contro il sionismo e il nazifascismo per l’autonomia nazional culturale dei popoli per la rivoluzione socialista internazionale

il Bund ebraico

in Russia e Polonia

dal 1905 alla Seconda Guerra Mondiale

Immagine in copertina: Manifestazione dei gruppi giovanili del Bund, Varsavia 1932

2 Di Shvue – Il Giuramento (inno del Bund)

Yiddish Traslitterazione dall’Yiddish Brider un shvester fun arbet un noyt ,ברידער און שװעסטער ֿפון אַ רבעט און נױט ,Ale vos zaynen tsezeyt un tseshpreyt אַ לע סװאָ זײַנען צעזײט און צעשּפרייט ,Tsuzamen, tsuzamen, di fon iz greyt צוזאַ מען, צוזאַ מען, די ֿפאָ ן איז גרייט !Zi flatert fun tsorn, fun blut iz zi royt זי ֿפלאַ טערט ֿפון צאָ רן, ֿפון בלוט איז זי רויט .A shvue, a shvue, af lebn un toyt אַ שֿבועה, אַ שֿבועה, אויף לעבן און טויט

Himl un erd veln undz oyshern הימל און ערד װעלן אונדז אויסהערן Eydet vet zayn di likhtike shtern עדות װעט זײַ ן די ליכטיקע שטערן ,A shvue fun blut un a shvue fun trern אַ שֿבועה ֿפון בלוט און אַ שֿבועה ֿפון טרערן !Mir shvern, mir shvern, mir shvern מיר שװערן, מיר שװערן, מיר שװערן

.Mir shvern a trayhayt on grenetsn tsum bund מיר שװערן אַ טרײַ הײט אָ ן גרענעצן צום בונד .Nor er ken bafrayen di shklafn atsind נאָ רער קען באַ ֿפרײַען די שקלאַ ֿפן אַ צינד .Di fon, di royte, iz hoykh un breyt זיין ֿפאָ ן, די רויטע, איז הויך און ברייט !Zi flatert fun tsorn, fun blut iz zi royt זי ֿפלאַ טערט ֿפון צאָ רן, ֿפון בלוט איז זי רויט .A shvue, a shvue, af lebn un toyt אַ שֿבועה, אַ שֿבועה, אויף לעבן און טויט

Fratelli e sorelle in lotta e in catene Dispersi ovunque in terre lontane Insieme, insieme! Ecco la bandiera Sventola con rabbia, il sangue la colora

A questo giuramento impegnamo la vita

Il cielo e la terra udiranno il nostro nome Le stelle saranno il nostro testimone Il nostro sangue, e le lacrime impegnamo Giuriamo, giuriamo, giuriamo

Al Bund giuriamo eterna fedeltà Soltanto il Bund ci darà la libertà Ecco la bandiera, è alta e distante Sventola con rabbia, rossa di sangue

A questo giuramento impegnamo la vita

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indice

nota introduttiva e cronologia………………………………….………………………..p.6 attivisti del Bund…………………………………………………………………………..p.10 principali partiti e sigle di riferimento………………………………………………...p.12 fonti in inglese e italiano……………………………………………………………...…p.12

1. GLI ANNI DELLA REAZIONE ZARISTA (1906 – 13)………………………………p.14 Declino e riorganizzazione dopo il 1905 / La riunificazione del POSDR / La questione nazionale tra il 1906 e il 1913 / 1912: nuova scissione nel POSDR

2. IL BUND E LA PRIMA GUERRA MONDIALE………………………………………p.18 Lo scoppio della guerra e il tradimento della Seconda Internazionale / L’opposizione del Bund alla guerra / Militarizzazione della Zona e deportazioni degli ebrei / L’occupazione tedesca della Polonia / L’antisemitismo dei nazionalisti polacchi / Attività del Bund polacco sotto l’occupazione

3. LA RIVOLUZIONE DEL MARZO 1917……………………………………………….p.25 Il mondo ebraico e la Rivoluzione di marzo / Risveglio dei partiti ebraici / Il Bund e la Rivoluzione di marzo / Gli Unitari, il Bund e l’ascesa bolscevica

4. I BOLSCEVICHI PRENDONO IL POTERE………………………………………….p.35 L’insurrezione bolscevica e le reazioni nel Bund / “Correggere o rovesciare” i bolscevichi? Tentativi di governo di coalizione / Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente

5. LA CREAZIONE DEL COMMISSARIATO EBRAICO E DELLE EVSEKTSIIA…p.42 Gli ebrei bolscevichi prima del 1917 / Gli ebrei e il governo bolscevico / Nascita dell’Evkom e delle Evsektsiia / Alla ricerca di uomini e strutture / I rapporti con i comitati di partito

6. IL BUND E LA GUERRA CIVILE IN RUSSIA (1918 – 1920)……………………...p.51 Il Bund e il potere bolscevico nel 1918 / Ucraina: guerra civile e pogrom / La scissione nel Bund ucraino / Bundisti e bolscevichi in Bielorussia / La Conferenza di Gomel e la scissione del Bund in Bielorussia

7. IL BUND IN POLONIA TRA INDIPENDENZA E RIVOLUZIONE (1918 – 1920)..p.63 La Conferenza di Lublino e il dibattito sull’Ottobre / La nascita della Polonia indipendente / Il Bund e il Partito Comunista di Polonia / I soviet polacchi / Democrazia proletaria o dittatura proletaria / Nascita del Comintern e Congresso di Cracovia / Il Bund e la guerra russo – polacca

8. LA RESA DEI CONTI DEL 1921………………………………………………………p.73 La fine del Bund in Russia / Pochi bundisti passano alle Evsektsiia / Il Bund polacco e il Comintern / Valutazione finale

9. IL BUND NELLA NUOVA POLONIA (1921 – 26)…………………………………..p.83 Repressione del governo nazionalista / L’unificazione dei sindacati / Le elezioni del 1922 / Il Bund di Vilna si riunisce al Bund polacco / Il Terzo Congresso

10. L’ERA PILSUDSKI (1926 – 35)……………………………………………………...p.89 Il colpo di mano del 1926 / Elezioni del 1928: successo dell’alleanza Bund – PPS / 1930: nuovo distacco dal PPS / Lo scontro con il KPP / Il contrasto con i sionisti / Ingresso del Bund nell’Internazionale Socialista / La democrazia interna al Bund

4 11. IL BUND SCONFIGGE IL NAZISMO POLACCO (1935 – 39)………………….p.102 La vittoria di Hitler in Germania / Il Bund polacco e le purghe staliniane / La Polonia dei colonnelli: provvedimenti contro gli ebrei / Resistenza popolare allo squadrismo / Unità socialista: lo sciopero dei contadini e nelle università / La collaborazione dei sionisti con gli antisemiti polacchi / Vittorie elettorali del Bund

12. IL BUND NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO……………………………….p.114 L’invasione nazista e la resa di Varsavia / Il Bund in clandestinità / La creazione degli Judenrat e dei ghetti / La fine di Erlich e Alter per mano dell’URSS / Il Bund e il Governo polacco in Esilio / Sterminio, Resistenza e distruzione del ghetto di Varsavia / Le responsabilità degli Alleati e dei sionisti nello sterminio degli ebrei

13. EPILOGO……………………………………………………………………………...p.125 L’ultima fase della guerra / Destino degli ebrei polacchi sopravvissuti / Lo scioglimento del Bund polacco

Zona di Insediamento degli ebrei nell’Impero zarista, 1900 circa

5 nota introduttiva

Dopo Il Bund ebraico in Russia dalle origini al 1905, è disponibile una ricerca sulle vicende del principale partito del movimento operaio ebraico in Russia e Polonia dal 1905 alla Seconda Guerra Mondiale, quindi attraverso la crisi rivoluzionaria del 1917 – 1921 e poi nell’epoca della lotta al nazifascismo. Nella prima metà del Novecento gli ebrei socialisti del Bund pagarono un prezzo carissimo di fronte al nazismo e anche al totalitarismo instauratosi nell’URSS, ma il patrimonio di lotte teoriche e pratiche che hanno lasciato merita di essere conosciuto e studiato, anche per orientarsi nel tempo presente. Questo patrimonio può essere riassunto in quattro filoni principali: opposizione al sionismo; opposizione al nazifascismo; autonomia nazional culturale del popoli; rivoluzione socialista internazionale.

cronologia essenziale

1906 Controrivoluzione zarista in Russia. Il Bund ritorna in clandestinità e si riunifica al Partito Operaio Social Democratico Russo di Lenin e Martov. Nel marzo si tiene la Settima Conferenza del Bund. Nell’agosto a Lvov si tiene il Settimo Congresso del Bund.

1910 Ottava Conferenza del Bund.

1912 Nuova scissione nel POSDR, a livello centrale i bolscevichi e i menscevichi si separano definitivamente. Il Bund è vicino politicamente e organizzativamente alle posizioni mensceviche. Si tiene la Nona Conferenza del Bund.

1914 Agosto. Scoppia la Prima guerra mondiale. I principali partiti dell’Internazionale Socialista tradiscono la linea dell’opposizione alla guerra. Novembre. Nella prospettiva di un’occupazione tedesca della Polonia e quindi di una divisione della Zona di Residenza degli ebrei nell’Impero zarista, i bundisti polacchi decidono di costituire un Comitato Centrale separato.

1915 L’esercito zarista si ritira dalla Polonia, che viene occupata dai tedeschi, e organizza la deportazione di 600.000 ebrei dalla zona del fronte verso l’interno della Russia, per timore di disfattismo e opposizione alla guerra.

1917 Marzo. Stremata da due anni e mezzo di guerra, la popolazione russa insorge a Pietrogrado e in altre città, e in pochi giorni rovescia il regime zarista, vecchio di tre secoli. Si forma un dualismo di potere tra un governo provvisorio a direzione borghese e i soviet degli operai, dei soldati e dei contadini. Il Bund russo prende parte ai soviet. Aprile - Maggio. Nella prospettiva di un’estensione della Rivoluzione, il Bund nella propria Decima Conferenza decide la costituzione di un nuovo Comitato Centrale unitario. Novembre. I bolscevichi prendono il potere a Pietrogrado. Il Bund si divide sui pro e contro dell’insurrezione, ma in generale è contrario al monopolio del potere bolscevico e appoggia i tentativi di creazione di un governo di coalizione socialista. Dicembre. Ottavo Congresso del Bund unitario a Pietrogrado e Prima Conferenza del Bund polacco a Lublino. 16 dicembre. Nasce il Partito Comunista di Polonia (KPP).

1918 Gennaio. Il partito bolscevico decide di creare un Commissariato agli Affari Ebraici (Evkom) e di attirare in quell’ambito i militanti del Bund.

6 Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente, la capitolazione di Brest-Litovsk e la politica bolscevica verso i contadini sono tra i fattori dello scoppio della guerra civile in Russia. Il Bund si divide sull’appoggio al regime, in generale è contrario al bolscevismo ma l’antisemitismo delle fazioni reazionarie spinge in molti casi gli ebrei a sostenere l’Armata Rossa. Agosto. I bolscevichi decidono di istituire delle Sezioni Ebraiche del partito comunista (Evsektsiia), per svuotare e liquidare progressivamente il Bund. 9 novembre. Il Kaiser tedesco abdica. Per due mesi pare che la Germania possa ripetere la Rivoluzione russa, ma il 15 gennaio 1919 i capi rivoluzionari Rosa Luxemburg e Karl Liebknecht vengono assassinati dal governo provvisorio socialdemocratico. 12 novembre. La Polonia dichiara l’indipendenza, con il Maresciallo Pilsudski come Presidente provvisorio. Dicembre. Seconda Conferenza del Bund polacco.

1919 Gennaio. A Mosca nasce la Terza Internazionale (Internazionale Comunista o Comintern), centro di attrazione dei partiti socialisti nel mondo e per promuovere una rivoluzione internazionale di stampo bolscevico. In Polonia la divisione tra parlamentaristi e non fa sì che il Bund non partecipi alle prime elezioni libere per il Parlamento (Dieta). Febbraio. Il Bund ucraino si divide sulla questione dell’ingresso nel Comintern. Marzo. Undicesima Conferenza del Bund a Minsk, per poco evitata la scissione. Aprile. Terza Conferenza del Bund polacco.

1920 Aprile. La Dodicesima Conferenza del Bund a Gomel dopo un drammatico dibattito si divide sulla questione del sostegno al governo sovietico. A Cracovia si tiene il Primo Congresso del Bund polacco unificato, nato dalla fusione del Bund polacco con il Partito Social Democratico Ebraico di Galizia, regione dell’Impero austro-ungarico acquisita dalla Polonia dopo la guerra. Inizia la guerra tra Polonia e Russia, coi nazionalisti polacchi che cercano di espandersi a spese del nascente stato sovietico. Il Bund polacco paga duramente la propria opposizione alla guerra. Luglio. Il Secondo Congresso del Comintern approva i 21 punti come condizione per l’adesione alla Terza Internazionale. L’accettazione dei 21 punti significherebbe di fatto la sparizione del Bund come partito del proletariato ebraico.

1921 Marzo. La Tredicesima Conferenza del Bund a Minsk accetta i 21 punti, segnando il dissolvimento dell’organizzazione in Russia, che confluisce nel Partito Comunista (solo il 10% circa dei bundisti però farà questo passaggio). Nel contempo il massacro di Kronstadt, la liquidazione dei partiti socialisti e l’abolizione del frazionismo segnano l’instaurazione di una vera e propria dittatura bolscevica. Alcuni bundisti dissidenti formano un “Bund socialdemocratico” che avrà breve vita. La pace di Riga segna la fine della guerra russo – polacca. Parte della Lituania (tra cui la città di Vilna) e della Bielorussia diventano territorio polacco. Dicembre. Il Secondo Congresso del Bund polacco a Danzica decide di non accettare i 21 punti, pur aderendo politicamente alle posizioni del Comintern. Il Bund polacco rimane integro come organizzazione, riuscendo persino a evitare la scissione su questo tema.

1922 Elezioni della Dieta polacca. I partiti di sinistra si presentano divisi ed escono sconfitti. A livello sindacale le organizzazioni ebraiche e polacche si uniscono in un’unica federazione per far fronte alla repressione governativa.

1923 Il Bund di Vilna, città culla e roccaforte dell’organizzazione sin dal 1897, si unisce al Bund polacco.

1924 Dicembre. Terzo Congresso del Bund polacco a Varsavia. Viene approvata una mozione per un tentativo di riunificazione tra il Comintern e l’Internazionale Socialista.

1926 Maggio. Colpo di stato del Maresciallo Pilsudski, sostenuto dal proletariato polacco e dal Bund. Di lì a poco però il governo mostrerà un volto antipopolare. 7 1928 Elezioni politiche, le ultime libere in Polonia. L’alleanza Bund – PPS – Wyzwolenie ottiene un buon risultato. Il KPP inaugura la linea della lotta al “socialfascismo” e fa una guerra aperta al Bund, favorendo di fatto i partiti di destra. Altrettanto accade in Germania: SPD e KPD con l’ascesa dei nazisti.

1930 Quarto Congresso del Bund polacco a Varsavia. Si discute animatamente l’eventuale ingresso nell’Internazionale Socialista, sollecitato anche dal PPS. Novembre. Nuove elezioni politiche. Questa volta il Bund e il PPS non corrono alleati e arretrano rispetto al 1928.

1931 Il Quinto Congresso del Bund polacco nel 1930 a Lodz delibera l’ingresso del Bund nell’Internazionale Socialista, come parte di una minoranza di partiti rivoluzionari.

1933 Marzo. Vittoria di Hitler in Germania.

1934 Dicembre. L’uccisione del membro del Politburo Kirov genera come risposta l’ondata di terrore che culminerà con le purghe staliniane del 1937 - 39. In Polonia il Bund si distanzia completamente dalla deriva autoritaria sovietica.

1935 Il Maresciallo Pilsudski muore, non prima di avere introdotto modifiche alla Costituzione nel senso della diminuzione dei poteri del Parlamento. I suoi successori, colonnelli dell’esercito, indicono elezioni con una legge elettorale truffa. I partiti socialisti tra cui il Bund boicottano le elezioni di luglio.

1936 17 marzo. In seguito a un pogrom a Prytzyk il Bund proclama uno sciopero generale contro l’antisemitismo, e ottiene una risposta di massa da parte dei lavoratori ebrei e anche polacchi. Il Bund decide si presenta alle elezioni delle comunità ebraiche, prendendo un numero molto consistente di voti.

1937 Agosto. Sciopero generale dei contadini polacchi, sostenuto dal Bund e dai socialisti.

1938 Novembre. Nuove elezioni politiche, boicottate dalla sinistra a causa della legge elettorale truffa. Dicembre. Il Bund e i socialisti polacchi si presentano entrambi alle elezioni municipali e in molte città ottengono la maggioranza, tra cui Varsavia, Lodz, Lvov, Piotrkow, Cracovia, Bialystok, Grodno, Vilna.

1939 23 agosto. Patto di non aggressione tra Germania e URSS, con tacita spartizione della Polonia. 1 settembre. La Germania invade la Polonia. Il governo polacco decide di abbandonare Varsavia, ma i socialisti convincono l’amministrazione locale a chiamare alla resistenza la popolazione. 27 settembre. Resa di Varsavia dopo tre settimane di assedio. 4 ottobre. I tedeschi ordinano l’istituzione dello Judenrat, il Consiglio ebraico, per amministrare la popolazione ebraica di Varsavia. Il delegato bundista Shmuel Zygielboym riesce a far sì che lo Judenrat respinga il primo ordine di creazione del ghetto. Ricercato dalla , ripara in Belgio. Henryk Erlich e Viktor Alter, dirigenti bundisti riparati a est durante l’assedio di Varsavia, vengono arrestati dall’NKVD sovietica e trasferiti a Mosca.

1940 Novembre. Viene completata la costruzione del ghetto di Varsavia e inizia il trasferimento della popolazione, che arriverà a superare le 400.000 unità.

1941 Giugno. I tedeschi danno inizio all’Operazione Barbarossa, sottraendo all’URSS tutta la Polonia e invadendo il territorio sovietico.

8 Luglio. Erlich e Alter vengono condannati a morte, poco dopo amnistiati e chiamati a collaborare per la creazione di un fronte antifascista ebraico internazionale. Manifestano subito divergenze sulle modalità di organizzazione del fronte, e dopo poco tempo spariscono.

1942 Gennaio. Giungono a Varsavia le prime notizie sugli stermini di massa di ebrei nel campo di Chelmno, aperto nel dicembre 1941. Le organizzazioni ebraiche discutono la necessità di una resistenza armata ma non giungono alla decisione di costituire un’organismo comune. 18 aprile. Nella notte e nei giorni successivi i tedeschi rastrellano casa per casa e uccidono decine di attivisti e propagandisti politici. Il Parlamento polacco in Esilio delibera di inserire un delegato del Bund nei propri ranghi, in considerazione della parte svolta nella resistenza clandestina. Il Bund sceglie Shmuel Zygielboym. 22 luglio. Gli abitanti del ghetto di Varsavia sono circa 380.000. Inizia la Grosse Aktion: i tedeschi impongono allo Judenrat di pubblicare l’ordine di deportazione a est per tutti gli ebrei che non lavorano nelle fabbriche tedesche o non sono impiegati nel Consiglio ebraico. Lo Judenrat obbedisce. ll suo presidente Adam Czerniakow si suicida. Fino alla fine di settembre verranno deportate circa 300.000 persone. 20 ottobre. In una riunione congiunta delle organizzazioni ebraiche viene decisa la resistenza armata, e istituito uno stato maggiore della Żydowska Organizacja Bojowa (ŻOB, Organizzazione Ebraica di Combattimento). Comandante Mordechai Anielewicz, di Hashomer Hatzair, movimento giovanile sionista laburista. delegato del Bund.

1943 18 gennaio. I tedeschi accerchiano e bloccano il ghetto per iniziare la liquidazione finale, ma incontrano la resistenza armata della ZOB. Gli ebrei nel ghetto sono circa 60.000. 23 febbraio. Il ministero degli Esteri sovietico informa il Governo polacco in Esilio che Erlich e Alter sono stati giustiziati dall’URSS oltre un anno prima. 19 aprile. Il nuovo comandante SS Jurgen Stroop ordina l’assalto decisivo tedesco al ghetto con carri armati, artiglieria e 2.000 SS. La resistenza durerà per tre settimane e sarà sopraffatta solo attraverso l’incendio quasi totale del ghetto da parte dei tedeschi. 8 maggio. Il quartier generale della ZOB è assediato dai tedeschi, che invadono il bunker sotterraneo con esplosivi e gas. Quasi tutti i combattenti della ZOB presenti muoiono o si tolgono la vita. Tra essi Mordechai Anielewicz. Alcuni riescono a fuggire. 11 maggio. A Londra Shmuel Zygelboym si suicida per protesta contro l’indifferenza alleata verso quanto accaduto a Varsavia.

1944 Giugno. L’URSS dà il via alla Operazione Bagration, per liberare la Polonia e l’Europa orientale dall’occupazione tedesca. 22 luglio. Nelle aree polacche già liberate viene proclamata la costituzione di un Comitato polacco di Liberazione Nazionale filo-sovietico (il cosiddetto Governo di Lublino). 1 agosto. L’Esercito Nazionale fedele al Governo in Esilio a Londra lancia l’insurrezione della città di Varsavia, che viene schiacciata due mesi dopo per gli insufficienti aiuti degli Alleati.

1945 Primavera. La fine della guerra lascia una Polonia devastata dalle perdite umane e materiali (-20% della popolazione totale rispetto al 1939). Faticosamente, i pochi ebrei sopravvissuti cercano di ricostruire le loro comunità, ma devono far fronte al riaffiorare dell’antisemitismo polacco e alle manovre dei sionisti per promuovere il trasferimento degli sfollati in Palestina.

1946 1 giugno. A Camp Feldafing, in Germania, si riunisce una conferenza di 150 bundisti, che discute la riorganizzazione dell’attività, sia tra i sopravvissuti dei campi che tra coloro che stanno rientrando nelle città. 2 luglio. Pogrom a Kielce: 42 ebrei perdono la vita, e nei tre mesi successivi 100.000 lasceranno la Polonia, per emigrare verso altre parti del mondo.

1947 Elezioni legislative in una Polonia di fatto controllata dall’URSS. Il blocco costruito intorno al Partito Operaio Polacco prende l’80% dei consensi.

1948 I partiti socialisti polacchi, tra cui il PPS, confluiscono nel Partito Operaio Polacco Unificato (PZPR).

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1949 16 gennaio. I bundisti polacchi riuniti in congresso a Wroclaw decidono di sciogliere l’organizzazione e di confluire nel PZPR.

attivisti del Bund

Raphael Abramovich (1880 – 1963). Membro del Soviet di Pietrogrado nel 1905, candidato del POSDR alla Seconda Duma nel 1906. Esiliato nel 1910, fuggì dall’esilio e riparò in Europa. Ritornò in Russia nel 1917 come esponente del Bund e dei menscevichi internazionalisti. Nel 1920 con la dittatura bolscevica si trasferì a Berlino, collaborando all’organo menscevico Sotsialisticheskii Vestnik fondato da Martov. Dal 1940 si trasferì negli USA.

Victor Alter (1890 – 1941). Nato a Varsavia, laureatosi in ingegneria in Belgio, arrestato dalla polizia zarista ed esiliato in Siberia. Dal 1917 nel Comitato Centrale del Bund e dal 1918 tra i massimi dirigenti del Bund polacco, soprattutto nel campo sindacale. Incarcerato dai sovietici nel 1939, assassinato in una galera staliniana nel 1941.

Abraham Blum (1905 – 1943). Nato a Vilna, laureato in ingegneria si trasferì a Varsavia. Fu attivista comunista e in seguito militante del Bund. Nel 1939 diresse la resistenza all’assedio tedesco di Varsavia e poi il movimento clandestino nella città e nel ghetto. Leader spirituale della rivolta del 1943, catturato e ucciso dai nazisti pochi giorni dopo la fuga dal ghetto.

Joseph Chmurner (1884 – 1935). Vero nome Joseph Lestschinskij, fratello del celebre sociologo Jacob Lestschinskij. Sionista territorialista, nel 1917 membro dei Faraignite e dagli anni ’20 del Bund. Guidò la fazione pro-Comintern dopo Minc.

Marek Edelman (1919 – 2009). Sin da giovanissimo militante nei gruppi giovanili del Bund, fu uno dei comandanti della rivolta del ghetto di Varsavia. Partecipò all’insurrezione della città nel 1944. Dal 1946 si trasferì a Lodz e divenne un noto cardiologo.

Henryk Erlich (1882 – 1941). Nel 1917 membro dell’Esecutivo del Soviet di Pietrogrado, poi del Consiglio comunale di Varsavia. Principale dirigente del Bund polacco negli anni ’20 e ’30, dal 1931 membro dell’Esecutivo dell’Internazionale Socialista. Incarcerato dai sovietici nel 1939, assassinato in una galera staliniana nel 1941.

Leon Feiner (1885 – 1945). Nato a Cracovia. Avvocato, attivista nel Bund tra le due guerre. Nel 1939 fu arrestato dai sovietici e tenuto in prigione per lungo tempo. Liberato nel 1941, rientrò a Varsavia per partecipare al movimento clandestino. Vivendo nella “parte ariana” della città tenne i contatti tra il ghetto e la resistenza polacca. Morì di cancro a Lublino nel 1945.

Esther Frumkin (1880 – 1943). Nata a Minsk, si unì al Bund nel 1901. Dopo il 1905 divenne una delle principali esponenti dell’organizzazione, fautrice dello sviluppo delle scuole in lingua yiddish. Nel 1917 entrò nel Comitato Centrale, nel 1921 con la liquidazione del Bund russo passò nelle Evsektsiia. Coinvolta nelle purghe staliniane del 1936 – 38. fu condannata a otto anni di lavori forzati e morì nel 1943 nel gulag di Karaganda.

Bernard Goldstein (1889 – 1959). Attivista sindacale e dirigente del Bund polacco. Responsabile delle squadre di autodifesa tra le due guerre, diresse la lotta armata nel ghetto di Varsavia nel 1942-43 e partecipò all’insurrezione della città nel 1944.

Benjamin Kheifetz. Bundista ucraino, aderì al bolscevismo fin dal 1917.

Mark Liber (1880 – 1937). Vero nome Mikhel Goldman. Nel Comitato Centrale dall’ottobre 1905, membro del Soviet di Pietrogrado, rappresentante del Bund nel POSDR dall’agosto 1906. Arrestato ed esiliato due volte, rientrò in Russia nel 1917 divenendo membro del Soviet di Pietrogrado e sostenitore del Governo Provvisorio. Attivo nella fazione menscevica clandestina negli anni 1922 – 23, in seguito arrestato e giustiziato dalle autorità sovietiche. 10

David Lipetz (1886 – 1937). Bundista dal 1902, nel 1913 si trasferì a New York per raccogliere fondi per l’organizzazione. Nel 1917 rientrò in Russia per partecipare alla rivoluzione. Dal 1919 nel partito bolscevico e poi membro dell’Esecutivo del Comintern. Fucilato durante le purghe staliniane.

A. Litvak (1874 – 1932). Vero nome Chaim Helfand. Attivista e pubblicista del Bund fin dai primi anni. Arrestato nel 1907, si trasferì in Europa e poi negli USA. Rientrò in Russia nel 1917 e riprese l’attività editoriale per il Bund, in particolare nella parte meridionale del paese. Dal 1925 si trasferì definitivamente negli USA.

Vladimir Medem (1879 – 1923). Uno dei principali esponenti della “seconda generazione” del Bund, guidò ideologicamente l’organizzazione a partire dall’inizio del Novecento. Fautore della linea dell’unità tra le fazioni del POSDR. Scrisse molto sulla questione nazionale ebraica. Durante la guerra diresse il Bund nella Polonia occupata dai tedeschi. Nel 1921 in aperta opposizione al bolscevismo si trasferì negli USA, ove morì poco tempo dopo.

Bainish Mikhalevich (1876 – 1928). Vero nome Joseph Izbitzky. Arrestato ed esiliato nel 1905, riuscì a fuggire e a rientrare in Russia. Delegato al Congresso del POSDR a Londra nel 1907. Attivo a Vilna fino al 1917 e poi nel Bund polacco.

Pinkus Minc (1895 – 1962). Dirigente del Bund polacco nei primi anni ’20, guidò la fazione pro-Comintern. Espulso dal Bund, vi rientrò alla fine degli anni ’30, e collaborò poi con la Quarta Internazionale.

Maurycy Orzech (1897 – 1943). Dal 1907 nel Bund. Giornalista, attivista sindacale, proprietario di un’attività tessile con la quale finanziava i giornali del partito. Redattore dei giornali clandestini nel ghetto di Varsavia e dirigente della Resistenza. Ucciso dai nazisti nell’agosto 1943.

Noah Portnoy (1872 – 1941). Vero nome Yekutiel Portnoy. Responsabile organizzativo del Bund in Russia negli anni dal 1900 al 1905. Arrestato nel 1905 e poi rilasciato, continuò a svolgere ruoli direttivi. Dal 1914 operò per il Bund nella Polonia occupata dai tedeschi, e in seguito divenne presidente del Comitato Centrale del Bund polacco. Nel 1941 via URSS e Giappone riparò negli USA, ove morì poco dopo.

Moshe Rafes (1883 – 1942). Si unì al Bund di Vilna nel 1902, e fu delegato al Congresso del POSDR del 1907 a Londra. Defensista durante la Grande Guerra, nel 1917 partecipò alla Rivoluzione a Pietrogrado e poi in Ucraina. Passò bruscamente dall’opposizione al bolscevismo all’appoggio al partito di Lenin, lavorando nell’Armata Rossa e anche nei servizi segreti sovietici. Arrestato nel 1938 e condannato a 10 anni di lavori forzati, morì nei gulag della Repubblica di Komi, regione autonoma nella Russia settentrionale.

Emanuel Sherer (1901 – 1977). Nato a Cracovia, dirigente dei gruppi giovanili del Bund, dal 1930 a Varsavia, dal 1935 nel Comitato Centrale del Bund. Nel 1939 riparò a Vilna e poi a New York. Nel 1942 sostituì Zygielboym nel Parlamento polacco in Esilio.

Victor Shulman (1876 – 1951). Vero nome Israel Shadovsky. Lavorò per il Comitato Centrale. Arrestato ed esiliato più volte, riparò all’estero dal 1909. Nel 1914 ritornò a Varsavia, e dopo la guerra fu dirigente del Bund in Polonia. Riparò negli USA nel 1941.

Rakhmiel Veinshtain (1877 – 1938). Nato a Vilna, membro del Bund fin dai primi anni. Presidente del Comitato Centrale del Bund nel 1917 e dirigente del Bund bielorusso, dopo la liquidazione del 1921 passò nelle Evsektsiia e divenne alto dirigente del Partito Comunista Bielorusso. Arrestato durante le purghe del 1938, si suicidò in prigione.

David Zaslavsky (1879 – 1965). Redattore e oratore del Bund. Partecipò alla Rivoluzione del 1905. Nel 1917 fu eletto al Soviet di Pietrogrado. Nel 1925 aderì al Partito Comunista Russo.

Shmuel Zygielboym (1895 – 1943). Nato nel villaggio polacco di Borowitza, nel 1917 delegato di Chelmno alla Conferenza del Bund polacco a Lublino, dal 1924 nel Comitato Centrale. Nel 1939 si oppose al creazione del ghetto di Varsavia da parte della Gestapo, e dovette lasciare la Polonia. Diventò delegato del Bund presso il Parlamento polacco in Esilio. Si uccise l’11 maggio 1943 per protesta contro l’indifferenza degli Alleati verso le vittime dello sterminio.

11 principali partiti e sigle di riferimento

PARTITI SOCIALISTI

Partito Operaio Social Democratico pan-Russo (POSDR). Formato nel 1898 dal Bund insieme ad altri raggruppamenti. Nel 1903 il Bund viene estromesso e il POSDR si divide nelle correnti bolscevica e menscevica. Nel 1907 il Bund vi rientra e si avvicina alla corrente menscevica. Dal 1917 la corrente bolscevica prende il potere in Russia e diventa il Partito Comunista Russo (PCR).

Partito Socialista Polacco (PPS, Polska Partija Socialistyczna). Fondato nel 1892, di orientamento socialista nazionale. Dal 1906 si divide in PPS Frazione Rivoluzionaria, per l’indipendenza della Polonia, e in Sinistra (Lewica), di orientamento più internazionalista.

Partito Social Democratico Polacco. Abbreviato PSD (Polska Socjal Democracja). Nel dicembre 1917 si fonde con la Lewica per formare il Partito Comunista Polacco (Komunistyczna Partia Polski, KPP). Il KPP viene sciolto dall’URSS nel 1938 con l’accusa di trotzkismo.

Partito Operaio Socialista Unitario Ebraico (UJSWP), abbreviato Unitari (Faraignite) formatosi nel maggio 1917 dalla fusione dei Sionisti Socialisti e del Partito Operaio Socialista Ebraico (SERP). Nel 1921 si scioglie nel PCR.

Partito Socialista Rivoluzionario (PSR). Nato nel 1901 dalla fusione di vari gruppi rivoluzionari, il più grosso partito socialista russo dell’epoca zarista, di orientamento prevalentemente populista e contadino.

Wyzwolenie (Liberazione). Partito contadino polacco di sinistra, fondato nel 1915, in alcuni momenti alleato del Bund e del PPS. Dal 1931 si fonde con altri partiti contadini e forma il Partito Popolare (Stronnictwo Ludowe, SL).

PARTITI POLACCHI NON SOCIALISTI

Democrazia Nazionale (Narodowa Demokracja o ND, comunemente detti Endek). Movimento nazionalista polacco di centro – destra, spesso incline all’antisemitismo.

Partito Nazional Radicale (Nara). Scissione degli Endek, dichiaratamente filofascista e antisemita.

Sanacja (Risanamento). Movimento politico non partitico in appoggio al Maresciallo Pilsudski.

Campo di Unità Nazionale (Obóz Zjednoczenia Narodowego, Ozon). Blocco non partito in appoggio al regime dei colonnelli, formato nel 1937 da alcuni esponenti del Sanacja.

fonti in inglese e italiano (per le fonti in russo, yiddish etc. si rimanda alle note a piè di pagina)

FONTI PRINCIPALI

Zvi Gitelman, Jewish Nationality and Soviet Politics. The Jewish Sections of the CPSU, 1917-1930, 1972

Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967

ALTRE FONTI / TESTI CITATI

AA.VV., Inter-University Project on the History of the Menshevik Movement, 1960 – 62

AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974

12 Salo Baron, The Russian Jews under Tsars and Soviets, 1964

Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During , 1977

Raymond Buell, Poland: Key to Europe, 1939

John Shelton Curtiss, The Russian Church and the Soviet State (1917 – 50), 1953

Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945

Henryk Erlich, The Struggle for Revolutionary Socialism, 1934

Jonathan Frankel, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862 – 1917), 1981

Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979

Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967

Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949

Yosef Grodzinsky, All’ombra dell’Olocausto, 1998

Elias Heifetz, The Slaughter of the Jews in the Ukraine in 1919, 1921

Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, 1937

Jan Karski, Story of a Secret State, 1944

Lenin, Commenti critici sulla questione nazionale, 1913

Warren Lerner, Karl Radek: the Last Internationalist, 1970

Rosa Luxemburg, La Rivoluzione russa, 1918

Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919

Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of Jews in Europe, 1979

Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954

John Reshetar jr., The Ukrainan Revolution, 1952

Simon Segal, The New Poland and the Jews, 1938

Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961

Stalin, Il marxismo e la questione nazionale, 1913

Lev Trockij, La mia vita, 1930

Avraham Yarmolinsky, The Jews and Other Minority Nationalities Under the Soviets, 1928

13 1. GLI ANNI DELLA REAZIONE ZARISTA (1906 – 13)

Declino e riorganizzazione dopo il 1905. La Rivoluzione russa del 1905, della quale il Bund fu uno dei protagonisti, raggiunse il proprio apice nell’ottobre di quell’anno, con la pubblicazione del Manifesto col quale lo Zar concedeva alcune libertà costituzionali e un Parlamento (Duma) apparentemente autonomo. La successiva fase dei soviet (ottobre – dicembre 1905) fu una fase di relativo declino, segnata dalla diminuzione degli scioperi e delle manifestazioni e dal crescente rafforzamento della controrivoluzione. L’ultimo fuoco del 1905 fu la rivolta di massa di Mosca del dicembre, repressa duramente dall’esercito. Il 1906 si aprì con migliaia di arresti e deportazioni, mentre per i partiti socialisti si trattava di decidere se utilizzare il neonato strumento parlamentare o cavalcare ancora l’onda delle proteste di piazza. Nell’aprile 1906, in occasione delle prime elezioni della Duma, il Bund, i bolscevichi e il Partito Socialista Rivoluzionario optarono per il boicottaggio, mentre i menscevichi decisero di partecipare al voto con propri candidati, ottenendo 17 seggi. Anche per questo al Quarto Congresso del Partito Operaio Social Democratico Russo (POSDR), tenutosi poco dopo, Lenin e i bolscevichi si schierarono per la riammissione del Bund nel partito, a quattro anni dalla scissione del 1903. La Prima Duma fu poi sciolta dallo Zar il 21 luglio 1906 perché collocata troppo a sinistra, e dall’elezione successiva anche il POSDR riunificato e gli altri partiti rivoluzionari, di fronte al riflusso e alla pesante controrivoluzione, decisero di adottare la tattica parlamentare, per quanto poco fruttifera. Negli anni successivi, come gli altri partiti socialisti, il Bund declinò. Le tipografie dovettero essere abbandonate, l’attività editoriale diminuì fortemente, e la maggior parte del tempo e del lavoro organizzativo furono spesi nella raccolta fondi per gli scioperi, che continuavano in tutta la Zona di Insediamento degli ebrei nell’Impero zarista. L’attività sindacale spinse il Bund a limitare la propria attività politica per dedicarsi alle necessità economiche. Tra il 1909 e il 1910 il Bund guidò agitazioni in dieci città, ma questi scioperi ebbero esiti negativi. I magri risultati fecero sì che nel 1910 vi fossero sindacati legali solamente in quattro città (Bialystok, Lodz, Vilna e Riga), e limitati ai tipografi e ad altre professioni qualificate. In pochissime manifatture e fabbriche sorsero sindacati illegali. All’epoca il numero totale degli iscritti ai sindacati del Bund fu valutato dall’organizzazione stessa intorno ai 1.500. L’Ottava Conferenza del Bund, nel 1910, espresse il grado del declino. I delegati rappresentarono solamente 9 organizzazioni per complessivi 609 iscritti. In questo periodo la maggiore presenza del Bund risultò concentrata in Polonia, mentre solo due città in Bielorussia, una in Lituania e una in Lettonia furono rappresentate alla conferenza.

La riunificazione del POSDR. Alla luce dell’affinità emersa tra il Bund e i bolscevichi sulla questione del boicottaggio della Duma, al Quarto Congresso del POSDR, riunitosi a Stoccolma nella primavera 1906, la fazione di Lenin diede il contributo decisivo per il voto a favore della riammissione del Bund nel partito1. Subito si trattò di dirimere le altre questioni che avevano determinato la scissione del 1903. Perciò il Congresso approvò una risoluzione che diceva che “la questione del programma nazionale rimane aperta, dal momento che non è stata rivista”, consentendo di fatto al Bund di affermare il proprio principio dell’autonomia nazional culturale. , invitato al Congresso, affermò che la posizione del Bund sulla questione nazionale non era cambiata, e che “Noi entriamo nel partito per lottare…Il Bund non era, non è e non sarà il traduttore in yiddish della socialdemocrazia russa. Il Bund è l’espressione organizzata e

1 I voti a favore furono 58, e di questi 41 di bolscevichi (tra cui Lenin e Stalin); 40 furono i contrari. Jonathan Frankel, Gli ebrei russi tra socialismo e nazionalismo (1862 – 1917), 1981 14 consapevole delle istanze complessive della vita ebraica…Il programma nazionale del Bund non può essere modificato da una direttiva dall’alto”2. D’altro canto il Bund, in nome di una riunificazione sentita come urgente sotto i colpi della reazione zarista, rinunciò al diritto di essere l’unico rappresentante del proletariato ebraico in Russia, altro punto che nel 1903 era stato dirimente. Al successivo Settimo Congresso del Bund, tenutosi nell’agosto del 1906 a Lvov, una risoluzione che ratificava il rientro nel POSDR fu approvata a larga maggioranza (47 contro 20). Vi fu comunque una consistente opposizione interna da parte di una fazione “dura”, mentre quella “moderata” era per la riunificazione. Ad esempio il “duro” A. Litvak in difesa dell’indipendenza del Bund ebbe a scrivere:

Solo un’organizzazione che affonda le proprie radici nelle…masse ebraiche, che vive la loro vita, prova i loro stessi sentimenti…solo una simile organizzazione può aderire alla psicologia delle masse ebraiche…può offrire una giusta risposta a tutte le domande che la vita stessa degli ebrei suscita…Possiamo dire che (il POSDR) si sia conquistato il proletariato ebraico? No e poi no!...Ha impedito al Bund di crescere? Di nuovo no!3 In questi ultimi tre anni il partito russo non ha imparato niente…come prima, non riconosce al Bund il diritto di esistere…Esso spera che sarà più facile eliminare il Bund, una volta riammessolo nel partito.4

Anche se nel frangente specifico del 1906 furono i bolscevichi a volere la riammissione del Bund, quest’ultimo nel corso degli anni si avvicinò alla fazione menscevica, e alcuni bundisti di spicco, come Liber e Abramovich, divennero anche dirigenti menscevichi. Questo rapporto di collaborazione si mantenne fino alla Rivoluzione del 1917. All’epoca della riconciliazione il Bund contava circa 25.000 membri, e 55 delegati lo rappresentarono al Quinto Congresso del POSDR, nel 1907.

La questione nazionale tra il 1906 e il 1913. In questo periodo di declino organizzativo, l’attività teorica rimase per lo più preponderante, e una delle questioni maggiormente in discussione fu come al solito quella nazionale. Su questo tema si riscontrò la perdurante disputa tra i bundisti e l’ala nazionalista del Partito Socialista Polacco (PPS). I bundisti erano dubbiosi che una Polonia indipendente avrebbe significato un miglioramento per le condizioni degli ebrei in Polonia; gli eventi futuri avrebbero confermato la legittimità di tali dubbi. “La borghesia polacca…se giunge al potere, intende opprimere le minoranze nazionali”5 affermò la dirigenza del Bund. La risposta al problema nazionale per i bundisti non era in una Polonia libera, o in uno stato ebraico; era nel riconoscimento dell’autonomia nazionale per le minoranze entro la Russia. “Ci opponiamo fortemente per principio a tutte le Utopie territoriali” affermò l’Ottava Conferenza. La risposta al problema ebraico era, dissero i bundisti, nel riconoscimento dell’yiddish come lingua ufficiale in Russia, e nella garanzia di pieni diritti e autonomia culturale per tutte le minoranze. “La sola garanzia per ogni cittadino di ricevere un’educazione è che la sua lingua madre venga accettata ufficialmente, e che venga concessa l’autonomia nazional culturale”6. Ma anche prima della concessione dell’autonomia culturale, il Bund voleva che a ciascuna minoranza fosse garantita la possibilità di scuole nella rispettiva madrelingua, e ciò in particolare agli ebrei. Inoltre, l’yiddish doveva essere riconosciuto a prescindere della collocazione geografica; ovunque vi fossero ebrei, l’yiddish doveva essere una lingua ufficiale e legale. Anche all’interno del POSDR il dibattito sulla questione nazionale riprese vigorosamente. Medem per il Bund, Martov e Lenin tra i russi erano tra coloro che l’avevano maggiormente animato sino ad allora, e negli anni dopo il 1905 nuovi protagonisti si aggiunsero. Uno di questi fu Esther Frumkin, un’appassionata idealista e scrittrice di valore. Esther (così era nota nel Bund) si fece conoscere nel 1906, e iniziò la sua complessa e tormentata odissea personale e ideologica come oratrice, concentrandosi sui temi dell’educazione e della lingua yiddish.

2 Nashe Slovo, luglio 1906 3 Folkstseitung, 4 maggio 1906 4 Folkstseitung, 7 maggio 1906 5 Barikht fun der VIII Konferents fun Bund, 1910 6 ibidem 15 Stalin aveva ridicolizzato la richiesta del Bund di autonomia “per una nazione il cui futuro è precluso e la cui esistenza deve ancora essere dimostrata”7. Esther non discusse l’esistenza o il futuro della nazione, bensì si concentrò sulla coscienza nazionale. Il compito immediato del movimento operaio ebraico era di rendere le masse consapevoli dei loro bisogni nazionali, cosicchè potessero rivendicare i loro diritti nazionali. Secondo Esther ciò era molto legato alla lotta di classe, poiché si contrapponeva alla concezione borghese dell’autonomia nazional culturale come “un mezzo per separare gli ebrei nell’ottica di preservare una sorta di ‘giudaismo’ metafisico, mentre per noi è un mezzo per soddisfare i bisogni delle masse”8. Nell’intellighenzia, e anche in una parte delle masse ebraiche, la coscienza nazionale era molto debole, e “troppo spesso serve come un vestito da mettere nei giorni di festa”. “Il compito del proletariato è di…mostrare al popolo la via per combattere per il diritto alla lingua ebraica e alla scuola ebraica”. Il Bund doveva sviluppare una cultura proletaria ebraica per le masse, che a loro volta l’avrebbero trasmessa all’intellighenzia semi-assimilata. La lingua yiddish doveva essere usata nelle apposite scuole ebraiche poiché era il legame con la storia ebraica passata, e ancorava le giovani generazioni a quella storia. I bambini ebrei dovevano ricevere un’intensa educazione nazional-proletaria. Scrisse Esther:

Quando parliamo di educazione in uno spirito proletario, non intendiamo che i giovani debbano recitare parti del Programma di Erfurt al posto della Shemà9 o un capitolo del Manifesto comunista al posto del Modeh Anì10…ma quando diciamo “educazione proletaria” intendiamo che il marxismo non è soltanto un programma politico ma una concezione del mondo…e in tale forma non è mai troppo prematura per un bambino proletario. Poiché ciò che un bambino percepisce, in seguito lo comprenderà.11

Ai bambini si doveva raccontare in yiddish delle sofferenze delle loro madri lavoratrici. Le festività ebraiche dovevano essere trasformate in celebrazioni nazional-proletarie. Ostentando un innegabile orgoglio nazionale, Esther affermò che “i bambini proletari di quella nazione che da generazioni ha tramandato le profezie divine di Isaia - le spade verranno forgiate in vomeri12, e il leone farà pace con l’agnello13 – i bambini proletari di quella nazione possono comprendere il nostro ideale”14. Asili, biblioteche, corsi di lingua e letteratura, spettacoli, escursioni – tutto ciò doveva essere incentivato per accrescere la coscienza nazionale dei figli del proletariato. Organismi locali dediti all’autonomia nazional culturale dovevano essere istituiti secondo le linee proposte dalla delegazione slava al Congresso di Brunn dei socialdemocratici austriaci, nel 1899. Una persona la cui lingua fosse riconosciuta a livello locale aveva il diritto di usare quella lingua in ogni istituzione governativa e giudiziaria, e di vedersi rispondere in quella stessa lingua. Esther non concordava con il neutralismo di Medem, e affermò che i dirigenti del proletariato ebraico non dovevano rimanere passivamente in disparte, a osservare le forze misteriose della storia mentre queste plasmavano le vicissitudini umane; essi dovevano giocare un ruolo attivo nel promuovere la coscienza nazionale del proletariato e dell’intellighenzia. Anche l’elezione degli amministratori cittadini dovevano svolgersi sulla base di una rappresentanza proporzionale delle nazionalità. Se una particolare città aveva una popolazione totale di 100.000 abitanti (40.000 ebrei, 30.000 polacchi, 20.000 bielorussi, e 10.000 russi), e occorrevano dieci giudici, questi dovevano essere 4 ebrei, 3 polacchi, 2 bielorussi e un russo. Ciò avrebbe evitato il sorgere di conflitti nazionali, perchè avrebbe definito a priori la rappresentanza nazionale e la campagna elettorale non si sarebbe svolta all’insegna di slogan come “eleggi un ebreo” o “eleggi un polacco”.

7 Stalin, Il marxismo e la questione nazionale, 1913 8 Esther Frumkin, Gleikhbarekhtigung fun shprakhn, 1911 9 Preghiera della liturgia ebraica. 10 “Io Ti ringrazio”, prime parole della preghiera del mattino. 11 Esther Frumkin, Vegn Natsionaler Ertsihung, 1909 12 “Forgeranno le loro spade in vomeri, le loro lance in falci; un popolo non alzerà più la spada contro un altro popolo, non si eserciteranno più nell'arte della guerra”. (Libro di Isaia: 2,4) 13 “Il lupo dimorerà insieme con l'agnello, la pantera si sdraierà accanto al capretto; il vitello e il piccolo leone pascoleranno insieme e un fanciullo li guiderà”. (Libro di Isaia: 11, 6) 14 ibidem 16 Una delle ultime dispute dirette tra Lenin e il Bund sulla questione nazionale ebbe luogo nel 1913. Peisakh Liebman pubblicò un articolo su Tseit in cui affermò ancora una volta che il termine “autodeterminazione” era troppo vago per avere un significato pregnante. “Quando la classe operaia ebraica...ha iniziato a elaborare i contenuti concreti da inserire nel programma, i capi teorici della socialdemocrazia russa si sono messi a gridare: nazionalismo!...Ogni tentativo di dare un contenuto chiaro e concreto alla questione è stato accusato di essere un’eresia piccolo borghese contraria ai dettami del marxismo”15. Liebman affermò che la cultura internazionale non era una cultura “a-nazionale”, e che il lavoratore poteva essere partecipe della cultura internazionale solo attraverso la propria cultura nazionale. Lenin ammise che ciò era vero ma affermò che ogni nazione aveva una cultura borghese, e quest’ultima era quella dominante. “Dunque la ‘cultura nazionale’ generalmente è la cultura dei possidenti, del clero, e della borghesia”16. Ciononostante, Lenin aveva in parte modificato la propria posizione sulla questione nazionale. Nel novembre 1913 egli si espresse specificamente a favore di un “ampio autogoverno e autonomia per quelle regioni che dovrebbero essere delimitate tra le altre cose anche da criteri nazionali. Tutte queste rivendicazioni sono legittime per ogni sincero democratico e a maggior ragione per ogni socialista”17. Ciò non voleva dire l’accettazione dell’autonomia nazional culturale, nè che gli ebrei avessero da guadagnare dalla nuova definizione di Lenin, dal momento che essi non costituivano una popolazione compatta, che formasse una maggioranza in una qualsivoglia regione. Inoltre, Lenin non fece concessioni sull’organizzazione del partito, mentre il Bund continuò a insistere sulla propria autonomia e sul bisogno di ricostruire il POSDR su base federativa.

