2006, p. 17. 605 Risoluzione del Consiglio di sicurezza dell’ONU S/RES/1675 (2006) del 28 aprile 2006. 242

Come chiedeva la risoluzione S/RES/1754 (2007) adottata il 30 aprile 2007 Peter van Walsum tenne delle consultazioni preliminari con le parti, con i Paesi vicini (Algeria e Mauritania), con i rappresentanti degli Stati membri interessati alla questione (Spagna, Stati Uniti, Russia, Francia, Gran Bretagna e Irlanda del Nord) ed ebbe riunioni supplementari a Londra, Madrid, Parigi e Washington. Nel corso dei colloqui van Walsum constatò la totale disponibilità di tutti i Paesi a mettere a disposizione il loro sostegno politico e l’assistenza necessaria, affinchè i negoziati fossero possibili. Egli sottolineò inoltre, in modo chiaro, che non era sua intenzione imporre una soluzione al problema del Sahara occidentale, ma che intendeva aiutare le parti a trovare una soluzione politica reciprocamente accettata, che assicurasse l’autodeterminazione del popolo del Sahara occidentale.606

Gli incontri con l’inviato personale del Segretario generale ebbero luogo a Greentree Estate, a Manhasset (Stato di New York) negli Stati Uniti, il 18 e 19 giugno 2007. Ban Ki-Moon nella lettera d’invito specificò che si trattava di incontri privati e comunicava la presenza dei Paesi vicini (Algeria e Mauritania). Per la prima volta dopo le riunioni di Londra e Berlino del 2000, Fronte Polisario e Marocco si incontravano, faccia a faccia, dopo che ciascuna delegazione fu ricevuta separatamente da van Walsum. La delegazione algerina e mauritana furono consultate separatamente nei due giorni dell’assemblea e parteciparono alle sedute di apertura e chiusura.607 Aprì l’incontro il Segretario generale aggiunto per gli Affari politici, che sottolineò che il successo o il fallimento dei colloqui dipendeva, in ultima istanza, dalla volontà politica delle parti di risolvere le loro controversie attraverso il dialogo, sotto l’egida delle Nazioni Unite. Nel corso del dibattito le parti riaffermarono la loro adesione al progetto onusiano e sembrarono risolute a evitare di essere la causa della rottura dei negoziati. Entrambe le parti confermavano il rispetto del diritto di autodeterminazione e della risoluzione 1754 (2007), ma le loro interpretazioni dell’autodeterminazione rimasero su posizioni molto distanti tra loro.608 L’inviato personale dopo aver dichiarato la propria soddisfazione per il clima positivo instaurato nel corso di questo primo round di negoziati, comunicava la disponibilità del Marocco e del Fronte a proseguire i negoziati a Manhasset nella seconda settimana del mese di agosto 2007.609

Il secondo round di negoziati si tenne il 10 e l’11 agosto 2007 sempre a Manhasset e alla presenza di Algeria e Mauritania. Le parti si dichiararono concordi nel considerare l’attuale situazione, inaccettabile e si dichiararono disponibili a negoziare. Nel corso di questo secondo incontro non si fecero particolari passi in avanti, le parti rimasero sulle loro rispettive posizioni.

606 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2007/385 del 29 giugno 2007, paragrafi 2 e 3. 607 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2007/385 del 29 giugno 2007, paragrafo 5. 608 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2007/385 del 29 giugno 2007, paragrafi 6 e 7. 609 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2007/385 del 29 giugno 2007, Annexe, p. 3. 243

Il 4 dicembre 2007 Ban Ki-Moon inviava una lettera alle parti in conflitto per invitarle ad un nuovo round di negoziati sempre a Manhasset, dal 7 al 9 gennaio 2008. Sebbene le due delegazioni, in una certa misura, interagivano anche tra di loro, nessuna delle due parti esaminò concretamente le proposte dell’altra, pur accettando di incontrarsi di nuovo a marzo 2008.610

L’inviato personale del Segretario generale decise di fare un tour nella regione per consultare le parti e avere nuovi elementi per far avanzare realmente e concretamente il processo di negoziati, dapprima previsti dall’11 al 13 marzo e poi spostati dal 16 al 18 marzo 2008, sempre a Manhasset. Si continuò a discutere del rafforzamento e della possibile estensione delle misure di fiducia esistenti, considerate utili al fine di sviluppare la fiducia tra le parti di un conflitto, essenziali al processo di negoziazione in atto al fine di giungere a una soluzione giusta e duratura. Alla conclusione dell’incontro Ban Ki-Moon fece appello alle parti perché continuassero a negoziare ma in modo più intenso, senza alcuna condizione preliminare. Le parti si dichiararono disponibili a continuare i negoziati, ma senza fissare una data precisa.611

Il 21 aprile 2008, in una riunione a porte chiuse del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite Peter van Walsum espresse il suo punto di vista personale al Consiglio. Egli dichiarò che i negoziati avrebbero potuto andare avanti all’infinito ma non avrebbero portato ad alcun risultato. Secondo il Fronte Polisario lo statuto finale del territorio doveva essere definito da un referendum contenente l’opzione indipendenza, soluzione che la monarchia marocchina considerava inammissibile. Secondo van Walsum l’indipendenza del Sahara occidentale non era una proposta reale, perché il Marocco non avrebbe mai rinunciato alle sue rivendicazioni di sovranità sul territorio sahariano. Tra il realismo politico favorevole al Marocco e la legalità internazionale rivendicata dal Polisario ci si doveva accontentare di un compromesso.612 La posizione espressa da van Walsum risultò molto controversa e minacciò di dividere il Consiglio. Il Polisario, accusò l’inviato personale di favorire il Marocco, chiese le sue dimissioni e si rifiutò di riprendere i negoziati.

Nell’agosto del 2008, Peter van Walsum, ormai alla scadenza del suo mandato, non fu riconfermato da Ban Ki-Moon, che invece nominò, nel gennaio 2009, come suo inviato personale l’americano Christopher Ross.613

610 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2008/45 del 25 gennaio 2008, paragrafi 5 e 6. 611 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2008/251 del 14 aprile 2008. 612 Il Consiglio di sicurezza con la risoluzione 1813 (2008) del 30 aprile 2008, elaborata da Francia e Stati Uniti, prorogava, per la prima volta, la MINURSO di un intero anno, fino al 30 aprile 2009 e sottolineava, al paragrafo 2, la necessità che le parti dessero prova di “realismo”, un’allusione chiara alla proposta di van Walsum. Il Presidente del Consiglio di sicurezza, l’ambasciatore del Sudafrica, dichiarava che appellarsi al realismo dava l’impressione che si affermasse la legge del più forte. M. de Froberville, Sahara occidental. Le droit à l’indépendance, Rouiba, ANEP, 2009, pp. 231 – 232. 613 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2009/200 del 13 aprile 2009, paragrafo 9. 244

Nel frattempo, a partire da settembre 2008, il Segretario generale incontrò sia il ministro marocchino degli Affari Esteri e della Cooperazione, Taib Fassi Fihri, ed esaminò con lui le migliori modalità per far avanzare i negoziati; sia il Segretario generale del Fronte Polisaro, Mohamed Abdelaziz (4 novembre 2008). Nel corso di questi colloqui Ban Ki-Moon sottolineò che i colloqui futuri sarebbero ripartiti sulla base dei progressi compiuti negli incontri di Manhasset del 2007 e del 2008 e che il suo nuovo inviato personale sarebbe stato guidato nel suo operato dalla risoluzione 1813 (2008) e dalle precedenti risoluzioni del Consiglio di Sicurezza, con l’obiettivo di trovare una soluzione politica giusta, duratura e mutuamente accettabile, che potesse permettere l’autodeterminazionde del popolo del Sahara occidentale. 614 Il nuovo inviato personale Ross fece un tour nella regione incontrando i rappresentanti del Marocco, del Fronte Polisario, dei Paesi vicini e con i delegati di altri Stati interessati. Al termine della missione Ross comunicò che nel corso dei colloqui che aveva avuto a Rabat, Tindouf, Algeri, tutti gli interlocutori si erano dimostrati disposti a cooperare con le Nazioni Unite al fine di trovare, non appena possibile una soluzione al problema del Sahara occidentale, condizione preliminare indispensabile per assicurare la stabilità, l’integrazione e lo sviluppo della regione e permettere ai rifugiati di tornare a una vita normale. Ross sottolineò al Segretario generale che purtroppo, le due parti fino a quel momento non avevano cambiato le loro posizioni e rimanevano ancora molto lontane dal trovare un accordo sul modo per giungere ad una soluzione politica giusta, durevole e reciprocamente riconosciuta, come richiedevano le risoluzioni dell’ONU.615

Riguardo alle misure di fiducia il Segretario generale informava il Consiglio di sicurezza che gli scambi tra famiglie erano proseguiti grazie agli sforzi dell’HCR e della MINURSO. Tra aprile 2008 e marzo 2009 erano state effettuate 36 visite; 1.114 persone erano arrivate ai campi di rifugiati di Tindouf e 1.088 persone avevano visitato i territori del Sahara occidentale occupato. Dopo l’inizio del programma, iniziato nel novembre 2004, 7.858 persone, soprattutto donne, bambini e anziani, avevano partecipato al programma. Per quanto riguarda i servizi telefonici gratuiti, che ormai erano stati installati in quattro wilaya (province) nei campi di rifugiati sahrawi e nei territori occupati, questi continuavano a funzionare. Dall’inizio del programma (gennaio 2004) a marzo 2009 furono realizzate 105.705 chiamate, il 60% delle quali fatte da donne. L’HCR stava tentando di installare un altro punto telefonico a Dakhla, nei campi di rifugiati a sud-ovest di Tindouf.616

Ban Ki-Moon si felicitò con le parti per aver riconfermato la propria disponibilità a proseguire i negoziati, anche durante la visita di Ross nella regione a febbraio 2009. Tuttavia, visto che la

614 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2009/200 del 13 aprile 2009, paragrafo 8. 615 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2009/200 del 13 aprile 2009, paragrafi 9 - 12. 616 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2009/200 del 13 aprile 2009, paragrafi 41 e 42. 245 situazione si era evoluta di poco dopo l’ultimo ciclo di negoziati, era importante che i nuovi colloqui fossero preparati in modo minuzioso. In quest’ottica, l’inviato personale propose alle parti di realizzare una riunione preparatoria informale, da tenersi un mese prima dei colloqui ufficiali. Fronte Polisario e Marocco accolsero la proposta.617

Con la risoluzione 1871 (2009) del 30 aprile 2009, il Consiglio di sicurezza accolse la proposta del Segretario generale di proporogare la MINURSO fino al 30 aprile 2010.

Dopo un nuovo tour nella regione nell’estate del 2009, Ross convocò la prima riunione informale, che si tenne a Dürnstein in Austria, il 9 e 10 agosto 2009. Obiettivo dell’incontro era ristabilire un clima di reciproco rispetto e di dialogo, condizione necessaria per far ripartire i negoziati. Le parti discussero sulle misure di confidenza e su questioni relative ai diritti umani, tema molto controverso. Ross valutò necessario organizzare un secondo round di negoziati informali, prima di passare ai negoziati ufficiali, convocò così le parti ad un secondo incontro a Westchester County (Stati Uniti) il 10 e 11 febbraio 2010, durante il quale molto tempo fu dedicato alle questioni legate ai diritti umani. Al termine della riunione le parti rimisero nuovamente sul tavolo delle trattative le proposte presentate nell’aprile 2007. Ross decise, ancora una volta, di recarsi in visita nella regione nel marzo 2010 per cercare di trovare un punto di accordo in modo di superare lo stallo in cui il problema del Sahara occidentale si trovava per l’ennesima volta, consapevole di non possedere alcuno strumento per obbligare le parti ad accettare l’una o l’altra proposta. Restava ancora molto da fare prima di arrivare alla convocazione di negoziati ufficiali e chiedeva alle parti di trovare la volontà politica, ma anche la creatività e l’immaginazione necessaria per assicurare l’avanzamento e il conseguente successo dei negoziati. Il Segretario generale esprimeva inoltre grande preoccupazione per la situazione dei diritti umani e si rallegrava per i buoni risultati ottenuti nelle operazioni di sminamento realizzate dalla MINURSO, dalle Forze Armate Marocchine e dall’organizzazione Landmine Action. Questa importante attività che Ban Ki-Moon sollecitava a proseguire e a intensificare aveva concretamente contribuito a migliorare la sicurezza per la popolazione civile che viveva nella regione, oltre che del personale della MINURSO.618

Ross decise di ricontattare le parti, i Paesi vicini e quelli più coinvolti visitando nuovamente la regione nell’ottobre del 2010, proprio nei giorni in cui nei territori occupati del Sahara occidentale cresceva la tensione a seguito delle proteste della popolazione civile sahrawi, che protestava per chiedere migliori condizioni di vita e di lavoro.

617 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2009/200 del 13 aprile 2009, paragrafo 61. 618 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2010/175 del 6 aprile 2010. 246

Il terzo round informale si tenne a Long Island (Stato di New York) dal 7 al 10 novembre 2010, proprio nei giorni in cui il Marocco decise di smantellare con la forza l’accampamento di Gdeim Izik, località a pochi chilometri da El Aioun, dove si erano riuniti per protesta migliaia di Sahrawi. Ovviamente la tensione che in quelle stesse ore si stava vivendo in Sahara occidentale si riversò sui negoziati e Ross faticò molto a convincere le parti a riprendere il dialogo. 619 Ai colloqui partecipavano come osservatori l’Algeria e la Mauritania.

Il giorno d’inizio dei negoziati il Presidente della RASD Mohamed Abdelaziz si trovava ad Algeri, per partecipare alla Conferenza del cinquantenario della risoluzione 1514 sul diritto all’autodeterminazione dei popoli sotto tutela coloniale. 620 In un’intervista rilasciata ad un quotidiano italiano Abdelaziz si pronunciò sui negoziati con il Marocco: “Nel 2007 noi abbiamo presentato una proposta all’Onu e tre giorni dopo il Marocco ha presentato il suo piano di autonomia per il Sahara occidentale all’interno del territorio marocchino. Il Marocco ha respinto la proposta del Fronte Polisario. O meglio, non l’ha nemmeno presa in considerazione. Noi invece abbiamo incluso la proposta marocchina nel nostro piano: pensiamo che, tra le opzioni previste dal referendum nel Sahara occidentale, ci debba essere anche quella dell’autonomia all’interno del Marocco, oltre all’indipendenza e all’annessione al territorio marocchino”. Nella stessa intervista dichiarava la disponibilità del Fronte a fare un’altra concessione, se questa fosse stata considerata utile ai fini della soluzione: “per il bene della pace, siamo disposti a mettere tra parentesi la Repubblica Araba Sahrawi Democratica, che noi abbiamo proclamato 35 anni fa. Nonostante sia uno Stato sovrano, riconosciuto da più di 80 Paesi, membro fondatore dell’Unità Africana, 621 possiamo temporaneamente congelarla, se questo può far avanzare il dossier. […] Per noi, l’importante è che il popolo sahrawi scelga il proprio futuro. E, dirò di più, nel caso in cui i cittadini del Sahara occidentale scegliessero l’indipendenza, siamo pronti a negoziare in modo aperto su tutte quelle questioni – di natura economica, strategica esecuritaria – che preoccupano il Marocco”.622

619 “Poco prima dello sgombero violento di Gdeim Izik, il re Mohammed VI ha attaccato violentemente il Fronte Polisario e l’Algeria, accusandoli di mettere a rischio la pace e la stabilità regionale”. S. Liberti (inviato ad Algeri), “Congeliamo la Rasd per il bene della pace” Mohamed Abdelaziz si pronuncia sui negoziati con il Marocco, in Il Manifesto, giovedì 16 dicembre 2010, p. 9. 620 Alla conferenza internazionale parteciparono molti ex capi di stato, figure chiave delle lotte coloniali o i loro eredi, il Presidente della commissione dell’Unione africana Jean Ping, il Segretario generale della Lega Araba Amr Moussa, oltre a tantissimi esponenti della società civile, del cinema, del giornalismo. Al centro della conferenza il tema del Sahara occidentale, l’ultimo esempio di decolonizzazione mancata. Inglobata nella discussione anche la Palestina (anche se non formalmente inclusa della lista dei 16 territori non autonomi), occupata dal 1967 da Israele, a seguito della guerra dei sei giorni. “Il popolo palestinese e il popolo del Sahara occidentale hanno diritto di aspettarsi dalla Comunità internazionale un sostegno più fermo e un’azione più risoluta in vista dell’esercizio del loro diritto all’autodeterminazione”, si legge nella “dichiarazione di Algeri”, stilata dai partecipanti alla conferenza. 621 Ricordiamo che l’OUA, fondata il 25 maggio 1963, si chiama Unità Africana dal 9 luglio 2002. 622 S. Liberti (inviato ad Algeri), “Congeliamo la Rasd per il bene della pace” Mohamed Abdelaziz si pronuncia sui negoziati con il Marocco, in Il Manifesto, giovedì 16 dicembre 2010, p. 9. 247

Da questo momento in poi seguirono diversi cicli di incontri informali periodici, che secondo l’inviato personale del Segretario generale dell’ONU dovevano favorire l’instaurarsi di quel clima di fiducia necessario per il buon esito dei negoziati. Ross invitava altresì le parti a non intraprendere alcuna azione che rischiasse di interrompere lo sviluppo dei negoziati. 623 Con la risoluzione S/RES/1979 del 27 aprile 2011, la Missione Internazionale delle Nazioni Unite per il Referendum in Sahara Occidentale (MINURSO) fu prorogata fino al 30 aprile 2012.

Nel corso del settimo ciclo d’incontri tenutosi a Manhasset (Stato di New York) dal 5 al 7 giugno 2011, era evidente che le parti non avevano alcuna intenzione di prendere in considerazione la proposta dell’altro, anche se per la prima volta si parlò di autodetermazione, dell’attività di sminamento e della necessità di discutere con l’assistenza del Segretariato dell’ONU del tema delle risorse naturali.624 Nonostante Fronte Polisario e Marocco abbiano ribadito la loro intenzione di ricercare una soluzione, Ross evidenziava la totale mancanza di fiducia tra di loro. L’ottavo ciclo di incontri si tenne a Manhasset, dal 19 al 21 luglio 2011, senza ottenere alcun risultato se non l’accordo a incontrarsi a Ginevra per discutere insieme a un gruppo di esperti delle risorse naturali e del loro sfruttamento.625

Nell’ottobre del 2011 l’inviato speciale si recò in visita nelle capitali degli Stati membri del Gruppo di Amici, realizzato incontri con le parti e i Paesi vicini. Il 14 ottobre 2011 Ross si recò Washington, dal 3 all’8 novembre 2011, a Madrid, Parigi e Mosca e il 15 dicembre 2011 a Londra. Durante tutti gli incontri Ross discusse di “due idee”, che sottopose al Consiglio di sicurezza il 26 ottobre 2011: la possibilità di compiere delle consultazioni con un gruppo rappresentativo di Sahrawi e un dialogo all’interno del gruppo stesso e delle consultazioni con un gruppo di rappresentanti del Maghreb sulla questione del Sahara occidentale con l’intento di incoraggiare il dibattito, l’insorgere di nuovo idee e proposte, da sottoporre nei negoziati ufficiali. Secondo Ross questo poteva essere un modo per discutere dello statuto finale del Sahara occidentale, per aiutare le parti a superare le loro posizioni e a uscire dalla situazione di stallo in cui si trovavano da anni. Mentre i membri del Gruppo dei Paesi Amici626 si dichiararono favorevoli alla proposta di Ross, il governo marocchino e il Fronte Polisario espressero delle riserve.627

623Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/249 del 1 aprile 2011. Il quarto ciclo di incontri informali si tenne sempre a Long Island dal 16 al 18 dicembre 2010; il quinto sempre a Long Island dal 21 al 23 gennaio 2011; il sesto si tenne a Mellieha () dal 7 al 9 marzo 2011, venne infine programmato un nuovo round per agosto 2011. 624 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafo 12. 625 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 13 e 14. 626Creato su iniziativa USA nel 1993 come incoraggiamento a un accordo negoziato, comprende: Stati Uniti, Francia, Gran Bretagna, Russia e Spagna. Perchè non è prevista la presenza di un Paese arabo o africano? 627 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 16 e 17. 248

5.13. Marocco-ONU: tensioni diplomatiche sul Sahara occidentale

I negoziati tra Marocco e Fronte Polisario continuarono a Manhasset dall’11 al 13 marzo 2012. Durante gli incontri le parti si mostrarono in totale disaccordo sulle finalità del processo di negoziazione. 628 Il Marocco si dichiarò disponibile a negoziare i dettagli di una proposta di autonomia e ad appoggiare un referendum confermativo; il Fronte Polisario si dichiarava a sua volta pronto a discutere ogni soluzione purché si prevedesse la possibilità di realizzare un referendum con più opzioni. Ciascuna delle due parti rimase trincerata sulla propria posizione.

Il Segretario generale delle Nazioni Unite annunciava l’incremento del programma di scambi tra famiglie, grazie alla disponibilità di un aereo più grande, l’intenzione di facilitare l’accesso a Internet per favorire il contatto tra le famiglie sahrawi separate dal muro e l’organizzazione, in collaborazione con l’HCR, di due seminari culturali tra Sahrawi residenti nei campi di rifugiati e in Sahara occidentale, da realizzarsi indicativamente nei mesi di giugno e ottobre 2012, sul ruolo delle donne e sul significato della tenda nella cultura sahrawi. L’inviato personale Christopher Ross espresse l’intenzione di realizzare nel mese di maggio 2012 un tour prolungato in Sahara occidentale e propose nuovi cicli d’incontri informali nel mese di giugno e di luglio 2012, prima dell’inizio del mese di Ramadan.629

Nonostante le difficoltà, il Segretario generale invitava il suo inviato personale a continuare a studiare la possibilità di riunire gruppi rappresentativi della popolazione del Sahara occidentale e dei cinque Stati dell’Unione del Maghreb arabo, già presentata nel precedente rapporto, allo scopo di trovare nuove idee e nuove soluzioni possibili al problema del Sahara occidentale. A tal proposito incoraggiava le parti a scambiare le visite di diplomatici, legislatori, giornalisti, così da permettere alla comunità internazionale di comprendere meglio i punti di vista delle persone direttamente coinvolte nel conflitto. Ban Ki-Moon sottolineava l’importanza della questione di diritti umani nel processo di risoluzione del conflitto ed evidenziava le continue segnalazioni di violenze a carico del popolo del Sahara occidentale.630

Dopo la pubblicazione del rapporto del Segretario generale e la successiva adozione della risoluzione S/2012/2044 (2012) del 24 aprile 2012 il Consiglio di sicurezza prorogava la MINURSO fino al 30 aprile 2013. Nel mese di agosto 2012 Ban Ki-Moon ribadì la sua piena fiducia nell’operato del suo inviato personale Christopher Ross, confermandolo nell’incarico e invitandolo a riprendere gli sforzi alla ricerca di una soluzione politica, concordata e durevole del

628 Si trattava del nono round di negoziati, a partire dal 2007. 629 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 22 – 25. 630 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 104 – 106. 249 conflitto in Sahara occidentale, nonostante le proteste del governo marocchino. A maggio 2012, infatti, il Marocco sfiduciava Ross perché le sue decisioni erano considerate “parziali e disequilibrate” e i suoi “comportamenti in contrasto con le grandi linee tracciate per i negoziati dal Consiglio di sicurezza”.631

Il Consiglio di sicurezza aveva dato mandato a Ban Ki-Moon di esaminare attentamente le difficoltà che la missione dell’ONU incontrava nell’espletamento delle proprie funzioni sul terreno e che ne potevano compromettere la neutralità. Furono individuate quattro tipologie di problematiche legate al mandato, alle attività della componente militare, alla componente civile e alle condizioni di sicurezza. Il Marocco riconsceva alla missione ONU il mandato di mantenere la pace dal punto di vista militare, mentre per il Polisario oltre a questa funzione, la MINURSO doveva vegliare sulla popolazione civile e garantire il rispetto dei diritti umani. Per quanto riguardava invece le questioni relative alla componente militare e civile, il Segretario sottolineava che la missione non era in grado di poter esercitare al meglio le proprie funzioni di sorveglianza, di osservazione e di collegamento legate al mantenimento della pace e di garantire la neutralità necessaria per il buon funzionamento della missione. Per esempio l’obbligo di applicare placche diplomatiche marocchine sui veicoli della MINURSO, oppure il dispiegamento di bandiere marocchine intorno al quartier generale della MINURSO, destava dubbi sulla neutralità della missione onusiana.632

Il rapporto di Ross era alla base della sfiducia nei suoi confronti da parte del Marocco. Per la prima volta Christopher Ross e Ban Ki-Moon, nonostante le cautele diplomatiche, mettevano in discussione la credibilità dell'intera iniziativa dell’ONU in Sahara occidentale che, nella situazione attuale, "non era in grado di espletare pienamente le sue funzioni di sorveglianza e di osservazione per il mantenimento della pace né di attuare gli obiettivi sottoscritti dal mandato".633

Inoltre, l’inviato personale Ross criticava in diversi punti del suo rapporto le autorità marocchine, accusate di complicare o di tenere sotto controllo l’attività dei caschi blu dell’ONU. Così a El Aioun, l’accesso al quartier generale della MINURSO era controllato dalla polizia, con evidenti effetti dissuasivi nei confronti degli interlocutori locali, che venivano così scoraggiati a rivolgersi alle Nazioni Unite, mentre le comunicazioni confidenziali tra il quartier generale della MINURSO e

631 Non era la prima volta che un inviato personale del Segretario generale riceveva critiche da una delle controporti. Era accaduto a Peter van Walsum nel 2007, quando si lasciò sfuggire una dichiarazione alla stampa spagnola che aveva suscitato le critiche del Fronte Polisario: “l’indipendenza del Sahara è una opzione irrealistica”. La mancata neutralità del funzionario ONU aveva costretto il Segretario generale a non rinnovarne il mandato. Ma questa volta era il governo marocchino a criticare l’operato dello statunitense Ross, ma questa volta Ban Ki Moon reagì prontamente difendendo l’operato dei Ross e ribadendo piena fiducia nel suo operato. Per la diplomazia marocchina si trattava di una seconda sconfitta, dopo il congelamento degli accordi di pesca deciso dal Parlamento europeo nel dicembre del 2011. 632 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 90 - 93 e paragrafi 112 e 113. 633 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, p. 25 250

New York erano occasionalmente compromesse. L’ONU denunciava inoltre il ricorso a tribunali militari o speciali per giudicare i civili sahrawi accusati di violenza, che sollevava problemi seri per quanto concerneva l’amministrazione della giustiza, che doveva essere equa, imparziale e indipendente in Sahara occidentale come in Marocco. Parigi rispose sostenendo il suo alleato tradizionale attraverso una dichiarazione di Bernard Valero, portavoce di Quai d’Orsay, nella quale esprimeva il suo totale appoggio al piano di autonomia marocchino, considerato la sola proposta realistica dei negoziati e che costituiva la base seria e credibile di una soluzione, nel quadro delle Nazioni Unite. Algeri, presa in contropiede da Rabat, applaudiva gli sforzi dell’instancabile ex ambasciatore americano Christopher Ross attraverso le dichiarazioni di Amar Belani, portavoce del Ministero degli affari esteri.634

Al centro del dibattito, già dal 2011, il dubbio di Ban Ki Moon non era tanto il dubbio sul rinnovo o meno della missione ONU in Sahara occidentale, ma la possibilità di estendere il mandato della MINURSO alla tutela dei diritti umani e al monitoraggio delle violazioni in tutta la regione (incluso i campi di rifugiati a Tindouf), come era normalmente previsto per tutte le missioni delle Nazioni Unite. Una richiesta espressamente formulata da Navanethem Pillay, Alto Commissario ONU per i diritti umani, che al paragrafo 119 della relazione inviata al Segretario generale a inizio aprile 2011, sollecitava “la creazione di un meccanismo internazionale effettivo per un controllo continuo, indipendente e imparziale dei diritti dell’uomo” inquadrato dalla stessa MINURSO. Dello stesso avviso il Parlamento europeo e le ong e Amnesty International (il cui accesso in Sahara Occidentale continua a essere ostacolato da Rabat), preoccupate per la recrudescenza repressiva delle autorità marocchine verso la popolazione sahrawi. 635 Ma la richiesta di un organismo indipendente sul Sahara occidentale, respinta in modo categorico dalla diplomazia marocchina e francese, fu bocciata dal Segretario generale, che si limitò a sottolineare l’importanza di migliorare la situazione dei diritti umani nella regione.

Da molti anni la Francia utilizza il suo potere di veto che deriva dall’essere membro permanente del Consiglio di sicurezza per tenere le Nazioni Unite al di fuori di ogni questione che riguardi il rispetto dei diritti umani nel territorio del Sahara occidentale. Per opporsi all’estensione del mandato della MINURSO, a Rabat è bastato dichiarare di procedere con alcune riforme democratiche, dimostrare buona volontà provvedendo alla scarcerazione di prigionieri politici sahrawi e consentire l’accesso nei territori agli inviati del Consiglio per i diritti umani dell’ONU. Nessuna garanzia effettiva, dunque, che in Sahara occidentale i diritti e le libertà fondamentali siano

634 I. Mandraud, Le Sahara occidental: le Maroc se fâche avec l'ONU, in Le Monde, 18 maggio 2012. 635 I. Cabrero, La Onu estudia ampliar sus competencias sobre el Sahara, Madrid, El Pais, 11 aprile 2011. 251 veramente rispettati, nessun organismo indipendente ad oggi è ancora stato incaricato di sorvegliare le violazioni compiute dalle forze di sicurezza marocchina.

Già la risoluzione 1979 (2011) del Consiglio di sicurezza, oltre a ignorare le raccomandazioni dell’Alto Commissariato per i diritti umani dell’ONU e delle principali ong internazionali, suscitò la dura reazione dei rappresentanti nigeriano e sudafricano al Consiglio di sicurezza, i quali, pur avendo accordato il rinnovo della missione, non rinunciariono a esprimere le critiche al documento prima della votazione, dichiarandosi delusi dell’atteggiamento dell’ONU nei confronti del Sahara occidentale, che non godeva dello stesso sostegno offerto al Sud Sudan (dove nel gennaio 2011 si votò il referendum per la secessione da Khartoum) e denunciavano l’adozione di “due pesi e due misure” prima di insistere sulla necessità di “un meccanismo di protezione permanente e credibile per il popolo sahrawi” e di ricordare agli altri membri dell’assise che il Sahara occidentale rappresentava ad oggi l’ultima colonia del continente africano.

Nell’ultimo rapporto del Segretario generale (S/197/2012) la tutela dei diritti e delle libertà fondamentali era una delle note dolenti su cui insisteva il documento, che rilanciava la necessità di un organismo indipendente di controllo. Nel novembre 2011 il Comitato contro la tortura dopo aver esaminato il rapporto periodico sul Marocco, si era detto preoccupato per “l’eccessivo utilizzo della forza da parte degli agenti della sicurezza marocchina” nel reprimere le manifestazioni pacifiche dei sahrawi nelle città del Sahara occidentale e per le notizie di arresti arbitrari, detenzioni preventive, maltrattamenti e torture, estorsione di dichiarazioni sotto tortura e un eccessivo uso della forza nelle carceri marocchine.636

Benchè il rapporto del Segretario generale fosse stato privato della sua sostanza dalla risoluzione del Consiglio di sicurezza, il Segretario generale e il suo inviato dimostrarono la volontà di superare la situazione di stallo che il conflitto aveva assunto, riposizionandolo all’interno della nuova dinamica regionale, conosciuta come “primavera araba”.

In questo nuovo contesto il popolo del Sahara occidentale non poteva più essere marginalizzato o escluso dai negoziati in corso, era quindi necessario superare i vecchi schemi, legati esclusivamene alle posizioni dei due contendenti. Gli incontri informali tra i contendenti erano ripresi con una certa regolarità da alcuni anni, ma i pourparlers, si erano concentrati "su questioni secondarie", mentre restavano “ancora da dimostrare la volontà politica di uscire dall'impasse".637

In altre parole, la divergenza di fondo restava inconciliabile e pertanto lontani dal giungere a quella "soluzione giusta, durevole e condivisa" auspicata dall'Onu, di cui l'autodeterminazione del popolo

636 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, paragrafi 80 e 81, pp. 18-19. 637 Rapporto del Segretario generale dell’ONU S/2012/197 del 5 aprile 2012, p. 4. 252 sahrawi rimaneva un punto imprescindibile, con o senza l'annunciato e poi disatteso referendum.

A scatenare il risentimento di Rabat nei confronti dell’inviato personale del Segretario generale dell’ONU – secondo Khadija Mohsen-Finan - non erano solo i rimproveri fatti al Marocco, ma “la stessa intenzione espressa dal documento ufficiale di voler sperimentare nuove soluzioni per uscire dall'impasse”.638

Perché il Marocco dovrebbe adoperarsi per risolvere un conflitto che ruota attorno alla sovranità di un territorio, che considera di sua proprietà, che amministra dal 1976 (violando numerose risoluzioni dell’Assemblea generale) e di cui gestisce popolazione e risorse?

La monarchia marocchina non ha nessuna intenzione di mettere in discussione la sua "unità nazionale", di conseguenza ha tutto l'interesse nel conservare la situazione di stallo venutasi a creare dopo la firma del cessate il fuoco. Uno stallo che ha fatto lentamente cadere la questione del Sahara Occidentale nel dimenticatoio dell'opinione pubblica internazionale, con buona pace dei rifugiati nei campi di Tindouf e degli attivisti sahrawi, residenti nel territorio sotto controllo marocchino.

Dal ritiro della Spagna nel 1976, la monarchia alaouita ha deciso di integrare la vecchia colonia, le sue 'province recuperate', nel proprio spazio di sovranità. L'integrazione del Sahara occidentale è stata regolarmente confermata dall'estensione delle elezioni nazionali e dal pieno esercizio del ministero dell'Interno sul territorio. Un'evidenza che raramente è stata oggetto di critiche dei rappresentanti della MINURSO. Oggi il Marocco vuole proseguire con le vecchie pratiche ormai abituali, mentre Christopher Ross ritiene che tali pratiche siano divenute inaccettabili.639

5.14. La Francia, gli Stati Uniti e la questione del Sahara occidentale

Dopo l’inizio del conflitto, nel 1975, il Marocco aveva sempre potuto contare sull’aiuto della Francia. Anche nel 2003, quando Rabat decise di rifiutare il piano Baker, potè contare sul sostegno francese. Nell’ottobre 2003, in occasione di una sua visita in Marocco, il Presidente Jacques Chirac dichiarò senza mezzi termini: “La Francia desidera fortemente una soluzione del conflitto in Sahara occidentale, che costituisce un ostacolo alla costruzione di un Maghreb unito. Noi difendiamo una soluzione politica (…) che tenga pienamente conto degli interessi del Marocco e della stabilità regionale”. Per Chirac e per la maggior parte dei politici francesi il Sahara occidentale era parte integrale del Regno del Marocco, ciò significava che i Francesi erano disposti a utilizzare il diritto

638 K. Mohsen-Finan, Le Maroc se prive de la « bienveillance » de l’ONU, Affaires strategiques.info, 29 maggio 2012, http://www.affaires-strategiques.info. 639 K. Mohsen-Finan, Le Maroc se prive de la « bienveillance » de l’ONU, Affaires strategiques.info, 29 maggio 2012, http://www.affaires-strategiques.info. 253 di veto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, nel caso in cui si tentasse di imporre una soluzione non approvata dal Marocco. Il fatto che Parigi avesse sostenuto l’ONU nel 2003 nel dossier iracheno, contrariamente agli Stati Uniti, dimostrava che la sua politica estera era profondamente legata alla politica del potere. Il diritto internazionale sembrava non applicabile e, generalmente, non veniva preso in considerazione nelle zone di influenza francese, come in Marocco.

Le relazioni che legano ancora oggi la Francia al Marocco sono un po’ le stesse che legano negli ultimi quarant’anni gli Stati Uniti a Israele. La Francia non ha mai nascosto la sua contrarietà all’esistenza di un Sahara indipendente e i Francesi sembrano essere indifferenti alla legalità internazionale per quanto concerneva il Sahara occidentale. 640

Anche gli Stati Uniti si sono alleati con il Regno del Marocco all’epoca della Guerra fredda, per tenere sotto controllo l’espansione sovietica nell’Africa sub sahariana e preccupati per la presenza di un potenziale Stato pro-sovietico in Sahara occidentale, anche se il Fronte Polisario ha sempre dichiarato di non avere mai avuto sostegno direttamente dai Sovietici.

Inizialmente gli Stati Uniti fornirono al Marocco aiuti militari, economici e assistenza logistica per sostenere questa monarchia pro-occidentale, garante della presenza americana e occidentale nella regione. Nell’agosto 2004 Baker confermava che il sostegno degli USA al Marocco dipendeva, all’epoca della Guerra fredda, dai legami che il Fronte Polisario aveva con Cuba, con la Libia e con altri Paesi nemici degli Stati Uniti. Il Marocco combatteva le forze nazionaliste che ricevavano il sostegno dell’URSS in Africa in nome dell’Occidente ed era nello stesso tempo uno dei pochi Paesi arabi ad avere un buon rapporto con Israele. La guerra contro il terrorismo, dopo gli attacchi dell’11 settembre 2001, aveva rinforzato la posizione del Marocco nella politica americana. Nonostante le buone relazioni con l’Algeria che, dopo il 2001, rappresentava un partner strategico nella regione, gli USA continuarono a mantenere una politica di equilibrio e a mantenere buoni rapporti con il Marocco, con cui l’amministrazione di George W. Bush junior sottoscrisse un accordo di libero scambio nel 2004, entrato in vigore solo nel gennaio 2006, che portò il Marocco a divenire uno dei più importanti alleati degli USA, non membro della NATO. Gli Stati Uniti, pur comprendendo la sensibilità del popolo marocchino sulla questione del Sahara occidentale, non intrapresero mai una soluzione che fosse sfavorevole agli Algerini o ai Sahrawi. Lo stesso accordo di libero scambio

640 Y. H. Zoubir, Lorsque la géopolitique et la realpolitik empêchent de résoudre un conflit et violent le droit International: le cas du Sahara occidental, in AA.VV., Le droit International et la question du Sahara occidental, IPJGET, Porto, 2007, capitolo 17, p. 288. 254 firmato il 15 giugno 2004 ed entrato in vigore il 1° luglio 2005, riguardava il territorio marocchino, ma escludeva il Sahara occidentale.641

Nel 2006 l’amministrazione USA sollecitò a più riprese il Marocco a presentare una proposta seria e credibile, che le parti potessero analizzare, per favorire la soluzione del conflitto, con l’obiettivo di sotterrare il piano Baker II. Gordon Gray, vice Segretario di Stato americano aggiunto per gli Affari del Medio Oriente, dichiarò che per quanto riguardava il Sahara occidentale gli Stati Uniti continuavano a cercare una soluzione politica accettabile nel quadro delle Nazioni Unite e non desideravano imporre una soluzione.

Non era un segreto che il rafforzamento della posizione del Marocco all'interno dell'amministrazione USA fosse opera di coloro che consideravano importante il ruolo del Marocco nello scacchiere medio-orientale e nella guerra globale al terrorismo Gli attentati suicidi e il coinvolgimento di cittadini marocchini in episodi di terrorismo su territorio europeo dopo il 2001, rafforzarono questa posizione. Il Marocco si avvantaggiava delle preoccupazioni terroristiche statunitensi, alludendo, in modo infondato, al presunto coinvolgimento di membri del Fronte Polisario in attività terroristiche o paventando un'espansione del terrorismo in Nord Africa, nel caso il conflitto del Sahara Occidentale non venisse risolto in maniera soddisfacente per il Marocco. Accadde così che diplomatici statunitensi definissero "serie e credibili" le proposte di autonomia avanzate dal Marocco. Nell’aprile del 2007 il Marocco sottopose all’attenzione del Segretario generale dell’ONU il suo piano di autonomia, proposta che violava il diritto internazionale e che, di fatto, non faceva altro che tentare una volta ancora di vedere riconosciuta l’occupazione illegale del Sahara occidentale. Stati Uniti, Francia e Spagna accolsero favorevolmente il piano di autonomia presentato dalla monarchia marocchina.