1912: nuova scissione nel POSDR. Nel 1912 si consumò un nuovo strappo all’interno del POSDR. Nel gennaio Lenin convocò una Conferenza a Praga, nella quale la frazione bolscevica si costituì in maniera definitiva come partito indipendente, con un proprio comitato centrale. In risposta il Bund, una parte dei menscevichi, il gruppo di Trockij e altre organizzazioni socialdemocratiche si riunirono a Vienna in agosto, e pur non arrivando a una strutturazione formale in partito stabilirono delle linee guida comuni e un Comitato Organizzatore del POSDR (menscevico) che agisse da comitato centrale. La Conferenza di Vienna assecondò la linea del Bund approvando una risoluzione che diceva che “l’autonomia nazional culturale non è in contrasto con la garanzia di autodeterminazione nazionale contenuta nel programma del partito”. Sempre nel 1912 si svolse la Nona Conferenza del Bund, che approvò questo percorso e la collaborazione coi menscevichi. Nel novembre 1913 tre bolscevichi e un menscevico promossero la formazione del gruppo dei mezarjontsy (conciliatori), con lo scopo di mantenere un ponte tra le fazioni bolscevica e menscevica.

15 Tseit, settembre 1913 16 Lenin, Commenti critici sulla questione nazionale, 1913 17 ibidem 17 2. IL BUND E LA PRIMA GUERRA MONDIALE

Lo scoppio della guerra e il tradimento della Seconda Internazionale. Nell’ottobre del 1912, allorquando il Montenegro dichiarò guerra alla Turchia, il pericolo di un conflitto bellico su scala mondiale si fece via via più imminente. Il Bureau della Seconda Internazionale convocò d’urgenza un congresso straordinario a Basilea per il 24 e 25 novembre 1912. All’unanimità, i delegati al congresso approvarono un manifesto, noto come Manifesto di Basilea, con il quale si ribadiva la linea della “guerra alla guerra” e si denunciava il carattere interimperialistico del conflitto. La risoluzione riaffermava la posizione di principio – già adottata nei precedenti congressi – della lotta operaia contro la guerra. In particolare, riprendendo gli esempi della Comune di Parigi dopo la guerra franco-prussiana e della rivoluzione russa del 1905 durante la guerra russo- giapponese, proclamava ai governi, e lo faceva con un tono ultimativo, che il proletariato avrebbe adottato tutti i mezzi a sua disposizione per evitare il conflitto, ma che nel caso la guerra fosse comunque scoppiata il movimento operaio avrebbe utilizzato la crisi economica conseguente per sollevare le masse e accelerare la caduta della dominazione capitalistica. I tempi erano maturi per il precipitare degli eventi: in ogni imperialismo europeo il militarismo era sempre più accentuato, e l’atmosfera era gravida di tensioni. La scintilla deflagrò il 28 giugno 1914, con l’attentato di Sarajevo in cui trovò la morte l’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono dell’Impero austriaco. Nel luglio successivo l’impero austroungarico diede alla Serbia un ultimatum concepito in modo tale da dover essere respinto, tanto era umiliante. L’ultimatum venne rifiutato. Il 29 luglio, quando le truppe austriache entrarono a Belgrado, i partiti della Seconda Internazionale, rifacendosi al Manifesto di Basilea, organizzarono in Germania, in Austria, in Italia, in Francia, in Belgio, enormi manifestazioni contro la guerra. Il Bureau, convocato d’urgenza lo stesso giorno, licenziò la seguente risoluzione: “Fa obbligo ai proletari di tutte le nazioni interessate non solo di proseguire, ma di intensificare le dimostrazioni contro la guerra, per la pace e il regolamento arbitrale del conflitto austro-serbo. I proletari tedeschi e francesi faranno una pressione più energica che mai sul loro governo, affinché la Germania eserciti sull’Austria un’azione moderatrice e la Francia ottenga dalla Russia che non s’impegni nel conflitto […] Il congresso, convocato d’urgenza a Parigi, sarà la vigorosa espressione di questa volontà pacifica del proletariato mondiale”. Il partito tedesco a sua volta pubblicò un manifesto con cui esigeva dal proprio governo che non entrasse in guerra. Ma il successivo primo agosto la Germania, per nulla spaventata dalla “intimazione” della socialdemocrazia, dichiarò guerra alla Russia. In Francia vennero organizzate grandi manifestazioni operaie. Ma il governo francese, incurante delle dimostrazioni, diede un sostanziale via libera allo zar per la mobilitazione delle sue truppe. In quelle ore la socialdemocrazia tedesca giocò un ruolo pari al peso politico che aveva nella Seconda Internazionale: avrebbe dovuto essere il partito trainante nella direzione della rivoluzione, lo fu invece nella direzione opposta, quella della chiamata alle armi in difesa degli interessi della propria borghesia. Il primo agosto il partito tedesco assicurò per bocca di uno dei suoi dirigenti – Hermann Müller, inviato in Francia per concordare con la direzione e il gruppo parlamentare del partito francese un’azione comune dei due partiti socialisti – che mai sarebbero stati votati in parlamento i crediti di guerra. E invece, solo tre giorni dopo, il gruppo parlamentare ne votò all’unanimità la concessione. Anche Karl Liebknecht, nella seduta parlamentare del 4 agosto, si adeguò per disciplina di partito e perché convinto di potersi battere all’interno del partito per sconfiggere le posizioni maggioritarie; nella successiva sessione del 2 dicembre, invece, egli e Otto Ruhle votarono contro la concessione di ulteriori crediti al governo.

L’opposizione del Bund alla guerra. Con l’incedere degli eventi, ai bundisti apparve chiaro che la Zona di Insediamento degli ebrei sarebbe stata campo di battaglia tra la Russia e gli

18 Imperi centrali. La Zona si trovava sulla frontiera occidentale dell’Impero zarista, sulla direttrice di un possibile attacco austro – tedesco. Non vi era dubbio che la popolazione ebraica della sua porzione più a ovest (quella polacca) sarebbe stata separata dalla porzione ucraina, bielorussa e forse lituana. Il Comitato Centrale del Bund deliberò quindi di costituire un comitato separato per dirigere l’attività in Polonia. Il Comitato delle Organizzazioni del Bund in Polonia si costituì nel novembre del 1914 a Varsavia e inizialmente fu composto da quattro bundisti: Noah Portnoy, Victor Shulman, Lazar Epstein e Z. Muskat. Il principale ideologo del Bund dell’epoca, Medem, era in carcere a Varsavia; fu liberato alla metà del 1915, dopo la ritirata dei russi dalla città, e cooptato nel neonato Comitato polacco. Nel 1915 fu cooptato anche David Meyer, dirigente dei sindacati bundisti a Varsavia. All’epoca vi erano cinque distinte organizzazioni socialiste in Polonia. Tre di queste erano polacche: il PPS Frazione Rivoluzionaria, il PPS Lewica (Sinistra)18 e i socialdemocratici (SDKPiL, per semplicità PSD). Le altre due erano ebraiche: il Bund e i sionisti socialisti di Poale Zion. Il PPS, la più grande di queste organizzazioni, era in realtà più nazionalista che socialista. Il suo dirigente storico, Josef Pilsudski, aveva formato un distaccamento polacco per combattere a fianco dell’esercito austriaco contro la Russia, da lui considerata il peggior nemico della Polonia. La Lewica era contraria all’indipendenza ma non prese una posizione chiara; ideologicamente era vicina ai menscevichi russi di Martov e Dan. Il PSD si oppose all’indipendenza in quanto, affermò, l’economia polacca non poteva essere separata da quella russa, e si espresse a favore dell’autonomia entro uno stato russo federale e democratico. Sin dal 1898 il Bund e il PPS erano entrati in una lunga contesa. Il Bund considerava il PPS come un gruppo sciovinista, più interessato al nazionalismo polacco che al socialismo. I dirigenti del Bund avevano sempre sostenuto che il PPS fosse socialista soltanto di nome, e che stesse “conducendo i lavoratori nella trappola della politica nazionalista borghese”. Date le circostanze, i bundisti cercarono di allearsi con i socialisti polacchi contrari alla guerra, la Lewica e il PSD, coi quali formarono una Rada (Consiglio) a Varsavia. Le attività di questa Rada socialista furono incentrate sull’opposizione alla guerra, e non andarono mai nella direzione di fusioni o alleanze permanenti. I tre partiti erano appunto uniti nell’opposizione alla guerra. Contrariamente al PPS essi respinsero la tesi secondo la quale la Polonia, alleandosi con l’Austria, potesse approfittare della guerra per ottenere la propria indipendenza. La guerra, affermarono, era un prodotto del capitalismo e doveva essere avversata per una questione di principi socialisti. Ancor prima dell’inizio delle ostilità la Rada fece invano appello per uno sciopero generale contro la mobilitazione. “Abbasso la guerra! Abbasso lo zarismo!” - proclamò la Rada – “Viva la futura repubblica democratica! Viva la Rivoluzione!”19. Subito dopo la dichiarazione di guerra dello Zar agli Imperi centrali, l’alleanza diffuse un appello alla rivoluzione socialista:

Il proletariato dichiara guerra al proprio governo e ai propri oppressori! Si avvicina l’ora della rivoluzione proletaria! Si ode già la marcia rivoluzionaria della classe operaia, che va all’assalto della fortezza dell’ordine capitalistico. Il proletariato deve rimanere una forza indipendente rispetto al capitalismo e al governo.20

Sebbene il Bund abbracciasse l’appello alla rivoluzione contro la guerra e il regime, non fu disposto a sostenere le tesi leniniste della trasformazione della guerra imperialista in guerra civile. La sua posizione fu più affine a quella dei menscevichi internazionalisti, che assunsero una linea pseudo-pacifista, chiedendo la fine della guerra e delle inevitabili uccisioni e sofferenze che l’accompagnavano. I bundisti attribuirono la responsabilità della guerra al modo di produzione capitalistico; ai disegni imperialisti dei governi borghesi; alle politiche coloniali perseguite su

18 Il PPS si divise nel 1906 in una “Frazione Rivoluzionaria”, maggioritaria, favorevole alla linea dell’indipendenza della Polonia dall’Impero zarista, e una fazione contraria (come il Bund) alla linea dell’indipendenza, che prese il nome di Lewica. Per semplicità d’ora in poi la denominazione PPS verrà attribuita soltanto alla frazione maggioritaria. 19 Oyfruf Vegn Der Mobilizatsie, appello congiunto di Lewica, Bund e PSD, luglio 1914 20 Nider mit del Milkhome! Zol Lebn der Sotsialism, agosto 1914 19 entrambi i lati. La risposta, secondo il Bund, doveva essere una “pace ‘operaia’ senza annessioni e senza riparazioni”.

Militarizzazione della Zona e deportazioni degli ebrei. Sin dai primi giorni della guerra, i generali dell’esercito russo iniziarono a diffondere un sentimento di ostilità nei confronti della popolazione ebraica, accusata di complicità più o meno diretta con il nemico tedesco, nonostante gli ebrei coscritti nelle armate zariste fossero comunque centinaia di migliaia. Facendo leva sui poteri straordinari legati al tempo di guerra, l’esercito iniziò a deportare gli ebrei da città e villaggi, a prenderli come ostaggi per assicurarsi la lealtà dei parenti o a limitarne i movimenti nelle aree più vicine al fronte. Nel gennaio 1915 la Stavka, il quartier generale russo, emise un proclama che formalizzava le accuse verso gli ebrei, senza fare distinzione tra i residenti nella Zona e i residenti in Galizia, la porzione di Impero austro-ungarico conquistata nelle prime settimane di guerra dall’esercito zarista con una vittoriosa e sanguinosa offensiva, che andava a compensare la sconfitta di Tannenberg ad opera della Germania. Come diretta conseguenza del proclama di gennaio, il comando russo fece alcuni tentativi di deportare in massa la popolazione ebraica delle zone vicine al fronte, in particolare del governatorato di Plock (una delle 10 province polacche) e della Galizia. Questi tentativi nel complesso fallirono a causa della mancata coordinazione tra le autorità militari e civili, e a volte anche per l’opposizione di queste ultime. Anzi, le operazioni non fecero che ostacolare e disorganizzare le armate zariste nei cruciali mesi del 1915, creando i presupposti per l’avanzata tedesca. La più consistente deportazione di massa fu attuata nel maggio 1915, con circa 200.000 ebrei espulsi dal governatorato di Kovno e dal Kurland, la regione a nord di esso. Complessivamente, tra marzo e settembre furono circa 600.000 gli ebrei deportati verso est. A ciò vanno aggiunti tutti coloro che decisero di fuggire volontariamente per evitare i combattimenti. Le comunità ebraiche della Zona, dove il Bund era maggiormente radicato, furono sottoposte a sofferenze e vessazioni di ogni tipo, mentre i confini della stessa oggettivamente si allentavano. In giugno e luglio le armate zariste iniziarono la “Grande Ritirata” dalla Galizia e dalla Polonia, lasciandosi andare a pogrom e ruberie nelle aree che abbandonavano, per fare altrettanto in quelle più a est nelle quali si attestavano, in Bielorussia e Lituania. In agosto Varsavia fu abbandonata a se stessa. La Rada socialista della città contribuì a formare una milizia popolare che svolse compiti di polizia, ma si trattò di un’esperienza di breve durata, a causa delle divisioni e soprattutto dell’arrivo dei tedeschi.

L’occupazione tedesca della Polonia. I tedeschi, che in patria da tempo avevano a che fare con un forte partito socialdemocratico e un movimento sindacale, consentirono ai socialisti polacchi una relativa libertà. L’antisemitismo non era una linea politica dello stato tedesco, e le restrizioni zariste nei confronti degli ebrei vennero piuttosto allentate. I gruppi socialisti ed ebraici formarono circoli culturali e politici. Il Bund approfittò della maggiore libertà di azione per dare una spinta al proprio lavoro organizzativo, che portò alla formazione di più di 20 sindacati legali filo- bundisti, alloggi e scuole per i bambini, cucine, sale da tè, cooperative di consumo e fornerie. La cosa più importante dal punto di vista del Bund fu il permesso da parte dei tedeschi di riprendere le pubblicazioni di Lebnsfragn, l’organo ufficiale del partito, che era stato vietato dal regime zarista dopo la comparsa di un numero nel 1912. L’editore di Lebnsfragn, Vladimir Medem, mostrò la propria gratitudine pubblicando un editoriale che contraddiceva la posizione ufficiale del Bund; egli giustificò il sostegno della socialdemocrazia tedesca alla guerra, e difese la scelta del gruppo parlamentare di votare i crediti di guerra. Il partito tedesco doveva sostenere la guerra, scrisse Medem; dopotutto, era un partito da 4 milioni di voti. Prendere un’altra posizione avrebbe significato, per un partito di quelle dimensioni, supporto al nemico – che in tal caso significava supporto allo Zar. “Solo un piccolo partito può essere neutrale…”. La mancata presa di posizione di un grande partito, scrisse, avrebbe avuto serie conseguenze, “e queste spesso sono tragiche”21. Vi fu una crescente vicinanza con il partito tedesco, che le forze occupanti a quanto pare incoraggiavano; dirigenti dell’SPD si recarono in visita in Polonia, presso il Bund, e furono bene accolti.22

21 Lebnsfragn, 4 febbraio 1916 22 Lebnsfragn, 13 luglio 1916 20 Questo editoriale fu la sola occasione nella quale la posizione contro la guerra del Bund fu messa in discussione. Durante l’occupazione, nessun altro articolo di tale natura apparve su Lebnsfragn o altre pubblicazioni del Bund. Tutti i partiti socialisti in Polonia – eccetto il PPS – trassero vantaggio dall’allentamento della repressione per fare propaganda pacifista e contro la iniqua distribuzione degli approvvigionamenti dall’estero. Le elezioni municipali vennero usate come occasione per la propaganda del socialismo e della pace; i socialisti eletti nel consiglio cittadino elaborarono una piattaforma per promuovere le proprie posizioni. Vi era ben poco altro da fare. L’economia polacca era in uno stato di collasso totale; la produzione manifatturiera era ferma; l’inflazione saliva a dismisura. La causa principale della catastrofe economica fu la politica tedesca di spoliazione delle industrie polacche, o distruggendole o trasferendole nel Reich. La Germania voleva che la Polonia diventasse agricola, per supplire alle necessità di vettovagliamento dell’’Impero, e che fornisse manodopera per le industrie tedesche. A tale scopo, 600.000 uomini e donne furono deportati in Germania a lavorare. La disoccupazione di massa mise a portata di mano dei tedeschi forza lavoro a basso costo. Coloro che non furono deportati in Germania furono costretti al lavoro forzato in aree lontane, in particolare presso il Baltico ove “erano trattati come prigionieri” e svolgevano duri compiti in condizioni estreme. Molti furono trasferiti in Lettonia o altri paesi lontani, per contribuire alla costruzione di ferrovie per l’esercito tedesco. Le guardie picchiavano gli uomini con fruste e bastoni; le baracche erano fredde e infestate da insetti; il cibo era scarso e di cattiva qualità. In capo a sei mesi, quasi 10.000 forzati morirono di fame e stenti, ma nessun appello o protesta furono sufficienti. Il lavoro forzato continuò fino alla fine della guerra.23 Tutta la Polonia soffriva, e la popolazione ebraica non faceva eccezione. Le donazioni, in primo luogo dagli USA, fornirono il cibo necessario alla sopravvivenza della popolazione ebreo – polacca. Gran parte di queste donazioni venivano distribuite da organizzazioni non socialiste, e il resto dal Bund. Durante i primi tre mesi del 1917, per esempio, il Bund distribuì beni alimentari per un valore di oltre 90.000 rubli. In questo ambito il Bund si rivelò più che un’organizzazione politica; esso fu di fatto un organo della comunità ebraica, svolgendo un compito cui altrimenti nessuno sarebbe riuscito ad adempiere.24 La questione dell’indipendenza polacca divenne cruciale alla fine del 1916, quando gli Imperi centrali proposero la formazione di uno stato polacco fantoccio. Il Bund si oppose alla formazione di una Polonia finta, la cui funzione primaria sarebbe stata assecondare gli obiettivi militari di una potenza occupante.

Il proletariato ebraico consapevole si è opposto e battuto con forza contro le cosiddette politiche nazionaliste di certi settori della borghesia polacca…ed ebraica, vedendo in esse un tentativo di indebolire gli interessi di classe della masse popolari, e di usare i lavoratori per gli interessi della classe borghese. …Noi rifiutiamo qualunque tentativo di sancire il destino di una nazione senza l’approvazione o contro la volontà del popolo.25

Tuttavia il Bund espresse quantomeno simpatia per una vera indipendenza polacca. Al plenum del Soviet di Pietrogrado, nel giugno 1917, il rappresentante bundista Henrych Erlich, che in seguito sarebbe divenuto dirigente del Bund polacco, propose una risoluzione a favore dell’indipendenza polacca. Il Bund insistette però affinchè il destino della Polonia fosse deciso in “elezioni libere, aperte e rappresentative”, e non da una potenza occupante26. Il Bund sosteneva l’indipendenza polacca solo a condizione che prima di tutto fosse data garanzia di protezione dei diritti delle minoranze nazionali. All’epoca vi erano almeno quattro grandi minoranze etniche entro i confini della Polonia occupata: gli ucraini, gli ebrei, i bielorussi e i tedeschi. Il 40% degli abitanti della Galizia erano ucraini. Il Bund ribadì che le minoranze, qualora

23 Memorandum del Bund alla Conferenza Socialista Internazionale del 1917 a Stoccolma 24 L’attività del Bund in questo ambito è descritta in dettaglio in un documento intitolato Barikht fun der Virtshafts Komitet fun Idishe Arbeiter in Varshe, pubblicato nel 1917 e conservato nell’Archivio del Bund. 25 Tsvai Konferentzn, 1918 26 ibidem 21 fossero state incorporate in un qualunque nuovo stato polacco, avrebbero avuto diritto all’uguaglianza e all’autonomia culturale. Le divergenze tra il Bund e il PPS su questo tema impedirono ai due partiti di accordarsi, anche su altre questioni minori. L’indipendenza polacca era alla base del programma del PPS, e quest’ultimo non volle porre alcuna condizione per quanto riguardava le minoranze.27

L’antisemitismo dei nazionalisti polacchi. L’antisemitismo in Polonia aveva una base economica, risultante dalla struttura sociale del paese. Sin dal Medioevo in Polonia gli ebrei svolsero la funzione di classe mercantile, poiché la borghesia polacca non voleva avere a che fare coi commerci, e poiché i contadini erano costretti a lavorare la terra per conto dei nobili. “Pur disprezzandoli, sia il re che i nobili sostenevano gli ebrei, poiché costituivano un’importante fonte di reddito e svolgevano le necessarie attività commerciali nel paese, soppiantando la borghesia. Gli ebrei fungevano da intermediari tra i nobili e la borghesia…”28. I tedeschi erano l’unico altro gruppo etnico nella classe mercantile in Polonia, e vedevano gli ebrei come concorrenti. Casi locali di antisemitismo spesso furono dovuti a loro. L’interesse polacco nel commercio si sviluppò alla metà del XIX secolo, e con esso nacquero le prime forme di antisemitismo. Nel 1870 Jan Jelenski pubblicò un opuscolo, Gli ebrei, i tedeschi e noi, che invocava la “nazionalizzazione del commercio e dell’industria”, nell’ottica di “abolire il monopolio commerciale ebraico creatosi nei secoli”29. Il primo movimento politico ostile agli ebrei prese forma nel 1897, con la costituzione del Partito Nazionale Democratico (Endek, dalle iniziali ND). La sua ideologia originaria, sebbene antisemita, dava il benvenuto come fratelli a quegli ebrei che si considerassero polacchi. Gli Endek non rappresentarono un fattore significativo per l’antisemitismo polacco fino al 1912, quando la maggior parte degli ebrei di Varsavia sostenne un candidato socialista alle elezioni alla Duma di Pietrogrado, contribuendo alla sconfitta del candidato nazional democratico. Gli Endek reagirono lanciando un boicottaggio dei negozi ebrei, e terrorizzarono i polacchi che non aderirono al boicottaggio. Il boicottaggio fallì, ma fu la prima azione concreta anti-ebraica intrapresa da un movimento politico30. Roman Dmowski, leader degli Endek, riteneva che il destino dei polacchi dipendesse dalla stretta collaborazione con lo Zar. Egli sostenne i russi durante la guerra, mentre il PPS di Pilsudski si schierò con l’Austria. Durante la guerra Dmowski accusò gli ebrei di essere dalla parte dei tedeschi, come di fatto essi erano, a causa del carattere antisemita del regime zarista. David Lloyd George commentò: “In Russia, la sconfitta fu dovuta a un regime incompetente e corrotto, ma la colpa venne attribuita ad altri fattori. Gli ebrei erano sempre a portata di mano quando dei gentili incompetenti e corrotti facevano scelte disastrose per il paese”31. Accuse di spionaggio e sabotaggio contro il regime zarista furono ricorrenti durante i primi anni di guerra. Molti ebrei temevano che tali accuse avrebbero portato all’istigazione di pogrom da parte dei funzionari zaristi per sviare le responsabilità della catastrofe militare, o da parte degli Endek per sfruttare politicamente la situazione. Il Bund agì per contrastare i pogrom. Il suo Comitato Centrale polacco, da poco formatosi, diffuse un volantino che replicava alle accuse e ammoniva sulle possibili conseguenze. L’occupazione tedesca non pose fine al pericolo antisemita. Gli Endek passarono dall’alleanza con lo Zar a quella con il Kaiser, e accusarono gli ebrei di essere anti-tedeschi. I contrasti nel 1918 tra Germania e Austria sulla politica polacca diedero agli Endek l’opportunità di incolpare pubblicamente gli ebrei della situazione:

La futura nazione polacca ha molti nemici, l’Austria non vuole un forte vicino polacco che possa rivendicare la Galizia. Dunque il comando austriaco ha speso del denaro per comprare individui influenti e creare difficoltà nell’attuale processo di formazione dell’esercito polacco.

27 Lebnsfragn, 5 maggio 1916 28 Raymond Buell, Poland: Key to Europe, 1939 29 ibidem 30 ibidem 31 David Lloyd George, War Memoirs, 1933 - 36 22 In Germania un forte partito voleva fare della Polonia una semplice provincia del Reich. Solo i governanti tedeschi guardano avanti, e vogliono un alleato polacco veramente forte. Dobbiamo aiutarli in questo lavoro. I peggiori nemici della nazione polacca sono gli ebrei che vivono in Polonia. Gli ebrei sono nemici di tutte le nazioni in cui non possono truffare la gente, fare prestiti a interessi usurai, o vendere alcool di contrabbando. Vogliono provocare qui ciò che hanno provocato in Russia: l’anarchia e la rivoluzione. Potrebbero distruggere i ponti, come fu fatto nel 1905, e così vendere a caro prezzo pane e patate…Il goy può morire di fame mentre l’ebreo si arricchisce. E’ per arricchirsi che l’ebreo vuole una rivoluzione...32

Il proclama accusava Pilsudski di essere un agente degli ebrei: due dirigenti del PPS non erano forse ebrei? Il vero scopo degli ebrei, secondo l’accusa, era di creare una dittatura del proletariato promuovendo dimostrazioni studentesche e scioperi operai. Questi scioperi avrebbero portato alla chiusura di tutte le attività gestite dai polacchi – ma “guarda caso gli affari ebraici non saranno toccati”. Uno sciopero degli operai del gas avrebbe fatto salire il prezzo dei venditori ebrei di carbone e legna. Così gli ebrei, affermavano gli Endek, si arricchivano sulla pelle dei polacchi. Durante gli anni della guerra gli atti concreti contro gli ebrei furono pochi. Gli occupanti tedeschi non istigarono mai pogrom contro gli ebrei. La crisi economica si abbattè sui polacchi come sugli ebrei. Le restrizioni politiche vennero imposte indistintamente su tutte le nazionalità. Gli attacchi alle condizioni di vita degli ebrei vennero soprattutto dai polacchi piuttosto che dai tedeschi, e furono meno violenti degli anni precedenti. La dirigenza del Bund a Varsavia si trovò davanti a un dilemma quando la maggioranza Endek al Consiglio della città propose una legge per le festività domenicali obbligatorie. Ciò avrebbe significato un grosso problema per la popolazione ebraica della città, che normalmente faceva festa il sabato. Il Bund si era sempre opposto alla comunità ortodossa, e lo aveva fatto in maniera decisa nel momento in cui gli ortodossi insistevano sul sabato come giorno di riposo per volontà divina. Per non togliere l’appoggio alla comunità ebraica in una questione per lei importante, e allo stesso tempo per non venire meno ai propri principi socialisti, il Bund fece una proposta alternativa: ogni bottega della città avrebbe potuto chiudere un giorno alla settimana, e il giorno lo avrebbero deciso i lavoratori. In tal modo il Bund potè difendere la comunità ebraica, ribadire la propria posizione per la riduzione della settimana lavorativa ed evitare di sostenere la comunità ortodossa.

Attività del Bund polacco sotto l’occupazione. Il Bund non limitò la propria attività alla politica, al tradeunionismo e alla filantropia; durante gli anni della guerra esso si assunse anche responsabilità sul piano culturale, il che in realtà era strettamente legato alla propria linea politica. L’obiettivo era promuovere la diffusione dell’yiddish come seconda lingua di una Polonia indipendente. A tale fine il Bund creò scuole per i bambini e circoli culturali per i lavoratori. Le scuole insegnavano ai bambini la loro “madrelingua” e cercavano di usare i “più moderni metodi pedagogici”. Fondi per queste scuole furono inviati da parte degli American Jewish Socialists.33 Il Bund non aveva scelta se non organizzare scuole per l’insegnamento dell’yiddish, dal momento che l’alternativa era dare sostegno alle scuole religiose (khevrat) che imponevano un’educazione tradizionale ebreo – polacca. Un’insegnante socialista criticò aspramente le khevrat:

Chi non conosce le aule sporche, cupe e affollate in cui si svolgono le lezioni? Gli insegnanti nelle khevrat sono persone senza istruzione, persone che non sono riuscite a intraprendere nessun altro lavoro, persone che sono diventate insegnanti solo per evitare la fatica. La maggior parte di costoro sono uomini molto anziani. Un terzo di loro non ha completato gli studi. Prima costoro erano lavoratori, commercianti, sacrestani…tutto tranne che insegnanti. E hanno un assistente robusto per educare questi bambini di tenerissima età – spesso tre o quattro anni: lo staffile.34

32 Dziennik Poranny, 19 gennaio 1919 33 Lebnsfragn, 3 marzo 1916 34 Lebnsfragn, 12 marzo 1916 23 La separazione della Polonia dalla Russia, e il governo semi-democratico formatosi sotto l’occupazione tedesca, non lasciarono al Bund altra scelta che cercare di coalizzarsi con un partito socialista polacco per avere un peso nelle decisioni. Nel 1916 quindi il Bund si appellò a tutti i partiti socialisti affinchè si formasse un blocco elettorale per le prime elezioni libere del Consiglio cittadino di Varsavia. Solo la Lewica aderì; il PPS era troppo orientato verso l’indipendenza polacca, e il PSD era nel mezzo di una divisione interna35. Il blocco elettorale socialista – formato dal Bund e dalla Lewica – usò le elezioni per promuovere gli obiettivi politici e nazionali dei due partiti, piuttosto che offrire un programma che andasse incontro ai bisogni immediati della municipalità. Il blocco fu considerato dal Bund come primo passo nella direzione dell’unità socialista in Polonia; era visto come l’inizio di un movimento socialista di massa. Il blocco socialista chiese la democratizzazione del governo cittadino, rivendicando che l’amministrazione della città fosse attribuita a un consiglio eletto. I socialisti usarono la campagna per combattere il crescente nazionalismo e antisemitismo; e fecero propria la richiesta del Bund che l’yiddish fosse riconosciuto come seconda lingua nelle transazioni ufficiali36. I tentativi di altri partiti ebraici di coinvolgere il Bund in un blocco pan-ebraico furono respinti. Dal momento che il Bund era un partito socialista, e con coscienza di classe, non poteva allearsi con i suoi “nemici di classe”, ebrei o meno. Il blocco ebraico si formò senza il Bund, comprendendo i sionisti generali, gli ortodossi e i partiti cosiddetti borghesi. Lebnsfragn affermò che il blocco si era formato per rappresentare tutti e invece non rappresentava nessuno; e che volendo rappresentare tutti era costretto a fare a meno di un programma37. L’altro partito socialista ebraico, Poale Zion, tacitamente sostenne entrambi i blocchi. Ufficialmente dichiarò il proprio appoggio al blocco socialista, ma il solo membro di Poale Zion eletto al Consiglio cittadino fu un candidato del blocco ebraico. Il voto si basò su un complicato sistema di curie (distretti) elettorali, che favoriva le classi sociali più abbienti e danneggiava i socialisti. Nella sesta curia, una zona operaia, il blocco socialista ottenne il 10% dei voti ed elesse l’unico proprio rappresentante al Consiglio cittadino (su 90). Il blocco nazionalista antisemita ottenne la maggioranza. Anche in altre città polacche il Bund formò alleanze elettorali con la Lewica. Alcune di esse ebbero un limitato successo: a Lodz fu eletto il leader locale del Bund, Israel Lichtenstein. In generale tuttavia i socialisti andarono incontro alla sconfitta.

35 Sin dal 1911 il PSD si era diviso tra una fazione favorevole alla concezione leninista del partito, guidata dal comitato di Varsavia, e una fazione contraria, guidata dal comitato-in-esilio a Berlino che includeva Rosa Luxemburg e Leo Jogiches. 36 Lebnsfragn, 16 giugno 1916 37 Lebnsfragn, 23 giugno 1916 24 3. LA RIVOLUZIONE DEL MARZO 1917

Il mondo ebraico e la Rivoluzione di marzo. La rivoluzione del marzo 1917 fu accolta con entusiasmo dalla stragrande maggioranza della popolazione ebraica nell’Impero russo. Questa aveva ben pochi motivi per rimpiangere un regime che l’aveva confinata all’interno della Zona, le aveva proibito diverse professioni e l’attività nell’agricoltura e industria pesante e, durante la guerra, aveva accresciuto la repressione degli ebrei espellendone migliaia dalle loro case, in particolare nelle aree di confine di Polonia e Lituania, con il pretesto che si trattava di soggetti sovversivi. Gli arresti, i processi arbitrari, la soppressione della stampa e delle istituzioni ebraiche erano all’ordine del giorno. Il collasso del regime suscitò un’ondata di aspettative nelle comunità ebraiche in territorio russo. “E’ impossibile” disse un osservatore appena rientrato dagli Stati Uniti “descrivere la gioia e l’atmosfera di festa nel mondo ebraico immediatamente dopo la caduta dello zarismo…Gli ebrei iniziarono a raccogliere grosse somme per costruire un ‘Tempio della Libertà Ebraica’ a Pietrogrado. Quando il Governo Provvisorio decise di chiedere un ‘prestito per la libertà’, gli ebrei contribuirono generosamente; gli ebrei di Mosca versarono 22 milioni di rubli. E quando gli imperialisti ricominciarono…la guerra, gli ebrei diedero totale appoggio al Governo Provvisorio, anche se soffrivano più di tutti le conseguenze della guerra. Non vi furono divergenze nel mondo ebraico. Gli interessi di classe sparirono. Il solo desiderio della borghesia ebraica e dei lavoratori ebrei era di sostenere il Governo Provvisorio”38. Il 2 aprile 1917 il Governo Provvisorio eliminò tutte le restrizioni nei confronti dei gruppi etnici e religiosi, ma scelse di non prendere altri provvedimenti a proposito delle nazionalità, demandando il compito alla futura Assemblea Costituente. Ciò permise alle nazionalità di formulare i propri programmi politici, e le energie della comunità ebraica furono presto dirette alla pianificazione del futuro ebraico in Russia. Il risorgere delle istituzioni culturali e politiche ebraiche creò degli ostacoli materiali e psicologici alla penetrazione delle idee e delle organizzazioni bolsceviche. Per questa ragione è importante esaminare l’attività culturale e politica degli ebrei russi durante il 1917. La vita comunitaria ebraica riemerse dall’ombra nella quale era stata confinata in tempo di guerra, e le kehillah39 furono riorganizzate. Scuole primarie e secondarie, dopolavori, pubblicazioni in ebraico e yiddish, un quotidiano, e anche circoli teatrali e musicali – tutto ciò sbocciò rapidamente nella primavera della Rivoluzione russa40. Mentre la cultura ferveva, la situazione economica degli ebrei faticò a migliorare rispetto alla condizione di pesante arretratezza dei giorni pre-rivoluzionari. L’intera economia russa era in crisi, e la sua fragile periferia, pullulante di artigiani e piccoli imprenditori ebrei, era sull’orlo del collasso. “La situazione dei giovani è molto dura. La disoccupazione è in generale molto alta, ma lo è particolarmente tra i giovani”41. Questa situazione avrebbe generato profondi sviluppi politici nella comunità ebraica, in particolare nella classe operaia ebraica. Su circa 5.600.000 ebrei residenti nell’Impero russo nel 1914, circa un quarto (1.400.000) erano membri di famiglie operaie. Ma la classe più numerosa era la piccola borghesia impoverita – per lo più negozianti, artigiani, e piccoli gruppi di contadini – che nel complesso costituivano circa la metà della popolazione. In genere, costoro seguivano i partiti ebraici socialisti non sionisti. Vi erano anche partiti proletari sionisti, come Poale Zion, ma il movimento sionista attirava soprattutto l’intellighenzia e alcuni elementi della classe media. L’intellighenzia proletaria e socialista nel 1917 era concentrata in tre partiti: il Bund, il Partito Operaio Ebraico Socialista (SERP) e i Sionisti Socialisti (SS). Gli ultimi due si fusero insieme nel maggio del 1917.

38 Shlomo Agurskij, Di Role fun di Yidisher Arbeter in der Rusisher Revolutsie, 1920 39 “Kehillah”, in ebraico “congregazione”, gli organismi di gestione delle comunità ebraiche dell’Est Europa. 40 Nel 1916 in Russia usciva un solo giornale ebraico, nel 1917 erano 48. 41 Der Veker, 10 novembre 1917 25 Risveglio dei partiti ebraici. L’attività politica degli ebrei russi nel corso del 1917 conobbe un’enorme intensità. Vi erano sei gruppi politici principali. Il partito sionista affermò di avere, intorno all’ottobre 1917, 300.000 “aderenti”, dislocati in 1.200 località. Ma poichè i sionisti erano interessati in primo luogo alla creazione di una patria in Palestina, in Russia erano poco o per niente attivi. Essi erano “membri” del movimento sionista perché avevano acquistato lo “shekel” che simboleggiava il sostegno all’idea di uno stato ebraico in Palestina. Per molti l’acquisto dello shekel era l’unica forma di attività politica. Il più forte partito impegnato intensamente nella vita politica russa era il Bund, con un numero di iscritti pari a 33.700 nel dicembre 1917. Esso contava 200 gruppi nella Russia sudoccidentale e 102 organizzazioni nel Nordovest. Durante gli anni della guerra il Bund in generale aveva seguito la linea menscevica, sebbene al suo interno, come all’interno dei mescevichi, si fosse creata una divisione tra gli “internazionalisti” che si opponevano alla guerra, e i “defensisti”, che ritenevano che la partecipazione russa alla guerra fosse giustificata. Mentre i sionisti attiravano molti ebrei religiosi e membri nazionalisti dell’intellighenzia, che promuovevano l’uso dell’ebraico come lingua nazionale, il Bund era contrario al “compromesso clericale” con la borghesia, e insisteva sul riconoscimento dell’yiddish quale lingua nazionale. Il Partito Operaio Socialista Unitario Ebraico (UJSWP) stava a metà tra i sionisti e il Bund. Esso si era formato nel maggio 1917 dalla fusione dei Sionisti Socialisti e del Partito Operaio Socialista Ebraico (SERP). I Sionisti Socialisti si erano formati nel 1905 come partito fondamentalmente marxista il cui “sionismo” consisteva nella creazione di un territorio ebraico autonomo, sebbene non necessariamente in Palestina. I militanti del SERP, detti anche sejmisti, avevano promosso l’autonomia nazional culturale con un parlamento, o sejm, per ogni nazionalità dello stato. L’UJSWP cancellò il programma territorialista dei Sionisti Socialisti, affermando che “la questione rimane aperta e sarà dibattuta liberamente nella letteratura di partito”42. L’UJSWP era particolarmente forte in Ucraina, soprattutto tra gli intellettuali secolarizzati che difendevano strenuamente l’yiddish. Formalmente legato al Partito Socialista Rivoluzionario (PSR) grazie all’eredità dei legami di quest’ultimo con il SERP, a livello sindacale l’UJSWP era alleato coi menscevichi. Per le elezioni dell’Assemblea Costituente esso si alleò con il PSR. Il partito Poale Zion, insieme marxista e sionista, adottò il marxismo determinista di Ber Borokhov, che affermava che gli ebrei fossero inesorabilmente destinati alla Palestina, dove avrebbero potuto sviluppare una normale vita economica. Dentro Poale Zion, come dentro il Bund, sulla questione della guerra vi erano internazionalisti e defensisti. Alcuni membri di Poale Zion si orientarono verso il bolscevismo dopo le “giornate di luglio” del 1917, ma la componente sionista della loro ideologia impedì che fornissero ai bolscevichi pieno supporto. In Ucraina Poale Zion appoggiò la Rada centrale. Poale Zion aveva una composizione sociale pienamente proletaria. Il Partito Popolare (Folkspartai) non era l’organizzazione di massa che il nome lasciava intendere. Si limitava a una piccola cerchia di intellettuali, diretta dallo storico Simon Dubnow. Le teorie autonomiste di Dubnow erano la base dell’ideologia di partito. Il partito attirava coloro che apprezzavano l’idea di autonomia nazional culturale ma che, per una ragione o per l’altra, non si riconoscevano nel Bund o nel UJSWP. Come disse uno dei suoi membri, il Partito Popolare era “il partito dei senza partito”43. Tutti questi partiti erano di impostazione secolare. Poiché la grande maggioranza degli ebrei russi erano almeno formalmente religiosi, fu naturale che, nonostante la tradizionale riluttanza dei leader religiosi a impegnarsi direttamente nell’attività politica, dal fermento del 1917 nascessero diversi partiti religiosi. Nell’aprile 1917 si tenne a Mosca il congresso di fondazione di Masores v’ Kherus (Tradizione e Libertà). Il congresso rivendicò l’autonomia nazionale con garanzie per il sabato come giorno di riposo, e il sostegno del governo alle kehillah. Tre mesi dopo rappresentanti di 50 gruppi politico - religiosi locali come Shomrai Israel (Guardiani di Israele) e Kneses Israel (Assemblea di Israele) si incontrarono e adottarono una piattaforma che chiedeva la giornata lavorativa di otto ore, il diritto di sciopero, la libertà di opinione, la distribuzione delle terre in accordo col programma del PSR, e la promozione dell’educazione religiosa – non certo un programma “reazionario borghese”. Infine, nell’estate 1918, 120 delegati di due partiti religiosi, Akhdus Yisroel (Unione d’Israele) e Adas Yisroel (Comunità di Israele) formarono un fronte

42 Der Yidisher Proletarier, 16 (29) giugno 1917 43 Daniel Charney, A Yortsendlik Aza, 1943 26 religioso unito in Ucraina, col nome di Akhdus. In Bielorussia era attiva la fazione ortodossa Agudas Yisroel, che aveva anche la maggioranza nella duma cittadina di Minsk. Oltre a questi partiti vi era anche il piccolissimo Gruppo Popolare (Folksgrupe). Questo gruppo, nato nel 1906, seguiva la linea generale del partito cadetto ed era diretto dai noti giuristi Maxim Vinaver, Henryk Sliozberg e Oskar Gruenzberg. Vinaver e Sliozberg erano molto attivi come shtadlonim (“paladini” della causa ebraica), e fondarono diverse organizzazioni ebraiche per lo studio e per i diritti civili. Gruenzberg aveva raggiunto la notorietà internazionale per avere difeso Mendel Beilis nel celebre processo del 1911. Il Folksgrupe chiedeva pieni diritti civili per gli ebrei e un’organizzazione religiosa indipendente. Le scuole ebraiche dovevano insegnare sia ebraico che yiddish, e dovevano mantenere un carattere religioso. A differenza di Bund, UJSWP, Folkspartai e Akhdus, il Folksgrupe non chiedeva alcun tipo di autonomia nazionale. La rivoluzione aveva condotto questi partiti ad un livello inedito di attività, ma fu la breve lettera inviata dal Ministro degli Esteri inglese Arthur Balfour a Lord Rothschild il 2 novembre 1917, contenente la frase “il governo di Sua Maestà vede con favore la creazione in Palestina di una casa nazionale per il popolo ebraico”, che impresse un determinato corso agli eventi. A quanto pare l’impatto della Dichiarazione Balfour sugli ebrei russi fu notevole:

E’ impossibile descrivere la gioia che pervase le masse ebraiche in tutto il paese…Il 6 novembre vi fu una manifestazione ebraica mai vista a Kiev, che fece una grande impressione sulla popolazione…Sin dal primo mattino migliaia di ebrei, vestiti a festa e con simboli sionisti, sfilarono fino all’università in Vladimir Prospekt. Tutti i balconi delle case ebraiche erano decorati in blu e bianco. Tre fanfare militari marciarono alla testa della parata, e le bandiere sioniste sventolavano…Il console britannico…ricevette un bouquet di fiori e ringraziò con voce rotta dall’emozione…Il professor Hrushevsky, presidente della Rada, ci salutò. Anche molti bundisti e antisionisti viscerali furono coinvolti nel tripudio ebraico generale.44

Il Bund e altri gruppi antisionisti provarono a sminuire il valore della Dichiarazione e schernirono gli “ingenui” sionisti che contavano di ricevere una patria ebraica dagli imperialisti inglesi. L’Inghilterra aveva fatto la dichiarazione, affermarono, affinchè gli ebrei russi spingessero il governo a proseguire la guerra.45 Ma molti ebrei erano convinti della sincerità della Dichiarazione Balfour. Un funzionario britannico in Siberia trovò difficile fathom l’atteggiamento degli ebrei:

Molti di coloro che ho incontrato mi hanno parlato con patetica speranza del giorno in cui in Palestina sarebbe nato uno stato ebraico. Non che tutti loro volessero andare laggiù – molti di loro pensavano che la loro vera patria fosse la Russia – ma contavano sul fatto che il futuro ambasciatore o console dello stato ebraico avrebbe assicurato loro un migliore trattamento da parte del governo russo. Io ero solito far notare come fosse impensabile che un rappresentante di tale stato sarebbe stato ascoltato anche solo per un momento da un qualsivoglia governo russo, ma loro rimanevano inflessibili! “Voi siete inglese” – dicevano - “e se vi oltraggiano, andate dal vostro console a chiedere supporto. Se noi siamo oltraggiati, a chi ci rivolgiamo?” A parte coloro che ripongono queste speranze, vi sono molti, specialmente giovani, che non vedono l’ora di emigrare in Palestina, e un numero ancor maggiore di persone che vogliono lasciare la Russia, non importa verso quale meta46.

Questi atteggiamenti trovarono espressione nelle elezioni delle kehillah, del congresso ebraico e dell’Assemblea Costituente. Quasi tutti i partiti appoggiarono l’autonomia nazional culturale extraterritoriale per gli ebrei. Le kehillah ora venivano viste come centri non solo di cultura religiosa ma anche di autonomia nazionale, e le elezioni delle kehillah furono molto contese. Tutti i partiti ebraici nel marzo 1917 decisero di convergere in un Congresso Ebraico panrusso democraticamente eletto. Il Bund,

44 Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952. L’autore era studente di medicina all’Università di Kiev e apparteneva a Tseirai Zion, un partito sionista socialista. 45 Folkszeitung, 22 novembre 1917. All’epoca l’ambasciatore britannico chiese espressamente ai membri dell’Esecutivo dell’Organizzazione Sionista Mondiale di usare la loro influenza presso i leader ebrei bolscevichi, convincendoli a non ritirarsi dalla guerra. A quanto pare gli inglesi erano convinti che l’ebreo Trockij non sarebbe stato insensibile alle sirene nazionaliste. 46 Il resoconto, anonimo, è conservato presso l’YIVO Institute. 27 temendo il sorgere di sentimenti sionisti tra la popolazione ebraica, dichiarò che non si sarebbe ritenuto vincolato dalle risoluzioni del Congresso, ma le avrebbe considerate alla stregua di raccomandazioni. I sionisti chiesero invece che le risoluzioni fossero vincolanti. Alla fine si trovò una soluzione di compromesso: fu deciso che la questione dei diritti degli ebrei al di fuori della Russia fosse inclusa nell’agenda, come chiesto dai sionisti, e che la questione dello stato ebraico in Palestina fosse esclusa, come chiesto dai bundisti. A questo punto i bundisti accettarono di far parte del Congresso. L’appello di convocazione fu pieno di entusiasmo:

Cittadini ebrei! Il popolo ebraico in Russia si trova di fronte ad accadimenti che non hanno eguali in 2.000 anni di storia ebraica. Non solo l’ebreo ha acquisito l’uguaglianza dei diritti come individuo, come cittadino…ma la nazione ebraica intravede la possibilità di ottenere i propri diritti nazionali. Mai e da nessuna parte gli ebrei hanno vissuto un momento così importante come l’attuale – importante sia per il presente che per il futuro.47

Le elezioni per il Congresso si tennero nell’autunno 1917, ma a causa degli sviluppi politici in Russia esso non si riunì mai. I risultati delle elezioni per le kehillah videro in genere il successo dei sionisti, seguiti dai bundisti e poi dagli altri partiti. In particolare il risultato complessivo di 193 kehillah in nove province ucraine vide i sionisti al 36%, il Bund al 14,4%, Akhdus al 10%, il UJSWP all’8,2%, Poale Zion al 6,3%, il Folkspartai al 3%, il Folksgrupe al 1% e vari gruppi locali al 20%. I partiti ebrei socialisti insieme spesso si avvicinavano ai sionisti. Guardando agli esempi di singole città, nella kehillah di Odessa risultarono eletti 35 sionisti, 26 bundisti, 11 ortodossi, 11 di Poale Zion, 9 del Folkspartai e 19 “altri”. Nella kehillah di Voronez vi furono 14 sionisti, 14 ortodossi, 4 bundisti, 3 dell’USJWP e 3 di Poale Zion. A Saratov vi furono 17 sionisti, 9 ortodossi, 6 bundisti, 6 di Poale Zion, 1 dell’USJWP e 6 “democratici” (probabilmente legati al Folkspartai). E’ importante sottolineare che nelle aree della Russia centrale i lavoratori ebrei erano soltanto il 9% della popolazione ebraica complessiva, ma mediamente il 34% degli eletti appartenevano a partiti socialisti (il 21% al Bund). Ciò è segno che i settori sociali organizzati dai socialisti erano più attivi e consapevoli, e che i socialisti come il Bund avevano l’appoggio anche di strati dell’intellighenzia secolarizzata.

Il Bund e la Rivoluzione di marzo. Il Bund naturalmente salutò con entusiasmo la Rivoluzione di marzo (o “di febbraio” secondo il calendario giuliano), come fecero gli altri partiti socialisti. Il suo punto di vista era di tipo marxista tradizionale: “La nostra rivoluzione di forma proletaria non è proletaria nel contenuto. E’ una rivoluzione politica, e non una rivoluzione sociale”48. Alcuni bundisti esortarono i lavoratori a combattere per la rivoluzione nei ranghi dei partiti socialisti russi, e non a impiegare energie per la realizzazione del programma nazionale a spese degli obiettivi rivoluzionari generali. David Zaslavsky, all’epoca pubblicista del Bund, dichiarò che

Il proletariato ebraico sarà una forza nella vita ebraica soltanto nella misura in cui è una forza nei ranghi della democrazia rivoluzionaria…Il proletariato ebraico deve ricordare che tutti gli obiettivi, dei singoli gruppi e della nazione ebraica, devono essere subordinati agli interessi superiori della rivoluzione.49

Altri bundisti tuttavia chiesero al popolo ebraico di far sentire le specifiche istanze nazionali, e battersi per esse:

Nella nuova Russia, l’oppressione nazionale verrà naturalmente rimossa…Ma significa ciò che gli ebrei non debbano chiedere più nulla?...Il governo ora è nelle mani dei Cadetti e degli Ottobristi. Entrambi i partiti sostengono la “Grande Russia”…Entrambi recentemente hanno provato a dimostrare che in Russia non vi sono culture nazionali, ma una singola cultura “grande-russa”, onnicomprensiva. E’ possibile che sotto la pressione rivoluzionaria il loro punto di vista sia cambiato. Ma è anche possibile che in seguito, quando le acque si saranno calmate,

47 In Salo Baron, The Russian Jews under Tsars and Soviets, 1964 48 Di Arbeter Shtime, marzo 1917 49 Di Arbeter Shtime, 12 (25) maggio 1917 28 essi inizieranno a implementare il principio “grande-russo”, senza riconoscere le scuole ebraiche come componente del sistema educativo. Ciò sarebbe una forma di oppressione nazionale, e i partiti ebraici sin da ora si devono attrezzare contro questa eventualità.50

Esortando i partiti alla prudenza, il Bund ribadiva la propria concezione marxista della natura della rivoluzione russa:

E’ chiaro sin dall’inizio che l’unità della rivoluzione vada preservata: la borghesia deve rinunciare al completo potere, e il proletariato deve rinunciare alla conquista del potere. Ciascuna delle classi antagoniste si mantiene entro certi limiti finchè la rivoluzione non si sarà consolidata51.

Come Georgij Plechanov e la leadership menscevica, il Bund riteneva che una rivoluzione socialista – proletaria dovesse essere preceduta da un regime capitalistico – borghese. Il Bund era convinto che il proprio programma nazionale alla fine sarebbe stato accettato dal nuovo governo, e credeva che il Congresso dei Soviet avrebbe approvato l’autonomia nazional culturale: “Si, noi bundisti possiamo essere soddisfatti dell’evoluzione della democrazia russa negli ultimi anni. Prima eravamo gli unici a sostenere questa posizione – ora tutti sono con noi”52. L’autonomia nazional culturale fu approvata dal Partito Socialista Rivoluzionario in maggio, dai Cadetti in luglio, e dai menscevichi in agosto. Ma il Governo Provvisorio tuttavia non la decretò. Membri del Bund ebbero ruoli attivi nei soviet, spesso facendo parte degli organi esecutivi. Nel soviet di Berdichev, per esempio, entrarono 71 bundisti e il presidente fu il militante del Bund David Lipets. Al di fuori della Zona, in città come Irkutsk e Taskent complessivamente 53 bundisti fecero parte dei soviet. Mark Liber e Raphael Abramovich furono importanti figure del Congresso panrusso dei Soviet del giugno – luglio 1917, e la proposta di Liber per un sistema amministrativo di fatto basato sull’autonomia nazional culturale fu approvata, nonostante l’opposizione bolscevica. Al Congresso parteciparono circa 70 bundisti, e 5 di loro furono eletti nell’Esecutivo. Delegati del Bund ebbero ruoli importanti nei sindacati e nei congressi degli artigiani e degli insegnanti, così come nelle dume cittadine. Complessivamente 247 bundisti vennero eletti nelle dume di 51 città, di cui 175 in 25 città della ormai ex Zona di Insediamento. In tutta la Russia, i delegati bundisti alle dume erano più di 500. A Dvinsk, Odessa, Gomel e Bobruisk i bundisti ottennero la vice- presidenza della Duma, mentre a Minsk Rakhmiel Veinshtain fu eletto presidente. Anche dopo la rivoluzione bolscevica, alcuni ebrei comunisti lamentarono che “allo stato attuale, i commissariati più importanti, che hanno a che fare con le grandi masse popolari…sono nelle mani dei bundisti. Si ha l’impressione che al potere ci sia il Bund e non il Partito (Comunista)”53. Tra i vari partiti socialisti in Russia, il Bund era noto per la propria organizzazione e disciplina. Nei suoi 20 anni di attività vi erano stati notevoli differenze di opinione dentro il partito, specialmente sulla questione nazionale e della guerra, ma a differenza di quasi tutti gli altri partiti socialisti il Bund non si era mai diviso, di certo un risultato significativo se confrontato con la storia del POSDR di Martov e Lenin. La coesione del Bund fu almeno in parte dovuta a una caratteristica particolare, ovvero il proprio essere una sorta di comunità ebraica secolarizzata, tenuta insieme dal legami di classe e nazionali. I lavoratori ebrei, sempre più estraniati dalla comunità ebraica tradizionale o dominata dall’elite borghese, trovarono una nuova comunità nel Bund, sviluppando una sorta di fede politica secolare. Mantenendo stretti legami tra i vertici e la base, e tra la componente intellettuale e quella proletaria, e adattando il proprio programma e la propria linea alle fasi politiche in mutamento, il Bund riuscì a evitare le scissioni che spesso intervengono nei movimenti ideologici. Anche nel 1917 il Bund sembrava assai fiducioso rispetto alla propria stabilità organizzativa: “Riconsiderando la nostra situazione, possiamo dirci orgogliosi, e non temiamo una divisione nel nostro partito. I nostri ranghi sono ben serrati e possiamo far fronte ai frequenti dissidi interni, come ciascuno può constatare”54. Qualche mese dopo però incominciarono a manifestarsi

50 Di Arbeter Shtime, 16 (29) luglio 1917 51 Di Arbeter Shtime, maggio 1917 52 Di Arbeter Shtime, 29 giugno (12 luglio) 1917 53 Tsum XV Yortog fun der Oktiabr Revolutsie – historisher Zamblukh, 1932 54 Di Arbeter Shtime, 6 maggio 1917 29 maggiori preoccupazioni. In agosto Viktor Alter scrisse: “Diciamolo apertamente: la linea ufficiale del Bund produce forte malcontento in una parte del partito. E questo malcontento continua a crescere…La questione principale è l’atteggiamento verso la guerra”55. La popolazione non era più disposta a sostenere una posizione defensista, mentre all’epoca nel Bund prevaleva una posizione di “defensismo rivoluzionario”. Sebbene il Bund avesse sostenuto le posizioni contro la guerra delle conferenze di Zimmerwald (1915) e Kienthal (1916), dall’aprile 1917 molti dirigenti bundisti si erano spostati sulle posizioni defensiste rivoluzionarie promosse dai menscevichi Dan, Cereteli, Cheidze e Skobelev, alcuni dei quali avevano in precedenza aderito a un gruppo denominato “zimmerwaldiani siberiani”. I defensisti rivoluzionari sostenevano che la guerra dovesse essere proseguita, non per le ragioni “social-patriottiche” avanzate da certi defensisti “estremi” come Potresov e Plechanov, ma per preservare la rivoluzione dalla distruzione ad opera dell’imperialismo tedesco. Dentro il Bund tale posizione fu sostenuta da Henryk Erlich e Mark Liber, che erano anche nella leadership menscevica, e tra gli altri da Ester Frumkin. Nella primavera 1917 Raphael Abramovich era il solo membro del Comitato Centrale del Bund su posizioni internazionaliste, ma la sua posizione fu appoggiata anche da militanti di livello come Vladimir Kosovsky, Benjamin Kheifetz e Viktor Alter. I defensisti rivoluzionari menscevichi, in particolare Dan e Cereteli, erano favorevoli alla partecipazione dei socialisti al Governo Provvisorio; i defensisti bundisti Liber ed Erlich si espressero contro, mentre Moshe Rafes fu a favore. La Conferenza del Bund, nell’aprile 1917, votò contro la partecipazione al governo, sebbene la maggioranza dei menscevichi all’epoca si fosse espressa a favore. Su quella questione si sfiorò la scissione dai menscevichi, ma alla fine prevalse il timore delle conseguenze negative, come scrisse Abramovich su Di Arbeter Shtime: “Abbiamo sempre cercato di porci all’ala sinistra dei menscevichi…di essere la coscienza rivoluzionaria del menscevismo. Sappiamo che, in caso di distacco, dovremmo unirci ai bolscevichi. Siamo pronti a farlo? No, perché un grande abisso ci divide! Una divisione nel partito menscevico vorrebbe dire un indebolimento della classe operaia, perché dovremmo costituire un terzo partito”56. Le tensioni interne al Bund, cui i suoi dirigenti alludevano con cautela, erano più che naturali nel contesto del 1917. A parte gli effetti devastanti della guerra e della persecuzione zarista, vi erano anche le necessità immediate della rivoluzione. Gli ebrei non smaniavano di occupare le terre, a differenza dei contadini russi, tuttavia certamente desideravano pane e pace. In tale situazione i bundisti di base, specialmente gli operai, erano costretti a porre i bisogni immediati davanti alle posizioni di principio espresse dalla dirigenza. Inoltre la popolazione ebraica della Zona era stata sradicata a causa della guerra. Nel dicembre 1917, di 97 organizzazioni aventi diritto a inviare delegati all’Ottavo Congresso del Bund, 40 erano al di fuori della Zona. Dei 25 governatorati della ex Zona, 13 erano sotto occupazione tedesca, così come parte di altri 2. 58 città e centri minori in cui prima della guerra gli ebrei non avevano il permesso di vivere ora avevano organizzazioni del Bund. Le nuove organizzazioni avevano avuto poco tempo per sviluppare un radicamento locale e conquistarsi la fiducia della popolazione. Mentre alcuni membri di queste organizzazioni provenivano dall’apparato del Bund nella Zona, molti erano nuovi arrivati. Ciò fu dovuto al fatto che durante gli anni della reazione dopo il 1905 molti dei gruppi bundisti minori erano scomparsi. Quando nel 1917 vi fu una ripresa dell’attività del Bund, una gran parte di aderenti erano del tutto nuovi, e non aveva quel grado di lealtà quasi “fanatica” verso l’organizzazione mostrata dalla vecchia guardia. L’attivista del Bund Sara Fuks scrisse:

Le organizzazioni che abbiamo per lo più sono nate con la rivoluzione…Quali sono le masse e quali i capi di queste organizzazioni? I lavoratori stessi. L’intellighenzia ora segue i partiti borghesi o è completamente passiva…Dovunque i compagni della vecchia guardia abbassano i toni. Per lo più le forze sono nuove. Spesso individui di preparazione limitata, con scarsa esperienza politica, ciononostante essi trovano sempre la linea giusta, la risposta giusta a tutte le questioni, e sono in grado di elaborare una vera tattica proletaria.57

55 Di Arbeter Shtime, 3 (16) agosto 1917 56 Di Arbeter Shtime, 20 agosto (2 settembre) 1917 57 Der Veker, 1 agosto 1917 30 In Ucraina, per esempio, nel febbraio 1917 vi erano soltanto 10 gruppi bundisti. Dopo la Rivoluzione di febbraio questo dato salì enormemente, e nell’autunno del 1917 questi gruppi erano 175, con una sorta di “comitato centrale” a Kiev. Molti lavoratori nel 1917 non erano mai stati in contatto con il Bund. Per esempio, per le esigenze dell’esercito erano state allestite grandi fabbriche di uniformi, ove la maggioranza degli operai erano ebrei impoveriti, reclutati nei villaggi devastati dalla guerra. La guerra li aveva privati della casa, ed essi cercavano rifugio nei centri più popolosi. Anche il Bund polacco fu pieno sostenitore della Rivoluzione russa del marzo 1917. Solo l’occupazione tedesca gli impedì di prendere parte in maniera diretta agli avvenimenti. Le notizie sulla caduta dello Zar furono accolte con gioia. “Non è un sogno!” scrisse Lebnsfragn “Salutiamo con entusiasmo i nostri compagni e amici appena liberati, e auguriamo loro nuova forza ed energia nella lotta per la nostra grande causa”58. L’entusiasmo espresso dal Bund fu il medesimo di tutta la popolazione ebraica di Russia. Un membro di spicco della comunità disse: “Per la prima volta in 2.000 anni potremo celebrare la nostra Pasqua, la nostra festa della liberazione, non come schiavi ma come liberi cittadini”59. Le speranze del Bund erano elevate. In Russia venne ripresa la pubblicazione di Di Arbeter Shtime dopo un intervallo di 12 anni, questa volta come giornale legale, a differenza del passato. Furono organizzate celebrazioni in villaggi e città della zona ebraica di Russia. Per i bundisti queste celebrazioni ebbero un doppio significato: la rivoluzione in atto e il ventesimo anniversario dalla fondazione del loro partito. La rivoluzione democratica significava la fine dell’oppressione, come il Bund russo scrisse ai propri sodali americani: “I lavoratori russi oggi si presentano alle democrazie del mondo come membri alla pari. I lavoratori del mondo devono unirsi dietro al nuovo governo, per proteggere le libertà appena acquisite”60. In Russia si erano creati due centri di potere: il Governo Provvisorio e i consigli (soviet) degli operai e dei soldati. I soviet nacquero spontaneamente dalla rivoluzione. La loro direzione fu subito nelle mani dei partiti radicali: le due fazioni socialdemocratiche, i socialisti rivoluzionari e i trudoviki. Kerenskij, che guidava il più moderato dei partiti radicali – i trudoviki – fu il leader riconosciuto dei soviet, e la figura più popolare, nei primi giorni della rivoluzione. Il governo invece fu più conservatore dei soviet, in particolare durante i primi mesi quando la carica di Primo ministro fu del principe Lvov, che rappresentava i Cadetti. Il Bund fu l’unico partito ebraico a entrare nei soviet. Uno dei leader del Soviet di Pietrogrado fu Henryk Erlich, dirigente bundista nato in Polonia. Egli in giugno fu scelto come emissario del Soviet alla conferenza socialista internazionale di Stoccolma. Nel movimento socialdemocratico russo si andarono delineando tre gruppi principali: un’ala destra guidata dal veterano marxista Plechanov, che appoggiava il governo liberale e la prosecuzione della guerra; un centro guidato da Cheidze e Skobelev – quest’ultimo membro del governo – che era per il sostegno al governo nella misura in cui esso continuava “nel proprio percorso rivoluzionario”, e nella lotta per la pace; un’ala sinistra guidata da Lenin che voleva il rovesciamento del governo liberal – democratico e la fine immediata della guerra. La posizione del Bund si può definire di centro – sinistra. Esso era vicino ai menscevichi per la condivisione di questi ultimi della linea dell’autonomia nazionale, e contrario alla posizione di Lenin, il quale dichiarava espressamente di voler dividere il movimento socialista mondiale e criticava la conferenza di Stoccolma. D’altra parte, Medem definì la linea della destra menscevica, che prevedeva la partecipazione al Governo Provvisorio, un tradimento della classe operaia. Le coalizioni tendevano a indebolire il potere dei lavoratori, disse, poiché la forza di questi ultimi stava proprio nella capacità di difendere autonomamente i propri interessi e di distinguere i nemici dagli amici. Nelle attuali condizioni “le mani dei ministri sono legate. Quando sostieni qualcuno devi essere leale con lui. Devi difenderlo dai nemici, devi ignorare i suoi errori. Questo è il caso dei ministri in un governo. Essi devono essere leali al proprio governo, difenderlo dai nemici e ignorarne gli errori. I ministri socialisti devono difendere i loro colleghi borghesi; questa è la minima

58 Lebnsfragn, 23 marzo 1917 59 The Times, 11 aprile 1917 60 Cablogramma del Comitato Centrale del Bund russo al Di Amerikaner Khaverim, 23 maggio 1917 (Archivio del Bund) 31 condizione richiesta per la responsabilità collettiva”61. Tra i menscevichi una minoranza, guidata da Martov, concordò con le posizioni di Medem. In luglio, quando a Pietrogrado centinaia di migliaia di persone scesero in piazza contro il governo e per la pace, e il partito di Lenin agitò lo slogan “Tutto il potere ai soviet”, i dirigenti del Bund in Polonia furono contrari. “Contro chi si battono costoro?” chiese Lebnsfragn “Di fatto contro i soviet degli operai e dei soldati che si oppongono ai bolscevichi e non vogliono tutto il potere nelle proprie mani”. I soviet, secondo Lebnsfragn, temevano le conseguenze di una presa del potere. I bolscevichi dopotutto erano soltanto una minoranza all’interno dei soviet. I bolscevichi avrebbero gradito che tutto il potere finisse nelle mani di soviet nei quali altri partiti avessero la maggioranza? No, scrisse Medem, essi avrebbero cambiato lo slogan “Abbasso il governo!” in “Abbasso i soviet!” fino a quando Lenin non fosse diventato dittatore di Russia62. In seguito ai disordini di luglio il governo adottò misure repressive di emergenza. I dirigenti del Bund polacco criticarono il tentativo di sopprimere i bolscevichi, un tentativo che giudicavano pericoloso da entrambi i lati. “Come in tutte le dittature, la repressione di Kerenskij è la prima della serie. Oggi Kerenskij arresta Lenin; domani Cereteli arresterà Kerenskij, e il giorno dopo…”63. Medem ammonì che la lotta tra socialisti era una catastrofe, e dichiarò senza mezzi termini che doveva terminare. Propose un’unione di tutte le fazioni socialiste contro i partiti liberal – borghesi. “La storia della socialdemocrazia russa ha sviluppato una tradizione molto negativa, molto dannosa: la tradizione delle divisioni e degli scontri. La base di queste divisioni generalmente non è rilevante. Questa tradizione in tempi normali è dannosa, in momenti critici come questi è disastrosa”64. I dirigenti del Bund temevano per la rivoluzione da due punti di vista: esternamente a causa della continuazione della guerra, e internamente a causa dell’atteggiamento dei bolscevichi. “Il pericolo per la rivoluzione non cesserà finchè le armi non taceranno, sia sul fronte di guerra che nelle strade di Pietrogrado”65. Se non fossero cessati i disordini, vi era pericolo che la popolazione perdesse la fiducia nella democrazia. E i bundisti temevano che la maggioranza dei russi potesse chiedere il ritorno della monarchia, se necessario, per ripristinare l’ordine. I bundisti consideravano la pace l’obiettivo principale della rivoluzione: “La borghesia delle potenze alleate vuole che la Russia continui la guerra…vogliono che si combatta fino all’ultima goccia di sangue. La pace deve arrivare!...La pace deve essere ottenuta, contro tutti coloro che vogliono la guerra. La grande offensiva di primavera è cominciata…l’offensiva per la pace”66. Qualche mese dopo, i bundisti andavano ripetendo il medesimo appello: “Il popolo deve chiedere la pace”. Ma ora si sentirono in dovere di spiegare perché la repubblica democratica russa, col supporto dei socialisti, non era riuscita a fermare la guerra. Nessun singolo popolo poteva liberare il mondo intero; un popolo poteva soltanto compiere il primo passo; il resto del mondo doveva seguire. “L’appello dei lavoratori russi non ha ancora avuto la necessaria eco – l’eco deve arrivare, e con l’eco arriverà la pace e un mondo nuovo”67. Mark Liber, neoeletto presidente del Bund di Polonia, Lituania e Russia, fece un appello al governo per avere un resoconto sui negoziati di pace. Finchè la pace non fosse arrivata, tuttavia, esortò i propri seguaci a sostenere il proprio paese e il nuovo governo – finchè restava leale agli ideali della rivoluzione. Questo appello rappresentò una svolta nella posizione del Bund, dall’opposizione alla guerra mantenuta fin dal 1914 al sostegno riluttante del 1917. Fino alla fine di settembre i bundisti mantennero un atteggiamento ottimista. Anche il tentativo di controrivoluzione di Kornilov non mutò la loro valutazione degli eventi. I soviet degli operai e dei soldati avrebbero saputo cosa fare per fermare la controrivoluzione, disse un editoriale di Lebnsfragn. Per tutto il periodo il Bund mantenne la denominazione di Unione Generale dei Lavoratori Ebrei di Lituania, Polonia e Russia, e la maggior parte dei dirigenti si considerarono divisi solo temporaneamente. Il nuovo Comitato Centrale unitario, nominato nel maggio 1917, fu composto da

61 Lebnsfragn, 25 maggio 1917 62 Lebnsfragn, 27 luglio 1917 63 Lebnsfragn, 10 agosto 1917 64 Lebnsfragn , 20 aprile 1917 65 Lebnsfragn, 27 luglio 1917 66 Lebnsfragn, 6 aprile 1917 67 Lebnsfragn 3 agosto 1917 32 Liber, Erlich, Medem e Jeremiah Weinstein. Ma in concreto, come abbiamo visto, il Bund polacco e anche le altre branche regionali dell’organizzazione spesso operavano in autonomia, seguendo le tendenze degli eventi in corso.

Gli Unitari, il Bund e l’ascesa bolscevica. Oltre al Bund, l’altro principale partito ebraico socialista era il Partito Unitario Socialista Operaio Ebraico (UJSWP). Il partito era nato nel maggio – giugno 1917 dalla fusione tra i Sionisti Socialisti e il SERP, e i suoi membri erano noti comunemente come Farainigte (Unitari). Questo partito, guidato da intellettuali, elaborò un interessante programma nazionale. La miglior forma di governo per la Russia, secondo gli Unitari, sarebbe stata una repubblica federativa simile agli Stati Uniti d’America. Ciò avrebbe permesso di risolvere in parte la questione nazionale. “Se in Ucraina ci fosse una sola nazione, l’autonomia regionale risolverebbe la questione nazionale”. Ma poiché ciò ovviamente non era il caso dell’Ucraina né delle altre regioni, occorreva istituire una rappresentanza proporzionale delle nazionalità in ciascuna dieta regionale. E poiché ciò aveva prodotto una tirannia della nazione maggioritaria, com’era avvenuto nell’Ucraina polacca, era necessaria un’autonomia “nazional personale”. Si doveva creare un organo centrale per dirimere le questioni di ebrei o polacchi, lettoni o tatari, ovunque essi si trovassero a risiedere. L’autonomia personale si sarebbe basata “non sul fatto oggettivo che io vivo in Ucraina, ma sulla volontà soggettiva per la quale io mi considero membro di questa nazione. Noi non intendiamo dire che l’autonomia personale esclude l’autonomia territoriale. Esse si completano l’un l’altra”. Un parlamento centrale si sarebbe occupato di questioni di interesse generale – rapporti con l’estero, questioni militari, poste e telegrafi e simili. L’educazione e i servizi sociali sarebbero stati affidati alle diete regionali. Le diete regionali sarebbero state il terzo livello del governo, e si sarebbero occupate di sanità, industria, commercio, agricoltura e simili sul piano regionale68. L’assemblea nazionale ebraica, o dieta, eletta sulla base di un suffragio universale equo, segreto, proporzionale e diretto, sarebbe stata l’autorità più elevata nella vita ebraica. I cittadini vi si sarebbero subordinati volontariamente, dichiarando la propria appartenenza alla nazione ebraica. Localmente, laddove vi fossero almeno 300 ebrei sarebbe stata formata una kehillah. La kehillah poteva decidere, ad esempio, quante scuole fossero necessarie in una data località, quindi allestirle e determinare il programma di insegnamento entro le linee guida stabilite dalla dieta ebraica. Le istituzioni ebraiche avrebbero ricevuto dei fondi proporzionali alla popolazione che servivano, dagli organi governativi centrali, provinciali e locali ai quali gli ebrei pagavano le tasse. La religione sarebbe stata separata dagli organi nazionali, e sarebbe stata materia delle associazioni religiose. Dentro gli organismi nazionali avrebbe trovato espressione la lotta di classe, con ogni fazione a cercare di far approvare il proprio programma o la propria idea di servizio sociale. Questo elaborato schema era forse più ambizioso dell’idea bundista di autonomia nazional culturale, e certamente era più specifico. Naturalmente né il Bund né gli Unitari ebbero la possibilità di testare la fattibilità dei loro programmi nazionali. Con la presa del potere bolscevico, i progetti di autonomia nazionale furono accantonati. L’antagonismo di lunga data tra il Bund e i bolscevichi si inasprì nella primavera del 1917, quando il Bund replicò stizzito agli appelli bolscevichi secondo i quali i tempi per la rivoluzione socialista erano maturi. Definendo il leninismo un “brutto fastidio”, V. Kantorovich domandò:

Se il proletariato fa appello alla dittatura, chi lo seguirà ora? Nessuno! Chi andrà contro di lui? Tutti! Un leader senza seguaci non ha potere…Forse la repubblica borghese americana (laggiù non c’è ancora il socialismo) invierà denaro per sostenere Lenin e compagnia? Naturalmente no!...I leninisti sono i nemici della rivoluzione. Ciò deve essere fermamente stabilito una volta per tutte.69

Mark Liber e Lenin si scontrarono al Congresso panrusso dei Soviet sulla questione dei tempi della rivoluzione socialista, e il Bund accusò Lenin di “anarco-sindacalismo”. Liber affermò che il proletariato doveva rimanere la classe guida ma doveva stare attento a non allontanarsi

68 Jacob Lestchinsky, Unzere Natsionale Foderungen. Pubblicato dal Comitato Centrale del UJSWP, non datato ma presumibilmente 1917 69 Di Arbeter Shtime, 25 maggio (7 giugno) 1917 33 troppo in avanti: doveva essere disposto a fermarsi, onde evitare l’isolamento. Lenin si espresse all’opposto: avanti verso la conquista del potere, senza curarsi delle conseguenze. Liber chiese a Lenin come avrebbe mantenuto il potere e controllato le forze anarchiche nel paese. Di Arbeter Shtime scrisse sarcasticamente “La risposta di Lenin passerà alla storia: ‘dovremo arrestare 50 o 100 capitalisti’. Lenin vuole combattere il sistema capitalistico mettendo i capitalisti in prigione”70. Diversi bundisti di base ripresero questo sarcasmo, accusando i bolscevichi di essere degli irresponsabili, dei sognatori impenitenti. Il giorno precedente alla presa del potere a Pietrogrado, B. Marshak schernì Piatakov e i bolscevichi ucraini sulla loro fiducia nella capacità dei bolscevichi di Pietrogrado di diventare i governanti della Russia.

Essi non vedono che il cavallo da guerra bolscevico, che sembra così grande e forte, è solo cartapesta ed è assolutamente incapace di muoversi in mezzo alla battaglia…Non sanno che l’intero potere bolscevico risiede nell’intimidazione della folla di volta in volta: “Attenti, ci riuniamo il giorno 20…State pronti, la convocazione è per il giorno 25…gridano, allertano, e nient’altro. E subito gli ingenui bolscevichi di Kiev corrono all’artiglieria che non può sparare e ai cavalli che non possono galoppare…Se il Grande Bolscevico Trockij avesse braccia abbastanza lunghe da arrivare da Pietrogrado a Kiev, di certo prenderebbe per un orecchio il piccolo bolscevico Piatakov: “Non fare lo stupido, chiedi a chi è più vecchio di te”.71

I bundisti bielorussi non furono così presuntuosi come i loro compagni ucraini. Il loro organo, Der Veker, ammonì che i bolscevichi si stavano preparando a creare un nuovo governo, con la forza se necessario:

Il grave malcontento delle masse, la rabbia, la stanchezza – tutto è utile per la propaganda bolscevica…Il risultato si vedrà presto: una riedizione delle giornate di luglio…I nostri compagni ovunque devono essere pronti a fare un’energica resistenza contro i piani bolscevichi…Lavorare per l’Assemblea Costituente: tutti coloro che hanno ancora un senso di responsabilità per il destino della rivoluzione devono concordare su questo.72

70 Di Arbeter Shtime, luglio 1917 71 Folkstseitung, 24 ottobre (6 novembre) 1917 72 Der Veker, 18 ottobre 1917 34 4. I BOLSCEVICHI PRENDONO IL POTERE

L’insurrezione bolscevica e le reazioni nel Bund. I dirigenti bundisti valutarono in maniere differenti la rivolta bolscevica dell’Ottobre 1917. La grande maggioranza sembrò credere che si trattasse semplicemente di un colpo di stato militare “compiuto da un pugno di avventurieri, sostenuti da un esiguo contingente di soldati e operai armati…Crediamo che il colpo di mano bolscevico sia sbagliato”73. Il colpo di mano venne considerato un grave crimine contro la libertà e la rivoluzione poiché avveniva a tre settimane dall’elezione dell’Assemblea Costituente. I bolscevichi avevano aperto la via alla controrivoluzione e dovevano essere rovesciati, a condizione che “gli avventurieri bolscevichi siano liquidati dalle stesse forze della democrazia”74. Una coalizione socialista avrebbe convocato l’Assemblea Costituente, avrebbe assegnato la terra ai soviet dei contadini, e avrebbe proceduto ai negoziati di pace. Zaslavsky ricordò che Engels aveva avvertito che una conquista prematura del potere poteva solo portare al disastro, definì il colpo di mano bolscevico “la rivolta di una guarnigione senza alcun supporto di massa” e disse che “la rivoluzione socialista di Lenin e Trockij è destinata a fallire”. L’azione non era altro che una grottesca parodia della Comune di Parigi. Abramovich usò parole meno dure: “Ogni classe oppressa, specialmente la classe operaia, tende sempre al ‘massimalismo’…soprattutto nelle fasi rivoluzionarie”. Le masse erano sensibili alla demagogia bolscevica perché non potevano comprendere dottrine socialiste più sofisticate. L’opposizione militare al bolscevismo avrebbe soltanto portato la masse nelle braccia di quest’ultimo, poiché in quel momento il popolo vedeva le cose in bianco e nero75. Henryk Erlich provò a individuare la base sociale del bolscevismo: “Oggi il bolscevismo non ha neanche una traccia di socialismo; oggi rappresenta la più bassa forma di anarchismo…i rifiuti della società, la feccia del proletariato e dei contadini”76. Dal momento che il livello culturale dei lavoratori russi era inferiore rispetto alla loro controparte occidentale, affermò Erlich, era comprensibile che i primi stadi di sviluppo del proletariato russo assumessero la forma del bolscevismo. Dal momento che i lavoratori ebrei appartenevano per lo più a un segmento del proletariato più istruito, tra loro il bolscevismo aveva un seguito limitato. Ma, avvertì Erlich, molti proletari ebrei a Kiev avevano votato per i bolscevichi alle elezioni dell’Assemblea Costituente. Erlich ipotizzò che “sarebbe sorprendente se un movimento come il bolscevismo si diffondesse tra gli ebrei”, ma affermò che la cosa sarebbe stata temporanea, poiché i lavoratori ebrei non avrebbero mai sostenuto un partito “che accetta senza problemi la presenza dei Centoneri nelle vicinanze”77. Alcuni bundisti, così come alcuni menscevichi, espressero il timore che un’opposizione militare al bolscevismo avrebbe permesso alle forze della reazione di dividere il campo rivoluzionario e di muovere verso la restaurazione del potere. Moshe Rafes, leader bundista in Ucraina, avvertì che “tutte le forze reazionarie” avrebbero potuto unirsi al Governo Provvisorio per sopprimere i bolscevichi e quindi restaurare i propri privilegi. “Non dobbiamo dimenticare che una parte della classe operaia, fuorviata dai bolscevichi, sta combattendo nelle strade di Pietrogrado; soffocare questa rivolta significa disgregare molti soviet operai, e molti sindacati nei quali i bolscevichi sono forti e ben considerati”78. I bolscevichi avevano compiuto un crimine contro la rivoluzione, ma il Bund non poteva sostenere il Governo Provvisorio destituito, perché avrebbe significato gettare la rivoluzione nelle braccia della borghesia. La sola via per uscire dall’impasse sarebbe stata un nuovo governo. Un altro bundista ucraino affermò che il bolscevismo era

73 Di Arbeter Shtime, 13 (26) novembre 1917 74 ibidem 75 ibidem 76 Folkstseitung, 8 dicembre 1917 77 ibidem 78 Folkstseitung, 28 ottobre (10 novembre) 1917 35 Un movimento di massa, ma un movimento di massa non può certo essere creato artificialmente dai capricci di pochi individui come Lenin, Trockij etc. Che questo sia un movimento di massa è provato dal fatto che la maggioranza del proletariato e della guarnigione di Pietrogrado lo sostengono…Dobbiamo ricordare che in questo movimento ci sono le voci di milioni di operai e soldati, la voce della fame, delle ristrettezze, della povertà…e se questo è un movimento di massa, un legittimo e umano grido di dolore, noi socialisti non possiamo rimanere indifferenti. Non possiamo reagire con i vecchi metodi – reprimerlo, silenziarlo – pensando che così esso finisca.79

Simili posizioni furono espresse nel Bund bielorusso. Pur vedendo nel colpo di mano bolscevico “il più grave pericolo per la rivoluzione”, il Bund bielorusso riconobbe che esso aveva una base di massa, risultato non della “furia degli agitatori” ma della fame, dei bisogni primari, della stanchezza80. Una conferenza di organizzazioni bundiste in Bielorussia sottolineò che le sofferenze accumulate dalla classe operaia e dall’esercito avevano indirizzato questi ultimi “sulla via dell’anarchia”. Per quanto differentemente valutassero l’azione bolscevica, tutti i bundisti rimasero fermamente contrari al monopolio bolscevico del potere. Per quanto si sa, soltanto un dirigente bundista appoggiò senza mezzi termini la presa del potere bolscevico. Costui fu Benjamin Kheifetz, un bundista di Odessa che aveva definito l’insurrezione bolscevica “un’avventura” ma era entrato nel comitato militare rivoluzionario locale. Il Bund immediatamente gli chiese di chiarire la sua posizione, ed egli lo fece dicendo che i bolscevichi erano degli avventurieri ma che la natura di massa della loro impresa rendeva possibile trasformarla in una lotta “per obiettivi democratici generali”, il che avrebbe evitato una guerra civile81. Pare che due comitati del Bund – quello di Odessa e quello di Ekaterinoslav – entrarono nel comitato militare rivoluzionario bolscevico di ciascuna delle due città – pur continuando a proclamare la propria opposizione ideologica al bolscevismo82. Per quanto riguarda Vladimir Medem, egli nel 1917 era in Polonia, e non riuscì a raggiungere Pietrogrado. Non potè dunque assistere in prima persona alla presa del potere da parte dei bolscevichi nel novembre 1917, ma in seguito analizzò le cause profonde dell’insurrezione, soffermandosi sull’incapacità da parte dei menscevichi di agire adeguatamente. Secondo Medem, i menscevichi avevano malgiudicato la situazione concreta. Essi non credevano che il capitalismo in Russia si fosse sviluppato a sufficienza per una rivoluzione socialista; e che i lavoratori non potessero assumersi la responsabilità dello sviluppo del capitalismo in Russia. Medem riconobbe che la logica era dalla loro parte. Ma la logica, scrisse, a volta si scontrava con i fatti storici reali. La lotta di classe era un fatto, generato da fatti economici e politici concreti: fame, inflazione, disoccupazione e collasso militare. “La lotta di classe potè di più dell’abilità oratoria di Kerenskij e Cereteli”83. Il risultato, disse Medem, fu la rivoluzione di novembre, la presa del potere bolscevico. “I lavoratori proclamarono: Ciò che dobbiamo fare è allungare le mani e diventare i governanti del mondo intero – noi, i proletari…Allora, perché non lo facciamo?’ La coscienza di classe giunse a questa conclusione spontaneamente, e su questa base ebbe luogo la rivoluzione bolscevica”84. I menscevichi si trovarono di fronte un colossale, cieco e spontaneo movimento di massa. “Nelle strade vi era una massa che non faceva per nulla complessi ragionamenti politici; una massa che poteva essere orientata soltanto con slogan semplici: ‘Abbasso i padroni!’ ‘Abbasso i

79 ibidem 80 Der Veker, 10 (23) novembre 1917 81 Folkstseitung, 10 (23) novembre 1917. Kheifetz sostenne i bolscevichi anche quando nel gennaio 1918 sciolsero l’Assemblea Costituente. Abramovich nel suo libro lo descrive come “una persona di temperamento forte, e con le abilità oratorie dell’agitatore. Scuro come un tataro, con occhi neri fiammeggianti e capelli lunghi e lisci che spesso gli ricadevano sulla fronte, parlava rapidamente e rabbiosamente. Non aveva idee proprie. Ma le masse erano ammaliate dal fuoco rivoluzionario e dal temperamento che lo animavano…Nel 1923 fu a Berlino…Insieme a Karl Radek preparò la ‘Rivoluzione d’Ottobre’ tedesca”. 82 Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920 83 Vladimir Medem, Der Goirl fun Der Russishe Revolutsie, 1918 84 ibidem 36 dominatori!’ ‘Diventiamo noi stessi padroni della nostra terra!’ I lavoratori abbandonarono i menscevichi e andarono sotto la bandiera di Lenin”85. Secondo Medem, il fatto che le masse non fossero politicamente preparate alla rivoluzione sociale avrebbe condannato quest’ultima al fallimento. La ragione era semplice: la maggioranza dei 240.000 aderenti al bolscevismo erano “socialisti di marzo”, unitisi al movimento dopo la caduta dello Zar. Non erano diventati bolscevichi perché condividessero le tesi di Lenin; si erano uniti al movimento perché volevano stare dalla parte del vincitore, e ritenevano che i bolscevichi avrebbero vinto. Essi divennero così una minoranza determinata, “piena di energia e di iniziativa”, che riuscì a “condurre le masse in una fase di lotte e tensioni molto forti”. Ma questa minoranza non poteva ricavare dalle masse il supporto necessario per la costruzione di una società socialista. Medem respinse l’idea che il socialismo potesse essere creato da una minoranza: “Il socialismo è il governo – reale, non fittizio – della maggioranza che deve in ultima analisi prendersi sulle spalle il proprio destino. Un socialismo basato sul governo della minoranza è assurdo”. I bolscevichi ammettevano di essere una minoranza; dunque il socialismo dei bolscevichi “è un socialismo della minoranza”. E, disse Medem, il socialismo di una minoranza era “un termine contraddittorio in sè”86. E un fallimento ancor maggiore dei bolscevichi, dal punto di vista di Medem, era l’uso della forza per restare al potere. I bolscevichi “mantengono il potere soltanto perchè il loro terrore ha distrutto e reso inoffensivi i loro oppositori. Inoltre, è impossibile trovare qualcuno disposto a subentrare al caos bolscevico. Essi mantengono il potere a causa dell’apatia del paese”. L’uso della forza per mantenere il potere era una condizione che Medem paragonò a “un’epoca di profonda reazione”. L’uso della forza avrebbe condotto alla controrivoluzione e al ritorno al passato. “Ora la reazione è decorata con la bandiera rossa bolscevica. Ma si avvicina il momento in cui la reazione sarà non marxista; il terreno è stato preparato”87. Medem affermò che il terrore era sostenuto dalle baionette dell’Armata Rossa, composta da mercenari che si battevano solo nella misura in cui erano pagati: questo era puro militarismo. Bainish Mikhalevich aggiunse che invece di distruggere il militarismo, acerrimo nemico del socialismo, la Russia “socialista” stava “spendendo tutte le proprie energie per costruire un esercito permanente”88. Una dittatura della minoranza richiedeva una forza militare adeguata. Mikhalevich accusò i bolscevichi di reclutare a tale scopo un esercito di lavoratori disoccupati. Per i bundisti, Marx, Engels e Bebel avevano compiuto delle “previsioni errate”. Ma i dirigenti del Bund negarono ogni collegamento tra le tesi marxiste e la Russia di Lenin. Il comunismo sovietico dei bolscevichi, disse Erlich, “ha la stessa relazione con il socialismo di Marx che le ideologie della piccola borghesia contadina, pervasa dall’idea della proprietà privata, hanno con le idee del proletariato rivoluzionario”89. Se il bolscevismo non era una forma di socialismo marxista, che cos’era? “Blanquismo” replicò un leader del Bund. Egli affermò che i bolscevichi credevano che il potere politico, “la dittatura ferrea attraverso il potere coercitivo” fosse il principale fattore di cambiamento della società. Egli accusò i bolscevichi di considerare il potere politico superiore ai fattori economici o alla lotta di classe; chi aveva il potere politico poteva anche imporre i cambiamenti economici e dirigere l’economia secondo i propri desideri. Ciò era molto vicino alle teorie di Blanqui, e contraddiceva la tesi marxista che i fattori economici fossero determinanti rispetto alla politica90. A livello di base, in alcuni comitati del Bund la presa del potere da parte dei bolscevichi determinò subito la divisione in fazioni favorevoli e contrarie. Si trattò comunque di episodi isolati e limitati. Alla fine del novembre 1917 il Comitato di Bobruisk, un gruppo di 50 militanti, si autonominò “Bolscevichi del Bund”91. Nel Comitato di Ekaterinburg, nato soltanto dopo la caduta dello Zar, si formò un gruppo di simpatizzanti dei bolscevichi, ma non si arrivò alla creazione di una fazione vera e propria. A quanto pare nessun gruppo filo-bolscevico cercò di lasciare completamente il Bund. Quando si creò una fazione pro-bolscevica nel Bund di Perm, questa

85 ibidem 86 ibidem 87 ibidem 88 Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxism, 1918 89 Henryk Erlich, Tsi iz der Sovetn Regirung an Arbeter Regirung?, 1918 90 Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxism, 1918 91 Sovetskaja Pravda (periodico di Minsk), 12 dicembre 1917 37 dichiarò che “Noi lavoratori ebrei di Perm siamo uniti sotto la bandiera del Bund…siamo sicuri che il Bund ci condurrà fino al nostro obiettivo finale – al socialismo”92. Dopo alcuni mesi, quando i bolscevichi avevano sciolto a forza l’Assemblea Costituente e rotto l’alleanza con gli SR di sinistra a causa della crisi di Brest-Litovsk, un periodico del Bund scrisse che “l’influenza del bolscevismo sullle masse operaie ebraiche sta scomparendo”93.

“Correggere o rovesciare” i bolscevichi? Tentativi di governo di coalizione. Dal momento che la rivoluzione bolscevica rappresentava un grave danno per la classe operaia, gli altri partiti socialisti e tra essi il Bund si trovarono ad affrontare il dilemma di come combattere il nuovo potere evitando di aprire la strada alla controrivoluzione borghese. Quest’ultima, disse Erlich, avrebbe richiesto l’aiuto dell’imperialismo; gridando di voler eliminare il pericolo bolscevico, avrebbe soffocato in “un bagno di sangue” le conquiste della rivoluzione. Perciò egli fece appello ai lavoratori a unirsi per difendere la Russia dalla controrivoluzione. Egli voleva che il “regime reazionario bolscevico” fosse liquidato dalle forze socialdemocratiche di Russia. I movimenti operai non bolscevichi, tuttavia, erano divisi e in lotta tra di loro. Queste divisioni, lamentò Erlich, erano l’ostacolo che impediva il rovesciamento del bolscevismo e l’ascesa di un governo socialista democratico in Russia.94 Vi fu un certo disaccordo sui passi pratici da compiere per ostacolare i bolscevichi, o quantomeno per “controllarli”. I medesimi disaccordi sorsero tra i menscevichi. Zaslavsky e Ester Frumkin, convinti defensisti, espressero l’idea che il Bund non dovesse fare concessioni ai bolscevichi e non dovesse partecipare ai soviet nei quali i bolscevichi erano forti. Ester attaccò i bolscevichi in quanto gruppo minoritario, che creava una dittatura. “L’unità raggiunta sopprimendo la maggioranza non è affatto unità…Non possiamo limitarci a protestare. Possiamo e dobbiamo fare resistenza non aiutandoli e non facendo nulla per loro”95. Abramovich fu meno drastico: “Il nostro scopo non dovrebbe essere ‘sopprimere’ il bolscevismo, ma unire tutte le forze della classe operaia e della rivoluzione”. Se i bolscevichi non avessero fatto concessioni, “saranno costretti a farle dalle ingenue, oneste, inconsapevoli ma genuinamente rivoluzionarie masse degli operai e dei soldati”. Abramovich era per una coazione socialista comprendente i bolscevichi. Ciò li avrebbe effettivamente neutralizzati e allo stesso tempo avrebbe chiaramente distinto gli avversari democratici del bolscevismo dal campo contro-rivoluzionario, che aveva già levato il grido “Abbasso i bolscevichi”. La posizione di Abramovich traeva origine dal dibattito interno al menscevismo. Già in luglio Martov si era espresso per un governo democratico basato largamente sui partiti rappresentati nei soviet. Egli propose una coalizione che andasse dai bolscevichi ai trudoviki, come misura preventiva per evitare che i bolscevichi “andassero da soli”. I menscevichi approvarono tale linea al proprio Congresso straordinario del dicembre 1917. Solo l’ala destra del partito, comprendente Potresov e il bundista Liber, continuò ad opporsi in tutto e per tutto a Lenin. Fu così che il defensista Henryk Erlich si unì all’internazionalista Raphael Abramovich, e Fiodor Dan a Martov, nel promuovere negoziati con i bolscevichi per la creazione di un governo socialista di coalizione. Martov e Abramovich misero insieme membri di vari partiti socialisti che avevano espresso l’interesse per una coalizione socialista post-golpe. Questo progetto ebbe l’entusiastico sostegno dell’Esecutivo panrusso dei Sindacati dei Ferrovieri, noto come Vitkzhel. Nonostante il fatto che in alcuni colloqui privati Abramovich potè constatare che Kamenev, Zinovev, Rjazanov, Lunacharskij e Tomskij erano favorevoli al piano, i bolscevichi respinsero la proposta, soprattutto per il parere fortemente contrario di Lenin. Dal momento che né i menscevichi né il Bund intendevano opporsi militarmente ai bolscevichi, la sola cosa da fare fu andare avanti nel piano proposto da Abramovich e appoggiato dal Vikzhel. Il Bund ucraino chiese che le dume cittadine creassero appositi comitati rivoluzionari formati da coalizioni di “tutte le forze democratiche” che avrebbero agito come controllori dei soldati. Tutte le energie dovevano essere dirette verso la conquista di una maggioranza

92 Shlomo Agurskij, Di yidishe komisariatn un di yidishe komunistishe sektsies, 1928 93 Evreiskii Rabochii, 12 luglio 1918 94 Henryk Erlich, Tsi iz der Sovetn Regirung an Arbeter Regirung?, 1918 95 Der Veker, 5 (18) novembre 1917 38 democratica non bolscevica nell’Assemblea Costituente. Der Veker appoggiò questa linea e ribadì che ai bolscevichi fosse consentito di partecipare a un nuovo governo di coalizione96. Moshe Rafes si spinse a chiedere che il nuovo governo di coalizione avesse soltanto una minoranza di socialdemocratici – bolscevichi e menscevichi insieme. Tutti i giornali bundisti uscirono con lo slogan: “L’Assemblea Costituente è la sola speranza”. Il Bund ucraino elaborò un programma in quattro punti: a) coalizione di governo estesa dai bolscevichi ai trudoviki b) iniziative pubbliche per denunciare la minaccia bolscevica alla rivoluzione c) salvaguardia dell’Assemblea Costituente e creazione di un governo stabile sulla base di essa d) rafforzamento delle istituzioni governative locali. Questo programma fu fatto proprio anche dal Bund bielorusso e da organizzazioni locali degli Unitari. Probabilmente l’opposizione bundista ai bolscevichi fu rappresentativa dei sentimenti della maggioranza degli ebrei russi, i quali temevano la linea politica economica e politica promossa dal partito di Lenin. I bolscevichi constatarono l’opposizione e le resistenze del mondo ebraico: “Volete sapere cosa accade nei quartieri ebraici? Meglio non chiederlo…Ci sono state due rivoluzioni, una in febbraio e una in ottobre…il socialismo, i decreti, la dittatura del proletariato e simili sono all’ordine del giorno. Beh, gli ebrei non se ne curano. Lasciamo che costoro si facciano a pezzi l’un l’altro, dicono. A noi non interessa…”97. Molti ebrei percepirono diversamente le due rivoluzioni: “Chi può scordare quale grande entusiasmo, quale profondo stupore, quale gioia estatica e immenso piacere…furono suscitati nei nostri cuori dalla prima rivoluzione russa? L’anima stessa intonava la Marsigliese…L’essenza della seconda rivoluzione, quella bolscevica, non fu la stessa rispetto alla prima; l’essenza della rivoluzione d’Ottobre fu la dittatura…la dittatura di una minoranza sulla maggioranza”98. Consapevoli di tali sentimenti, i bolscevichi iniziarono a cercare il sostegno delle masse ebraiche e a limare l’egemonia che tra esse avevano partiti come il Bund, i menscevichi, i cadetti. Essi introdussero un nuovo attore sul palco della politica ebraica. Fino ad allora avevano giocato un ruolo secondario, ma finirono per impadronirsi della scena.

Lo scioglimento dell’Assemblea Costituente. Dopo la presa del potere del 7 novembre 1917, il secondo colpo di mano bolscevico fu lo scioglimento dell’Assemblea Costituente del 18 gennaio 1918. Le elezioni per l’Assemblea, rinviate a lungo durante il governo Kerenskij, si erano tenute finalmente il 25 novembre 1917, con il seguente esito: 410 seggi al Partito Socialista Rivoluzionario, di cui 40 alla neonata fazione di sinistra, filo bolscevica (PLSR); 175 ai bolscevichi; 86 ai partiti nazionali tra cui il Bund; 18 ai cadetti; 16 ai menscevichi. Lenin si espresse per lo scioglimento dell’Assemblea già nel dicembre del 1917, in una serie di tesi pubblicate sulla Pravda. Egli giustificò la propria posizione sostenendo che ormai il potere vero e proprio apparteneva al governo sovietico, e inoltre che le liste dei candidati all’Assemblea erano state formate alcuni mesi prima, ancora sotto Kerenskij, e dunque gli eletti non rispecchiavano i mutati equilibri tra i partiti e il mutato orientamento delle masse. All’apertura della prima seduta dell’Assemblea, la sera del 18 gennaio 1918, il bolscevico Sverdlov prese temporaneamente il posto della presidenza all’SR Cernov e chiese di approvare la Dichiarazione dei Diritti del Popolo Oppresso e Sfruttato, che rimetteva il potere nelle mani dell’Esecutivo dei soviet. Ne seguì un lungo dibattito. A mezzanotte la Dichiarazione venne respinta con 237 voti contro 138. Nelle prime ore del mattino i bolscevichi si ritirarono e un’ora più tardi il marinaio Zeleznjakov annunciò a Cernov che la seduta andava sospesa “perché la guardia è stanca”. Fuori dal palazzo le guardie rosse spararono sulla folla che manifestava pacificamente in favore dell’Assemblea, suscitando l’indignazione di Maksim Gorkij, il quale paragonò l’episodio alla Domenica di Sangue del 1905. Nel settembre 1918, dal carcere in Germania, Rosa Luxemburg scrisse un saggio sulla Rivoluzione russa, nel quale pur elogiando la presa del potere bolscevica e attaccando l’“opportunismo” dei menscevichi, prese posizione contro lo scioglimento dell’Assemblea Costituente, la repressione degli altri partiti e il carattere burocratico e gerarchico del sistema dei soviet che vi si era sostituito.