Gli Stati Uniti e gli altri alleati del Marocco sapevano che l'invito alle parti di avviare dei negoziati sulla base della proposta marocchina, significava, di fatto, riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara Occidentale. Secondo i sostenitori del Polisario all'interno del Consiglio di Sicurezza, capeggiati dal Sudafrica, tali negoziati erano inaccettabili per l'intera comunità internazionale.

641 Quest’accordo di libero scambio, il secondo di questo tipo firmato dagli Stati Uniti con un Paese musulmano, dopo quello siglato con la Giordania, s’inserisce in un progetto voluto dal Presidente degli Stati Uniti George W. Bush, in base al quale definire una zona di libero scambio tra gli Stati Uniti e il Medio oriente entro il 2013. L’accordo venne firmato dopo che le rassicurazioni del Segretario americano per il commercio Robert Zoellick che “gli Stati Uniti non riconoscono la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale” e che l’accordo “concerne il commercio e gli investimenti nel territorio del Marocco riconosciuto internazionalmente, e che non include il Sahara occidentale”. Sito web: www.arso.org. Si tratta di un accordo globale a vocazione, esclusivamente, commerciale ed economica che coinvolge tutti i settori, dal commercio dei beni, a quello della prestazione di servizi, includendo anche le questioni sociali e ambientali. Rapporti Paese Congiunti. Ambasciate/Consolati-Uffici ICE all’estero, Marocco 2° semestre 2010, p. 14, sito web:

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La posizione statunitense apparve miope, in quanto, qualsiasi iniziativa contro il terrorismo in Nordafrica non poteva non tenere conto anche degli interessi dell'Algeria, oltre a quelli del Marocco. Per l'Algeria era ed è tuttora di estrema importanza trovare una soluzione al conflitto marocchino-sahrawi, che sia accettabile e dignitosa anche per il Fronte Polisario. La questione avvelena i rapporti tra l'Algeria e il Marocco danni, rendendo molto improbabili collaborazioni di qualsiasi tipo, nella guerra contro il terrorismo, come in qualsiasi altro campo.

Gli Stati Uniti, nonostante gli stretti rapporti col Marocco e oltre ad aver offerto assistenza logistica nella costruzione del muro che divide in due parti il Sahara occidentale, sostengono i tentativi fatti dalle Nazioni Unite per risolvere il conflitto e sono attivi nel Gruppo di Amici del Sahara occidentale. Con queste iniziative gli USA si sono guadagnati la fiducia di entrambe le controparti. Se il Marocco, infatti, considera gli Stati Uniti, un fedele alleato, allo stesso tempo il Fronte Polisario, che negli anni è riuscito a costruire una base di consenso notevole e bipartisan all’interno del Congresso statunitenze, sente che, a differenza della Francia, gli Stati Uniti cercano di mantenere una posizione obiettiva ed equilibrata, pur sostenendo, come i Francesi, la tesi in base alla quale sono Marocco e Algeria a dover dialogare, per creare le consizioni necessarie per risolvere il conflitto marocchino-sahrawi.

5.15. La Spagna e il Maghreb

Come ho già evidenziato, il modo in cui la Spagna si proietta all’esterno è, in larga parte, determinato dalla sua conformazione fisica e a dalla sua posizione geografica. La Spagna si trova a metà strada tra l’Europa e l’Africa e tra l’Atlantico e il Mediterraneo, ciò spiega la sua duplice vocazione, atlantica e mediterranea, non solo passata, ma anche presente, e che contribisce fortemente a tracciare le linee di politica estera spagnola: europea, atlantica, mediterranea e in particolare con il mondo arabo.

I rapporti molto intimi che legano il Paese iberico alla sponda meridionale del mare nostrum, in particolare con Marocco e Algeria, non hanno precluso, negli ultimi, che gli interessi spagnoli si estendessero lungo la costa atlantica, fino all’Africa occidentale.

Nell’Estrategia Española de Seguridad del Governo spagnolo del 2011 si afferma che la pace e la prosperità della costa meridionale del Mediterraneo sono essenziali, per la sicurezza spagnola e per quella di tutta l’Europa, non dimentichamo che con le due città autonome del Nordafrica, Ceuta e Melilla, anche la Spagna è presente nella regione. “Il Maghreb – si dice nel documento del governo iberico - è una zona d’interesse prioritario per la Spagna, per la prossimità geografica e i legami storici e umani. Lo stesso dicasi per l’Atlantico orientale, dov’è situata la Comunità autonoma delle

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Canarie. In collaborazione con tutti i Paesi dell’area, la Spagna deve rispondere a importanti sfide: il rafforzamento della democrazia e dello Stato di diritto, il consolidamento del modello economico e sociale dinamico e inclusivo, la regolamentazione e il controllo dell’emigrazione, la lotta contro il terrorismo e il narcotraffico, la stabilizzazione delle forniture energetiche e una soluzione negoziata, equo e definitiva della questione del Sahara occidentale, in conformità con l’ONU.” 642

Il rapporto che la Spagna ha con il popolo sahrawi non è solo un rapporto morale, ma anche giuridico e politico. In base al diritto internazionale, la Spagna continua a essere la potenza coloniale del Sahara occidentale, così come lo era prima degli Accordi di Madrid del 14 novembre 1975, che sono da considerarsi nulli, perché attuati senza il consenso del popolo sahrawi e non approvati dalle Nazion Unite.

La posizione definita “pragmatica” della Spagna mira a delegare all’ONU la questione sahrawi riuscendo in questo modo a contenere le richieste di autodeterminazione avanzate dal popolo sahrawi, permette a Madrid di comportarsi con il Marocco come se questo problema giuridico, politico e morale non esistesse. Lo storico Gillespie ha sostenuto che la Spagna ha continuato a votare a favore dell’indipendenza dei sahrawi all’ONU, ma ha mostrato una pazienza infinita nei confronti delle strategie di rallentamento messe in atto dal Marocco. In verità, l’indebolimento della capacità offensiva del Polisario negli anni Ottanta, ha garantito alla Spagna che la questione si trascinasse nel tempo evitando così che il Marocco, dopo aver consolidato il controllo nelle regioni meridionali avanzasse rivendicazioni più pesanti su Ceuta e Melilla.643 La Spagna è convinta che occupando le energie irredentiste marocchine nell’ex Sahara spagnolo, le controversie su Ceuta e Melilla, che Madrid non intende abbandonare, siano notevolmente ridotte. Nonostante l’assidua opera diplomatica svolta dai governi spagnoli e da re Juan Carlos per normalizzare i rapporti tra i due Paesi, le relazioni tra Madrid e Rabat restano tese, soprattutto per quanto riguarda al conflitto sahariano. Spesso, in coincidenza con vicende legate al Sahara occidentale, le tensioni aumentano, anche se il desiderio di Rabat di avvicinarsi all’Unione europea e i vantaggi economici derivanti dallo status quo, hanno spinto la monarchia marocchina a contenere le forze del nazionalismo militante. La massiccia presenza militare spagnola nelle enclavi spagnole e lo sviluppo di relazioni economiche bilaterali costituiscono una garanzia di buon vicinato.

642 Estrategia Española de Seguridad. Una responsabilidad de todos, Gobierno de España, Madrid 2011, pp. 28-29, disponibile sito web: www.lamoncloa.gob.es.

643 F. Vacas Fernández, Afriche spagnole, Madrid guarda oltre le colonne d’Ercole, pp. 188-189, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 4/2012, La Spagna non è l’Uganda, Roma: Gruppo editoriale l’Espresso. 257

Il pragmatismo spagnolo ha rivelato i suoi limiti nel 2002, quando il Marocco decide di occupare uno dei possedimenti spagnoli nel Mediterraneo, l’isola di Perjil-Leila, che ha portato al reciproco ritiro degli ambasciatori e al ricorso all’esercito da entrambe le parti. Sebbene la crisi sia velocemente rientrata riportando lo status quo ante, questa vicenda ha destato molta preoccupazione a Madrid, dove si è resa conto dell’estrema fragilità spagnola nel difendere i suoi possedimenti in Nordafrica, sia dal punto di vista militare che politico.

I rapporti con l’area mediterranea restano per la Spagna, così come per l’Italia e la Francia sono cruciali. La sicurezza nazionale, così come i rapporti economici in questa regione sono garantiti dalle attività di cooperazione, che devono però essere incentivate per favorire l’integrazione regionale.644 La Spagna ha inoltre un problema d’immigrazione dal Maghreb, più simile a quello italiano che a quello francese, e quindi ha un interesse specifico a che si sviluppi una politica di sicureza e stabilità verso l’area mediterranea. Oggi, tra le nuove minacce connesse ai movimenti migratori incontrollati, oltre al tradizionale traffico di droga, spiccano le minacce del terrorismo e le aggressioni ambientali. I dati dimostrano che il Paese iberico non è solo paese di destinazione, ma anche di transito dei migranti diretti verso l’Europa. I migranti che arrivano in Spagna, soprattutto di origine marocchina, arrivano spesso in modo irregolare, non dallo Stretto di Gibilterra o dalle frontiere terresti di Ceuta e Melilla, oggetto di pesanti interventi di controllo che hanno determinato lo spostamento delle vie di migrazione, ma dalle coste dell’Atlantico, attraverso il Senegal, la Mauritania e le Canarie. Lo Stato chiave per la Spagna in materia di controllo dell’immigrazione rimane sempre il Marocco, che negli ultimi anni ha progressivamente dato vita a un’attiva cooperazione in tal senso.

In questo momento i timori della Spagna sono però soprattutto legati alla fascia occidentale del Sahel, dove si sono insediati gruppi terroristici legati ad al-Qaeda, che nel 2001 sono stati autori del sequestro di tre cooperanti europei, due spagnoli e un’italiana, nei campi di rifugiati sahrawi.645 La

644 L’operazione Active Endeavour, avviata dalla Nato il 26 ottobre 2001 per combatter il terrorismo nel Mediterraneo, è stata applicata alle acque dello Stretto di Gibilterra a partire da marzo 2003. Una risposta multilaterale sostenuta da Spagna e Italia per la sicurezza del mare nostrum, attraverso iniziative specifiche, per esempio il dialogo 5+5 (Algeria, Marocco, Libia, Mauritania, Tunisia da un lato e Spagna, Italia, Francia, Malta e Portogallo dall’altra) e l’iniziativa per la sicurezza nel Mediterraneo occidentale, inaugurata dai medesimi Stati il 21 dicembre 2004 a Parigi. F. Vacas Fernández, Afriche spagnole, Madrid guarda oltre le colonne d’Ercole, p. 198, in Limes, Rivista italiana di geopolitica, n. 4/2012, La Spagna non è l’Uganda, Roma: Gruppo editoriale l’Espresso. 645 Nella notte tra il 22 e il 23 ottobre 2011, tre cooperanti europei, due spagnoli e un’italiana, vengono sequestrati al protocollo di Rabouni, nei campi di rifugiati sahrawi. Saranno liberati nove mesi dopo, il 17 luglio 2012. “La dinamica del rilascio. La cooperante è stata rapita lo scorso autunno in un campo del Fronte Polisario nel sud dell'Algeria, nei pressi di Tindouf, dal MUJAO, cellula fuoriuscita da al-Qaeda. Ad annunciare il rilascio in prima battuta il portavoce del gruppo islamico Ansar Dine a Timbuctù, Sanda Abou Mohamed, ritenuto vicino all'organizzazione, che ha confermato sia la liberazione della ragazza che dei due Spagnoli rapiti con lei a ottobre, Ainhoa Fernandez del Rincon ed Enric Gonyalons. L'uomo ha precisato che gli ostaggi sono stati rilasciati dal gruppo MUJAO vicino alla città settentrionale di Gao. MUJAO è alleato di Ansar Dine e i due gruppi hanno combattuto 258 debolezza di Paesi come la Mauritania e il Mali, dopo la caduta di Gheddafi in Libia,646 hanno reso quest’area molto critica per la sicurezza, che, per essere garantita, necessita di una intensa ed efficace cooperazione tra e con gli Stati del Maghreb.

E’ solo dopo la Seconda guerra mondiale e precisamente al Cairo nel 1947, in occasione di un incontro tra i capi del nazionalismo marocchino, tunisino e algerino, che, per la prima volta si parla ufficialmente di Maghreb.

Il Maghreb, pur essendo inserito nel mondo arabo, ha specificità proprie che lo rendono unico e strutturalmente omogeneo. I Paesi che compongono il Maghreb hanno tre elementi in comune: il primo è geografico, il Sahara, fonte di discordie ma nello stesso tempo dispensatore di ingenti risorse economiche, in particolare con i suoi giacimenti di petrolio, gas naturale, fosfati, uranio; il secondo è lingua araba e il terzo l’Islam, che nel Maghreb è sunnita.647

I Paesi del Maghreb hanno avuto uno sviluppo economico disomogeneo. Alcuni Paesi fondano la loro economia sulle risorse del sottosuolo (Libia, Algeria e Mauritania), mentre altri hanno un’economia basata sull’agricoltura e sul turismo (Marocco e Tunisia).

Più complesso e articolato è stato il loro percorso politico e istituzionale, dopo la decolonizzazione. Mentre in quasi tutti i Paesi africani dopo l’indipendenza, i governi si sono avvalsi degli eserciti per porre rimedio agli scompensi della politica interna e come strumento di repressione delle opposizioni politiche. Nel Maghreb, solo l’Algeria ha visto, dopo la guerra d’indipendenza la

insieme per sottrarre la parte settentrionale del Mali ai ribelli Tuareg. Il possibile elemento di svolta nella liberazione dei tre ostaggi potrebbe essere, secondo l'agenzia mauritana Ani, il rilascio, nelle prime ore del mattino, di Mamne Ould Oufkir, arrestato lo scorso 4 dicembre in Mauritania perchè sospettato di essere coinvolto nel sequestro dei tre. L'uomo ha lasciato il carcere centrale di Nouakchott ed è stato accompagnato dalle autorità mauritane fuori dalla capitale in una località ignota. Il suo nome faceva parte della lista dei detenuti salafiti da liberare in cambio della Urru, avanzata dal Mujao. Non è certo però che sia stato usato per lo scambio con l'ostaggio italiano. Fonti dell'intelligence spagnola hanno inoltre riferito al sito Globalist che la Urru e lo spagnolo Enrico Gonyalons sono stati liberati a seguito del pagamento di un riscatto. Non hanno voluto precisare l'entità della somma, che si aggirerebbe intorno ad alcuni milioni di euro, versati da Italia e Spagna. Il pagamento sarebbe avvenuto in contanti e in euro e, prosegue Globalist, il rilascio di Ould Faqir farebbe parte della trattativa. E' stato il sito del giornale Il Foglio a dare per primo in Italia la notizia del possibile rilascio.” "Rossella Urru è stata liberata". La conferma della Farnesina, Repubblica.it, 18 luglio 2012, sito web: www.repubblica.it. 646 Muhammar Gheddafi, è stato per per quarantadue anni la massima autorità in Libia, fino alla sua deposizione da parte del Consiglio nazionale di transizione (CNT) durante la Guerra civile libica del 2011, senza ricoprire stabilmente alcuna carica ufficiale, ma fregiandosi soltanto del titolo onorifico di Guida e Comandante della Rivoluzione della Grande Jamāhīriyya Araba Libica Popolare. Gheddafi è stato infatti la guida ideologica del colpo di stato militare che il 1º settembre 1969 portò alla caduta della monarchia (accusata di essere corrotta ed eccessivamente filo-occidentale) del re Idris I di Libia e del suo successore Hasan. Gheddafi instaurò dapprima una dittatura militare, poi, si avvicinò al socialismo arabo di Gamal Abd el-Nasser, infine proclamò il "regime delle masse", basato sulla nuova ideologia, ispirata all'incontro tra Islam, socialismo e capitalismo, del libro verde. Gheddafi è stato ucciso il 20 ottobre 2011 dai ribelli del CNT e la sua morte ha segnato la fine della guerra civile. Da Wikipedia, sito web: www.wikipedia.org. 647 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 259 leadership militare fondersi con quella politica. Nel tempo la situazione è cambiata e l’unico Paese che ha saputo resistere alla deriva militare è il Marocco, che dopo avere superato indenne due colpi di stato, è riuscito a incanalare la forza dell’esercito verso una causa nazional-popolare, la conquista del Sahara occidentale, che ha fortemente contribuito a tenere lontano i militari dal centro del potere della monarchia alauita. La stessa causa è stata invece letale per Ould Daddach, il Presidente mauritano che è stato destituito dai militari, proprio per il suo coinvolgimento nel conflitto sahariano.648

Dal punto di vista giuridico-costituzionale nei Paesi del Maghreb, ad eccezione della Libia, hanno prevalso sistemi di governance e istituzioni politiche di tipo occidentale. Questi Paesi sono musulmani e non islamici, come l’Iran o l’Arabia Saudita, quindi la sharia è relegata in precisi ambiti, come il diritto di famiglia o le successioni. Proprio in questo campo la Tunisia nel 1956 e il Marocco nel 2004 hanno apportato numerose innovazioni, in ottica occidentale, della tradizione della sharia. Solo la Libia, non è inquadrata in nessuno delle due categorie. 649

Il modello costituzionale francese è senz’altro quello prevalente. I sistemi costituzionali maghrebini sono però sbilanciati a favore dell’esecutivo, che in questo modo può marginalizzare le forze politiche di opposizione. Un tipo di governance che Baduel definisce di “governamentalizzazione”650 e che si avvale di un potere esecutivo che si è radicato, soprattutto, grazie allo strumento del partito unico. In Marocco in realtà il partito unico è stato limitato dalla monarchia e dal potere assoluto del sovrano.

Questo fenomeno è tipico di tutti i Paesi africani ed è motivato dal fatto che i movimenti politici anticoloniali hanno tentato di opporsi alle differenze regionali, etniche, tribali e di classe, cercando di costituire un fronte unitario, che potesse esprimere un valore nazionale comune. L’esistenza di un partito unico durante la decolonizzazione, è considerato necessario per combattere il colonialismo e l’imperialismo, ma certamente anche perché è in grado di garantire continuità del potere da parte delle élites. Anche dopo l’indipendenza, il monopartitismo era espressione di democrazia, perché si riteneva che in esso fossero rappresentati il popolo e i suoi interessi. In realtà in questo modo il partito di massa si trasforma in un partito-stato che controlla tutti i settori strategici dell’economia,

648 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 649 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 650 P.R. Baduel, Les partis politiques dans la gouvernementalisation de l'État des pays arabes. Introduction, Revue du monde musulman et de la Méditerranée, N°81-82, 1996. pp. 9-51, sito web: www.persee.fr.

260 dell’amministrazione, della sicurezza, delle forze armate. 651

Dalla fine degli anni Ottanta nei Paesi maghrebini si è avviato un lento processo di democratizzazione, che è stato usato per consolidare i regimi, più o meno autoritari, e per rafforzare il potere esecutivo. Spesso si pubblicizzano in Patria e all’estero elezioni libere che non determinano un reale cambiamento politico e istituzionale, ma consolidano il potere esistente e mantengono lo status quo, fornendo una legittimazione giuridica all’autoritarismo che soddisfa le richieste di apertura alla democrazia, provenienti dall’interno e dall’esterno del Paese, ma senza mai mettere in discussione il potere dell’oligarchia. Si spiega in questo modo perché nel decennio 1998- 2008 si sono verificate tante aperture democratiche in tutto il Maghreb, contraddistinte da elezioni aderenti agli standard occidentali di democrazia, che alla fine hanno finito solo per legittimare internazionalmente e internamente l’élite governativa. In queti sistemi politici si presenta una dicotomia: da una parte le istituzioni liberali (libere elezioni, presenza di associazioni in difesa dei diritti umani, costituzioni democratiche) e dall’altra la gestione autocratica del potere (strapotere del capo dello Stato o del monarca e di gruppi d’interessi, corruzione e clientelismo). Questi fattori hanno limitato fortemente l’alternanza dal potere e creato una generale sfiducia popolare verso il governo e le istituzioni. 652

Dal punto di vista politico quindi l’unica omogeneità che caratterizza il Maghreb è il mancato avvio di un vero processo di democratizzazione e il conseguente mantenimento al potere delle oligarchie politiche e militari. Nello specifico i diversi Paesi vivono situazioni tra loro differenti. Tale disomogeneità influisce pesantemente sull’integrazione maghrebina e sul fallimento della comunità economica e politica regionale dell’U.M.A. che è invece assolutamente necessaria per sviluppare scambi orizzontali e garantire una maggiore forza di contrattazione, sia rispetto all’Unione europea, che nei confronti delle grandi società industriali e finanziarie.653

Dopo il 1947, si parla nuovamente di Maghreb unito nel 1964, anno in cui si svolge la Conferenza di Tunisi, nel corso della quale Marocco, Algeria, Tunisia e Libia decidono di instaurare una cooperazione economica comune e creare un Comité Permanent Consultatif du Maghreb (CPCM), incaricato di studiare gli aspetti e i particolari di tale cooperazione. L’organizzazione maghrebina,

651 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 652 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 653 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 261 con un ruolo meramente consultivo, si è riunita in dodici anni sei volte,654 e ha generato una serie di commissioni, la metà delle quali non si è mai riunita e la maggior parte delle quali hanno funzionato ad intermittenza. Il CPCM di fatto non ha mai funzionato e non ha mai raggiunto nessuno degli obiettivi che si era prefissato. L’abbandono della Libia nel 1970 e la crisi del Sahara occidentale hanno poi fatto naufragare definitivamente il progetto.

Gli anni Ottanta sono stati contraddistinti dalla volontà algerina di riprendere le relazioni diplomatiche con gli altri Paesi maghrebini che provano a mettere da parte le rivalità.

Il 16 e 17 febbraio 1989 a Marrakech nasce l’U.M.A., nel corso di un summit in cui si decide volutamente di non discutere del problema divisivo: il Sahara occidentale. L’U.M.A. ha fatto nascere un mercato comune comprendente un territorio di 5.789.000 Kmq, che con il Sahara occidentale supera i 6 milioni di Kmq, con una popolazione di 63 milioni di abitanti, con l’intento di far acquisire ai Paesi firmatari, legati da fattori storici, linguistici, culturali e religiosi, un maggior peso specifico nella comunità internazionale, contribuendo contemporaneamente alla pace e alla sicurezza della regione. Gli scopi dell’U.M.A. sono definiti chiaramente nell’articolo 2 del trattato istitutivo: rinforzare i rapporti di fratellanza tra gli Stati membri, realizzare il loro progresso e la prosperità, porre in essere una libera circolazione di merci, capitali, persone e servizi alla stessa stregua di quanto era stato creato in Europa, la difesa comune e la non ingerenza negli affari interni degli Stati membri. 655

Ma il grande sogno dei Paesi maghrebini è soprattutto quello di costituire un efficace mercato economico e la realizzazione entro il 2000 di un progetto di libero scambio di tutti i prodotti e servizi generati nel Maghreb.

A partire dal 1990 vengono firmati convenzioni di diverso genere riguardanti l’agricoltura, il commercio, le norme doganali, ma il progetto fatica a decollare.

L’ultimo vertice del Consiglio presidenziale, al quale hanno preso parte tutti i Capi di stato maghrebini, risale al 1991 a Casablanca. In seguito Hassan II e Gheddafi non hanno partecipato ai vertici di Nouakchott del 1993 e di Tunisi nel 1994, riducendo il valore e l’utilità di tali incontri. Il processo di consolidamento dell’Unione si blocca nel dicembre 1995, nel momento in cui l’Algeria chiede al Segretario generale dell’ONU di accellerare il processo referendario nel Sahara occidentale. Le intenzioni dei Paesi dell’U.M.A. sono sempre state ambiziose, ma si sono confrontate con grandi difficoltà, risultati scarsi e insanabili contraddizioni, che non hanno tardato a

654 Tangeri novembre 1964, Tripoli maggio 1965, Algeri febbraio 1966, Tunisi novembre 1967, Rabat luglio 1970, Algeri maggio 1975. F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, p. 21. 655 Traité instituant l'Union du Maghreb Arabe, Marrakech, 17 febbraio 1989, sito web: www.diplomatie.ma. 262 venire a galla. 656

È La mancata soluzione del conflitto del Sahara occidentale che, di fatto, blocca l’integrazione e lo sviluppo del Maghreb. Gli scambi commerciali inter-maghrebini rappresentano il 3,36% del commercio estero di ciascuno dei cinque Paesi dell’U.M.A., molto al di sotto del loro potenziale.

Ciascuno Stato in ambito di politica estera, così come in materia commerciale ha così deciso di muoversi singolarmente e in modo autonomo, aderendo alle più svariate aree di libero scambio e commercio. Dopo la Conferenza di Barcellona del 1995, incentrata sulla costruzione di un partenariato euro-mediterraneo, i diversi Stati hanno sottoscritto accordi di ogni genere senza consultare le istituzioni dell’U.M.A., che fanno dubitare della sua funzionalità e della sua efficacia.657

Nel dicembre del 2003 il settimo summit dell’Unione del Maghreb Arabo convocato ad Algeri, è rimandato di due settimane da Gheddafi, dopo averlo già rimandato una prima volta nel 2002. Il 24 e 25 maggio 2005 il re del Marocco decide di non partecipare al vertice dell’Unione convocato a Tripoli, dopo le dichiarazioni rilasciate nei giorni precedenti dal Presidente algerino sul diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, che sono giudicate da Mohammed VI un’ingerenza negli affari interni del Marocco e non compatibili con lo spirito dell’U.M.A.. Rabat diserta l’incontro (l’ultimo risale al 1994).658

L’organizzazione regionale sembra ormai finita. Con lo stallo del conflitto sahariano il Marocco contribuisce a bloccare ogni progresso nella costruzione del Maghreb economico, per disporre di maggior potere di negoziazione nei confronti delle potenze internazionali. È invece quanto mai necessario superare gli accordi o rapporti bilaterali tra i singoli Paesi del Maghreb e gli Stati membri dell’Unione europea e del Mediterraneo perché indeboliscono la prospettiva di crescita

656 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 5-17. 657 F. Tamburini e M. Vernassa, I Paesi del Grande Maghreb. Storia, Istituzioni e geo-politica di una identità regionale, Pisa, Edizioni plus University Press, 2010, pp. 19-34. 658 "Andrò a Tripoli fedele alle promesse nei confronti del popolo sahrawi che deve ritrovare la liberta e l'indipendenza", ha affermato Bouteflika, ribadendo che Algeri appoggia il piano Baker per un referendum di autodeterminazione della popolazione dell'ex colonia spagnola. Secondo una fonte marocchina che ha preso parte alla riunione dei ministri degli esteri a Tripoli, la delegazione algerina avrebbe proposto di mettere in agenda la questione del Sahara occidentale. Ed è scoppiato l'inferno. Il capo della diplomazia marocchina Mohamad Ben Aissa ha subito commentato che "tali dichiarazioni non aiutano il rilancio dell'Uma", la stampa dei due paesi che aveva rispettato per qualche settimana la tregua si è riscatenata in velenose accuse reciproche, Mohammed VI ha sollecitato invano un passo indietro di Bouteflika e, come peraltro ha fatto in passato suo padre Hassan II, ha detto basta e annunciato la sua defezione che ha portato alla cancellazione del vertice. Proprio come era nell'aria. Si spegne di nuovo dunque il sogno di una struttura su cui costruire un progetto comune, un mercato nordafricano, un interlocutore valido dell'Europa. Sempre che, sottolineano analisti smaliziati, ci sia davvero una volontà in tal senso, capace di superare divergenze di interessi anche economici tra paesi che nonostante le apparenze in comune hanno poco più della lingua, la religione, la vicinanza geografica. Tra loro, ancora una volta, ci sono il petrolio, i fosfati, i diamanti del Sahara occidentale”, Mediterraneo, Marocco, Maghreb: l’Unione non decolla tra scambi di accuse, ANSAmed, 24 maggio 2005. 263 dell’intera regione. Francia, Italia e Spagna, per la loro collocazione geografica e il potenziale economico e politico devono non solo intraprendere iniziative bilaterali, ma proporsi come canale di elaborazione e iniziativa politica europea nella regione mediterranea. 659 L’Istituzione di un Consiglio del Mediterraneo, nella prospettiva di un processo più avanzato della cooperazione economica e politica tra questi Paesi, porterebbe la problematica del Mediterrano al centro delle politiche europee e permetterebbe di fare un passo in avanti rispetto alla ostinata concentrazione sui problemi del Mediterraneo solo in termini di sicurezza, di controllo politico e di terrorismo. E’ più che mai necessario oggi creare contesti e iniziative di collaborazione e di dialogo sociale, condizione indispensabile perché tutti i Paesi e i cittadini della regione mediterranea partecipino all’elaborazione e alla gestione dei programmi di crescita. 660

Per storia, interessi e peso politico, l’Unione europea è la naturale candidata al ruolo di mediatore per la soluzione della questione del Sahara occidentale ma, come è spesso accaduto nella storia comunitaria, le sue potenzialità rimangono ostaggio delle politiche nazionali degli Stati membri, in questo caso particolare di Francia e Spagna.661

Ogni speranza di sicurezza regionale e sviluppo economico della regione del Maghreb non decollerà fino a quando il conflitto del Sahara occidentale resterà irrisolto a tutto vantaggio dei gruppi salafiti e jihadisti che, desiderosi di superare l’identità araba e affermare quella islamica, potrebbero sfruttare l’instabilità e le frustrazioni della popolazione che vive sotto occupazione o nei campi profughi, per affermare una propria visione del Maghreb islamico.

5.16. Gli ultimi avvenimenti

Nel 2011 l’adozione di una nuova Costituzione in Marocco aveva suscitato molte speranze, per ora tutte tradite secondo il rapporto dell’Associazione marocchina dei diritti umani (AMDH) e il rapporto dell’incaricato dell’ONU, Juan Mendez, dopo una settimana di soggiorno in Marocco, con il mandato di “aiutare le autorità del Paese a far rispettare lo Stato di diritto”. Mendez, ex detenuto politico argentino, nella conferenza stampa del 22 settembre 2012, ha definito la situazione allarmante. L’incaricato dell’ONU ha rivelato che in Sahara occidentale, il ricorso alla tortura e alla detenzione arbitraria sono una pratica sistematica nei confronti dei manifestanti anti-governativi e dei nemici della sicurezza nazionale. Juan Mendez, oltre ai colloqui di rito con i responsabili istituzionali e i vertici della direzione penitenziaria - sotto accusa per lo stato calamitoso in cui versano le carceri del Paese (secondo quanto emerso da un recente rapporto parlamentare), ha

659 B. Amoroso, Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, Bari: edizioni Dedalo, 2000, pp. 108-109. 660 B. Amoroso, Europa e Mediterraneo. Le sfide del futuro, Bari: edizioni Dedalo, 2000, p. 145. 661 M. Mondelli, “Rivolta nel deserto”. La questione del Sahara occidentale, ISPI Politicy Brief, numero 26, ottobre 2005, sito web: www.ispionline.it. 264 incontrato - in un clima che non ha esitato a definire "d’intimidazione" per lo stretto controllo a cui è stato sottoposto - le associazioni per la difesa dei diritti umani, i collettivi di ex-prigionieri, le famiglie dei detenuti e i detenuti stessi nei penitenziari di Salé e Meknes, prima di terminare il suo viaggio a El Aioun, capitale del Sahara Occidentale. "Nonostante la situazione abbia subito un miglioramento rispetto ai decenni passati, sono numerosi i casi di lesioni e di violenze di cui sono venuto a conoscenza", ha riferito il rappresentante delle Nazioni Unite, che ha poi menzionato l'impiego di scariche elettriche, bastoni e materiale ustionante, tra i metodi di maltrattamento recensiti. Le vittime degli abusi, stando alle parole dell'inviato e ai dossier a lui rimessi dalle organizzazioni della società civile, sono gli attivisti democratici del Movimento 20 febbraio, i "detenuti islamici" sospettati (e poi generalmente accusati) di terrorismo dopo gli attentati del maggio 2003 a Casablanca e quelli dell'aprile 2011 a Marrakech e gli indipendentisti sahrawi di cui - ha affermato Mendez - "ho ricevuto centinaia di segnalazioni prima e durante la visita a El Aioun". In chiusura della conferenza stampa l'incaricato ONU ha invitato le autorità di Rabat a ratificare "il prima possibile" il protocollo facoltativo alla Convenzione contro la tortura - sottoscritta dal regno alaouita nel 1993 - che bandisce il ricorso al trattamento disumano e degradante delle persone in stato di detenzione. I rappresentanti delle istituzioni marocchine, il portavoce del Consiglio nazionale dei diritti umani (CNDH) - organismo di carattere governativo - presente alla conferenza stampa si è rifiutato di commentare i risultati preliminari esposti da Mendez. Il rapporto completo, comprensivo delle testimonianze integrali raccolte durante la permenenza in Marocco e in Sahara occidentale, è stato presentato a Ginevra al Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani il 4 marzo 2013.662

Il problema dei diritti umani è al centro di numerose visite effettuate da numerose organizzazioni internazionali nel corso del 2012. Nell’agosto 2012 una delegazione della Fondazione Robert Kennedy Center for Justice and Human Rights, composta tra gli altri della Presidente , si è recata in missione nel Sahara occidentale e nei campi di rifugiati di Tindouf in Algeria per verificare la situazione dei diritti umani. Durante la visita a El Aioun, la delegazione è stata controllata dalla polizia marocchina e la maggior parte dei Sahrawi intervistati hanno espresso preoccupazione per le intimidazioni a cui sono stati sottoposti a causa della vasta presenza di polizia e di militari, in uniforme e in borghese, che hanno costantemente sorvegliato la delegazione americana. Nel corso della permanenza in Sahara occidentale, gli osservatori del RFK Center hanno raccolto le testimonianze di molti casi di brutalità contro dimostranti sahrawi nonviolenti da parte delle forze di sicurezza marocchine. La delegazione ha assistito a uno di questi incidenti durante il quale un ufficiale di polizia in uniforme e altri tre individui, identificati dalle organizzazioni della

662 Risoluzione del Consiglio delle Nazioni Unite per i Diritti Umani A/HRC/22/53/Add. 2 del 28 febbraio 2013. 265 società civile come agenti dello Stato, hanno attaccato una donna sahrawi che stava protestando pacificamente. La delegazione ha documentato il verificarsi della violazione, i tentativi da parte delle forze di sicurezza di bloccare la delegazione che documentava l’incidente e l’assalto fisico e verbale subito dalla delegazione per opera delle forze dell’ordine e la superstite che riceveva le cure mediche all’ospedale. Nel tentativo di screditare il report della delegazione sull’incidente, un comunicato stampa ufficiale dello Stato marocchino riportato sui media locali ha riferito di una donna svenuta per strada che si stava autolesionando. Il giorno successivo la delegazione ha mostrato la fotografia della donna picchiata dalla polizia a un rappresentante del Ministero degli Interni, El Arbi Mrabet, il quale ha replicato che la foto non rappresentava una prova evidente, in quanto avrebbe potuto essere stata falsificata. La delegazione del RFK Center è stata inoltre testimone di ripetute brutalità inflitte dalla polizia a un disabile mentale che partecipava alla protesta. La delegazione ha ricevuto informazioni concernenti le negazioni alla libertà di espressione, il diritto di riunirsi e il diritto di associarsi liberamente subite dalla popolazione sahrawi.

Dopo aver visitato i campi profughi sahrawi in Algeria, la delegazione ha espresso preoccupazione per la vulnerabilità di questa popolazione che vive in assoluto isolamento e precarietà da più di quarant’anni, sebbene l’organizzazione e l’amministrazione dei campi abbiano cercato di apportare un senso di stabilità e di normalità.663 Nel settembre 2012 alcuni membri della Leadership Council for Human Rights si sono recati nel territoiro e hanno incontrato interlocutori locali e il

663 Fondazione Robert F. Kennedy Center for Justice and Human Rights (RFK Center), Osservazioni preliminari. La delegazione del Robert F. Kennedy Center in visita nei territori Saharawi occupati dalle autorità marocchine e nei centri di accoglienza per i rifugiati in Algeria, 2012, sito web: www.rfkennedyeurope.org. Le “Osservazioni preliminari sul Sahara occidentale” del RFK Center sono state presentate il 4 febbraio 2013 nella Sala del Mappamondo a Palazzo Montecitorio in Roma. Erano presenti Santiago Canton, direttore del dipartimento di adovocacy del RFK Center e l'Onorevole Carmen Motta, Coordinatrice della Commissione Intergruppo Parlamentare di Amicizia con il Popolo Saharawi e il 28 febbraio 2013 a Bruxelles al Parlamento Europeo. Il 18 aprile 2013 a Washington, DC il RFK Center ha annunciato la pubblicazione del rapporto (scaricabile su www.rfkennedyeurope.org) che analizza in dettaglio le gravi violazioni dei diritti umani contro il popolo Sahrawi nel Sahara occidentale. "Il governo marocchino continua a usare crudeltà e indifferenza ai diritti umani come uno strumento di oppressione contro il popolo Sahrawi, e lo fa con la quasi totale impunità da parte dei tribunali marocchini", ha detto Kerry Kennedy, presidente del RFK Center. "Per più di vent'anni, queste violazioni sono avvenute sotto lo sguardo degli osservatori ONU la cui missione, MINURSO, impediva addirittura di accettare segnalazioni di violazioni. Centinaia di migliaia di vite sono a rischio e non possiamo aspettare più a lungo”. “Le parti in conflitto e gli Stati membri dell'ONU devono lavorare insieme per portare la capacità di controllo dei diritti umani della MINURSO nel 21esimo secolo", ha detto Santiago Canton, direttore del RFK Partners for Human Rights. "Se le Nazioni Unite vogliono rivendicare i diritti umani come un pilastro della loro missione, i membri del Gruppo degli Amici e del Consiglio di Sicurezza devono creare un meccanismo all'interno di MINURSO che sia in grado di accogliere e investigare le denunce individuali come quelle esposte dettagliatamente in questo nuovo resoconto." La settimana scorsa, gli Stati Uniti hanno fatto un passo storico verso la protezione dei diritti umani proponendo una bozza di risoluzione che aggiungerebbe un meccanismo di questo tipo alla missione ONU per il Referendum nel Sahara occidentale (MINURSO) l'ultima missione di pace ONU che è stata creata senza un mandato sui diritti umani, sito web: www.rfkennedyeurope.org. Nel 2008 Aminatou Haidar ha ricevuto il premio RFK Human Rights Awardper la promozione dei diritti civili e politici del popolo Sahrawi del Sahara Occidentale, compreso la libertà di parola e di assemblea e il diritto all’auto- determinazione. 266

Rappresentante speciale delle Nazioni Unite.664

Christopher Ross il 28 novembre 2012 ha esposto al Consiglio di sicurezza665 dell’evolversi del processo di pace in Sahara occidentale, dopo l’adozione dell’ultima risoluzione del 24 aprile 2012 (S/RES/2044). Ross ha riferito della sua missione in Nordafrica realizzata dal 25 ottobre all’11 novembre 2012, in compagnia del Rappresentante speciale, Wolfang Wiesbrod-Weber, e delle consultazioni tenutosi a Madrid e a Parigi sulla via del ritorno, dal 12 al 15 novembre. Obiettivi della missione nella regione erano: compiere una valutazione degli ultimi cinque anni di negoziati, cercando di comprendere le ragioni dell’attuale impasse; individuare eventali modifiche al piano di pace, al fine di facilitarne l’applicazione e valutare le eventuali ripercussioni sul dossier del Sahara occidentale dei recenti avvenimenti nella regione del Sahel, che desta molta preoccupazione.

Oltre a ciò Ross comunica di aver incontrato dirigenti politici e rappresentanti della società civile, e per la prima volta, fatto un’iniziale visita in Sahara occidentale.666 I governi di Marocco, Algeria, Mauritania e Francia, oltre che il Fronte Polisario e la MINURSO hanno collaborato pienamente con l’inviato personale del Segretario generale, al fine di trovare una soluzione politica e uno statuto definitivo al Sahara occidentale.