96 ibidem 97 Di Varheit, 1 maggio 1918. 98 Kavkazer Volkhenblat, 14 aprile 1919 39

Certo, ogni istituzione democratica ha i suoi limiti e le sue mancanze, ciò che del resto condivide con la totalità delle istituzioni umane. Ma il rimedio che Trockij e Lenin hanno trovato, l’accantonamento in generale della democrazia, è ancora peggiore del male a cui dovrebbe ovviare. Soffoca cioè la sorgente vitale stessa, a partire dalla quale soltanto possono venir corrette tutte le insufficienze congenite alle istituzioni sociali: una vita politica attiva, libera ed energica delle più larghe masse. …col soffocamento della vita politica in tutto il paese anche la vita dei soviet non potrà sfuggire a una paralisi sempre più estesa. Senza elezioni generali, libertà di stampa e di riunione illimitata, libera lotta ideologica in ogni pubblica istituzione, la vita si spegne, diventa apparente e in essa l’unico elemento attivo rimane la burocrazia. La vita pubblica si addormenta poco per volta…una elìte di operai viene convocata di quando in quando per battere le mani ai discorsi dei capi, votare unanimemente risoluzioni prefabbricate…una ditttatura, certo: non la dittatura del proletariato, tuttavia, ma la dittatura di un pugno di politici, vale a dire la dittatura nel senso borghese, nel senso del dominio giacobino…99

Scavando nell’analisi marxista, il menscevico Martov nel 1919 in una serie di articoli compì un’acuta critica allo scioglimento forzato del “parlamento borghese” da parte della minoranza bolscevica, e riprendendo Marx e l’ultimo Engels contrappose all’idea di distruzione delle istituzioni borghesi l’idea della conquista e democratizzazione di esse. Analizzando i giudizi di Marx ed Engels sulla Comune di Parigi, Martov sottolinea come per loro la conquista della maggioranza parlamentare e l’eliminazione delle parti coercitive dello stato fosse la forma stessa della dittatura del proletariato. Solo in seguito la progressiva e quasi spontanea estinzione dello stato, che avviene nel corso delle generazioni, porta al comunismo.

Il proletariato amputa i lati peggiori dello stato democratico (ad esempio la polizia, l’esercito permanente, la burocrazia indipendente, l’eccessiva centralizzazione etc. etc.) ma non elimina lo stato democratico stesso, anzi lo crea al posto della “macchina militare e burocratica già pronta” che si trova a dover spezzare. “Se vi è qualcosa di certo, è proprio il fatto che il nostro partito e la classe operaia possono giungere al potere soltanto sotto la forma della repubblica democratica. Anzi, questa è la forma specifica per la dittatura del proletariato, come ha già dimostrato la grande Rivoluzione francese”. Così scriveva Engels nella “Critica al progetto del Programma di Erfurt nel 1891”. Engels parla non di una repubblica “sovietica” (questa forma sociale non si conosceva ancora), non di una repubblica-Comune contrapposta allo stato, non di una “repubblica delle trade-unions” come l’avevano ideata Smith e Morrison o i sindacalisti francesi: parla chiaro e tondo di una repubblica democratica, cioè di uno stato democratizzato da cima a fondo che viene ereditato dal proletariato “come un male”. Chiaro e tondo al punto che Lenin, citando queste parole, ritiene necessario oscurarne subito il significato. Lenin dice100: “Engels ripete qui, mettendola particolarmente in rilievo, l’idea fondamentale che attraversa come un filo ininterrotto tutte le opere di Marx: la repubblica democratica è la via più breve che conduce alla dittatura del proletariato” …Engels parla non di “via che conduce alla dittatura”, come commenta Lenin, ma della forma politica specifica per la realizzazione della dittatura. La dittatura, secondo Engels, si realizza in una repubblica democratica. Lenin considera la repubblica democratica soltanto un mezzo per acuire al massimo la lotta di classe e porre in tal modo il proletariato davanti al compito della dittatura.101

…le minoranze estremiste del proletariato socialista cercano in pratica di scavalcare la difficoltà dell’attuazione di un’autentica dittatura di classe in un momento in cui questa classe, persa la sua unità interna nella crisi della guerra, non è in grado di condurre una lotta immediata per scopi rivoluzionari. In fin dei conti, l’illusione anarchica di distruzione dello stato cela la tendenza a concentrare tutta la forza coercitiva dello stato nelle mani di una minoranza proletaria…L’idea di una rottura radicale con tutte le forme precedenti, borghesi, di rivoluzione – sottoforma di un

99 Rosa Luxemburg, La Rivoluzione russa, 1918 100 In Stato e Rivoluzione, 1917 101 Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919 (par. 10) 40 “sistema dei soviet” – cela quindi l’applicazione forzata e costrittiva, dovuta alle circostanze esteriori e alla condizione interiore del proletariato, di quei metodi di lotta per il potere che erano stati caratteristici delle rivoluzioni borghesi, le quali venivano sempre compiute mediante il passaggio del potere da una “minoranza cosciente basata su una maggioranza inconscia” a un’altra.102

102 Julij Martov, Il bolscevismo mondiale, 1919 (par. 11) 41 5. LA CREAZIONE DEL COMMISSARIATO EBRAICO E DELLE EVSEKTSIIA

Gli ebrei bolscevichi prima del 1917. I bolscevichi praticamente avevano condotto pochissima propaganda o agitazione tra le masse ebraiche prima del 1917. Di conseguenza, vi erano pochissimi ebrei bolscevichi, e quasi nessun ebreo bolscevico aveva familiarità con l’yiddish e con la vita ebraica. Dal censimento di partito del 1922 risultò che solo 958 membri ebrei del Partito Comunista si erano uniti ad esso prima del 1917. Nel 1922 meno del 5% dei membri ebrei del Partito erano stati bolscevichi prima del 1917. Dentro il Partito Operaio Social Democratico Russo, gli ebrei si erano concentrati nel Bund e nella fazione menscevica. Per esempio quasi 100 delegati ebrei, un terzo del totale, parteciparono al Congresso del POSDR nel 1907. Un quinto dei delegati menscevichi erano ebrei. “Ciò non può essere stato un caso. Ma se si considera che il Bund e i menscevichi condividevano lo stesso punto di vista su molti aspetti della politica del partito, possiamo concludere che in entrambi in casi vi fu un’interpretazione del marxismo particolarmente rispondente alla tradizione e al temperamento ebraici”103. Nel 1917 comunque vi erano alcuni bolscevichi di livello con origini ebraiche. Dei 21 membri del Comitato Centrale dell’agosto 1917, 6 erano di origini ebraiche: Kamenev, Sokolnikov, Sverdlov, Trockij, Urickij e Zinovev. Questi bolscevichi erano ebrei soltanto per il retroterra familiare. Trockij, ad esempio, dichiarò esplicitamente la propria mancanza di interesse per la vita ebraica e ribadì che la propria famiglia aveva legami molto tenui con il giudaismo. Si è creduto che egli avesse studiato il Vecchio Testamento in ebraico, ma “il livello di apprendimento…rimase piuttosto vago…E’ strano che la scuola primaria mi lasciò ben poco…Non avevo amici intimi tra i compagni di scuola, e non parlavo yiddish”. Il padre di Trockij era un agricoltore, un impiego insolito per un ebreo. Egli “sin da giovane non aveva mai creduto in dio, e negli anni successivi espresse il proprio ateismo davanti alla moglie e ai figli. Mamma preferiva evitare l’argomento”104. Lev Trockij non sentì mai particolare affinità culturale con gli ebrei, né si sentì mai perseguitato in quanto ebreo.

Nella mia formazione, la nazionalità non occupò mai un posto autonomo, poiché nella vita quotidiana contava ben poco…L’oppressione nazionale probabilmente fu una delle cause fondamentali della mia insoddisfazione per l’ordine vigente, ma andò perduta nel mezzo di tutte le altre componenti dell’ingiustizia sociale. Non svolse mai un ruolo primario – e neppure riconosciuto – nella mia lista di rivendicazioni.105

A quanto pare Trockij respinse qualunque traccia di identità ebraica. Si dice che una volta abbia affermato: “non sono un ebreo ma un internazionalista”. L’atteggiamento di Trockij verso l’ebraismo e gli ebrei fu abbastanza simile a quello di altri dirigenti bolscevichi di origine ebraica, e di altre figure rilevanti del movimento marxista mondiale. Uno degli amici della giovinezza di Radek riporta che Radek “non era per nulla interessato” al popolo ebraico e ai problemi ebraici, e che la sua famiglia fece in modo che egli imparasse il tedesco e non l’yiddish106. Secondo J.P. Nettl, i nonni di Rosa Luxemburg si erano già assimilati alla cultura polacca e “ogni segno di autocoscienza ebraica la indisponeva immediatamente”107. Nel 1917 Rosa scrisse a un amico: “Perché mi parli dei guai specifici degli ebrei? A me dispiace in egual modo dell’oppressione degli indiani Putumayo, dei neri dell’Africa…Non riesco a trovare nel

103 Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961 104 Lev Trockij, La mia vita, 1930 105 ibidem 106 Warren Lerner, Karl Radek: the Last Internationalist, 1970 107 J.P. Nettl, Rosa Luxemburg, 1969 42 mio cuore un angolo speciale per il ghetto. Mi sento a casa in ogni parte del mondo, ovunque vi siano nuvole, uccelli, e lacrime umane”108. I dirigenti bolscevichi di origine ebraica sembrano avere avuto le caratteristiche del cosiddetto “uomo marginalizzato”. Come descritto per la prima volta dai sociologi Robert Park e Everett Stonequist, l’uomo marginalizzato è “un individuo che il destino ha condannato a vivere in due società e in due ambiti culturali non solo differenti, ma anche antagonistici”, un uomo “posto in una condizione psicologica di incertezza, al confine tra due (o più) mondi sociali”. Alcune conseguenze dello status di marginalità sono lo sviluppo da parte di tale individuo di “relativismo rispetto al proprio ambito culturale…orizzonte più ampio, intelligenza più acuta, opinioni più distaccate e razionali”109. Ma, come Simpson e Yinger sottolineano, la marginalità è associata anche a “un’ambivalenza, una costante tensione comportamentale, che accresce l’autocoscienza e l’attenzione verso di sé. Ciò può produrre una forma di odio verso se stessi…e un complesso di inferiorità, o può esprimersi in egocentrismo, chiusura, e/o aggressività…”110. Dal momento che molti bolscevichi ebrei erano nati al di fuori della Zona, o se erano nati nella Zona tendevano più o meno consapevolmente a misconoscere il proprio ambiente sociale, ne deriva che essi non furono mai integrati nella società ebraica. Dall’altra parte, a causa delle restrizioni imposte agli ebrei dal sistema zarista essi non poterono mai sentirsi pienamente integrati nella società russa, e vedevano la cultura russa come “superiore” rispetto a quella ebraica. Indubbiamente il movimento socialdemocratico, con la sua sottovalutazione della etnicità, attirò questi “ebrei non ebrei”, e fornì loro una soluzione teorica e pratica alla propria dolorosa condizione psicologica. Ciò non significa tuttavia che gli ebrei bolscevichi non si preoccupassero minimamente della questione etnica: si può dire che la considerassero più un fardello che altro. Semen Dimanshtein, l’unico bolscevico di un certo livello che aveva familiarità con gli usi e i costumi ebraici, nel 1928 affermò che “durante i 15 anni di esistenza del partito soltanto il programma del partito panrusso, tradotto orribilmente in yiddish, oltre a pochi proclami in yiddish, furono pubblicati…Questo è tutto ciò che il partito fece per il mondo ebraico”111. Dimanshtein ricorda che negli anni della reazione, sebbene avesse a volte discusso coi rappresentanti dei partiti ebraici, “non ottenni alcun risultato positivo nella società ebraica”112. Gli storici sovietici in seguito affermarono che dopo il Congresso del POSDR del 1903 alcuni lavoratori ebrei lasciarono il Bund e si unirono ai bolscevichi, senza però fornire dati in proposito. Dimanshtein ammette che

gruppi di lavoratori piuttosto numerosi lasciarono il Bund, ma non entrarono nel nostro partito. Si misero in proprio, ed entrarono in contatto con nuovi strati di proletari…Questi compagni erano contrari al nazionalismo e opportunismo del Bund, ma non arrivarono a nulla; terrorizzati dalla “assimilazione”, credevano che l’Iskra non avrebbe utilizzato l’yiddish, che nei circoli dell’Iskra ai lavoratori ebrei sarebbe stato insegnato il russo e che tutto il lavoro sarebbe stato svolto in quella lingua. Quando dissi loro che tale metodo non sarebbe mai stato usato nel lavoro di massa del partito, mi guardarono con sospetto…Il fatto di fare uno scarso lavoro in yiddish ebbe conseguenze negative per noi. Tutte le difficoltà nascevano dal fatto che i nostri attivisti dell’Iskra, anche chi tra loro era ebreo, non conoscevano l’yiddish…e in questo momento cruciale non disponevamo di pubblicazioni in yiddish.113

Dimanshtein lamentò anche il fatto che gli attivisti del Bund impedissero la diffusione di opuscoli bolscevichi tra i lavoratori ebrei.

Gli ebrei e il governo bolscevico. Nonostante la chiara evidenza che il bolscevismo non fosse per nulla un “movimento ebraico”, sia i suoi oppositori che i suoi sostenitori lo videro come tale. Membri del vecchio regime definirono il nuovo governo sovietico un “governo ebraico” e affermarono di credere che la Russia fosse “caduta nelle mani degli ebrei”. Il console inglese a Kiev si convinse che i bolscevichi potessero essere influenzati dai sionisti, considerandoli

108 ibidem 109 Everett Stonequist, The Marginal Man, 1937 110 George Eaton Simpson e Milton Younger, Racial and Cultural Minorities, 1965 111 Introduzione a Shlomo Agursky, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunistische sektsies, 1928 112 Introduzione a Shlomo Agursky, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung, 1925 113 Semen Dimanshtein, Di natsionale frage afn tsvaitn tsuzamenfor fun der partai, 1934 43 appartenenti alla medesima nazione. Secondo un resoconto alcuni ebrei convertiti di Mosca si riconvertirono all’ebraismo, credendo che i bolscevichi fossero dalla parte degli ebrei, e “ci furono casi in cui cristiani, sinceri cristiani, dopo la Rivoluzione decisero di convertirsi all’ebraismo”114. L’idea che il regime bolscevico fosse di tipo “ebraico” si diffuse probabilmente a causa del numero relativamente elevato di ebrei che nel 1917 improvvisamente entrarono in ruoli amministrativi, dai quali erano stati esclusi durante lo zarismo. La presenza di ebrei ai vertici dello stato divenne tale che quando fu proposta un’alleanza ebraica per le elezioni dell’Assemblea Costituente, Maxim Vinaver ebbe a dire: “Perché noi ebrei abbiamo bisogno di un’alleanza specifica? Qualunque partito vinca, noi saremo sempre i vincitori”115. Isaac Steinberg, Commissario alla Giustizia nella coalizione di bolscevichi e SR di sinistra (di breve durata) del 1917 – 18, era un ebreo ortodosso e sembrò trovarsi perfettamente a proprio agio con gli atei socialisti: “Tutti sapevano che quando le sessioni della Duma si svolgevano al sabato, un gentile gli avrebbe portato la borsa. Si raccontava di un suo appassionato discorso ai contadini alla vigilia dello Yom Kippur, e delle penitenze e del rigoroso digiuno osservato nella Casa dello Studente durante lo Yom Kippur”116. Gli ebrei furono i benvenuti da parte dei bolscevichi soprattutto perché gran parte della vecchia burocrazia e intellighenzia non era disposta a lavorare per loro. Lenin era ben conscio di ciò. Egli disse a Dimanshtein che il trasferimento della “intellighenzia media” ebraica nelle grandi città in tempo di guerra aveva “grande significato per la rivoluzione”. Questa intellighenzia aveva neutralizzato il boicottaggio del regime bolscevico da parte dell’intellighenzia russa. Per usare le parole di Lenin, essa aveva “sabotato i sabotatori”. Allo stesso tempo, Lenin suggerì che ciò non dovesse essere enfatizzato nella stampa perché “in un paese contadino potrebbero sorgere odiosi sentimenti di rivalsa basati sull’antisemitismo”117. L’ascesa ai posti di governo di librai, geometri, artisti e insegnanti ebrei non significò che il comunismo avesse improvvisamente convinto le menti e i cuori di tutti gli ebrei istruiti. A riprova di ciò, nel 1922 risultò che nel corso del 1917 soltanto 1.175 ebrei avevano aderito al partito. Non c’è dubbio che la sete di potere patita per secoli ora potesse venire placata. Il professor Minor, un neurologo il cui padre fu il primo rabbino capo di Mosca, spiegò che “mentre nella vecchia Russia a causa del mio ebraismo avrei dovuto attendere anche 20 anni prima di avere una promozione, oggi sono non soltanto professore ma anche decano della scuola di medicina. Io non sono un radicale ma devo riconoscere i debiti degli ebrei verso il nuovo governo”118. L’ampia visibilità degli ebrei nel regime bolscevico fu resa ancor più tale dall’elevato numero di ebrei membri della Ceka. Le ragioni di ciò non sono del tutto chiare: si può supporre che essendo stati oppressi dal regime zarista, i bolscevichi considerassero gli ebrei affidabili nella lotta contro i Bianchi. Dal punto di vista ebraico non c’è dubbio che la possibilità di un potere diretto attirò molti giovani ebrei desiderosi di vendicare i crimini contro il loro popolo perpetrati dalle forze anti-sovietiche reazionarie. “Chiunque avesse avuto la sfortuna di finire nelle mani della Ceka, aveva buone possibilità di essere interrogato, e magari fucilato, da un funzionario ebreo”119. Dal momento che la Ceka era l’organo del governo bolscevico più temuto e odiato, i sentimenti anti- ebraici crebbero proporzionalmente al terrore poliziesco. Molti ebrei furono ambivalenti nei confronti dei bolscevichi: “Gli ebrei in Russia da un lato erano orgogliosi del fatto che Trockij fosse alla testa dell’eroica lotta contro i pogromisti ma, dall’altro lato, temevano che in caso di caduta dei bolscevichi…avrebbero pagato caro le gesta di Trockij – Bronstein”120. Gli ebrei avevano molto da perdere dalla proibizione bolscevica del libero commercio e “le masse di negozianti e artigiani potevano guardare soltanto con paura all’esperimento comunista”121. Molti ebrei appoggiarono i bolscevichi solo per timore o odio verso i

114 Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943 115 M. Zipin, Di bolshevikes, di kadetn un di idn, 1918 116 In A Cherikover, In der tkufe fun revolutsie, 1924 117 Introduzione di Dimanshtein a Lenin, O evreiskom voprose v Rossii, 1924 118 In Boris Bogen, Born a Jew, 1930 119 Leonard Shapiro, The Role of the Jews in the Russian Revolutionary Movement, 1961. Anche altre minoranze nazionali, come quella lettone, furono ampiamente rappresentate nella Ceka. 120 Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943 121 Avraham Yarmolinsky, The Jews and Other Minority Nationalities Under the Soviets, 1928 44 Bianchi, e questo atteggiamento crebbe col crescere delle atrocità commesse da questi ultimi o dai nazionalisti ucraini.

Nascita dell’Evkom e delle Evsektsiia. Mentre condannava il nazionalismo ebraico, Lenin aveva sottolineato che “la percentuale di ebrei nei movimenti democratici e proletari ovunque è più alta della percentuale di ebrei rispetto alla popolazione complessiva”. Mentre aveva rifiutato di riconoscere una nazione ebraica, Lenin non poteva negare il fatto che gli ebrei russi parlassero una lingua specifica. Inoltre, Lenin riconobbe che le restrizioni imposte dallo zarismo avevano prodotto effetti che non potevano essere cancellati dai bolscevichi per decreto. Evidentemente vi era la necessità di una sorta di ente governativo specifico per le questioni ebraiche, che nel contempo portasse agli ebrei il messaggio bolscevico in una lingua per loro comprensibile. Nell’autunno del 1917, scrive Dimanshtein,

dopo aver discusso con alcuni bolscevichi ebrei, fu deciso di nominarmi Commissario per gli Affari Nazionali Ebraici. All’epoca la questione delle sezioni di Partito non esisteva. Quindi ebbi con Lenin una lunga conversazione sulla linea generale del lavoro da svolgere e suggerii che ci dotassimo di strutture di partito per agire tra i lavoratori ebrei, soprattutto perché avremmo dovuto lottare contro i partiti socialisti ebraici, e sarebbe stato molto difficile fare ciò senza dare al lavoro ebraico del partito una determinata forma organizzativa. Per caso entrò Sverdlov, e Lenin gli chiese la sua opinione sul mio suggerimento. Sverdlov si oppose fermamente a una qualunque forma organizzativa per il lavoro ebraico del partito. In quel modo, disse, avremmo creato un Bund interno, con tutti i suoi difetti, e alla fine saremmo diventati una federazione di partiti…La sola cosa necessaria per il lavoro ebraico è un quotidiano, nulla più…Lenin disse di non trovare alcuna idea bundista in quanto avevo detto…Lenin disse che non si poteva andare contro i bisogni nazionali, ma che avremmo dovuto stare attenti a non cadere nel bundismo. Le sezioni non furono menzionate.122

Lenin suggerì di convocare una conferenza degli intellettuali ebrei di tutti i partiti, allo scopo di spiegare la natura del governo sovietico e di informare sulle possibilità di sviluppo della cultura tra le masse ebraiche. La conferenza si svolse, ma i bolscevichi non riuscirono a convincere i presenti a cooperare con il partito. Dimanshtein ebbe il permesso da parte di Sverdlov, “il factotum del partito”, di pubblicare un giornale in yiddish, Shturem Glok (Campanello d’Allarme). Ma gli eventi incalzavano, e Dimanshtein fu inviato al fronte come agitatore. All’inizio del dicembre 1917 due nuovi arrivati dall’America iniziarono a pianificare la produzione di materiale in yiddish che fosse “favorevole ai soviet”. Boris Reinstein, cittadino americano di origine russa, era alle dipendenze della Sezione Propaganda Rivoluzionaria Internazionale del Commissariato Affari Esteri. La sezione comprendeva uomini del calibro di John Reed, Karl Radek e Bela Kun. Tra le figure di secondo piano vi era Shlomo Agurskij, un sarto. Agurskij nei primi anni del secolo aveva fatto parte del Bund, ma fu costretto a lasciare la Russia dopo la Rivoluzione del 1905. Tornò, dagli Stati Uniti, nel maggio 1917. Reinstein propose ad Agurskij di organizzare un dipartimento ebraico all’interno della Sezione Propaganda Internazionale, con lo scopo di pubblicare periodici e opuscoli in yiddish. Questi non sarebbero stati strettamente bolscevichi nella linea ma “periodici a sostegno dello stato sovietico”. Agurskij accettò di buon grado ma a quanto pare non fu in grado di produrre quel materiale da solo, e non riuscì a trovare un solo editore ebreo disposto a lavorare per il nuovo regime. Alla fine, due esuli rientrati dall’Inghilterra furono incaricati di produrre un giornale yiddish filo-sovietico: A. Shapiro, anarchico di Londra, e A. Kantor, ex segretario del Board dei Sindacati Ebraici a Londra. Il giornale stava per essere dato alle stampe quando Reinstein li informò che un Commissariato Ebraico era stato appena formato, e che dovevano andare a lavorare lì123. All’epoca, nell’ambito del Commissariato alle Nazionalità, presieduto da Stalin, erano stati formati commissariati per i musulmani, i polacchi, i lettoni e i bielorussi. A quanto pare un commissariato ebraico non era stato ancora formato “perché semplicemente non c’era nessuno per farlo”124. Comunque col ritorno di Dimanshtein dal fronte e i tre emigrati della Sezione

122 Semen Dimanshtein, Lenin un di idishe komunistishe arbet, 1924 123 Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925 124 Semen Dimanshtein, Beim likht fun komunizm, 1919 45 Propaganda Internazionale (Agurskij, Shapiro e Kantor), nel gennaio 1918 il lavoro del Commissariato per gli Affari Nazionali Ebraici, o Evkom, potè incominciare. Dimanshtein fu appunto nominato Commissario e come vice fu scelto un SR di sinistra, Ilya Dobkovskij. Passarono diversi mesi tra la decisione del gennaio 1918 di creare (oltre a un commissariato ebraico) “forme organizzative” ebraiche negli apparati del Partito Comunista e la nascita vera e propria, all’interno di quest’ultimo, di Sezioni Ebraiche (Evreiskie Sektsii, o Evsektsii, comunemente chiamate “Evsektsiia”). Sulla questione vi furono alcune controversie. Dimanshtein voleva formare non semplici sezioni ma un’organizzazione “in qualche modo simile” ai partiti operai ebraici indipendenti, “e in seguito, in corso d’opera, col tempo, gli attivisti ebrei si sarebbero convinti di dover stringere maggiori legami col partito e porre fine al proprio isolamento”. Sverdlov, che in quanto segretario del Comitato Centrale aveva titolo su tali argomenti, si oppose fermamente: “Egli voleva soltanto un giornale ebraico di partito, e nulla più. Ricordo come alcuni rispettabili compagni mi accusarono di voler creare un nuovo Bund dentro il partito…”125. Dimanshtein si appellò a Lenin “in presenza del compagno Sverdlov e di diversi altri, Lenin approvò il mio punto di vista, e così si determinò la possibilità di un lavoro ebraico a lungo termine”126. Dunque, mentre l’ebreo Sverdlov si opponeva a “forme separate di lavoro ebraico”, fu Lenin, storico avversario del “separatismo” bundista, che alla fine approvò la creazione di sezioni ebraiche all’interno del partito bolscevico – un partito sulla cui indivisibilità lui stesso aveva sempre insistito. Il Commissariato Ebraico, organizzato a livello centrale e locale, era considerato un organo amministrativo:

Il Commissariato Ebraico considera proprio compito la ricostruzione della vita nazionale ebraica su basi proletarie e socialiste. Le masse ebraiche hanno il pieno diritto di controllare tutte le istituzioni ebraiche esistenti, di dare un indirizzo socialista alle nostre scuole del popolo, di dare agli ebrei la possibilità di partecipare al lavoro agricolo nelle terre socializzate, di occuparsi dei senzatetto, di badare affinchè il necessario venga fornito dal governo, di combattere l’antisemitismo, i pogrom eccetera.127

Il Commissariato Ebraico nel 1918 progettò la creazione di sezioni ebraiche dentro i soviet locali. Le sezioni ebraiche locali sarebbero state subordinate a sezioni ebraiche regionali che avrebbero tenuto i propri congressi. “Al Congresso panrusso dei soviet ebraici sarebbe stata definita la linea generale per tutte le questioni riguardanti la vita sociale ebraica. In quella sede verranno anche scelti il Commissario Ebraico e il Commissariato”128. Ma la proposta di sezioni ebraiche nei soviet fu abbandonata. Questo schema, apparentemente molto simile al programma nazionale degli Unitari, probabilmente fu accantonato nell’estate del 1918, quando l’attenzione si concentrò sulla creazione di sezioni ebraiche nel partito. Le sezioni di partito causarono meno controversie rispetto all’ipotesi di sezioni nei soviet, in quanto queste ultime ricalcavano da vicino il piano di autonomia nazional culturale promosso dal Bund e dagli Unitari, e difficilmente i bolscevichi vi avrebbero avuto la maggioranza. A quanto pare i dirigenti del Commissariato Ebraico decisero di abbandonare l’idea dei soviet ebraici dopo il tentativo di insurrezione degli SR di sinistra (4 luglio 1918), e proprio allora “subito iniziò la formazione di sezioni ebraiche del Partito Comunista”129.

Alla ricerca di uomini e strutture. Nel frattempo il Commissariato Ebraico cercava con difficoltà di reperire personale ideologicamente affidabile, con sufficiente conoscenza dell’yiddish e della comunità ebraica russa:

Tra i pochi ebrei comunisti riuniti nel Commissariato Ebraico, non ve n’era uno in grado di scrivere un opuscolo in yiddish degno di pubblicazione. Di conseguenza, occorreva tradurre materiale russo. Ma ogni traduzione comportava delle difficoltà. Ognuno aveva una tale mole di

125 Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928 126 ibidem 127 Di Varheit, 2 giugno 1918 128 ibidem 129 Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925 46 lavoro da non sapere da che parte cominciare. Dovemmo cercare dei traduttori ebrei disposti a darci una mano dietro compenso. Ma per nessuna somma si potè trovare un ebreo disposto a tradurre la letteratura bolscevica.130

Quando giunse a Mosca un giovane di nome Kaplan, che affermò di aver pubblicato un settimanale in yiddish in America, fu contattato dall’Evkom e messo a tradurre in yiddish il discorso di Lenin al Terzo Congresso dei Soviet. Stato e Rivoluzione fu tradotto da un membro del Folkspartai, Kalmanovich, che insistette affinchè il proprio nome non comparisse. Ciò senza dubbio fu dovuto non alla modestia, ma al timore di essere identificato come bolscevico. Come da tradizione dei gruppi rivoluzionari, la prima attività dell’Evkom fu la pubblicazione di un giornale. Il primo numero di Di Varheit (La Verità) comparve l’8 marzo 1918, e da allora il periodico uscì in maniera irregolare. Dei tre membri del primo comitato editoriale, Dimanshtein, Torcinskij e Bukhbinder, gli ultimi due non conoscevano l’yiddish, perciò Di Varheit fu praticamente opera del solo Dimanshtein. Il giornale era l’organo ufficiale dell’Evkom, e come tale rappresentava i bolscevichi e gli SR di sinistra, tuttavia a quanto pare “non pubblicammo alcun articolo importante che esprimesse la posizione degli SR di sinistra”131. Così ad esempio il giornale difese il Trattato di Brest-Litovsk, mentre gli SR di sinistra lo avevano attaccato. In agosto il nome del giornale fu cambiato da Di Varheit a Der Emes: il significato della parola è il medesimo, ma la prima è di uso tedesco, mentre la seconda è mutuata dall’ebraico “haEmeth”132. Il cambiamento fu reso necessario per poter contrabbandare il giornale nei territori occupati dalla Germania o dai nazionalisti polacchi e ucraini, perchè il Trattato di Brest-Litovsk vietava la diffusione di giornali rappresentativi delle autorità di governo in quei territori, mentre ammetteva la diffusione dei giornali di partito. Der Emes fu così presentato come organo del Partito Comunista. Le competenze dei componenti dell’Evkom furono sempre un problema. L’unico che aveva un’appartenza di lunga data al bolscevismo e buona conoscenza della vita ebraica rimaneva Semen Dimanshtein. Nato nel 1888 a Sebez, cittadina nel governatorato di Vitebsk, Dimanshtein era figlio di un povero stagnino. Vivendo sotto lo stesso tetto del rabbino locale, il giovane Dimanshtein crebbe in un’atmosfera religiosa ortodossa. All’età di dodici anni iniziò a frequentare la yeshiva. Di lì a poco mostrò la propria indole rivoluzionaria, quando gli fu chiesto di lasciare la celebre Yeshiva Telshe per avere partecipato a uno sciopero. Successivamente Dimanshtein studiò alla Yeshiva di Slobodka, ove divenne un seguace del movimento musar. In seguito fu attratto dal chassidismo, e lasciò Slobodka per la roccaforte della corrente chassidica, la Yeshiva Lubavicher. Ordinato rabbino a Vilna, intorno al 1903 volle iniziare anche gli studi ginnasiali in quella città, anche se in quel periodo era così povero da non avere neanche un posto dove dormire. A Vilna entrò in contatto con i circoli socialisti illegali, che lo incaricarono di tradurre in yiddish e in ebraico il programma del POSDR. Nel 1906 fu arrestato, riuscì a fuggire a Riga e qui fu arrestato di nuovo nel marzo 1908, a una conferenza bolscevica. Fu condannato a cinque anni di esilio in Siberia e ne trascorse una parte, prima di fuggire all’estero. Intorno al 1913 era a Parigi, attivo in un’organizzazione bolscevica. Lavorò in fabbrica e fondò un circolo operaio ebraico a Montmartre. Nel maggio 1917 rientrò in Russia, e divenne presidente del comitato bolscevico del fronte settentrionale. Nel gennaio 1918 il “rabbino e socialista” Dimanshtein divenne Commissario del Popolo agli Affari Nazionali Ebraici. Gli altri membri del Evkom non erano affatto del livello di Dimanshtein, né in cultura ebraica nè in militanza bolscevica. Ilya Dobkovskij, vice-commissario, era un SR di sinistra, designato da quel partito come suo rappresentante nell’Evkom. Dobkovskij si qualificò come uno scrittore, e nella breve permanenza nell’Evkom scrisse un libretto su Moses Hess, tacciandolo di socialismo utopistico ma riconoscendo in lui un nazionalismo umanitario degno del “più profondo rispetto”133. Quando fu scoperto che Dobkovskij in passato aveva lavorato per la polizia zarista, fu immediatamente rimosso dall’incarico.

130 ibidem 131 Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928 132 Il pioniere ebreo socialista Aaron Lieberman nel 1876 aveva pubblicato a Vilna tre numeri di un giornale intitolato HaEmeth. Fu la prima pubblicazione socialista ebraica in assoluto. 133 Ilya Dobkovskij, Moses Hess – als sotsialist, 1918 47 A parte Dimanshtein, l’unica altra figura che svolse un ruolo significativo nel futuro dell’Evkom e delle Evsektsiia fu Shlomo Agurskij. Nato nel 1884, egli era figlio di un lavoratore della grande manifattura tabacchi Shereshevskij di Grodno. All’età di tredici anni divenne manovale, quindi sarto. Entrò nel Bund ma non fu mai dirigente di quell’organizzazione. Nel 1905 fuggì in Inghilterra, e a Leeds entrò in un gruppo anarchico. Un anno dopo emigrò a Omaha, nel Nebraska. Nel 1913 si trasferì a Chicago ove lavorò come sarto e collaborò con la stampa locale in lingua yiddish, avvicinandosi agli IWW. Nel maggio 1917 lasciò gli Stati Uniti e dopo un viaggio estenuante attraverso il Giappone e la Siberia riuscì a rientrare a Pietrogrado, dove alla fine del 1917 lo ritroviamo nell’Evkom. La sua carriera nell’Evkom fu controversa: più di un resoconto lo cita come un uomo di mediocri capacità, e tuttavia assai orgoglioso del ruolo acquisito nei ranghi del Partito Comunista. Col passare dei mesi, alcuni esponenti dell’intellighenzia ebraica iniziarono a offrire i propri servigi all’Evkom, se non altro perché il commissariato prometteva una pur misera paga nelle feroci ristrettezze della guerra civile. L’Evkom nei primi tempi assunse il ruolo di tutela degli ebrei indipendentemente dalla loro classe sociale o appartenenza politica: “Dimanshtein all’epoca era ancora ‘buono con gli ebrei’…non si osava di applicare la Rivoluzione d’Ottobre nel mondo ebraico” e alcuni ritenevano che Lenin gli avesse ordinato di “andarci piano con gli ebrei”134 poiché erano stati perseguitati sotto gli zar. L’Evkom era ospitato in casa dell’alta borghesia ebraica. L’editore del giornale in ebraico Haam (La Nazione), era il mercante Persitz, la cui consorte era una dirigente del movimento sionista. L’Evkom aveva sede nella villa di costei, dove vi erano anche gli uffici di due giornali e di un’associazione del movimento sionista. In occasione della Pasqua ebraica ai dipendenti dell’Evkom fu fatto divieto di portare nei propri uffici un qualsiasi cibo non kosher. “L’armonia domestica nell’edificio era straordinariamente buona; mentre i sionisti al piano di sopra studiavano ogni parola della Dichiarazione Balfour, gli ebrei comunisti di sotto erano chini sull’ABC del comunismo di Bucharin”135. Inizialmente l’Evkom provò ad arrecare supporto ai bolscevichi rivolgendosi direttamente all’esterno. Ma le sue prime due assemblee pubbliche furono un totale fallimento in quanto vi parteciparono soltanto dei bundisti, che zittirono gli oratori e li accusarono di non avere alcuna preparazione tattica e organizzativa. Dobkovskij presenziò al secondo incontro. “Egli non parlò dei compiti del Commissariato Ebraico perché né lui né il resto di noi sapevano in realtà quali dovessero essere questi compiti”136. In seguito l’Evkom cercò di organizzarsi in settori, creando dipartimenti per la cultura, la stampa, l’educazione, le province, i profughi di guerra, il contrasto all’antisemitismo, e il lavoro economico. Molto spazio fu rivolto alla sistemazione dei profughi e dei senzatetto, indirizzandoli anche alle kehillah locali per ricevere vitto e alloggio. L’Evkom era anche un punto di riferimento per le lettere dall’estero degli ebrei che avevano perduto la casa durante la guerra, e che cercavano di ricongiungersi coi propri familiari. A Mosca un gruppo di attivisti della sinistra di Poale Zion, che peroravano la cooperazione coi bolscevichi, avevano costituito una sorta di commissariato ebraico locale. Quando l’Evkom nel marzo 1918 fu spostato da Pietrogrado a Mosca, il commissariato di Poale Zion fu chiuso ma l’Evkom chiese a uno di loro, Zvi Friedland, di dirigere il dipartimento per il contrasto all’antisemitismo. Sotto la direzione di Friedland e con la collaborazione di Maksim Gorkij, il dipartimento pubblicò alcuni articoli di condanna dell’antisemitismo, stigmatizzando gli episodi avvenuti anche in seno all’Armata Rossa e alla Ceka. L’Evkom incoraggiò anche la formazione di cooperative agricole di ebrei, per far fronte alla fame e alla disoccupazione. Nell’estate del 1918 esso allestì una comune presso Mosca, formata quasi esclusivamente da anarchici ebrei emigrati dall’Inghilterra. Il progetto non andò a buon fine. Il dipartimento per le province fu creato nell’ottica di promuovere degli evkomy locali, e fu affidato a Julius Shimiliovich. Nel 1918 vennero creati 13 uffici locali, ma solo 2 di questi erano in aree densamente popolate da ebrei. Gli emissari dell’Evkom si raccomandarono che tutti coloro “che accettano la piattaforma del governo sovietico” fosse consentito di collaborare agli evkomy e

134 Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943 135 ibidem 136 ibidem 48 di far parte dei circoli operai ebraici. Ciò includeva comunisti, SR di sinistra, bundisti di sinistra, militanti di Poale Zion e lavoratori non organizzati. A Perm si formò un commissariato locale composto da “due bundisti di sinistra, due membri di Poale Zion, un SR di sinistra e nessun bolscevico”137. Poale Zion fu il partito ebraico che collaborò maggiormente all’Evkom, pur essendosi opposto alla presa bolscevica del potere con la motivazione dell’arretratezza economica della Russia e dunque dell’impossibilità della rivoluzione socialista. La cooperazione tuttavia fu di breve durata. Quando Zvi Friedland intervenne al congresso nazionale delle kehillah, tenutosi nel maggio 1918, gli fu chiesto perché Poale Zion lavorava con l’Evkom, e pare che egli rispose: “per far sì che le kehillah continuino ad esistere”. A quel punto egli e gli altri del suo partito furono espulsi dall’Evkom. All’indomani del tentativo di insurrezione degli SR di sinistra, anche gli evkomy locali allontanarono tutti i militanti di Poale Zion. Nel 1918 vi fu anche un significativo episodio, avvenuto a Vitebsk. In quella città il Commissariato del Popolo all’Alimentazione aveva assunto la direzione delle istituzioni sociali ebraiche, e iniziò a introdurre cibo non kosher alla locale casa di riposo. Il commissario locale, ebreo ed ex sionista, non volle ascoltare le richieste degli ospiti, e alcuni di loro morirono d’inedia. L’Evkom protestò invano fino al luglio 1919, quando Kalinin venne a Vitebsk e gli diede ragione. Il commissario locale all’alimentazione fu processato e condannato per “uso di metodi medievali e distruzione della fiducia delle masse nel principio comunista dell’assistenza sociale”138. A partire dall’agosto 1918 gli SR di sinistra vennero rimossi dagli evkomy e iniziò la costituzione delle sezioni ebraiche del Partito Comunista, le quali in alcuni casi nacquero dagli evkomy stessi. Agurskij fondò la sezione ebraica di Vitebsk nel settembre 1918; a dicembre nacque quella di Mogilev. Dimanshtein era a capo sia dell’Evkom che dell’Ufficio Centrale delle Sezioni Ebraiche, e quando incaricò Daniel Charney della redazione del giornale Komunistische Velt non fu chiaro se quest’ultimo era dipendente dell’Evkom o delle Evsektsiia. “Entrambe le casse erano nelle sue mani (di Dimanshtein), ed egli mi pagava una volta da una, una volta dall’altra”139. Per legare l’attività dell’Evkom e quella delle Evsektsiia, il capo del dipartimento alle province dell’Evkom, Shimiliovich, divenne vice di Dimanshtein e membro dell’Ufficio Centrale delle Sezioni Ebraiche. Egli non era un burocrate, e girava di città in città per conto dei bolscevichi. A Vilna fu eletto segretario del soviet locale ancora durante l’occupazione tedesca, e quando la Germania si ritirò, nel novembre del 1918, iniziò i preparativi per accogliere l’Armata Rossa. Furono tuttavia le legioni polacche a occupare la città, e il 28enne Shimiliovich si suicidò il 2 gennaio 1919 per evitare di essere catturato140.

I rapporti con i comitati di partito. Nell’agosto 1918 Dimanshtein propose al Comitato Centrale bolscevico di convocare una conferenza degli evkomy e delle neonate evsektsiia per meglio coordinare l’attività. Sverdlov fu contrario, sostenendo che “la fisionomia di partito delle Evsektsiia non è abbastanza definita”141 e che questa forma di sezione nazionale entro il partito non sarebbe durata a lungo. Ma Dimanshtein tenne duro, e alla fine il 20 ottobre 1918 la Conferenza dei Commissariati e delle Sezioni Ebraiche si riunì a Mosca. Vi parteciparono 64 delegati – 33 dei quali non bolscevichi. I 31 bolscevichi erano quasi tutti funzionari dei commissariati locali, mentre 28 dei 33 non bolscevichi erano insegnanti nelle scuole yiddish. Shimiliovich e Dimanshtein intervennero sulle questioni politiche generali, Agurskij sulla questione nazionale e i bundisti di sinistra Torchinskij e Orshanskij su temi di carattere culturale. Shimiliovich fu “l’anima della conferenza, e Dimanshtein ne fu il cervello”142. I delegati non bolscevichi crearono un po’ di sconcerto chiedendo che la supervisione sulle attività educative fosse trasferita dall’Evkom alle kehillah. Quando un membro della presidenza prese la parola in russo, essi chiesero che tutti gli interventi fossero fatti in yiddish. Gli insegnanti protestarono anche contro la

137 Di Varheit, 21 giugno 1918 138 Shlomo Agurskij, Di Oktiabr Revolutsie in Veisrusland, 1927 139 Daniel Charney, A yortsendlik aza, 1943 140 Nel 1905 Shimilovich era membro di un gruppo giovanile del Bund a Riga, la sua città natale. Nell’ottobre 1917, sempre a Riga, fece parte del Comitato militare rivoluzionario bolscevico. 141 Semen Dimanshtein, 10 yor komprese in yiddish, 1928 142 Y. Katznelson, Di ershte konferents fun di idsekties, 1920 49 decisione di privarli del diritto di voto per tutto ciò che non riguardava le materie educative. Dimanshtein fu eletto Commissario agli Affari Ebraici, e insieme a lui un “collegio del Commissariato” formato da Shimiliovich, Agurskij, Rappaport e Mandelsberg. Nel suo intervento, Dimanshtein spiegò che le Sezioni Ebraiche comuniste avevano due compiti essenziali: condurre l’agitazione tra i lavoratori ebrei e “applicare la dittatura del proletariato nel mondo ebraico”, ovvero diventare la forza politica egemone in seno all’ebraismo russo. Le sezioni sarebbero state formate da nuovi membri del Partito – gli ebrei bolscevichi di lunga data sarebbero rimasti ad altri incarichi – e per tale ragione sarebbe stata posta particolare attenzione affinchè nessuna “tendenza nazionalista piccolo borghese” si infiltrasse nelle sezioni. “Noi non siamo un partito speciale, siamo una parte del Partito Comunista, formata da lavoratori ebrei. Essendo internazionalisti, non ci poniamo alcun compito nazionale, bensì soltanto compiti proletari di classe”143. Ma molti delegati intendevano le sezioni ebraiche come qualcosa di più, e nei loro interventi parlarono di “partito comunista ebraico”. Le sezioni locali di fatto sino ad allora si erano comportate come organizzazioni politiche indipendenti, tenendo le proprie riunioni, reclutando nuovi membri direttamente nelle sezioni, stampando proprie pubblicazioni spesso senza coordinarsi con il comitato locale (partkom) del Partito Comunista, e neanche con Dimanshtein e i suoi. Spesso i comitati locali di partito rifiutarono di riconoscere la legittimità delle sezioni ebraiche locali, affermando che queste ultime rappresentavano una deviazione nazionalista. In particolare questo diniego venne da parte dei membri ebrei dei comitati. “La maggior parte dei lavoratori ebrei che entrarono nel partito usavano il russo come lingua; alcuni conoscevano l’yiddish, ma non apprezzavano il lavoro politico quando era svolto in lingua yiddish”144. Il Partito Comunista a quanto pare ebbe difficoltà anche con le Sezioni Lettoni, che ripetutamente tendevano a introdurre le questioni nazionali nella propria attività ed entravano in conflitto con i partkomy. Un tentativo di risolvere il problema dei rapporti tra Sezioni Ebraiche e Partito fu fatto due mesi dopo la conferenza, nel dicembre 1918, quando l’Ufficio Centrale delle Evsektsiia decise che i membri di queste ultime dovessero partecipare a tutte le riunioni di partito, pur mantenendo il diritto di convocare riunioni specifiche delle sezioni ebraiche. Le sezioni inoltre potevano continuare a reclutare direttamente i propri membri, ma con l’approvazione dei partkomy, e i membri delle evsektsiia sarebbero diventati anche membri dei partkomy. Inoltre vi sarebbero state conferenze periodiche delle “sezioni di governatorato”, e due volte all’anno un congresso generale di partito delle sezioni nazionali. In questo modo il Partito tentava di porre un controllo sia orizzontale che verticale sulle sezioni ebraiche locali. Questi accorgimenti tuttavia non posero fine ai conflitti.

Mentre le sezioni ebraiche andavano faticosamente definendo la propria fisionomia, i partiti socialisti ebraici e in primo luogo il Bund erano posti di fronte alla lotta per la sopravvivenza, a causa della guerra civile e dell’offensiva del potere sovietico nei loro confronti. La sconfitta di questi ultimi alla fine avrebbe permesso uno sviluppo delle Sezioni Ebraiche, che da un certo punto in avanti poterono godere di una sorta di monopolio politico tra la popolazione ebraica della Russia sovietica, e giovarsi di alcune “forze fresche” provenienti dai partiti socialisti ebraici in dissoluzione.

143 ibidem 144 M. Kiper, Tsen yor oktiabr, 1927 50 6. IL BUND E LA GUERRA CIVILE IN RUSSIA (1918 – 20)

Il Bund e il potere bolscevico nel 1918. Dopo lo scioglimento dell’Assemblea Costituente, all’interno del partito menscevico e del Bund emerse un’ala destra, rappresentata da Mark Liber, che chiedeva la partecipazione a una “lotta nazionale” contro i bolscevichi. Ad essa si contrappose una “sinistra”, rappresentata da Abramovich, che credeva che la rivoluzione mondiale fosse alle porte, e che nonostante tutto il ponte con i bolscevichi andasse mantenuto. Nella primavera del 1918 il Comitato Centrale del Bund decise, in linea con la posizione di Abramovich e in dissenso con quella di Liber, che i bundisti potevano accettare cariche nei soviet a condizione che mantenessero l’indipendenza politica. Successivamente due conferenze regionali del Bund tenutesi a Mosca e Minsk dichiararono la propria opposizione alla “dittatura bolscevica” e chiesero elezioni locali libere, libertà di parola e stampa, il potere ai soviet, la fine del terrore, e la proclamazione di una costituzione democratica. Le conferenze tuttavia riconobbero che se il regime bolscevico fosse stato sconfitto dagli Alleati “la reazione internazionale” ne avrebbe tratto vantaggio145. La conferenza di Minsk affermò specificamente che “il governo sovietico panrusso degli operai e dei contadini è il solo organismo capace di legare la lotta per il socialismo del proletariato panrusso a quella del proletariato mondiale”146. Yankel Levin, un giovane falegname che era uno dei migliori organizzatori del Bund, affermò che dal momento che la borghesia aveva adottato il termine “democrazia” per i propri slogan, come copertura per la dittatura borghese, il Bund dovesse controbattere difendendo l’idea di dittatura del proletariato. Il Bund sarebbe stato ancor ben distinguibile dai bolscevichi grazie alla propria enfasi sul potere dei soviet operai e sulla sincera democrazia operaia147. L’ambivalenza del Bund aumentò con lo scoppio di quella che sembrava essere una rivoluzione proletaria nel novembre 1918. La Germania era sempre stata il paese cruciale per i socialisti europei, poiché era considerata la più avanzata tecnologicamente e aveva il più grande partito socialista d’Europa. Una rivoluzione in Germania sarebbe stata l’annuncio della rivoluzione mondiale. Quando nel novembre 1918 i marinai di Kiel si rivoltarono e insurrezioni ebbero luogo a Monaco e Berlino, sembrò che la rivoluzione fosse in corso, e che la sue estensione all’intera Europa fosse solo questione di tempo. Gli intellettuali bundisti furono impressionati, e furono spinti a rivedere la propria convinzione che la rivoluzione borghese non fosse ancora completa e che una rivoluzione proletaria in Russia fosse un freak prematuro della storia. Raphael Abramovich scrive che “la Rivoluzione tedesca…creò nuove tendenze nei ranghi dei bundisti. Il ‘miracolo’ della rivoluzione tedesca stimolò forti tendenze comuniste tra le masse ebraiche”148. Le stesse tendenze si riscontrarono tra i menscevichi. Anche Martov definì i moti rivoluzionari dell’autunno 1918 in Germania e Austria come “l’inizio della rivoluzione socialista in Occidente”, la quale poteva “correggere” la rivoluzione bolscevica149. Alla fine del 1918 Martov rimproverò quei menscevichi che si distaccavano dai bolscevichi, e quegli “ondivaghi” che pensavano di formare nuovi gruppi. Una conferenza menscevica nel dicembre 1918 decise di sostenere la rivoluzione tedesca “in quanto apripista di una rivoluzione socialista mondiale”. Durante questa conferenza Fiodor Dan chiese ai menscevichi di abbandonare la richiesta di assemblea costituente, e raccomandò una crescente partecipazione ai soviet che sarebbero stati liberamente eletti. Questa “lotta sulla base della legalità sovietica” sarebbe stata la pietra angolare della politica menscevica negli anni immediatamente successivi150.

145 Folkstseitung, 19 febbraio 1919 146 Der Emes, 31 dicembre 1918 147 Der Veker, 22 dicembre 1918 148 Raphael Abramovich, In tsvai revolutsies, 1944 149 Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967 150 Inter-University Project on the History of the Menshevik Movement, 1960 - 62 51 Ucraina: guerra civile e pogrom. La Rada centrale ucraina, formatasi all’indomani della caduta dello Zar, nella quale i partiti socialisti ebraici erano rappresentati, aveva garantito agli ebrei ampia autonomia nazionale, politica e culturale151. La Rada nominò tre vice-segretari per gli affari russi, ebraici e polacchi. Il 20 novembre 1917 i rappresentanti ebraici approvarono il Terzo Universale, che proclamava la Repubblica Popolare Ucraina, ma lo fecero con poca convinzione, temendo che ciò avrebbe indebolito il fronte rivoluzionario panrusso. Il 9 gennaio 1918 la Rada garantì l’autonomia nazionale a tutte le nazionalità all’interno della Repubblica Popolare, e nel contempo promosse i tre vice-segretari al rango di ministri. Ma quando il 22 gennaio fu varato il Quarto Universale, che dichiarava la completa indipendenza dalla Russia, il Bund e i menscevichi votarono contro, mentre Poale Zion, gli Unitari e i partiti ebraici di destra si astennero. La popolazione ebraica in Ucraina non fu entusiasta dell’indipendenza del paese, temendo che un governo ucraino indipendente sarebbe stato infiltrato da elementi antisemiti, e che la comunità ebraica del vecchio Impero russo sarebbe stata spaccata. Il Bund ucraino, che allora contava 5 – 6.000 aderenti, portò avanti la linea di una Russia federata. Questa linea, quando si combinò con la crescente ostilità verso i bolscevichi accusati di voler sottomettere il paese alla Russia, pose il Bund in una posizione difficile, osteggiato dall’una e dell’altra parte. Anche su questa questione all’interno del Bund si formarono due linee, una contraria e una favorevole ai bolscevichi. Ciò spinse molti politici ucraini a tacciare i socialisti ebrei di essere agenti della russificazione, e a fomentare pogrom antisemiti. Già nel dicembre 1917 il vice-segretario agli affari ebraici, Moshe Zilberfarb, chiese ai membri della Rada di prendere misure concrete contro i pogrom, e i rappresentanti del Bund provarono a far passare una risoluzione che condannava i pogrom. Ma la Rada non accolse la richiesta, temendo di perdere il supporto delle masse ucraine e il controllo sugli organi locali. Anche alcuni elementi della Rada stessa manifestarono tendenze antisemite: nel gennaio 1918 fu proposto che tutti coloro che si erano stabiliti a Kiev negli ultimi due anni – di fatto ebrei rifugiati di guerra – fossero espulsi. I bolscevichi cannoneggiarono Kiev per nove giorni, entrando nella città il 9 febbraio 1918. Di lì a poco però negoziarono coi tedeschi la resa di Brest-Litovsk, e lasciarono Kiev ritirandosi a est, a Kharkiv. La Germania occupò il paese, insediando un governo fantoccio capeggiato dal generale zarista Pavlo Skoropadskij. L’antisemitismo crebbe notevolmente. “Il contadino dovette cedere la propria produzione, in cambio di prezzi fissi molto bassi, mentre i prodotti di manifattura erano praticamente introvabili. Nei villaggi si diffuse la convinzione che gli ebrei avessero abbondanza di manufatti, che tuttavia tenevano per sé. La presenza del nemico straniero non riuscì a unire i radicali ucraini e i socialisti ebrei”152. In questo contesto all’interno delle organizzazioni del Bund si fecero sempre più pressanti le tendenze pro-bolsceviche. Ma i dirigenti del Bund rifiutarono di credere che i tempi per la rivoluzione socialista fossero maturi. Con la Rivoluzione a Berlino (9 novembre 1918), il ritiro della Germania dall’Ucraina e la caduta di Skoropadskij, l’ufficio provvisorio del Comitato Centrale del Bund ucraino adottò una nuova piattaforma. Essa dichiarava che la rivoluzione tedesca “pone all’ordine del giorno per il proletariato mondiale la questione della immediata liquidazione delle fondamenta dell’ordine sociale vigente, e l’immediato passaggio all’edificazione del socialismo…La lotta che si è aperta pone l’intero proletariato mondiale di fronte al compito della conquista del potere”153. Ma il Bund non era disposto ad appoggiare la presa del potere da parte bolscevica, dal momento che la rivoluzione sarebbe stata “vittoriosa solo quando le sue forze fossero state unite su scala internazionale”154. La nuova piattaforma attaccò le tendenze anarco – blanquiste in Russia. Dal punto di vista militare fece appello a un’alleanza con i bolscevichi contro i Bianchi, ma politicamente si oppose “risolutamente a tutti i tentativi di fusione con quei comunisti che soltanto ieri erano nel Bund”. La nuova piattaforma condannò la soppressione dei partiti socialisti, “la dittatura del Partito Comunista sui soviet”, il Terrore rosso, la rovina economica dovuta

151 “Questa fu la prima volta, nella storia degli ebrei di tutti gli stati europei, che un’autonomia nazionale e culturale così avanzata, basata su un principio legale, era stata ottenuta”. Abram Heller, Die Lagne der Juden in Russland von der Maerzrevolution 1917 bis zur Gegenwart, 1935 152 Avram Yarmolinsky, The Jews and Other Minor Nationalities under the Soviets, 1928 153 Neie Tseit, 12 e 14 gennaio 1919 154 ibidem 52 all’“anarchismo” dei comitati di fabbrica, e alla “ignoranza cosmopolita delle peculiarità dello sviluppo economico, culturale e nazionale di paesi e aree differenti”. La piattaforma chiedeva l’autonomia nazional culturale in Ucraina, la convocazione di un’assemblea nazionale ebraica provvisoria e un congresso dei lavoratori ebrei155. L’Ucraina ora era divisa in due: i bolscevichi a Kharkiv e un Direttorio nazionalista, presieduto da Simon Petljura, a Kiev. A partire dal marzo del 1919, i soldati del Direttorio perpetrarono i più violenti pogrom antisemiti in Europa orientale dal 1648. Questa ondata di pogrom spinse la popolazione ebraica a volgersi verso i bolscevichi, e in particolare verso l’Armata Rossa: “la comparsa di un distaccamento sovietico significava relativa sicurezza per la popolazione ebraica…Una volta tutta la popolazione di una cittadina, circa 4.000 persone in tutto, si accodarono a un reggimento bolscevico in ritirata”156. A sua volta l’antisemitismo si accentuò, a causa della politica delle requisizioni delle derrate alimentari: “Molti contadini il cui grano veniva requisito da giovani commissari di origine ebraica giunsero alla conclusione che il movimento fosse un fenomeno ebraico. Questa tragica idea apparentemente fu corroborata dal fatto che molti dei proletari e artigiani ebrei più poveri…sostenevano i bolscevichi, nella speranza di ottenere misure economiche eque”157. Le armate bianche di Denikin e Wrangel furono sostenute da molti preti russi. Costoro ritenevano un dovere combattere la guerra santa contro gli ebrei infedeli che avevano usurpato il potere nella Santa Madre Russia. Un messaggio scritto dall’Arciprete Vostorgov, da leggere obbligatoriamente ai parrocchiani, conteneva questa concisa formula per la salvezza del paese: “Benedite voi stessi, picchiate gli ebrei, cacciate i commissari del popolo”158. Sebbene vi sia un notevole dibattito storiografico sulla questione se lo stesso Simon Petljura fosse antisemita oppure no, rimane il fatto che egli non fu in grado di controllare le proprie truppe. La reputazione avuta in quell’epoca dall’esercito nazionalista ucraino si può evincere dalla risposta data dal personaggio di un racconto russo alla domanda su chi avesse occupato il villaggio quel giorno: “Aspettiamo un po’ e vediamo: se si mettono a saccheggiare i negozi ebrei, sappiamo che sono uomini di Petljura”159. Rafes riporta che un membro del Direttorio disse a un altro: “Aspetta. Non abbiamo ancora usato il nostro asso nella manica. Contro l’antisemitismo, nessun bolscevismo riuscirà a durare”160. E’ stato calcolato che dei 1.236 pogrom in Ucraina nel 1918 – 19, 493 furono commessi da uomini dell’esercito nazionalista ucraino. L’estensione delle uccisioni e delle distruzioni è difficile da determinare, ma si può affermare quasi con certezza che negli anni 1917 – 21 ebbero luogo più di 2.000 pogrom, e 500.000 ebrei persero la casa in conseguenza della distruzione o dell’abbandono del 28% delle abitazioni. Le vittime ebraiche dirette dei pogrom furono più di 30.000, e aggiungendo il numero di coloro che perirono per le ferite o per le malattie conseguenti il numero sale a 150.000, il 10% della popolazione ebraica totale. Gli effetti dei pogrom si fecero sentire per molti anni. La vita economica ebraica non riprese vigore fino agli anni ’30, e per tutti gli anni ’20 una profonda crisi continuò ad affliggere la comunità ebraica ucraina. Migliaia di bambini orfani negli anni ’20 vagavano nelle strade, mendicando o rubando. “Bambini senza casa. Si vedono in tutte le città e cittadine, nei villaggi, nelle stazioni ferroviarie, affamati, ammalati, svestiti, senza scarpe…Vagano dapprima con un espressione attonita, persa, poi con la mano tesa per l’elemosina, e infine in un accampamento di piccoli criminali…A Kiev tali bambini sono circa 5.000, a Kharkiv 3.000”161. Anche chi aveva una casa non era in condizioni migliori. Un funzionario dell’American Relief Administration visitò una cittadina in Ucraina nel 1922, che aveva una popolazione di circa 15.000 persone “un terzo indigenti, tra loro 2.500 bambini; 25 o 30 morti al giorno, quasi la metà bambini…Entrammo in un’altra casa in cui vi erano due orfani. Il più grande, un ragazzo sui 14 anni, aveva un fascio d’erbe ordinatamente posato sul tavolo con un pizzico di sale accanto, e si accingeva a cucinarlo, come unico cibo…Le

155 ibidem 156 Elias Heifetz, The Slaughter of the Jews in the Ukraine in 1919, 1921 157 John Reshetar jr., The Ukrainan Revolution, 1952 158 John Shelton Curtiss, The Russian Church and the Soviet State (1917 – 50), 1953 159 Nikolai Ostrovskij, The Making of a Hero, ed. 1937 160 Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920 161 Der Emes, 2 febbraio 1922 53 famiglie erano conosciute a seconda di ciò di cui si cibavano: quella del gatto, del cane, del cavallo”162. I pogrom furono il principale fattore di diminuzione della popolazione ebraica ucraina nel primo quarto del ventesimo secolo. La popolazione complessiva del paese tra il 1897 e il 1926 aumentò del 35,7%, mentre quella ebraica diminuì del 4,7%, e la percentuale di popolazione ebraica sul totale passò dall’8% al 5,6%. Sebbene le forze di Petljura furono le principali responsabili dei pogrom, numerosi attacchi furono perpetrati anche dall’esercito polacco, dai cosacchi degli ataman Hryhoryv e Bulak- Balakhovich, e anche dell’Armata Rossa, seppure quest’ultima in misura molto minore. All’Armata Rossa gli storici attribuiscono 725 vittime ebree in 106 pogrom, compiuti quasi esclusivamente dal Primo Cavalleria di Semen Budenny, e in particolare dal reggimento Bohun. Molti soldati di Budenny prima avevano combattuto nelle armate di Denikin. Il comando dell’Armata Rossa condannò vigorosamente questi pogrom e inviò un reggimento composto soltanto da membri del Partito Comunista per disarmare il reggimento Bohun. Nell’ottobre 1920 Kamenev, Kalinin e Preobrazenskij assistettero a una parata militare in Ucraina e Kalinin fece un discorso di condanna delle azioni anti-ebraiche da parte dell’Armata Rossa, chiedendo che i suoi soldati conducessero una guerra di classe e non una guerra nazionale. Nello stesso mese tre reggimenti dell’Armata Rossa furono sciolti per “atti criminali” e pogrom. Molti giovani ebrei si arruolarono volontari nell’Armata Rossa per vendicare i crimini commessi contro il proprio popolo. Quando i bolscevichi scacciarono da una cittadina ucraina le forze di Petljura, i feriti lasciati da quest’ultima furono passati per le armi:

Un soldato ebreo di Berdichev era in preda a una furia omicida. Voleva ripulire nell’erba la baionetta dal sangue e ad ogni testa tagliata gridava: “Questo è il conto per la mia sorella uccisa, questo per l’uccisione di mia madre”. La folla di ebrei…tratteneva il respiro e taceva.163

Fu allestita una sezione speciale dell’Armata Rossa per reclutare i giovani ebrei. L’Armata Rossa accoglieva volentieri le reclute ebree ma riconosceva che “molti entrano nell’Armata Rossa in parte a causa dell’odio per i pogromisti bianchi”, e chiese che ci fosse una forte propaganda tra i volontari ebrei. In una lettera scritta in quel periodo Trockij riconobbe che gli ebrei erano altamente urbanizzati e che “in questa popolazione urbana elementi dell’intellighenzia piccolo-borghese ebraica, così come del proletariato ebraico (come di quello russo), furono spinti sulla strada della rivoluzione dalle insopportabili condizioni di vita create dal regime zarista. Tra gli arrivè comunisti ci sono molti per i quali il comunismo non deriva da una base di classe, ma da una base nazionale. E’ chiaro che costoro non sono i migliori comunisti e che il governo sovietico non si basa su di loro”164. Questa analisi è giusta: anche gli ebrei che avversavano il bolscevismo sul piano ideologico o politico, tuttavia sostennero l’Armata Rossa.

Alla stazione Klinovka fui sorpreso di vedere una compagnia dell’Armata Rossa composta interamente di ebrei e comprendente anche alcuni…studenti delle yeshiva di Proskurov che si erano uniti all’Armata Rossa dopo le incursioni di Petljura, per vendicarsi…e io - oppositore sionista del comunismo, che vedevo quest’ultimo come un pericolo fatale per il giudaismo - io mi sentii orgoglioso al vedere quegli ebrei…165

Quando i bolscevichi presero Kiev nel febbraio 1918, i dirigenti socialisti ebrei condannarono “un esercito occupante che ha cancellato ogni democrazia…con la loro artiglieria socialista i bolscevichi si sono comportati come Shulgin166: hanno distrutto tutte le conquiste nazionali della rivoluzione in Ucraina”167. Il Bund di Kiev votò con 762 favorevoli e 11 contrari (più 7 astenuti) sul non riconoscimento del governo bolscevico168. Ma quando i bolscevichi rientrarono in

162 Lettera di William Grove, YIVO Archives 163 Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952 164 Citata da Der Veker, 21 giugno 1923 165 Leonard Shapiro, Bakalakhat HaRusit: Pirkai Zikhronot, 1952 166 Vasily Shulgin, ultraconservatore ucraino, sostenitore delle armate bianche. 167 Folkstseitung, 14 febbraio 1918 168 Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920 54 Ucraina nel 1919 pochi potevano ancora nutrire illusioni sull’atteggiamento dei nazionalisti ucraini verso gli ebrei. Per il proletario ebreo i pogrom avevano oscurato le differenze teoriche tra il Bund e i bolscevichi. La cosa più importante era la protezione offerta dall’Armata Rossa contro le forze di Petljura e Denikin. L’intellighenzia bundista tuttavia non perse mai di vista le importanti differenze ideologiche che aveva coi bolscevichi, che infine furono alla base di una drammatica scissione.

La scissione nel Bund ucraino. Nel fuoco della guerra civile in corso nella regione, il Bund ucraino rimase isolato dal resto del partito a livello panrusso. “Nessuno teneva conto dell’esistenza di un comitato centrale del Bund, che era necessario coordinare una linea con un’altra: da un lato c’era la distanza fisica, e dall’altro la complicata lotta politica locale…”169. Nell’autunno 1918 cominciarono a delinearsi tre fazioni all’interno del Bund ucraino: una di sinistra guidata da Kheifetz, una di centro guidata da Rafes e una di destra il cui portavoce era Litvak. “Nel dicembre tutte le fazioni (anche quella più a sinistra) credevano ancora in un patto con il Direttorio. Nell’ottica di arrivare a tale patto, Kheifetz chiese al Direttorio di stipulare un’alleanza militare con la Repubblica sovietica, e ai bolscevichi un ampliamento della base del potere sovietico”170. Ma a partire dal gennaio 1919 il Bund vide scemare il controllo sulle proprie organizzazioni locali, e la definizione di una linea unitaria apparve sempre più difficoltosa.

L’entità delle differenze all’interno del Bund ha portato ad alcuni tristi sviluppi nella nostra vita di partito. In alcune città interi gruppi si staccano e passano col Partito Comunista, in tal modo perdendo completamente la propria indipendenza politica e dimenticando i compiti nazionali cui la classe operaia ebraica tuttora deve adempiere…In altre città le organizzazioni di partito quasi si disintegrano, e perdono la loro influenza politica a causa delle prese di posizione di comitati locali completamente estranei ai compiti rivoluzionari del tempo presente.171

Quando l’Armata Rossa attaccò le forze del Direttorio, l’ufficio provvisorio del Comitato Centrale del Bund ucraino votò per 3 a 2 il supporto al “potere sovietico”, e fu stipulata un’alleanza militare coi bolscevichi. La minoranza immediatamente lasciò l’ufficio provvisorio. Analogamente, una minoranza pro-bolscevica all’interno della delegazione bundista a un imminente congresso operaio rifiutò di attenersi alle decisioni della delegazione172. La nuova piattaforma varata dal Comitato Centrale recò l’impronta dell’ala sinistra, seppur esprimendo serie riserve verso il terrore dei bolscevichi, e le loro politiche economiche e nazionali. Divenne sempre più chiaro che il Bund non poteva agire con efficacia permanendo tale divisione tra le sue fazioni interne. La Terza Conferenza Panucraina del Bund fu fissata per il 25 febbraio 1919, ma il 18 di quel mese l’ufficio provvisorio, ormai in mano alla sinistra, annunciò che a prescindere dall’esito dell’imminente conferenza occorresse formare un “Bund comunista”. La dichiarazione dell’ufficio riflette sia le preoccupazioni che la determinazione della sinistra del Bund:

La rivoluzione sociale è arrivata e noi dobbiamo riorientare noi stessi, liberarci di tutte le idee che sono maturate come risposte…a domande di un’altra epoca….Questo è un compito enorme, reso più difficile dal fatto che deve essere svolto nel bel mezzo della lotta….In ogni membro del partito c’è uno scontro tra due ideologie…la vecchia ideologia si sta ritirando poco alla volta…il partito prova a sopravvivere alla crisi come entità politica unitaria e deve quindi fare piccoli passi allo scopo di trattenere gli elementi più deboli, e non lasciarli ai nostri avversari. Gli elementi più impazienti e più attivi rifiutano di svolgere tale compito di partito; essi fanno passi più lunghi e semplicemente si avvicinano al Partito Comunista. In tal modo non risolvono affatto la crisi…Non è stato facile per noi fare quei passi173…nella dichiarazione, massimo spazio è stato dato a ciò che ci differenzia dal Partito Comunista Russo. Due mesi di cooperazione hanno grandemente accelerato il processo. L’intesa cresce…174

169 ibidem 170 ibidem 171 Folkstseitung, 19 febbraio 1919 172 Der Veker, 25 febbraio 1919 173 Si riferisce alla stipula dell’alleanza militare coi bolscevichi fatta dall’ufficio provvisorio nel gennaio. 174 Folkstseitung, 19 febbraio 1919 55 Il 20 febbraio l’organizzazione di Kiev si incontrò per discutere le richieste dell’ufficio provvisorio. Rafes, uno dei bundisti ucraini più noti e guida della fazione di centro, presiedette l’assemblea. L’esistenza di tre correnti fu riconosciuta formalmente, essendosi queste incontrate separatamente e avendo definito le rispettive posizioni.

La differenza tra il “centro” e la “sinistra” per come si manifestò alla conferenza fu, per così dire, di natura puramente storica…Al veterano internazionalista Kheifetz pareva che la propria posizione fosse semplicemente la continuazione della linea internazionalista, formulata ben prima della rivoluzione, a Zimmerwald e a Kienthal…Inoltre, il discorso di Kheifetz fu poco rivolto ai problemi del passato e concentrato soprattutto sui compiti attuali della rivoluzione. La posizione dei rappresentanti del “centro” fu diversa; il loro compito fu di riassumere lo sviluppo del partito del Bund, sradicare dalla coscienza del partito quelle profonde divisioni che si erano ormai fatte strada nella mente dei dirigenti e che li avevano convinti della possibilità di un regresso e di una sconfitta della rivoluzione. I “centristi”, che espressero meglio l’orientamento della maggioranza del partito, nei loro discorsi sottolinearono ciò che differenziava la posizione del Bund da quella dei comunisti175.

La posizione di Rafes si rivelò la più condivisa tra le tre. Egli spiegò che il Bund di Kiev aveva deciso di interagire con il Partito Comunista “organicamente”, ovvero come un blocco unico, nell’ottica di isolare gli oppositori del comunismo e di lasciarli senza un’organizzazione. Questa era la posizione della sinistra. Ma “E’ ormai chiaro che l’altra fazione (quella non comunista) non è piccola, ma è un gruppo numeroso”. Perciò “dobbiamo rescindere il legame che soffoca entrambi i gruppi e fare la rivoluzione dentro il Bund (di Kiev), e non attendere la Conferenza”. Rafes spiegò che sia la fazione pro-comunista che quella anti-comunista avrebbero eletto dei delegati alla Conferenza Panucraina, e in quella sede avrebbero forzato una divisione analoga a quella esistente nel Bund di Kiev. Questa divisione avrebbe creato un polo di attrazione per i lavoratori ebrei pro-comunisti. “Così non vi sarà spazio per una Sezione Ebraica nel Partito Comunista”. Nel tentativo di fugare i timori per la politica nazionale dei comunisti, Rafes assicurò l’organizzazione di Kiev che “il Bund comunista, in quanto partito indipendente del proletariato ebraico, tutelerà le proprie rivendicazioni nazionali”176. A questo punto delineò un piano per garantire l’autonomia nazionale ebraica. In Ucraina sarebbe stato creato un organo di governo “rivoluzionario socialista”, che Rafes non precisò, collegato con gli organi del governo centrale. Inoltre sarebbe stato formato un consiglio nazionale ebraico provvisorio con rappresentanti prevalentemente operai, e sarebbe stato convocato un congresso operaio ebraico. Litvak, parlando a nome della minoranza di orientamento menscevico, criticò la tesi di Rafes che occorresse fare una rivoluzione dentro il Bund. Litvak affermò: “Tu non stai dividendo il Bund, tu lo stai abbandonando”. Egli schernì la proposta di Rafes di aggirare le “sezioni ebraiche” e di “salvare il programma nazionale” formando un partito comunista ebraico separato. “Se rinunci alla democrazia, dovrai rinunciare anche all’autonomia nazionale, poiché il programma nazionale del Bund è un programma democratico”. Alla fine vennero presentate due risoluzioni, una da Rafes e una da Litvak. Quella di Litvak affermava che “L’organizzazione di Kiev del Bund mantiene la propria precedente posizione di socialdemocrazia internazionale insieme alle altre componenti del Bund di Lituania, Polonia e Russia”. La risoluzione di Rafes affermava che “l’organizzazione di Kiev del Bund dichiara di essere l’organizzazione di Kiev del Bund dei lavoratori ebrei comunisti”. La risoluzione di Rafes fu approvata con 135 voti a 79, e 27 astensioni. In seguito al voto si formarono due organizzazioni, che si riunirono in sale separate. Coloro che avevano votato per il nuovo Bund comunista intonarono l’Internazionale, mentre gli altri cantarono l’inno tradizionale del Bund, Il giuramento. Quasi contemporaneamente una divisione analoga ebbe luogo nel Bund di Ekaterinoslav, e anche colà fu formato un Bund comunista, o “Kombund”. Come Rafes aveva previsto, la Conferenza Panucraina perse quasi ogni importanza, e i delegati convenuti furono così pochi che questa fu trasformata in un consiglio. Rafes e Litvak svolsero il medesimo ruolo dell’incontro di

175 Moshe Rafes, Dva goda revolutsii na Ukraine, 1920 176 ibidem 56 Kiev, e ancora una volta le posizioni si rivelarono inconciliabili177. La divisione alla Terza Conferenza diede il via alla divisione delle organizzazioni locali del Bund in gruppi del Kombund e gruppi del vecchio Bund. A Ekaterinoslav la votazione fu per 130 a 108 a favore del Kombund; a Poltava la trasformazione in Kombund fu votata all’unanimità. A Kharkiv la divisione fu circa al 50 per cento. E’ importante sottolineare che la divisione nel Bund ucraino non avvenne sulla questione nazionale ma sulla questione più generale della natura e del futuro della rivoluzione. Inoltre i bundisti di sinistra furono molto attenti a ribadire la propria indipendenza organizzativa dal Partito Comunista e il diritto a formulare una propria linea nazionale. La divisione fu un’esperienza dolorosa per tutto il Bund, e anche la fazione di sinistra non ne fu entusiasta. Fu vista come l’unica soluzione a un dilemma che affliggeva costantemente il Bund ucraino. “A chi possiamo rivolgerci?” – si chiese un bundista - “all’Europa civilizzata, che firma trattati con il Direttorio antisemita?” I bolscevichi, “i corrieri armati del socialismo, ora sono l’unica forza che può opporsi ai pogrom…Per noi non c’è altra strada…Questa la migliore e forse unica possibilità di contrastare i terribili pogrom di ebrei”178. I bundisti furono spinti ad accettare i bolscevichi da considerazioni relative al destino degli ebrei, e come i menscevichi conclusero che “dalla fine del 1918 la guerra civile era diventata una lotta tra Rossi e Bianchi. In ciò la neutralità e un ruolo di ‘terza forza’ era impensabile. I menscevichi e i bolscevichi la pensavano allo stesso modo sull’intervento straniero”179. L’accettazione, pur con notevoli riserve, della piattaforma comunista non garantì al Kombund l’accettazione da parte dei comunisti ucraini. Al Terzo Congresso del Partito Comunista Ucraino fu deciso con un voto di 101 a 96 che il Kombund e i Socialisti Rivoluzionari Ucraini di sinistra (borot’bisty) non potessero entrare come gruppi nel Partito Comunista Ucraino. Si delineò una notevole ostilità tra le organizzazioni locali del Partito Comunista e il Kombund, e quest’ultimo condusse per lo più una vita politica indipendente180.

Bundisti e bolscevichi in Bielorussia. La sequenza di eventi che condusse alla formazione di un Kombund in Ucraina è paragonabile a ciò che accadde in Bielorussia, ovvero nella regione culla e roccaforte del movimento operaio ebraico. Alla fine del 1918 l’Evkom e l’Ufficio centrale delle Evsektsiia chiesero ai bundisti di sinistra di Perm, Ekaterinburg e di altri centri degli Urali di rientrare alle loro città di origine in Bielorussia (molte delle quali erano state conquistate dall’Armata Rossa nel dicembre 1918), per condurvi un’agitazione pro-bolscevica nei ranghi del Bund bielorusso. I bundisti risposero favorevolmente a questo appello, e iniziarono a organizzare piccoli gruppi di “bundisti comunisti”, che sulle questioni politiche generali erano pro-bolscevichi ma insistevano per mantenere l’autonomia nazional culturale nel proprio programma. Inizialmente il Partito Comunista Bielorusso espresse la disponibilità a collaborare con il Bund, e in particolare con i “bundisti comunisti”. Anche dopo l’Ottobre, il Partito era molto debole nelle città, dove il Bund era forte, e pertanto calcolò che una temporanea tolleranza e anche una limitata cooperazione col Bund sarebbero state necessarie per il mantenimento del potere bolscevico in Bielorussia. A quanto pare furono le sezioni ebraiche del Partito Comunista a rappresentare la maggiore opposizione ai bundisti, e a rivendicare la totale autorità sugli affari ebraici della Bielorussia. Le Evsektsiia bielorusse, basate a Minsk e dirette da Zalman Khaikin e Bela Mandelsberg, misero un bundista comunista a dirigere il loro giornale, Der Shtern, sperando in tal modo di indurre i bundisti a rinunciare all’idea di autonomia nazional culturale e a entrare nel Partito Comunista. Ma i dirigenti bundisti non accettarono, e anzi chiesero che il Partito Comunista permettesse loro di creare un’organizzazione comunista ebraica separata, basata sulla piattaforma del Bund. Il 15 gennaio 1919 questa richiesta fu discussa dal Comitato Centrale del Partito Comunista Bielorusso. Alcuni membri si mostrarono favorevoli all’accettazione ma, come si può immaginare, Khaikin si oppose vigorosamente e disse che dovevano accontentarsi di una sezione ebraica nel Partito Comunista. Dopo lunga discussione fu deciso con un voto di 6 a 2 di creare un “Partito Comunista Ebraico”, omettendo esplicitamente la

177 Sorvegliato dalla Ceka, Litvak si trasferì a Minsk dove adottò il proprio vero nome, Chaim Helfand. In seguito si rifugiò a Vilna e poi a Varsavia. 178 Folkstseitung, 15 febbraio 1919 179 Israel Getzler, Julij Martov: biografia politica di un socialdemocratico russo, 1967 180 Di lì a poco Kheifetz passò dal Kombund al Partito Comunista Ucraino. 57 denominazione “Bund”. I “sezionisti” (così vennero chiamati) di Khaikin e i bundisti negoziarono la struttura e la formazione di un comitato centrale provvisorio di tale partito, comprendente i sezionisti Mandelsberg e Kaplan e i bundisti Abram, Krol e Sverdlov. Alla fine di gennaio fu annunciata la formazione del nuovo “Partito Comunista Ebraico” (JCP), una vittoria per i bundisti comunisti, segno della debolezza del Partito Comunista Bielorusso e delle sue sezioni ebraiche. Ma il Partito Comunista Ebraico sembra essere stato un’organizzazione soltanto sulla carta. Esso dichiarò che la “dittatura del proletariato nel mondo ebraico” era il proprio slogan, con riguardo all’autonomia nazional culturale, ma fece poco per metterla in pratica. Il Partito convocò il proprio Primo Congresso, che fu anche l’ultimo, il 28 febbraio 1919. L’appello di convocazione del congresso dipingeva una storia del proletariato ebraico segnata da null’altro che malesseri e afflizioni:

Nella “Zona”, laddove i lavoratori ebrei languivano nelle cantine e nelle soffitte, là la borghesia ebraica succhiava l’ultima goccia di sangue dei lavoratori ebrei, là il lavoratore ebreo doveva pagare ogni sorta di tasse e non aveva voce nella gestione delle scuole ove i suoi figli studiavano…L’intellighenzia borghese lo invitava ad assimilarsi e russificarsi, e l’intellighenzia delle yeshiva lo invitava all’ebraismo, alla “scienza del giudaismo”, al vecchio, decaduto “lavoro culturale” permeato di clericalismo.181

Il Partito Comunista Ebraico dichiarava che “i partiti operai ebraici ‘socialisti’, dal Bund a Poale Zion, si opposero attivamente al proletariato rivoluzionario”182 e si presentava come una sorta di Mosè, pronto a guidare i propri figli proletari fuori dalla barbarie nella quale la borghesia, l’intellighenzia e un movimento operaio traditore li avevano gettati. Il programma del partito sosteneva l’entrata nel Partito Comunista Bielorusso (BCP) come sezione autonoma organizzata, e che i propri membri fossero automaticamente membri del BCP. Sulle questioni generali il JCP avrebbe accettato tutte le posizioni del BCP, ma sulle questioni ebraiche sarebbe rimasto completamente indipendente, con la propria stampa, proprie assemblee e un proprio congresso, e cellule di partito. Chiunque fra i lavoratori ebrei condividesse gli scopi e i compiti del JCP poteva diventarne membro, senza necessità di approvazione da parte del BCP. Il Congresso del Partito Comunista Ebraico fu dominato dai contrasti tra i sezionisti, che lo consideravano solo un mezzo temporaneo, e i bundisti che difendevano la linea dell’autonomia nazional culturale. Dimanshtein fu inviato a Minsk per evitare la possibile rottura, e salvò l’unità del partito, ma per fare ciò fu necessario astenersi dall’approvare una qualunque risoluzione concreta. Fu deciso di cambiare il nome del partito in Alleanza Comunista di Bielorussia e Lituania (Komunistisher Farband fun Veisrusland un Lite, o Komfarband), e fu eletto un nuovo Comitato Centrale, composto da quattro bundisti (Abram, Sverdlov, Gorelik e Krol) e quattro sezionisti (Dimanshtein, Mandelsberg, Khaikin e Altshuler), oltre a due membri candidati, i sezionisti Kaplan e Agurskij. Mentre il Partito Comunista Ebraico e il suo successore, il Komfarband, erano paralizzati dallo scontro interno, altrettanto accadde al Bund bielorusso.

Ovunque si sente la stessa triste litania: la vita di partito è vicina alla morte…La nostra organizzazione di Minsk attraversa una crisi. Non è rimasta una scintilla di energia…tutti scuotono la testa…è tutto…La biblioteca! A malapena esiste. Perché? Non c’è nessuno con zelo sufficiente per mantenerla in ordine. Der Veker! E’ in difficoltà…La fame cresce e con le sue mani sanguinolente afferra le masse…Sognavamo una vita gioiosa, libera e felice. Ma in realtà…183

Il Bund si consolava considerando che “dappertutto vi sono bundisti, non da ieri ma da molti anni. I comunisti non hanno presenza nelle città dei lavoratori ebrei. Non hanno una vecchia guardia e coloro che sono diventati comunisti sono soltanto ospiti nelle strade ebraiche”184. Il Bund bielorusso era ben consapevole di avere tradizione più longeva e base sociale più solida rispetto al

181 Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925 182 ibidem 183 Der Veker, 5 febbraio 1919 184 Der Veker, 4 marzo 1919. 58 Bund ucraino. In Bielorussia gli artigiani e gli operai delle manifatture erano sempre stati in proporzione più numerosi rispetto all’Ucraina, e costituivano una grossa percentuale della forza lavoro. Tuttavia, la situazione era egualmente critica. Sebbene gli ebrei bielorussi non avessero sperimentato l’incubo dei pogrom al pari degli ebrei ucraini, essi avevano sofferto molto durante la Grande Guerra, sotto l’occupazione tedesca e ora durante il successivo conflitto tra i russi e l’esercito polacco. Le armate bianche erano penetrate fino in Bielorussia, la fame e gli stenti erano estesi quanto in Ucraina. In questo drammatico contesto, nella seconda metà del marzo 1919 a Minsk ebbe luogo l’Undicesima Conferenza del Bund, che di fatto fu una conferenza del solo Bund bielorusso con l’aggiunta di alcuni delegati provenienti anche da altre regioni. L’elezione dei delegati della città di Minsk alla Conferenza riflette le differenze di posizioni interne al Bund all’epoca: la sinistra prese 85 voti, il centro 79 e la destra 29. Alla Conferenza parteciparono quindi 2 delegati della sinistra, 2 del centro e 1 della destra. A causa della sospensione del trasporto ferroviario dei passeggeri, soltanto 39 delegati e 30 osservatori poterono partecipare alla conferenza. I convenuti erano mediamente di giovane età, la grande maggioranza sotto i 40 anni, e circa la metà erano lavoratori. Dopo un acceso dibattito fu deciso con un margine di due voti che a Moshe Rafes, da poco giunto dall’Ucraina, fosse assegnato lo status di osservatore. Rakhmiel Veinshtain espresse la speranza che mentre “con dispiacere abbiamo appreso che la nostra organizzazione in Ucraina non ha superato la prova e si è divisa…lasceremo la conferenza con la nostra unità rafforzata e avremo posto fine al processo di frazionamento”185. Rafes si associò alla speranza di Veinshtain, spiegando che il Bund ucraino si era diviso a causa della natura estremamente radicale delle posizioni interne al Bund, ma che in Bielorussia le fazioni avrebbero potuto riconciliarsi. In ogni caso la conferenza elesse un presidium che teneva conto delle diverse correnti: Veinshtain, Esther Frumkin e Svetitskij, i primi due veterani del Bund, rappresentavano il centro; il 29enne falegname Yankel Levin e il 40enne economista Nakhimson rappresentavano l’ala sinistra; e la vecchia guardia bundista Izenshtat rappresentava la destra socialdemocratica. I programmi e le posizioni delle fazioni furono delineate nel corso della conferenza. La destra condannò i bolscevichi come “blanquisti utopisti”, si oppose alla nazionalizzazione indiscriminata dell’industria e invocò la democratizzazione del regime e della sua burocrazia. La destra non si dissociò completamente dal sistema dei soviet, poiché alcuni suoi membri avevano dei ruoli al loro interno. Ma non volle assumersi la responsabilità per la situazione vigente, ed espresse la linea della “critica dall’interno”. A nome dell’ala sinistra, Yankel Levin affermò che si doveva scegliere tra dittatura del proletariato e dittatura della borghesia. Egli accusò il centro di opportunismo per il fatto che sosteneva la politica economica comunista e contemporaneamente aderiva “alle vecchie tradizioni e alle forme dell’era pre-rivoluzionaria”. “Non dovete avere paura della parola comunismo” – disse Levin rivolto ai centristi – “la parola ‘bolscevico’ sembra brutta, ma una volta era così anche per la parola ‘bundista’”186. Veinshtain cercò di precisare la posizione del centro, affermando che una dittatura del proletariato era possibile soltanto in Europa occidentale, dove il proletariato aveva la maggioranza della popolazione. “Non vediamo che nel nostro lavoro sovietico il potere è labile, che non c’è ordine poiché il governo è debole? Abbiamo bisogno di una base sociale più ampia e stabile…il governo si deve costruire sull’attività spontanea delle masse, sulla loro volontà organizzata”. Su un piano più concreto, il centro si pronunciò per la cessazione del Terrore rosso e (parole di Esther Frumkin) della “dittatura sul proletariato”187. Allo stesso tempo la Frumkin affermò che “Non possiamo lasciare il potere alla borghesia. In questo senso noi siamo contro la democrazia…Siamo dalla parte dei comunisti…L’Armata Rossa è la nostra armata. I suoi errori, i nostri errori. Non si può tornare indietro”188. Esther cercò di tracciare una linea sottile tra la propria posizione e quella di Yankel Levin: “La dittatura è genuina soltanto quando si basa su tutti i lavoratori e i popoli oppressi, quando è il governo della maggioranza della popolazione”. Il compito

185 Unzer Shtime, 21 marzo 1919 186 ibidem 187 ibidem 188 Folkstseitung, 2 aprile 1919 59 immediato era implementare i nobili principi della costituzione sovietica. In tal modo si sarebbe giunti alla “dittatura attraverso la democrazia. La democrazia ci è cara in quanto mezzo per raggiungere la dittatura”189. Alla conferenza furono presentate tre distinte risoluzioni. La risoluzione della sinistra, con alcuni emendamenti che tenevano conto delle posizioni del centro, passò con 31 voti a 17. Essa faceva appello al sostegno alla rivoluzione socialista in tutti i paesi e al governo sovietico in Russia. Nel contempo essa condannava “la politica bolscevica di nazionalizzazioni indiscriminate e incessanti”, che naturalmente urtavano la popolazione ebraica, dal momento che la maggior parte degli ebrei basavano la propria sopravvivenza su piccole attività artigianali, commerciali o di vendita ambulante. La risoluzione della sinistra dichiarò anche che la dittatura del proletariato doveva esprimersi attraverso i soviet. Ma all’interno dei soviet si doveva giungere a regole democratiche. “Il partito bolscevico ha costruito la propria dittatura sulle masse operaie. I soviet stanno diventando un ornamento per abbellire il regime…La costituzione sovietica deve essere immediatamente resa effettiva: la libertà di parola, di stampa, di assemblea eccetera vanno ripristinate”190. La risoluzione della sinistra chiedeva anche più autonomia per il governo locale e esortava i bundisti ad assumere incarichi di governo senza accettare la responsabilità per le scelte del governo stesso, e riservandosi il diritto di critica. Dal momento che 33 bundisti sui 62 presenti avevano ruoli di responsabilità nelle istituzioni sovietiche, questa ambigua risoluzione venne accettata di buon grado. La minoranza si dichiarò d’accordo con il “programma concreto” della risoluzione e si disse disposta a “lavorare su tale base”191. Inoltre, la Frumkin aveva chiesto che il Bund mantenesse i contatti sia con la Seconda che con la Terza Internazionale, dunque enfatizzando l’atteggiamento equilibrato della maggioranza. La risoluzione sulla questione nazionale incaricò il Comitato Centrale del Bund di “elaborare piani concreti di attività su quel terreno”192. In questo modo il Bund bielorusso ruscì a evitare la scissione. Il nuovo Comitato Centrale scelto dalla Conferenza fu composto da 5 veterani e 5 nuovi ingressi. I veterani del comitato furono Esther Frumkin, Izenshtat, Vainshtain, Litvak e Abramovich. I nuovi furono Svetitskij, Nakhimson (militante del Bund da 20 anni), Henie Gorelik (militante da 15 anni, di cui 6 trascorsi in Siberia), Alter Rumanov (un calzolaio 29enne di Minsk) e Yankel Levin, che si era unito al Bund all’età di tredici anni. I bundisti bielorussi di sinistra manifestarono ostilità all’Evkom e alle Evsektsiia. Il bundista di sinistra Nakhimson criticò quegli ebrei comunisti “appena sfornati”193 che avevano attaccato la Conferenza di Minsk poiché la scissione che auspicavano non si era verificata. Il Bund definì gli ebrei comunisti “commedianti nazional bolscevichi” e assimilazionisti. Nel contempo attaccò l’Evkom perché si occupava degli ebrei senzatetto e in difficoltà economica. Questi, disse il Bund, erano problemi generali, non riguardanti le istituzioni ebraiche il cui campo di intervento era soltanto culturale. Un tale spettro di attività da parte di organi nazionali poteva condurre all’isolamento, e al rafforzamento delle tendenze nazionaliste. Paradossalmente dunque l’Evkom e le Evsektsiia portavano avanti una linea assimilazionista e nazionalista insieme: “Il loro cuore soffre – essi sanno qual è il problema – ma cosa puoi fare quando devi combattere il Bund? Due anime, che spingono in opposte direzioni, vivono dentro di loro. E il risultato è tristezza e depressione”194. Anche il bundista di sinistra Levin prendeva in giro il Partito Comunista e le sue sezioni ebraiche: “In molte città di fatto è il Bund che svolge il lavoro dei commissariati, i quali sono così concentrati nella propria attività che non hanno tempo di venire alle nostre riunioni”195. Tutto il Bund bielorusso in generale sostenne lo sforzo bellico dell’Armata Rossa. Subito dopo l’Undicesima Conferenza il Bund e anche i menscevichi annunciarono la mobilitazione di tutti i membri di partito con 25 anni o più di età, per far fronte alla minaccia delle legioni polacche, che nell’aprile 1919 avevano occupato Vilna. Il Primo Battaglione delle Guardie Rosse di Minsk era formato al 70% da militanti di Poale Zion, al 20% da bundisti e al 10% da bolscevichi. Dopo sei

189 Der Veker, 17 febbraio 1919. 190 Der Veker, 23 marzo 1919 191 ibidem 192 Der Veker, 6 aprile 1919 193 Der Veker, 8 aprile 1919 194 Der Veker, 13 febbraio 1919 195 Der Veker, 4 marzo 1919 60 settimane di addestramento esso fu inviato al fronte dove, dopo una vittoria iniziale a Olekhnovich, fu decimato. Quando le legioni polacche occuparono Minsk nella primavera del 1919, identificarono gli ebrei con il bolscevismo e li fecero oggetto di violenze. A Pinsk per esempio 33 ebrei furono prelevati da un’assemblea della comunità e fucilati, per soddisfare il capriccio di un ufficiale polacco. Questi episodi accentuarono il sostegno ebraico all’Armata Rossa, ma non portarono a un accordo tra il Partito Comunista e i partiti ebraici. Aumentando progressivamente il proprio potere, i bolscevichi iniziarono un’aperta politica di repressione nei confronti del Bund. Partendo dai villaggi e dai centri meno popolosi, i bolscevichi gradualmente acquisirono il controllo politico di città come Vitebsk, Gomel e Minsk, disgregando gli oppositori con vari mezzi coercitivi. A Baranovize, per esempio, gli ebrei bolscevichi organizzarono un’assemblea operaia e, non essendo presente alcun bundista, il presidente annunciò che se non vi erano obiezioni tutti i partiti e le organizzazioni erano sciolte. Un membro di Poale Zion protestò vigorosamente, e il provvedimento fu rinviato. A Gomel il giornale bundista Golos Rabochego fu chiuso perché accusato di essere a favore del “compromesso sociale”, e il compromesso sociale era “un’arma del capitale”196.

La Conferenza di Gomel e la scissione del Bund in Bielorussia. La fragile unità del Bund non resistette alle forze disgregatrici rappresentate dall’occupazione polacca e dalla coercizione comunista. I colpi finali furono inferti alla Dodicesima Conferenza del Bund, tenutasi a Gomel nell’aprile 1920. Ivi 29 organizzazioni locali furono rappresentate da 61 delegati. Esther Frumkin diede l’orientamento alla conferenza dichiarando che “il sistema sovietico sta guadagnando sempre più terreno tra i ranghi del proletariato…Il Bund ha una grande responsabilità – portare i suoi principi alle masse dei lavoratori ebrei e alle crescenti masse di piccola borghesia che devono essere inserite nel lavoro produttivo…il potere sovietico sta percorrendo l’unica strada che possa salvare la rivoluzione”197. La Frumkin non disse una parola sul terrore bolscevico e sulla repressione della democrazia, le due principali ragioni per le quali lei stessa l’anno precedente si era opposta all’accettazione tout court del comunismo. Alludendo alla necessità di inserire le masse ebraiche nel lavoro produttivo, implicitamente ripudiava la propria precedente accusa di “nazionalismo” verso la politica economica dell’Evkom e delle Evsektsiia. Forse in imbarazzo per questo voltafaccia, la Frumkin cercò di dimostrare che “già all’Undicesima Conferenza il Bund si pose, in linea di principio, dalla parte del comunismo”198. Chiese che il Bund cancellasse la propria linea ufficiale di opposizione al governo sovietico, e che si assumesse le responsabilità della politica sovietica. Ma su un punto rimase tale e quale al passato: la convinzione che il Bund dovesse mantenere una propria esistenza autonoma. Il Bund era la “forma specifica” del proletariato in lotta con i “residui dell’ideologia borghese”199 tra gli ebrei, in contrasto all’inefficacia delle sezioni ebraiche. Anche sull’autonomia nazional culturale la Frumkin fece marcia indietro, mentre rimase ferma sulla questione dell’autonomia organizzativa. Dal momento che la distruzione del dominio della borghesia “crea per la prima volta nella storia la possibilità della cooperazione fraterna tra le nazioni in tutti i campi e a tutti i livelli, incluso quello culturale”, la richiesta di autonomia nazional culturale, “portata avanti sotto il dominio capitalistico, a questo punto perde di significato”. Tuttavia,

Il Bund mantiene la propria precedente linea per cui il lavoro culturale debba essere the province delle masse operaie nazionali…e debba essere creato un sistema nel quale organi nazionali locali, provinciali e centrali, eletti dalle grandi passe di ciascuna nazionalità, assolvano ai compiti del lavoro culturale e decidano su tutte le questioni interne di una nazionalità.200

Come ciò differisse dall’autonomia nazional culturale, la Frumkin non lo chiarì. Al discorso della Frumkin e alla risoluzione da lei proposta replicò Abramovich, che espresse la posizione della fazione menscevica. Quindi Veinshtain cercò di collocarsi al centro,

196 Der Veker, 7 febbraio 1919 197 XII Konferentsiia Bunda, resoconto del Comitato di Gomel, 1920 198 ibidem 199 ibidem 200 ibidem 61 pensando forse di evitare una scissione, e introdusse degli emendamenti alla risoluzione della sinistra. Gli emendamenti sottolineavano l’importanza della spontaneità delle masse operaie e l’inutilità del terrore contro i partiti socialisti, ma furono entrambi respinti all’unanimità dai delegati della sinistra, e a tal punto la scissione si fece inevitabile. La risoluzione della sinistra, votata dalla maggioranza dei delegati, chiese “riconoscimento dei principi organizzativi del Bund, riconoscimento del Bund come organizzazione autonoma del proletariato ebraico, che autonomamente persegue i compiti della rivoluzione socialista tra gli ebrei”201. Il Bund doveva entrare nel Partito Comunista Russo con gli stessi criteri coi quali era entrato nel Partito Operaio Social Democratico Russo nel 1898. Insieme alla richiesta che le sezioni ebraiche fossero assorbite in una “Unione Generale dei Lavoratori Ebrei”, ciò significava da parte del Bund la richiesta di carta bianca nella politica ebraica, e una sorta di monopolio politico “nel mondo ebraico”. “Le sezioni comuniste ebraiche, istituite con l’obiettivo specifico di combattere il Bund – questi organismi artificiali che si sono rivelati un fallimento, dando ai lavoratori ebrei un’impressione di organizzazione indipendente – non possono affatto introdurre la dittatura del proletariato tra i lavoratori ebrei…La sola forza comunista intorno alla quale il proletariato ebraico si può unire è e sarà l’Unione Generale dei Lavoratori Ebrei, il Bund”202. Quando la risoluzione della sinistra fu approvata dalla maggioranza dei delegati, la minoranza lasciò il partito, e convocò una propria conferenza. La maggioranza si autodefinì “Kombund”, e la minoranza “Bund socialdemocratico”203. Quattordici mesi dopo la scissione nel Bund ucraino anche il Bund bielorusso, nucleo storico dell’organizzazione dei lavoratori ebrei, si divideva a sua volta. Le reazioni a livello locale furono simili a quelle registrate in Ucraina. Il comitato di Gomel votò per 127 a 44 (13 astenuti) a favore della risoluzione del Kombund. In capo a pochi giorni, 13 tra i contrari e gli astenuti passarono alla maggioranza. Nelle città in cui, come a Orsha, la risoluzione del Kombund fu respinta, i fautori di quest’ultima si riunirono separatamente e formarono un comitato provvisorio, raccogliendo le nuove iscrizioni. In alcuni comitati locali chi non accettò la risoluzione della Dodicesima Conferenza fu espulso dal comitato. E’ difficile delineare la natura e l’estensione dell’attività del Kombund in Bielorussia. Da un lato vi furono molte lamentele per la mancanza di militanti e pubblicazioni (il giornale del Kombund, Der Veker, uscì solo irregolarmente); dall’altro lato i kombundisti parlavano di aumento di interesse tra gli iscritti, e che il Bund socialdemocratico era completamente inattivo. In realtà, pare che la maggior parte dei bundisti semplicemente si ritirarono dalla politica attiva. Ciò si evince dall’ampiezza delle organizzazioni locali del Kombund. In Ucraina, per esempio, il Kombund di Kiev pare avere avuto solo 60 membri nel 1920, e il Kombund di Kharkiv soltanto 24204. Nel maggio del 1919 il Bund di Kiev aveva dichiarato di contare 300 membri, di cui 107 lavoratori205.