Durante gli incontri in Marocco, il re Mohammed VI, ha riaffermato la volontà del suo Paese a continuare a collaborare con l’inviato personale, nel quadro della proposta di autonomia per il Sahara occidentale, sotto sovranità marocchina. A Rabat, Ross ha incontrato dei membri del governo, dei parlamentari e dei dirigenti dei partiti politici che si sono dichiarati profondamente delusi dal fatto che cinque anni di negoziazioni diretta non abbiano condotto alla messa in opera della proposta di autonomia del Marocco. Essi hanno espresso la ferma speranza che gli sforzi intrapresi dall’inviato personale per promuovere il rafforzamento delle relazioni bilaterali con

664 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafo 10, pp. 2-3, sito web: www.onu.org. 665 Briefing to the Security Council. Personal Envoy of the Secretary General for Western Sahara, 28 novembre 2012, La Tribune du Sahara, Maghreb & Sahel au jour le jour sito web: www.westernsahara.fr. 666 “La visita, iniziata il 28 ottobre, è stata una svolta. Non solo per il fatto che per la prima volta Christopher Ross ha visitato i territori occupati e quelli liberati (una striscia di terra poco abitata in pieno deserto al confine con la Mauritania, ndr), ma anche per tutte le cose che ha detto e fatto durante e dopo il viaggio”, spiega Omar Mih, rappresentante del Fronte Polisario in Italia. L’inviato delle Nazioni Unite prima visita Rabat, dove incontra re Mohammed VI, il primo ministro e altri rappresentanti politici. Poi parte per i territori occupati e ad El Ayun, la capitale, sceglie di essere ricevuto solo dal responsabile della Minurso (missione delle Nazioni Unite per il referendum nel Sahara Occidentale) e di alloggiare nell’edificio dell’organismo transnazionale. Non alloggia nelle sedi istituzionali del governatorato ma qui convoca i rappresentanti delle varie parti in causa. I primi a essere ricevuti e accompagnati nella sede Onu sono gli attivisti saharawi al-Tamek, Aminatou Haidar, Ibrahim Dahan. L'inviato ascolta le denuncie e le rivendicazioni del loro popolo, prima di incontrare il governatore di El Ayun, le autorità e i rappresentanti politici filo-marocchini. All’esterno, nel frattempo, si assembrano centinaia di manifestanti saharawi che presto vengono aggrediti da poliziotti in borghese sotto gli occhi dello stesso Ross. La visita nel Sahara Occidentale si conclude con un rapido passaggio a Tifariti nei territori liberati, un gesto molto apprezzato dai saharawi perché equivale a un riconoscimento”. Da L. Attanasio, I Sahrawi tornano a sperare, 29 gennaio 2013, in Limes Rivista italiana di geopolitica, sito web: www.temi.repubblica.it/limes/. 267 l’Algeria siano coronati dal successo e permettano anche di migliorare il clima dei negoziati. Ross, dopo aver evidenziato che il suo mandato è e deve essere imparziale e neutrale e aver rilevato che la comunità internazionale resta divisa sul problema del Sahara occidentale ha ricordato che il quadro dei negoziati attuali, regolati dal capitolo VI della Carta delle Nazioni Unite, non permette all’ONU di imporre alcuna soluzione all’una o all’altra parte.667

A Tindouf, il Segretario generale del Fronte Polisario, Mohamed Abdelaziz, ha confermato la volontà del popolo sahrawi di intensificare la collaborazione con le Nazioni Unite, nella speranza che la soluzione del conflitto includa un referendum di autodeterminazione giusto, libero e trasparente. Per quanto concerne la situazione in Mali, Abdelaziz ha sottolineato che il Fronte Polisario ha contrastato in ogni modo possibile il terrorismo e la criminalità e ha assicurato di aver preso tutte le misure necessarie per impedire ogni reclutamento nei campi profughi, pur sottolineando la delusione che i giovani sahrawi manifestano per la mancanza di progressi nei negoziati e la difficile situazione nei campi. L’insoddisfazione dei giovani, ha rimarcato il Segretario generale, può portare facilmente all’esasperazione, rendendoli bersagli potenziali di un reclutamento terrorista e criminale.668

In Algeria, il Presidente Boutaflika ha riaffermato che l’Algeria non è e non sarà mai coinvolta nel conflitto, pur essendo disposta ad accompagnare le parti nel processo di ricerca di una soluzione. I rappresentanti istituzioni algerini hanno attribuito la responsabilità dello stallo alla mancata presa di posizione della comunità internazionale, del Consiglio di sicurezza, del Segretario generale e del suo inviato personale. La stessa posizione è stata sostenuta dai rappresentanti della società civile.669

A Nouakchott, il Primo ministro e il Ministro degli affari esteri hanno confermato la “neutralità positiva” della Mauritania nel conflitto del Sahara occidentale, aggiungendo che il Paese resta disposto a concorrere agli sforzi di mediazione dell’ONU.670

Oltre alle discussioni sul processo di negoziazione riguardante il Sahara occidentale, Ross ha discusso in modo approfondito anche le relazioni bilaterali tra Marocco e Algeria. I due direttivi hanno espresso la loro volontà di superare le divergenze sul Sahara occidentale e di continuare a migliorare le loro relazioni. Su suggerimento dell’Inviato personale delle Nazioni Unite i due Paesi

667 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafi 19 e 20, p. 4, sito web: www.onu.org. 668 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafo 22, p. 5, sito web: www.onu.org. 669 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafo 23, p. 5, sito web: www.onu.org. 670 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafo 24, p. 5, sito web: www.onu.org. 268 hanno cominciato a discutere sul rinforzo di alcune forme di cooperazione bilaterale sui temi della sicurezza, dell’immigrazione illegale e il traffico di droga.671

La nuova strategia di Ross e l'attenzione internazionale sulla regione a seguito dell’attacco in Mali fanno pensare a una possibile, seppur ancora lontana, soluzione del conflitto in Sahara occidentale. Per risolvere la questione, ha sottolineato Ross, è necessario coinvolgere Spagna e Francia e distendere il clima tra Algeria e Marocco.

Per quanto riguarda la Francia, la visita del nuovo Presidente francese in Algeria il 19 e 20 dicembre 2012, ha portato François Hollande e Abdelaziz Boutaflika a discutere della situazione in Mali, ma anche della questione del Sahara occidentale. Nel suo intervento a Tlemcen, Holland ha preso le distanze dalla proposta marocchina di autonomia e ha dichiarato che la Francia è favorevole a tutte le risoluzioni dell’ONU e alla loro applicazione. Una dichiarazione che ha inquietato Rabat, che ha dedicato poco spazio sui media alla visita del Presidente francese in Algeria. Normalmente, la prima visita ufficiale nel Maghreb del neo eletto Presidente francese è in Marocco, ma questa volta Holland ha deciso di privilegiare le relazioni con l’Algeria, uno dei partner economici più importanti di Parigi. Tuttavia, il Primo ministro francese, Jean-Marc Ayrault, in visita in Marocco nei giorni precedenti la visita di Holland in Algeria, ha rassicurato il governo marocchino, che non deve temere nulla dall’intensificarsi del dialogo tra Parigi e Algeri.672

Nella sua relazione Ross, in modo accurato, comunica poi al Consiglio di sicurezza l’esito degli incontri realizzati in Sahara occidentale con Sahrawi pro-indipendentisti e pro-autonomisti, oltre che con le autorità locali, annunciado l’intenzione di ripeterli nel corso del tempo. I Sahrawi a favore dell’indipendenza hanno messo in evidenza le difficili relazioni esistenti tra la popolazione autoctona sahrawi e i residenti marocchini, lo sfruttamento illegale delle risorse naturali del Sahara occidentale e le costanti violazioni dei diritti umani nei loro confronti, da parte delle forze di sicurezza marocchine, che sono state riscontrate anche durante e dopo la visita dell’inviato personale. I Sahrawi a favore dell’autonomia hanno invece sottolineato lo sviluppo complessivo delle città del Sahara sotto l’amministrazione marocchina e i conseguenti vantaggi per la popolazione.

Nel corso della visita ai campi di rifugiati di Tindouf, Ross ha avuto la possibilità di incontrare i membri delle organizzazioni femminili, degli studenti e della gioventù del Polisario. Alcuni dichiarano, che dopo quasi venticinque anni in attesa del referendum, è ormai giunto il tempo di

671 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafo 26 p. 6, sito web: www.onu.org. 672 El presidente francés François Hollande marca su distancia de la posición marroquí, postato il 22 dicembre 2012, sito web: rasdargentina.wordpress.com. 269 ritornare alla lotta armata, altri suggeriscono invece all’ONU di ritirarsi, dopo non essere riuscita a trovare una soluzione al conflitto.

Dopo la visita l’inviato personale ha evidenziato la necessità delle Nazioni Unite di avere a disposizione più risorse, per svolgere appieno le proprie funzioni (attività di sminamento, di uno dei campi minati più grandi al mondo).673

A fronte delle informazioni raccolte durante la sua missione Christopher Ross è giunto a considerare inutile convocare altri incontri tra le parti, senza alcuna prospettiva accettabile. Dopo quattro rounds di negoziati ufficiali e di nove rounds di negoziati informali, organizzare un altro incontro, non farebbe altro che evidenziare l’impasse e far perdere credibilità al processo.

Prima di preparare altre riunioni, formali o informali, l’inviato personale propone di avviare una serie di consultazioni con le controparti e i Paesi vicini, proposta che è stata accettata da tutte le parti coinvolte, che chiedono di rendere visibili gli eventuali avanzamenti del processo. L’attuale situazione di tensione nel Sahel rischia di accrescere l’instabilità e l’insicurezza nella regione e rende la soluzione del conflitto del Sahara occidentale più urgente che mai.674

Dal 28 gennaio al 15 febbraio 2013 Ross ha continuato il suo giro tra i membri del Gruppo di Amici del Sahara occidentale, oltre che fermarsi brevemente in Germania e in Svizzera, allo scopo di costruire un sostegno internazionale dei negoziati.

Il 15 marzo 2013, il Gruppo di Amici del Sahara occidentale ha rilasciato una dichiarazione congiunta, con la quale si esprime il totale sostegno agli sforzi di mediazione intrapresi da Ross, nella speranza di poter porre fine alla situazione di stallo e fare progressi verso una soluzione politica del conflitto. La dichiarazione è pubblicata sul sito della missione degli Stati Uniti alle Nazioni Unite il 19 marzo. Nessuno degli altri componenti del Gruppo di Amici del Sahara occidentale, composto da quattro membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU (Stati Uniti, Regno Unito, Francia e Russia) oltre alla Spagna, potenza amministrativa del territorio, ne fa cenno sul proprio sito.

Nella dichiarazione il Gruppo di Amici accoglie con favore l’intenzione di Ross di realizzare un secondo viaggio nella regione ed esprime totale appoggio al suo operato e a quello del Segretario

673 MINURSO dimensione, sulla composizione e del bilancio. Forza al 31 gennaio 2013: 25 soldati; 175 osservatori militari, 6 di polizia, 95 civili internazionali; 165 civili locali; 16 volontari delle Nazioni Unite. Budget (luglio 2012- giugno 2013): 61,3 milioni dollari. 674 Briefing to the Security Council. Personal Envoy of the Secretary General for Western Sahara, 28 novembre 2012, La Tribune du Sahara, Maghreb & Sahel au jour le jour sito web: www.westernsahara.fr. 270 generale delle Nazioni Unte, nella speranza che al più presto si possa superare la situazione la difficile situazione di stallo e si progredisca verso una soluzione politica del conflitto.675

Questa inusuale dichiarazione, secondo alcuni osservatori, porta a pensare che presto potrebbe accadere qualcosa di importante in Sahara occidentale, esprimere pubblicamente una totale fiducia della seconda amministrazione Obama nell’operato di Christopher Ross è un avvertimento chiaro per la monarchia marocchina affinché faciliti l’operato dell’inviato personale di Ban Ki-Moon e metta da parte ogni attacco nei confronti.676

Per la prima volta da anni, dopo il rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite 2044 (2012), si è fatto qualche passo avanti verso la soluzione. Tuttavia gli osservatori internazionali continuano ad avere difficoltà ad accedere al Sahara occidentale. Verso fine settembre 2012, una delegazione della Commissione africana dei diritti dell’uomo e dei popoli si reca nei campi di rifugiati di Tindouf, ma non ha può recarsi in Sahara occidentale. Il 6 marzo 2013, non è stato consentito l’accesso a El Aioun a quattro membri del Parlamento europeo, che viaggiano a titolo personale in Sahara occidentale, per incontrare alcuni rappresentanti delle organizzazioni di difesa dei diritti umani e alcuni rappresentanti della MINURSO. 677

675 United States Mission to the United Nations, State Joint Statement of the Group of Friends on Western Sahara: The United States, France, , the United Kingdom, and Russia, March 15, 2013, Group of Friends on Western Sahara, New York, NY March 19, 2013, sito web: www.usun.state.gov. Testo in lingua originale: FOR IMMEDIATE RELEASE The Group of Friends on Western Sahara welcomed the announcement of the UN Secretary-General’s Personal Envoy for Western Sahara Christopher Ross’s upcoming trip to the region, including to Western Sahara. They expressed their support for the mediation efforts of the Secretary General and his personal envoy in preparation for the next stage of their engagement with the parties and the neighboring states. The Group of Friends on Western Sahara encouraged the parties to show flexibility in their engagement with the personal envoy and each other, in the hopes of ending the current impasse and achieving progress towards a political solution. 676 Sahara occidental: ¿reactivan los EE.UU. el plan Baker?, 19 marzo 2013, in Desde el Atlántico, sito web: www.blogs.periodistadigital.com. 677 Rapporto del Segretario generale delle Nazioni Unite sulla situazione in Sahara occidentale, S/2013/220 dell’8 aprile 2013, paragrafi 12 e 13, p. 3, sito web: www.onu.org. Marocco: espulsione eurodeputati, Schulz reagisca Intergruppo Sahara Occidentale chiede condanna presidente Parlamenteo europeo. (ANSAmed) - STRASBURGO, 12 marzo 2013 - Che l'espulsione dei 4 eurodeputati da parte del Marocco lo scorso 6 marzo non passi sotto silenzio e venga apertamente condannata. E' questo cio' che chiede al Presidente del Parlamento Ue Martin Schulz l'Intergruppo Sahara Occidentale dell'eurocamera. Il 6 marzo 4 membri dell'Intergruppo, lo sloveno liberale Ivo Vaigl, gli spagnoli Vicent Ramon Garces, S&D, e Willy Meyer, sinistra unitaria, e la popolare svedese Isabella Lovin, venivano espulsi dalle autorita' marocchine all'aeroporto di Casablanca impedendo una visita che doveva portare i 4 nel Sahara occidentale per incontrare rappresentanti della popolazione locale, di organizzazioni internazionali e di Ong. ''Ho interrogato Schulz lunedi' all'inizio della seduta plenaria - ha spiegato oggi a Bruxelles in una conferenza stampa Marco Scurria, Fdi e Ppe - e' un atto grave perche' gli eurodeputati sono stati espulsi e considerati persone non grate, spiacevole che la risposta di Schulz sia stata vedremo, ci aspettavamo parole di condanna per quello che e' accaduto''. Scurria ha proposto l'organizzazione ''di una delegazione officiale con in testa il Presidente del Parlamento per andare a vedere sul campo la situazione'' nel Sahara Occidentale. Secondo Pino Arlacchi, Pd, S&D e vicepresidente dell'Intergruppo Sahara Occidentale, “l'incidente non e' casuale e segnera' un inversione di rotta del Parlamento Ue e spero di tutta la Ue nei confronti del Marocco''. ''Non possiamo considerare - insiste Arlacchi - il Marocco un interlocutore serio e neanche come un paese che vuole modernizzarsi, ma per quello che e': una tirannide medioevale'', 13 marzo 2013, sito web: www.ansamed.ansa.it. 271

L’inviato personale del Segretario generale dell’ONU per il Sahara occidentale Christopher Ross, dal 20 marzo al 3 aprile 2013, ha poi realizzato una nuova visita in Marocco, Sahara occidentale, nei campi di rifugiati sahrawi di Tindouf (Algeria), in Algeria e Mauritania, per preparare il quinto round di negoziati diretti tra Marocco e Fronte Polisario, ipotizzato per la metà del 2013.

Ross sta inoltre valutando l’opportunità di visitare la Libia e la Tunisia, per esplorare un impegno regionale al sostegno al processo negoziale, nonché per discutere delle principali preoccupazioni circa i maggiori rischi di instabilità e di insicurezza nel Sahel.

Una questione fondamentale che il Consiglio di sicurezza si trova a discutere in questo momento la possibilità di estendere il mandato della MINURSO alla tutela dei diritti umani, proposta presentata dagli Stati Uniti. 678 Il cambiamento di atteggiamento statunitense è strettametne legato alla pubblicazione del rapporto sui diritti umani in Sahara occidentale del RFK Center, che ha denunciato gravi violazioni dei diritti umani da parte delle forze di sicurezza marocchina nei confronti dei Sahrawi, dando la possibiità a John Kerry, nuovo Segretario di Stato americano, di poter conoscere la situazione e assumere una posizione critica nei confronti dell’occupazione marocchina, più di quanto avesse osato il suo predecessore, . 679

Anche il Parlamento europeo esprime preoccupazione e chiede la protezione dei diritti umani in Sahara occidentale, oltre a riaffermare il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi, con la risoluzione del 7 febbraio 2013 sulla ventiduesima sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani.680

Il 12 aprile 2013 in un comunicato stampa il Robert F. Kennedy Center plaude alla bozza di risoluzione statunitense, considerata una proposta innovativa da parte degli USA dopo decenni di silenzio da parte della comunità internazionale sulla violazione dei diritti umani in Sahara occidentale. “Negli ultimi decenni, quella in Sahara occidentale è l’unica missione di peace-keeping ONU progettata senza il mandato di investigare e riferire sulle violazioni dei diritti umani - ha detto

678 Security Council Report, April 2013, Monthly Forecast, 28 marzo 2013, sito web: www.securitycouncilreport.org. 679 La ONU no vigilará los derechos humanos en Sáhara occidental, 24 aprile, sito web: www.afrol.com. 680 Il Parlamento europeo “esprime la propria preoccupazione per l'incessante violazione dei diritti umani nel Sahara occidentale; chiede la tutela dei diritti fondamentali della popolazione del Sahara occidentale, in particolare della libertà di associazione, di espressione e del diritto a manifestare; chiede il rilascio di tutti i prigionieri politici sahraui; si compiace della nomina di un inviato speciale per la regione del Sahel e sottolinea l'esigenza di un monitoraggio internazionale della situazione dei diritti umani nel Sahara occidentale; appoggia una soluzione equa e duratura del conflitto basata sul diritto del popolo sahraui all'autodeterminazione, in conformità delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite”. Risoluzione del Parlamento europeo del 7 febbraio 2013 sulla ventiduesima sessione del Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani (2013/2533 (RSP)), paragrafo 21, sito web: http://www.europarl.europa.eu. 272

Kerry Kennedy, Presidente dell'RFK Center - questa risoluzione del governo degli Stati Uniti permetterebbe di riparare a questa ingiustizia e di proteggere centinaia di migliaia di vite".681

Il 19 aprile 2013, il Dipartimento di stato americano pubblica un dossier sulla situazione di diritti umani in Sahara occidentale,682 a sostegno del progetto di risoluzione. Il progetto però è presto abbandonato in seguito alla forte opposizione della diplomazia marocchina (è bene ricordare che nel biennio 2012-2013 il Marocco è membro non permanente del Consiglio di sicurezza dell’ONU), sostenuta da Francia e Spagna, all’interno del Gruppo di Amici del Sahara occidentale, che ogni anno prepara il testo della risoluzione da presentare per il voto al Consiglio di sicurezza dell’ONU.683

La risoluzione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite 2099 (2013), votata all’unanimità il 25 aprile 2013, proroga il mandato della MINURSO al 30 aprile 2014, incoraggia il Marocco a rispettare i diritti umani in Sahara occidentale, ma senza incaricare la MINURSO di monitorare i diritti umani, come richiesto da Washington. E’ importante ricordare che la MINURSO è una delle poche missioni ONU nel mondo che non ha uno specifico mandato sui diritti umani.

La stampa marocchina parla di vittoria diplomatica del Marocco, anche se molti analisti sottolineano che la “sconfitta” degli Stati Uniti potrebbe costare cara alla monarchia marocchina, che in questo modo spinge gli Americani nelle braccia del suo peggior nemico, l’Algeria. Ciò che è certo è che gli USA continueranno a monitorare la situazione dei diritti umani in Sahara occidentale e a presentare il progetto di ampliamento del mandato della MINURSO, già il prossimo anno. E’ solo una questione di tempo, afferma il Rappresentante del Fronte Polisario alle Nazioni Unite Buhari Ahmed, ciò che è importante è che gli Stati Uniti oggi sostengono la lotta per la libertà del Sahara occidentale occupato.

681 News, Gli Stati Uniti annunciano un'innovativa bozza di risoluzione sui diritti umani in Sahara Occidentale, 12 aprile 2013, web site: www.rfkennedyeurope.org. 682 Country Reports on Human Rights Practices for 2012 United States Department of State • Bureau of Democracy, Human Rights an Labor, Western Sahara 2012 Human Rights report, sito web: www.state.gov. 683 Lakome, Sahara/Minurso: l’abandon du projet US confirmé par de diplomates (), 23 aprile 2013, sito web: www.fr.lakome.com.

273

Capitolo 6. Al di qua e al di là del muro

6.1. La nascita di una Repubblica: la R.A.S.D. (Repubblica Araba Sahrawi Democratica)

Dopo l’uscita degli Spagnoli dal Sahara, il Fronte Polisario prese importanti iniziative politiche, per rispondere all’occupazione del territorio da parte del Marocco e della Mauritania.

L’esodo della popolazione sahrawi che fuggiva dai bombardamenti marocchini iniziò nel dicembre del 1975. Tanti osservatori stranieri e giornalisti parlarono in quel periodo dei Sahrawi come dei “Palestinesi del Maghreb”, per le analogie evidenti. Se nel 1976 i Sahrawi si mostrarono disorganizzati di fronte all’attacco delle truppe marocchine, qualche anno più tardi queste folle, perse e disordinate, diventarono un popolo e uno Stato, uno Stato in esilio, ma uno Stato organizzato, costruito sulla base della coesione nazionale, dell’unità e del sentimento comunitario.

Il 27 febbraio 1976, a Bir Lahlou, fu proclamata la Repubblica Araba Sahrawi Democratica e nell’agosto del 1976, nel corso del terzo congresso del Fronte Polisario, fu approvata la prima Costituzione del nuovo Stato e definito un programma politico d’indirizzo.

Il Fronte Polisario cercò, sin dai primi mesi del 1976, di dimostrare di avere le capacità necessarie per gestire uno Stato sahrawi, che potesse prendersi carico dell’avvenire del suo popolo, rappresentare un elemento di stabilità nel Maghreb ed essere un interlocutore valido del Marocco. Nelle intenzioni della dirigenza sahrawi, la nascita di uno Stato poteva rassicurare le istanze internazionali, ai fini della costruzione di possibili alleanze e progettualità politiche, nell’ottica di una convivenza internazionale e del rispetto altrui, basato su relazioni amichevoli basate sull’amicizia e sulla cooperazione.

Il cammino da percorrere per raggiungere l’indipendenza era lontano dall’essere raggiunto. Il Fronte si rese immediatamente conto della necessità di affermare la R.A.S.D. a livello internazionale. Proprio per dimostrare la propria disponibilità alla trattativa, i Sahrawi cercarono di ottenere il maggior numero di riconoscimenti possibili.

Oggi la R.A.S.D. è membro dell’OUA ed è riconosciuta da più di 80 Stati, ma non è però in possesso della piena soggettività giuridica, garantita ai membri della comunità degli Stati. Il governo della R.A.S.D. manca del requisito fondamentale, quello dell’effettivo esercizio del potere su una comunità territoriale. Non c’è dubbio che eserciti l’autorità sulla popolazione che vive nei campi profughi in Algeria e nei territori liberati del Sahara occidentale, ma si tratta di una capacità giuridica limitata e dipendente dal benestare del Paese ospitante. La R.A.S.D. secondo la dottrina

274 internazionale non ha alcun valore giuridico, lo status di governo in esilio impedisce le normali funzioni governative, ma senz’altro possiede un valore politico e simbolico importanti: incarna le legittime aspirazioni del popolo sahrawi, sotto la guida del Fronte Polisario.

La prima Costituzione della R.A.S.D., approvata nel 1976, incentrata sul concetto di popolo (chaab) nel preambolo recitava: “la R.A.S.D. è il frutto dell’eroica lotta del popolo sahrawi per salvaguardare la sua indipendenza e il suo territorio nazionale (…) la ricerca dell’unità dei popoli del Maghreb arabo è una tappa verso l’unità araba e africana. La difesa della Patria e della libertà sono un dovere sacro” (art. 4 cap. II). Le finalità ideali espresse dalla Costituzione ritornarono quando il popolo sahrawi decise di affrontare una nuova tappa: “fondare le istituzioni fondamentali scaturite dalla legalità rivoluzionaria, essenziali a garantire il successo nella lotta in corso per la libertà e a esercitare democraticamente il potere”.

Dalla proclamazione a oggi, sono state diverse le modifiche costituzionali che hanno trasformato la Repubblica. La Costituzione più recente, adottata nel 10° Congresso nazionale del Fronte Polisario (tenutosi dal 26 agosto al 4 settembre1999), definiva una divisione dei poteri, con l’intento di distinguere le strutture della Repubblica da quelle del Polisario.684

La Costituzione affida il potere esecutivo è affidato al Segretario generale del Fronte Polisario che è anche Capo dello Stato. Egli coordina la politica generale e veglia sul rispetto della Costituzione, nomina il Primo ministro e presiede il Consiglio dei ministri, firma le leggi che sono state approvate dal Consiglio nazionale. Il Governo è responsabile dell’esecuzione dei programmi, delle leggi e dei regolamenti (articoli da 51 a 71).

Il potere legislativo e consultativo è affidato al Consiglio Nazionale Sahrawi che controlla le istituzioni, prepara e vota le leggi, approva il programma e il budget del governo, ratifica le convenzioni e i trattati internazionali. Attualmente, il Consiglio nazionale è composto da 51 membri, 21 membri del Segretariato del Fronte Polisario e 20 eletti nei congressi popolari di base. Il Consiglio nazionale deve essere eletto entro 45 giorni dalla chiusura dal Congresso Nazionale. I membri del Consiglio sono eletti a suffragio diretto e segreto, la loro funzione è nazionale, rinnovabile e incompatibile con altri incarichi (articoli da 72 a 110).

Il potere giudiziario è indipendente e agisce nel rispetto del diritto. L’organizzazione giudiziaria prevede un Consiglio superiore di giustizia presieduto dal Presidente della Corte suprema e da giudici, che rimane in carica quattro anni rinnovabili (articoli da 111 a 125).

684 Dopo la nascita della RASD, gli organi del Fronte Polisario tendono a confondersi con quelli della nuova repubblica, sia nella funzione, che nella composizione, tanto da parlare di “partito-Stato”.

275

Conversazione con Khatri Addou, Presidente del Parlamento Sahrawi e membro del Segretariato del Fronte Polisario:

“La storia del Parlamento sahrawi non è molto lunga. E’ solo negli anni Settanta che il popolo sahrawi prende coscienza della propria situazione e si organizza in un movimento di liberazione. Dopo l’aggressione marocchina, che ci ha costretto all’esilio forzato, ci siamo trasformati in uno Stato. La R.A.S.D., appena proclamata, doveva salvaguardare la popolazione fuggita dal Sahara occidentale e garantire una vita che potesse definirsi degna, nonostante il contesto. Dopo aver superato i primi difficili momenti abbiamo deciso di non restare immobili in attesa che altri decidessero per noi, ma dovevamo costruire il nostro futuro. Il Polisario ha costruito un suo progetto politico e sociale, al di là della questione dell’indipendenza, che rimane l’obiettivo principale. Per gettare le basi del futuro Stato democratico sahrawi abbiamo cominciato a investire sui giovani e nella loro formazione, a costruire e consolidare nuove istituzioni, non da soli, ma con il sostegno dei tanti amici, che ci hanno aiutato in questi anni. Questi ultimi 37 anni sono stati duri, ma ci hanno permesso di costruire una nostra esperienza politica e amministrativa, forse se non ci fossimo trovati in questa situazione, costretti a costruire uno Stato dal nulla, non avremmo potuto sperimentarci. Abbiamo bisogno della nostra indipendenza, abbiamo costruito un nostro modello di democrazia sahrawi, non perfetto, ma che stiamo cercando di migliorare, basato sulla separazione dei poteri. Purtroppo non possiamo contare sulle risorse del nostro Paese (il Sahara occidentale), ma il Parlamento controlla la gestione delle risorse da parte del Governo, anche se abbiamo una sola bottiglia d’acqua, dobbiamo valutare come usarla. In alcuni momenti, di fronte ad alcuni problemi abbiamo tolto la nostra fiducia al Governo. In questo momento è stata aperta una sessione parlamentare che sta valutando il programma realizzato dal governo nel 2012. Sono attive sei Commissioni permanenti, e stiamo pensando di costituirne un’altra, la settima. Nella Commissione esteri si sta valutando il lavoro delle rappresentanze diplomatiche e si sta pensando ad alcune proposte da fare per implementare la loro attività. In ogni wilaya c’è una rappresentanza del Parlamento che controlla, discute e presenta mozioni al governo. Da alcuni anni abbiamo relazioni con altri Parlamenti dell’Africa, dell’America latina, è mio desiderio che queste si possano intensificare per scambiare le nostre esperienze, per confrontarci sul funzionamento delle istituzioni, per crescere, migliorare e arricchire la nostra esperienza politica. Recentemente un gruppo di parlamentari sahrawi ha fatto un breve stage al Parlamento algerino. Mi piacerebbe invitare dei parlamentari di altri Paesi a fare conferenze ai nostri parlamentari. In questo momento non ci sono rapporti diretti con il Parlamento italiano. Il Parlamento sahrawi rimane in carica da due a quattro anni, è composto da 51 membri, oggi il 22% dei parlamentari è composto da donne, il 70% ha meno di 40 anni, il 15% è laureato. La Costituzione sahrawi è stata discussa e adottata dal Consiglio Nazionale, normalmente doveva essere approvata attraverso un referendum, ma a causa dell’occupazione la popolazione è divisa ed è quindi impossibile organizzare una consultazione referendaria. E’ difficile avere parlamentari sahrawi dai territori occupati, perché è difficile garantire la loro incolumità e noi non vogliamo

276 dare al Marocco nessun pretesto. Una delle commissioni parlamentari segue la lotta e la vita dei Sahrawi che vivono nei territori occupati e ha contatti permanenti con loro. È un’esperienza quella che stiamo facendo, è la nostra esperienza, con tutte le sue criticità e sue difficoltà. Noi guardiamo oltre, al futuro. Stiamo educando la nostra gente a un’esperienza democratica”. 6.2. Le istituzioni della R.A.S.D.

La proclamazione della RASD non è solo un atto giuridico, ma anche un gesto di grande valore simbolico che avvia una nuova era per la popolazione sahrawi, fuggita dal Sahara occidentale.

Per permettere la sua sopravvivenza e per continuare la lotta era essenziale organizzare la popolazione, sia dal punto di vista politico che amministrativo. Il compito del Polisario nel corso del suo 3° Congresso nazionale fu quello di definire un dettagliato programma politico e dotarsi di una Costituzione capace di assicurare l’inquadramento e l’amministrazione dei campi di rifugiati.

Come ho già avuto modo di evidenziare in precedenza, l’inizio del conflitto con il Marocco sicuramente favorì la nascita di una coscienza nazionale che portò i Sahrawi, seppur con origini sociali e tribali differenti, a insediarsi nei campi di rifugiati o a unirsi alle unità di guerriglia, con il comune obiettivo di lottare per la libertà, rafforzando il loro senso di orgoglio e di unità nazionale. Per di più, il forte legame esistente tra i Sahrawi residenti all’interno e all’esterno del Sahara prima del 1975, spinse migliaia di Sahrawi residenti nel sud del Marocco, nel nord della Mauritania e nel sud-ovest dell’Algeria a concentrarsi nei campi del Fronte Polisario nella regione di Tindouf, in Algeria. Questa era una delle ragioni per le quali il numero dei Sahrawi nei campi profughi era di gran lunga superiore al numero di Sahrawi censiti dalle autorità spagnole, nell’autunno del 1974. Un’altra ragione dell’elevato numero di profughi era l’elevato tasso di natalità, favorito dal Fronte Polisario, che spinse i giovani a sposarsi e a procreare per controbilanciare le perdite dovute alla guerra. Secondo il presidente della Croce Rossa algerina nel 1986, il numero dei rifugiati nei campi di Tindouf era di circa 165.000 persone.685

6.3. I campi di rifugiati sahrawi

I campi di rifugiati occupano circa 200 kmq e si trovano in una zona situata a sud-est di Tindouf in Algeria, in una zona arida e senza vegetazione del deserto dell’Hammada. Tindouf è una cittadina algerina di circa 13.000 abitanti, sede di basi militari. La zona scelta per l’insediamento dei campi profughi è collocata a una ventina di chilometri a ovest di Tindouf, dove un pozzo e un serbatoio d’acqua alimentano la città. Tale località, nota come Hassi Robinet, è l’attuale Rabouni, oggi sede del Governo della R.A.S.D..

685 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris: L’Harmattan, 1987, pp. 443 - 444. 277

I diversi campi si trovano distanti tra loro per garantire la sicurezza dei suoi abitanti, in caso di attacco militare e per evitare il propagarsi di epidemie. La maggior parte dei rifugiati appartiene alle tribù degli Erguibat e degli Ulad Delim, i più guerrieri e indipendentisti del Sahara occidentale, che formano il nucleo principale del Fronte Polisario. I campi sahrawi sono stati organizzati non su base tribale a secondo il principio di uguaglianza. L’esilio ha, infatti, distrutto le strutture tribali, che sono state sostituite da una nuova organizzazione basata su coscienza politica, senso di responsabilità e interesse generale.

Tra gli obiettivi della R.A.S.D. c’è senza dubbio quello di sostenere la società civile e l’organizzare del popolo sahrawi, in vista dei compiti che dovrà affrontare, una volta rientrato nel territorio nazionale e ottenuta l’indipendenza.

A marzo 1976 i campi riuniscono circa 45.000 persone, di cui l’80% sono donne, bambini e anziani.686 Gli uomini si trovano al fronte. I rifugiati non cessano di arrivare: nel giugno 1976 sono 70.000, agli inizi del 1979 sono 110.000.687

Le donne come gli uomini hanno avuto e hanno tuttora un ruolo importante nella lotta di liberazione nazionale. Nel corso del 4° Congresso, il Fronte Polisario sostiene i diritti politici e sociali delle donne e la loro partecipazione alla costruzione nazionale e a questo scopo istituisce un movimento femminile molto attivo, l’Unione Nazionale delle Donne Sahrawi (U.N.M.S.). Mentre gli uomini sono al fronte, l’amministrazione dei campi profughi è affidata alle donne, anche se molte sono arruolate nelle milizie dei campi.

I campi di rifugiati sono suddivisi in daira (comuni) raggruppate in wilaya (regioni), che hanno i nomi delle principali città del Sahara occidentale, per conservare uno stretto legame con la patria occupata. Le regioni sono ora cinque: Smara, El Aioun, Auserd, la lontana Dakla e l’ultima nata Bojador.688 Ciascuna wilaya è composta di un numero di comuni che varia da tre a sette.

Tutti gli anni, in ogni daira si riunisce un congresso di base per eleggere un Consiglio popolare, incaricato dell’amministrazione del comune. Anche ogni wilaya ha un Consiglio, anch’esso responsabile della sua amministrazione, presieduto da un governatore (wali) e che comprende tutti i

686 Prima dell’inizio del conflitto risiedevano nell’area di Tindouf circa 5.000 rifugiati sahrawi fuggiti dalla repressione spagnola. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, nota 36, p. 211. 687 Un rapporto della Croce Rossa Sahrawi alla Commissione dei diritti umani dell’ONU comunica che nel febbraio del 1978 sono presenti nei campi di Tindouf circa 120.000 rifugiati. Estratto del rapporto della Croce Rossa Sahrawi alla Commissione dei diritti umani dell’ONU (febbraio 1978), in Annuaire de l’Afrique du Nord 17, 1978, pp. 845-846. 688 Fino a pochi anni fa era una pista desertica che permetteva di arrivare a Dakla che dista da Rabouni circa 150 km. Recentemente l’Algeria ha realizzato una strada asfaltata che permettere di raggiungerla più agevolmente. Negli ultimi anni l’Algeria ha investito molto nella costruzione di infrastrutture nella regione di Tindouf (abitazioni, vie di comunicazione, strutture pubbliche, università). Bojdour è stata costituita dal Governo sahrawi nel settembre 2012 e include la scuola delle donne 27 febbraio. Vedi paragrafo 6.4. Le donne sahrawi, p. 289. 278 presidenti delle daire e i direttori dei diversi dipartimenti (salute, educazione, artigianato, trasporti e approvvigionamento), ciascuno dei quali fa riferimento ai rispettivi Ministeri. In ogni daira e wilaya c’è anche un dipartimento di orientamento politico.

Il wali ha un ruolo essenziale a livello politico e amministrativo perché nella wilaya rappresenta il Fronte Polisario e il governo della R.A.S.D.. I Congressi popolari di base eleggono i rappresentanti al Congresso generale, che dal 1978, si riunisce ogni quattro anni. Questo Congresso definisce l’orientamento politico del Segretariato del Fronte Polisario689 e del Governo.

Quest’organizzazione sembra funzionare perfettamente. I campi di rifugiati di Tindouf sono l’unica comunità di rifugiati al mondo ad essere interamente amministrata dai suoi abitanti, tanto da essere considerata dalle organizzazioni umanitarie internazionali un esempio, per l’efficienza e lo spirito di indipendenza, nonostante la totale dipendenza dagli aiuti umanitari e quindi dai donatori esterni.

“La wilaya di Smara è la più grande e la più popolata dei campi profughi. L’8 gennaio 2013 sarà trascorso un anno dalla mia nomina a governatore. Gli obiettivi che mi ero dato in quest’anno riguardavano tre punti: la sicurezza, l’acqua e l’ambiente.

Per quanto riguarda la sicurezza, sono state costruite delle barriere di sicurezza intorno alla wilaya con tre ingressi aperti e sorvegliati 24 ore su 24. I controlli verificano tutti coloro che entrano ed escono dalla wilaya sia in regola.

Per quanto riguarda l’acqua, ogni giorno per tre mesi ho incontrato i miei collaboratori per cercare di risolvere il problema dell’acqua e il suo approvvigionamento. Nessuno dei miei collaboratori ha lasciato i campi nel corso dell’estate 2012, restando qui hanno capito in prima persona cosa significhi avere poca acqua nel periodo più caldo dell’anno.

Infine i rifiuti. La wilaya ha ripulito dai rifiuti accumulati negli anni, la zona intorno alla wilaya.

L’8 gennaio 2013 incontrerò i cittadini e le autorità per fare il punto della situazione dopo un anno di lavoro. I cittadini mi chiedono di risolvere i loro problemi quotidiani, chiedono risposte ai loro bisogni, non vogliono solo sentire parlare di politica e di referendum, la politica deve essere attenta alle esigenze dei cittadini e alle loro esigenze, ma per fare questo abbiamo bisogno di tempo e di risorse. Le persone devono fare proprio il principio di cittadinanza, non siamo più nomadi e

689 Il Segretariato del Fronte Polisario è composto oggi da 50 membri, 29 sono eletti nel Congresso, dai quattro segretari delle organizzazioni di massa (UNFS, UJSARIO, UGTSARIO, Unione degli Studenti Sahrawi), il Segretario generale e 16 membri dei territori occupati del Sahara occidentale. Il XIII Congresso Nazionale del Fronte Polisario “Uno stato sahrawi indipendente è la soluzione” si è celebrato dal 15 al 22 dicembre 2011 nei territori liberati a Tifariti. La commissione elettorale ha annunciato i risultati finali delle elezioni dei membri del Segretariato Nazionale: votanti 1.778 su 2.095 presenti, i voti validi sono 1.681, le schede bianche 23, voti nulli 73. Ecco la lista degli eletti: Hamma Salama, Mhamed Jadad, Brahim Gali, Jadiya Hamdi, Ahmed Bujari, Mohamed Lamin Buhali, Hammma Malu, Jalil Sid Mhamed, Jatri Addouh, Mohamed Salem Ould Salek, Hamdi Mayara Bagai, Abdelkader Taleb Omar, Mohamed Lamin Ahmed, Mohamed Sidati, Brahim Ahmed Mahmud, Abdallahi Lahbib Balal, Salem Labsir, Mohamed Yeslem Beisat, Mansur Omar, Yusuf Ahmed Salem, Mariam Salek Ahmada, Buchraya Hamudi Bayún, Bachir Mustafa Sayad, Taleb Ammi Deh, Salek Baba Hassanna, Adda Brahim Ahmaiam, Mohamed Ali Sid Mustafa Bachir, Jira Balahi, Al Azza Babih. SPS, Il Fronte Polisario elegge i membri del suo Segretariato Nazionale, 26 dicembre 2011, sito web: www.spsrasd.info. 279 ciascuno deve essere responsabile. Alcune famiglie pensano di costruire una casa e decidono dove, senza tenere conto che esiste un piano regolatore e la necessità di mantenere libere le vie di comunicazione. Prima di chiedere ai cittadini di rispettare le regole è necessario condividerle.

Ho bisogno di architetti ed esperti di urbanistica. Chiederò ai cittadini della wilaya di piantare una pianta. Penso che presto raggiungeremo l’indipendenza, ma ho la responsabilità di lasciare pulito questo posto.

In questo momento, quattro sono gli obiettivi che vorrei raggiungere: risolvere il problema dello smaltimento delle pelli di animali (90 tonnellate); progettare e costruire un mattatoio; costruire una stazione per il trasporto pubblico; fare manutenzione delle strutture esistenti”.

Conversazione con Adda Brahim Hmeim, Governatore di Smara, gennaio 2013, Smara, campi di rifugiati in Algeria.

I costi più pesanti del conflitto in Sahara occidentale sono quelli umani, che si riflettono nelle tragiche condizioni di vita della popolazione sahrawi.690 In particolare i profughi vivono in una difficile situazione alimentare e sanitaria. Nella primavera del 1976 scoppiò un’epidemia di morbillo che uccise un migliaio di bambini. All’epoca nei campi c’era un solo medico per tutti i rifugiati. Soltanto nel luglio del 1976 Medici senza Frontiere inviarono una commissione medica e arrivò una prima équipe di medici cubani.691

Nei campi si sopravvive grazie agli aiuti internazionali provenienti in particolare dall’Algeria e da alcune organizzazioni umanitarie. La FAO, che nel gennaio del 1977 dona 942.000 dollari al PAM (Programma Alimentare Mondiale); l’Alto Commissariato per i Rifugiati (ACNUR) che dopo aver visitato Tindouf, il 12 gennaio 1977 lancia un appello internazionale per raccogliere 13 milioni di dollari al fine di coprire i bisogni di 50.000 persone per un anno.

Ogni wilaya coltiva un piccolo orto di superficie variabile, tra i 5 e i 15 ettari, nonostante il clima e le difficoltà soprattutto legate al vento e alla sabbia, che copre periodicamente i raccolti. Si coltivano soprattutto ortaggi: carote, cipolla, pomodori che sono distribuiti alle scuole, agli ospedali, ai dispensari per soddisfare le esigenze della popolazione più debole e colpita dalla malnutrizione. Si allevano polli, per ricavarne carne e uova, e cammelli che permettono la ripartizione di carne e latte agli ospedali e alle scuole.

Nonostante la buona organizzazione dei campi, evidenziata da tutti gli osservatori internazionali e in gran parte dovuta alla Mezza Luna Rossa Sahrawi (oggi Croce Rossa Sahrawi) che si è costituita

690 International Crisis Group, “Western Sahara: the cost of the conflict”, / Report N°65 – 11 June 2007. 691 A tutt’oggi tutto il personale sanitario dei campi profughi è Sahrawi. Le uniche eccezioni sono la presenza permanente dell’equipe medica cubana e la presenza periodica di commissioni mediche, in particolare spagnole, che realizzano nei campi interventi chirurgici e visite specialistiche. M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 211. 280 sin dai primi anni di esilio, per far fronte ai problemi fondamentali della popolazione rifugiata, le condizioni di vita delle famiglie rimangono molto difficili. Le tende sono poche, mancano abiti per proteggersi dal freddo, l’acqua è scarsa, la malnutrizione è diffusa con conseguenze gravi sulla salute, soprattutto nei bambini e nelle donne in stato di gravidanza. Un’altra complicazione nel campo nutrizionale rilevata negli ultimi anni è una percentuale molto alta di persone celiache, cioè positive agli anticorpi anti-endomisio. Si tratta di una malattia infiammatoria dell’intestino tenue causata dalla presenza di glutine nella farina di grano in individui con predisposizione genetica.

Nonostante le epidemie siano tenute sotto controllo, le malattie sono frequenti e la mortalità infantile molto elevata. Tanti sono gli sforzi per migliorare la salute ai campi, compreso quello di effetturare campagne di vaccinazioni per contrastare le epidemie, che hanno colpito la popolazione rifugiata all’inizio della guerra. Ogni daira ha un piccolo dispensario, ogni wilaya un ospedale con personale paramedico, ma spesso mancano il materiale e i farmaci. Le principali patologie sono la bronchite d’inverno e le infezioni intestinali d’estate. Nel 1977 viene costruito un grande ospedale nazionale a Rabouni, con più di 100 letti. E’ necessario sottolineare che molti problemi sanitari sono strettamente legali alla frustrazione legata al perdurare dell’esilio e alla mancata soluzione del conflitto.

Il piano strategico della salute pubblica della R.A.S.D. 2011-2015, elaborato dal Ministero della salute pubblica, oltre a ribadire che il sistema sanitario sahrawi è pubblico e gratuito, indica i settori prioritari nei quali concentrare gli sforzi in ambito sanitario: sicurezza alimentare, qualità e consumo dell’acqua, materno-infantile, vaccinazioni, raccolta dei rifiuti, formazione del personale sanitario a var livelli, rafforzamento istituzionale, formazione quadri intermedi con responsabilità direttiva, incentivi al personale sanitario.

Per quanto riguarda il settore educativo e la scuola, uno dei più curati, possiamo dire che nel tempo sono stati raggiunti importanti risultati. Nonostante le difficoltà iniziali per la mancanza di insegnanti e di materiale didattico ogni daira ha organizzato una scuola primaria.

Nel 1978 vengono costruiti tre grandi collegi con numerose classi, refettori, dormitori, un dispensario e un teatro: la “Scuola 9 giugno” (anniversario della morte di El Ouali), che all’epoca accoglieva circa 2000 ragazzi e ragazze dai 6 ai 12 anni; 692 la “Scuola 12 ottobre” (giornata dell’unità nazionale) che assicura l’insegnamento primario e secondario a circa 1500 allievi (di cui un quarto ragazze) dai 12 ai 18 anni, la “Scuola 27 febbraio” (anniversario della proclamazione

692 La “Scuola 9 giugno” è stata fortemente danneggiata dall’alluvione che ha colpito i campi di rifugiati sahrawi nel febbraio 2006. Dopo la ristrutturazione, attualmente è sede del Parlamento sahrawi. 281 della RASD), riservata alla formazione scolastica e professionale delle donne e delle giovani ragazze.

A partire dal 1984 vengono aperte scuole per i bambini da 3 a 6 anni in ogni wilaya, per preparli alla scuola più efficacemente di quanto potesse fare il tradizionale insegnamento coranico dei marabutti. Nel 1987 quasi il 100% dei bambini dai 6 ai 12 anni è scolarizzata. Le classi sono miste. Gli insegnanti sono tutti Sahrawi e i programmi sono fissati a livello nazionale per tutte le scuole di ogni ordine e grado.

Nei campi profughi mancano le scuole superiori e le università. Il Fronte Polisario, attraverso un’intensa attività diplomatica con diversi Paesi, garantisce a tutti di poter continuare gli studi all’estero.693 Numerosi giovani studiano poi in Algeria e in Libia che accolgono rispettivamente 1500 e 2000 allievi già negli anni Ottanta, altri giovani si formano invece a Cuba, dove studiano soprattutto medicina e infermieristica.694

Secondo le stime del Fronte Polisario vivono ora nei campi della regione algerina circa 155.000 rifugiati, che aumentano notevolmente d’estate quando rientrano ai campi tutti gli studenti per le vacanze estive. Recentemente, a seguito della crisi internazionale, molti Sahrawi, emigrati negli ultimi anni in Spagna o in altri Paesi europei, stanno rientrando ai campi per mancanza di lavoro. Come ho già in precedenza sottolineato i profughi sahrawi dipendono nella quasi totalità dagli aiuti internazionali, che negli ultimi anni, oltre ad essere divenuti sempre più irregolari, si sono pesantemente ridotti, obbligando il Ministero della cooperazione e la Mezza Luna Rossa Sahrawi a intaccare gli stock di emergenza e ad affrontare gravi periodi di crisi alimentare e logistica. Già nel 2001, l’Alto Commissariato per i Rifugiati e il PAM hanno fatto appello alla comunità internazionale, per chiedere più fondi provvedere adeguatamente ai bisogni alimentari ai 155.000 rifugiati. Nel corso della 1^ conferenza europea delle città gemellate e solidali con il popolo sahrawi tenutasi in Toscana dal 28 al 30 settembre 2001, il gruppo di lavoro sugli aiuti alimentari denuncia, nella sua risoluzione, questa preoccupante discontinuità e inadempienza delle Nazioni Unite che “lascia supporre una strumentalizzazione dell’aiuto umanitario per esercitare pressioni sulla popolazione al fine di accettare soluzioni politiche riguardanti il processo di pace”.

693 Avendo mantenuto nelle scuole oltre all’insegnamento dell’arabo anche dello spagnolo (lingua facente parte del patrimonio sahrawi sepppur sotto il colonializmo) gli studenti che si recano all’estero a studiare sono indirizzati soprattutto verso Paesi ispanofoni, in particolare verso Spagna e Cuba, dove per decenni sono stati formati i quadri sanitari e educativi. 694 Dopo la caduta del regime di Gheddafi, gli studenti sahrawi non sono ancora rientrati in Libia a causa dell’instabilità politica del Paese. Dal 2011 il governo di Cuba, a causa della crisi economica, ha ridotto notevolmente il numero di studenti sahrawi accolti per frequentare scuole superiori e università. Il governo algerino ha invece ampliato il numero degli studenti sahrawi accolti nei collegi e nelle università sparsi nel Paese. 282

Nel 2005 il problema si è aggravato quando ACNUR e PAM hanno dichiarato, senza dare alcuna spiegazione, che il numero delle persone aventi diritto all’assistenza umanitaria sarebbe stato ridotto a 90.000, cioè limitato a quelle persone che venivano considerate più vulnerabili. 695 L’Alto Commissariato per i Rifugiati solo nel 2005 nel corso della sua missione in loco, ha dichiarato che nei campi sahrawi non vi sono problemi di malnutrizione e che di conseguenza il suo aiuto sarebbe stato indirizzato ai beneficiari più vulnerabili (90.000 profughi rispetto ai 155.000 registrati), lasciando il resto della popolazione nelle mani delle ONG e degli accordi bilaterali con Paesi donatori. Ma gli aiuti umanitari non erano affatto sufficienti. In seguito ACNUR e PAM hanno chiesto ulteriori finanziamenti per far fronte a quella che ormai era divenuta una vera e propria emergenza. Nel febbraio 2006, dopo l’alluvione che devasta la regione, l’ACNUR, insieme al governo algerino e alla comunità internazionale, finanzia un programma di emergenza di un milione di dollari.696 Ma nonostante l’intervento urgente e le continue sollecitazioni dell’ONU ai Paesi donatori, nel mese di ottobre del 2006, la fornitura di cibo ai profughi è interrotta temporaneamente e ciò ovviamente non può che far peggiorare la situazione.

Nel 2007 una delegazone dell’ACNUR e PAM realizza una nuova missione di dodici giorni nei campi di rifugiati in Algeria, per valutare la situazione alimentare e le difficili condizioni di vita della popolazione sahrawi. Nel 2008 Médecins du Monde (MDM) e il PAM, in coordinamento con l'UNHCR, rileva che sono da considerarsi malnutriti il 61% dei bambini e che soffrono di anemia il 66% delle donne in gravidanza. Il report dell’ONG dimostra inoltre che il 55% delle donne sahrawi rifugiate sono anemiche, mentre tutta la popolazione soffre di carenze nutrizionali. Di conseguenza, vengono adottate alcune misure correttive, con l’intervento di diverse agenzie e organizzazioni non governative. In particolare l'UNHCR fornisce mezzi di sussistenza complementari: oltre alle 125.000 razioni alimentari distribuite dal PAM, si occupa di arricchire e diversificare il paniere alimentare di base con orzo (2008), riso (2009), pasta (distribuita da gennaio a marzo 2009 grazie ad un finanziamento del governo italiano).

A partire dal 2005 i finanziamenti dei donatori sono irregolari (nel 2008 l’UNHCR ha ricevuto soltanto il 39% dei fondi),697 così la popolazione sahrawi continua a patire le conseguenze di questa

695 La Mezza Luna Rossa Sahrawi nel 2005 afferma che il 66% delle donne in stato di gravidanza e l’8% dei bambini al di sotto dei 15 mesi di età soffronto di anemia e la malnutrizione, che colpisce l’8% dei bambini, sta diventanto un problema sempre più grave, a causa dei continui tagli negli aiuti alimentari provenienti da UNHCR e WFP. CIRPAC (Centro interuniversitario di ricerca per la pace, l’analisi e la mediazione dei conflitti), Report Mediterraneo e Medio Oriente Aggiornamento situazione Sahara Occidentale, p. 18. 696 UNHCR, Camps de réfugiés sahraouis en Algérie: le HCR et le PAM en mission pour l'évaluation de l'alimentation, Points de presse, 23 janvier 2007, sito web: http://www.unhcr.fr. 697L'UNHCR fornisce assistenza ai rifugiati sahrawi dal 1975, PAM fornisce loro assistenza alimentare dal 1986. UNHCR, Mission de donateurs dans les camps de réfugiés sahraouis, Points de presse, 17 mars 2009, sito web: http://www.unhcr.fr. 283 situazione non risolta, gli aiuti umanitari continuano a diminuire.

I dati riportati qui di seguito sono conseguenti alle valutazioni della Commissione congiunta PAM- UNHCR che ha visitato i campi tra il 2 e il 12 ottobre 2011.

La quota mensile degli alimenti di base che viene distribuita ai rifugiati sahrawi non copre il 50% delle necessità. La tabella riporta i fabbisogni alimentari per il periodo gennaio 2013 – giugno 2014 secondo le stime del PAM:698

Necessità Necessità coperte Necessità non coperte Prodotti (tonnellate) (tonnellate) (tonnellate)

Cereali (farina, riso, 27.294 5.121 22.173 orzo)

Olio vegetale 2.170 1.285 885

Legumi (lenticchie, 4.572 3.945 627 fagioli, ceci)

Cereali eccellenti 4.831 1.584 3.247

Biscotti con datteri per 848 315 533 le scuole

Latte in polvere per le 405 350 55 scuole

Zucchero 2.294 560 1.734

698 Memorandum della Mezza Luna Rossa Sahrawi rivolto alle istituzioni europee sugli aiuti umanitari alla popolazione rifugiata sahrawi. All’attenzione della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri Italiano, 22 aprile 2013, p.2. 284

In termini finanziari, il costo da sostenere per coprire l’intero fabbisogno è pari a 35.100.625 dollari. Finora il totale dei contributi assicurati è di 14.330.392 dollari, corrispondenti ai contributi dei seguenti Paesi:

Paese donatore Dollari

Cuba 325.219

Arabia Saudita 425.616

Spagna 3.371.144

Svizzera 3.014.843

USA 7.193.570

Inoltre la popolazione rifugiata presenta altre necessità umanitarie:

- l’accesso all’acqua potabile è molto al di sotto degli standard indicati dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) in contesti di emergenza, ovvero da 15 a 20 litri a persona; - la quantità e la tipologia di farmaci è al di sotto delle necessità e si registra un sensibile deficit di medicinali destinati alla terapia delle malattie croniche. Carenza di pesonale specializzato e di opportunità di formazione di personale medico e paramedico; - l’approvvigionamento del tessute per realizzare le tende (jaima), dove continuano a vivere i rifugiati, copre solo il 45% dei bisogni reali. Ogni 5 anni, ciascuna famiglia ha bisogno di 60 metri di tessuto e di accessori per cucire una tenda. Il numero di famiglie che si stima oggi vivano nei campi profughi è di 28.000, per coprire il fabbisogno è necessario fornire il materiale per la costruzione di 5.600 jaimas ogni anno. Il deficit cumulato negli ultimi anni porta la Mezza Luna Rossa Sahrawi a stimare come indispensabili 9.000 tende per altrettante famiglie sahrawi; - la distribuzione di gas copre il 30% dei bisogni. Ciascuna famiglia riceve una bombola di gas ogni 20 giorni, che può garantire il gas per 12-15 giorni; - le attrezzature e il materiale per l’educazione di base forniti coprono il 37% dei bisogni. Nel 2013 l’UNICEF, che normalmente assicura le forniture, a fine aprile, non ha ancora assicurato la donazione; - nel 2013 non è prevista alcuna donazione di materiale igienico. Negli anni passati tale fabbisogno è stato garantito da ECHO, che non ha per l’anno in corso confermato nessun impegno. Gli aiuti della Commissione europea, sulla base delle indicazioni del Parlamento

285

europeo, hanno raggiunto nel 2002 i 15 milioni di euro per poi scendere negli ultimi anni a 10 milioni di euro, con evidenti effetti negativi per la popolazione rifugiata.699

Nel 2013 il budget totale delle attività dell’UNHCR in Algeria passa 28,2 milioni di dollari, 2,6 milioni di dollari in più rispetto al 2012 essenzialmente destinato a finanziare progetti in settori chiave nei campi di rifugiati sahrawi, al fine di consolidare i piccoli risultati finora raggiunti.700

Ovviamente l’attuale crisi economica internazionale aggrava ulteriormente la situazione, lo testimonia in questa dichiarazione del Ministro della cooperazione della R.A.S.D., Haj Ahmed Barikal-la, che ho incontrato ai campi nei primi giorni di gennaio 2013, nel suo ufficio a Rabouni. Egli, nonostante tutto, spera in un nuovo impegno dell’Italia a sostegno della cooperazione umanitaria a favore dei rifugiati:

“L’Italia – ha dichiarato il Ministro - è il secondo Paese europeo che ci sostiene a livello umanitario. Oggi siamo in un periodo di profonda crisi, con conseguenze molto gravi soprattutto in campo alimentare, sanitario ed educativo. Speriamo si tratti di una situazione transitoria, in ogni caso, dobbiamo cercare in ogni modo possibile di controllare la crisi, insieme ai nostri amici. Mi auguro che il 2013 sia un anno di ripresa”.

Fino alla fine degli anni Ottanta del Novecento, i campi profughi sono un modello di società egualitaria che garantisce a ciascuno il soddisfacimento dei propri bisogni, a fronte di una divisione dei compiti piuttosto precisa. In cambio del lavoro volontario ognuno riceve la propria quota di aiuti alimentari, distribuita dagli stessi Sahrawi, con l’aiuto di un consorzio di Ong’s europee.701 Nel momento in cui la Spagna riconosce ai Sahrawi impiegati nell’amministrazione o nell’esercito durante la colonizzazione la pensione, cominciano a notarsi le prime differenze. È così che il denaro, fino ad allora assente nei campi profughi, comincia a circolare. Questo porta invitabilmente dei cambiamenti. L’avvento di un’iniziale forma di economia (commercio: mercati e botteghe), in primo luogo costringe il Governo a motivare il personale delle strutture pubbliche (sanità, educazione, amministrazione) con piccoli incentivi economici, da garantirsi mediante il sostegno della cooperazione internazionale. 702 In secondo luogo si generano le prime differenze sociali,

699 Memorandum della Mezza Luna Rossa Sahrawi rivolto alle istituzioni europee sugli aiuti umanitari alla popolazione rifugiata sahrawi. All’attenzione della Direzione Generale per la Cooperazione allo Sviluppo del Ministero degli Affari Esteri Italiano, 22 aprile 2013, p. 2. 700 UNHCR, Appel global 2013 - Actualisation, Moyent-Orient et Afrique du Nord (MENA), Algérie, pp. 128-132. Sito web: http://www.unhcr.fr. 701 Dal 1995 esiste un Consorzio di Ong europee (Medico International Germania, CISP Italia, Solidaridad Internacional Spagna, Oxfam-Solidarité Belgio, Caritas Secours International Belgio, Secours Popoulaire Français) per l’aiuto alimentare che definisce le necessità e realizza progetti finanziati principalmente dall’Ufficio Umanitario dell’Unione Europea (ECHO). Aiuto umanitario dell’Unione europea. Campi di rifugiati sahrawi, Tinduf (Algeria), ECHO, CISP. 702 Le indicazioni del Ministero della Cooperazione rispetto all’entità degli incentivi economici indicano un contributo mensile di 90 euro mensili per personale qualificato. Il dato è stato recuperato dal progetto dal titolo 286 mentre alcune famiglie hanno la disponibilità di denaro e quindi un certo potere di acquisto, molte altre senza aiuti economici esterni (pensioni, aiuti provenienti da persone residenti all’estero, incentivi), non ce l’hanno.

Nel corso degli anni questa siturazione ha determinato differenze, anche molto evidenti, tra le famiglie e legate al possesso di beni materiali, come televisione, auto, arredi per la casa in mattoni, che ha cominciato a sostituire la tenda fornita dall’ONU (gatun), anche per ricercare una vita meno precaria. Nonostante, nel corso di questi quarant’anni, la società sahrawi sia indiscutibilmente e inevitabilmente cambiata, continua a preservare una forte coesione sociale, una condizione indispensabile per raggiungere l’obiettivo finale.

L’informazione nei campi di rifugiati sahrawi era dapprima garantita da periodici che il Polisario pubblicava regolarmente: “20 maggio” (organo del movimento), “Sahara Libre” in arabo, spagnolo e francese e la “Voce del Sahara libero” (Voix du Sahara libre) e dalla radio nazionale sahrawi, che ha sempre trasmesso in tutti questi anni in arabo da Tindouf tutti i giorni, per almeno sei ore al giorno. Oggi è attiva a Rabouni una televisione sperimentale, che trasmettere alcune ore al giorno.

6.4. Donne sahrawi

Il ruolo che le donne occupano negli accampamenti è essenzialmente sociale e politico. Esse sono incaricate di risolvere i problemi della vita quotidiana: alimentazione, salute, eduazione, artigianato, affari sociali e giustizia, in particolare riguardo al matrimonio e il divorzio. Durante i primi anni dell’esilio tutte le donne sahrawi, per la maggior parte analfabete, hanno seguito corsi intensivi di alfabetizzazione.

Il posto che le donne sahrawi occupano nella società sahrawi, il ruolo eminentemente politico di cui sono portatrici nella lotta del loro popolo, ha qualcosa di sorprendente, soprattutto perché esse appartengono a un popolo arabo e musulmano, cioè a un tipo di società nella quale la donna non ha, generalmente, una situazione invidiabile. Sono state aiutare dal fatto che già nella società tradizionale la loro condizione era molto più favorevole, di quella delle altre donne arabe. La donna sahrawi ha sempre partecipato attivamente alla vita sociale, prendendo parte alle decisioni importanti che hanno interessato la tribù. Certo, le donne sahrawi in passato erano assoggettate a un certo numero di costrizioni derivanti dalla legge islamica, ora, in poco tempo, grazie alla lotta di liberazione, sono riuscite a superarle: la costrizione matrimoniale è sostanzialmente scomparsa, la

“Incremento della disponibilità e dell’uso razionale dei medicinali essenziali prodotti localmente nei campi di rifugiati sahrawi in Algeria” presentato nell’ambito del bando regionale 2011 sulla cooperazione internazionale della Regione Emilia Romagna ai sensi della L.R. 24 giugno 2002, n. 12.

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288 donna sceglie liberamente il suo sposo, anche se continua simbolicamente e per rispetto, a chiedere l’autorizzazione per sposarsi al padre; la dote è quasi completamente sparita, così come la poligamia.

Tutti questi progressi nello statuto della donna sahrawi sono stati senza dubbio facilitati dalle condizioni particolari create dallo stato di guerra.

Che succederà una volta che l’indipendenza sarà acquisita e che la Repubblica sahrawi sarà confermata, in tempo di pace sul suo territorio? Le donne sahrawi sono coscienti che in quel momento inizierà un nuovo percorso, sicuramente difficile, ma del quale non hanno alcun timore e che in parte hanno già iniziato. Nel 1991, dopo la proclamazione del cessate il fuoco, molti uomini impegnati al fronte sono rientrati nei campi, con l’idea di riprendere la gestione delle strutture organizzative e istituzionali, senza tenere conto dell’esperienza politica e sociale che le donne hanno maturato negli anni di guerra. Da qui bisgona ripartire per ridefinire il ruolo della donna nella nuova società sahrawi, che deve continuare a lottare per non perdere, in tempo di pace, i diritti che ha acquisito durante la lottta. È allora imporatnte costruire insieme agli uomini una nuova mentalità, una nuova cultura di parità tra uomo e donna. La società sahrawi ha fatto in questi anni un salto qualitativo dal quale è impossibile tornare indietro.

Il 2 gennaio 2013 nei campi di rifugiati sahrawi ho incontrato Al Azza Babih. Al Azza è membro del Segretariato del Fronte Polisario ed è stata recentemente nominata wali della nuova wilaya di Bojador, dopo aver governato, per un breve periodo di tempo, la Scuola delle donne “27 febbraio”.

“La wilaya di Bojador include diverse daira, tra le quali la “27 febbraio”, che ha avuto un ruolo molto importante nel processo di emancipazione femminile nei campi di rifugiati sahrawi, come scuola di formazione per le donne. Dal 14 novembre 1978, data della sua fondazione ha contribuito concretamente a sconfiggere l’analfabetismo tra le donne e ha garantito la loro formazione nei settori dell’educazione, della sanità e dell’amministrazione. Fino al 1991, anno dell’entrata in vigore del cessate il fuoco, il 90% delle donne impegnate nella gestione dei campi di rifugiati dopo si sono formate alla “27 febbraio”. In questi 37 anni di esilio la condizione femminile è molto cambiata, oggi tante giovani donne hanno conseguito una laurea, tante organizzazioni ci aiutano e ci sostengono nella formazione, così la “Scuola delle donne” ha perso la sua tradizionale ed esclusiva missione formativa. Il numero dei suoi abitanti in questi ultimi anni è aumentato notevolmente, tanto da costringerci a costituire una nuova regione, che ha avuto la fortuna di essere amministrata da una donna”.

La governatrice parla della wilaya come di una vera e propria sperimentazione: le tre daira che la compongono hanno tre sindaci donne, il Consiglio è composto in maggioranza da donne (37 donne e 12 uomini).

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“Voglio dimostrare alle donne e agli uomini, che le donne non solo possono fare quello che fanno gli uomini, ma possono farlo anche meglio. Le donne più anziane non credono nelle donne, ma chi ha fatto la rivoluzione sa, che le donne possono fare tanto. Dei 30 comuni nei campi profughi solo cinque sono amministrati da donne; solo un governatore su cinque è donna. Amministrare una nuova wilaya di circa 15.000 persone non è una passeggiata, i problemi sono tanti. Per esempio a Bojador ci sono solo due scuole, quindi, per poter permettere a tutti i bambini di andare a scuola bisogna organizzare dei turni; due daire su tre sono senza asili; manca una sede amministrativa in tutte le daire; esiste un solo dispensario, che al momento copre le necessità dell’intera wilaya, mancano un centro giovani e la sede dell’UNMS. La wilaya ha oggi a disposizione le risorse umane, ma mancano quasi totalmente le infrastrutture. Certo l’attuale crisi economica non ci aiuta a trovare presto la soluzione ai nostri problemi, penso anche ai problemi relativi all’acqua e ai rifiuti. In questo momento c’è un solo camion che fa la raccolta dei rifiuti, mentre molte cisterne per il trasporto dell’acqua sono rotte. Questi 37 anni di esilio ci ha costretto ad affrontare tanti difficili problemi, che ci hanno aiutato a costruire un progetto di nazione con le sue istituzioni, non abbiamo perso tempo”.

Al Azza sottolinea la necessità di un maggiore impegno delle donne sahrawi in politica:

“Non c’è niente che una donna non possa apprendere, se una donna ha volontà arriva dove vuole. Le donne non vogliono impegnarsi in politica, non vogliono candidarsi perché hanno paura di perdere, ma anche gli uomini perdono, quindi bisogna lottare, dobbiamo cadere per poi riuscire a rialzarci più forti, spinte dalla volontà di arrivare. Lo Stato sahrawi sta costruendo la democrazia, il pluralismo, l’uguglianza senza distinzioni di razza, religione e cultura, la parità tra uomo e donna”.

La proclamazione della RASD non è solo un fatto giuridico, ma uno strumento che ha permesso alla popolazione sahrawi rifugiata di sopravvivere. Il Fronte Polisario è stato in grado di gestire dal punto di vista politico e amministrativo la popolazione nei campi, rispondendo ai suoi bisogni essenziali. Pur dovendo affrontare grandi difficoltà, ma anche grazie a esse, si è giunti a formare un vero popolo sahrawi, unito e solidale, con una coscienza nazionale, tutto impegnato nella lotta di liberazione, che ha dato vita ad uno Stato, che si è rilevato, senza dubbio, il miglior strumento politico per rispondere all’occupazione del Sahara.

6.5. I territori occupati del Sahara occidentale

Dal 1975 la popolazione sahrawi che vive nel Sahara occidentale occupato dal Marocco subisce una violenta repressione da parte dello Stato marocchino, che mantiene i Sahrawi sotto un’insopportabile pressione quotidiana con arresti, torture, processi farsa, sparizioni forzate, che fanno parte di una vera e propria strategia del terrore, finalizzata ad eliminare il sentimento nazionalista dal Sahara occidentale.

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Giunta nei territori nel 1992, dopo la firma del piano di pace tra Marocco e Fronte Polisario, la MINURSO, ha fatto molto per controllare la situazione dei diritti umani nell’ex Sahara spagnolo. I soldati, gli ufficiali e i funzionari della missione hanno riferito di aver visto atti d’intimidazione e repressione contro la popolazione sahrawi, ma nonostante ciò non hanno potuto intervenire. La MINURSO, a differenza di altre missioni ONU, non ha ancora oggi un mandato di monitoraggio sui diritti umani in Sahara occidentale e perché, come ha evidenziato il Segretario generale dell’ONU nel suo rapporto del 2011, il personale ONU è sottoposto a una stretta sorveglianza da parte degli agenti di sicurezza marocchina. La MINURSO con una leadership e un mandato deboli, è ancora oggi assoggettata alle pressioni del governo marocchino. In questo modo le Nazioni Unite vengono meno a un loro obbligo fondamentale indicato nel capitolo XI dello Statuto dell’ONU, in cui si afferma che, in attesa dell’autodeterminazione, gli interessi degli abitanti dei territori senza governo proprio sono assolutamente prioritari. L’articolo 73 elenca gli impegni della comunità internazionale, che vanno dalla protezione dei diritti umani, al rafforzamenteo delle istituzioni, allo sviluppo economico e sociale. Tutti questi impegni sono soffocati da una congiura del silenzio. Da decenni le Nazioni Unite si limitano a osservare un processo politico bloccato ignorando le proprie responsabilità fondamentali. Contrariamente a quanto avviene in altri territori in Sahara occidentale non esiste una potenza amministratrice, in grado di adempiere ai compiti previsti dallo Statuto dell’ONU.

Nel 1996 Amnesty International accusa la missione ONU di essere testimone silenziosa delle violazioni flagranti dei diritti umani703 e di essere rimasta immobile di fronte alle grandi, e in gran parte pacifiche manifestazioni a favore dell’indipendenza a El Aioun nei mesi di maggio 1995 e ottobre 1999, violentemente represse dalla polizia marocchina. Poche sono ancora oggi le informazioni e le analisi indipendenti sulle condizioni e sui bisogni dei Sahrawi nei territori occupati, che vengono comunicati alla comunità internazionale attraverso reti clandestine, corrieri umani, e oggi, grazie alle nuove tecnologie, attraverso i telefoni cellulari e internet.

L’ONU, che fino ad oggi si è limitata ad attuare qualche modesto programma di assistenza umanitaria nei campi profughi e, se escludiamo la MINURSO, è totalmente assente dal territorio occupato, dovrebbe avere più risorse disponibili per finanziare programmi per lo sviluppo socio- economico del popolo sahrawi, così da non lasciare il Marocco libero di attuare indisturbato la sua politica di “marocchinizzazione” del territorio. Dal 1975 il flusso dei coloni marocchini in Sahara

703 Amnesty International, bullettin d’informations 70/96: Maroc et Sahara occidental. La protection des droits de l'homme au Sahara occidental doit être mise au premier plan des préoccupations de la MINURSO Index AI : MDE 29/07/96, 18 avril 1996 à 0 h 01 GMT, sito web: www.amnesty .org.

291 occidentale è continuo, al punto che i cittadini marocchini hanno superato numericamente la popolazione sahrawi indigena, con un rapporto 2:1. Il governo marocchino ha poi tentato di assimilare i Sahrawi offrendo loro case gratis, lavoro e benefici economici di ogni genere. Ha utilizzato il metodo del bastone e della carota per incitare i Sahrawi a disertare dalle file degli indipendentisti e appoggiare l’integrazione marocchina. L’offerta aumenta, se i disertori del Polisario sono disponibili a denunciare internazionalmente gli ex compagni.704 Spesso il governo marocchino organizza iniziative pubbliche sulla fedeltà dei Sahrawi alla monarchia, a uso e consumo della propaganda interna ed internazionale, sebbene l’attendibilità delle dichiarazioni rilasciate sia piuttosto discutibile.

Se l’ONU si assumesse l’onere di colmare questo vuoto d’informazione e di assistenza, dimostrerebbe a centinaia di migliaia di Sahrawi, che le Nazioni Unite possono adempiere ai loro doveri non solo con le parole, ma coi fatti, contribuirebbe a evitare che un crescente malcontento si tramuti in violenza e in una possibile ripresa delle ostilità, infine supererebbe quella situazione di stallo del processo politico, che dura ormai da troppo tempo.

6.6. La prima intifada (1999)

Con la morte di Hassan II e l’insediamento di Mohamed VI, molti osservatori hanno sperato in un cambiamento in chiave democratica e libertaria in Marocco, lo stesso Segretario del Fronte Polisario ha augurato al nuovo re di trovare il coraggio per chiudere un’epoca della storia del Paese. Le prime azioni del nuovo monarca hanno fatto pensare a una svolta democratica. Mohamed VI ha fatto rientrare in Patria alcuni oppositori politici, nemici storici del padre, come Abraham Serfaty,705 ha messo mano ad alcune importante questioni sociali (povertà, analfabetismo, …) che in un primo momento hanno fatto pensare a un possibile cambiamento della posizione marocchina sul Sahara occidentale. In realtà le speranze suscitate nei primi mesi dal nuovo monarca sono state deluse, determinando un l’insorgere di un enorme malessere sociale anche nei territori occupati del Sahara occidentale, in particolare a El Aioun, nel settembre del 1999, che ha dato vita alla prima Intifada sahrawi. Il 10 settembre 1999, decine di studenti e di laureati sahrawi, ai quali si sono ben presto uniti ex prigionieri politici, hanno organizzato una dimostrazione davanti alla sede dell’amministrazione marocchina, situata in Avenida Mecca. Il rifiuto della politica di occupazione

704 Brahim Hakim, uno dei più rilevanti disertori del Polisario è stato insignito di un governatorato nel 1992. M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., nota p. 6. 705 Uno dei primi gesti di Mohamed VI fu quello di riammettere in Patria Abraham Serfaty, l’oppositore più determinato di Hassan II, prigioniero politico più a lungo nelle carceri marocchine, una volta uscito di prigione, fu espulso da Basri dopo essere stato privato della nazionalità marocchina. L. Ardesi, La svolta di Mohamed VI, in Nigrizia, dicembre 1999, p. 6. 292 marocchina e le rivendicazioni dei manifestanti che hanno chiesto migliori condizioni di vita e di lavoro sono stati gli obiettivi principali dei dibattiti organizzati intorno a una jaima (tenda sahrawi), montata per l’occasione. Il 19 settembre si sono uniti ai manifestanti i lavoratori di FousBoucraa per chiedere più diritti sindacali. La notte tra il 22 e il 23 settembre 1999, centinaia di persone hanno occupato Piazza Dchera, di fronte all’Hotel Najir, dove è alloggiata la maggior parte del personale della MINURSO. Le manifestazioni sono state ben presto represse dalla gendarmeria reale, comandata dal Ministro degli Interni marocchino Driss Basri. Il bilancio della repressione: due morti, decine di feriti e centinaia di scomparsi. La portavoce della MINURSO Patricia Tomé ha denunciato la particolare brutalità con cui la polizia marocchina è invervenuta contro i manifestanti sahrawi.706 Secondo il quotidiano “Al Mounaddama” le forze di sicurezza hanno dichiarato di voler arrestare tutti coloro che erano presenti alle manifestazioni e hanno inseguito i feriti negli ospedali, impedendo loro di ricevere le cure necessarie, molti feriti non si sono nemmeno presentati all’ospedale per paura di essere segnalati.

Il 27 settembre 1999 una nuova manifestazione è organizzata davanti alla sede dell’amministrazione provinciale di El Aioun, per protestare contro la repressione marocchina. In una sorprendente svolta degli eventi, nel corso dell’Intifada del 1999, i cittadini marocchini dei campi di Al Wahda,707 i coloni, si sono uniti alla protesta dei Sahrawi. L’agenzia di stampa Reuters ha dichiarato che scontri di tale violenza non si vedevano dal 1991. La monarchia marocchina, per controllare la situazione, il 28 settembre 1999 ha trasformato la capitale del Sahara occidentale in un campo militare, con decine e decine di militari. Il governo marocchino ha dichiarato di aver chiamato l’esercito per proteggere i Sahrawi dalla violenza dei coloni. Un membro del Governo marocchino, Mohamed el Yazgui, umiliato per il massacro di El Aioun, ha in seguito espresso la sua opposizione ai metodi polizieschi utilizzati in Sahara occidentale. Il quotidiano spagnolo El Pais ha rivelato che fonti vicine al re, hanno riconosciuto che il conflitto del Sahara occidentale è stato per due decenni un monopolio esclusivo di Driss Basri.708

Intanto la protesta continua e aumenta d’intensità ogni giorno. Gli scontri già avvenuti a El Aioun si sono estesi a Smara e a Tan Tan. La polizia però cambia tattica e decide di chiudersi nel più rigoroso silenzio: nessuna notizia è divulgata, nessuno può avvicinare i manifestanti, perennemente circondati. L’importante secondo la sicurezza marocchina è creare il vuoto intorno a loro, un silenzio spezzato solo dall’agenzia di stampa sahrawi che cerca di sensibilizzare, con questi ultimi

706 Sahara Press Service, Le manifestants protestairent contre “la violence de la police marocaine”, a déclaré la porte parole de la MINURSO, 30/09/1999, sito web www.arso.org. 707 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., pp. 7-8. 708 C. Jampaglia, Sabbie dimenticate, in Guerra e Pace, novembre 1999, p. 22. 293 avvenimenti, l’opinione pubblica internazionale e le tante associaizoni di sostegno al popolo sahrawi in Europa sulla propria causa.

In risposta alle critiche internazionali in seguito alla violenta repressione, Rabat destituisce dall’incarico il governatore e il capo della polizia locale. In seguito, il 9 novembre Mohamed VI licenzia Driss Basri. La sua destituzione, che segna la rottura con il regno di Hassan II, arriva dopo averlo privato della gestione del Sahara occidentale, dopo le numerose critiche internazionali che si sono riversate sulla monarchia e sul govenro marocchino, in seguito alla violenta repressione della prima Intifada sahrawi.709

Due mesi più tardi, un gruppo di attivisti sahrawi fonda a El Aioun una sezione del Forum Verità e Giustizia (FVJ) del Sahara occidentale, una filiale dell’organizzazione nazionale marocchina che pone l’accento sulla questione dei prigionieri politici del passato e dei desaparecidos, durante la monarchia di Hassan II. La filiale del Sahara del FVJ è stata in assoluto la prima organizzazione di difesa dei diritti umani guidata da Sahrawi. Il governo del Marocco la proibisce tre anni più tardi, affermando che la stessa inneggia al “separatismo”: da allora lo spazio politico per la militanza sahrawi nel Sahara occidentale è gravemente limitata.710

I Sahrawi hanno dichiarato in seguito che l’Intifada del 1999 è stata la prova generale delle manifestazioni che saranno organizzate in seguito, soprattutto per capire le reazioni della monarchia marocchina alle proteste.