201 ibidem 202 ibidem 203 Nel suo discorso conclusivo a nome dei socialdemocratici, Abramovich avvertì i membri del neonato Kombund che esso avrebbe avuto vita breve, come in Ucraina: “Il vostro destino come organizzazione del proletariato ebraico è segnato. Il percorso del gruppo di Rafes, gradualmente da Bund a Farband, da Farband a Sezioni, da Sezioni a commissione tecnica, ci mostra chiaramente cosa vi aspetta nel prossimo futuro”. 204 Der Veker, 15 luglio 1920 205 Folkstseitung, 3 maggio 1919 62 7. IL BUND IN POLONIA TRA INDIPENDENZA E RIVOLUZIONE (1918 – 20)

La Conferenza di Lublino e il dibattito sull’Ottobre. Come abbiamo visto, sin dall’inizio della Grande Guerra e dell’occupazione tedesca i legami tra le organizzazioni del Bund in Polonia e quelle più a oriente si erano indeboliti, e dal novembre 1914 operava nel paese un comitato centrale autonomo. Alla fine del 1917 questo comitato decise di convocare una conferenza per costituire un partito indipendente, il che avvenne nel dicembre a Lublino. La città fu scelta in quanto si trovava nella parte di Polonia occupata dagli austriaci, i quali mantenevano un atteggiamento più tollerante rispetto ai tedeschi. L’opposizione del Bund alla formazione di una Polonia semi-indipendente sotto la tutela degli Imperi centrali aveva portato all’arresto di numerosi dirigenti bundisti, che usavano i consigli cittadini nei quali erano eletti come tribuna per denunciare il progetto di protettorato avanzato dalla Germania. Inoltre, nella Polonia occupata dai tedeschi la fame e le malattie avevano falcidiato una gran parte della popolazione. Le condizioni della zona austriaca erano migliori. Un delegato descrisse Lublino come “una città viva, non sofferente, con negozi aperti e riforniti di cibo e altri prodotti; non una città di persone vestite di stracci, non una città di funerali, ma una città viva con un flusso di persone vivaci. Una vita differente rispetto a quella a Varsavia…e in altre città della zona tedesca”206. Gli spostamenti tra la zona di occupazione tedesca e quella austriaca erano difficoltosi a causa della lotta al contrabbando. I bundisti raggiunsero Lublino separatamente e aggirando in svariati modi il controllo delle autorità, e per precauzione si incontrarono clandestinamente e di notte. Quando la Conferenza di Lublino si aprì, non era trascorso un mese dalla presa del potere dei bolscevichi in Russia. Da una parte circolavano le voci dei morti a Pietrogrado e Mosca e dello scioglimento forzato del Governo Provvisorio, dall’altra quelle della fine della guerra, dell’instaurazione del socialismo, della proclamazione dell’uguaglianza dei popoli. Molti ebrei in Polonia, stremati dalla guerra e dall’occupazione, erano felici della presa del potere bolscevico, e tra i delegati bundisti circolava l’augurio che qualcosa di simile accadesse anche a Varsavia207. Ma Victor Shulman, delineando un’ala destra del partito, prese la parola per opporsi alla presa del potere dei bolscevichi. Egli accusò Lenin e i suoi di “avventurismo”, di avere distrutto la neonata democrazia per stabilire una propria dittatura mantenendo il potere “con il terrore sulla popolazione”. Shulman disse ai delegati: “Questo non è il nostro metodo! Non è il metodo del Bund, il metodo dei socialdemocratici”208. Chaim Vasser espresse una posizione di sinistra, diametralmente opposta. La rivoluzione bolscevica, disse, era un momento chiave nella storia mondiale, un punto di svolta verso il socialismo. Ma non tutti gli esponenti dell’ala sinistra concordarono con lui su questa definizione. L’ala sinistra si opponeva innanzitutto ai gruppi riformisti che nel socialismo mondiale avevano appoggiato la guerra, in particolare ai traditori della socialdemocrazia tedesca, che avevano votato per i crediti di guerra e avevano invocato la “pace di classe” durante lo sforzo bellico. La sinistra bundista si sentiva vicina ai socialisti democratici guidati da Karl Kautsky, e al Partito Socialista Indipendente di Germania. Sulla guerra fu assunta una risoluzione molto chiara:

La Rivoluzione russa e il ruolo del proletariato in essa hanno inferto un duro colpo alle classi dominanti delle nazioni in guerra, le quali vedono nella rivoluzione una minaccia diretta alle fondamenta del sistema capitalistico vigente...La classe operaia consapevole non permetterà che la grande falla che attraverso la guerra si è aperta nel sistema capitalistico mondiale non produca un risultato per l’ideale socialista.209

206 I. Fishman, Barikht fun der Lubliner Konferents, Archivio del Bund 207 ibidem 208 ibidem 209 Tsvai Konferentzn, 1918 63

La rivoluzione auspicata dai bundisti, tuttavia, non era di tipo bolscevico. La conferenza chiese la massima democrazia e respinse tutte le forme di dittatura. I bundisti si espressero per un’assemblea costituente democraticamente eletta per decidere la forma di governo della Polonia e le sue relazioni con gli stati vicini. Sulla questione delle minoranze nazionali, il Bund rimase fermo sulla linea dei pieni diritti per tutte con autonomia nazionale per ciascuna.

La nascita della Polonia indipendente. Il 10 novembre 1918 il socialista polacco Józef Piłsudski, appena liberato dalle autorità tedesche a Magdeburgo, tornò a Varsavia. Il giorno seguente, tenendo in considerazione la sua popolarità e il sostegno che proveniva da molti partiti politici, il Consiglio di Reggenza (governo fantoccio filotedesco) lo nominò Comandante in Capo delle Forze Armate Polacche. Il 14 novembre il Consiglio si sciolse e trasferì tutte le autorità a Piłsudski come Capo di Stato. La posizione del Bund fu di appoggio alla fine dell’occupazione e al processo di acquisizione dell’indipendenza, ma con l’insistenza sulla necessità di autonomia culturale per gli oltre 3 milioni di ebrei che abitavano il nuovo paese. Per la formazione del nuovo governo, Pilsudski invitò a consulto tutti i partiti politici: gli altri partiti ebraici accettarono, ma il Bund rifiutò a meno che alle minoranze nazionali non fosse garantita l’autonomia nazional culturale. Nei confini del nuovo stato si trovarono a vivere circa 2,5 milioni dei 5 milioni di ebrei che avevano vissuto nel vecchio Impero zarista, più altre centinaia di migliaia di ebrei della Galizia, regione prima facente parte dell’Impero austro-ungarico. Nei primi giorni dell’indipendenza la popolazione ebraica fu entusiasta, ma le speranze andarono presto deluse quando gli elementi reazionari della società polacca ricominciarono a farsi strada. Presto gli slogan “Andate in Palestina!” riecheggiarono, e i pogrom dell’era zarista tornarono a essere all’ordine del giorno. A differenza delle posizioni relativamente tolleranti del governo, i soldati del neonato esercito polacco erano quasi tutti giovani cresciuti nell’atmosfera antisemita della Russia zarista; gli ufficiali erano per lo più nazionalisti polacchi, contrari all’uguaglianza delle numerose minoranze nazionali che abitavano il nuovo stato. I primi resoconti di attacchi antisemiti raggiunsero gli Stati Uniti nel dicembre 1918, i quali nominarono una commissione capeggiata da Henry Morgenthau senior. Il rapporto della Commissione Morghenthau fu criticato anche dalle organizzazioni ebraiche più conservatrici, in quanto minimizzava l’estensione e la gravità dei pogrom, attribuendoli agli eccessi dei soldati e negando alcuna premeditazione210. Il governo polacco fu complice del militarismo dell’esercito e cominciò ad allontanare gli ebrei dagli incarichi pubblici che questi ultimi avevano iniziato ad acquisire, per assegnarli ai polacchi.

Il Bund e il Partito Comunista di Polonia. La presa del potere da parte dei bolscevichi in Russia e la proclamazione dell’indipendenza della Polonia costrinsero al riorientamento tutti i partiti socialisti polacchi. La socialdemocrazia polacca (PSD) era vicina ai bolscevichi già prima della rivoluzione, e gli eventi dell’ottobre 1917 entusiasmarono anche la maggior parte dei membri della Lewica. Le relazioni tra il Bund e il PSD non erano mai state cordiali. In questo frangente nacquero delle discussioni sulla natura della rivoluzione bolscevica. Il bundista Bainish Mikhalevich criticò l’insistenza del PSD sul fatto che la rivoluzione fosse imminente anche in Polonia, sottolineando che i lavoratori polacchi parevano in genere sotto l’influenza dello sciovinismo e dei partiti reazionari. “La socialdemocrazia” – disse – “trasporta meccanicamente le condizioni russe in Polonia e nel resto d’Europa, e continua a gridare: ‘La rivoluzione sta bussando alla porta!’. E’ una posizione comica…essi osservano le tattiche bolsceviche, applaudendo e acclamando ogni cosa, senza un minimo studio critico, senza il minimo tentativo di definire una posizione teorica propria”211. Le relazioni tra il Bund e la Lewica in genere erano state amichevoli. Durante l’occupazione tedesca i due partiti avevano formato un blocco per le elezioni del consiglio cittadino, e la Lewica era abbastanza favorevole all’autonomia nazional culturale propugnata dal Bund. La rivoluzione

210 New York Times, 19 gennaio 1920 211 Bainish Michalevich, Di Sotsiale Revolutsie un der Marxizm, 1918 64 bolscevica mutò questa situazione. I militanti della Lewica espressero sostegno senza se e senza ma ai bolscevichi, e i dirigenti iniziarono le trattative per la formazione insieme al PSD di un partito comunista che riproducesse l’esperienza russa. Ma il PSD per portare avanti l’operazione pretese che la Lewica rescindesse i propri legami con il Bund, cosa che quest’ultima fece definendo il Bund un partito nazionalista. Così, il Partito Comunista di Polonia (KPP), nato il 16 dicembre 1918 dalla fusione di PSD e Lewica, iniziò la propria storia come avversario del Bund. Nell’arco di alcuni anni non mancarono gli scontri e a volte anche le uccisioni, mentre i bundisti venivano accusati di essere sionisti col mal di mare (un vecchio scherno di Plechanov), nonostante la loro ferma opposizione allo stato ebraico in Palestina. La risposta alla questione ebraica, affermò il KPP, era la stessa per tutte le minoranze nazionali: la rivoluzione socialista. Rosa Luxemburg, che approvò il programma adottato al congresso di fondazione del partito, insistette molto su questo punto. Il programma sul tema della questione nazionale si esprimeva in questi termini:

In quest’epoca di rivoluzione sociale internazionale, mentre è in corso la distruzione delle fondamenta dell’ordine sociale capitalistico, il proletariato rifiuta le parole d’ordine dell’autonomia e dell’indipendenza politica, o la richiesta di autodeterminazione sviluppatasi nella prima fase di formazione dell’ordine capitalistico. Lottando per la dittatura del proletariato e lavorando per opporre ai propri nemici le armate organizzate della rivoluzione, il proletariato combatterà ogni tentativo di formare un’armata polacca borghese e controrivoluzionaria, e si opporrà ad ogni guerra per i confini nazionali…Per la rivoluzione sociale internazionale non esistono confini nazionali. Il suo territorio è determinato dagli interessi della classe operaia internazionale, che rifiuta qualunque oppressione nazionale e rifiuta ogni pretesto di conflitto nazionale, sia relativo ai confini che alle minoranza nazionali entro questi confini.212

Nonostante la propria opposizione a tutto ciò che non fosse la rivoluzione socialista come risposta alla questione delle minoranze, il KPP vide in queste ultime un potenziale terreno di propaganda. Esso formò una sezione separata – come aveva fatto il Partito russo – per la propaganda e l’agitazione tra i lavoratori ebrei. La sezione pubblicò opuscoli e periodici in yiddish, e inviò militanti nelle zone ebraiche per fare propaganda in yiddish tra i lavoratori. Tuttavia essa fu sempre controllata dal Comitato Centrale del KPP, e la sua direzione fu sempre nelle mani di un gruppo di uomini saldamente controllati dal partito. Il KPP seguì sempre alla lettera la linea di Lenin e Rosa Luxemburg, per i quali gli ebrei non erano un’entità nazionale separata, ma semplicemente un popolo che usava un linguaggio proprio, e non imparava la lingua del paese di appartenenza. Il KPP ribadiva che l’assimilazione degli ebrei ai lavoratori polacchi – in un partito, un unico corpo sindacale, un’unica organizzazione culturale – fosse il solo mezzo per prevenire l’antisemitismo. Le speranze del KPP in una presa del potere bolscevica in Polonia divennero quasi realtà nella primavera del 1920, quando una disastrosa offensiva militare polacca si trasformò in un’avanzata dell’Armata Rossa fin quasi alle porte di Varsavia. Sin dal 1919 il KPP era stato chiaro su questa eventualità: “Se la rivoluzione polacca avesse bisogno del proletariato russo, questo aiuto non sarebbe considerato un’invasione, o l’espressione di una tendenza imperialista…semplicemente vorrebbe dire che si sta compiendo la solidarietà rivoluzionaria internazionale”213. La guerra russo – polacca tuttavia terminò nel 1921 con un negoziato, e in Polonia il nazionalismo e lo sciovinismo rimasero radicati. La politica del “tutto o niente” del KPP generò frequenti scontri con il Bund polacco nei 20 anni successivi, ma non riuscì mai a provocare una scissione in quest’ultimo.

I soviet polacchi. Per un breve periodo, subito dopo la fine della guerra, vi fu la possibilità che il neonato governo polacco fosse sopravanzato dai soviet dei lavoratori, che si erano formati quasi spontaneamente in varie parti del paese. Ma i soviet polacchi non ebbero mai un potere reale, e furono piuttosto degli ambiti di discussione politica. Alcuni soviet furono a maggioranza comunista, altri più vicini al PPS, altri ancora egemonizzati dai nazionalisti antisemiti. Il Bund prese

212 Sztandar Socjalizmu, 19 dicembre 1918 213 Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954 65 parte attiva nella formazione dei soviet. Erlich fu vice-presidente del Soviet di Varsavia, e di fatto svolse le funzioni di presidente durante la breve esistenza di quest’ultimo. Il Bund cercò di trasformare i soviet in organismi rivoluzionari, ma i lavoratori polacchi erano stanchi e non interessati alla rivoluzione sociale. Influenzati soprattutto dal PPS, i lavoratori volevano in primo luogo uno stato polacco. Nel 1919 il Bund diramò un appello ai soviet polacchi:

L’impellente bisogno del momento è una lotta fino alla morte per la più rapida e diretta realizzazione del socialismo. La via che conduce a tale scopo è la rivoluzione proletaria, che metterà tutto il potere nelle mani del proletariato… Il ruolo dei soviet deve essere l’organizzazione del potere della classe operaia; la protezione…degli interessi economici della classe operaia nella lotta contro lo sfruttamento, la difesa delle masse operaie contro gli assalti dei controrivoluzionari. Uno dei modi per affrontare questa guerra deve essere una forza armata posta sotto il diretto controllo dei soviet.214

I soviet ignorarono l’appello del Bund, e presto si trovarono a fronteggiare la questione della guerra russo – polacca. Il Bund propose al Soviet di Varsavia l’adozione della seguente risoluzione:

Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia condanna tutte le guerre che sono condotte dai governi borghesi, e dunque anche la guerra condotta dall’attuale regime polacco – a maggior ragione questa guerra perché nelle intenzioni dei capitalisti essa deve diventare una guerra imperialista mirante alla rapina e oppressione di altre nazioni. Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia afferma che a prescindere dall’atteggiamento dei vari settori del proletariato polacco nei confronti dei bolscevichi, esso si opporrà vigorosamente ad ogni tentativo di distruggere l’Unione Sovietica. Il Soviet dei Delegati Operai di Varsavia chiede, a nome del proletariato di Varsavia, la fine delle politiche di guerra senza costrutto, che vengano intrapresi immediati negoziati di pace, e che il sangue della classe operaia polacca smetta di scorrere per gli interessi del capitalismo internazionale.215

Il PPS fu contrario: voleva il sostegno alla guerra. I partiti si divisero e i soviet cessarono virtualmente di esistere.

Democrazia proletaria o dittatura proletaria. Alla fine del 1918, all’indomani della nascita del Partito Comunista di Polonia, il Bund polacco convocò la propria Seconda Conferenza per far fronte alla situazione di tensione al proprio interno, con una sinistra pro-bolscevica e una destra socialdemocratica sempre più contrapposte. L’ala destra del Bund si considerava in tutto e per tutto una componente rivoluzionaria del movimento socialista. Essa si opponeva al riformismo della Socialdemocrazia Tedesca e al nazionalismo del PPS, tuttavia non era disposta ad appoggiare la distruzione della democrazia nel nome del socialismo. La risoluzione proposta dalla destra e approvata alla conferenza del 1918 fu molto chiara. La fine della guerra, affermò la risoluzione, significava l’inizio di una battaglia sociale ed economica che aveva “come proprio obbligo l’edificazione del socialismo”. Per ottenere il socialismo sarebbe stata necessaria la solidarietà “del proletariato internazionale”216, e ciò rendeva necessaria la formazione di una nuova e forte Internazionale socialista. Il Bund non escludeva i comunisti da questa ipotetica nuova internazionale, ma ovviamente tale organismo avrebbe dovuto basarsi sui vari movimenti socialisti diffusi nel mondo. La Polonia, affermò la risoluzione del Bund, era in una condizione particolare. “In un paese che da oltre cent’anni si ritrova sotto un pesante giogo, che è stato appena liberato da un’occupazione militare, e nel quale in gran parte sono assenti i più elementari pre-requisiti per un’organizzazione operaia legale e di massa”217, lo scopo dei socialisti doveva essere la creazione

214 In A. Ratman (pseudonimo di Gershon Ziebert), Der Bund in Polyn, 1920 215 In Leon Ohler, Di Linke Rikhtung in Bund in Polyn, 1958 216 Glos Bund, 6 marzo 1919 217 ibidem 66 e il rafforzamento di tali pre-requisiti. Tra questi il principale era costituito dalle istituzioni democratiche “che verranno formate sotto la pressione della classe operaia”. La classe operaia avrebbe dovuto “occupare la più ampia porzione del potere politico e sociale” all’interno di questi organi democratici dello stato, nell’ottica di condurre alla vittoria la lotta per il socialismo218. Un acceso dibattito precedette l’approvazione della risoluzione. I rappresentanti della sinistra contestarono l’uso dei mezzi parlamentari per il raggiungimento del potere; essi volevano che i soviet prendessero il potere con la forza e costituissero una dittatura proletaria sul modello di quella russa. La risoluzione passò con un margine minimo: 32 voti a 31. La minoranza accettò per disciplina l’esito del voto, ma i suoi rappresentanti chiesero la convocazione di una nuova conferenza, il che chiaramente indeboliva le decisioni appena prese. Inoltre, la minoranza si rifiutò di partecipare all’elezione dei membri del nuovo Comitato Centrale, anche in questo caso minando l’autorevolezza di tale organismo in una fase in cui si avvicinavano le elezioni per la Dieta (Sejm), il parlamento polacco. Sulla questione del parlamentarismo si formarono quindi due fazioni contrapposte, più una terza che cercava di fare da ponte. In capo ad alcuni mesi sembrò che il partito avesse perso il controllo sulle proprie strutture. Nell’ottobre 1919 la conferenza dei bundisti membri dei consigli cittadini respinse la risoluzione del 1918. L’assise dei consiglieri dichiarò che “la sola via d’uscita dalla multiforme crisi che affligge la nostra nazione…va reperita nel nostro programma massimo – il socialismo – che prevede la presa del potere da parte della classe operaia”. Il compito principale dei consiglieri bundisti era dunque “sviluppare una coscienza rivoluzionaria da parte delle masse”. Ciò significava promuovere il programma massimo e propagandare “il nostro programma per il periodo di transizione, che dovrà essere elaborato dalla classe operaia il giorno dopo la presa del potere”219. Il dibattito interno ostacolava il lavoro organizzativo del Bund, tanto che Noah Portnoy, presidente del Comitato Centrale, affermò che vi erano seri dubbi sulla possibilità che il partito sopravvivesse. “Tutti noi – di destra e di sinistra – dobbiamo convenire che le attuali condizioni nel partito non possono continuare ad esistere. Le differenze di opinione nel partito possono esistere; possono esserci molte opinioni ma non molte azioni. Un esercito non può esistere senza disciplina…”220. L’appello di Portnoy cadde nel vuoto. Le organizzazioni di Varsavia, Lublino e Chelmno, roccaforti della sinistra, si rifiutarono di partecipare alle elezioni della Dieta polacca nel gennaio 1919, di fatto spingendo il Bund a rinunciare alla prima tornata elettorale libera nella storia della Polonia. Nel prosieguo dello stesso anno, infatti, quelle stesse tre organizzazioni parteciparono alle consultazioni municipali, con l’elezione di ben 130 consiglieri. Il rifiuto del comitato del Bund di Varsavia di obbedire alla risoluzione del 1918 (partecipare alle elezioni della Dieta) fu la prima aperta insubordinazione di un organismo locale nei confronti del centro in tutta la storia del Bund. Il Bund virtualmente aveva cessato di esistere come organizzazione. Regnava una quasi-anarchia. Singoli militanti entravano nelle organizzazioni locali senza alcun controllo da parte del centro, e molti di costoro trasgredirono anche le indicazioni locali, rifiutandosi di sostenere i candidati del Bund nei consigli cittadini. Per porre fine al caos, nella primavera del 1919 il Comitato Centrale convocò una Terza Conferenza straordinaria, ma in quella sede le fazioni risultarono ancora oltremodo divise. L’ala sinistra non volle ammettere di avere sbagliato respingendo l’ordine di partecipare alle elezioni della Dieta. Un delegato di Radom affermò che la scelta in realtà aveva salvato il partito, poiché i lavoratori volevano che le elezioni fossero boicottate. Inoltre, continuò il delegato, l’iniziativa di Varsavia non aveva violato le indicazioni del 1918; la Dieta non era un’organizzazione democratica “creata sotto la pressione del proletariato”, e dunque non rientrava nei casi contemplati dalla risoluzione. Per giunta, concluse, l’organizzazione di Varsavia aveva sbagliato a partecipare alle elezioni municipali. Un altro delegato aggiunse che la questione era la scelta tra la rivoluzione e il riformismo. Forse che i socialisti tedeschi di sinistra non si erano rifiutati di obbedire ai dettami dei dirigenti SPD, e forse che Kautsky non li aveva sostenuti? Anzi, il Comitato Centrale del Bund era

218 ibidem 219 Risoluzione della Conferenza dei Consiglieri cittadini del Bund, ottobre 1919 220 Lebnsfragn, 29 aprile 1919 67 a sua volta colpevole di indisciplina, in quanto si era rifiutato di far stampare le critiche dell’ala sinistra sulla questione elettorale221. La posizione di fondo della sinistra fu riassunta da un altro dei suoi delegati:

Siamo entrati in un periodo rivoluzionario non a causa del malcontento delle masse, o perché noi desideriamo fare la rivoluzione, ma a causa dei mutamenti arrecati dalla guerra al sistema capitalistico. La guerra…accelera la caduta del sistema capitalistico. Su questo siamo tutti d’accordo. La questione che ci divide non è se fare o non fare la rivoluzione. E’ sul come la rivoluzione vada fatta: democrazia o dittatura del proletariato. A questo punto, la dittatura del proletariato è la sola strada possibile. La democrazia rappresenta la volontà della classe capitalistica, e dà a quest’ultima la possibilità di sfruttare le masse. Noi non siamo vincolati alla democrazia. Se la democrazia non va incontro ai bisogni del socialismo, il Bund la può ripudiare. La democrazia ora dà alla borghesia…i mezzi materiali per controllare la macchina governativa. A causa del proprio dominio economico, la borghesia riesce a controllare le elezioni e a ottenere le maggioranze. La borghesia trasforma la democrazia in uno strumento per i propri interessi. Il proletariato deve dunque trovare altre vie. Noi crediamo nella dittatura del proletariato. Tuttavia non ci illudiamo: la dittatura sarà la dittatura di un partito, un partito della classe operaia cosciente, della quale rappresenta gli interessi. Nessuna rivoluzione – neanche una rivoluzione borghese – ha mai avuto successo senza un periodo di dittatura. Se nel potere sovietico – in Russia – si è formata una dittatura di un piccolo partito, la colpa è dei partiti che hanno boicottato il soviet: il Bund, i menscevichi e i socialisti rivoluzionari. Se noi e il PPS non facciamo come i menscevichi in Russia, noi possiamo evitare che si crei una situazione analoga a quella russa.222

I centristi, il cui scopo primario era di evitare la scissione del Bund in due parti, espressero appoggio sia alla dittatura del proletariato che alla democrazia. Essi dichiararono la propria contrarietà alle forme democratiche in una fase di rivoluzione sociale; ma, dissero, “finchè la rivoluzione sociale è in corso noi non possiamo rinunciare agli organismi democratici attraverso i quali possiamo fare propaganda tra le masse”. Non usare le istituzioni democratiche sarebbe stato un grosso errore. Se tuttavia queste istituzioni si fossero dimostrate non in grado di approvare i cambiamenti sociali auspicati dal Bund, i centristi avrebbero optato per altri metodi più drastici. Non era necessario, dissero i centristi, che le rivoluzioni fossero fatte da una maggioranza: storicamente le rivoluzioni erano sempre state fatte da minoranze. Quindi, ”Non possiamo rifiutare il sostegno a una rivoluzione perché è il prodotto di una minoranza, né possiamo rinviare il nostro sostegno fino a che una maggioranza non sia pronta ad appoggiarla”. La classe operaia tuttavia non era forte abbastanza da compiere la rivoluzione: era necessario unirsi ai contadini, all’interno di organi democratici che si opponessero alla reazione. I centristi respinsero la posizione bolscevica per la quale i peggiori nemici della rivoluzione erano i socialisti non comunisti. “Il peggior nemico è la borghesia”, dissero, dunque il movimento operaio doveva ricercare l’unità. La politica bolscevica conduceva alla guerra civile all’interno dei ranghi del movimento operaio rivoluzionario. Per raggiungere l’unità, secondo i centristi si doveva evitare qualunque scissione.223 L’ottimismo della sinistra e del centro sull’imminenza della rivoluzione non fu condiviso dai bundisti di destra. Costoro dubitavano che i lavoratori, che avevano mostrato riluttanza a votare anche per i socialisti moderati, fossero pronti a fare una rivoluzione sociale e ad accettare la dittatura del proletariato. Perché ad esempio, chiese Medem a nome della destra, i soviet polacchi erano così deboli? Poiché le condizioni per il loro sviluppo in Polonia non erano presenti. Che i soviet russi fossero divenuti la base per l’insurrezione anti-democratica bolscevica, era un fatto secondario; il fatto era che i soviet in Russia erano scaturiti da una rivoluzione democratica e popolare. In Polonia questa rivoluzione non aveva avuto luogo, specialmente alla luce della recente ascesa degli Endek. “Non si può passare dal governo degli Endek al governo sovietico”224, disse.

221 ibidem 222 ibidem 223 ibidem 224 ibidem 68 I bundisti di destra credevano nella necessaria concomitanza tra democrazia e socialismo. La questione posta davanti a tutti, dissero, era se la minoranza borghese o la maggioranza proletaria dovessero governare. “Perché temiamo la democrazia? Perché i lavoratori dovrebbero votare per i propri nemici? Se è così, i lavoratori non sono degni del socialismo, e la rivoluzione sociale è in ogni caso impossibile. Rifiutare la democrazia e le elezioni è assegnare il potere a una minoranza di cospiratori. Ciò sarebbe disonesto; ciò dovrebbe essere respinto fermamente dal Bund”225. “Perché non utilizzare le istituzioni democratiche?” affermò un altro delegato della destra, riferendosi al loro impiego come tribuna propagandistica. Un discorso alla Dieta sarebbe stato “ascoltato di più che uno in un soviet, con i soviet così poco partecipati”226. Il discorso di Karl Liebknecht al Reichstag non aveva forse avuto un effetto maggiore dei suoi comizi rivolti a un piccolo uditorio? La destra si disse poco convinta che una presa non democratica del potere potesse condurre a un vero socialismo. Il risultato finale sarebbe stato più simile a una dittatura di partito. Un suo portavoce disse:

Il sistema sovietico è fondato sulla presa del potere da parte di un’autocrazia – una minoranza. Essa crea un potere autonominato. La costituzione sovietica conferisce unicamente al Partito Comunista il potere di decidere che debba avere i diritti politici. Agli oppositori tali diritti sono negati. Il potere invece che dal popolo deriva dal partito. Gli organi di governo non sono eletti dal popolo, ma dal Partito Comunista. Lo statuto del partito non è controllato dal basso, bensì è applicato dall’alto. Alla fine il partito diventa egemone e “la grande commedia elettorale” non è più necessaria. Il potere appartiene al Partito Comunista e non ai soviet; il sistema dei soviet è semplicemente il travestimento di un’oligarchia partitica. E’ giunto il momento di porre un freno a questo ridicolo mascheramento.227

“La ruota della storia gira lentamente…” concluse la destra. Le elezioni del gennaio 1919 avevano portato a capo del governo il musicista Paderewski, espressione dei nazionalisti, un passo indietro rispetto al precedente Primo ministro, il socialista Moraczewski (che era stato in carica provvisoriamente dal novembre 1918 al gennaio 1919). La risoluzione adottata al termine del lungo dibattito, forte di 52 voti a favore e 15 contrari (con 6 astensioni della destra), espresse sostegno al potere sovietico e alla dittatura del proletariato con alcune riserve:

La rivoluzione sociale, che già travolge le nazioni sconfitte, presto avrà ragione anche delle nazioni vittoriose. La rivoluzione sociale può vincere soltanto se è internazionale nei propri obiettivi. In Polonia la reazione capitalistica sta conducendo a uno scontro rivoluzionario tra i lavoratori e i capitalisti. La rivoluzione sociale può raggiungere il socialismo – il proprio obiettivo finale – solo quando i lavoratori stessi si impadroniscono dell’intero potere statale allo scopo di utilizzarlo per la trasformazione economica della società. In questo periodo di rivoluzione sociale, le istituzioni democratiche hanno mostrato la propria incapacità di far fronte ai compiti rivoluzionari richiesti alla classe operaia. Dunque il governo del proletariato deve assumere la forma dei soviet dei lavoratori delle città e dei villaggi. Il potere sovietico è transitorio, ma necessario per l’edificazione di una società socialista. Le istituzioni parlamentari devono essere usate solamente per la diffusione della propaganda rivoluzionaria.228

La sinistra e il centro si ritrovarono in una posizione di forza. Gli anziani dirigenti della destra erano nettamente in minoranza; tuttavia il nuovo Comitato Centrale fu suddiviso equamente tra sinistra, centro e destra, con due membri per ciascuna fazione.

Nascita del Comintern e Congresso di Cracovia. Nel 1919 un importante evento, destinato a intensificare la lotta nel Bund polacco, fu la nascita della Terza Internazionale, o Internazionale Comunista (Comintern). Formato nel gennaio 1919, il Comintern ebbe il ruolo di

225 ibidem 226 ibidem 227 ibidem 228 ibidem 69 magnete per attrarre i nuovi partiti comunisti o i partiti socialisti che non si facevano più illusioni sull’Internazionale Socialista. Il dibattito interno sull’affiliazione alla Terza Internazionale agitò il Bund per i successivi dieci anni. Le dispute iniziarono subito dopo la Terza Conferenza della primavera 1919. La sinistra del Bund polacco si espresse quasi immediatamente per l’adesione al Comintern. I centristi invece volevano che i partiti socialisti di sinistra (compreso il Bund) e i comunisti formassero insieme una nuova Internazionale socialista. La destra invece fu sempre convinta, anche nei mesi della “luna di miele” che seguirono l’Ottobre 1917, che la presa del potere bolscevico fosse una catastrofe per il socialismo mondiale. Essi pertanto si dichiararono a favore della collaborazione coi partiti socialdemocratici per la ricostruzione della Seconda Internazionale. La destra si organizzò in un gruppo strutturato intorno a Bernard Goldstein, dirigente sindacale, e ai veterani Medem e Mikhalevich, in vista Congresso del 1920. Consapevoli della propria scarsa forza, tuttavia, prima ancora del congresso essi abbandonarono la linea della ricostruzione della Seconda Internazionale per limitarsi a sostenere la non adesione al Comintern. Il Primo Congresso del Bund polacco unificato, nell’aprile 1920, fu convocato appunto allo scopo di procedere alla fusione del Bund polacco con il Partito Socialista Ebraico di Galizia, regione prima facente parte dell’Impero austriaco e ora passata alla Polonia. Tuttavia la questione della fusione fu risolta in fretta, mentre la questione dell’affiliazione al Comintern fu discussa a lungo. Come sede del Congresso simbolicamente fu scelta la città galiziana di Cracovia. I delegati furono complessivamente 86 (60 del Bund e 26 dei socialisti galiziani). L’unificazione delle due organizzazioni avvenne il primo giorno del congresso: i rispettivi comitati centrali l’avevano discussa ampiamente nei mesi precedenti. Il congresso deliberò a questo punto di non affrontare le tematiche riguardanti lo stato polacco, che sarebbero state analizzate in seguito dal nuovo Comitato Centrale, e di concentrarsi sulla questione internazionale. Prima di cominciare tuttavia venne stabilito di non prendere decisioni definitive, pena l’unità del partito, bensì di andare a fondo della questione in modo che l’assise fosse rappresentativa dei punti di vista di tutti i membri del Bund polacco.229 La sinistra affermò che un’Internazionale rivoluzionaria necessitava di un programma rivoluzionario. Dal momento che la piattaforma del Comintern era tale, di conseguenza il partito della classe operaia ebraica rivoluzionaria doveva affiliarsi all’Internazionale Comunista. I centristi respinsero questa argomentazione. Certo, la piattaforma doveva essere rivoluzionaria; ma più importante della piattaforma erano le attività di un’Internazionale. E le attività del Comintern non portavano alla rivoluzione socialista. Il Comintern, affermarono i centristi, istigava alla guerra civile “non contro il nemico di classe ma all’interno dei partiti della classe operaia”230. Essi volevano che il Comintern includesse nei propri ranghi le masse operaie e facesse guerra al sistema capitalistico invece che al movimento socialista. Erlich, ora portavoce dei centristi, accusò il Comintern in quanto nemico della rivoluzione: “L’Internazionale Comunista non è un’internazionale della classe operaia; sono i bolscevichi russi!”231. Il Comintern rappresentava la tendenza blanquista che si era sviluppata nel movimento socialista mondiale. Questa tendenza era un prodotto della crescita della classe operaia in tempo di guerra; i nuovi proletari, la maggior parte dei quali prima erano contadini e delle classi medio- basse, non avevano un retroterra o una formazione socialista, e potevano facilmente essere convinti dalle teorie anarchiche o blanquiste. “Noi siamo socialdemocratici e non blanquisti” dichiarò Erlich. “Dunque dobbiamo respingere la teoria della ‘minoranza agente’. Le organizzazioni della classe operaia (internazionali così come nazionali) devono essere qualcosa di più che semplici gruppi di cospiratori, che stati maggiori rivoluzionari; devono essere composte, in tutte le loro sezioni, dalla classe operaia stessa”232. Il congresso dibattè la questione per due giorni interi, a volte in maniera accesa e inconciliabile. Alla fine, fu decisa l’affiliazione al Comintern. Ma il voto rivelò che non tutti i bundisti si erano convinti a compiere quel passo: la proposta della sinistra passò per 41 voti a 30, con 15

229 Di Arbeter Shtime, 16 aprile 1920 230 Di Arbeter Shtime, 8 aprile 1920 231 ibidem 232 ibidem 70 astenuti. Le conclusioni del congresso furono ottimistiche, sottolineando che il Bund in Polonia era riuscito a mantenersi unito mentre altre organizzazioni ebraiche si erano divise in campi ostili. La lotta interna comunque non soddisfece molti militanti della sinistra, che si dimisero per entrare nel Partito Comunista Polacco. Vladimir Medem, leader storico del Bund e portavoce dell’ala destra, rifiutò qualunque compromesso. Non volle unirsi agli esponenti dell’ala destra che appoggiavano i centristi. Quando la linea della sinistra ebbe il sopravvento, Medem annunciò che avrebbe rinunciato a qualunque incarico nel Bund, e si sarebbe trasferito in America. Il suo risentimento fu tale che non volle che si svolgesse un’assemblea di commiato in suo onore. Medem disse a un gruppo di suoi sostenitori che dubitava che il Bund sarebbe a lungo rimasto su posizioni pro-bolsceviche, ma finchè le cose non cambiavano non voleva avervi nulla a che fare. Dopo la sua partenza per l’America, ove morì nel 1923, la destra bundista rimase senza un leader e il Bund perse uno dei suoi esponenti di maggiore rilievo. I comunisti polacchi non furono entusiasti della svolta a sinistra del Bund a Cracovia. Una settimana dopo il Congresso del Bund, il KPP tenne la propria prima conferenza, e definì l’esito del voto bundista una mezza vittoria sulla “dirigenza anti-rivoluzionaria del partito”. Secondo i comunisti il “settore rivoluzionario” del Bund non avrebbe avuto piena vittoria se non avesse espulso i propri dirigenti, abbandonato la linea dell’autonomia nazional culturale, e cessato di insistere su di un’organizzazione separata degli ebrei socialisti. I comunisti promisero di continuare la lotta nei confronti del Bund fino a quando non vi fossero stati questi cambiamenti233.

Il Bund e la guerra russo – polacca. Nel 1920 scoppiò la guerra tra la Russia sovietica e la Polonia. I leader nazionalisti polacchi contavano di approfittare della guerra civile in Russia per accaparrarsi nuovi territori. Il piano di Pilsudski era di occupare Ucraina, Bielorussia e Lituania e formare una repubblica federale composta di quattro nazionalità, sotto la tutela polacca. Gli appelli sovietici per la pace furono inascoltati, e nel maggio 1920 l’esercito polacco occupò Kiev. Ma in capo a due mesi i polacchi furono costretti alla ritirata. In agosto l’Armata Rossa giunse alle porte di Varsavia. Per avere il supporto della classe operaia polacca, lo stato maggiore polacco costrinse la Dieta a formare un nuovo governo presieduto da Ignacij Daszinskij del PPS e da Wincenty Witos del Partito dei Contadini. Un governo degli operai e dei contadini doveva servire a convincere le classi inferiori a difendere la capitale. Questo “governo degli operai e dei contadini” ordinò la coscrizione degli ebrei e di altre minoranze, destinandole a lavorare in condizioni durissime, avallò la continuazione delle persecuzioni degli ebrei e represse con violenza i gruppi alla sinistra del PPS, in particolare il Bund, Poale Zion e gli Unitari. I bundisti, nonostante l’orientamento pro-Comintern votato a Cracovia, in generale si opposero sia al regime polacco che all’invasione sovietica. Erano per una Polonia socialista ma indipendente, e si posizionarono per la fine delle ostilità e negoziati di pace. Alla fine del 1920 il Bund partecipò, con altri partiti di sinistra, a uno sciopero generale contro la militarizzazione delle ferrovie e per la pace con la Russia. L’obiettivo dello sciopero era il rovesciamento del governo Daszinskij – Witos e quindi l’ottenimento della pace. I bundisti nei consigli cittadini denunciarono la guerra, chiedendo una pace immediata. L’8 luglio del 1920 Erlich fece un appassionato discorso al consiglio cittadino di Varsavia: “Per cosa stiamo combattendo?” chiese “Per un territorio che non ci appartiene”. Affermò che la guerra era fatta per fare della Polonia una potenza imperialistica, e per distruggere ogni speranza di socialismo in Russia234. Quando ebbe finito di parlare davanti all’affollata riunione, qualcuno iniziò a gridare “Linciatelo!”, e i cinque consiglieri bundisti dovettero allontanarsi. Nel frattempo il governo polacco fece circolare un documento che diceva che il Bund aveva ricevuto 10 milioni di rubli dai sovietici come ricompensa per l’aiuto ricevuto. La stampa polacca accusò il Bund di essere alleato con il nemico, e chiese che fosse messo fuorilegge. Quando le truppe bolsceviche circondarono Varsavia l’isteria anti-bundista si fece ancor maggiore: i circoli culturali, sindacati, cooperative, scuole e gruppi giovanili di orientamento bundista furono oggetto di attacchi. Tra gli arrestati in questo periodo vi furono Yudel Fink (editore

233 Il testo della risoluzione è in S. Zachariasz, Di Kommunistiche Bavegung Tsvishn der Idisher Arbeiter Bafelkerung in Polyn, 1954 234 Robotnik Zydowski, luglio – agosto 1920 71 dell’Arbeter Shtime, che fu chiuso) e i consiglieri cittadini bundisti di Varsavia, Piotrkow, Lodz, Lvov e altre città minori. A Lublino e Chelmno le sedi sindacali e le mense furono distrutte. Il Comitato Centrale dei Sindacati Ebraici di Varsavia riportò che la maggior parte dei propri attivisti (quasi tutti bundisti) erano stati arrestati, e i propri 30.000 membri non avevano un gruppo dirigente. Di fatto il Bund fu messo fuorilegge, e dovette riprendere la produzione clandestina di volantini e opuscoli. La repressione del 1920 fu un duro colpo per il Bund, e la linea opposta sulla guerra segnò una profonda spaccatura tra il PPS e i bundisti. Questi ultimi, almeno temporaneamente, virarono con decisione a sinistra, guardando ai bolscevichi.

72 8. LA RESA DEI CONTI DEL 1921

La fine del Bund in Russia. Nel 1920 in Russia il percorso verso la liquidazione dei partiti ebraici, e del Bund in particolare, era già ampiamente avviato. Tuttavia il Partito Comunista Russo era ben consapevole della resistenza che avrebbe incontrato se avesse cercato di forzare i tempi per lo scioglimento del Bund, in particolare del suo nucleo storico in Bielorussia. Il Bund si era appellato alla neonata Internazionale Comunista per la definizione del proprio status organizzativo, anche se il Comintern già nel febbraio 1920 si era rifiutato di ammettere nei propri ranghi i borot’bisty (gli SR di sinistra). Nel novembre 1920 l’Esecutivo del Comintern chiese al Comitato Centrale del Bund e a quello del Partito Comunista Russo di formare una commissione, presieduta da un funzionario del Comintern, per elaborare i criteri in base ai quali il Bund potesse unirsi al Partito Comunista. Krestinskij, Preobrazenskij e Chemeriskij rappresentarono i comunisti, mentre Esther Frumkin, Veinshtain e Moshe Litvakov rappresentarono il Bund comunista e gli Unitari, ora riuniti in un Komfarband bielorusso. Presidente della commissione fu nominato il funzionario bulgaro dell’Internazionale Shablin. La situazione politica russa nel frattempo volgeva a favore del potere comunista, ma la base del Komfarband premeva affinchè fosse mantenuta l’autonomia organizzativa del socialismo ebraico. 400 lavoratori di Minsk avevano inviato un telegramma (e non era il solo) che invitava i propri rappresentanti nella commissione a “difendere energicamente i principi organizzativi del Bund”235, quali erano stati ribaditi alla Dodicesima Conferenza a Gomel. La proposta presentata dai rappresentanti del Bund dichiarava che “Il Bund entra nel PCR come organizzazione comunista del proletariato ebraico, senza limiti geografici per quanto riguarda la propria attività”. Ciò era né più né meno la richiesta del Bund rigettata da Lenin nel 1903. I bundisti comunisti chiesero anche l’autonomia nell’agitazione, nella propaganda e nell’organizzazione, nel senso che l’organizzazione comunista ebraica avrebbe avuto proprie organizzazioni locali, organi centrali, congressi, rappresentanti nel comitato centrale del PCR, e delegati ai congressi internazionali. Il Bund fece riferimento anche al programma nazionale adottato alla Dodicesima Conferenza e chiese di avere relazioni dirette con “organizzazioni simili all’estero e sotto occupazione”. Il Bund avrebbe assorbito le sezioni ebraiche e la nuova organizzazione si sarebbe chiamata “Unione Generale dei Lavoratori Ebrei”236. Chiaramente tutto ciò era inaccettabile per il PCR. Le proposte del Bund furono il beau geste di un partito orgoglioso della propria storia, e determinato a difendere l’onore rivoluzionario. Ma esse vennero in una fase in cui il PCR stava combattendo anche le proprie opposizioni interne, l’Opposizione Operaia di Aleksandra Kollontaj e il Centralismo Democratico di Nikolaj Osinskij, e anche all’interno del Comitato Centrale bolscevico non mancavano le divisioni sulla questione della disciplina di partito e del centralismo. Un’ondata di scioperi a Pietrogrado nel febbraio 1921 e la ribellione di Kronstadt del mese successivo spinsero i bolscevichi a schiacciare i gruppi interni al partito riluttanti a sottoporsi alla più ferrea disciplina. Ciononostante, la commissione che discuteva la posizione del Bund nel PCR svolse diverse riunioni, in cui entrambe le parti difesero le rispettive posizioni. Il Bund vinse una schermaglia quando ottenne che un rappresentante del proprio centro fosse assegnato all’Ufficio Centrale delle Sezioni Ebraiche in qualità di osservatore. In una lettera a Krestinskij, Rafes scrisse che anche alcuni membri delle Evsektsiia erano “psicologicamente e politicamente comunisti a metà”237, poiché non erano in grado di subordinare gli interessi del lavoro ebraico a quelli del partito, e suggerì che l’atteggiamento negativo del PCR verso i comunisti ebrei avrebbe rafforzato le tendenze separatiste tra i lavoratori ebrei. Rafes aggiunse che alcuni membri delle Evsektsiia gli parevano pronti a entrare nel Bund, e chiese che alla luce di questi fenomeni il processo di fusione non fosse troppo accelerato.

235 A. Kirzhnitz, Der Bund un di komunistishe partai in Rusland, 1921 236 Shlomo Agursky, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunistische sektsies, 1928 237 ibidem 73 Naturalmente Krestinskij non si lasciò convincere. Non era il PCR bensì il Komfarband che doveva rallentare. La commissione era ferma sulla contrapposizione tra i tre bolscevichi e i tre bundisti, ma il parere del presidente Shablin la faceva pendere verso i primi. La disputa proseguì, e nel febbraio 1921 Veinshtain apparve pronto ad accettare l’ingresso del Komfarband nel PCR senza condizioni. Ma Esther Frumkin era contraria alla capitolazione, e Veinshtain decise a sua volta di continuare la lotta. Alla fine il Comitato Centrale del Bund con un voto di 6 a 5 decise di accettare la decisione della fusione incondizionata, ma solo se vi fosse stata anche l’approvazione dell’Esecutivo del Comintern. In tal modo i bundisti speravano di salvarsi dall’estinzione, ma l’Esecutivo approvò senza problemi la raccomandazione della commissione sulla fusione incondizionata. “La decisione della commissione…ovviamente non fu apprezzata neanche dai comunisti più convinti del Bund. Era chiaro a tutti che la liquidazione del Bund fosse un duro colpo per il movimento operaio ebraico”238. Molte organizzazioni locali del Bund vacillarono, e Der Veker biasimò quell’atto che “ha spezzato il filo conduttore del movimento operaio ebraico”239. L’organizzazione di Mogilev rigettò in toto la decisione, definendola un “crimine violento” e chiedendo che la questione venisse rimessa al Terzo Congresso dell’Internazionale Comunista. Ma fu l’organizzazione di Minsk che espresse il sentimento prevalente. Essa si dichiarò contraria alla decisione dell’Esecutivo del Comintern, ma aggiunse che “In questo periodo di transizione le forze comuniste non possono essere disperse”, e auspicò che “nei ranghi del PCR porteremo avanti una lotta legale per i nostri principi organizzativi, e sicuramente arriveremo alla vittoria”240. Esther Frumkin, alcuni giorni prima della Conferenza Straordinaria che doveva riunirsi per decidere se accettare o no la fusione, scrisse su Der Veker:

Che sia chiaro e lampante, in questo momento finale, che qualunque cosa accada al nome del Bund, alla forma del Bund, qualunque decisione prenda la conferenza, il bundismo vivrà finchè vive il proletariato ebraico, e il bundismo vivrà e sarà trionfante!