Dal 1999 al 2005, piccole e sporadiche manifestazioni hanno luogo in Sahara occidentale. La tensione cresce notevolemente nel perido compreso tra l’estate del 2004 e la primavera del 2005, quando le Nazioni Unite porta il processo di pace all’impasse totale e James Baker, l’inviato personale del Segretario generale dell’ONU Kofi Annan, rassegna le sue dimissioni. Nel maggio 2005 la situazione in Sahara occidentale esplode.711

6.7. La seconda Intifada sahrawi (2005)

Il 21 maggio 2005 le autorità marocchine decidono arbitrariamente di trasferire dal carcere di El Aioun verso una destinazione ignota nel sud del Marocco, Haddi Ahmed Mahmoud, detto Elkainnan, un detenuto politico sahrawi, che aveva rifiutato la nazionalità marocchina e dichiarato

709 Basri è stato l’artefice della repressione in Marocco, è stato il gestore unico del problema del Sahara occidentale. L. Ardesi, La svolta di Mohamed VI, in Nigrizia, dicembre 1999, p. 5. 710 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., p. 8. 711 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., p. 8. 294 di non riconoscere la sovranità del Marocco sul Sahara occidentale. Nella notte tra il 22 e il 23 maggio i famigliari del detenuto, insieme ad altri cittadini sahrawi, organizzano un sit-in davanti al Carcel Negro di El Aioun, per condannare il comportamento aggressivo delle autorità marocchine. I manifestanti sono sorpresi da un violento intervento delle unità urbane marocchine (Gruppo Urbano di Sicurezza o GUS e Gruppo d’Intervento Rapido o GIR),712 che provoca feriti, alcuni dei quali gravi, e l’arresto di alcuni cittadini sahrawi, che secondo alcune testimonianze sono torturati e costretti a firmare verbali falsi. Le violente repressioni contro i dimostranti provocano nuove e più ampie dimostrazioni nei quartieri Sahrawi. Le forze di sicurezza accerchiano il quartiere di Ma’atallah, saccheggiano case e chiudono tutte le strade di accesso ad Avenida Smara, una delle principali arterie della città, per impedire ogni tentativo da parte dei Sahrawi di manifestare.

Con questa repressione il Marocco innesca, di fatto, la seconda Intifada sahrawi.

Dopo il 21 maggio 2005 centinaia di manifestanti pacifici713 continuano a protestare in tutto il Sahara occidentale (oltre a El Aioun, anche Smara, Dakhla, Bojador) e nelle città del sud del Marocco (Assa, Tan Tan, Goulimine…). Nelle univeristà marocchine gli studenti sahrawi organizzano dimostrazioni pubbliche di solidarietà e di condanna della repressione marocchina. Dopo una settimana di scontri, un centinaio di Sahrawi sono prigionieri, tra di loro molti attivisti, accusati di aver partecipato e incitato le violente proteste.

Attraverso un comunicato stampa, Amnesty International esprime preoccupazione, soprattutto per otto attivisti sahrawi,714 perché sospetta che siano stati presi di mira per il loro ruolo di spicco come difensori dei diritti umani e che la loro esposizione agli abusi, da parte delle forze di sicurezza marocchine, sia motivata dalla pubblica difesa del diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi. Di conseguenza, Amnesty International ritiene di poterli dichiarare prigionieri di coscienza e per questo ne chiede il rilascio immediato e senza condizioni.715

712 È possibile recuperare informazioni più dettagliate dai rapporti di Amnesty International, di Human Rights Watch (HRW), dell’Orgnaizzazione Mondiale contro la Tortura (OMCT) e dell’Associazione dei diritti umani marocchina (AMDH). AFAPREDESA (a cura), Sahara occidental, persistencia de las violaciones de los derechos de un pueblo, San Sebastian, 2008, pp. 48-49. 713 La maggior parte delle manifestazioni fu pacifica e gridavano slogan a favore dell’indipendenza e al Polisario (azioni considerate illegali dal Marocco), ma in alcune i dimostranti lanciarono sassi, bruciarono pneumatici. M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., p. 8. 714 Tra di loro quella che é definita la “cupola degli attivisti sahrawi” composta da: Aminatou Haidar, Ali-Salem Tamek, Mohamed El-Moutaouakil, Houssein Lidri, Brahim Noumria, Larbi Messaoud, H’mad Hammad e . Tutti gli otto difensori dei diritti umani realizzavano da molti anni campagne contro le violazioni dei diritti umani nel Sahara Occidentale. Più di recente si erano dedicati alla raccolta e alla diffusione d’informazioni relative alle dimostrazioni di El Aioun e di altre città del Marocco e del Sahara Occidentale dopo lo scoppio della seconda Intifada. Marocco/Sahara occidentale: i difensori saharawi dei diritti umani nel mirino, a cura di Amnesty International, 24 novembre 2005, pp. 3-4, sito web: www.amnesty.org. 715 “Autonomia sì, indipendenza no. Ci si aspettava una proposta, un’idea nuova dalla visita che il re del Marocco Mohammed VI ha compiuto in questi giorni nel Sahara occidentale. Ma, tra dichiarazioni infarcite di retorica 295

L’8 agosto 2005, 37 carcerati sahrawi iniziano uno sciopero della fame, per protestare contro le cattive condizioni di detenzione e per invitare tutte le organizzazioni mondiali di protezione dei diritti umani a intervenire presso il Marocco, per metter fine alla repressione e alle violenze quotidiane di cui è vittima la popolazione sahrawi, solo perché reclama il proprio diritto all’autodeterminazione. Lo sciopero dura 51 giorni. Intanto gli scontri tra gioventù sahrawi e forze di polizia marocchina continuano. Il 30 ottobre 2005 muore all’ospedale Hassan Belmehdi di El Aioun,un giovane sahrawi nato nel 1974, Hamdi Lembarki. Una prima autopsia rivela che la causa della morte è una profonda ferita al capo. Secondo testimoni, Lembarki, è trascinato e picchiato ripetutamente alla testa e in altre parti del corpo da ufficiali di polizia marocchini, durante una manifestazione in Avenida Smara a El Aioun. Il giovane viene portato in ospedale in stato di incoscienza da alcuni amici. Secondo le fonti ufficiali la ferita alla testa è stata causata da una pietra lanciata da un altro manifestante.716 Lembarki viene in seguito acclamato come il primo martire dell’Intifada sahrawi, durante il funerale, a cui partecipa un’enorme folla, il suo feretro è avvolto in una bandiera sahrawi. Diverse sono le morti violente che seguiranno.717

L’Intifada per l’indipendenza è la nuova strategia che i Sahrawi hanno scelto per contrastare l’occupazione del Sahara occidentale. Non più una lotta armata quindi, ma una resistenza civile pacifica. Il coinvolgimento della popolazione sahrawi nell’Intifada nonviolenta ha colto di sorpresa le forze di occupazione, che hanno reagito alle provocazioni con violenza e intimidazioni. I manifestanti sahrawi affrontano i loro aggressori senza armi, con slogan e bandiere della R.A.S.D., si avvalgono delle nuove tecnologie (cellulari, macchine digitali, internet) per inviare in diretta informazioni, comunicati, foto e video su ciò che sta accadendo. Questa è una delle novità dell'Intifada sahrawi del 2005. Internet non ha frontiere e il governo di occupazione non può fare nulla per frenare questa valanga informativa, anche se tenta in ogni modo di impedire o limitare le telecomunicazioni nel Sahara occidentale, specialmente i cellulari e Internet (per esempio oscurando siti internet che ospitano il lavoro dei militanti sahrawi). In mancanza di una stampa libera in Sahara occidentale, così come in Marocco, gli attivisti utilizzano oltre alla radio e ai media

patriottica, l’erede di Hassan II ha confermato che l’unica possibile soluzione politica negoziata al conflitto dura da trent’anni deve passare attraverso l’accettazione di un’autonomia nel quadro della sovranità del Regno. (…) Come gesto di buona volontà, il re ha annunciato nell’ultimo giorno della sua visita a El Aaiun, capitale dell’ex colonia spagnola, la concessione dell’indulto a 216 prigionieri sahrawi, tra i quali i trenta attivisti arrestati nel giugno 2005 durante le manifestazioni indipendentistiche. In una dichiarazione comune, i due presidenti di Algeria e Sudafrica, Abdelaziz Boutaflika e Thabo Mbeki hanno ripetuto che l’autodeterminazione è l’elemento chiave per qualunque soluzione al conflitto del Sahara occidentale.” A. Oppes, Il Marocco e la guerra del deserto “Sahara autonomo ma resta nostro, in La Repubblica, 26 marzo 2006. 716 Marocco/Sahara occidentale: i difensori saharawi dei diritti umani nel mirino, a cura di Amnesty International, 24 novembre 2005, p. 12, sito web: www.amnesty.org. 717 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., p. 9. 296 classici, i media alternativi e le nuove tecnologie. Nel settembre 2005 le immagini dell’Intifada e della repressione scattate con i cellulari hanno fatto il giro del mondo, così come le foto dei prigionieri del Carcel Negro di El Aioun, stipati sul pavimento di piccolissime celle sovraffollate, che hanno suscitato indignazione contro il regime marocchino a livello internazionale. Dal 1975 il Marocco ha infatti mantenuto sotto totale controllo il flusso delle informazioni all’interno e all’esterno dei territori occupati, impedendo l’accesso ai media, agli osservatori internazionali. Dopo lo scoppio dell’Intifada del 2005 alcune delegazioni spagnole sono state bloccate all’aeroporto.718 Di fronte alla mancanza di un’informazione ufficiale i militanti sahrawi denunciano la brutale persecuzione attuata nei confronti della comunità sahrawi con le immagini, povere ma sorprendentemente efficaci, che giungono sui monitor dei nostri computer.719

Intervista a Brahim Dahane, presidente ASVDH (Associazione delle Vittime di gravi Violazioni dei Diritti Umani commesse dallo Stato marocchino), El Aioun, marzo 2008.

“L’informazione è importante, lo abbiamo visto nell’esperienza del Fronte Polisario, che attraverso la radio è riuscito a diffondere la situazione dei Sahrawi. Ma a tutti noi che abbiamo ascoltato da sempre la radio, è sempre rimasta la voglia e la curiosità di vedere e non solo di ascoltare. A me e ai miei amici piace la fotografia, ma non abbiamo mai dato alcun peso a questa passione, fino a quando non ci siamo resi conto, che poteva avere un grande valore per la gente e poteva essere un efficace strumento per far conoscere la nostra situazione e denunciare le violazioni dei diritti umani. Nello stesso periodo qualche amico inizia a utilizzare internet, anch’io ho imparato e ho scoperto che era un mezzo di comunicazione difficilmente controllabile.

All’inizio era difficile sviluppare le foto perché la maggior parte dei laboratori fotografici erano gestiti da marocchini, ma poi con le macchine digitali tutto è cambiato. Tante cose sono migliorate con il tempo, soprattutto i giovani, con le loro idee e il loro entusiasmo, ci hanno aiutato molto. Certamente l’urgenza della situazione ci ha messo nella condizione di fare qualcosa subito, il mondo doveva sapere ciò che stava accandendo in Sahara occidentale.

Nel 2001 quando mi hanno raccontato quello che accadeva nel Carcel Negro di El Aioun avrei voluto gridarlo al mondo. Come fare? Avevo una piccola macchina fotografica che ho dato a una ragazza che andava in carcere a fare visita a suo fratello, un prigioniero politico nel Carcel Negro, che a sua volta si è impegnato a consegnare la macchina fotografica a un altro prigioniero. Con un po’ di soldi abbiamo corrotto una guardia. Dopo tre giorni mi hanno fatto riavere la macchina fotografica con alcune foto, che però non erano di buona qualità. Dopo un po’ di tempo ci abbiamo riprovato, seguendo la stessa procedura. Così sono riuscito ad avere 15 foto, 6 MB di foto, di grande qualità. Alcuni amici le hanno spedite via internet. Non solo ascoltare ma vedere, questo

718 Il 21 settembre 2005, le autorità marocchine hanno impedito a una delegazione politica della comunità autonoma spagnola della Galizia di raggiungere El Aioun, la capitale del Sahara Occidentale. La delegazione è stata dirottata verso l'aeroporto di Casablanca, dove è stata trattenuta per dieci ore e poi costretta ad imbarcarsi per ritornare a Madrid. Quindici persone formavano la delegazione (tre parlamentari, cinque consiglieri municipali dei differenti partiti locali e nazionali, sindacalisti, rappresentanti delle università e della cooperazione). In precedenza altre delegazioni spagnole e norvegesi sono state dalla polizia marocchina. 719 Sahara occidentale Vedere l’occupazione, Napoli: l’alfabeto urbano, 2007. 297 era importante! Io posso raccontare tutto quello che voglio e i marocchini possono dire tutt’altro, ma con le foto… Mohamed Abdelaziz ha mandato le nostre foto alle Nazioni Unite per denunciare la violazione dei diritti umani in Sahara Occidentale. In un primo momento hanno detto che le foto erano state truccate, poi l’Alto Commissariato dell’ONU per i Diritti Umani ha verificato, le ha analizzate e ha dichiarato che le foto erano vere.

Con le immagini abbiamo la possibilità di tenere viva la nostra causa, abbiamo potuto motivare, dare coraggio alla gente con queste prove. In seguito un commerciante con un po’ di possibilità economiche ci ha comprato una macchina fotografica con dischetto. Con quella macchina abbiamo fotografato Aminatou prima che venisse portata in ospedale, dopo che era stata picchiata dalla polizia! Dopo pochissimo tempo le foto erano su internet! È qualcosa di rapido e straordinario. Ogni foto ha una storia, le storie servono per far sapere la verità, in questo modo possiamo influenzare l’opinione pubblica.

Alcuni giornalisti e attivisti marocchini hanno pagato pesantemente le loro critiche al regime di Mohammed VI. Alla fine del 2005, per esempio al giornalista marocchino , è proibito professare la professione in Marocco per dieci anni, dopo aver valutato in modo critico le politiche marocchine sulle “province del sud” e aver visitato i campi di rifugiati di Tindouf.720 Anche se pochissimi marocchini riconoscono e hanno il coraggio di esprimere apertamente il proprio appoggio alla lotta per l’autodeterminazione del popolo sahrawi (farlo pubblicamente è reato: Dio, il re e l’integrità territoriale del Marocco sono tabù per i Marocchini e quindi banditi dal dibattito e da ogni tipo di critica), è nata una collaborazione tra le organizzazioni dei diritti umani marocchine e gli attivisti sahrawi. Il particolare l’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (AMDH) ha inviato a El Aioun una commissione d’inchiesta per ricostruire i fatti accaduti nella città alla fine di maggio del 2005.

720 Ali Lmrabet costretto a esiliare in Spagna per esercitare la professione di giornalista, nel 2007 pubblica un interessante articolo sul Sahara occidentale sul quoditidano El Mundo, nel quale afferma: “(…) Se abitassimo realmente in un Paese in transizione democratica (il Marocco), come dicono i Chirac, Zapatero e Bush, per una volta d’accordo, dovremmo aprire un dibattito nazionale sul conflitto (nel Sahara occidentale), permettendo a ognuno di esprimere le sue idee, esporre le sue proposte e, perché no, il suo malessere. Sicuramente ci arrabbieremmo gli uni con gli altri, ma qualcosa uscirebbe dall'arduo ed inedito dibattito. Per esempio, potremmo proporre un'autonomia alla spagnola in un Paese diretto da una democrazia non artefatta, o, se i Sahrawi non sono d’accordo con le nostre intenzioni, potremmo decidere di ricorrere all'inevitabile referendum. Ma viviamo in un Paese dove la monarchia si è appropriata della gestione del conflitto, l'ha legato al trono e ha minacciato la Nazione di un omerico diluvio, se sfortunatamente si perdesse il Sahara. Un Paese dove il regime impone il silenzio ai dissidenti, processa i cattivi pensatori, considerati “traditori” della patria e dell’unità nazionale, e instaura come verità assoluta il pensiero unico, su tutto ciò che riguarda l'integrità territoriale. Oggigiorno, nessuno in Marocco può osare, non dico discutere, che è molto, ma riflettere, senza restrizioni su un conflitto che ha impoverito economicamente i Marocchini, frenato il suo sviluppo e disattivato per molto tempo i partiti politici, convertiti in altoparlanti e portavoci del regime, in portinai del dogma ufficiale. Il progressista marocchino che capisce e appoggia la legittima rivendicazione dei Palestinesi, si trasforma in un intollerante incapace di aprire un dibattito argomentato con un indipendentista su questa questione. Come se i principi e i precetti universali che ci servono per difendere cause altrui, non avessero la stessa validità morale quando si tenta di applicarli a casa nostra”. A. Lmrabet, Il “nostro” Sahara e quello “degli altri”, El Mundo, 13 gennaio 2007.

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L’Alto Commissariato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, dopo aver visitato nel maggio 2006 i territori occupati del Sahara occidentale e i campi profughi, ha dichiarato: “Quasi tutte le violazioni dei diritti umani nei confronti del popolo sahrawi derivavano dalla non applicazione del diritto all’autodeterminazione”, come stabilito dalla Convenzione internazionale dei diritti civili e politici. Un debole, seppur importante segnale viene dal Marocco, attraverso l’Associazione Marocchina di difesa dei Diritti Umani (AMDH), che, come ho già sottolineato, non manca di esprimere la sua inquietudine su quanto accade nelle carceri marocchine e chiede la liberazione di tutti i prigionieri sahrawi.

Di fronte alla presa di coscienza, sempre più forte, dei cittadini sahrawi nelle zone occupate, le autorità marocchine moltiplicano il controllo repressivo mediatico e militare, imposto sul territorio. Dal Marocco arrivano forti contingenti di militari, le città sono accerchiate e in stato d’assedio. Le repressioni contro i manifestanti sono sempre più brutali, così come le pressioni esercitate sui prigionieri liberati sono all’ordine del giorno: arresti di giovani, rapimenti, sparizioni forzate, persecuzioni, intimidazioni, emigrazione forzata, licenziamenti.

Malgrado lo Stato marocchino si sia reso colpevole di vessazioni flagranti contro la popolazione civile sahrawi, questa non ha mai fatto ricorso ad azioni terroristiche per affermare i propri diritti, nonostante i tentativi della propaganda marocchino di farlo credere. Diversi documenti segreti nordamericani rivelati attraverso wikileaks, che riguardano il Sahara occidentale e il Marocco.

Nei documenti inviati dal vice-ambasciatore presso l’Ambasciata americana in Algeria, Michael Bosshart, il 16 dicembre 2009, pubblicati da Wikileaks e riportati dal quotidiano spagnolo “El País” si legge:

1) La R.A.S.D., lo Stato creato dal Polisario, è uno Stato aperto e tollerante mentre la propaganda marocchina è solita affermare che la Repubblica sahrawi è un prodotto della “guerra fredda”, che la popolazione sahrawi che vive nei campi di rifugiati di Tindouf è “sequestrata” e che lì esiste un regime “stalinista”. Nella documentazione americana si dimostra che queste dichiarazioni sono false: “(…) una chiesa del Wisconsin partecipa a progetti educativi e agricoli nei campi di rifugiati sahrawi (…). I leader religiosi sahrawi, da diversi anni, chiedono ai nordamericani di partecipare a un seminiario annuale sul dialogo interreligioso (…) un motivo per assicurarsi l’appoggio delle ONG e delle forze politiche occidentali. 2) Il Sahara occidentale, sotto controllo del Fronte Polisario, è un territorio sicuro: la propaganda marocchina insiste sul “pericolo” per la nostra “sicurezza”, il che fa supporre che l’esistenza di un futuro Sahara occidentale indipendente può essere considerato un

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pericolo. I documenti segreti nordamericani dimostrano invece che la R.A.S.D. sa controllare il proprio territorio. Nella comunicazione del 16 dicembre 2009 si legge: “il Polisario controlla e amministra bene il proprio territorio, ma come nel caso dell’Algeria, non può vigilare ogni millimetro di un territorio tanto esteso (…) non ci sono stati incidenti nei confronti degli occidentali nei campi di rifugiati, nonostante le basi degli estremisti non siano lontane. (…) Per ragioni di sicurezza e per evitare l’ingresso di spie (…) il Polisario controlla attentamente coloro che vogliono trasferirsi nei campi di rifugiati (…), queste persone sono trattenute in un luogo sicuro per una/due settimane, fino a quando la loro identità non è stata verificata.” 3) Il Fronte Polisario persegue e punisce nel suo territorio i traffici con gli islamisti: la propaganda marocchina accusa il Fronte Polisario di essere implicato in un gran numero di “traffici illegali” nella regione. Questa, secondo il Marocco, è un’ulteriore ragione per non favorire la costituzione di uno Stato sahrawi indipendente. Nella documentazione del 16 dicembre 2009 si legge: “il governo del Polisario punisce severamente i trafficanti di armi e le persone che possono aiutare i terroristi. (…) Con l’approvazione del Polisario elicotteri algerini hanno attaccato i veicoli (che probabilmente trasportavano merce di contrabbando dalla Mauritania a una base dell’AQMI a sud di Tindouf) per dare un messaggio chiaro ai sahrawi e agli algerini di non farsi trascinare in questo tipo di affari”. 4) Il Fronte Polisario non solo non è un alleato degli estremisti islamici, ma è un loro nemico: la propaganda marocchina vuole far credere che i campi di rifugiati di Tindouf sono un covo di estremisti islamici. Per questo secondo il Marocco gli USA non dovrebbero appoggiare il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi. È il responsabile del Dipartimento di Stato americano contro il terrorismo che ha smentito pubblicamente queste calunnie che vengono sconfessate anche da questa documentazione segreta: il Fronte Polisario non ha alcun legame con Al-Qaeda e ha dimostrato di contrastare la diffusione del terrorismo islamico. Nel documento a questo proposito si legge: “Il Polisario limita l’accesso ai siti web di stampo estremista (…) In ognuno dei quattro campi c’è un internet-café dove i rifugiati possono vedere tutto quanto si trova in Internet, compreso siti pornografici e stampa marocchina, ma non siti estremisti. Chiunque sia sorpreso a consultare questi siti viene interrogato e sottoposto a una stretta sorveglianza”.

I diplomatici nordamericani non danno alcun credito alla propaganda marocchina, quando afferma che il Fronte Polisario e i Sahrawi possono essere implicati in atti di terrorismo islamico, non vi è alcun indizio della presenza di salafiti o di Al Qaeda tra la popolazione sahrawi.

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Per quanto riguarda il Marocco, l’ambasciatore americano a Rabat, nell’agosto 2008 invia un rapporto sulle Forze Armate Reali (F.A.R.) che sono descritte come poco operative, corrotte, controllate dal re, seppur in passato siano state in grado di organizzare du colpi di stato contro Hassan II. I diplomatici hanno sottolineato le voci riguardanti il generale Bennani, ispettore generale dell’esercito e comandante in capo del settore sud, che incassa buona parte dei proventi relativi ai contratti militari e possiede una gran parte delle navi che pescano nel mare di fronte al Sahara occidentale, il cui sfruttamento è considerato dall’ONU illegale. Il vero rischio per la monarchia proviene proprio dall’esercito, che amministra concretamente il Paese. Vale la pena sottolineare che nei documenti segreti non si parla di Sahrawi implicati in attentati terroristici, ma di Marocchini coinvolti in azioni terroristiche di grande e piccola entità, come l’assassinio del cineasta olandese Theo van Gogh.721

La forza e il sostegno internazionale di cui gode il Fronte Polisario, gli derivano dal ripudio del terrorismo come mezzo di lotta. Anche durante la lotta armata, dal 1975 al 1991, i guerriglieri del Fronte Polisario non hanno mai attaccato obiettivi civili.

La forza del movimento sahrawi è nella legittimità delle sue rivendicazioni, conformi al diritto internazionale, nel sostegno internazionale di cui gode la RASD, grazie al rifiuto del terrorismo e alle pratiche di resistenza nonviolenta, nella coesione e nei nuovi meccanismi di gestione democratica espressi dal popolo sahrawi, che vive sotto occupazione e in esilio.

6.8. La scelta nonviolenta del popolo sahrawi

Così come i movimenti di resistenza sudafricani e palestinesi, la leadership sahrawi in esilio ha riconosciuto l’importanza crescente della resistenza interna al Paese. Il 20 maggio 2003, il Presidente della R.A.S.D. ha dichiarato nel suo discorso, in occasione del trentesimo anniversario del Fronte Polisario, che la resistenza sahrawi, nonostante la repressione, continua a rafforzarsi e il popolo sahrawi nei territori occupati, nei campi profughi e nel sud del Marocco, continua a resistere e a dimostrare una volontà e una determinazione ben salde. Le manifestazioni nei territori occupati sono la prova tangibile di questa volontà di resistere all’oppressione. Abdelaziz non può fare a meno di rendere omaggio a tutti coloro che perseverano nell’azione militante nei territori occupati e

721 Theodoor “Theo” Van Gogh, regista e attore, il 2 novembre 2004 è stato assassinato ad Amsterdam da Mohammed Bouyeri, un estremista islamico, in possesso di doppia cittadinanza marocchina e olandese, vestito con una djellaba (indumento tradizionale arabo per rimarcare la sua appartenenza culturale), gli ha sparato otto colpi di pistola e successivamente gli ha tagliato la gola per eseguire una fatwa (spesso interpretato come sentenza di condanna a morte di una persona da parte della comunità Islamicalegata alla pubblicazione del suo cortometraggio Submission ("Sottomissione", uno dei possibili modi di tradurre il termine arabo "Islam"). Da Wikipedia, sito web: www.wikipedia.org. 301 nel sud del Marocco e dovunque i Sahrawi continuino a esprimere pacificamente la loro opposizione all’occupazione marocchina”722

Da queste parole si evince che il Fronte Polisario, nonostante la dialettica interna e le spaccature, continua a essere un movimento caratterizzato da una forte unità. Fronte Polisario e popolo sahrawi s’identificano nello stesso ideale: l’autodeterminazione e la liberazione del Sahara occidentale. Questa coesione, fondamentale nella lotta di liberazione, è minacciata quotidianamente dal Marocco che cerca in ogni modo possibile di conquistare tra i Sahrawi dei simpatizzanti pro-Marocco.

Attraverso metodi nonviolenti, i Sahrawi cercano di provocare la reazione delle forze di occupazione, che si trovano in grande difficoltà a dover affrontere dimostranti nonviolenti e non eserciti e/o militanti armati. Le reazioni delle forze di polizia alle manifestazioni pacifiche, ai manifestanti che disegnano o lanciano sui fili dell’elettricità bandiere sahrawi, a donne e uomini che camminano per le strade con gli abiti tradizionali sono spesso violente e una volta diffuse attraverso internet suscitano, inevitabilmente, l’indignazione dell’opinione pubblica internazionale.723

Non sorprende che le forze occupanti facciano riferimento a misure estreme per evitare che certe informazioni siano diffuse a livello internazionale. I regimi impiegano spie e agenti provocatori per fare in modo che i dimostranti usino violenza. Spesso capita che il lancio di bottiglie incendiarie e sassi siano il pretesto per legittimare la violenza contro i manifestanti. È necessario isolare questi individui e svolgere un lavoro di autodisciplina tra i manifestanti, soprattutto tra i più giovani, perché non cadano nell’inganno. È d’importanza strategica lavorare con stimati intellettuali marocchini e con i movimenti della società civile per informare i Marocchini su quanto sta avvenendo in Sahara occidentale, per conquistare importanti alleati.724

Una pianificazione strategica di azioni, cioé un programma di attività adeguatamente studiate è indispensabile alla lotta nonviolenta. In questi quarant’anni di lotta i Sahrawi che vivono nei territori occupati e nei campi profughi hanno utilizzato una vasta gamma di metodi nonviolenti per resistere all’assimilazione o “marocchinizzazione”.

Chiave del successo del movimento per l’autodeterminazione di Timor est è stata la duplice

722 30° anniversario del Fronte Polisario, Discorso di Mohamed Abdelaziz Segretario generale del Fronte Polisario e Presidente della R.A.S.D., 20 maggio 2003, sito web: http:/archives.spsrasd.info. 723Gene Sharp, uno studioso della nonviolenza, ha chiamato “jiu-jitsu politico” il processo per cui l’uso della violenza da parte dell’avversario contro dimostranti disarmati finisce per indebolirlo a causa della perdita di legittimazione interna e internazionale. Nel “jiu-jitsu politico” l’uso della repressione violenta si ritorce contro l’avversario militarmente superiore. M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., p. 14. 724 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., pp. 14-15. 302 strategia di “internazionalizzare” e “indonesianizzare” della lotta, conducendo un’attiva pressione per far conoscere il caso di Timor est all’estero e agli indonesiani.725 I Sahrawi sono già impegnati dal 1975 nell’internazionalizzazione della loro lotta per l’autodeterminazione. Molti attivisti che vivono in altri Paesi sono riusciti a creare una massa di pressione sulle istituzioni nazionali e internazionali (si pensi al non rinnovo dell’accordo di pesca tra Unione Europea e Marocco). Per quanto riguarda la strategia della marocchinizzazione della lotta, gli studenti e gli attivisti sahrawi stanno, da tempo, collaborando con le organizzazioni di difesa dei diritti umani umani in Marocco, con giornalisti, con intellettuali e attivisti di sinitra, con movimenti della società civile.726

L’Intifada per l’indipendenza, che dura ancora oggi, è la dimostrazione che la monarchia marocchina non è riuscita con la violenza a soffocare la volontà e le idee dei Sahrawi.

Nel novembre 2009 Aminatou Haidar,727 presidente dell’Associazione CODESA (Collettivo dei Difensori Sahrawi dei diritti umani), la Gandhi sahrawi, rientra a El Aioun dopo un lungo giro per

725 M. J. Stephan e J. Mundy, Un campo di battaglia trasformato da una resistenza di guerriglia a lotta nonviolenta di massa nel Sahara occidentale, Journal of Military and Strategic Studies, Spring 2006, Vol. 8, Issue 3., pp. 16-17. 726 Nel corso della XII edizione del Social Forum Mondiale, tenutosi a Tunisi dal 26 al 30 marzo 2013. Il Forum ha dato voce a donne e uomini che, in ogni parte del mondo, lottano quotidianamente nelle loro comunità contro l’economia neoliberista e per la costruzione della democrazia, dell’uguaglianza, della solidarietà, della giustizia, della pace e per la difesa dei beni comuni. Il fatto che questa edizione del Forum si sia tenuta in Tunisia, Paese coinvolto nella primavera araba e che sta compiendo i suoi primi passi tra le Nazioni democratiche, è simbolo di una profonda aspirazione del popolo tunisino a essere tra coloro, che combattono per le nobili cause dell’umanità. Insieme a loro tanti giovani e giovanissimi provenienti dagli altri Paesi del Maghreb (Libici, Algerini, Marocchini, Mauritani e Sahrawi) che vogliono dare il loro concreto contributo alla costruzione del Maghreb dei popoli. 727 Aminatou non è nuova a proteste di questo tipo. L’ultimo sciopero della fame l’ha portato avanti per 50 giorni nel 2005, mentre scontava una condanna nella famigerata «prigione nera» di El Aioun. Questa signora di 42 anni, dal fisico esile ma dall’ostinazione d’acciaio, ha una lunga consuetudine con le carceri marocchine. Già ai tempi bui di Hassan II ha passato quattro anni detenuta senza vedere avvocati né essere sottoposta a processo. ““Sono disposta a passare anche vent’anni in carcere pur di lottare per il rispetto dei diritti umani nel Sahara occidentale". Simbolo della resistenza del popolo sahrawi, Aminatou Haidar ha uno sguardo dolce, sospeso tra la mitezza della madre di famiglia e la fierezza dell'attivista che non si piega, nonostante i lunghi anni di carcere, le torture, l'esperienza della "scomparsa". Perché Aminatou è un'ex desaparecida; aveva appena vent'anni quando, nel 1987, venne chiusa per tre anni e mezzo in un centro di detenzione ad El Aioun - capitale del Sahara occidentale occupato - all'insaputa della sua famiglia che la dava per morta. Nessun processo; nessuna accusa. La sua unica colpa: essere una donna sahrawi, fiera della propria identità. La sua voce pacata stride con il tenore del suo racconto. "Eravamo 364 detenuti, ammassati in celle minuscole e insalubri. Spesso ci picchiavano. Nessuno sapeva dove eravamo". Sono gli anni bui di Hassan II, il monarca despota che aveva eretto la repressione a sistema di governo. I militanti sahrawi sono arrestati in massa e fatti scomparire in bagni penali segreti. Fuori, infuria la guerra tra il Fronte Polisario, che lotta per l'indipendenza del Sahara occidentale, e i militari di Rabat. Finché, nel 1991, viene firmata una tregua: con la supervisione delle Nazioni unite, le due parti si impegnano a sottoporre la sorte del'ex colonia di Madrid - occupata dal Marocco nel 1975 - a un referendum. I detenuti sono liberati; un'ondata di euforia si diffonde tra il popolo sahrawi; l'Onu dispiega una missione per organizzare il voto. Ma è solo un fuoco di paglia: presto si capisce che Rabat farà di tutto perché la consultazione non abbia luogo. La colonizzazione del territorio sahrawi prosegue: enormi fondi vengono destinati allo sviluppo delle città del Sahara occidentale, segno che il Marocco è poco disposto ad abbandonare i luoghi. I Sahrawi aspettano, in un limbo che vede le famiglie divise da un muro impenetrabile; alcuni sono rimasti nella parte occupata, altri si sono rifugiati nei pressi di Tindouf, in Algeria, ammassati in campi profughi privi di tutto.” S. Liberti, "Noi Sahrawi reietti del mondo". Parla Aminatou Haidar, militante storica del Sahara occidentale, ex desaparecida nelle carceri marocchine. "L'Europa ci sta abbandonando per compiacere Rabat", Il Manifesto, 25 luglio 2006. 303 ritirare premi internazionali.728 All’aeroporto è interrogata, privata del passaporto e reimbarcata su un aereo diretto a Lanzarote, nelle Isole Canarie. Aminatou è espulsa dal Marocco. A Lanzarote Aminatou cerca di acquistare un biglietto aereo per El Aioun, ma non le è permesso tornare senza un documento di viaggio internazionale. L’attivista sahrawi accusa la Spagna di connivenza con il Marocco, è bloccata all’aeroporto di Lanzarote, dove inzia un lungo sciopero della fame durato più di trenta giorni, fino a quando non riesce a rientrare in Sahara occidentale, il 17 dicembre 2009.729 In questa vicenda la Spagna attraverso il Ministro degli Affari esteri, il socialista Miguel Angel Moratinos, si è dichiarata disponibile a offrire lo status di rifugiata ad Aminatou, facendo di fatto il gioco del Marocco, che in questo modo si sarebbe liberato di un problema. Ma Aminatou non vuole vivere in Spagna, ma vuole tornare nel suo Paese e lottare per la causa del suo popolo, a cui ha dedicato la sua esistenza.730

Questa iniziativa della monarchia marocchina s’inserisce nel quadro di una serie di azioni nei confronti degli attivisti per i diritti umani sahrawi. L’8 ottobre 2009, sette militanti sahrawi, tra cui ,731 vice presidente di CODESA (Collettivo dei Difensori Sahrawi dei Diritti umani) e Brahim Dahane, 732 presidente dell’ASVDH (Associazione delle Vittime di gravi

728 Aminatou ha ricevuto il Premio per i diritti umani della Fondazione Robert Kennedy e il premio al Coraggio civile della Fondazione Train ritirato a New York pochi giorni prima di imbarcarsi nel viaggio che si sarebbe concluso con la sua esplusione dal Sahara occidentale. 729 Nei giorni successivi, l’aeroporto di Lanzarote è al centro dell’attenzione mondiale, arrivano tanti messaggi di solidarietà da José Saramago, Rigoberta Menchu, , Javier Bardem, Manu Chau, Pedro Almodovar, Ignacio Ramonet, Carlos Taibo. In tutto il mondo si mettono in atto azioni di solidarietà e di sostegno. Il Sindaco di Napoli, Rosa Russo Iervolino, fa esporre sulla facciata del Palazzo municipale una gigantografia della foto di Aminetou, cittadina onoraria della Città di Napoli. 730 “Haminatu Haidar è tornata a casa. Partito da Lanzarote, alle Canarie, l’aereo con a bordo l’attivista saharawi – al centro di una disputa diplomatica tra Spagna e Marocco – è atterato a Elayoun, nel Sahara Occidentale. Haidar era in sciopero della fame da oltre 30 giorni. La donna, 43 anni, aveva iniziato la protesta dopo che le autorità di Rabat le avevano impedito di rientrare nel territorio marocchino al suo ritorno da un viaggio negli Stati Uniti. “E’ un trionfo – ha dichiarato la donna -, una vittoria per i diritti internazionali, per i diritti umani, per la giustizia internazionale e per la causa saharawi”. Haidar era stata espulsa da Elayoun dalle autorità di Rabat, privata del passaporto e messa su un aereo per le Canarie il 14 novembre. Condizione per il rientro: giurare fedeltà al Sovrano.” Euronews, Haminatu Haidar rientrata a casa, 18/12/2009, sito web: http://it.euronews.com/2009/12/18/haminatu-haidar-rientrata-a-casa. 731 Ali Salem Mohamed Salem El Mami (detto Tamek) è nato il 24.12.1973 ad Assa; è sposato e padre di una figlia nata nel 2000, a cui ha dato il nome di Thaouria (rivoluzione). Le autorità marocchine hanno rifiutato di registrarla nello stato civile col pretesto che questo nome non figura nello schedario dei nomi marocchini pubblicato dal Ministero dell’Interno. La non registrazione della bambina ha privato la famiglia dell’assegno famigliare previsto dalla legge marocchina. Funzionario dell’amministrazione di Touasgui (Assa), Tamek é stato arrestato nel 1992 e condannato insieme ad altri quattro giovani sahrawi dal tribunale marocchino di Tata a 5 anni di detenzione per aver tentato di raggiungere il Fronte Polisario. La pena è in seguito stata ridotta a due anni e nell’agosto 1994 Tamek ha ottenuto la grazia. E’ stato nuovamente arrestato a Dakhla nel 1997 e dopo la sua liberazione, grazie alle pressioni internazionali, ha ricevuto l’ordine di lasciare Assa-Zak per raggiungere Meknes, ordine che ha rifiutato. Il 26 agosto 2002 viene arrestato una terza volta a Rabat è stato trasferito nella prigione di Inezgane dopo pochi giorni, dove rimane fino al 7 gennaio 2004. Tamek è stato riconosciuto prigioniero di opinione da Amnesty International, che ha lanciato la campagna per la sua liberazione. Nel 2005 Tamek é di nuovo minacciato dalle forze di occupazione marocchine che hanno montato contro di lui una campagna isterica di diffamazione e al rientro di un lungo viaggio in Europa al suo rientro in Sahara occidentale è nuovamente arrestato il 18 luglio 2005 accusato di aver istigato la rivolta. E’ stato liberato il 22 aprile 2006. 732 Brahim Dahane il 3 novembre 2010 riceve un premio per i diritti umani dal governo svedese, il giorno successivo Rabat ha preteso l’allontanamento del numero due dell’ambasciata svedese in Marocco. S. Liberti, Aminatou Haidar - 304

Violazioni dei Diritti Umani commesse dallo Stato marocchino) sono arrestati al rientro da un viaggio negli accampagmenti di Tindouf. 733 Detenuti nel carcere di Salé, sono processati a Rabat con l’accusa di aver attentato alla sicurezza dello Stato, in un primo momento da un Tribunale militare, che potrebbe condannarli alla pena di morte, in seguito da un Tribunale penale.734 Pochi giorni dopo l’arresto re Mohammed VI pronuncia un discorso in cui condanna i “traditori dell’integrità nazionale”.735 Cresce intanto la mobilitazione internazionale per gli attivisti sahrawi: attraverso appelli, raccolta di firme, petizioni si chiede giustizia e la clemenza al governo marocchino. Il 28 gennaio 2010 il Tribunale militare di Rabat concede la libertà provvisoria (per motivi di salute) all’unica donna del gruppo, Dagia Lachgar. Nel frattempo altri militanti sahrawi pongono in essere provocazioni nei confronti del governo marocchino: tra il 21 e il 22 febbraio 2010, undici attivisti partono alla volta dei campi di Tinduf, ripercorrendo esattamente lo stesso percorso e ripetendo gli stessi incontri dei sette arrestati l’8 ottobre. L’8 marzo rientrano in Marocco e, non solo non sono arrestati, ma nessun organo di informazione fornisce la benché minima notizia sul loro viaggio. Una differenza abissale rispetto alla campagna mediatica ossessiva che ha accompagnato l’arresto dei sette nell’ottobre precedente. Altri gruppi di attivisti ripetono la medesima “provocazione”, con analoghi risultati. La repressione, piuttosto che farsi più forte,

L’attivista espulsa dal Marocco e bloccata in Spagna - La sequestrata dell’isola Lanzarote, Il Manifesto, 25 novembre 2009, p. 9. 733 Il Ministro della Comunicazione Marocchino, , il 12 ottobre, dichiara che gli attivisti sahrawi Brahim Dahane, Ali Salem Tamek, Ahmed Naciri, Degja Lechgar, Yahdih Ettarouzi, Saleh Lebeihi, Rachid Sghair sono stati arrestati e saranno giudicati da un Tribunale militare perché accusati di alto tradimento e di aver minacciato l’integrità territoriale e la sicurezza interna del Marocco. C. Terzi, Rapporto visita a Casablanca 14-16 ottobre 2010. 734 Gli attivisti sono accusati di attentato alla sicurezza interna del Marocco, ai sensi dell’articolo 206 e 207 del Codice Penale marocchino, reato punito con la condanna da uno a cinque anni di prigione e con un’ammenda da 1000 a 10.000 dirham. Art. 206 C.P.: “E’ colpevole di attentato alla sicurezza interna dello Stato e punito con la prigione da uno a cinque anni e di una ammenda da 1000 a 10.000 dirham chiunque, direttamente o indirettamente, riceva da una persona o da una organizzazione straniera e sotto qualsiasi forma dei doni, dei presenti, prestiti o altri vantaggi destinati o impiegati in tutto o in parte a condurre o remunerare in Marocco una attività o una propaganda di natura tale da recare offesa alla integrità, alla sovranità o all’indipendenza del Regno o a minare la fedeltà che i cittadini devono allo Stato e alle Istituzioni del popolo marocchino”. Art. 207 C.P.: “Nei casi previsti dall’articolo precedente, deve essere obbligatoriamente disposta la confisca dei fondi o degli oggetti ricevuti. Il colpevole può inoltre essere interdetto, in tutto o in parte, dall’esercizio dei diritti previsti all’art. 40 (diritti civici, civili e familiari)”. C. Terzi, Rapporto visita a Casablanca 14-16 ottobre 2010. 735 Il 6 novembre 2009, in occasione del 34° anniversario della Marcia verde il re Mohammed VI dice nel suo discorso: “E’ venuto il tempo che tutte le autorità pubbliche moltiplichino la vigilanza e la mobilitazione per contrastare, con la forza della legge, ogni attentato alla sovranità della nazione e per preservare, con tutta la fermezza necessaria, la sicurezza, la stabilità e l’ordine pubblico, che costituisce l’unica garanzia per l’esercizio delle libertà”. Il discorso, diffuso integralmente dalla radio e dalla televisione, conteneva altresì l’invito, rivolto a tutti i Marocchini, “ad opporsi ai complotti orditi contro la marrochinità del nostro Sahara”. “L’intelligenza col nemico costituisce alto tradimento”, proseguiva il discorso, facendo così esplicita allusione al gruppo di sette Sahrawi, definiti dalla stampa marocchina “separatisti dell’interno”. “Non v’è più spazio per l’ambiguità e la doppiezza: o il cittadino è marocchino o non lo è. E’ finito il tempo del doppio gioco e della debolezza. E’ l’ora della chiarezza e dell’assunzione di responsabilità. O si è patrioti o si è traditori. Non c’è una via di mezzo tra patriottismo e tradimento”… “Non si può beneficiare dei diritti di cittadinanza, e allo stesso tempo rinnegarli complottando coi nemici della patria”…“Quanto agli avversari della nostra integrità territoriale e quelli che si muovono nel loro ambiente, essi sanno benissimo che il Sahara è una causa cruciale per il popolo marocchino”. Il discorso reale si concludeva con la riaffermazione che il re è il “depositario e il garante della sovranità, dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale” del Marocco. Il discorso del re, sito web: http://www.ossin.org. 305 sembra attenuarsi: il 18 maggio 2010 sono scarcerati anche Yahdih Ettarouzi, Saleh Lebeihi, Rachid Sghair. Il 14 aprile 2011, dopo un anno, sei mesi e sei giorni di carcere, gli ultimi tre attivisti sahrawi arrestati al rientro da un viaggio nei campi profughi di Tindouf, Brahim Dahane, Ali Salem Tamek e Ahmed Naciri, sono liberati senza alcuna sentenza. Un processo politico che le autorità marocchine non hanno avuto la forza di concludere.

Questa vicenda oltre a intrecciarsi con altri importanti avvenimenti: il tentativo di espulsione di Aminatou Haidar da El Aioun, la breve vita del campo della dignità di Gdeim Izik e la cosiddetta Primavera araba, che scuote i governi e le élites di tutti i Paesi del Maghreb e non solo. Secondo il rapporto di Ossin (Osservatorio Internazionale per i diritti), il processo ai sette militanti sahrawi è stato una farsa, il tentavito fallito del governo marocchino di risolvere con la forza le contraddizioni sollevate dall’occupazione illegale del territorio del Sahara occidentale. Esso solleva questioni rilevantissime di carattere giuridico: la pretesa di un obbligo di “fedeltà” da parte di un popolo sottoposto a un’occupazione illegale, e altrettanto di pari rilevanza sul piano politico e della difesa dei diritti umani. 736

6.9. Il campo della dignità di Gdeim Izik e la primavera araba

Dopo trentacinque anni di occupazione del Sahara occidentale e di fronte al saccheggio illegale delle risorse del territorio, i Sahrawi, oppressi dalle forze di sicurezza marocchine, sono tornati nel deserto con una manifestazione di disobbedienza civile, che ha coinvolto in poche settimane migliaia di cittadini sahrawi. A partire dal 10 ottobre 2010 alle ore 10.00 del mattino737 si è formata progressivamente a circa 12 Km dalla città di El Aioun, la capitale del Sahara occidentale, una tendopoli che ha riunito 8.000 tende e ospitato circa 20.000 Sahrawi,738 provenienti da diverse parti del Paese. Una protesta finalizzata a denunciare all’opinione pubblica e alla comunità internazionale le continue discriminazioni che il popolo sahrawi subisce quotidianamente e a rivendicare migliori condizioni sociali ed economiche per il popolo sahrawi. Le notizie, da quello che è ricordato come il “campo della dignità”, sono scarse perché non è consentito l’ingresso nei territori di osservatori internazionali e di giornalisti. I militari marocchini lo tengono strettamente sorvegliato, lo hanno circondato da un muro di terra, lasciando libero un solo varco d’ingresso. Controllano scrupolosamente ogni auto in ingresso, per non permettere l’accesso agli stranieri, in particolare ai giornalisti, ai quali per poter entrare si richiede una speciale autorizzazione, che però il Ministero

736 N. Quatrano, Finalmente liberi, sito web: www.ossin.org. 737 La data non è stata scelta a caso. La carovana di auto (80 all’inizio ognuna delle quali portava cinque tende), si è mossa da El Aioun alle 10 di mattina del 10/10/2010, sottolineano i membri del comitato, quasi a voler dare una simbologia cabalistica al loro gesto. S. Liberti, La tendopoli che sfida Rabat, inviato a Gdeim Izik, Il Manifesto, 6 novembre 2010, p. 2. 738 S. Liberti, La tendopoli che sfida Rabat, inviato a Gdeim Izik, Il Manifesto, 6 novembre 2010, p. 2. 306 della comunicazione di Rabat non rilascia a nessuno.739 Nel giro di poche settimane il campo si è ingrandito, alle prime tende se ne sono aggiunte presto altre, con gente proveneiente da ogni parete del Sahara occidentale. Quello che i Marocchini hanno considerato all’inizio un episodio di scarsa rilevanza, si è dimostrata un’iniziativa di grande importanza, capace di coinvolgere migliaia di persone provenienti da tutto il Sahara occidentale. I Marocchini una volta che si sono resi conti della situazione hanno cominciato a impedire l’accesso al campo.

Gli organizzatori del campo di Gdeim Izik erano tutti giovani di circa trent’anni, che in per poche settimane hanno avuto la sensazione di vivere in un pezzetto di Sahara libero. Questi ragazzi non sono noti attivisti, ma semplici civili, che per evitare che la situazione possa essere strumentalizzata dal governo marocchino hanno chiesto agli attivisti di non prendere parte alla contestazione. Lo spirito della protesta non riguardava infatti l’autodeterminazione del popolo sahrawi, materia dei negoziati politici tra Marocco e Fronte Polisario, ma rivendicazioni di carattere socio-economico dei giovani in qualità di portavoce di un malessere diffuso, che la monarchia marocchina fatica a gestire. Rabat ha invece accusato i Sahrawi dei territori occupati di essere strumento del Fronte Polisario e del suo protettore, l’Algeria, e ha cercato di smorzare la protesta offrendo lavoro e terreni a coloro che non avessero accettato di lasciare le città per unirsi alla protesta. Nonostante tutto il malcontento invece di affievolirsi continua a rafforzarsi, soprattutto dopo il blocco mediatico messo in atto dalle autorità marocchine, che il 26 ottobre 2010, hanno impedito a un gruppo di otto giornalisti spagnoli provenienti dalle Isole Canarie di raggiungere El Aioun e il “campo della dignità” per documentare la morte di un giovane sahrawi morto due giorni prima. 740 Il 24 ottobre 2010 inatti i militari marocchini hanno ucciso all’ingresso del campo un giovane sahrawi di 14 anni, Nayem El Garhi. Le autorità di Rabat hanno dichiarato di aver sparato per rispondere agli spari provenienti dal veicolo su cui stava viaggiando Nayem. La sorella del giovane smentisce categoricamente questa ricostruzione e dichiara che suo fratello non era armato, stava semplicemente rientrando nel campo dopo essere stato in città a procurarsi del cibo, insieme ad un piccolo gruppo di giovani sahrawi. La sorella racconta che il corpo di Nayem è stato seppellito di notte, senza il consenso e la presenza della famiglia. Evidentemente le autorità marocchine non hanno richiare che il funerale diventasse l’occasione per manifestare contro l’occupazione.

La protesta di Gdeim Izik e la morte del giovane El Garhi riaccendono i riflettori sulla situazione del Sahara occidentale. In Italia l’associaizone EveryOne chiede l’intervento dell’Alto Commissariato Onu per i Diritti Umani, Navi Pillay, mentre l’eurodeputato del Partito

739 Il giornalista Stefano Liberti è entrato nel campo della dignità nascosto sotto i sedili di un furgone sotto una coperta, sui quali erano seduti alcuni passeggeri. S. Liberti, La tendopoli che sfida Rabat, inviato a Gdeim Izik, Il Manifesto, 6 novembre 2010, p. 2. 740 S. Liberti, La tendopoli che sfida Rabat, inviato a Gdeim Izik, Il Manifesto, 6 novembre 2010, pp. 2-3. 307

Democratico, Guido Milana, sollecita una presa di posizione del Ministro degli affari esteri italiano Franco Frattini. 741

All’alba dell’8 novembre 2010 le ottomila tende dell’accampamento di Gdeim Izik sono smantellate, in modo brutale, dalle forze speciali marocchine. Seguono due giorni di sanguinosa guerriglia, al termine dei quali il governo marocchino annuncia un bilancio di una decina di morti e molti feriti, tutti (o quasi) tra i ranghi delle forze dell’ordine. Si tratta delle uniche – sebbene inaffidabili – cifre disponibili, ciò a causa del totale embargo mediatico e informativo decretaro dal governo di Rabat, realizzato attraverso l’espulsione di giornalisti e osservatori internazionali non graditi e l’arresto di centinaia di militanti sahrawi. 742

Per la BBC è stata “la protesta più violenta degli ultimi trentacinque anni di conflitto”. Il comandante della polizia regionale, Mohamed Jelmous, che supervisiona l’operazione, dichiara che lo sgombero è giustificato dalle informazioni in possesso del governo marocchino, secondo le quali Gdeim Izik è diventato il rifugio di militanti e attivisti indipendentisti, e non d’intere famiglie pacifiche che protestano per la miseria e le ristrettezze quotidiane. 743 El Aioun diventa una città in stato di assedio, isolata, con una massiccia presenza di soldati per le strade ed elicotteri che volteggiano sopra la città. Gli scontri si sono poi estesi alle altre città del Sahara occidentale, così ha annunciato nei giorni succesivi l’agenzia MISNA.

“La repressione é stata durissima. La gente ora ha paura e non vuole denunciare, io stessa sto cercando di incontrare le persone che erano al campo per convincerle a denunciare le violazioni subite, ma non è per niente facile. Quando io raccontavo della mia carcerazione forzata la gente pensava che esagerassi, ma dopo aver vissuto e visto la violenza sul campo di Gdeim Izik, la gente si è ricreduta, ha visto con i propri occhi di cosa è capace il regime marocchino. Oggi la convivenza tra Marocchini e Sahrawi é diventata più difficile. Prima i Sahrawi erano consapevoli che l’occupazione del Sahara era un problema politico e che la gente marocchina non aveva alcuna responsabilità, perché era vittima del sistema. Durante lo smantellamento del campo e nei giorni seguenti invece i coloni marocchini sono entrati nelle case dei Sahrawi e, sotto la tutela delle guardie marocchine armate, hanno distrutto ogni cosa. Per questo oggi la convivenza tra Sahrawi e Marocchini è divenuta più difficile. Sono arrivate dal nord del Marocco le forze speciali per intervenire arrestare, minacciare, torturare i giovani che avevano trovato la forza di reagire a questa situazione. Spesso alcuni Sahrawi raggiungevano i loro famigliari al campo nel fine settimana dopo il lavoro e la domenica sera rientravano in città. La mattina dell’8 novembre, dopo l’avviso delle forze speciali dell’imminente attacco al campo, soprattutto le donne e gli anziani hanno chiesto aiuto ai loro mariti e ai loro figli. La polizia ha bloccato tutte le strade che portavano fuori città, impedendo ai Sahrawi di raggiungere i propri famigliari nel campo.

741 R. Gonnelli, Ritorno al deserto. Così i Saharawi protestano contro il Marocco, l’Unità, 31 ottobre 2010. 742 Il campo della “dignità” di Gdeim Izik, www.ossin.org. 743 S. Nenni, Sahara Occidentale. Dove inizia e finisce la Primavera Araba?, Osservatorio Iraq Medioriente e Nordafrica, sito web: www.osservatorioiraq.it 308

Gajmula, una Sahrawi cresciuta nel Polisario, oggi parlamentare marocchina, ha denunciato la violenza della repressione con grande coraggio.

Sono stati i giovani sahrawi che hanno dal nulla organizzato il campo, con grande incredulità delle loro stesse famiglie, che non hanno mai pensato che i loro figli potessero essere capaci di tanto, invece hanno dovuto ricredersi. Hanno organizzato uno spazio di libertà, di rivendicazioni sociali ed economiche che non avrebbero mai pensato potesse essere represso così duramente dal Marocco. I giovani ora, sono molto abbattuti, distrutti, pieni di paura. Molti di loro sono spinti dai mafiosi marocchini a emigrare, con la complicità del capo della polizia (propongono il “due per uno”: pagano un viaggio ma possono emigrare in due con barche di fortuna), nonostante il Marocco riceva molti soldi da diversi Paesi europei per controllare l’emigrazione clandestina.

Dopo Gdeim Izik non è più possibile montare una tenda nel deserto, la polizia interviene immediatamente.”

Conversazione con Ghalia Djimi, vice presidente dell’ASVDH, El Aioun, 6 gennaio 2011.

Quella sensazione dei giovani sahrawi di essere per la prima volta padroni del proprio destino, è svanita all’alba dell’8 novembre 2010, nello stesso giorno in cui, a New York, ha inizio un nuovo round di negoziati tra il Fronte Polisario e il governo di Rabat, con la mediazione dell’inviato speciale delle Nazioni Unite, Christopher Ross. Dopo i fatti di Gdeim Izik, le parti sono ora più lontane che mai.

Durante una visita in Sahara occidentale con Pat Patfort 744 nel maggio 2011, ho raccolto la testimonianza di alcune famiglie di prigionieri sahrawi incarcerati durante e dopo lo smantellamento del “campo della dignità”. La moglie di Mohamed Bani (42 anni) ci racconta che suo marito è stato arrestato l’8 novembre 2010 e che suo suocero, il padre di Mohamed, è morto tre mesi dopo il suo arresto per il dispiacere. La donna ci racconta che:

“durante il campo di Gdeim Izik, Mohamed continuava a lavorare qui in città, i bambini erano qui con lui per andare a scuola e, solo per il fine settimana, raggiungevano la madre e altri della famiglia al campo. La domenica sera, prima dell’attacco al campo, Mohamed voleva rientrare in città, come ogni domenica, ma la sua auto è stata fermata dalla polizia. Già la domenica sera ci sono stati i primi disordini al campo e per Mohamed non c’è più stata la possibilità di uscire e lasciare il campo. Il lunedì la polizia ha smantellato il campo e ha incendiato delle tende. E’ a quel punto che Mohamed ha tentato di fuggire insieme alla sua famiglia, ma la polizia l'ha arrestato. 68 persone sono state arrestate al campo lunedì 8 novembre, e 160 nei giorni seguenti. La polizia l'ha picchiato e ha bruciato la sua macchina. Durante tutto il tempo, il campo è stato circondato da militari, poliziotti e da forze speciali. Mohamed è rimasto per una settimana nel carcere di El Aioun poi è stato trasferito nella prigione di Rabat. Solo dopo un mese è mezzo abbiamo potuto incontrarlo, ma Rabat dista 1.300 Km da El

744 Pat Patfort è un’antropologa, lavora sulla prevenzione, la gestione costruttiva e nonviolenta, la trasformazione dei conflitti. www.patpatfoort.be.

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Aioun, è quindi molto difficoltoso andare a trovarlo, soprattutto per la madre che è molto anziana. All’inizio potevamo vederlo una volta alla settimana per 10 minuti, adesso è possibile vederlo due volte alla settimana per 45 minuti. Siamo costretti ad affittare una casa a Rabat, altrimenti è troppo difficile fargli visita.

Durante le visite Mohamed ci ha raccontato di essere stato picchiato e torturato durante i primi cinque giorni di carcerazione. Ha subito torture di ogni genere, l'hanno fatto camminare su vetri rotti, l’hanno violato sessualmente.

Le accuse nei suoi confronti sono: formazione di banda criminale, omicidio volontario, violenza e attentato alla sicurezza del territorio marocchino. Il bilancio ufficiale dopo l’attacco a Gdeim Izik è, secondo le autorità marocchine, di undici morti, tutti militari. Tra i Sahrawi il bilancio, secondo la polizia marocchina è di un morto e un ferito, che però non vuole denunciare perché ha paura di essere arrestato. Oltre al giovane di 14 anni ucciso nell’ottobre del 2010, un mese dopo è stato ucciso un altro giovane sahrawi in città, Said Dumbar. La polizia dice che Said è morto per un incidente, lo ha colpito un proiettile che per errore è partito da un’arma di un poliziotto marocchino. La famiglia ha chiesto di realizzare l’autopsia sul corpo del ragazzo per conoscere la causa del decesso, ma le autorità marocchine non vogliono rilasciare l’autorizzazione. Tanti Sahrawi sono stati arrestati e torturati.

Io e le famiglie degli altri detenuti arrestati al ‘campo della dignità’ manifestiamo e organizziamo sit-in quattro giorni ogni settimana, per questo siamo sate picchiate, poi insultate, minacciate e molestate. A Rabat abbiamo manifestato davanti alla direzione penitenziaria con un pezzo di carta incollata alla bocca. Tra le famiglie presenti c’era anche quella di Hocine Zaoui, uno dei membri del comitato di dialogo del campo».

Le donne presenti ci mostrano le prove delle torture subite dai loro famigliari in carcere: c’è la foto di un’unghia, una djellaba con tracce di sangue e bruciature di sigarette. Ci raccontano delle torture che i prigionieri hanno subito durante i primi giorni della detenzione a El Aioun, alla presenza del governatore della città, del commissario della sicurezza nazionale e di altri responsabili:

“Gli hanno fatto bere dell'urina e strappato le unghie con una pinza. A Rabat prima sono stati in isolamento poi hanno subito nuove torture. In aereo verso Rabat sono stati stesi per terra con le manette e con la testa tra i piedi di una guardia e con i piedi di un’altra sulla schiena. Tutto questo aumenta la divisione tra Sahrawi e Marocchini”.

Amnesty International ha chiesto al Marocco di aprire in inchiesta indipendente, per fare luce sui fatti avvenuti a Gdeim Izik, che hanno causato morti e feriti. Secondo le autorità marocchine sarebbero morte otto persone, sette Marocchini e un Sahrawi. 745 L’Unione Europea, attraverso l’Alto rappresentante per la politica estera Catherine Ashton, ha deplorato gli incidenti di El Aioun ed espresso grande preoccupazione per l’ondata di violenza. Il Parlamento europeo il 25 novembre

745 Amnesty International, Le Maroc doit enquêter sur les événements ayant fait plusieurs morts dans un camp de protestataires au Sahara occidental, 11 novembre 2010, sito web: www.amnesty.org. 310

2010, ha approvato a larghissima maggioranza una risoluzione che condanna l'assalto delle forze armate marocchine contro il campo Izik Gdeim e chiede alle Nazioni Unite di monitorare i diritti umani in Sahara occidentale.746 Preoccupazione per quanto accaduto è stata espressa anche dal Ministro degli Affari esteri italiano, Franco Frattini.747

Secondo il sociologo statunitense Noam Chomsky la protesta dei Sahrawi è l’inizio della Primavera araba, che ha radici profonde, la regione, infatti, è in fermento da anni. Il noto intellettuale americano, intervistato in un programma di al Jazeera sul cambiamento in atto nel mondo arabo e sulle sue possibili conseguenze su tutta l’area, il 21 febbraio 2011, esattamente il giorno successivo alla costituzione del movimento di protesta “20 febbraio” in Marocco, 748 alla domanda se gli Stati Uniti siano davvero consapevoli di ciò che stava accadendo ha risposto: "È difficile credere che non lo siano. Voglio dire, su internet si può leggere tutto (…) non si tratta soltanto di manifestazioni nate in questi giorni. L’attuale ondata di proteste, in verità, ha avuto inizio lo scorso novembre nel Sahara Occidentale, quando le forze marocchine repressero una manifestazione pacifica, distruggendo tende, uccidendo dei civili e arrestando centinaia di persone". Secondo Chomsky, le proteste nate nel campo di Gdeim Izik hanno le stesse radici di quelle tunisine. La protesta nonviolenta contro l’occupazione illegale del Sahara occidentale è stata soffocata in modo violento dall’esercito marocchino, la Francia è intervenuta per bloccare l’avvio di un’inchiesta del Consiglio di sicurezza sui crimini del suo alleato, poi in Tunisia si è accesa una fiamma, che ormai è diventata un incendio.

746 “L'eurodeputato Luigi De Magistris (uno dei proponenti della mozione) ha dichiarato: "Continueremo a monitorare con attenzione il comportamento delle parti, che potrebbero influire sul nostro consenso a rinnovare nuovamente l'accordo di pesca Ue con il Marocco, il prossimo marzo 2011", sito web: www.ossin.org 747 P.M. Alfieri, L’ultimo muro. Saharawi. Nel campo della dignità sgomberato con la forza, Avvenire, 10 novembre 2010, p. 3. 748 Il movimento marocchino “20 Febbraio”, nato nel 2011 nel contesto della Primavera araba, manifesta con regolarità in tutte le città del Paese contro il regime reale per chiedere la fine del monopolio reale sulla sfera di potere – politica, economica, religiosa – e riforme sociali radicali. Sebbene la frequenza delle iniziative e l’adesione siano in calo, anche a causa della durissima e impunita repressione statale, il movimento continua ad essere considerato un problema dal regime. Prova ne sono le condanne. A metà settembre 2012 il Tribunale di Casablanca ha condannato sei militanti del “20 febbraio” per aver preso parte a una manifestazione non autorizzata. Secondo l’Associazione marocchina dei diritti umani (AMDH) sarebbero oltre settanta i membri del movimento attualmente detenuti nelle prigioni del regno. A questi vanno aggiunti gli 8 morti e i 70 feriti degli ultimi mesi. Dentro le carceri, invece, continua lo sciopero della fame degli attivisti in carcere, per richiedere maggiore giustizia fuori dalle galere e una radicale riforma del sistema carcerario, oggi duramente criticato persino da Juan Mendez, inviato speciale sulla torutra dell’Onu, che ha registrato il ricorso sistematico a torture e intimidazioni di ogni genere. Marocco: il movimento 20 febbraio resiste, fra piazza e repressione, 29 settembre 2012, sito web: www.radiondadurto.org. Bachir Benchaib è stato condannato dalla Corte d’Appello di Al Hoceina a 12 anni di prigione per aver partecipato ad una manifestazione non autorizzata. Egli è stato anche accusato di furto, aggressione e traffico di droga, delitti che risalirebbero al 2004 e che il suo avvocato contesta energicamente. R. Lavaud, Maroc, Bachir Benchaib, un militant du mouvement du 20 février condamné à 12 ans de prison, in Flashes d’actualités africaines, Aujord’hui l’Afrique, n. 126 – décembre 2012, p. 32.

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A El Aioun le rivendicazioni economiche, sociali e politiche si mescolano. “Non si possono distinguere i problemi – spiega l’attivista per i diritti umani sahrawi Hassan Duihi – i Sahrawi, che ormai sono meno del 20% della popolazione che vive in Sahara occidentale, sono marginalizzati. Le autorità distribuiscono terre, case, posti di lavoro, buoni che sovvenzionano fino al 50% i prodotti di prima necessità. Ma si ha diritto a tutto questo solo se si é considerati dei bravi Marocchini. Se si milita per il rispetto dei diritti umani, se si esprimono opinioni indipendentiste, allora si viene discriminati”. A El Aioun il primo datore di lavoro è la funzione pubblica. I giovani laureati hanno prospettive assai limitate. Oltre agli impieghi pubblici, vi sono la pesca e i fosfati della miniera di Boucraa. Nonostante i forti incentivi, gli investitori privati latitano. L’università più vicina è ad Agadir, che dista 700 km. Nonostante i forti investimenti pubblici degli ultimi anni, per recuperare i ritardi, El Aioun soffre tuttora di un forte isolamento. “Il Sahara poggia su un barile di polvere, ritiene Lakhal Mohamed Salem, componente del Collectif des défenseurs sahraouis des droits de l’homme (CODESA). Fino a quando non si avrà una soluzione giusta e definitiva, ci sarà sempre il timore di scontri e di una deriva estremista, di segno nazionalista o fondamentalista. Noi, invece, abbiamo bisogno di una soluzione democratica.”749

Fare un reale bilancio degli scontri avvenuti tra l’8 e il 10 novembre 2010 è probabilmente impossibile: le cifre ufficiali divulgate dalle autorità marocchine parlano di quattordici morti, undici dei quali appartenenti alle forze dell’ordine. I loro nomi, divulgati dalla MAP (l’Agenzia di stampa marocchina) nel novembre 2010, sono: Nour Eddine Ouderhm, Med Ali Boualem, Yassine Bougataya, Abdelmoumen Ennchioui, Oulaid Ait Alla, Badr Eddine Torahi, Abdelmajid Adadour, Belhouari Anas, Bentaleb Lakhtil, Mohamed Najih, Ali Zaari.

Le vittime civili sahrawi sono Brahim Guergar Ould Med Ould Hammadi, pensionato della OCP (la compagnia che estrae fosfati nel Sahara occidentale occupato) e Brahim Daoudi, che sarebbe morto per “soffocamento”. A questi i Sahrawi si aggiunga una terza vittima civile, Nayem El Garhi, ucciso dalla gendarmeria reale il 24 ottobre 2010, che secondo le autorità marocchine faceva parte di una banda di criminali, che stava tentando di entrare con la forza nel campo. Nel suo rapporto al Consiglio di sicurezza dell’ONU, Ban Ki-Moon parla di un giovane “abbattuto dalle forze marocchine il 24 ottobre all’ingresso del campo, in circostanze non chiarite”.

Gli esiti delle inchieste ufficiali aperte dalle autorità marocchine di occupazione su queste morti non sono state rese pubbliche. Nei giorni successivi allo smantellamento del campo, il governo del

749 C. Marot, Niente “primavera araba” per il Sahara occidentale. Il Sahara poggia su un barile di polvere, 20 gennaio 2012, sito web: www.ossin.org. 312

Marocco ha impedito l’ingresso nei territori agli osservatori e ai giornalisti indipendenti, opponendosi anche all’apertura di un’inchiesta internazionale sui fatti.

Le inchieste aperte sulle uccisioni dei civili sahrawi non hanno portato ad alcuna incriminazione e i loro esiti non sono stati resi pubblici. Ma – ciò che più inquieta – è che i cadaveri delle vittime non sono stati sottoposti ad autopsia, salvo quello del caporale Aljatib Bint Ihalib. Tutti i familiari delle vittime inoltre, sia Marocchine che Sahrawi, concordano nel dichiarare che le autorità non hanno permesso loro di visionare i corpi dei loro congiunti, che sono stati seppelliti in tutta fretta, senza che nessuno potesse vederli. Un piccolo giallo riguarda il riferimento contenuto nell’ordinanza di rinvio a giudizio all’unica autopsia effettuata. E’ quella sul corpo del caporale Aljatib Bint Ihalib, il cui nome – salvo errori di trascrizione dalla lingua araba – non compare nell’elenco dei militari uccisi, divulgato dalla MAP.750

I prigionieri sahrawi, tutti civili, sono stati man mano liberati, sono rimasti in carcere a Salé 24 di loro, quelli considerati più pericolosi. (relazione viaggio maggio 2011).

Dopo un anno di carcerazione preventiva sono cominciati i rinvii, che dal 13 gennaio 2012 hanno spostato la prima udienza del processo al 1° febbraio 2013. Intorno alle 3 del mattino del 17 febbraio 2013, il Tribunale militare delle Forze Armate Reali di Rabat emette il suo verdetto: nove condanne all’ergastolo, quattro condanne a trenta anni, otto condanne a venticinque anni, due condanne a venti anni. Per altri due imputati la pena è stata commisurata alla detenzione preventiva.751

Ecco l’elenco completo: Abhah Sidi Abdellah (ergastolo) Al Ismaïli Ibrahim (ergastolo) Al Ayoubi Mohamed (20 anni, attualmente in libertà provvisoria) Almachdoufi Ettaki (pena commisurata alla carcerazione preventiva sofferta - scarcerato) Alyae Hassan (ergastolo - latitante, condannato in contumacia) Asfari Ennaama (30 anni) Banga Chikh (30 anni) Bani Mohamed (ergastolo) Boubit Mohamed Khouna (25 anni) Bouryal Mohamed (30 anni)

750 Rapporto sul processo contro 24 imputati saharawi per i fatti di Gdeim Izik, 25 febbraio 2013, pp. 4-5, sito web: www.ossin.org 751 Rapporto sul processo contro 24 imputati saharawi per i fatti di Gdeim Izik, 25 febbraio 2013, pp. 14-16, sito web: www.ossin.org. 313

Boutankiza Mohamed Lbachir (ergastolo) Dah Hassan (30 anni) Dich Eddafi (25 anni) El Bakkay Laarbi (25 anni) Faqir Mohamed (25 anni) Haddi Mohamed Lamine (25 anni) Khadda Lbachir (20 anni) Laâroussi Abdeljalil (ergastolo) Lakhfawni Abdallah (ergastolo) Lamjid Sidi-Ahmed (ergastolo) Sbaï Ahmed (ergastolo) Tahlil Mohamed (25 anni) Toubali Abdellah (25 anni) Zaoui Lahcen (25 anni) Zayyou Sidi Abderrahman (pena commisurata alla carcerazione preventiva sofferta - scarcerato).

Nonostante il tentativo da parte dell’autorità giudiziaria marocchina di voler dare l’idea di un processo giusto ed equo nei confronti degli imputati, forti sono i dubbi espressi dai numerosi osservatori internazionali intervenuti ai vari dibattimenti.

Particolari perplessità sono scaturite dall’estensione della giurisdizione penale militare alle condotte di civili e delle scarse garanzie procedurali fondamentali, così come rilevato anche dal Comitato per i Diritti Umani delle Nazioni Unite, la Corte americana per i Diritti dell’Uomo e la Corte Europea per i Diritti Umani. In particolare, come disposto a livello universale da parte del Comitato per i Diritti Umani dell’ONU, consentire ai Tribunali militari di processare civili solleva seri dubbi in relazione ad un’equa, indipendente e imparziale amministrazione della giustizia. 752 Estendere pertanto la giurisdizione militare ai civili costituisce una violazione del diritto fondamentale di ogni individuo a essere giudicato da un giudice precostituito per legge, che sia competente, imparziale e indipendente. 753 Va evidenziato che la Corte Europea per i Diritti dell’Uomo ha, in diverse occasioni, ritenuto che un civile portato dinnanzi a un Tribunale penale militare, per presunti crimini commessi contro le forze armate, possa avere il legittimo timore che tale giurisdizione non sia imparziale e indipendente. Questo vale anche nei casi in cui un tribunale sia composto, anche solo in parte, da giudici membri delle forze armate.

752 Human Rights Committee, Administration of Justice, General Comment No 13 - UN Doc HRI/GEN/1/REV.1 – 1984. 753 Durand and Ugarte v Peru [2000] IACHR, 16 August 2000, paragrafo 117. 314

Va evidenziato che il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura, nel suo rapporto 2011-2012 sul Marocco, ha espressamente chiesto a Rabat di “modificare la sua legislazione in modo che tutti i civili siano sottoposti esclusivamente alle giurisdizioni ordinarie”, in conformità con lo spirito della nuova Costituzione votata nel luglio 2011, che stabilisce il primato delle convenzioni internazionali sul diritto interno marocchino.

Agli imputati sono stati, di fatto, contestati gli omicidi degli appartenenti alle forze dell’ordine marocchine, che avrebbero trovato la morte nel corso degli incidenti seguiti allo smantellamento del campo di Gdeim Izik. Formalmente, tuttavia, essi non sono stati accusati di omicidio, bensì di associazione per delinquere (art. 293 codice penale) e di violenze contro le forze dell’ordine, violenze poi sfociate in plurimi omicidi (art. 267 codice penale).

Sembra evidente che lo scopo di questa scelta, apparentemente bizzarra, derivi dall’assenza di una qualsiasi prova a carico dei singoli accusati in relazione agli omicidi stessi, come è risultato nel corso del dibattimento. Così essi sono stati accusati di generici atti di violenza, sfociati in omicidi, che sono stati evidentemente compiuti da altre persone non identificate. La responsabilità degli accusati starebbe quindi nell’avere approvato, preventivamente, l’uccisione di appartenenti alle forze dell’ordine. E’ stato così possibile considerare colpevole anche il presunto capo della banda, Ennaama Asfari, che pure è stato arrestato nella serata precedente allo smantellamento del campo e, dunque, senza aver in alcun modo partecipato ai disordini.

Gli osservatori internazionali, a fronte di quanto sopra dichiarato, ritengono che il processo celebrato dinanzi al Tribunale militare di Rabat contro 24 militanti sahrawi per i fatti di Gdeim Izik, non risponda ai caratteri universalmente riconosciuti di equità e garanzia per gli imputati e le vittime del reato e di conseguenza sollecitano un’inchiesta internazionale indipendente sui fatti di Gdeim Izik; richiedono la scarcerazione immediata dei condannati e che si proceda ad un nuovo processo diretto all’accertamento dei fatti; denunciano nelle sedi internazionali e alle Corti nazionali la violazione dei contratti commerciali sottoscritti dal Marocco, in particolare della clausola con la quale il governo marocchino è tenuto al rispetto dei diritti umani.754

Ann Harrison, vicedirettore del programma Nordafrica e Medioriente di Amnesty International, ha dichiarato che: “le autorità marocchine, nonostante gli appelli, hanno comunque scelto di sottoporre gli imputati al giudizio di un Tribunale militare e hanno totalmente ignorato le loro dichiarazioni. I prigionieri sahrawi hanno, infatti, dichiarato di essere stati sottoposti a torture, finalizzate alla

754 Rapporto sul processo contro 24 imputati saharawi per i fatti di Gdeim Izik, 25 febbraio 2013, pp. 16-20, sito web: www.ossin.org. 315 estorsione di false confessioni da utilizzare nel dibattimento. Il ricorso a un Tribunale militare e la mancanza di una commissine d’inchiesta sulle dichiarazioni di tortura, sollevano seri dubbi sulle autorità marocchine e sulla loro reale intenzione di voler condannare gli imputati, invece di garantire un verdetto giusto ed equo.”755

6.10. La politica di integrazione del Sahara occidentale

Come ho già avuto modo di sottolineare nei capitoli precedenti, la monarchia marocchina, e quindi Hassan II prima e Mohammed VI poi, ha continuato a combattere il Fronte Polisario utilizzando diverse stretegie: militare, diplomatica ed economica.

Dal punto di vista militare ho ha fatto attraverso la costruzione del muro, per cercare di controllare la superiorità tattica dell’esercito sahrawi limitandone la mobilità e la rapidità degli interventi; dal punto di vista diplomatico ha cercato di dimostrarsi disponibile nei confronti della comunità internazionale, accettando il principio del referendum di autodeterminazione prima e sottoscrivendo il piano di pace poi. Dal punto di vista economico infine la monarchia marocchina, dal 1976, ha cominciato a investire nel Sahara occidentale abbandonato dalla Spagna, al fine di creare un clima di normalità e di benessere, con due obiettivi. Il primo è quello di trattenere i Sahrawi rimasti nel territorio sahariano e ad attrarre i Sahrawi che si erano uniti al Fronte Polisario, garantendo loro benefici materiali particolarmente favorevoli e, sottolineando i successi sociali e politici di coloro che si sono assoggettati al volere della monarchia marocchina. Il secondo consiste nel favorire l’insediamento dei coloni marocchini nelle cosiddette “province sahariane” (a fronte del trasferimento nei territori il regime assicura ai Marocchini consistenti benefici materiali come l’abitazione, il lavoro, aiuti alimentari, sussidi, ecc…) per determinare un “mescolamento” delle popolazioni, o meglio per togliere ai Sahrawi il dominio demografico nella regione e vantare, a livello internazionale, un modello di sviluppo del territorio e d’integrazione dei suoi abitanti.

Tutti gli interventi in Sahara occidentale sono affidati dal 2002 all’Agence pour la Promotion et le Développement économique et social des Provinces du Sud du Royame (APDS). In occasione della sua visita a El Aioun il 6 marzo 2002, Mohammed VI, dopo aver dichiarato di non essere disposto a rinunciare per nessun motivo al Sahara, annuncia di voler fare di queste province un polo d’investimento e un “modello di sviluppo regionale integrato”.756

755 É. Lembrée, Maroc et Sahara occidental: des Sahraouis condamnés doivent être fejugés de manière équitable devant des tribunaux civils, Comunicato stampa di Amnesty International del 19 febbraio 2013, sito web: www.amnesty.org. 756 Royame du Maroc, Discorso di Sua maestà il re Mohammed VI in piazza Méchouar a El Aioun, 6 marzo 2002, sito web: www.lagencedusud.gov.ma. Sul sito dell’Agenzia (www.lagencedusud.gov.ma) il 1° maggio 2013 non è possibile accedere al programma della stessa. 316

“Il recupero delle province del Sud”, così come la monarchia marocchina definisce il Sahara occidentale, è costato moltissimo allo Stato marocchino che, a partire dal 1976, ha continuato ad investire in quei territori, più di quanto abbia mai investito in Marocco. L’annessione amministrativa del Sahara ha di conseguenza determinato costi enormi, che gravano pesantemente sul bilancio marocchino, anche se non sono disponibili dati attendibili sulla questione.