L’ultimo atto del dramma andò in scena a Minsk il 5 marzo 1921. Tutti i partiti politici, eccetto quello bolscevico, erano stati liquidati o resi totalmente inoffensivi. In capo a tre giorni, il Decimo Congresso del Partito Comunista si sarebbe riunito per vietare il frazionismo al proprio interno. In tale clima 73 delegati del Komfarband, in rappresentanza di circa 3000 militanti, si riunirono per eliminare i resti del Bund, un’operazione che i bolscevichi avrebbero svolto essi stessi qualora i bundisti si fossero rifiutati. Nessuno dubitava dell’esito della conferenza, e l’unica incertezza era se la minoranza avrebbe accettato la decisione di liquidare il partito. Alcuni delegati attaccarono aspramente i rappresentanti bundisti alla commissione Shablin, accusandoli di tradimento. Esther Frumkin li difese e con un toccante intervento si assunse la dolorosa responsabilità:

Ci potete costringere, ci potere distruggere, ma non ci potete cancellare. Noi restiamo ciò che eravamo. Compagni, potete davvero immaginare che il Bund raggiunga un punto in cui i suoi stessi dirigenti lo possano tradire?...Dimostriamo che la forma del Bund ha così plasmato il movimento operaio ebraico che quest’ultimo sopravviverà senza il Bund, e guiderà la nazione proletaria ebraica. Da questo punto di vista dobbiamo guardare ai vertici, che vi guideranno ancora nella lotta. I vertici sono addolorati più di tutti, proprio perché sono i vertici…241

La Frumkin affermò di essere stata contraria all’ingresso del Bund nel PCR, ma che aveva considerato la propria contrarietà un fatto personale e dunque aveva taciuto. Ma “comincio a rendermi conto che ciò che ritenevo un fatto personale in realtà è condiviso da numerosi bundisti. Non lasciamo dunque che ciò diventi argomento di discussione; che rimanga una testimonianza umana, utile ad alcuni compagni a risolvere i propri conflitti interiori”. La scelta per il Bund si era ridotta a entrare nel PCR o rimanere una piccola setta. Esther aveva scelto la prima, anche se voleva dire

238 A. Kirzhnitz, Der Bund un di komunistishe partai in Rusland, 1921 239 In Shlomo Agurskij, Di yidishe komisariatn un di yidishe kommunitische sektsies, 1928 240 ibidem 241 ibidem 74

Assumersi tutte le responsabilità di un comunista, pur non avendone i diritti…E perché fui pronta a imporre a noi stessi…questo indubbio sacrificio? Nell’ottica di salvare l’idea del Bund, nell’ottica di preservare il Bund come apparato fino al momento inevitabile (tuttora ne sono convinta) in cui il PCR riconoscerà i nostri principi organizzativi, nell’ottica di preservare il grande patrimonio costruito con il sangue e le lacrime del proletariato ebraico, mantenuto con le speranze e le sofferenze di generazioni di combattenti, nel ricordo di grandi traguardi. Dico grandi traguardi poiché la rivoluzione che il Bund ha compiuto ponendo il lavoratore ebreo all’avanguardia del movimento operaio russo, fu probabilmente più grande della transizione al comunismo compiuta negli ultimi anni. Ora dobbiamo scalare un’altra montagna ancora più alta, un Monte Bianco. Trent’anni fa siamo venuti fuori da una tomba millenaria…Tradizione? Emozioni? No! Questa è forza viva!242

Sarebbe stato difficile “sottometterci nel lavoro comunista e sovietico a quei comunisti che sono meno capaci di noi, e fanno più errori di quanti ne faremmo noi” – chiaro riferimento alle Evsektsiia – “…ma tutti noi trarremo conforto dalla consapevolezza che in questa maniera ci assumiamo le responsabilità del Bund, e che in questo modo preserviamo il Bund anche per le masse ebraiche degli altri paesi”243. Esther chiarì nettamente che considerava la fusione un’operazione di salvataggio, concepita per mantenere l’influenza del Bund nel Partito Comunista. Di certo sia lei che molti altri bundisti entrarono nel PCR con la ferma quanto illusoria convinzione che la politica bolscevica sarebbe cambiata, e che i principi dell’autonomia bundista si sarebbero affermati. Veinshtain espresse sentimenti simili in una forma più razionale. Affermò che “siamo di fronte al dilemma tra l’esistenza indipendente e le sezioni, con la speranza di essere in grado di riformare le sezioni e renderle rispondenti ai bisogni del proletariato ebraico”244. Ribadì la propria fiducia nell’attività autonoma del lavoratore ebreo. “Noi restiamo fedeli a questa prospettiva. Questo è il nostro bundismo, questo è il Bund. Non uno di noi ha smesso di essere un bundista, né smetterà di esserlo. Dunque posso concludere il mio intervento affermando: lunga vita al bundismo, lunga vita al Bund!”245. Dopo una serie di altri drammatici interventi, la maggioranza presentò la propria risoluzione:

La conferenza è del parere che il movimento operaio ebraico, all’interno del Partito Comunista, presto o tardi assumerà la struttura normale e corretta che a suo tempo gli è stata data dal Bund; l’evoluzione futura del PCR, insieme al grande rafforzamento del comunismo, renderà inevitabile la realizzazione di questa struttura. Tenendo conto di ciò, la conferenza stabilisce che l’ordine della commissione del Comintern, riguardante la fusione tra il Bund e il PCR, è accettato.246

La risoluzione finale, una breve e concisa sentenza di morte, fu approvata da 47 delegati con l’accompagnamento di “grida isteriche e pianti da parte di alcuni partecipanti”247. I 26 astenuti a quel punto dichiararono il proprio rispetto della decisione della maggioranza. La conferenza continuò, allo scopo di elaborare documenti esplicativi e appelli agli iscritti più riluttanti. Il Bund si rivolse ai propri militanti come un padre perseguitato dai sensi di colpa ai propri figli inconsapevoli.

Lavoratori ebrei! Il Bund non vi sta abbandonando. Esso resta con voi. Vi dirige sotto le insegne del Partito Comunista panrusso. Lavoratori ebrei! Su col morale, abbiate fiducia, siate fedeli all’Unione dei Lavoratori Ebrei e alla sua grande alleanza dalla quale emergerà l’organizzazione del proletariato ebraico…248

242 Der Veker, 18 febbraio 1921 243 ibidem 244 Der Veker, 7 marzo 1921 245 ibidem 246 Der Veker, 16 marzo 1921 247 ibidem 248 Shlomo Agurskij, Der idisher arbeter in der komunistisher bavegung , 1925 75 Anche dopo la morte del Bund, il suo fantasma continuò ad aleggiare tra i vecchi dirigenti, che all’interno del PCR provarono a salvaguardare la propria posizione e influenza precedenti. Veinshtain ottenne di avere tre membri del Bund invece che due all’Ufficio Centrale delle Sezioni Ebraiche, il mantenimento dei nomi bundisti dei circoli operai, e il nome dei giornali, che ora diventavano organi delle Evsektsiia. Tutti i membri del Bund potevano diventare membri del PCR su approvazione di commissioni locali composte ciascuna da un rappresentante del Bund, uno del PCR e uno delle Evsekstiia. Agli ex bundisti non era richiesto alcun periodo di candidatura per diventare membri del PCR, lo stesso privilegio che era stato accordato ai borot’bisty. La fusione vera e propria iniziò nell’aprile 1921. L’organizzazione del Bund di Minsk, una delle città natali del partito, celebrò la fusione con una drammatica cerimonia. 175 bundisti, un numero ridottissimo rispetto all’epoca pre-bolscevica, marciarono coi propri vessilli fino a un teatro e, in abiti militari, li consegnarono ai rappresentanti del Partito Comunista Bielorusso. Il Bund socialdemocratico condusse un’esistenza semi-clandestina, criticando le Evsektsiia nelle occasioni pubbliche in cui ne aveva la possibilità, ma le sue tracce sono molto scarse. Nel febbraio 1923 comparve a Mosca un Bollettino del Comitato Centrale del Bund, recante il numero 26, che parlava di “organizzazioni del Bund e del POSDR di Mosca e Vitebsk”.

Pochi bundisti passano alle Evsektsiia. Nel 1917 il Bund contava circa 33.000 membri. Molti di questi negli anni tra il 1918 e il 1921 si ritrovarono al di fuori dello stato sovietico, e probabilmente è impossibile quantificare quanti di questi 33.000 vi risiedessero nel 1921. Ciononostante il numero è presumibilmente molto maggiore dei 6.000 tra bundisti e Unitari che complessivamente componevano in quegli anni il Komfarband bielorusso (2.000) e il Komfarband ucraino (4.000). Dal momento che il Bund socialdemocratico contava meno membri dei Komfarband, il numero totale degli ebrei di area bundista nel 1921 non dovrebbe superare gli 11.000. Ciò indica che tra il 1917 e il 1921 un gran numero di bundisti si erano ritirati dalla politica attiva, o per disaccordo con le tendenze prevalenti nel Bund, o per sfiducia nel futuro, o perché la guerra civile impose loro la lotta per la sopravvivenza davanti al lusso dell’attività politica. I dati precisi sul numero di militanti del Komfarband entrati nel PCR nel 1921 non sono reperibili. Agurskij afferma che essi furono circa 2.000. Dall’organizzazione di Minsk arrivarono 175 bundisti, da Mosca soltanto 115, di cui 20 operai. Agurskij e Chemeriskij citano dati del 1925 secondo i quali 2.799 ex bundisti facevano parte del Partito Comunista su un totale di circa 700.000 membri, di cui 31.200 ebrei. Gli ex bundisti nel 1925 erano quindi lo 0,4% del totale e il 9% dei membri ebrei. Questi dati sono segno che una grande quantità di ex bundisti non entrarono nel Partito Comunista, e che numerosi ebrei senza precedente affiliazione al Bund entrarono nel Partito con le nuove leve. Bisogna anche tener conto che probabilmente molti ex bundisti entrati nel Partito possono avere nascosto la propria precedente affiliazione, dunque il numero di 2.799 del 1925 può essere in realtà più alto. Inoltre, è da sottolineare che nel 1921 - 22 circa 6.000 ex membri di altri partiti socialisti entrati nel Partito Comunista furono espulsi: un terzo di loro erano ex menscevichi, e tra di loro è presumibile che vi fossero diversi bundisti. Un osservatore descrisse una sessione di una commissione per le epurazioni, alla quale era stato presente:

Spesso agli ex bundisti veniva chiesto: se ora tu fossi in Polonia, in quale partito lavoreresti? Spesso essi davano la seguente risposta: in Polonia lavorerei per il Bund. La ragione era che qui nella Russia sovietica il Bund non esiste più, e quindi si trova nel Partito Comunista, ma il Polonia un Bund esiste ancora.

A quanto pare i pochi bundisti che entrarono nel Partito Comunista andarono comunque a occupare incarichi nelle Sezioni Ebraiche piuttosto che nel lavoro generale del partito, e in genere questi incarichi furono di un certo rilievo. Alla quarta conferenza panrussa delle Evsektsiia, nel 1921, parteciparono 144 delegati dei quali 116 avevano fatto parte del Bund (86) o degli Unitari (30). Ma ciò accadde prima della purga dell’inverno 1921 – 22, che decimò il numero dei membri del PCR provenienti dal Bund. Dei quindici membri del Comitato Centrale del Bund eletti alla Decima Conferenza, nell’aprile 1917, almeno quattro fecero parte delle Evsektsiia (Veinshtain, la Frumkin, Rafes e Chemeriskij) mentre altri tre (tra cui Zaslavskij) entrarono nel PCR. Dei 18 delegati del Bund all’Assemblea Costituente, sciolta dai bolscevichi nel gennaio 1918, solo i summenzionati quattro

76 divennero membri delle Evsektsiia. Un quinto delegato, Zolotariov, entrò nel PCR, e un sesto, David Lipetz, in seguito divenne capo della scuola di formazione dell’Armata Rossa, col nome di Generale Petrovskij. Probabilmente la scissione del Bund fu meno traumatica per i dirigenti e i militanti ucraini piuttosto che per quelli in Bielorussia, ove il partito aveva una storia pluridecennale e gloriosa. Nel 1918 David Zaslavskij scrisse del bundista ucraino Rafes che “egli ha fatto dell’opportunismo una professione adatta a sé. Non teme la sconfitta, perché riesce sempre a cavarsela. Ha una predisposizione al compromesso, e quando la democrazia trionfa è democratico, in epoca di autonomia è un’autonomista, quando arrivano i bolscevichi…è un bolscevico…Tutte le questioni programmatiche le trasforma in questioni di tattica, e in tal modo riesce a cambiare posizione con tanta facilità”249. Tutt’altro temperamento era quello di Veinshtain o Ester Frumkin, due dirigenti profondamente fedeli ai principi del Bund e che vissero la fine dell’organizzazione in maniera molto più drammatica.

Il Bund polacco e il Comintern. Dopo che nel luglio 1920 il Secondo Congresso della Terza Internazionale ebbe approvato i celebri “21 punti” come condizioni per l’adesione dei singoli partiti nazionali all’organizzazione, il Bund polacco si trovò a discutere profondamente la questione, in particolare due punti che risultavano inaccettabili per molti militanti, anche dell’ala sinistra pro-bolscevica. Il due punti in questione erano il 7 e il 21. Il punto 7 affermava:

I partiti desiderosi di entrare nell’Internazionale Comunista devono riconoscere la necessità di una completa e assoluta rottura con il riformismo e la politica dei centristi e devono lavorare per la rottura con la base più ampia del partito, senza la quale una coerente politica comunista è impossibile. L’Internazionale Comunista chiede incondizionatamente e perentoriamente che tale rottura avvenga nel più breve tempo possibile…

Il punto 21 diceva che “quei membri del partito che rifiutano per principio le condizioni e le tesi della Terza Internazionale devono essere espulsi dal partito”. Le altre diciannove condizioni erano accettabili per la maggior parte dei socialisti di sinistra, ma queste due no. Essi significavano che il Bund si sarebbe dovuto dividere, e che i dirigenti che obiettavano a una qualsiasi decisione del Comintern, per quanto ridicola essa potesse apparire alla luce delle specifiche situazioni nazionali, dovessero essere espulsi. L’espulsione dei dirigenti in disaccordo avrebbe voluto dire l’isolamento politico, e la dipendenza del Bund dai dirigenti del Comintern, il quale a sua volta era egemonizzato dai russi. La pubblicazione dei 21 punti generò un lungo e aspro dibattito nel Bund polacco, delineando delle fazioni al suo interno. L’ala sinistra si divise ulteriormente in due gruppi, uno a favore dell’accettazione di soli diciannove punti, e l’altra per l’accettazione di tutti e 21. All’interno del Comitato Centrale, i pro-Comintern risultarono in minoranza quando due di loro annunciarono che non avrebbero accettato tutte le 21 condizioni. Il Comitato Centrale si pronunciò a favore di soli diciassette punti, ed espresse l’auspicio che ciononostante il successivo congresso dell’Internazionale avrebbe ugualmente consentito l’adesione del Bund. In particolare rifiutò categoricamente di espellere i dirigenti centristi o moderati, o che i giornali di partito fossero controllati da esponenti comunisti. I comunisti immediatamente lanciarono una campagna contro i dirigenti del Bund, allo scopo di rimpiazzarli con altri disposti ad accettare le 21 condizioni. Il Bund russo, in uno dei propri ultimi atti prima di essere assorbito nel Partito Comunista, inviò un messaggio ai membri del Bund polacco esortandoli a modificare la decisione del Comitato Centrale e ad accettare le condizioni poste da Mosca. Il messaggio diceva:

Ai lavoratori ebrei di Polonia! Essendo stati informati che il Comitato Centrale del Bund in Polonia ha approvato una risoluzione che respinge i 21 punti per l’ammissione alla Internazionale Comunista, il plenum del Comitato Centrale del Bund delle repubbliche sovietiche federate si rivolge alle masse operaie ebraiche di Polonia, che sono organizzate sotto la bandiera del Bund, con il seguente appello: “Dichiarate guerra totale contro questa

249 Iskra (Kiev), 31 dicembre 1918. 77 risoluzione! Condannate senza pietà il tradimento di questo gruppo di falsi dirigenti, come un sol uomo unitevi sotto la bandiera dell’Internazionale Comunista!”.250

Un altro messaggio rivolto ai membri del Bund polacco, invitandoli a espellere i loro dirigenti e a capovolgere le decisioni del Comitato Centrale, fu inviato dall’Esecutivo del Comintern. La missiva era uguale ad altre inviate a tutte le fazioni di sinistra dei partiti socialisti che avevano respinto le 21 condizioni; l’obiettivo era, secondo un bundista comunista, migliorare la posizione delle fazioni comuniste provocando una rottura formale all’interno di ciascun partito. L’effetto della lettera fu di acuire la lotta interna; all’interno del Bund si formò una frazione comunista organizzata, la Kombundishe Fraktsie. La fazione adottò una propria piattaforma, che accettava i 21 punti e aggiungeva di non avere intenzione di costituire un’organizzazione separata, ma di voler entrare nel Partito Comunista di Polonia. Il Comintern a questo punto lanciò un secondo attacco ai dirigenti del Bund rivolgendosi nuovamente ai militanti della base. Affermò che i dirigenti del Bund avevano adottato un “atteggiamento centrista, riformista…controrivoluzionario…”. I dirigenti del Bund avevano assunto una posizione anticomunista, scrisse il Comintern, e l’ala sinistra non faceva alcun tentativo di contrastarla.

Abbiamo davanti a noi una vecchia organizzazione operaia pervasa da forti tradizioni socialdemocratiche e in parte nazionaliste, che ha attraversato la guerra e la rivoluzione senza scissioni ed è egemonizzata da un gruppo di confusi centristi. C’è un’ala sinistra nel partito, sostenuta da una considerevole parte dei lavoratori organizzati nel Bund, che sviluppa una forte e diretta simpatia verso il comunismo, ma purtroppo manca di lucidità e risolutezza. Il primo compito di questi elementi è di organizzarsi in una fazione solida e consapevole, fare proprie senza riserve le posizioni della Terza Internazionale e dei suoi congressi, e intraprendere una decisa lotta contro i centristi e i nazionalisti, per la conquista della maggioranza del partito. Sarà dovere di questi compagni non solo riconoscere la leadership spirituale del Comintern, ma anche cooperare senza indugi e al massimo grado con il Partito Comunista di Polonia.251

Questa seconda lettera mandò il Bund ancor più in fibrillazione. Gruppi di bundisti pro- Comintern, in particolare a Lodz, provarono a persuadere la maggioranza dei membri ad accettare le 21 condizioni. La Kombundishe Fraktsie si mise a collaborare strettamente con la Sezione Ebraica del KPP. I gruppi pro-Comintern dentro il Bund furono particolarmente insistenti verso i membri di sinistra del Bund, cercando di spingerli a “chiarire la loro posizione rispetto al Comintern”252. Il Bund sperava ancora in un alleggerimento delle 21 condizioni, e inviò tre emissari per negoziare con il Comintern. Il primo di costoro, Emanuel Novogrodskij, fautore dei “19 punti”, partì nell’autunno del 1920, quando la guerra russo – polacca era ancora in corso. L’incontro doveva svolgersi a Kovno, vicino alla frontiera. Per raggiungere Kovno Novogrodskij dovette compiere un lungo giro, lasciando il proprio bagaglio a Grodno. A Kovno incontrò segretamente gli inviati del Comintern, e fu concordato che avrebbe viaggiato fino a Mosca su un treno di soldati dell’Armata Rossa. Il viaggio ebbe molti rinvii, e questo fu uno dei motivi per cui i comunisti furono poco propensi a conferire con lui. Gli altri due emissari, e Chaim Vasser, furono inviati come delegati osservatori al Terzo Congresso del Comintern, nel 1921. Alter fu arrestato poco dopo il suo arrivo, e dopo un lungo periodo di tempo fu espulso dalla Russia per “sconfinamento nella Repubblica sovietica”. Vasser non ebbe mai accesso al Congresso del Comintern, e quest’ultimo riportò che la delegazione “non ottenne i risultati desiderati”253. Anche un dirigente della Kombundishe Fraktsie del Bund polacco, Pinkus Minc, in questo periodo si recò a Mosca per ricevere istruzioni dai dirigenti del Comintern. Con difficoltà egli viaggiò da Varsavia alla capitale sovietica, e qui si incontrò con Veinshtain. Quest’ultimo voleva

250 Dos Fraie Vort, 19 marzo 1921 251 Bollettino dell’Esecutivo del Comintern, settembre 1921 252 Der Emes, 18 novembre 1921 253 Bollettino dell’Esecutivo del Comintern, settembre 1921 78 che il Bund polacco cacciasse la propria ala destra e si trasformasse in un partito comunista. Suggerì che il Bund se avesse agito in fretta avrebbe potuto rimanere un’organizzazione separata dentro il Comintern. “Se avessimo sostenuto subito i bolscevichi, avremmo potuto salvare il Bund russo” – disse a Minc – “Vai in Polonia, dividi il Bund, liberati dell’ala destra e verrai accettato nel Comintern. Non ripetere i nostri errori, aspettando fino a che sarà troppo tardi. Dividi il Bund”254. Vainshtein assicurò a Minc che un Kombund polacco sarebbe stato ammesso nel Comintern. Minc diede la propria disponibilità, e rientrò in Polonia. La missione segreta di Minc fu scoperta dal Bund quando Stefan Krulikowskij, un dirigente del KPP, inavvertitamente disse a un dirigente della destra bundista che Mosca aveva ordinato al compagno Alexander (uno pseudonimo usato da Minc) di ritornare a Varsavia con il preciso compito di disgregare il partito, spingendo per la scissione. Convocato di fronte al Comitato Centrale, Minc ammise la cosa e fu espulso dal Bund255. Il Comintern inviò altri due agenti a Varsavia nel tentativo di dividere il Bund: Jacob Levine e Moshe Rafes. Entrambi erano stati importanti bundisti prima della rivoluzione: Levine aveva lavorato nel Bund clandestino prima della guerra, e Rafes era stato il rappresentante del Bund nella Rada ucraina. Forse se i bolscevichi avessero fatto maggiori concessioni sul piano dell’autonomia nazional culturale, a maggior ragione mentre l’antisemitismo in Polonia imperversava, i bundisti polacchi si sarebbero lasciati assorbire dal Partito Comunista. Ma l’autonomia nazional culturale era in contrasto coi dogmi bolscevichi. Prima della rivoluzione d’Ottobre, sia i bolscevichi che i socialdemocratici polacchi si erano opposti a qualunque forma di autonomia nazional culturale. Dopo la rivoluzione i bolscevichi, sotto la pressione delle mutate condizioni, fecero diverse concessioni a quello che prima avevano definito il “separatismo ebraico”. Le sezioni ebraiche del Partito Comunista in Ucraina e Bielorussia allestirono delle scuole e dei circoli di cultura yiddish, e in alcuni soviet locali l’yiddish fu ammesso come lingua ufficiale. Le iniziative delle Evsektsiia in Russia influenzarono anche la linea del KPP in Polonia, che introdusse elementi di autonomia nazional culturale attraverso le proprie sezioni ebraiche, pur senza rinunciare al rigido controllo centrale su dette sezioni. La maggior parte dei bundisti polacchi, tuttavia, nonostante le concessioni sul piano dell’autonomia nazional culturale non volevano rinunciare all’autonomia organizzativa del Bund; volevano mantenere una posizione intermedia tra il nazionalismo del PPS e l’orientamento apertamente pro-moscovita del KPP. Alla fine, per prendere una decisione una volta per tutte, nel dicembre 1921 fu convocato il Secondo Congresso del Bund polacco, nella Città Libera di Danzica, poco oltre il confine. A causa della repressione poliziesca nei confronti degli ebrei socialisti in genere, era sconsigliabile tenere un’assise di quel tipo in territorio polacco. Nonostante a Danzica vi fosse un governo relativamente tollerante fu deciso di mantenere una dimensione clandestina al congresso, per timore degli agenti della polizia polacca che risiedevano in quella città. In vista del congresso si delinearono tre fazioni: la sinistra, che accettava 19 delle 21 condizioni; la Kombundishe Fraktsie (più semplicemente Kombund), che era per l’accettazione delle 21 condizioni; e il “centro-destra”, che considerava le condizioni totalmente inaccettabili, sebbene fosse disposto ad accogliere con riserva 16 di esse. La destra, una volta egemone, era troppo debole per presentarsi autonomamente, e si schierò con il centro. Dei 49 delegati, eletti con voto segreto su base proporzionale, 26 erano della sinistra, 17 del centro-destra e 6 del Kombund. Un tentativo di creare una mozione intermedia che mettesse d’accordo le tre fazioni non ebbe buon esito256. Sembrò chiaro fin dall’inizio che la sinistra avrebbe controllato il congresso e che il Kombund avrebbe lasciato il Bund. Il presidium del congresso, composto di due sinistri e un centrista, si rifiutò di permettere a Rafes, rappresentante ufficiale del Comintern, di presenziare alle sessioni.

254 Pinkus Minc, The History of a False Illusion, 1954 255 Bernard Goldstein, Tsvantsik Yor in Varshever Bund, 1960. Negli anni ‘30 Minc lasciò i comunisti e rientrò nel Bund. 256 Folkstseitung, 17 febbraio 1922 79 Il dibattito sull’affiliazione o meno al Comintern dominò il congresso. Ogni fazione presentò la propria posizione, e la argomentò nei dettagli, ma nessuna posizione fu modificata in seguito la dibattito. Il rappresentante del centrodestra intervenne affermando che la posizione del Comintern non era concepita per sviluppare un’internazionale di socialisti rivoluzionari, o di rafforzare il socialismo internazionale. Piuttosto, l’obiettivo dei 21 punti era di “imporre l’idea di un ferreo controllo centralistico”. La tattica della scissione, disse, poteva solo condurre a un indebolimento delle forze della rivoluzione sociale, e a un rafforzamento delle forze del capitalismo e della reazione. “Le scissioni nei partiti socialisti dell’Europa occidentale sono state un crimine, specialmente per il fatto che sono avvenute mentre l’onda rivoluzionaria era in fase calante”257. Per il centro-destra era ovvio che il Comintern non avesse intenzione di fare compromessi sui 21 punti, e che dunque ogni illusione che il Bund potesse ancora contrattare il proprio ingresso nella Terza Internazionale era ridicola. La sola strada per l’adesione sarebbe stata attraverso la capitolazione; e in quel modo il partito avrebbe cessato di esistere. Per la fazione di centro-destra, la fine del Bund come prezzo per l’affiliazione al Comintern era inaccettabile: “L’ingresso del Comintern non può essere pagato a spese dell’esistenza del movimento operaio ebraico”258. La posizione della sinistra era sempre la stessa; essa si considerava ideologicamente legata al Comintern, ma respingeva l’imposizione dei 21 punti. Il Kombund insistette che “I 21 punti sono un tutt’uno, e devono essere accettati tutti, senza eccezione. Il partito deve dividersi, e unirsi al Comintern”259. Accettare I 21 punti non avrebbe significato la liquidazione del Bund poichè vi sarebbe stato ancora spazio per un’attività socialista ebraica indipendente. Il Kombund voleva l’unità con il KPP, ma per prima cosa era necessario accettare i 21 punti: soltanto questo avrebbe sancito che il Bund fosse un partito genuinamente marxista. Come ci si aspettava, il congresso adottò la posizione della maggioranza di sinistra. Esso proclamò la propria stretta affinità con il Comintern, e quindi decise di respingere I 21 punti.

I 21 punti sono concepiti per garantire ai partiti la possibilità di portare avanti la lotta di classe. Queste utili direttive tuttavia qui non sono necessarie. Da un punto di vista pratico, i 21 punti devono essere adattati distintamente alle condizioni concrete di ogni partito. La divisione invocata dai 21 punti renderebbe il proletariato ebraico incapace di assolvere ai suoi compiti. In questo momento, in cui i lavoratori ebrei abbisognano di tutto il potere possibile, una divisione avrebbe un effetto disastroso. Vorrebbe dire la liquidazione e la distruzione del Bund. Non è un segreto che il movimento operaio ebraico è accusato di sciovinismo, psicologia del ghetto eccetera, ogniqualvolta chiede autonomia. Ciò è indice di mancanza di comprensione dei bisogni minimi degli ebrei. Il problema è complicato dal rifiuto di accettare l’idea che solo in una salutare condizione di autonomia vi sono speranze. I socialisti ebrei necessitano di un’esistenza politica indipendente. Il Bund fa appello all’unità generale dei movimenti operai – con al loro interno un movimento operaio ebraico autonomo. La classe operaia ebraica ha scelto di costruire una sezione autonoma – poichè soltanto in autonomia può risolvere i propri problemi specifici.260

Il Bund qui ribadì la posizione assunta 18 mesi prima a Cracovia, con una significativa differenza: ora sapeva di non poter entrare nel Comintern. Il congresso sottolineò che il Bund era fuori dal Comintern solo perchè non poteva accettare tutti i 21 punti, e non per ragioni di principio. I bundisti ribadirono il proprio desiderio di essere ammessi, e la propria opposizione all’Internazionale Socialista o a qualunque tentativo di costituire una Internazionale rivoluzionaria “diluita”.

Ci sono due campi, la Seconda e la Terza Internazionale; ogni tentativo di organizzare qualcosa tra le due è un crimine. Il solo campo rivoluzionario è la Terza. La sua piattaforma è giusta, e giuste sono anche le tattiche. Ciò che è sbagliato è la sua insistenza per la nostra

257 Der Veker (New York), 18 marzo 1922 258 ibidem 259 ibidem 260 ibidem 80 scissione. Ciò significa che noi ufficialmente siamo fuori, ma che resteremo legati, ideologicamente, alla Terza Internazionale; le sue tattiche saranno le nostre tattiche.261

Sette degli undici membri del nuovo Comitato Centrale furono eletti dalla fazione di sinistra, e quattro dal centro-destra. Fu varato un nuovo insieme di regole statutarie per porre fine al dibattito interno al partito. Le fazioni organizzate furono proibite, il Comitato Centrale assunse compiti di controllo sulle strutture, e furono proibite le trattative individuali con altri partiti. Sebbene la discussione libera tra i bundisti e la differenza di opinione fossero consentita, queste vennero limitate all’interno dell’ambito di partito. Il Kombund non prese parte al dibattito congressuale dopo che fu sconfitto sulla questione dei 21 punti. Uno dei 6 delegati si ritirò immediatamente dal gruppo e si unì alla maggioranza di sinistra, lasciando il Kombund con soli 5 delegati su 49. I dirigenti del Kombund, alla luce della propria debolezza, decisero di rimanere nel Bund per un breve periodo e di promuovere divisioni a livello locale, in particolare a Varsavia, Lodz e Cracovia, dove avevano il maggiore seguito. L’espulsione di Minc rese evidente che la scissione andava compiuta con una certa celerità, prima che anche gli altri dirigenti del Kombund subissero la stessa sorte. Ma il piano incontrò quasi subito un altro ostacolo quando altri due delegati passarono con la maggioranza di sinistra.262 La tattica del Kombund fu di sostenere nelle assemblee locali che il Congresso di Danzica non era veramente rappresentativo del partito, che si basava su menzogne, e che si dovesse convocare immediatamente un’altra assise per capovolgerne le decisioni. Non riuscendo nell’intento, I kombundisti lasciarono le assemblee e formarono le proprie organizzazioni. Una conferenza di tali gruppi, detti kombund locali, ebbe luogo nel gennaio 1922, e costituì l’Unione del Lavoratori Ebrei Comunisti di Polonia (Kombund), affiliata al Comintern sulla base dei 21 punti. Il Bund socialista fu quasi immediatamente coinvolto in una lotta per il controllo del movimento sindacale. Il giornale del Kombund attaccò il Bund in quanto “organizzazione destrorsa, centrista e opportunista”, con un passato rivoluzionario ma nessun presente o futuro, e si augurò la sua disgregazione. Dentro i sindacati il Kombund si alleò con il KPP per disgregare e se possibile assumere il controllo delle associazioni operaie. Tra coloro che si avvicinarono ideologicamente al Kombund vi furono alcuni sindacalisti molto attivi, soprattutto i dirigenti del settore tessile, del cuoio e della carta. La lotta interna indusse molti lavoratori pro-Bund a lasciare l’attività sindacale; altri furono fisicamente allontanati. Il sindacato dei lavoratori del cuoio, una delle organizzazioni bundiste più forti nel movimento operaio polacco, finì quasi subito sotto il controllo del Kombund. Laddove i comunisti non riuscirono a ottenere il controllo sindacale, cercarono di attaccare il Bund fisicamente. I comunisti ricorsero a tirapugni, coltelli e a volte anche pistole per distruggere i sindacati bundisti; a questi attacchi parteciparono anche gruppi antisemiti e poliziotti fedeli al governo. “Siamo stati costretti a spendere il 90% delle energie nel respingere gli attacchi del Comintern” scrisse Henryk Erlich. Gli attacchi impedirono al Bund di compiere alcun tipo di lavoro organizzativo. Una volta il Kombund irruppe in un’assemblea bundista convocata per protestare contro le azioni antisemite del governo. La situazione si fece così seria che il plenum del Comitato Centrale della Federazione dei Sindacati fece una protesta formale.263 Nelle intenzioni del Comintern, il Kombund non doveva esistere più a lungo del periodo necessario a trasferire i bundisti di sinistra nel movimento comunista. A quel punto, il Kombund polacco sarebbe stato liquidato, proprio come era stato fatto con il suo corrispettivo russo. Ma la liquidazione era resa complessa a causa della ferma convinzione dei dirigenti del Kombund a mantenere un’organizzazione ebraica autonoma entro il movimento comunista polacco: questa era l’idea del gruppo capeggiato da Pinkus Minc. Tuttavia quando i comunisti si risolsero a liquidare il Kombund, esso ebbe vita breve. Inoltre, soltanto pochi bundisti erano entrati nella nuova organizzazione, approssimativamente un 10%. Anche il Partito Comunista Polacco non fu affatto entusiasta del Kombund; ne accettò la presenza sulla scena politica soltanto perché quelli erano gli ordini del Comintern. Le trattative per la fusione tra il KPP e il Kombund iniziarono quasi subito dopo la formazione di quest’ultimo. La questione centrale fu di carattere organizzativo, e non ideologico. Nel febbraio 1922 Moshe Rafes

261 Arbeiter Luakh (Varsavia), 1925 262 Der Emes, 5 febbraio 1922 263 Folkstseitung, 27 gennaio 1922 81 potè riferire a Mosca che “è quasi il momento che il Kombund e il KPP si uniscano in un unico partito, e per la prima volta in 30 anni di movimento operaio ebraico l’avanguardia del proletrariato ebraico e polacco si fonderanno in un partito di classe centralizzato”. Ma le cose non andarono esattamente come previsto; le discussioni furono lunghe, e fu necessario istituire una commissione congiunta per dirimerle. Alla fine, dopo alcuni mesi, rimase aperta solo una questione: se il Kombund avrebbe potuto continuare a svolgere attività separate nell’ottica di attrarre più lavoratori ebrei alla causa comunista. Il KPP fu irremovibile: non avrebbe permesso gruppi autonomi al proprio interno, e non avrebbe permesso alcuna azione al di fuori del proprio controllo. Alla fine il Kombund si arrese, e nel settembre 1922 si sciolse nel KPP.

Valutazione finale. Perché il Bund polacco riuscì a evitare la disgregazione? Tutte le condizioni per il collasso erano presenti: un’opposizione di sinistra dentro il partito, e un’opposizione anche più forte da parte del governo del paese. La scelta del Bund polacco di rimanere al di fuori del Comintern non fu ideologica: il Bund era pronto ad accettare la disciplina del Comintern, semplicemente rifiutò di aderire ai 21 punti per motivi organizzativi. Rafes, bundista divenuto comunista, tentò una spiegazione del fenomeno:

Divisioni e differenze: questa è stata la costante dei movimenti russi e polacchi durante i passati 25 anni. “Unità a qualunque prezzo” è stata la politica del Bund. Il Bund…passò in questi 25 anni attraverso molte difficoltà, e ne uscì indenne. Anche dopo la scissione del Bund in Ucraina e Bielorussia, Medem e Kosovsky affermarono che ciò era dovuto alla disorganizzazione dei movimenti operai ebraici nella repubblica dei soviet, e che in Polonia, dove vi era un movimento ebraico di massa, non ci sarebbe stata alcuna divisione.264

Anche Medem fornì una spiegazione del perché il Bund polacco non si disgregò in questo periodo. I partiti si dividono, scrisse,

…quando le differenze li rendono di fatto due organizzazioni distinte – differenze non solo teoriche ma anche su problemi pratici e di politica concreta. Un esempio è quando una fazione è favorevole a un regime vigente e l’altra invece vi si oppone. Tale fu il caso dei bolscevichi e menscevichi in Russia dal 1917 in poi; e tale fu il caso del Bund russo. Ma questo non fu il caso della Polonia, per le diverse condizioni; le condizioni erano completamente differenti. Il Bund russo dovette decidere se appoggiare il regime bolscevico o opporvisi. Questa era una questione concreta, e dovette essere affrontata. Ma questo non fu il caso del Bund polacco. Non vi fu alcun governo da appoggiare (eccetto forse il governo di breve durata del PPS nel 1918). Non vi fu mai la questione del sostegno al governo. Non vi fu mai la minima illusione su questo. Sarebbe stato impossibile averne, all’epoca dei pogrom di Lemberg o dei primi spari sulle manifestazioni operaie a Varsavia. Forse Moraczewski fu il Kerenskij polacco…Ma se in Russia Kerenskij, consapevolmente o no, preparò il terreno alla presa del potere bolscevico, Moraczewski consapevolmente o no preparò il terreno alla reazione capitalistico – aristocratica…Il suo erede non fu Lenin, fu Paderewski.265

Medem sottolinea anche la forte adesione emotiva dei bundisti all’idea e alla storia dell’organizzazione: “Il Bund divenne un partito di massa nei peggiori giorni dello zarismo. Fu cementato col sangue e le lacrime dei propri martiri. E il sangue e le lacrime sono più durevoli dell’inchiostro col quale si scrivono le piattaforme”266.

264 Der Emes, 11 febbraio 1922 265 Vladimir Medem, Farvos iz der Bund in Polyn Nit Farnandergefaln, 1921 266 ibidem 82 9. IL BUND NELLA NUOVA POLONIA (1921 – 26)

Repressione del governo nazionalista. Nei primi anni ’20 le forze della sinistra in Polonia, e tra esse il Bund ebraico, dovettero far fronte a un forte attacco repressivo da parte del governo nazionalista uscito dalle elezioni del gennaio 1919. La stampa di opposizione fu confiscata, e i suoi editori spesso incarcerati per lunghi periodi. Il giornale del Bund Unzer Tseit fu uno dei primi a essere chiusi; Jan Hempel, editore della rivista Kultura Robotnicza, fu condannato a due anni di prigione per avere pubblicato un estratto dal Manifesto comunista. Anche le scuole organizzate dal Bund, e le organizzazioni culturali ad esso vicine, furono liquidate dal governo. Le scuole del Bund erano tra le poche istituzioni educative in Polonia a offrire un’istruzione laica agli studenti ebrei. Il governo vietò alle scuole popolari bundiste di dispensare diplomi, e chiuse tutti i gymnazia (scuole secondarie) polacchi che accettavano gli studenti ebrei usciti da quelle scuole. Laddove queste ultime continuavano la loro attività, il governo ricorse a mezzi legali per chiuderle definitivamente. L’organizzazione Unzer Kinder, che coordinava le scuole popolari, fu chiusa col pretesto di legami con le “organizzazioni comuniste”. La repressione fu descritta nel 1924 da un socialdemocratico ucraino membro della Dieta polacca:

Ovunque operai e contadini cerchino di organizzarsi per una lotta comune tesa a migliorare le dure condizioni di vita, immediatamente la polizia interviene, e con vari pretesti e in vari modi smantella i gruppi socialisti operai e contadini, le istituzioni educative, e i sindacati. Il Partito Social Democratico Ucraino ha trent’anni, ma né sotto le autorità austriache né sotto il tallone dell’esercito zarista è stato così duramente perseguitato come nel tempo presente.267

267 Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967 83 Sebbene il governo opprimesse in generale tutto il movimento operaio, il suo obiettivo prediletto erano i sindacati ebraici. A Varsavia almeno due terzi di tutti i sindacati furono messi fuorilegge in questo periodo; 9 sindacati locali legati al Bund furono smantellati tra il 1921 e il 1924, e lo stesso avvenne in diverse altre città. Nell’ottobre 1923 la repressione giunse al culmine quando un’esplosione scosse la Cittadella di Varsavia. L’episodio, di origine sconosciuta, portò all’arresto in massa dei dirigenti operai, col pretesto che avevano legami coi comunisti. 350 sezioni sindacali furono chiuse, sempre con particolare accanimento verso quelle ebraiche, e nelle due settimane successive più di 12.000 iscritti furono fermati dalla polizia. Nel 1924 in tutta la Polonia gli scioperi e le manifestazioni operaie furono attaccate dalla polizia a colpi d’arma da fuoco. A Tarnow e Borislav 4 scioperanti furono uccisi; a Cracovia durante uno sciopero generale la gendarmeria massacrò 11 lavoratori, e la polizia uccise due minatori che avevano chiesto il sussidio di disoccupazione. Ad aggravare la situazione in tutto il periodo si aggiunsero gli episodi di ostilità tra le forze di sinistra. Il Primo Maggio 1922 una manifestazione del Bund fu attaccata da un gruppo di teppisti nazionalisti, e a quanto pare né i comunisti né il PPS, che manifestavano in due gruppi separati lì vicino, intervennero in soccorso dei bundisti268.

L’unificazione dei sindacati. Di fronte alla repressione sempre più forte, il movimento sindacale polacco si trovò a un bivio: unirsi o perire. La Federazione Sindacale Polacca, con 500.000 membri, era sotto l’egida del PPS; i sindacati ebraici (circa 30.000 iscritti) erano molto vicini al Bund; alcuni sindacati infine erano sotto il controllo dei comunisti. Nel 1922 fu creata una federazione sindacale ebraica tra i sindacati del Bund e alcuni organismi vicini alla sinistra di Poale Zion. I sindacati comunisti rifiutarono di aderire a questa federazione, e decisero di entrare nella Federazione Polacca. I sindacati del PPS tuttavia non volevano che i comunisti entrassero nella loro federazione. Il Bund invece appoggiò l’idea di una federazione unica per tutte le forze sindacali. Dopo lunghe trattative il PPS accondiscese, a condizione che l’esecutivo della nuova federazione fosse composto da una maggioranza PPS, una minoranza bundista e nessun comunista. Il Bund rifiutò, insistendo su una rappresentanza proporzionale anche per i comunisti. A questo punto il PPS e i comunisti giocarono sporco e fecero una trattativa segreta dalla quale uscì un esecutivo con una maggioranza PPS, una minoranza comunista e l’esclusione del Bund. Da questo poco fraterno dibattito nacque la Federazione Unitaria dei Sindacati Polacchi. Con ciò i problemi non furono risolti, e ogni singolo organismo sindacale mantenne sempre la propria specificità, tuttavia in tutto il periodo tra le due guerre la lotta sindacale in Polonia fu sempre per lo più all’insegna della solidarietà operaia tra ebrei e polacchi, e servì in tal modo a facilitare le faticose intese politiche tra il Bund e i socialisti polacchi.

Le elezioni del 1922. A causa della repressione e delle liti interne, i partiti operai e socialisti si presentarono alle elezioni del 1922 con la prospettiva della sconfitta. Il Bund, che aveva boicottato la tornata del 1919, era alla prima partecipazione elettorale da quando la Polonia aveva acquisito l’indipendenza. Esso candidò alla Dieta i propri dirigenti più noti, con una piattaforma tipicamente socialista, per la democrazia e il miglioramento economico. Si chiedevano la giornata di otto ore, indennità di disoccupazione e malattia, libertà di stampa, libertà di parola, amnistia per i prigionieri politici, autonomia culturale per le minoranze in Polonia, diritti civili ed eguaglianza per gli ebrei, disarmo e normali relazioni con tutte le nazioni, in particolare con la Russia sovietica. Il Bund fece una campagna elettorale molto attiva, tenendo numerose assemblee e distribuendo migliaia di volantini, affiggendo manifesti sui muri e inviando agitatori porta a porta nei quartieri ebraici. Questa attività fu ostacolata sia dalla polizia che dai comunisti polacchi. La polizia si rivolgeva ai proprietari di teatri e auditorium, minacciandoli se avessero affittato la sala ai bundisti. Quando in qualche modo si trovava un luogo disponibile, la polizia provava a fomentare disordini per avere il pretesto di disperdere l’adunata; oppure sorvegliava attentamente lo svolgimento del dibattito, e al primo accenno contro le autorità imponeva lo stop con l’accusa di

268 Der Veker (New York), 3 giugno 1922 84 “incitamento contro il governo”. Il Bund fu costretto a destinare una parte delle proprie scarse risorse a corrompere gli agenti di polizia, affinchè le assemblee potessero svolgersi con un minimo di regolarità. I comunisti avevano in programma la distruzione del Bund, considerato un ostacolo sulla via della rivoluzione. Così, spesso le assemblee erano disturbate proprio dagli attivisti del KPP, che davano alla polizia il pretesto per intervenire. Gli attacchinatori, le auto con le insegne del Bund e gli attivisti porta a porta erano costantemente disturbati dai loro avversari comunisti. A quanto pare non accadde lo stesso con il PPS in quanto i comunisti che ci provarono furono brutalmente malmenati, uno di loro fino alla morte.269 Il risultato elettorale fu pessimo per la sinistra. I partiti di destra, alleati con gli Endek antisemiti, ottennero 163 seggi su 444; il Partito dei Contadini, centrista, ebbe 70 seggi; il partito agrario progressista, Wyzwolenie, ebbe 49 seggi, e il PPS soltanto 41. Le diverse minoranze nazionali ottennero 67 seggi, e di questi 22 andarono agli ebrei, ma tutti di area conservatrice. Il Bund complessivamente ebbe 87.000 voti assoluti, ma non ottenne alcun seggio. Il movimento socialista subì una pesante sconfitta in tutte le regioni, e in particolare nelle città, il che fa pensare che una coalizione socialista avrebbe ottenuto un risultato di gran lunga maggiore. A Lodz, un centro industriale con un’ampia popolazione ebraica, il Bund prese 12.496 voti, il PPS 19.123, Poale Zion 2.261, per un totale di 34.240; ma a causa della divisione il seggio andò a un conservatore, mentre in caso di unità il seggio sarebbe andato al candidato socialista. Le elezioni municipali dell’anno successivo mostrarono un analoga virata a destra. Se la sinistra era uscita sconfitta dalle elezioni del 1922, la destra non poteva cantare vittoria. Gli Endek, che speravano di ottenere la maggioranza, si ritrovarono a loro volta in minoranza. I partiti centristi, ovvero il Partito dei Contadini e le minoranze nazionali, erano l’ago della bilancia nella formazione del nuovo governo. Inizialmente alla presidenza della Dieta fu eletto Gabriel Narutowicz, amico di Pilsudski e appoggiato dalla sinistra, dal centro e da tutte le minoranze nazionali. Gli Endek immediatamente lanciarono una campagna contro il “presidente degli ebrei”; fomentarono scontri di piazza e boicottarono la seduta inaugurale della Dieta. Il 16 dicembre 1922, infine, Narutowicz fu assassinato da un fanatico nazionalista. L’assassino, Eligius Niewiadomski, spiegò il proprio atto durante il processo che lo vide imputato due settimane dopo:

L’ebraismo ha inculcato nel socialismo un veleno mortale, e l’incapacità creativa. L’era del socialismo utopistico è stata seguita, mezzo secolo dopo, dal cosiddetto socialismo scientifico che verrà chiamato a ragione l’ “era ebraica”. E altrettanto la storia ricorderà l’era presente…L’ebraismo presto individuò per quali usi il socialismo potesse essere impiegato una volta finito nelle proprie mani. Gli ebrei hanno portato nel socialismo le loro teorie, i loro distributori e agitatori, il loro aiuto materiale, la loro propaganda e tutto il resto. E con successo. Hanno imbevuto quell’idea con tutte le loro caratteristiche radicali e con gli elementi che sono stati la causa della degenerazione sociale della sua componente nazionalista. La lotta di classe è stata inventata da loro, per distruggere le nazioni ariane e così soffocare l’orgoglio razziale e la lotta per difenderlo.270

L’assassinio allontanò gli impauriti centristi dalla sinistra moderata, e li spinse ad allearsi con la destra, col cui appoggio elessero alla presidenza Stanislaw Wojciechowski. Con l’appoggio della destra i centristi nominarono anche Wincenty Witos, leader del Partito dei Contadini, alla carica di Primo ministro. Uno dei primi atti di quest’ultimo fu ordinare alla polizia di sparare sugli scioperanti a Cracovia, causando la morte di 11 lavoratori, il che portò alle sue dimissioni. Gli succedette un esponente della destra, Wladislaw Grabski271.

Il Bund di Vilna si riunisce al Bund polacco. Nel 1920 – 21 una consistente parte della Lituania fu contesa tra la Russia e la Polonia. Questa parte di territorio comprendeva la città di Vilna, la cosiddetta “Gerusalemme della Lituania”, luogo della gestazione e della nascita del Bund negli ultimi anni del XIX secolo. Trovandosi in una situazione di confine tra Russia e Polonia, i

269 Bernard Goldstein, Zvantsik Yor in Varshever Bund, 1960 270 Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967 271 Simon Segal, The New Poland and the Jews, 1938 85 bundisti di Vilna speravano che alla fine il Bund avrebbe mantenuto la propria unità originaria, di organizzazione dei lavoratori ebrei di “Lituania, Polonia e Russia”. Perciò nel 1920 inviarono propri rappresentanti sia al Congresso di Cracovia del Bund polacco sia alla Conferenza di Gomel del Bund bielorusso. Ma presto anche a Vilna il Bund si divise in due componenti, seguendo il destino dell’organizzazione nelle altre regioni della Russia. Durante un lungo e acceso convegno, l’ala pro- bolscevica dell’organizzazione prese il controllo dei lavori e l’ala destra lasciò l’assemblea per formare un Bund socialdemocratico, con un proprio giornale e una propria struttura. Quando divenne chiaro che la divisione tra Russia e Polonia, e l’indipendenza del Bund polacco, sarebbero state cosa permanente, inizialmente entrambi i gruppi bundisti di Vilna espressero contrarietà a fondersi con il Bund polacco, per opposti motivi: per la sinistra il Bund polacco era troppo moderato, per la destra era troppo filo-comunista. In particolare il Bund socialdemocratico di Vilna, la componente più forte delle due, accusò il Bund polacco di avere accettato supinamente i principi e le tattiche del Comintern, anche se formalmente non era parte della Terza Internazionale. A. Litvak, veterano del Bund e ora leader della fazione socialdemocratica di Vilna, si espresse in questi termini:

Il partito ha mantenuto il vecchio nome ma i suoi principi sono completamente differenti. Noi, al contrario, siamo rimasti socialdemocratici, oggi come ieri, e ci opponiamo ai bolscevichi per principio…Non possiamo accettare i principi base del Comintern…ci rifiutiamo di rinunciare alla nostra socialdemocrazia.272

I socialdemocratici di Vilna inoltre accusavano il Bund polacco di essere isolato rispetto al socialismo mondiale, in quanto oltre che dal Comintern esso era fuori anche dall’Internazionale Operaia e Socialista (LSI). Il Bund polacco si era legato a un piccolo gruppo di partiti filo-comunisti che facevano capo al Bureau dei Partiti Socialisti Rivoluzionari, con sede a Parigi. I socialdemocratici di Vilna avrebbero voluto che esso entrasse nella LSI. Il Bund socialdemocratico di Vilna aveva anche un altro motivo per non volere entrare nell’organizzazione polacca: il timore che la sua stampa locale sarebbe stata messa sotto il controllo del Comitato Centrale di Varsavia. Durante il 1923 furono condotte delle trattative per l’ingresso di entrambi i gruppi bundisti di Vilna nel Bund polacco. Alla fine le aspirazioni all’unità di fronte ai comuni nemici reazionari ebbero la meglio, e le due fazioni si risolsero ad entrare, e per giunta come organizzazione locale unitaria. Per quanto riguarda il resto del territorio lituano finito sotto il controllo polacco, in esso la presenza bundista fu quasi azzerata. Quando l’Armata Rossa si ritirò oltre il nuovo confine, la maggioranza degli attivisti bundisti la seguirono. Altrettanto dicasi per la porzione di Lituania che divenne indipendente, il territorio a ovest di Vilna e a nord di Grodno.