L’unico economista marocchino che, al momento, ha iniziato ad analizzare la situazione è Fouad Abdelmoumni, militante dell’AMDH. Seppur il suo studio non possa considerarsi esaustivo, lo studioso ha evidenziato gli esorbitanti costi umani, sociali, economici, politici e di sicurezza che il Marocco ha pagato per realizzare questo “sogno”.

Dall’inizio del conflitto lo Stato marocchino ha speso 1.200 miliardi di dirham (circa 120 miliardi di dollari, pari al 3% del PIL annuo nazionale). 757 La nozione "costo economico" è fortemente contestata dal re del Marocco, che considera tutti i fondi spesi nel Sahara occidentale non un costo ma un investimento. Eppure, anche se difficili da quantificare, l'aumento dei costi per la sicurezza, chiaramente legati al conflitto in corso, sono estremamente alti. Crescono in particolare dalla costruzione del muro, dotato di radar e altri dispositivi di sorveglianza elettronica molto sofisticati, che richie la sorveglianza di 130.000 soldati, che nel sud non si limitano a garantire l’ordine e la sicurezza, ma costruiscono infrastrutture per favorire lo sviluppo economico della regione.758 Con Hassan II, il conflitto in Sahara doveva occupare l’esercito che doveva allontanarsi dal centro del potere perché rappresentava un pericolo per il regime, oggi, con Mohammed VI l’esercito protegge la monarchia, che a sua volta é garante dell’unità del Paese.759

Nel corso degli ultimi trent’anni, il Marocco ha inoltre investito oltre 2,4 miliardi di dollari in infrastrutture di base (aeroporti, porti, strade asfaltate, rete elettrica e idrica pari all’82% della regione). Più in generale, i progetti d’investimento nella regione, durante il periodo tra il 2004 e il 2008, sono pari a 870 milioni di dollari.760

757 F. Iraqui, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368, dall’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.- online.com. 758 Secondo le cifre rese pubbliche a fine 2004 dal Forecast International, il servizio di sutdi americano specializzato in questioni militarei e strategiche, l’esercito marocchino è composto di 250.000 uomini, 150.000 dei quali sono di stanza in Sahara. Può essere approssimativamente stimato che metà del bilancio dell’esercito sia dedicato al Sahara occidentale. A. El Azizi, Armée. La Grande Bavarde, in TelQuel n. 226, dal 20 al 26 maggio 2006, sito web: www.telquel-online.com. 759 A. El Azizi, Armée. La Grande Bavarde, in TelQuel n. 226, dal 20 al 26 maggio 2006, sito web: www.telquel- online.com. 760 International Crisis Group, Western Sahara: the cost of the conflict, ICJ Middle East/North Africa Report n° 65, 11 giugno 2007, p. 12, sito web: www.icg.org. 317

In ultima analisi quello che la monarchia marocchina chiama “costo-opportunità”, in realtà è a discapito delle altre regioni del Marocco, molte delle quali soffrono povertà e investimenti statali insufficienti.

Ma il peso economico dell’occupazione è reso più pesante dai premi che vengono concessi ai funzionari marocchini inviati in Sahara occidentale.761 Essi beneficiano di un’indennità aggiuntiva che varia dal 25 al 75 per cento del loro stipendio, oltre ad avere accesso a prodotti di base sovvenzionati e a benefici (esenzione dal pagamento delle tasse e di conseguenza meno entrate per lo Stato), che il governo giustifica invocando le lunghe distanze e condizioni di vita più difficili. Oltre a ciò occorre tenere presente le ricompense economiche e materiali messe a disposizione dei Sahrawi che giurano fedeltà al re.762

“Molti dati non sono disponibili, tra questi i costi relativi alle rappresentanze diplomatiche rimangono segrete . Il quotidiano inglese The Guardian ha rivelato che il Marocco nel 2007 ha incaricato un’organizzazione pro-marocchina negli Stati Uniti di promuovere il suo piano di autonomia delle “province sahariane”. Costo dell’operazione: 300 milioni di dirham pari a circa 30 milioni di dollari. Per non parlare del Ministero degli Affari esteri marocchino che ha dovuto dare ingenti contributi o annullare i debiti degli Stati che hanno promesso di revocare il riconoscimento della Repubblica Araba Sahrawi Democratica. Per non parlare del CORCAS (Consiglio Reale Consultativo degli Affari Sahariani), il cui bilancio è parte di quello della Corte reale e quindi top secret. Sappiamo che gli incontri di Manhasset sono costati circa sei milioni di dirham, comprensivi delle spese di viaggio e di alloggio per una sessantina di persone per un minimo di dieci giorni.”763

Concludento, in oltre trent’anni, secondo Fouad Abdelmoumi “il costo del conflitto è praticamente il mancato sviluppo del Marocco”.764

Se il Marocco perde punti di PIL nelle sabbie del Sahara, riesce in parte a recuperarli dallo sfruttamento del sue risorse naturali: i fosfati, ma soprattutto la pesca. Le coste del sud del Sahara sono tra le più pescose al mondo. Ma nonostante le ricchezze e i lauti accordi economici con

761 La monarchia marocchina, attraverso il Ministero della comunità marocchina residente all’estero, finanzia progetti culturali delle Associazioni marocchine all’estero, che in realtà non sono altro che un finanziamento politico indiretto per coloro che sostengono la propaganda del regime nei rispettivi Paesi di residenza. Molte di queste associazioni sono sovente in prima linea a cantare le lodi di "riforme democratiche" intraprese dal Makhzen e quando si tratta di esercitare pressioni politiche nei rispettivi Paesi di residenza. Nella lista compaiono anche molte associazioni di Marocchini residenti all’estero con sede in Italia. Comment le Makhzen finance ses précieux relais à l’étranger, 30 maggio 2012, Demain on line, sito web: www.demainonline.com. 762 International Crisis Group, Western Sahara: the cost of the conflict, ICJ Middle East/North Africa Report n° 65, 11 giugno 2007, pp. 12-13, sito web: www.icg.org. 763 F. Iraqui, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368, dall’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.telquel- online.com. 764 F. Iraqui, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368, dall’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.telquel- online.com. 318

Stime realizzate con la collaborazione dell’economista Fouad Abdelmoumni. 765

765 F. Iraqui, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368, dall’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.telquel- online.com. 319 l’Unione Europea, il Marocco non riesce che a guadagnare un solo punto di PIL, secondo Abelmoumi, ancora troppo poco.766

6.11. Il Conseil Royal Consultatif pour les Affaires Sahariennes (CORCAS)

Nel marzo 2006 Mohammed VI, parallelamente alla presentazione del progetto per la creazione di una regione autonoma per il Sahara occidentale, che l’11 aprile 2007 e proposto al Segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-Moon, crea il Consiglio Reale Consultativo per gli Affari Sahariani o CORCAS, una entità politica chiamata ad assistere il re in tutte le questioni relative alla difesa dell’integrità territoriale e dell’unità nazionale del Regno, alla promozione dello sviluppo economico e sociale delle Province del Sud e alla preservazione della loro identità culturale.767

Il CORCAS, con sede a Rabat, è composto da un presidente, da nove vice-presidenti, da un segretario generale e di 140 membri (tra cui 14 donne) scelti e nominati dal sovrano fra i parlamentari, i presidenti dei consigli regionali, delle assemblee provinciali e delle camere professionali delle province del sud, con un mandato di quattro anni. Il Consiglio include anche i membri che sono stati eletti nel consiglio precedente dai loro rispettivi gruppi tribali, gli chioukh delle tribù, i membri delle associazioni della società civile e delle organizzazioni dei giovani nelle province del sud, i rappresentanti dei cittadini marocchini originari delle province del sud che risiedono all'estero e i sequestrati di Tindouf, i rappresentanti degli operatori e degli organismi socioeconomici e le personalità riconosciute per la loro capacità e la loro onestà.768

Il Consiglio è finanziato direttamente dalla Corte reale e si articola in cinque commissioni: 1) affari sociali, sviluppo umano e ambiente; 2) affari esteri e cooperazione; 3) difesa dei diritti umani, delle libertà pubbliche e delle popolazioni nei campi; 4) affari economici, educazione e formazione; 5) promozione della cultura hassani, informazione e comunicazione.769

Il CORCAS offre la possibilità alle élites locali di iniziare a esercitare il potere e a imporsi come interlocutore anche verso l’esterno, in particolare nei confronti delle Nazioni Unite e l’Algeria, sostituendosi al Fronte Polisario.

Non sono mancate le critiche a questa istituzione sia da parte marocchina, che sahrawi. Alcuni sostengono che il CORCAS sia un doppione dell’Agence pour la promotion et le développement économique et social des provinces du sud, creata nel 2002, e posta in essere per creare investimenti

766 F. Iraqui, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368, dall’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.telquel- online.com. 767 Lettura del dahir (decreto reale) della creazione del Corcas, sito web: www.corcas.com. 768 Lettura del dahir (decreto reale) della creazione del Corcas, sito web: www.corcas.com 769 Il Consiglio Reale Consultivo per gli Affari del Sahara (Corcas) ha proceduto alla costituzione delle sue cinque commissioni, come previsto dal suo Regolamento Interno, durante la sessione straordinaria tenutasi giovedì 25 maggio 2006 a Rabat, sito web: www.corcas.com. 320 nel Sahara occidentale e potenziare ulteriormente la presenza marocchina nella regione. Il Fronte Polisario accusa di collaborazionismo i Sahrawi che cooperano con il Consiglio, che considerano uno strumento della propaganda della monarchia marocchina, che lo finanzia e ne elegge i vertici.

Il presidente Khalihenna Ould Rachid, 770 personaggio ben conosciuto agli Spagnoli che lo considerano persona di dubbia moralità,771 sostiene che il CORCAS sia rappresentativo del volere di tutti i Sahrawi, in quanto vede la partecipazione di tutte le tribù e include uomini e donne della società civile e persino ex prigionieri, nessuno però che sostenga l’indipendenza: si tratta pertanto di uno strana forma di rappresentatività. 772

Secondo Rabat, la proposta di autonomia, presentata al Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite l’11 aprile 2007, è il risultato di un processo di consultazione effettuato con i partiti politici marocchini e tiene conto delle proposte formulate dal CORCAS. Tuttavia la stampa marocchina sottolinea che il contenuto della proposta è mantenuto segreto agli stessi membri del CORCAS, che l’hanno potuto visionare in maniera completa solo mesi dopo la sua definizione (dicembre 2006) e sotto lo strettissimo controllo del presidente, l’uomo di fiducia di Rabat, che ancora prima che il Consiglio potesse accedervi, non ha esitato a definirlo nella sua conferenza stampa “la risposta definitiva alle rivendicazioni storiche di tutti i Sahrawi, che non sarà oggetto di alcuna modifica né da parte dello Stato, né da parte della popolazione. È un pacchetto definitivo”. L’obiettivo del CORCAS, ha continuato il presidente, è quello di “produrre qualcosa di credibile” ma “le grandi linee del progetto restano nelle mani del Palazzo che provvederà a definire l’ultima stesura”.773

6.12. Il petrolio e la pesca

Il Sahara occidentale a partire dal 1963 è iscritto tra i “territori non autonomi”, ai sensi del capitolo XI della Carta dell’ONU. Nel 1975 il Marocco, negando la sentenza della Corte internazionale di giustizia dell’Aia, che non riconosce alcun legame tra Sahara occidentale e Marocco, annuncia la Marcia verde e occupa illegalmente il territorio sahariano sulla base di presunti legami storici. Da quel momento ogni anno l’Assemblea generale e il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite affermano o riconoscono in più occasioni il diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi. Dopo gli Accordi di Madrid del 1975, la Spagna continua a mantenere la sovranità sul Sahara occidentale

770 Khalienna Ould Rachid è di origine sahrawi. Nel 1974 fonda il partito filo-spagnolo denominato PUNS (Partito dell’Unione Nazionale Sahrawi); nel 1975 giura fedeltà al re che ricompensa nominandolo sindaco di El Aioun. 771 Coordinadora estatal de Asociaciones solidarias con el Sáhara, CEAS-SÁHARA, Por la Descolonización y la Independencia del Sáhara: un viejo conocido llama a la puerta, 5 maggio 2006, sito web:www.arso.org. 772 International Crisis Group, Western Sahara: the cost of the conflict, ICJ Middle East/North Africa Report n° 65, 11 giugno 2007, p. 16, sito web: www.icg.org. 773 O. Brousky, Une mascarade nommée Corcas, in , 14 dicembre 2006, sito web: http://fr.groups.yahoo.com/group/revue-de-presse-sahara-occidental.

321 in quanto gli Accordi non hanno alcuna validità, perché non hanno coinvolto la popolazione autoctona e non sono stati approvati dalle Nazioni Unite. Il Marocco, dal canto suo, dal 1975 occupa illegalmente il territorio, sfrutta le risorse del territorio (pesca, fosfati, sabbia) e sottoscrive contratti per lo sfruttamento del petrolio nelle acque territoriali del Sahara occidentale. In virtù del diritto internazionale vigente, in realtà, lo sfruttamento delle risorse della regione da parte del Marocco è da considerarsi illegale, in quanto né il Consiglio di sicurezza, né nessun altro organo dell’ONU, ha mai riconosciuto la regione parte integrante del territorio del Regno del Marocco. Nonostante ciò la monarchia marocchina continua a violare i diritti e gli interessi dei Sahrawi.

Questa interpretazione è stata confermata dal Segretario generale aggiunto agli affari giuridici delle Nazioni Unite, Hans Corell, che nel suo rapporto, del 21 gennaio 2001, conferma i principi di diritto internazionale raccomandando la salvaguardia delle risorse naturali dei “territori non autonomi” e quindi anche del Sahara occidentale, che non possono essere sfruttate senza il consenso del popolo sahrawi. La decisione di Corell è stata considerata una vittoria per il Fronte Polisario.

Già la Spagna, all’epoca della colonizzazione del Sahara occidentale, aveva già rilasciato concessioni a gruppi statunitensi e spagnoli per l’esplorazione e l’estrazione del petrolio, che però durante il conflitto sono state sospese.

A partire dal 2001 il Marocco decide di riprendere le ricerche là dove erano state sospese, con la complicità di governi occidentali. L’Office National de Recherches et d’Exploitations Pétrolières (ONAREP) firma prima un contratto con la compagnia america Kerr-McGee e successivamente con la compagnia francese Total-Fina-Elf. Dopo la pubblicazione del parere legale di Corell, la pressione del movimento di solidarietà con il popolo sahrawi sulle compagnie petrolifere si intensifica e la Kerr-McGee nel 2006 decide di sospendere le esplorazioni al largo del Sahara occidentale e di non rinnovare l’accordo con l’ONHYM. 774 Ciononostante le compagnie petrolifere non hanno mai smesso di investire nell’esplorazione dei territori del Sahara occidentale.

Nel 2006 anche la R.A.S.D. firma contratti con alcune compagnie petrolifere, con una clausola nella quale viene precisato che lo sfruttamento delle risorse petrolifere deve avvenire al termine del conflitto. In questo modo, le compagnie possono agire in conformità con il diritto internazionale e secondo il parere giuridico espresso dall’ONU.

In Marocco è presente anche il Gruppo Italcementi,775 che, attraverso Ciments du Maroc, dispone

774 Nel 2003 l’ONAREP e il BPRM (Bureau de Recerches et de Prospection Minières) incaricato della ricerca di minerali si fondono nell’Office National des Hydrocarbures et des Mines (ONHYM). 775 Fondata nel 1864, Italcementi è entrata a far parte del mercato azionario con la quotazione presso la Borsa di Milano nel 1925, sotto la denominazione di “Società Bergamasca per la Fabbricazione del Cemento e della Calce Idraulica”. Dal 1927 svolge le proprie attività con il nome di Italcementi Spa. In Italia la società si è sviluppata grazie ad un attento 322 nel Paese di un centro di macinazione a El Aioun. Il 21 ottobre 2011, Italcementi Group ha inaugurato sempre nei pressi di El Aioun un parco eolico, alla presenza di Mohammed Yahya Zniber, Segretario generale del Ministero marocchino per l’energia, l'acqua e l’ambiente, di Carlo Pesenti, Consigliere delegato di Italcementi, e di Mohamed Chaibi, Presidente di Ciments du Maroc. L’impianto, realizzato grazie al know-how di Italgen per un investimento complessivo di 100 milioni di dirham, è situato nell’area del centro di macinazione di Indusaha a El Aioun.

Nel corso degli anni è però l’industria della pesca a diventare sempre più importante sia per i progetti di colonizzazione del Sahara occidentale, che per l’economia stessa del Marocco. Lungo le coste del territorio le diverse comunità di pescatori, soprattutto di origine marocchina, hanno acquistato le licenze dai soldati marocchini, che hanno fatto fortuna ottenendo dal governo le licenze di pesca per poi rivenderle.776 Raramente i Sahrawi trovano lavoro nei porti.

Il primo accordo sulla pesca concluso tra la Comunità europea e il Regno del Marocco risale al 1995.777 All'epoca si trattava dell'accordo di gran lunga più importante tra l'UE e un paese terzo. Nel 1998 il Marocco annuncia pubblicamente di non voler più rinnovare l’accordo di pesca con l’Unione Europea. I parlamentari europei, in particolare spagnoli, esprimono da subito preoccupazione per le ripercussioni che questa decisione può determinare sull’attività della flotta artigianale comunitaria, e in particolare su quella che ha base nelle comunità di Galizia, Andalusia e Canarie, “con danni derivanti dalla perdita di posti di lavoro e di tessuto produttivo nelle suddette zone dello Stato spagnolo (…) in tale contesto la Commissione europea deve svolgere un ruolo determinante nella negoziazione con il Regno del Marocco, per evitare l'utilizzo dell'accordo di pesca come moneta di scambio suscettibile e ipotecare il futuro di questo importante settore comunitario”. L’allora Commissaria europea Emma Bonino rispondendo a un’interrogazione scritta afferma che la Commissione “avvierà a breve un'analisi approfondita della situazione con gli Stati membri e con il Marocco, al fine di determinare le diverse opzioni per l'evoluzione delle relazioni di pesca con tale Paese”.778 Nel 1999 le parti non sono ancora riuscite a pervenute a un accordo sul

piano d’investimenti e incorporazioni di altre aziende cementiere raggiungendo rapidamente una forte posizione sul mercato, fino a diventare il primo produttore di cemento del paese. Sito web: www.italcementigroup.com. 776 International Crisis Group, Western Sahara: the cost of the conflict, ICJ Middle East/North Africa Report n° 65, 11 giugno 2007, pp. 11-12, sito web: www.icg.org. 777 “Ricordando che la Comunità e il Marocco sono firmatari della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare e che, in base a tale Convenzione, il Marocco ha istituito una zona economica esclusiva avente un'estensione massima di 200 miglia marine dalle coste marocchine, all'interno della quale esso esercita i propri diritti sovrani in materia di esplorazione, sfruttamento, conservazione e gestione delle risorse di detta zona” da Accordo di cooperazione in materia di pesca marittima tra la Comunità europea e il Regno del Marocco - Protocollo che stabilisce le possibilità di pesca e gli importi della compensazione finanziaria e dei contributi finanziari. Il presente accordo è concluso per un periodo di quattro anni a decorrere dal 1° dicembre 1995. Gazzetta ufficiale n. L 306 del 19/12/1995, pp. 7–43, sito web: eur- lex.europa.eu. 778 Interrogazione scritta n. 1652/98 dell'on. Angela Sierra Gonzàlez alla Commissione, rinnovo dell'accordo di pesca UE- Marocco Gazzetta ufficiale n. C 297 del 15/10/1999 p. 2, sito web: eur-lex.europa.eu. 323 rinnovo del protocollo.

Cominciano allora una lunga serie di scambi tra Comunità europea e Marocco al fine di riattivare l’accordo di pesca e permettere così ai pescherecci europei, in particolare spagnoli, di riprendere la loro attività e limitare così le pesanti perdite economiche. Nel giugno 2000 il Commissario Fischler conferma la possibilità della Commissione di concludere un nuovo accordo di pesca con il Marocco e dichiara che l’accordo è una delle sue priorità. Le autorità marocchine, confermano il loro desiderio di stabilire un nuovo partenariato con la Comunità nel settore della pesca ed esprimono la loro disponibilità ad avviare discussioni tecniche nel luglio 2000.779

Il 1° marzo 2000, in un momento in cui pare esserci una totale incomunicabilità tra Unione europea e Marocco, entra in vigore l’accordo euromediterraneo, che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco dall’altra, fondato sulla reciprocità degli interessi, sulle reciproche concessioni, sulla cooperazione e sul dialogo.780 La Comunità europea e il Marocco, in modo bilaterale, sono ora nelle condizioni di poter attuare progressivamente una maggiore liberalizzazione nei reciproci scambi (area euro-mediterranea di libero scambio), anche per quanto riguarda i prodotti agricoli e la pesca. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali costituisce però un elemento essenziale degli accordi di associazione. L’articolo 2 dell’accordo di associazione con il Marocco recita: “il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali dell'uomo quali enunciati nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, ispira le politiche interne e internazionali della Comunità e del Marocco e costituisce un elemento essenziale del presente accordo”. Di fatto l’accordo dovrebbe ritenersi nullo, nel momento in cui il Marocco viola la legalità internazionale occupando

779 Interrogazione scritta E-1659/00 di Camilo Nogueira Román (Verts/ALE) alla Commissione (26 maggio 2000) e Risposta del Commissario Fischler a nome della Commissione (29 giugno 2000), sito web: eur-lex.europa.eu. 780 Decisione del Consiglio e della Commissione, del 24 gennaio 2000, relativa alla conclusione dell'accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri, da una parte, e il Regno del Marocco, dall'altra, in Gazzetta ufficiale n. L 070 del 18/03/2000, p. 1, sito web: www.eur-lex.europa.eu. e Accordo euromediterraneo che istituisce un'associazione tra le Comunità europee e i loro Stati membri e il Regno del Marocco, Gazzetta ufficiale n. L 070 del 18/03/2000 pp. 2-204, sito web: eur-lex.europa.eu. Tra il 1998 e il 2005 l'Unione europea (UE) ha stipulato degli accordi euromediterranei di associazione con sette paesi del Mediterraneo del sud. Questi accordi infatti conferiscono un'adeguata disciplina al dialogo politico tra nord e sud, fungono da base alla progressiva liberalizzazione degli scambi nello spazio mediterraneo e stabiliscono infine le condizioni della cooperazione in ambito economico, sociale e culturale tra l'Unione europea e i paesi partner. Gli accordi sono stati avviati nel corso della Conferenza ministeriale euromediterranea di Barcellona del 27 e 28 novembre 1995 (Dichiarazione di Barcellona). In tale contesto sono stati istituiti alcuni accordi di associazione fra l’UE, gli Stati membri e i paesi partner del Mediterraneo (Partenariato Euro-Mediterraneo o PEM). Il partenariato si è concretizzato con l’adozione della dichiarazione di Barcellona da parte degli Stati membri dell’UE e dei seguenti dodici paesi terzi mediterranei: Algeria, Cipro, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Malta, Marocco, Siria, Tunisia, Turchia e Autorità palestinese. La Lega degli Stati arabi e l'Unione del Maghreb arabo (UMA) sono state invitate così come la Mauritania in qualità di membro dell'UMA.Questi accordi bilaterali di nuova generazione sostituiscono gli accordi di prima generazione, ovvero gli accordi di cooperazione conclusi negli anni Settanta. Il rispetto dei principi democratici e dei diritti fondamentali costituisce un elemento essenziale degli accordi di associazione. Sito web: www.europa.eu. 324 illegamente il Sahara occidentale, così come afferma l’Assemblea generale che ha definito la presenza marocchina in Sahara come un’occupazione.781

L’8 giugno 2000 l’eurodeputato socialista Glyn Ford presenta un’interrogazione scritta 782 sugli accordi di pesca con il Marocco e chiede se la Commissione europea sia consapevole del fatto che il litorale a sud del parallelo 27°40’ è fuori dalla sovranità del Marocco e che quindi, dette acque internazionali, non è né opportuno, né corretto includerle negli accordi di pesca tra Comunità europea e Regno del Marocco, per i quali sono attualmente in corso i negoziati.

Il Commissario Fischler risponde all’interrogazione circa un mese dopo, il 7 luglio 2000 affermando che in eventuali negoziati con il Marocco, la Commissione intende per zona di pesca del Marocco, le acque soggette alla sovranità e/o alla giurisdizione del Marocco. Tale definizione non pregiudica in alcun modo lo status delle acque a sud del 27°40' parallelo: la questione è disciplinata dal diritto internazionale e, più particolarmente, dalle differenti risoluzioni delle Nazioni Unite, alle quali la Comunità ha costantemente dato il suo appoggio.

Nel marzo 2001 negoziati per la definizione di un nuovo accordo sulla pesca tra l'UE e il Marocco falliscono. L'Unione europea è costretta a concedere delle sovvenzioni per aiutare i 400 pescherecci e circa 4.300 pescatori europei, soprattutto spagnoli e portoghesi, che dallo scadere dell’accordo precedente (30 novembre 1999), sono stati costretti ad interrompere l’attività di pesca. Il Consiglio europeo nella riunione del 24 aprile 2001 conclude che, vista la situazione, non è più possibile pervenire a un accordo fra la Comunità e il Marocco, che sia vantaggioso per entrambe le parti.783

Il 28 luglio 2005, Comunità europea e Regno del Marocco negoziano e siglano un accordo di partenariato che permette di concludere numerosi accordi, uno dei più importanti un partenariato per i prodotti ittici, entrato in vigore nel 2007, che richiama gli accordi di pesca precedenti e che conferisce ai pescatori comunitari la possibilità di pescare nelle zone di pesca marocchine, in cambio di un compenso economico, per un periodo di quattro anni dalla sua entrata in vigore. L’obiettivo principale del nuovo accordo è quello di rafforzare la cooperazione tra la Comunità e il Paese nordafricano, ai fini dello sviluppo di una politica di pesca sostenibile e dello sfruttamento razionale delle risorse alieutiche nelle zone di pesca marocchine, nell’interesse delle parti. La contropartita finanziaria è fissata in 36.100.000 euro ogni anno (144.400 milioni di euro in quattro

781 Risoluzione Assemblea generale 34/37 del 21 novembre 1979, paragrafo 5. 782 Interrogazione scritta E-1779/00 di Glyn Ford (PSE) alla Commissione. Accordi di pesca con il Marocco, in Gazzetta ufficiale n. 089 E del 20/03/2001 p. 84, sito web: eur-lex.europa.eu. 783 Alla Commissione europea non perviene alcuna offerta ufficiale, o altra comunicazione, da parte del Marocco in materia di pesca. Se le autorità marocchine dovesse assumere iniziative in tal senso, la Commissione si dichiara disposta a esaminarle con interesse e attenzione ed eventualmente di chiedere un mandato al Consiglio europeo per riaprire i negoziati con il Marocco. Da Interrogazione scritta della mancata conclusione dell'accordo sulla pesca con il Marocco, in Gazzetta ufficiale n. 160 E del 04/07/2002 p. 125-126, sito web: eur-lex.europa.eu. 325 anni) di cui una quota, pari a 13.500.000, è destinata annualmente allo sviluppo e all’attuazione della politica settoriale delal pesca in Marocco (formazione, ricerca scientifica, ristrutturazione della pesca artigianale, ecc…); mentre i canoni a carico degli armatori, fissati per ogni categoria, garantiscono complessivamente al Marocco un reddito annuo supplementare di circa 3 milioni di euro.784 L’articolo 2 del regolamento del Consiglio europeo, relativo alla conclusione dell’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, stabilisce in modo preciso le categorie di pesca, il tipo di peschereccio, il numero di licenze da rilasciare e lo Stato membro di assegnazione. Gli Stati membri a cui sono assegnate in prima istanza le licenze sono Spagna e Portogallo, oltre a Francia, Paesi Bassi, Germania, Lituania, Lettonia, Irlanda, Polonia, Regno Unito. Nel regolamento definitivo, approvato il 22 maggio 2006 dal Consiglio europeo, si aggiunge l’Italia, e si stabilisce la data di entrata in vigore dell’accordo (27 febbraio 2007).785

L’accordo di partenariato infine specifica nell’articolo 2 che per “zona di pesca marocchina” si intendono “le acque soggette alla sovranità o alla giurisdizione del Regno del Marocco”.

Quali sono le acque soggette alla giurisdizione e non alla sovranità del Marocco?

Mentre il termine sovranità è chiaro, il termine giurisdizione non lo è. Tale termine, infatti, potrebbe fare riferimento alla zona economica esclusiva o a ogni altro territorio sul quale il Marocco non ha una sovranità piena, ma sul quale esercita una qualche forma di controllo, come nel caso del Sahara occidentale. Nessuno degli accordi sopra citati specifica se il territorio del Sahara occidentale rientri o meno nel loro ambito di applicazione. Ciò si discosta dall’attitudine adottata da altri attori internazionali. In particolare, l’accordo per il libero commercio tra gli USA e il Marocco che esclude esplicitamente il Sahara occidentale.

Il Comitato per lo Sviluppo del Parlamento europeo chiede un parere giuridico sulla compatibilità dell’accordo con il diritto internazionale. Il servizio giuridico del Parlamento europeo specifica che l’accordo deve essere applicato dalle autorità marocchine in conformità con gli obblighi del diritto internazionale. A questa stessa conclusione era arrivato anche Hans Corell, responsabile degli affari giuridici delle Nazioni Unite.786

In realtà nel testo del trattato non si fa alcuna distinzione tra le acque territoriali del Marocco e del Sahara occidentale e non si indica, in modo preciso, il limite meridionale dell’area di applicazione.

784 Proposta di regolamento del Consiglio relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco COM/2005/0692 def. CNS 2005/0280, sito web: eur-lex.europa.eu. 785 Regolamento (CE) n. 764/2006 del Consiglio, del 22 maggio 2006, relativo alla conclusione di un accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, in Gazzetta ufficiale n. L 141 del 29/05/2006 pp. 1-3, sito web: eur-lex.europa.eu. 786 Risoluzione S/2002/161 del 29 gennaio 2002, paragrafo 6. 326

327

Di fatto, in modo non chiaro l’Unione Europea pesca illegalmente nelle acque territoriali del Sahara, violando il diritto internazionale vigente sfruttando le risorse naturali di un “territorio non autonomo”. Per quanto riguarda il compenso inoltre, il trattato stabilisce che il contributo finanziario è di esclusiva competenza delle autorità di Rabat, senza fare mai alcun riferimento al popolo sahrawi, in qualità di popolazione autoctona.

Nel 2010, più di 11.000 persone e 529 organizzazioni della società civile nel mondo hanno chiesto all’Unione europea di cessare le sue attività di pesca nel Sahara occidentale, aderendo alla campagna dell’ong Western Sahara Resource Watch attraverso una petizione su internet. Un simile accordo di partenariato tra l’Unione Europea e il Regno del Marocco nel settore della pesca, infatti, oltre ad essere illegale, rafforza la potenza occupante, riconoscendole il ruolo di potenza amministratrice, senza alcuna concertazione con il popolo sahrawi e in flagrante violazione del diritto internazionale.

Il Consiglio europeo conferisce alla Commissione europea il mandato di condurre una nuova serie di negoziati con il Regno del Marocco per prorogare di un anno il protocollo sull’accordo di partenariato nel settore della pesca, in scadenza dopo quattro anni il 27 febbraio 2011. Il nuovo protocollo viene approvato, di conseguenza l’accordo viene prorogato fino al 27 febbraio 2012. L’Unione europea ha così il tempo necessario per valutare e definire le prospettive di un futuro protocollo di maggiore durata.787

Il 14 dicembre 2011 il Parlamento europeo boccia il rinnovo dell’accordo di pesca tra Unione europea e Regno del Marocco, con 326 voti contrati, 296 a favore e 58 astenuti. Si tratta di un risultato storico che impone la legalità internazionale. L’eurodeputato italiano Pino Arlacchi, esultante per l’importante risultato raggiunto, dichiara che l’Unione europea deve ripensare l’accordo di pesca con Rabat, ma con l’obbligo, questa volta, di rispettare i diritti del popolo sahrawi. L’Unione europea notifica al Regno del Marocco che, a norma dell’articolo 25, paragrafo 2, della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati, non intende più essere parte del summenzionato protocollo.788

Nonostante il rifiuto del Parlamento europeo di ratificare l’accordo di pesca con il Marocco, a causa

787 Decisione del Consiglio d’Europa, del 12 luglio 2011, relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, e all’applicazione provvisoria del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, in Gazzetta ufficiale n. L 202 del 05/08/2011, pp. 1-2, sito web: eur-lex.europa.eu. 788 012/15/UE: Decisione del Consiglio, del 20 dicembre 2011, che abroga la decisione 2011/491/UE relativa alla firma, a nome dell’Unione europea, e all’applicazione provvisoria del protocollo tra l’Unione europea e il Regno del Marocco che fissa le possibilità di pesca e la contropartita finanziaria previste dall’accordo di partenariato nel settore della pesca tra la Comunità europea e il Regno del Marocco, in Gazzetta ufficiale n. L 006 del 10/01/2012 pp.1-2, sito web: eur-lex.europa.eu. 328 del conflitto in Sahara occidentale, le relazioni bilaterali fra Unione europea e Marocco, e in particolare fra Spagna e Marocco, non hanno subito alcuna particolare ripercussione. Le acque del Marocco e del Sahara occidentale, de facto controllate da Rabat, sono sempre state meta tradizionale dei pescherecci spagnoli, in particolare andalusi, per questo il tema è molto sentito da Madrid. Da parte sua il Marocco ha spesso sfruttato politicamente questo legame con la Spagna, per negoziare i successivi accordi di pesca a proprio vantaggio, anche se dopo il suo ingresso nell’Unione europea la situazione si è notevolmente ridimensionata, in particolare per due ragioni. La prima, riguarda il fatto, che il centro decisionale si è spostato da Madrid a Bruxelles, la seconda invece riguarda la necessaria e drastica riduzione della flotta di pescerecci spagnoli, per lasciare spazio ai pescherecci di altri Paesi europei. I rapporti commerciali ed economici tra Spagna e Marocco sono comunque regolati dall’Accordo di associazione siglato nel 1996 ed entrato in vigore nel 2000.789

Il 15 e 16 gennaio 2013, i rappresentanti dell’Unione europea e del Marocco si sono incontrati a Rabat per discutere i termini di un nuovo accordo di pesca, che permetta alle flotte europee di ritornare a pescare nelle acque del Marocco. Il precendente round di negoziati, tenutosi a Bruxelles il 20 dicembre 2012, si è concluso con nulla di fatto. Maria Damanaki, commissiaria europea alla pesca, incaricata di negoziare i termini dell’accordo in nome dei ventisette Stati membri dell’UE, non ha ancora reso pubblico il calendario dei negoziati. Nel frattempo, il Ministro spagnolo dell’agricoltura, dell’alimentazione e dell’ambiente, Miguel Arias Cañete, ha chiesto insistentemente di accellerare i tempi per permettere alla flotta spagnola di poter riprendere al più presto l’attività “nella regione”.790

Il 13 ottobre 2008 l’Unione europea ha accordato al Marocco lo “status avanzato”, rafforzando così ancora di più la posizione del Regno nel Partenariato euro-meditteraneo (PEM). Il Marocco è il primo Paese della riva sud del Mediterraneo a beneficiare di questo rapporto con l’Unione europea, l’inizio di un percorso di avvicinamento progressivo di Rabat alle politiche europee, che può aprire ambiziosi ambiti di cooperazione economica, politica e sociale.

La cooperazione a livello bilaterale tra l’Unione europea e i singoli Paesi mediterranei, nell’ambito della Politica europea di vicinato (PEV),791 ha registrato dei progressi. Ad esempio, il vertice

789 Afriche spagnole. Madrid guarda oltre le colonne d’Ercole, La Spagna non è l’Uganda, in Rivista italiana di geopolitica, 4/2012, Roma: Gruppo editoriale l’Espresso, pp. 198-199. 790 UE et Maroc continuent mi-janvier à discuter l’accord de pêche, 10 gennaio 2013, www.fishelsewhere.eu. 791 La nuova Politica Europea di Vicinato (PEV) riguarda i Paesi del Mediterraneo a cui l’Unione Europea offre attraverso il libero scambio la partecipazione al mercato interno e all’adozione progressiva di avvicinamento normativo e amministrativo. Attraverso piani di azioni differenziati da Paese a Paese vengono concordate misure economiche, giuridiche e politiche di avvicinamento all’Unione europea, alla loro attuazione è legato la concessione degli aiuti europei. Il partenariato euro-mediterraneo rappresenta nella politica dell’Unione europea un importante passo in avanti 329

Unione europea - Marocco a Granada dell’8 marzo 2010 ha riconfermato lo statuto avanzato nelle relazioni con l’Ue conferito nel 2008.

Il 22 aprile 2013 è poi cominciato il primo round di negoziati tra Unione Europea e Marocco, con l’intento di avvicinare quanto più possibile le due sponde del Mediterraneo in modo da creare una grande e prosperosa area di libero scambio, la cosiddetta DCFTA (Deep and Comprehensive Free Trade Area) che dovrebbe coinvolgere Ue, Egitto, Giordania, Tunisia e Marocco. Con quest’ultimo i negoziati sono già a livelli avanzatissimi e potrebbero concludersi già a fine giugno.792

Possiamo a questo punto affermare che l’approccio politico generale adottato dall’Unione europea sulla questione del Sahara occidentale può definirsi favorevole al diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi a livello di Parlamento europeo, che già nel 1989, chiese agli Stati membri e al Consiglio europeo di promuovere e favorire la soluzione del conflitto, in conformità con il diritto internazionale.

All’opposto, la Comunità europea, nell’ambito della politica estera e di sicurezza, ha assunto una posizione decisamente più cauta, limitandosi a invitare le parti coinvolte nel conflitto a cooperare con le Nazioni Unite, al fine di risolvere la situazione. Questo approccio può essere considerato veramente minimo, se comparato alle posizioni assunte dalla Comunità europa in situazioni simili, pensiamo alla Palestina.

Questa attitudine è dovuta alle posizioni divergenti degli Stati membri rispetto al Sahara occidentale: alcuni Stati del sud-Europa, penso soprattutto alla Francia, ma anche alla Spagna, si mostrano molto più cauti nei confronti della situazione, soprattutto per salvaguardare le proprie relazioni con il Marocco, mentre altri Stati del nord-Europa sostengono più apertamente i diritti del

e ha l’aspirazione di “costruire” una regione, anche se fino a ora sono stati raggiunti risultati modesti, nonostante le ambizioni iniziali definite nella Dichiarazione di Barcellona del 1995. Nelle relazioni nord-sud spesso l’asimmetria tra i partner ha assunto livelli tali da rendere retorico il ricorso alla definizione di partenariato che in realtà consiste in un adeguamento dei Paesi mediterranei a decisioni e a obiettivi fissati dai partner europei, dando scarso protagonismo ai Paesi del sud. Peraltro i tentativi d’integrazione economica, e ancor meno quelli d’integrazione politica, pensiamo all’UMA, hanno avuto scarsi risultati. Anche per quanto riguarda il libero scambio, che secondo gli obiettivi del 1995 doveva realizzarsi entro il 2010, si sta realizzando con grande ritardo tra nord e sud, ed è pressoché assente nelle relazioni sud-sud. La nuova politica europea di vicinato spesso privilegia la costruzione di progressive a economiche nord-sud di tipo bilaterale e investe scarse energie nel costruire rapporti sud-sud, a scapito dei tentativi di “costruzione regionale”. La politica statunitense nel Medio Oriente, che si differenzia profondamente da quella adottata dall’Unione europea, nasce con scopi prevalentemente commerciali, ma ha acquisito progressivamente alla finalità poliche o di sicurezza. Gli accordi commerciali sono cioè considerati un mezzo per approfondire relazioni politiche, in particolare nel contesto della cosiddetta guerra globale al terrorismo. Gli Stati Uniti hanno preferito una strategia bilaterale, più rapida, rispetto a quella regionale e basata sul partenariato euro-mediterraneo incentrato sul dialogo transnazionale e sovranazionale dell’Unione europea, che richiede certamente tempi più lunghi di negoziazione. F. Zallio e V. Talbot, Tra bilateralismo e regionalismo: la politica europea di vicinato nel mediterraneo, ISPI Relazioni internazionali, pp. 19-21; F. Zallio, Un’area di libero scambio in Medio Oriente: la proposta USA e la UE, Global Watch ISPI, numero 1 gennaio 2004, sito web: www.ispionline.it. 792 F. Cassanelli, Via ai negoziati Ue – Marocco, per unire le due sponde del Mediterraneo, 23 aprile 2013, sito web: www.rivistaeuropae.eu. 330 popolo sahrawi.

Il 5 dicembre 2012 il Parlamento svedese ha riconosciuto ufficialmente la R.A.S.D. mettendo in seria difficoltà il Marocco. Decisivo è stato l’impegno dei socialisti svedesi, insieme ai colleghi danesi e norvegesi, che da anni lavorano sostengono la lotta per l’autodeterminazione del popolo sahrawi. “A nulla è servito l’impegno dei diplomatici marocchini per scongiurare questo riconoscimento, che è senza dubbio simbolico…”. Ora il timore del Marocco è che questo riconoscimento della Svezia faccia partire una serie di riconoscimenti, anche in altri Stati europei. La proposta è stata certamente già presa in considerazione da Danimarca e Norvegia, ma sappiamo anche che la diplomazione sahrawi è molto attiva in tutta Europa.793

Nonostante la complessità della situazione, l’Unione europea ha comunque trovato l’accordo necessario per adottare azioni concrete di una certa importanza nei confronti del popolo sahrawi, penso agli aiuti umanitari che l’Unione Europea garantisce alla regione e alla continua e proficua cooperazione tra Unione europea e Nazioni Unite.

793 Polisario: la Svezia riconosce la “Repubblica dello Saharawi”. Marocco infuriato, 9 dicembre 2012, sito web: www.rightsreporter.org. 331

Conclusioni

Dopo quasi quarant’anni dal ritiro della Spagna, lo statuto definitivo del Sahara occidentale non è ancora stato definito. 794 Lo dimostra la rappresentazione cartografica di questo territorio che cambia secondo chi la produce. Spesso si dimentica che la cartografia è la rappresentazione semplificata di una realtà complessa, una selezione d’informazioni ed elementi soggettivi, tra le infinite soluzioni possibili, che non è mai una fotografia obbiettiva della realtà. I governi hanno colto l’importanza strategica delle carte geografiche e le hanno utilizzate come strumento di propaganda. E’ quindi possibile giocare sui codici grafici per rappresentare la realtà da un certo punto di vista, così da favorire la trasmissione di un preciso messaggio. Ciascuno deforma la realtà geografica secondo i propri desideri.795 Questo è il caso del potere marocchino, che continua a diffondere carte del “Grande Marocco” che includono le “province sahariane”, lasciando credere che il Sahara occidentale, il conflitto e quindi le rivendicazioni del popolo sahrawi non esistano. In queste cartine è totalmente omessa la delimitazione della frontiera nord del Sahara occidentale, anche se nelle cartografie degli inizi del XX secolo, il Sahara vi appare come colonia spagnola, per poi sparire misteriosamente nelle attuali carte dell’Africa.796 I cartografi più prudenti rappresentano invece il Sahara occidentale separato dal Regno del Marocco con una linea tratteggiata. Anche se nel caso del Sahara ciò che in discussione non è la frontiera nord, che non è più stata in discussione a partire dal 1958 dal momento in cui la Spagna ha ceduto al Marocco la regione di Tarfaya, ma l’insieme del territorio. Per questo motivo la frontiera nord non dovrebbe essere contrassegnata da una linea tratteggiata, ma da una linea continua. Questa affermazione è rinforzata dal diritto internazionale secondo il quale il Sahara occidentale è un “territorio non autonomo” e quindi da considerarsi comunque un territorio definito.797 Se i due territori vengono rappresentati distintamente, con quali colori vengono contrassegnati nelle cartografie politiche? Il Sahara è colorato a strisce di due colori, uno dei quali è associato al regno del Marocco, oppure contrassegnato da un colore neutro? Se si utilizza il doppio colore si fa di fatto riferimento al referendum, attraverso il quale è deciso se il Sahara occidentale è indipendente o annesso al Marocco. Questa scelta può essere considerata valida nel momento in cui il referendum sia stato effettivamente programmato, ma siccome ancora

794 J. Dedenis, Quelle cartographie pour le Sahara occidental?, in Sahara info, n. 138, gennaio-febbraio 2007, p. 6, sito web: www.sahara-info.org. 795 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 11, sito web: www.sahara-info.org. 796 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 11, sito web: www.sahara-info.org. 797 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 12, sito web: www.sahara-info.org. 332 non lo è, tale rappresentazione rischia di essere criticabile, perché anticipatoria. L’utilizzo di un colore proprio che contraddistingue il territorio come non autonomo, sembra allora essere la scelta migliore.798 Le carte geografiche, oltre a dimenticare spesso la frontiera settentrionale della regione accorpando Marocco e Sahara occidentale, dimenticano anche di indicare l’esistenza del muro (berm) che attraversa longitudinalmente e separa il territorio sahariano. Secondo le carte militari a ovest del muro c’è il Marocco, a est del muro c’è la R.A.S.D. e al centro una fascia di 5 km considerata zona internazionale. Per rappresentare la situazione reale del terreno è importante che la carta militare rappresenti i campi profughi in Algeria, cioè l’insieme dello spazio amministrato dalla R.A.S.D..799 Potremmo dire che la carta politica è quella che fa riferimento al diritto internazionale e ai dati giuridici, cioè a “ciò che dovrebbe essere”, mentre la carta militare è quella che riporta la realtà sul terreno, vale a dire “ciò che è”. Concretamente questi due tipi di cartine non si oppongono ma si integrano e si completano. 800 In ogni caso, sia che si faccia riferimento a una riproduzione o all’altra, la rappresentazione delle “province del sud” insieme al Regno del Marocco, non è da considerarsi corretta, in quanto lo statuto definitivo del territorio e quindi la sovranità sul Sahara occidentale, non è ancora stata determinata.801 La diffusione da parte di Rabat di cartografie che rappresentano il Marocco con incluse le “province del sud” rientra nella propaganda messa in atto prima da Hassan II e poi da Mohammed VI, finalizzata all’integrazione del territorio e della popolazione sahrawi al regno. Queste azioni ovviamente sono state interpretate in modo differente dalle due parti coinvolte nel conflitto. Per il Marocco si trattava del recupero delle “province del sud”, dal punto di vista della costruzione dell’unità nazionale, mentre per il Fronte Polisario si trattava di un’occupazione illegale di un territorio senza un governo autonomo, un’annessione in violazione del diritto internazionale. Il Sahara occidentale, possedimento spagnolo con duplice vocazione geopolitica araba e africana, non ha, di fatto, portato a termine il suo processo di decolonizzazione. La crisi del Sahara occidentale si presenta per molti aspetti come unica e complessa, come ha affermato a suo tempo anche l’inviato personale del Segretario generale dell’ONU James Baker, poiché la diplomazia onusiana non è ancora arrivata, dopo tanti anni, a raggiungere risultati soddisfacenti. La complessità della situazione deriva da fattori storici, politici ed economici e vede

798 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 12-13, sito web: www.sahara-info.org. 799 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 13, sito web: www.sahara-info.org. 800 J. Dedenis, Cartographier le Sahara occidental, in Sahara info, n. 131, luglio-agosto-settembre 2005, p. 13, sito web: www.sahara-info.org. 801 J. Dedenis, Quelle cartographie pour le Sahara occidental?, in Sahara info, n. 138, gennaio-febbraio 2007, p. 6, sito web: www.sahara-info.org. 333 contrapposti il popolo sahrawi e il Fronte Polisario favorevoli all’autodeterminazione e il Regno del Marocco favorevole a un’integrazione territoriale del Sahara occidentale e alla concessione di un’ampia autonomia alle “province del sud”. Diversi i soggetti coinvolti nella questione. Oltre alle istituzioni internazionali, come le Nazioni Unite e la Corte internazionale dell’Aia, anche i Paesi confinanti – Mauritania e Algeria – l’Organizzazione dell’Unità Africana e, in misura minore, la Lega araba.802 Per comprendere le ragioni profonde, che dopo quarant’anni dal suo inizio, hanno fatto sì che il conflitto non abbia ancora trovato una soluzione, è necessario focalizzare l’attenzione sulle cause (storiche, economiche e politiche) e sulle conseguenze della crisi del Sahara occidentale in Marocco, Mauritania, Algeria e per il popolo sahrawi. Il Marocco dopo aver raggiunto l’indipendenza ha rivendicato l’annessione al proprio territorio del Sahara occidentale e non ha esitato a intraprendere una guerra lunga e costosa, prima insieme alla Mauritania, poi da solo. L’espansionismo marocchino, come abbiamo visto, è radicato nella storia millenaria dell’impero sceriffiano, che nei secoli si è sempre riconosciuto come un unico Stato, il Maghreb. Questo grandioso passato è stato interrotto solo dalla breve parentesi della colonizzazione, per poi rinascere dopo l’indipendenza. Già nel 1956 la monarchia marocchina dichiara di voler riunificare i territori storicamente sotto la sua influenza. È per questo che il Marocco rivendica il Sahara occidentale e, secondo il progetto del “Grande Marocco” del partito dell’Istiqlal, anche la Mauritania, parte dell’Algeria e il Mali. Nel 1958 il regno recupera la regione di Tarfaya, nel 1969 l’enclave di Ifni, mentre la Mauritania, per volontà francese e nonostante le contrarietà di Hassan II, proclama nel 1960 la sua indipendenza. Al Marocco non rimane che reclamare il Sahara occidentale, che non rappresenta solo un territorio da acquisire, ma un elemento indispensabile per costruire il progetto di unità nazionale, sulla base degli acquisiti diritti storici. Alla rivendicazione storica e politica si deve aggiungere la dimensione religiosa. In Marocco il legame tra potere politico e religione coincide. Il sultano, divenuto re dopo l’indipendenza, oltre ad essere responsabile della nazione, come capo dei credenti è anche responsabile del destino spirituale del suo popolo, la religione islamica quindi rinforza e consacra la legittimità del potere del re. Il fattore religioso è stato importante nella crisi del Sahara occidentale. Le argomentazioni addotte dal Marocco alla Corte internazionale dell’Aia, hanno molto a che fare con il sistema politico e religioso dello Stato sceriffiano. La stessa Marcia verde è stata acclamata in nome dell’unità

802 Nel 1982 dopo l’annessione della R.A.S.D. all’Organizzazione dell’Unità Africana è impensabile un’ammissione parallela della R.A.S.D. alla Lega araba, che nutre una grande deferenza nei confronti del Marocco. I riconoscimenti della Repubblica sahrawi non sono mancati, ma sono concessi più per una scelta di campo fra forze radicali che in nome della solidarietà panaraba, anche se verso la fine degli anni Settanta quando il Polisario è all’apice, soprattutto grazie ai successi militari nelle prime offensive, intervengono sul Marocco con intenti moderatori anche Paesi come l’Egitto e l’Arabia Saudita. G. Calchi Novati, Autodeterminazione, nazione, stato: il Sahara occidentale come regola e come eccezione, in Afriche e Orienti, n. 1/2002, Repubblica di S. Marino: Aiep editore snc, p. 114. 334 nazionale e dell’Islam.803 Le motivazioni che hanno spinto i Marocchini a partecipare alla Marcia verde, non sono state, in realtà, esclusivamente di carattere patriottico e religioso, ma anche materiale: “i partecipanti erano senza dubbio volontari. Ma di loro parteciparono per gli interessi materiali che pensavano di poter ottenere dalla riconquista del Sahara. Le persone che non venivano accettate nella lista dei marciatori piangevano e accusavano le autorità di aver favorito delle persone” racconta l’attivista Fouad Abdelmoumni, studente all’epoca della Marcia verde.804 Dal punto di vista economico il Sahara occidentale è per il Marocco di grande interesse, pensiamo ai giacimenti di fosfati di cui il territorio sahariano è particolarmente ricco, ma nonostante ciò il fattore economico è secondario rispetto al progetto di unificazione nazionale, che è anche cronologicamente anteriore alla scoperta dei giacimenti di fosfati. Attraverso l’ardore nazionalista e gli interessi economici, la monarchia alaouita è riuscita a coinvolgere sia i partiti tradizionalisti che quelli progressisti, riuscendo a superare egregiamente la crisi di un decennio (1962-1972) e legittimare il suo potere. Ancora oggi il progetto di recupero delle “province del sud” ha il consenso della maggioranza del popolo, oltre che di tutte le forze politiche marocchine.805 Le deboli ragioni che hanno portato la Mauritania a rivendicare il Sahara occidentale non hanno determinato l’insorgere di un sostegno popolare forte, che ha portato il Paese, dopo due anni e mezzo di guerra, ad abbandonare il conflitto. Anche gli interessi economici mauritani erano piuttosto deboli. La suddivisione del territorio sahariano ha, infatti, penalizzato la Mauritania, che si è trovata a occupare una piccola porzione di deserto, senza grandi opportunità economiche.806 L’Algeria, senza essere parte attiva nel conflitto e pur non avendo mai rivendicato diritti sul Sahara occidentale, non può disinteressarsi delle sue sorti. L’Algeria, che condivide una frontiera con il Sahara occidentale di poco più di un centinaio di chilometri nella zona di Tindouf, vuole difendere la sua integrità territoriale, non vuole che la geografia del Paese possa essere modificata dalle mire espansionistiche marocchine sulle regioni di Bechar e di Tindouf, dove si trovano le miniere di ferro di Gara Djebilet. L’Algeria nel momento in cui rivendica il principio del rispetto delle frontiere coloniali proclamato dall’O.U.A., lo fa per il caso del Sahara occidentale, ma lo fa anche per se stessa. Algeri si dimostra più determinata che mai a difendere quelle che il Marocco considera province sahariane, per preservare l’integrità territoriale e difendere ciò che è stato conquistato con la guerra di liberazione. Il nazionalismo algerino non è meno potente di quello marocchino.

803 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 353-355. 804 F.Iraqi, Exclusif. Cher, très cher Sahara, in TelQuel n. 368 dal’11 al 17 aprile 2009, sito web: www.telquel- online.com.

805 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 355-356. 806 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 356-357. 335

Dopo la guerra delle sabbie del 1963, la questione delle frontiere tra i due Paesi non è ancora completamente risolta, tanto che l’Algeria continua a mantenere importanti contingenti militari nella regione, per difendere la sua integrità territoriale. Oltre a fattori geo-politici, esistono anche per gli Algerini interessi economici. Come abbiamo visto l’Algeria possiede grandi giacimenti di ferro a Gara Djebilet che vorrebbe esportare attraverso l’Atlantico. Il trasporto del minerale sulle coste del Mediterraneo per l’esportazione è troppo oneroso, a causa distanza. L’esistenza di uno Stato sahrawi indipendente potrebbe permettere la costruzione di una ferrovia in direzione dell’Atlantico, per facilitare le operazioni di esportazione del ferro. Le motivazioni che spingono l’Algeria a sostenere la lotta per l’autodeterminazione del popolo sahrawi però sembrano essere più che territoriali ed economiche, di tipo politico-ideologico, come nel caso del Marocco. Dopo la sua lunga e sanguinosa lotta di liberazione l’Algeria, infatti, sostiene materialmente, diplomaticamente e militarmente il Fronte Poliario e tutti i movimenti di liberazione che glielo chiedono, perché vuole affermare i grandi principi della decolonizzazione e i diritti dei popoli. 807 Le cause che hanno condotto il popolo sahrawi nella lotta di liberazione non sono meno chiare e meno importanti di quelle del Marocco e dell’Algeria. Sono anch’esse di natura storica, politica ed economica e si trovano radicate in un nazionalismo giovane e vigoroso. Il Fronte Polisario spesso invoca la storia e la cultura del popolo sahrawi, pur riconoscendo la mancanza di una nazione e ancora meno di uno Stato sahrawi nel passato. Le diverse tribù sahariane, pur essendo differenti tra loro, presentano alcuni tratti etnici, sociali e culturali comuni. Il loro modo di vivere, i loro costumi, la loro organizzazione e la loro lingua sono simili. Nonostante le differenze e le rivalità esse hanno vissuto in armonia e hanno formato una popolazione relativamente omogenea. È pertanto possibile distinguere un insieme sahrawi, con una sua specificità, che si distingue dalle popolazioni vicine. Questa base sociale e culturale ha fornito le basi fondamentali per la costituzione di una nazione e l’azione del Fronte Polisario. Le radici storiche non sono quindi assenti dalla lotta per la liberazione nazionale sahrawi. Il fattore essenziale che anima il popolo sahrawi è un sentimento nazionale vivo e profondo, più recente del nazionalismo marocchino o algerino, ma non meno potente e dinamico. La debolezza numerica di questo popolo è largamente compensata dalla sua forte determinazione, che non riguarda solo i combattenti e i militanti del Fronte Polisario, ma l’insieme della popolazione sahawi. È la lotta di liberazione contro il Marocco e non il colonialismo che ha contribuito a suscitare e a sviluppare questo nazionalismo e ne ha velocizzata la sua formazione. Questo nazionalismo pur

807 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 357-360. 336 poggiando su basi sociali solide, non ha alcun supporto economico autonomo, perché il popolo sahrawi è interamente dipendente dall’aiuto materiale proveniente dall’esterno e in particolare dall’Algeria. Nonostante questa dipendenza totale limiti le possibilità di manovra, il Fronte Polisario dimostra di contare solo sulle proprie forze per condurre la sua lotta di liberazione. Possedere le risorse economiche è fondamentale per il Fronte Polisario per condurre la sua lotta di liberazione, con questo obiettivo sta facendo tutto quando di tutto per recuperare fondi dallo sfruttamento delle risorse naturali del Sahara occidentale (fosfati e pesca in particolare), fino ad ora sfruttati interamente e in modo illegale dalla potenza occupante. La protezione e il recupero delle risorse naturali del territorio sono parte integrante della lotta di liberazione, perché sono necessarie per costruire lo Stato sahrawi. 808 Dopo aver evidenziato le cause del conflitto del Sahara occidentale è ora importante individuare le sue conseguenze per ciascuno dei Paesi coinvolti. Per quanto riguarda il Marocco, le conseguenze negative del conflitto sono evidenti: l’aumento delle spese militari e il massiccio investimento nelle “province del sud”, finalizzato ad integrare il territorio e la popolazione sahrawi al regno, hanno rallentato, se non addirittura bloccato, lo sviluppo economico del Paese e sottratto risorse alle altre regioni del regno, con gravi conseguenze a livello sociale (disoccupazione, scioperi, basso livello di vita…), il crescente potere dell’esercito, che potrebbe minacciare nuovamente la monarchia, l’isolamento del Marocco sulla scena africana, dopo l’uscita dall’O.U.A. nel 1982. Le conseguenze positive della crisi sahariana per il Marocco riguardano sia il piano politico che ideologico. Dopo i due colpi di stato subiti da Hassan II, la monarchia e l’autorità del re sono pesantemente pregiudicate. L’occupazione del Sahara occidentale, che ha coinvolto l’esercito e l’intero popolo marocchino, ha permesso di restaurare il prestigio della monarchia in nome dell’unità nazionale. La Marcia verde da questo punto di vista ha rappresentato un momento di grande passione nazionale ispirato dalla fede musulmana, un efficace strumento per rinforzare l’alleanza tra le popolazioni rurali e la monarchia. L’occupazione del Sahara occidentale ha permesso a Hassan II di neutralizzare il potere dei partiti d’opposizione, in nome dell’unità nazionale e dell’integrità territoriale. Certamente il Marocco, sottostimando la determinazione del Fronte Polisario, ha sperato di poter controllare il Sahara occidentale in breve tempo, anche se da un certo punto di vista la monarchia marocchina non ha molto interesse che il conflitto si risolva. Paradossalmente la mancata soluzione della contesa tra Marocco e Fronte Polisario, è una garanzia per il trono, che potrebbe essere seriamente minacciato dai problemi politici, sociali ed economici interni, che attendono da lungo

808 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 360-361. 337 tempo una soluzione e che in questa situazione si ripresenterebbero con tutta la loro forza. D’altra parte anche la costituzione di uno Stato sahrawi indipendente e il conseguente ritiro dal Sahara occidentale potrebbero determinare rischi per la monarchia, che invece vuole mantenere tenacemente il suo potere.809 Per la Mauritania il conflitto del Sahara occidentale ha evidenziato la sua fragilità politica. Il costo della guerra e la paralisi delle sue miniere di ferro hanno portato l’economia del Paese vicino al fallimento. All’interno del Paese le conseguenze del conflitto hanno avuto gravi ripercussioni sul piano politico e sociale. La guerra ha portato piano piano il potere politico nelle mani dell’esercito, che dopo essere diventato, la principale forza della nazione, si è poi impadronito del potere attraverso un colpo di stato. Solo il cambiamento del regime e il ritiro dalla guerra con la firma della pace con il Fronte Polisario, hanno permesso alla Mauritania di evitare la rovina e la disintegrazione.810 Per quanto riguarda l’Algeria, dal punto di vista economico il supporto materiale, militare e diplomatico al Fronte Polisario, ha costi ingenti, ma relativamente sopportabili se paragonato ai vantaggi politici che gliene derivano dal punto di vista politico. In effetti, il sostegno algerino alla causa sahrawi è conseguenza naturale della lotta di liberazione nazionale. Questa resta la principale fonte di legittimità politica per il regime algerino, a livello nazionale e internazionale. Il coinvolgimento nella questione sahrawi permette ad Algeri di consolidare la sua leadership tra i Paesi che sostengono i movimenti di liberazione in Africa. Il conflitto del Sahara occidentale fa risaltare le profonde rivalità tra i due principali Stati del Maghreb, che competono per la supremazia nella regione: Marocco e Algeria. Dal punto di vista demografico i due Paesi si equivalgono, ma dal punto di vista territoriale ed economico, l’Algeria è nettamente superiore: la sua superficie è cinque volte superiore a quella del Marocco, così come è superiore il suo PIL. I due Paesi si differenziano anche per la forma di governo e per il sistema economico. Da una parte abbiamo l’Algeria, una giovane repubblica che, nonostante il suo carattere autoritario, si propone di avviare un processo che porti progressivamente alla formazione di istituzioni democratiche e con un’economia basata sul ruolo fondamentale giocato dalle società pubbliche; dall’altra c’è il Marocco, monarchia ereditaria, che malgrado il multipartitismo, governa in maniera feudale e senza rispettare le libertà essenziali, anche se ha avviato un percorso verso la definizione di una monarchia quasi costituzionale, obbiettivo ancora lontano dall’essere raggiunto e con un’economia di tipo liberale che privilegia in modo assoluto l’iniziativa privata. Dal punto di

809 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 361-364. 810 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 364-365. 338 vista internazionale l’Algeria è vicina ai Paesi progressisti, al contrario il Marocco è nettamente pro-occidentale, un Paese moderato, vicino ai Paesi conservatori africani e arabi. Dalla guerra delle sabbie, la questione del Sahara occidentale ha trasformato la loro competizione in una rivalità: Algeri denuncia la politica espansionista del Marocco in Sahara e Rabat rimprovera l’Algeria di volere l’egemonia nella regione del Maghreb. Il Marocco teme la costituzione di uno Stato sahrawi indipendente alleato con l’Algeria. I nazionalismi del Marocco e dell’Algeria si affrontano ogni volta sul piano politico, economico e ideologico in occasione del conflitto sahariano, attorno al quale si è stabilito un fragile equilibrio, che rischia ogni volta di rompersi.811 Spesso la guerra del Sahara occidentale è stata considerata una manifestazione del conflitto tra Marocco e Algeria per l’egemonia della regione. La propaganda del governo marocchino e della maggior parte dei partiti politici marocchini, parlano dei combattenti del Fronte Polisario come mercenari dell’Algeria. Come ho già evidenziato, il conflitto del Sahara occidentale riveste un importante peso a livello regionale, anche se il ruolo dei Sahrawi è spesso sottostimato. Penso che un gruppo di mercenari non avrebbe potuto portare avanti la propria lotta con la volontà e lo spirito di sacrificio di cui hanno fornito prova, in più occasioni, i combattenti del Fronte Polisario e il popolo sahrawi dopo gli Accordi di Madrid.812 Le conseguenze negative del conflitto sul popolo sahrawi sono molteplici. Oltre alla perdita della Patria, il popolo sahrawi è scampato a un genocidio, è stato privato della sua libertà e dei suoi diritti fondamentali, non ha ancora potuto costruire uno Stato indipendente, non può raccogliere i proventi delle risorse naturali del Sahara occidentale, né può così assicurarsi uno sviluppo economico e sociale. Nonostante tutto ciò i Sahrawi non hanno mai perso la loro identità. Al contrario il conflitto gli ha permesso di costituire concretamente una nazione e di far nascere un nazionalismo particolarmente vivace. Durante la colonizzazione spagnola il popolo sahrawi era diviso in tribù diverse ma con caratteristiche simili che insieme hanno costituito un gruppo omogeno con una propria precisa identità. Prima del conflitto questo insieme sahrawi non si era ancora costituito in una nazione, nel senso moderno del termine, cioè non aveva ancora maturato la coscienza per formare una comunità unita fondata sulla volontà di vivere un destino comune. Nel momento in cui la Spagna si prepara a lasciare i territori, i Sahrawi sono pronti per costituire una vera nazione indipendente. Lo dimostra che la maggioranza dei Sahrawi rifiuta l’occupazione del Marocco e della Mauritania e piuttosto di sottomettersi e di collaborare con loro, preferiscono andare in esilio e ritornare a vivere nel deserto. Dopo una decina d’anni dalla sedentarizzazione, scelta obbligata dalla grande siccità che aveva colpito la regione, i Sahrawi sono pronti ad abbandonare tutto e a ritornare

811 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 365-367. 812 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 491. 339 alla vita nomade nel deserto, da cui deriva la loro originalità e la loro forza. Non solo i Sahrawi hanno superato le difficoltà legate all’esodo e alla vita nel deserto dell’Hammada, ma hanno dato prova nel loro esilio di impegnarsi in una lotta per la sopravvivenza, per la dignità e per la libertà. Involontariamente i Marocchini e i Mauritani hanno fatto un grande favore al popolo sahrawi occupando il Sahara occidentale: gli hanno permesso di prendere coscienza dell’identità e della loro unità. La popolazione del Sahara si è trasformata da quel momento in un popolo solidale e in una vera nazione, con la volontà condivisa di vivere un destino comune. Mentre altri popoli hanno impiegato decenni a creare una nazione, il popolo sahrawi l’ha fatto in pochi anni, spinto dall’esilio, dal ritorno al deserto e dalla lotta di liberazione. In queste condizioni difficili il popolo sahrawi si è unito e rafforzato, il conflitto ha contribuito a creare la nazione sahrawi e a fortificarla attraverso la lotta. La lotta non è solamente la prova dell’esistenza di una nazione, ma la causa che la determina, perché l’esistenza della nazione e la sua lotta per esistere coincidono. Le virtù della vita nomade e i valori profondi del deserto sono a servizio della causa nazionale. Il vigore, il coraggio, la solidarietà, in una parola l’assabiya, sono rinforzati dall’unione contro il nemico comune e dalla passione per la lotta di liberazione. L’unione dei valori tradizionali e le motivazioni patriottiche rendono il nazionalismo sahrawi molto attivo e vitale. La sopravvivenza collettiva è più importante del destino personale e l’esistenza nazionale cede il passo a quella individuale. È per questo che il popolo sahrawi non ha altra scelta che “vincere o morire”: tutti i suoi membri, non solo i militanti, partecipano, ciascuno a suo modo, alla lotta e alla costruzione nazionale. 813 Dall’analisi delle cause e delle conseguenze emerge che il conflitto del Sahara occidentale è lo scontro tra due nazionalismi, tra di loro antagonisti: da una parte il nazionalismo sahrawi, che si muove sul risveglio di una recente coscienza nazionale, risalente agli anni Sessanta e dall’altra il Marocco, che trasforma il vecchio nazionalismo anticolonialista, in desiderio di espansione territoriale.814 Il conflitto del Sahara occidentale, è considerato erroneamente, una controversia marginale e di poco conto riguardante un pezzo di deserto poco popolato, in realtà rappresenta uno dei focolai più preoccupanti nella regione, oltre a essere la principale causa che impedisce anche la realizzazione dell’U.M.A., un’unione tanto desiderata e necessaria per i Maghrebini. Le ostilità tra la monarchia marocchina e il popolo sahrawi danno pensiero agli Stati Uniti, oltre che alle due potenze europee che hanno storicamente interessi in Nordafrica, Francia e Spagna. I tre

813 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, pp. 367-369. 814 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, p. 489. 340

Paesi hanno una preoccupazione comune: la stabilità del Marocco. Tutti sono convinti che il ritiro del Marocco dal Sahara occidentale possa portare, con molta probabilità, a una crisi politica interna nel regno, con conseguenze imprevedibili in un Paese mediterraneo, considerato d’importanza strategica, dal punto di vista geopolitico. Certamente la guerra e l’occupazione del Sahara contribuiscono ad aggravare la situazione economica del Marocco e ha fatto crescere di conseguenza le tensioni sociali, che contribuiscono alla destabilizzazione della monarchia. Da questo punto di vista il Marocco si trova di fronte a scelte politiche difficili, che mettono in gioco la credibilità del re e della monarchia. Nonostante gli sforzi economici occidentali a sostegno del conflitto e della tesi marocchina, l’eccessivo prolungarsi del conflitto potrebbe portare paradossalmente alla destabilizzazione e alla possibile caduta della monarchia marocchina.815 Le Nazioni Unite e in particolare il Consiglio di sicurezza hanno continuato a discutere la questione sahariana e ad approvare risoluzioni che hanno riaffermato ogni volta il principio di autodeterminazione del popolo sahrawi, da esercitarsi attraverso un referendum di autodeterminazione, sotto l’egida dell’ONU, che fino ad oggi non si è ancora realizzato. Il Consiglio di sicurezza dell’ONU, si è spesso trovato di fronte alle minacce di veto nordamericane e francesi sulle risoluzioni sul Sahara occidentale, non riuscendo a inquadrare la questione nell’ambito del Capitolo VII della Carta delle Nazioni Unite, ciò che conferirebbe alla comunità internazionale il potere di imporre sanzioni o di esercitare altre forme appropriate di pressione, per costringere il regime marocchino ad adempiere alle disposizioni ONU. Gli Stati Uniti e la Francia hanno impedito al Consiglio di sicurezza di assicurare l’osservanza delle risoluzioni delle Nazioni Unite, per la paura di inimicarsi la monarchia marocchina, considerata un baluardo contro il comunismo e il nazionalismo arabo radicale durante la guerra fredda e, dopo l’11 settembre 2001, come un alleato importante nella lotta contro l’estremismo islamico. In mancanza di atti concreti da parte delle Nazioni Unite, non è sull’aiuto dell’Unione europea che può contare il popolo sahrawi. Nonostante la sensibilità mostrata da parte del Parlamento europeo, il Marocco è diventato uno dei principali beneficiari dei programmi d’aiuto dell’Unione e quest’ultima rappresenta il principale partner economico del Marocco. Sul sito ufficiale dell’Unione europea, inoltre il Sahara Occidentale è incluso nella superficie del Marocco. Tutto questo evidenzia una certa ambiguità nelle azioni svolte dall’Unione europea. Da una parte l’Unione dà il sostegno alla causa del popolo sahrawi, dall’altra ratifica l’accordo d’associazione con il Marocco; critica il comportamento di Rabat, ma firma accordi economici; chiede la possibilità per il popolo sahrawi di decidere della propria sorte, ma i suoi Stati membri sfruttano

815 T. Hodges, Sahara occidental. Origines et enjeux d’une guerre du désert, Paris, L’Harmattan, 1987, pp. 492-492. 341 illegalmente le risorse ittiche del Sahara Occidentale; destina aiuti umanitari ai profughi, ma nello stesso tempo concede ingenti aiuti economici al Marocco. Siccome le Nazioni Unite e l'Europa si sono mostrate incapaci di risolvere il conflitto, molti sguardi si rivolgono ormai verso gli Stati Uniti che, nel quadro della lotta contro il terrorismo e del loro piano di democratizzazione del mondo arabo-musulmano, hanno interesse a una stabilizzazione dell’area del Maghreb. Infatti, in seguito agli attentati terroristici dell'11 settembre, l'area maghrebina, che fino ad allora aveva rivestito un'importanza periferica agli occhi di Washington, è diventata di primaria rilevanza politica per gli Americani. La cooperazione politica e in materia di sicurezza con i tre stati del Maghreb (Marocco, Algeria e Tunisia) è stata quindi rafforzata, ma gli Stati Uniti si sono trovati a dover conciliare gli interessi dei loro due maggiori alleati regionali, l'Algeria ed il Marocco, contrapposti nel conflitto del Sahara Occidentale. Washington, attraverso la realizzazione di diverse iniziative di cooperazione, spera di incoraggiare l'integrazione economica dell'area promuovendo così, a poco a poco, la riconciliazione tra Marocco e Algeria. I benefici che ne deriverebbero per gli Stati Uniti, sarebbero una più efficace lotta contro il terrorismo, la stabilizzazione dell’area maghrebina-sahariana, e la possibilità di vantaggiosi accordi economici.816 Alla luce di queste considerazioni, l’interrogativo che ci si pone riguarda le reali possibilità che la crisi del Sahara occidentale si avvii verso una soluzione, ma le prospettive non sono incoraggianti. Più di vent’anni fa il Fronte Polisario ha accettato di deporre le armi e di porre fine a una guerra contro l’occupante marocchino del Sahara occidentale durata sedici anni. Le Nazioni Unite hanno promesso un referendum di autodeterminazione che ancora oggi non si è realizzato. Mentre quella promessa rimane irrealizzata, 165.000 sahrawi rifugiati continuano a vivere nei campi profughi in Algeria e il resto della popolazione sotto l’occupazione coloniale. Il popolo sahrawi ha ascoltato per quarant’anni false promesse, ha avuto pazienza per il bene della pace, ma è sempre stato ingannato dalla comunità internazionale. Ora rimangono due possibilità o continuare la lotta per la libertà e la giustizia con pazienza e sacrificio, oppure riprendere le ostilità. Fino a quando le Nazioni Unite accetteranno di impegnare risorse senza la speranza di una soluzione definitiva al problema? Fino a quando i giovani sahrawi si affideranno all’attuale classe dirigente del Fronte Polisario che da più di vent’anni persegue una soluzione diplomatica del conflitto che non arriva? Fino a quando sarà possibile per i Sahrawi pazientare?

816 CIRPAC (Centro interuniversitario di ricerca per la pace, l’analisi e la mediazione dei conflitti), Report Mediterraneo e Medio Oriente, Aggiornamento situazione Sahara Occidentale, pp. 2-3, sito web: http://www.cirpac.it/pdf/mediterraneo_e_medioriente/m2.pdf.

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Perché la Francia, culla della democrazia e della libertà, si oppone a qualsiasi tentativo di comprendere il monitoraggio e la protezione dei diritti umani nel mandato della MINURSO? Perché sostiene ciecamente la tesi coloniale del regime marocchino e si oppone fermamente a qualsiasi condanna delle violazioni marocchine? Perché la Spagna, che sostiene di mantenere una posizione neutrale sulla questione Sahara occidentale, pur essendo ancora giuridicamente la potenza amministratrice del territorio, continua a sostenere in ogni modo possibile il Marocco e il suo progetto espansionista? Perché l’Unione europea, invece di denunciare le atrocità commesse nel Sahara occidentale, nel 2008, ha assegnato al Marocco lo statuto avanzato, grazie al sostegno di Francia e Spagna; mentre il Parlamento europeo condanna la violazione dei diritti umani in Sahara occidentale? Perché gli Stati Uniti pur sostenendo pubblicamente gli sforzi delle Nazioni Unite per la decolonizzazione del Sahara Occidentale, contemporaneamente forniscono al Marocco armi e sostegno militare, come un alleato non-Nato? Perché la priorità di tutti i governi occidentali è la tutela dei propri interessi, garantiti dalla stabilità politica in Marocco. Questa potrebbe essere una delle possibili risposte a queste domande. La monarchia marocchina può fare quello che vuole nell’ex colonia spagnola, purché si mantenga stabile politicamente. Tutto ciò in nome della realpolitik o realismo politico che avvantaggia “le esigenze di sopravvivenza del potere”, piuttosto dei diritti e della legalità, che sono perduti di fronte a quelle che sono considerate necessità superiori. 817 In nome della realpolitik si accetta ogni compromesso, si calpesta ogni legalità, ogni valore. La realpolitik confonde la giustizia con la furbizia e afferma la legge del più forte sul più debole. È tempo che si abbandoni il realismo politico nel Sahara occidentale e si pensi ai diritti dei popoli e al diritto all’autodeterminazione, nel rispetto del diritto e delle convenzioni internazionali e in particolare delle risoluzioni dell’Assemblea generale dell’ONU 1514 (XV) del 14 dicembre 1960 e 1541 (XV) del 15 dicembre 1960, che pongono fine all’imperialismo coloniale di fine Ottocento e definiscono rispettivamente il diritto all’autodeterminazione di ogni territorio, soggetto a ogni forma di colonialismo, senza eccezioni, deroghe o ritardi e il suo esercizio in modo libero e democratico, possibilmente con la supervisione delle Nazioni Unite.

817 “Il termine è stato coniato da Ludwig von Rochau, intellettuale e politico tedesco, che nel 1853 lo utilizzò come titolo di una sua opera. Di lì entrò nel linguaggio politico a indicare un duro pragmatismo, una politica di potenza, o, in modo ancora più radicale, le prospettive scientifiche e pratiche secondo cui la politica è determinata da logiche di potere, mentre giustizia, libertà, moralità, legalità, sono solo utopismo e idealismo, destinati a essere smentiti dalla dura realtà. La Realpolitik non è certo un'invenzione tedesca; nasce con Trasimaco, che secondo Platone affermava che la giustizia è la legge del più forte - come del resto era già stato narrato da Tucidide nel dialogo fra gli abitanti dell'isola di Melo e gli Ateniesi, in cui questi enunciano la legge eterna e universale della politica: il piú forte comanda e il più debole obbedisce…” Realpolitik, in Repubblica.it, 24 giugno 2012, sito web: www.repubblica.it. 343

Quale sarà il futuro del Sahara occidentale? Quali gli scenari possibili? Difficile dirlo con certezza, anche se possiamo dire che qualunque soluzione avrà il conflitto, questa modificherà il quadro politico ed economico dell’intera regione maghrebina. L’unica soluzione possibile del conflitto del Sahara occidentale che garantisca una pace giusta e duratura, oltre che la stabilità nella regione, passa attraverso l’esercizio del diritto all’autodeterminazione del popolo sahrawi e quindi attraverso l’affermazione della legalità internazionale. Non c’è pace senza giustizia si dice. Il popolo sahrawi ha combattuto e si batte ancora oggi per il suo inalienabile diritto, appoggiarlo in questo progetto è solo un atto di giustizia. Il prezzo pagato dai Sahrawi nei territori occupati, i sacrifici patiti da queste popolazioni nei campi di rifugiati devono indurre l'ONU a riprendere senza indugi delle nuove iniziative conformi alla legalità internazionale, al fine di portare a termine il processo di pace della MINURSO, di portare sollievo alle sofferenze di un popolo privato dei suoi diritti, di riportare la pace, la sicurezza e la cooperazione nella regione del Maghreb. Piano piano il movimento di liberazione sahrawi finirà per raggiungere il suo obiettivo: la liberazione della sua patria e del suo popolo. Il Marocco non sembra disposto a cedere, ma in tutti i casi è chiaro che la soluzione del conflitto deve passare necessariamente attraverso il riconoscimento dei diritti del popolo sahrawi. Il rischio è di non raggiungere una pace vera, né la stabilità politica in questa regione dell’Africa.818

818 M. Barbier, Le conflit du Sahara occidental, Paris, L’Harmattan, 1982, p. 369. 344

Appendice

Bibliografia

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