Il Terzo Congresso. Le numerose traversie interne e persecuzioni esterne ritardarono fino al dicembre 1924 la convocazione del Terzo Congresso del Bund polacco, tre anni dopo Danzica. In questo lasso di tempo la fine del sogno rivoluzionario e la realtà dell’oppressione sovietica avevano provocato il passaggio della sinistra pro-comunista da una condizione di maggioranza a una di netta minoranza. Il dibattito al Congresso, tenutosi a Varsavia, fu incentrato su quale organizzazione internazionale dovesse essere punto di riferimento per il Bund: o la LSI, o l’Internazionale di Vienna (o Internazionale “Due e mezzo”), che era a sinistra della LSI ma stava per fondersi con quest’ultima, o il Comintern. La possibilità di un allentamento delle 21 condizioni del Comintern aveva cessato di essere all’’ordine del giorno: altri partiti socialisti erano stati esclusi dal Comintern non avendo voluto accettare i dettami di Mosca. Inoltre il Partito Comunista dell’URSS aveva virato verso una dittatura sempre più marcata, e non costituiva più un’attrattiva per la maggior parte dei socialisti. Ciononostante una minoranza di bundisti ribadì al congresso che il Comintern era fondato su genuini principi socialisti, che il Bund avrebbe dovuto accettare, e che l’unico difetto del Comintern era il controllo monolitico dall’alto. Ma la maggioranza di coloro che nel 1921, pur respingendo i 21

272 Der Veker (New York), 2 agosto 1922 86 punti, avevano riconosciuto la leadership del Comintern, ora fecero ammenda e attaccarono l’Internazionale di Mosca criticandone i principi fondativi. Si formò una maggioranza che, pur essendo contraria alla proposta di un delegato di Vilna di entrare nelle internazionali socialiste in via di fusione, chiarì che “non possiamo far parte della Terza Internazionale, siamo socialisti e non comunisti”.

La differenza tra noi e i comunisti sta nel fatto che loro credono nel governo del partito e noi crediamo nel governo della classe operaia nella sua totalità. Noi diciamo che il governo della classe operaia deve rispondere alla classe operaia nella sua totalità; i comunisti invece dicono che se la classe operaia non gradisce il governo del Partito Comunista, tale classe deve ugualmente accettare il volere del governo, e non il contrario. L’errore di fondo del Partito Comunista sta nel tentativo di trasformare la volontà della classe operaia in una dittatura del comitato centrale sul proletariato.273

La maggioranza del congresso espresse contrarietà alla visione comunista della rivoluzione, considerandola non marxista:

Il secondo errore del Comunismo è da rilevare nella sua visione anti-marxista della rivoluzione sociale. Per i comunisti essa non è un processo organico, bensì il risultato di una cospirazione militare preparata a tavolino…Questo è bakuninismo, non marxismo.

Infine c’era la questione della struttura monolitica interna al partito.

Non possiamo entrare nel Comintern perché là non potremmo dissentire dai nostri superiori. Anche Trockij è stato estromesso perché ha osato pensare autonomamente…Dovessimo, controvoglia, essere condotti a Londra274, sarebbe per noi una tragedia ma sopravviveremmo. Nella Terza Internazionale, al contrario, spariremmo.275

La sinistra rifiutò di riconoscere che il comunismo fosse diventato sinonimo di “putschismo o settarismo”, o che i comunisti stessero conducendo una sorta di guerra civile all’interno del movimento operaio. Con la stessa logica, allora, il socialismo poteva essere definito “politica della coalizione e della pace sociale con la borghesia”, poiché i socialdemocratici tedeschi non avevano forse formato governi di coalizione con partiti non socialisti? La vera differenza tra socialisti e comunisti, affermarono gli esponenti della sinistra, era “la incessante guerra di classe, la inflessibile volontà di combattere l’ordine vigente da parte dei comunisti. E’ su questo aspetto che il comunismo si mostra in completo accordo con il socialismo rivoluzionario e in opposizione al socialismo riformista”276. La minoranza di sinistra rimase ferma nella convinzione che la Terza Internazionale “è ancora il centro del movimento operaio rivoluzionario”. Ma dal momento che la Terza Internazionale era preclusa al Bund a causa dei 21 punti, la minoranza di sinistra propose che il Bund insieme ad altri partiti socialisti europei creasse una nuova organizzazione, per contrastare “le tendenze negative dentro l’Internazionale ‘di sinistra’ (cioè la Terza) che ostacolano il consolidamento di tutti i genuini partiti rivoluzionari”277. Il voto sulla questione andò a favore della maggioranza centrista, 30 a 24. La maggioranza proponeva di compiere un tentativo di riunificazione di tutte le internazionali, in un “forte organismo di solidarietà operaia mondiale”. La maggioranza volle anche far approvare una risoluzione di condanna del terrore in Unione Sovietica278. Al Congresso del 1924 fu discusso anche lo stato di salute del partito, e molti delegati lamentarono un arretramento attribuendolo all’eccesso di dispute interne e alla troppa importanza attribuita all’attività a Varsavia, trascurando le province. A causa delle discussioni dogmatiche sul futuro della rivoluzione si era trascurato il lavoro pratico quotidiano, e in particolare la questione

273 Der III Tsusamenfor fur Algemajner Idishn Arbeiter Bund in Polyn, 1925 274 Cioè entrare nell’Internazionale Socialista. 275 Der III Tsusamenfor fur Algemajner Idishn Arbeiter Bund in Polyn, 1925 276 ibidem 277 ibidem 278 ibidem 87 della diffusione dell’antisemitismo in Polonia, con conseguente ascesa del sionismo. “Dovremmo incrementare la nostra attività antisionista” affermò un delegato dei gruppi giovanili. Alla proposta altri obiettarono che “Siamo soprattutto socialisti rivoluzionari, e solo secondariamente socialisti ebrei”279. I rappresentanti della sinistra ribadirono che il declino del Bund era dovuto alla “politica di coalizione”, e proposero che ai membri del Bund fosse proibito di accettare incarichi nelle amministrazioni cittadine. La sinistra voleva che la presenza bundista nei consigli cittadini servisse soltanto a scopi di propaganda, come tribuna per promuovere le posizioni del Bund. Il congresso respinse la proposta ma votò per l’accettazione di incarichi amministrativi solo ove vi fosse un consiglio cittadino socialista e solo previa approvazione da parte del Comitato Centrale. Tra il 1921 e il 1924 il Bund aveva promosso più di 1.100 assemblee e distribuito 1.650.000 volantini; ciononostante era in un periodo di costante declino. Per recuperare il terreno fu ipotizzata la costituzione di un fronte unito di socialisti e comunisti, con l’obiettivo di contrastare l’antisemitismo. A tale scopo nel maggio 1923 il Bund propose una conferenza di tutti i partiti socialisti e operai di Polonia, ma non riuscì a raggiungere un accordo con il principale di essi, il PPS, che voleva che a dirigere il fronte fosse un unico segretariato composto da tutti i partiti, nel quale esso avrebbe avuto la maggioranza. Ma il problema del PPS era che al suo interno le posizioni sulla tutela delle minoranze nazionali erano tutt’altro che chiare. Il congresso del PPS del febbraio 1924, ad esempio, fu ambiguo su questo punto. Nel corso di quell’anno a quanto pare fu raggiunto un accordo con il Bund, ma alcuni mesi dopo un deputato del PPS alla Dieta fece un veemente discorso contro le scuole yiddish in Polonia, e di nuovo i rapporti tra le due organizzazioni si guastarono.

279 ibidem 88 10. L’ERA PILSUDSKI (1926 – 35)

Il colpo di mano del 1926. Josef Pilsudski era nato nel 1867 presso Vilna, da una famiglia polacco – lituana. Crebbe in un’atmosfera fortemente anti-zarista e anti-russa. Da giovane fu coinvolto in una cospirazione contro il governo, e fu mandato per cinque anni (dal 1887 al 1892) in esilio in Siberia. Al suo ritorno fu tra i fondatori del Partito Socialista Polacco (PPS), e editore del suo giornale illegale, il Rabotnik. Fu di nuovo arrestato, e questa volta riuscì a fuggire. Nel 1904, durante la guerra russo – giapponese, si recò a Tokyo nel tentativo di ottenere appoggio per una rivolta nazionalista in Polonia. Il tentativo non andò a buon fine, a causa dell’opposizione dentro il movimento socialista e perché Roman Dmowski, leader degli endek, riuscì a convincere i giapponesi che una tale rivolta sarebbe stata di debole entità, e poco utile al loro sforzo bellico. Da Tokyo Pilsudski si spostò a Cracovia, nella parte di Polonia allora occupata dall’Impero austriaco, e qui formò un’organizzazione paramilitare, la Lega dei Fucilieri, con l’obiettivo di condurre una guerra di liberazione contro la Russia. Al congresso del 1906 il PPS si divise sulla questione dell’indipendenza polacca e del militarismo nazionalista di Pilsudski. La fazione maggioritaria facente capo a quest’ultimo diede vita al PPS Frazione Rivoluzionaria. Nel 1914, con l’avvento della Prima guerra mondiale, Pilsudski cercò di formare una milizia per combattere a fianco degli austriaci, e le sue forze occuparono la città di Kielce. Nel 1917 si rifiutò di collaborare al progetto di governo polacco fantoccio proposto dagli Imperi centrali, e perciò fu incarcerato a Magdeburgo. Fu liberato nel novembre 1918 e fece ritorno a Varsavia, dove fu nominato capo del Governo Provvisorio polacco. Nel 1919 – 21 fu capo di stato maggiore nella guerra contro i bolscevichi. Dal 1922, Pilsudski fu un acceso oppositore del governo di centro-destra che si era insediato dopo l’assassinio del suo amico Narutowicz. La sua ostilità crebbe quando il premier Witos nominò ministro della Guerra il generale Szeptycki, acerrimo nemico di Pilsudski, e quando lo stesso Witos nel 1926 fu riconfermato nella carica di Primo ministro. La Polonia era in crisi dal punto di vista economico, e il malcontento tra il proletariato era elevatissimo. Il governo di destra era determinato a restare al potere con qualunque mezzo, e circolavano le voci su un’eventuale sospensione della costituzione. Per anticipare il temuto colpo di stato della destra, i dirigenti della sinistra e dei partiti moderati rivolsero a Pilsudski la proposta di diventare Primo ministro. Egli rifiutò, accusandoli di essere dei corrotti al pari di tutti i membri della Dieta, ma il 12 maggio 1926 alla guida di truppe a lui fedeli lanciò una marcia su Varsavia, che incontrò l’appoggio della classe operaia e della stampa socialista. Tutti i partiti socialisti – il PPS, il Bund, Poale Zion, la Socialdemocrazia Tedesca in Polonia – sostennero la rivolta, e anche i comunisti si espressero a favore. Molti bundisti andarono a combattere per Pilsudski. L’organo ufficiale del Bund scrisse: “I lavoratori ebrei hanno troppo da perdere restando ai margini della rivolta. Dovete levare alta la protesta; dovete chiedere il rovesciamento dei Chjena-Piast280. Al loro posto deve nascere un governo che provveda agli urgenti bisogni dei lavoratori polacchi”281. Il 14 maggio i sindacati del PPS e del Bund convocarono uno sciopero generale che paralizzò tutta la Polonia. L’episodio più importante fu il blocco delle ferrovie, che impedì al governo di Witos di ricevere rinforzi. I socialisti in seguito affermarono che solo il supporto del movimento operaio aveva reso possibile la vittoria di Pilsudski. Anche se Pilsudski ormai non era più socialista, i lavoratori speravano che sarebbe stato fedele ai suoi vecchi principi. Ma non tutti i bundisti nutrivano tali speranze. La rivoluzione di Pilsudski era sì contro la reazione, ma non si sapeva per che cosa fosse:

La marcia di Pilsudski su Varsavia ha distrutto i dolci sogni della reazione. Sebbene si sapesse ben poco dei piani di Pilsudski per il futuro, la classe operaia ha sostenuto la

280 La coalizione di centro-destra al potere. 281 Unzer Folkstseitung, 14 maggio 1926 89 rivoluzione…poiché tutti erano d’accordo su un punto: un immenso odio e ostilità verso la reazione.282

Ciò che preoccupò il Bund fin dall’inizio fu che la presa del potere era di tipo militare, e senza un programma politico. Nonostante l’entusiasmo della popolazione, il Bund sottolineò che la partecipazione civile alla presa del potere era stata scarsa. “Anche se lo sciopero dei ferrovieri ha impedito ai soldati di Posen di raggiungere Varsavia per sostenere Witos, ciò non cambia il fatto che si è trattato di una rivolta militare”283. Tutti i socialisti, e in particolare i bundisti (ma anche molti militanti del PPS), iniziarono a temere che la rivoluzione avrebbe condotto a una dittatura personale. Quando un corrispondente estero chiese a Pilsudki, poco dopo il rovesciamento di Witos, quale fosse il suo programma politico, egli rispose: “Non chiedetemi le mie intenzioni, perché non so neanche cosa farò tra una settimana”. Il Bund si domandava:

Quale programma ha Pilsudski? Solo una cosa è chiara: egli è lontano da qualunque posizione di sinistra o a favore degli operai. I suoi discorsi si limitano alla morale, al nazionalismo, e all’ostilità verso i politici. Egli ha dimenticato il proprio passato socialista, è solo un romantico che non comprende la verità – la lotta di classe. La lotte di classe per lui non esiste, poiché egli non vuole che esista. Egli ignora questioni come la ripartizione equa del gettito fiscale, le condizioni degli operai o la riforma agraria. Nessuna burocrazia può risolvere questi problemi; solo un programma di classe li può risolvere.284

I bundisti si opposero anche all’antiparlamentarismo di Pilsudski. Egli non solo non aveva un programma per migliorare le condizioni della classe operaia, ma aveva anche annunciato di essere contrario ai partiti politici e al potere del parlamento. “Tutto ciò che emerge sono generalizzazioni sulla rivoluzione morale, sulla mano pesante, e simili. Nessun partito socialista può accettare la posizione di Pilsudski sui poteri del parlamento, sui partiti politici o sulla lotta di classe”285. Nel periodo immediatamente seguente alla rivolta di maggio il PPS, la Socialdemocrazia Tedesca in Polonia e il Bund mantennero stretti contatti, in attesa di vedere che cosa avrebbero fatto il neo-nominato Presidente Pilsudski e il suo nuovo Primo ministro, Kazimierz Badel. Il PPS e gli altri partiti socialisti vedevano tre alternative possibili: a) Pilsudski avrebbe tentato di instaurare una dittatura militare, quindi in conflitto aperto con le forze operaie e socialiste b) avrebbe formato un governo basato su elezioni democratiche c) le forze della destra avrebbero fomentato la guerra civile, e si sarebbe formato un governo socialista, o pseudo-socialista (con l’inclusione dei partiti contadini). Delle tre alternative, i socialisti erano per la seconda, e per sostenerla proposero un programma in tre punti: scioglimento della Dieta e del Senato, elezioni immediate, e formazione di un governo degli operai e dei contadini che facesse le riforme sociali e tutelasse le minoranze nazionali. Il Comitato Centrale del Bund pubblicò sul proprio quotidiano Unzer Folkstseitung una dichiarazione di sostegno al nuovo regime e una proposta di programma. La rivoluzione di Pilsudski, diceva la dichiarazione, era il primo passo nella direzione di un cambiamento di lunga durata nella situazione economica e sociale della Polonia. Il rovesciamento del governo di Witos era un buon colpo contro la reazione, ma ora occorreva concretizzare le possibilità democratiche in esso contenute varando un programma sociale.

La creazione di tale programma è il compito della classe operaia e dei contadini radicali, che devono lottare per dare agli eventi del 12 – 14 maggio un contenuto politico e sociale, e così trasformare la rivolta in una vera rivoluzione. Le masse proletarie della Polonia devono quindi spendere ogni loro energia affinchè solo un governo in grado di creare una nuova Polonia – un governo della classe operaia e dei contadini – possa vedere la luce.

282 Jugnt Vecker, giugno 1926 283 Alexandr Werder, Ostatnie Wypadki w Polsce, 1926 284 Bernhard Johnpoll, The General Jewish Workers Bund of Poland, 1917 – 43, 1967 285 Jugnt Vecker, giugno 1926 90 L’attuale Dieta reazionaria e il Senato devono essere sciolti, e l’intero apparato amministrativo dovrebbe essere ripulito da tutti gli elementi reazionari. Il successo di questa lotta è, in primo luogo, legato alla ferma e determinata unità delle masse proletarie in Polonia; è quindi necessario creare un’unità organizzativa di azione tra tutti i partiti operai e contadini radicali. E se tale unità non è possibile, essi dovrebbero almeno tendere all’unità politica di azione. Solo un governo degli operai e dei contadini sarà in grado di realizzare le importantissime rivendicazioni economiche e politiche che tutti i partiti operai hanno fatto…Tra queste rivendicazioni in primo luogo vi sono: pane e lavoro per i disoccupati, terra ai contadini, piena libertà per le minoranze nazionali e amnistia politica.286

Il numero del giornale contenente questa dichiarazione fu fatto confiscare da Pilsudski, e presto le illusioni svanirono. Il Maresciallo non sciolse la Dieta, nella quale le forze di centro-destra erano ancora maggioritarie, e si rifiutò di indire nuove elezioni. Il PPS rimase all’opposizione, e non appoggiò il candidato di Pilsudski alla presidenza della Dieta, Ignacy Moscicki. La rivoluzione di maggio era stata contro il governo dei partiti di centro-destra, e ora resuscitava quegli stessi partiti con l’appoggio di alcuni ex socialisti saliti sul carro di Pilsudski, tra cui l’ex capo del primo governo polacco del 1918, Moraczewski. A questo punto i bundisti virarono decisamente contro Pilsudski e il suo regime. “I nuovi governanti hanno deciso di aggrapparsi alle ampie e grasse spalle del capitale…Il nuovo regime si è unito ad esso ed è diventato sostenitore degli interessi del capitale. Gli autori della rivoluzione di maggio restano al potere con l’aiuto dei capitalisti”287. Per i bundisti a quel punto la scelta davanti alla Polonia era tra il socialismo e la tendenza a un governo sempre più autoritario, di stampo fascista. Il fascismo, secondo i portavoce del Bund, era l’ultima difesa di un sistema capitalistico posto di fronte alla rivoluzione socialista o alla conquista di una maggioranza socialista in parlamento. Ogni tentativo di fermare la reazione mantenendo in piedi il capitalismo sarebbe andato incontro al fallimento; tale tentativo era basato semplicemente su di un “desiderio soggettivo, che è inutile di fronte al fatto storico oggettivo, che fascismo e capitalismo sono strettamente legati”288. Rispetto al precedente governo nazionalista, il nuovo regime comunque rappresentò un consistente passo avanti nel contrasto all’antisemitismo. Nel 1928 il corrispondente da Varsavia del periodico The Nation potè scrivere che “il governo attuale…dà segno di voler giungere a un’intesa con le minoranze. Ciò è particolarmente vero nel caso degli ebrei. Se comparata con le persecuzioni del precedente regime endek, l’attuale condizione degli ebrei in Polonia è grandemente migliorata. Il Maresciallo probabilmente è uno dei migliori amici degli ebrei in Polonia, e la sua amministrazione…non può essere accusata di mancanza di buona volontà nei confronti degli ebrei”289. L’atteggiamento più amichevole del governo spinse i bundisti a chiedere il sostegno governativo alle scuole yiddish, ma questa linea incontrò l’opposizione della Dieta, in particolare dei sionisti non socialisti e degli ebrei ortodossi, che si unirono agli antisemiti nell’ostacolare la proposta.

Elezioni del 1928: successo dell’alleanza Bund – PPS. In capo a un anno dal colpo di stato, l’alleanza di Pilsudski con i gruppi capitalistici conservatori determinò una completa rottura tra il Maresciallo e il PPS. Nel contempo gli Endek e il Partito dei Contadini, che avevano subito il colpo di stato, non intendevano appoggiarlo; perciò il Maresciallo in vista delle elezioni politiche formò autonomamente un “Blocco governativo non partitico”, chiamato Sanacja (Risanamento). Le elezioni del 1928, tenutesi con due anni di ritardo, videro quindi fronteggiarsi tre raggruppamenti: un blocco cattolico conservatore di destra, guidato dagli endek e appoggiato dai proprietari terrieri e dai contadini ricchi di Witos; un blocco di sinistra comprendente il PPS, il Bund e il Wyzwolenie (partito agrario progressista); e il blocco di centro di Pilsudski e del colonnello Valerian Slawek.

286 Der Veker (New York), 3 luglio 1926 287 Jugnt Vecker, dicembre 1926 288 Jugnt Vecker, luglio 1926 289 The Nation, 7 marzo 1928 91 Il blocco di destra era indebolito in quanto la Chiesa Cattolica non gli diede aperto sostegno, temendo che in caso di appoggio agli endek Pilsudski le avrebbe tolto i privilegi di cui godeva. Il Bund, poco entusiasta del blocco elettorale nel quale era entrato, fece una campagna elettorale pragmatica, presentandosi come difensore “senza compromessi” delle minoranze e della cultura yiddish. I bundisti si coordinarono con il PPS, e in alcune regione sostennero i candidati di quest’ultimo, mentre in altre nominarono i propri. Nella regione di Bialystok si formò un’ampia coalizione socialista che espresse un candidato del Bund, l’organizzazione più radicata in quella città. Il quartier generale del PPS a Varsavia dovette imporre l’accettazione del candidato ebreo alla sezione locale del PPS, la quale temeva che i lavoratori polacchi di Bialystok non lo avrebbero votato. Invece l’alleanza Bund – PPS a Bialystok, la prima a livello nazionale nella storia della Polonia indipendente, ebbe un grosso successo, soprattutto nei quartieri polacchi. Per un soffio il candidato bundista non ottenne il seggio alla Dieta. Nei quattro distretti elettorali in cui il Bund appoggiava il candidato del PPS, il voto socialista crebbe considerevolmente, mentre il voto verso i candidati ebrei sionisti o nazionalisti calò in proporzione. Il voto totale per il Bund risultò disperso nelle varie alleanze che portarono il PPS ad acquisire 62 seggi alla Dieta e il Wyzwolenie 41. I candidati del Bund ricevettero complessivamente circa 100.000 voti, un risultato positivo, in crescita rispetto agli 87.000 del 1922. Il KPP si presentò separatamente alle elezioni e ottenne 217.000 voti e 5 seggi, con un netto incremento rispetto ai 120.000 voti e 2 seggi del 1922. L’esito positivo dell’alleanza con il PPS pose ai bundisti il quesito sull’opportunità di mantenere in piedi un’organizzazione socialista separata dei lavoratori ebrei. Un dirigente dell’organizzazione scrisse che, dal momento che i lavoratori ebrei in Polonia erano una minoranza fortemente distribuita, il loro partito socialista ebraico era isolato dal movimento socialista polacco nel suo complesso. Bisognava scegliere tra un partito socialista ebraico separato o una sezione autonoma all’interno di un partito socialista pan-polacco290. Il blocco governativo non partitico di Pilsudski pur avendo vinto le elezioni del 1928 non ottenne la maggioranza assoluta, bensì solo 125 seggi su 444. Dunque il ruolo dei partiti socialisti risultava significativo, e nei due anni successivi fu espresso da Ignacy Daszynski, leader del PPS che fu anche eletto Presidente della Dieta. In questi anni la dirigenza del Bund iniziò un intenso lavoro per promuovere la cooperazione sia con il PPS che con i comunisti del KPP, nonostante le distanze tra queste due fazioni. “La classe operaia ebraica organizzata nel Bund insiste sull’unità organizzativa della classe operaia…” scrisse Erlich “…ciò è difficile da ottenere. Ma non vediamo altra strada…Finchè una parte della classe operaia considera l’altra ‘agenti al soldo di un’altra nazione’ (il PPS rispetto al KPP), o ‘lacchè della borghesia’ (il KPP rispetto al PPS); finchè i partiti della classe operaia si fanno la guerra l’un l’altro, in quel modo la reazione può vincere”291. I dirigenti del Bund erano favorevoli a una federazione di organizzazioni socialiste composta dal PPS, dal Bund, dai socialdemocratici ucraini in Polonia e dai socialdemocratici tedeschi in Polonia. Dunque si trattava di tenere conto delle specificità nazionali di ogni raggruppamento operaio. Di conseguenza la posizione del KPP veniva giudicata quantomeno troppo prematura: “Il partito del proletariato polacco non è ancora pronto a rompere i confini del nazionalismo, a diventare un partito di stato piuttosto che un partito nazionale; a diventare, invece che un partito socialista polacco, il Partito Socialista di Polonia”. Negli anni immediatamente successivi alle elezioni del 1928 il dibattito ideologico tra i socialisti in Polonia si fece molto articolato, delineando le tre componenti principali: i comunisti, i socialisti rivoluzionari del Bund e i socialisti riformisti del PPS. Secondo i bundisti la differenza tra riformisti e rivoluzionari era soprattutto legata all’internazionalismo:

Qual è la prova di un’ideologia o di un’azione rivoluzionaria o opportunistica? Il desiderio della dittatura è segno di una posizione rivoluzionaria…o i metodi riformistici e le azioni opportunistiche sono caratteristica dei partiti socialisti di destra? Né una né l’altra. La dirigenza del PPS si oppone alla dittatura ed è ferma fautrice della democrazia? O sono i bolscevichi immuni dall’opportunismo e dal riformismo, alla luce dei loro contatti coi fascisti e coi nazionalisti di Turchia, Cina eccetera? Non sono questi elementi che determinano la tendenza

290 Unser Tseit, marzo – aprile 1928 291 Unser Tseit, maggio 1928 92 rivoluzionaria o riformista di un movimento. Il segno distintivo principale tra riforme e rivoluzione è, strano a dirsi, l’internazionalismo – o meglio, come uno stato o una nazione si pongono rispetto alla questione dello stato e della nazionalità. Se il Partito Socialista è disposto a subordinare l’interesse nazionale all’interesse di classe, o all’interesse del movimento socialista…allora è un partito rivoluzionario. Se non ha questa visione, se guarda ad ogni cosa sulla base del cosiddetto interesse nazionale…allora è riformista.292

Secondo Erlich la distinzione tra il socialismo rivoluzionario del Bund e il socialismo del Partito Comunista era ancora più marcata:

Come respingiamo il riformismo, così noi respingiamo il comunismo. Noi siamo contro le tattiche anti-marxiste dei comunisti. Ci opponiamo totalmente al regime della illibertà, delle prigioni di stato alla maniera prussiana, della dittatura che i comunisti hanno instaurato anche dentro il loro stesso partito. Ci opponiamo ai loro tentativi di piegare la volontà della classe operaia stabilendo una dittatura del Politburo sulla classe operaia, e condanniamo senza mezzi termini le tattiche distruttive dei comunisti, la loro politica di guerra civile nei ranghi del proletariato, che ha provocato gravi danni al movimento operaio mondiale.293

Le possibilità di cooperazione del Bund coi comunisti erano considerate assai scarse, dal momento che questi ultimi criticavano aspramente i partiti socialisti accusandoli di “socialfascismo”, e avevano anche compiuto diversi attacchi teppistici contro il Bund, e le sue strutture tra cui il Sanatorio Medem, nel quale venivano ospitati i figli malati delle famiglie operaie: “I comunisti sono assai rivoluzionari quando combattono gli altri partiti proletari. L’esperienza degli ultimi anni rende impossibile l’esistenza di qualunque fronte unito coi comunisti. La loro linea è la distruzione dei partiti socialisti rivoluzionari con qualunque mezzo a disposizione”294. Invece sembravano esserci maggiori possibilità per una cooperazione con il PPS, che stava perdendo la propria inclinazione nazionalista e stava diventando “più socialista e meno polacco” (questa almeno era l’impressione dei bundisti): “Non siamo forse testimoni viventi della nuova evoluzione del PPS? Non vediamo che il PPS si ripulisce?”. La maggior parte di coloro che si erano uniti al PPS solo per ottenere l’indipendenza avevano lasciato il partito poco dopo il conseguimento dei loro obiettivi, nel 1918. Pochi altri erano rimasti per alcuni anni, fino al colpo di stato di Pilsudski. Il PPS post-1926 denotava un orientamento più proletario: “…vediamo nel PPS il fatto positivo che la dirigenza nazionalista pre-bellica sta lasciando il partito”295. I dirigenti del Bund erano concordi nel ritenere il PPS un partito ancora fondamentalmente riformista, e che la sua posizione a favore dell’esercito fosse basata su motivazioni nazionalistiche e non di patriottismo di classe. “Di certo le tradizioni pre-belliche giocano ancora un ruolo nel PPS…Ma per coloro che erano interessati soltanto a una Polonia indipendente ora non c’è più posto nel PPS – esso è troppo orientato in senso classista. Solo i lavoratori restano nel PPS, e presto o tardi essi dovranno restare fedeli alla linea della lotta di classe senza compromessi”296. Una maggioranza dei bundisti erano favorevoli a sollecitare l’unità d’azione con il PPS per favorire l’evoluzione di quest’ultimo verso una linea rivoluzionaria. Una consistente minoranza invece era scettica su questa possibilità, e in essa vi era Joseph Chmurner, che propendeva per cercare l’alleanza con i comunisti. Chmurner non pensava che il PPS fosse veramente anti- Pilsudski: dopotutto era stato Pilsudski a staccarsi da esso, e non viceversa, e inoltre i socialisti sostenevano il governo in politica estera. Chmurner chiedeva: “Si può dimostrare, a due anni dal passaggio del PPS all’opposizione, che questa opposizione forzata si sia riflessa nella posizione ideologica del PPS? Prima lo stato e poi la classe operaia, questa rimane la politica di fondo del PPS. Indipendenza – e poi socialismo…questo è ora, come sempre, la costante della linea del PPS”297.

292 Socialistisze Bleter, giugno 1931 293 Henryk Erlich, Der Icker fun , 1934 294 Socialistisze Bleter, giugno 1931 295 ibidem 296 ibidem 297 Unser Zeit, gennaio 1929 93 1930: nuovo distacco dal PPS. Il primo disaccordo post-elettorale tra il PPS e il Bund si manifestò al congresso del 1929 della Federazione dei Sindacati. Fu questo congresso che formalizzò la rottura tra i seguaci di Pilsudski e il movimento operaio socialista. Ma nonostante la dichiarazione anti-Pilsudski, secondo un rappresentante del Bund al congresso non si era manifestata una chiara linea di opposizione socialista. Il PPS era favorevole a qualcosa di più simile alla democrazia economica, mentre il Bund non intendeva rinunciare all’idea del socialismo come unica cura per i mali della classe operaia polacca. La democrazia economica, nel senso attribuitole dai partiti socialdemocratici durante il periodo 1925 – 33, significava essenzialmente che lo stato, in quanto rappresentante del popolo nel suo complesso, avrebbe regolato la vita economica di tutta la nazione. L’idea di democrazia economica era qualcosa di simile al New Deal degli Stati Uniti: un miglioramento delle condizioni dei lavoratori nel quadro dell’economia capitalistica, invece che un rovesciamento del sistema e la sua sostituzione con uno nuovo. “Oggi la democrazia economica è una frase accettata e diffusa nell’Europa occidentale” scrisse Erlich “I riformisti della destra del movimento operaio considerano ciò…una cura per le storture del sistema capitalistico; vedono ciò come un mezzo attraverso il quale il socialismo si può sviluppare pacificamente nel capitalismo”298. Molti bundisti erano contrari all’idea che questa cosiddetta democrazia economica avrebbe condotto gradualmente al socialismo. La vera democrazia secondo loro si sarebbe raggiunta soltanto con l’abolizione del sistema capitalistico e la sua sostituzione con una società socialista in cui “l’attuale divisione in classi della società sia abolita”. Fino a quando lo stato fosse rimasto l’agente della classe al potere – perchè tale era secondo il Bund – e fino a quando quella classe fosse stata la borghesia, la democrazia economica sarebbe stata “una trappola e un’illusione”. Nel caso particolare della Polonia, poi, il governo Pilsudski era evidentemente “il comitato esecutivo dei trust”. Qualunque “democrazia economica” in Polonia avrebbe voluto dire assumere il controllo sui trust. Ma per potere fare ciò occorreva creare due condizioni in Polonia: la democrazia politica e una classe operaia fortemente organizzata e in grado di influenzare le azioni dello stato299. Oltre a queste differenze ideologiche, un altro ostacolo all’unità socialista venne dalla crescente tendenza all’autocrazia da parte del blocco di Pilsudski, che spinse il PPS a formare un blocco democratico con altri partiti non socialisti, dal quale il Bund rimase fuori. Jerzy Shapiro, corrispondente del New York Times a Varsavia, all’inizio degli anni ’30 scrisse che “la politica in Polonia è arrivata a un punto in cui il conflitto tra il parlamento e la velata dittatura del Maresciallo Pilsudski deve trovare una soluzione”300. L’attacco di Pilsudski si concretizzò quando il ministro del Lavoro, il colonnello Alexander Prystor, licenziò tutti i funzionari eletti del Fondo per le Malattie, molti dei quali erano socialisti, rimpiazzandoli con uomini fedeli a Pilsudski. A ciò seguì un aspro attacco alla Dieta e in particolare alla sua componente socialista, con la richiesta che la costituzione democratica polacca fosse sostituita da un’altra in cui il potere parlamentare fosse ridimensionato. Alla fine dell’agosto 1930 il quotidiano di Pilsudski, la Gazeta Polska, annunciò che il Maresciallo d’ora innanzi avrebbe assunto pieni poteri. Per far fronte alla crescente minaccia di dittatura il PPS, il partito contadino conservatore Piast, il Wyzwolenie e i cristiano-democratici formarono un’alleanza denominata Centrolew. Prima della formazione del Centrolew, il Bund aveva invitato il PPS a costituire un blocco di tutti i partiti socialisti di Polonia. Il PPS aveva ribattuto offrendo al Bund dei posti nel Centrolew. Il Comitato Centrale del Bund rifiutò, affermando che “la politica centrista del PPS” aveva fatalmente indebolito il movimento socialista in Polonia nella sua lotta contro il fascismo. Nessuna delle due organizzazioni volle fare marcia indietro, e il Bund formò un’alleanza con il piccolo Partito Socialista Indipendente. Nell’imminenza delle nuove elezioni, Pilsudski temeva che il Centrolew lo avrebbe danneggiato, perciò fece arrestare 15 dirigenti dei partiti di opposizione, incluso Herman Liebermann del PPS. Jan Kwampinski, leader del Sindacato degli Operai Agricoli, fu arrestato per un discorso che aveva fatto mesi prima, seppure avesse l’immunità parlamentare. Furono poi imprigionati 16 deputati dei partiti ucraini, 4 bielorussi e un membro del Senato. Infine la stessa sorte toccò a Witos, che si era avvicinato al Centrolew, e a Thugutt, leader del Wyzwolenie.

298 Unser Zeit, marzo – aprile 1929 299 ibidem 300 New York Times, 6 aprile 1930 94 Gli arrestati furono incarcerati a Brest-Litovsk e sottoposti a maltrattamenti, e quando l’Ordine degli Avvocati di Varsavia fece una protesta pubblica fu minacciato di severe punizioni se avesse ripetuto l’azione. In questo clima di repressione e brogli Pilsudski con il suo blocco governativo Sanacja ottenne la maggioranza assoluta alle elezioni del 16 novembre 1930. Il piccolo blocco Bund – PSI ottenne soltanto 71.000 voti, un calo del 30% rispetto ai voti ricevuti dal Bund nel 1928, e nessun seggio alla Dieta. Anche i partiti del Centrolew, tra i quali vi era il PPS, nel complesso arretrarono. L’esito elettorale spinse di nuovo il Bund e il PPS l’uno verso l’altro, verso un’unità che non si sarebbe mai realizzata. In particolare, il Bund fu sempre contrario ad allearsi con partiti non socialisti. “Il fascismo” scrisse Erlich “è il volto più truce del capitalismo morente”. Perciò era impossibile combattere il fascismo senza combattere il capitalismo stesso. Inoltre, i bundisti avevano iniziato a perdere fiducia nel sistema elettorale: “Le elezioni del 16 novembre mostrano irrefutabilmente ciò che si è dimostrato in Italia e Ungheria e altri paesi, ovvero che la speranza di battere il fascismo alle elezioni è una ridicola illusione”301. Il Bund ribadì che le elezioni avevano provato la non efficacia dell’alleanza con i partiti non socialisti, e che i lavoratori volevano soltanto l’unità socialista. Alcuni dei partiti coi quali il PPS si era legato, scrisse un periodico del Bund, erano “nazionalisti e reazionari”, e ciò aveva portato i lavoratori a votare per Pilsudski, anche se non erano favorevoli al fascismo. “Essi erano apatici e delusi. Non potevano entusiasmarsi per la democrazia proclamata da partiti che ignorano i diritti dei lavoratori”302. I bundisti speravano ancora in un partito socialista unitario in Polonia, ma non si aspettavano più che quel partito utilizzasse solo i mezzi legali della democrazia parlamentare per realizzare i propri scopi. Scrisse Erlich:

La miglior difesa è l’attacco…(anche se) non può essere usato in ogni occasione. Due anni fa, quando la bancarotta del governo di maggio non era così evidente, quando le masse popolari non avevano ancora abbandonato le illusioni di maggio, sarebbe stato difficile seguire questo consiglio. Ma oggi la situazione è cambiata. Oggi la politica di attendere, evitare, restare ai margini e non rispondere alla provocazioni è acqua al mulino del dittatore, poiché essa produce apatia e disinteresse, che sono elementi importanti per la reazione e la dittatura. E’ necessario portare la lotta contro il regime di Pisludski al di fuori delle mura della Dieta, all’aperto. E’ necessario avere il supporto del popolo, in primo luogo dei lavoratori, nell’azione contro il regime di Pilsudski.303

Nel tentativo di promuovere la fusione del PPS e del Bund, fu organizzato un incontro dell’Esecutivo dell’Internazionale Socialista. Ivi Victor Alter, leader dei sindacati ebraici e secondo solo a Erlich nelle gerarchie del Bund, dichiarò che “solo una lotta per la democrazia proletaria rivoluzionaria può portare all’unità tra i gruppi socialisti”304. Mieczyslaw Niedzialkowski, che rappresentava il PPS, rispose che il Bund poteva più facilmente permettersi di sputare frasi rivoluzionarie poiché non aveva mai avuto sulle spalle il destino della Polonia, mentre il PPS aveva sperimentato quel gravoso ruolo. Nell’estate del 1932, durante un periodo di forte repressione da parte del regime di Pilsudski, un gruppo di bundisti guidati da Victor Alter e un gruppo dell’ala sinistra del PPS (i Socialisti Polacchi) decise di trasformare un piccolo mensile, Nasza Walka, in un quotidiano socialista, che doveva essere pubblicato dagli stessi editori del quotidiano bundista Najer Folkstseitung. Il nuovo giornale, chiamato Pismo Codzienne, era ideologicamente molto vicino ai bundisti ma era rivolto ai lavoratori polacchi, per portarli dal riformismo del PPS alle posizioni rivoluzionarie. Il governo di Pilsudski fu subito preoccupato da questa iniziativa che poteva spingere il PPS a un maggiore radicalismo, e perciò a due settimane dalla prima uscita decise di chiudere la tipografia che aveva iniziato a stampare il giornale, nel contempo diffidando le altre attività simili dal rilevare quell’onere. Inoltre un ispettore governativo fece chiudere per 17 giorni il Najer Folkstseitung, con il pretesto che i macchinari per stamparlo non erano sicuri.

301 Unser Zeit, febbraio 1932 302 Najer Folkstseitung, 6 agosto 1931 303 Unser Zeit, maggio 1931 304 Najer Folkstseitung, 12 marzo 1931 95 Anche il PPS fu contrariato dall’uscita di Pismo Codzienne, poichè quest’ultimo conteneva molte critiche verso i socialisti riformisti. Anche il successore di Pismo Codzienne, il settimanale Nowe Pismo, continuò a fungere da spina nel fianco del PPS, il quale levò aspre proteste. Niedzialkowski disse che gli attacchi alla propria leadership sollevavano seri dubbi sulla effettiva volontà del Bund di cooperare con il PPS. Erlich rispose negando che il Bund dovesse astenersi dal criticare il PPS, anche se i due gruppi cooperavano. “Secondo Niedzialdowski” scrisse Erlich “un partito socialista non deve mai parlare di un altro, o deve parlarne solo bene. Le critiche oneste e costruttive egli le considera ostili”. Per Erlich gli altri partiti socialisti non dovevano essere considerati intoccabili: “Noi siamo ben felici di riportare i loro successi; ma, proprio perché ci sentiamo molto vicini a loro, ci sentiamo liberi di – e obbligati a – parlare apertamente e senza fronzoli diplomatici di tutte quelle azioni che noi consideriamo sbagliate e dannose per la nostra politica”305. In alcuni casi nelle elezioni locali il Bund e il PPS si presentarono con una lista unitaria, riscontrando un buon risultato: a Cracovia e Tarnow, due centri industriali, elessero rispettivamente 17 e 13 consiglieri comunali. I militanti del Bund nei primi anni ’30 calarono da 7.590 nel 1929 a circa 7.000 nel 1935. Evidentemente il calo maggiore si riscontrò nelle città piccole, poiché nel 1935 le dodici maggiori città polacche contavano complessivamente 6.715 militanti. In questo periodo il numero di sezioni locali del Bund salì da 200 a 213, ma in 300 piccoli centri l’organizzazione era assente, o rappresentata da singoli individui.

Lo scontro con il KPP. A cavallo del 1930, il Partito Comunista di Polonia condusse una guerra aperta contro il Bund, accusandolo di essere in combutta con il governo nell’oppressione dei lavoratori ebrei e polacchi, e di essere “socialfascista”, lacchè della classe capitalistica. L’organo ufficiale del KPP, Czerwony Sztandar, in uno dei vari editoriali accusò il Bund di rappresentare “il più bieco tradimento degli interessi della classe operaia”. La difesa del diritto al lavoro degli operai ebrei fu criticata dai comunisti come tentativo di rompere l’unità tra il proletariato ebreo e polacco, e la richiesta dei consiglieri comunali del Bund di Varsavia di includere il pane azzimo nei pacchi di viveri distribuiti ai disoccupati durante la Pasqua ebraica fu criticata come pro- clericale. Infine il giornale del KPP accusò il Bund di impedire alle minoranze nazionali il raggiungimento dell’autonomia. Un giovane bundista, Abraham Neuerman, membro della minoranza anti-comunista nel Sindacato dei Fornai, fu ucciso a colpi di pistola da sicari comunisti, in pieno giorno, in un’affollata via di Varsavia. Egli si stava recando a un’assemblea sindacale ove la leadership comunista sarebbe stata messa in discussione. Più di 50 bundisti in quegli anni furono feriti o accoltellati dai comunisti; tra essi vi fu il segretario del sindacato femminile dell’abbigliamento, il segretario del sindacato dei lavoratori del cuoio, e funzionari dei sindacati dei metallurgici, dei magliai e dei trasporti. Gangster comunisti attaccarono le scuole serali gestite dal Bund, frequentate da adulti, ma anche quelle per bambini e il Sanatorio Medem306. Gli attacchi erano parte di una campagna di terrore rivolta contro il movimento operaio ebraico che i comunisti non riuscivano a controllare. I bundisti li paragonarono al terrore anti- socialista dei fascisti in Italia nei primi anni ’20, attribuendoli non tanto ai dirigenti del KPP ma a dei provocatori che in questo modo “stanno aiutando la reazione fascista”307. La polizia polacca non arrestava i comunisti sospettati di avere compiuto gli attacchi, mentre gli arresti e le condanne fioccavano per i membri del KPP sorpresi a distribuire volantini o a fare agitazione. Nonostante questi episodi, dopo la presa del potere di Hitler in Germania ci furono tentativi di cooperazione tra Bund e KPP, almeno contro la repressione, ma non ebbero buon esito. Nel marzo 1933 i comunisti proposero ai bundisti un fronte unito contro il fascismo. Il Bund accettò, a due condizioni: la cessazione della campagna comunista contro il Bund e negoziati segreti per evitare le attenzioni della polizia. I comunisti accondiscesero e i negoziati incominciarono, ma quasi subito gli attacchi contro il Bund ripresero, culminando in una sparatoria contro i lavoratori di

305 Najer Folkstseitung, 13 agosto 1933 306 Unser Tseit, marzo – aprile 1932 307 ibidem 96 una mensa, la maggior parte dei quali erano bundisti, in cui ci furono un morto e un ferito grave. Ciò portò alla fine delle trattative. Sempre nel 1933 ci furono altri due tentativi di azione unitaria tra il Bund e i comunisti, ma anch’essi abortirono quando il KPP annunciò di non poter cooperare con il Bund in quanto esso era “traditore della classe operaia” e “nemico dell’Unione Sovietica”308. Nel giugno del 1934 un altro tentativo di cooperazione fu messo in piedi su iniziativa del KPP per salvare Ernst Thaelmann, dirigente dei comunisti tedeschi accusato ingiustamente e condannato a morte per l’incendio del Reichstag. Ancora una volta i negoziati si interruppero quando ripresero gli attacchi contro il Bund. La disastrosa tattica di attacco ai socialdemocratici condotta dal Comintern in questi anni spinse ancora di più i dirigenti bundisti all’opposizione al comunismo dell’Unione Sovietica. Erlich scrisse: “La tragedia del comunismo, come movimento internazionale, sta nella sua completa mancanza di valori. L’intera filosofia del comunismo si limita a due cose: apologia dell’Unione Sovietica e odio verso i movimenti operai non comunisti. I comunisti non hanno altri principi positivi”309. Mauritzi Ozher, direttore del Najer Folkstseitung, scrisse che “Non c’è alcun socialismo in Unione Sovietica. Là governa il terrore…”. Secondo i teorici del Bund, l’economia dell’URSS si fondava su false premesse, che ignoravano i bisogni delle masse. L’industrializzazione era stata imposta con la forza e il terrore, e aveva portato a un ulteriore impoverimento della popolazione. Il Piano Quinquennale istituito da Stalin non era la strada verso il socialismo, ma semplicemente un tentativo di trasformare l’URSS in un gigante industriale. Il problema del socialismo in URSS era poi anche di carattere politico, oltre che economico. Non si poteva giungere al socialismo attraverso un governo dittatoriale: “La via del Piano Quinquennale non è la via al socialismo, bensì piuttosto la falsa via verso la dittatura”310. I bundisti ritenevano che il socialismo non fosse raggiungibile semplicemente abolendo la proprietà privata o sviluppando l’industria pesante; questi erano soltanto i prerequisiti necessari al socialismo. Lo sviluppo dell’industria pesante poteva avere luogo anche sotto il capitalismo. Il socialismo voleva dire controllo collettivo dell’industria per il benessere dell’intera società. Ciò che il Piano Quinquennale sperava di ottenere, invece, era una “dittatura terroristica dell’industria sugli interessi delle masse”. L’industria era una componente necessaria della società socialista, ma se il Piano Quinquennale era un passo verso il socialismo, ciò metteva in discussione i principi del socialismo, poiché il capitalismo aveva raggiunto l’industrializzazione con costi umani inferiori a quelli richiesti dal Piano Quinquennale311. Nel 1935 l’Unione Sovetica iniziò a temere seriamente l’invasione da parte della Germania di Hitler, e i comunisti dunque svilupparono la tattica dei fronti popolari. In sintesi si trattava di organizzare azioni unitarie di tutti gli elementi antifascisti di un paese, a sostegno di una politica estera anti-nazista. Il Bund fu contrario a questa tattica, in quanto contrastante con gli interessi della classe operaia:

Così come la precedente teoria del fronte unito dal basso (la tattica della guerra ai socialisti) era dannosa per la classe operaia, altrettanto lo è la nuova tattica del fronte popolare. Limitare la lotta contro il fascismo a una difesa della democrazia, con riferimenti alla democrazia di carattere generale…non è abbastanza. I fascisti fanno uso della democrazia per propagandare le proprie…idee. Hitler è giunto al potere legalmente, in base alla Costituzione democratica di Weimar. In tali condizioni (laddove la democrazia può aiutare il fascismo a prendere il potere) la lotta della classe operaia non è per una generica democrazia, ma per la più dura repressione delle organizzazioni fasciste…312

308 Rapporto del Comitato Centrale al Sesto Congresso del Bund polacco, 1935 309 Unser Tseit, febbraio 1932 310 Unser Tseit, aprile 1931 311 Socialistisze Bleter, giugno 1931 312 Tezn un Referat an der Teme “Folks Front oder Proletarishe Klasn Front, bollettino del Comitato Centrale del Bund distribuito nel 1936 nelle sezioni locali, Archivio del Bund 97 Negli anni ’30 a quanto pare non vi furono altri contatti tra il Bund e i comunisti polacchi. Il regime di Stalin nel 1938 ordinò lo scioglimento del KPP in quanto organizzazione trotzkista. I dirigenti del KPP fuggiti in Unione Sovietica dalla persecuzione in patria furono assassinati nelle galere staliniane.

Contrasti con i sionisti. Il Bund non era il solo a voler rappresentare gli ebrei socialisti; almeno altri due partiti si autodefinivano socialisti, e offrivano la propria soluzione alla questione ebraica. Si trattava di due distinte correnti di Poale Zion, che appoggiavano entrambe il progetto di stato ebraico in Palestina, spingendo per l’emigrazione dalla Polonia verso quella che consideravano la nuova patria. L’ala destra di Poale Zion era ostile al Bund; l’ala sinistra in alcuni casi aveva collaborato con esso. Il Bund era sempre stato contrario all’ideologia sionista, e Vladimir Medem aveva sottolineato come il sionismo e il socialismo fossero due opposti inconciliabili. “Ci chiedono perché siamo contrari al sionismo” scrisse “La risposta è semplice: perché siamo socialisti. E non solo tendenti al socialismo, o solo di idee socialiste. Ma attivisti socialisti. E tra l’attività sionista e l’attività socialista vi è una distanza profonda…e nessun ponte la può colmare”313. Il Bund ribadiva che gli ebrei erano cittadini polacchi e non della Palestina, che erano un popolo europeo e non mediorientale, che i loro legami erano con i paesi nei quali vivevano e non in quello in cui alcuni loro antenati avevano vissuto. La sola risposta definitiva al problema ebraico era nella rivoluzione sociale. Nel 1920 Medem aveva riassunto la posizione del Bund:

…parlano di una casa nazionale in Palestina. Ma tutta la nostra organizzazione, tutto il nostro lavoro è basato precisamente sull’idea opposta, l’idea che la nostra casa è qui: qui in Polonia, in Russia, in Lituania, in Ucraina, in America. Qui viviamo, qui lottiamo, qui lavoriamo, qui costruiamo le nostre speranze. Non siamo qui come stranieri, qui siamo a casa. E’ su questa base che sussiste la nostra ragion d’essere…Senza questa base tutto il nostro lavoro diventa inutile, illogico, senza ragione. Se la mia casa fosse “là”, avrei sprecato ogni goccia di sudore che ho speso qui, in un paese straniero…Dunque c’è un motivo se i sionisti sono arrabbiati, e ci accusano di voler usare il sangue ebraico come “lubrificante per le rivoluzioni altrui”. Le grandi rivoluzioni europee a loro non interessano, la loro casa è in Asia. Una casa nazionale in Palestina non eliminerebbe la condizione di esiliati degli ebrei. E’ una negazione e una distorsione spirituale dell’esilio…L’emigrazione di milioni di ebrei in Palestina non è neanche un’ipotesi. Al massimo, col massimo degli sforzi e nelle migliori condizioni…un decimo degli ebrei del mondo potrebbero – dopo decenni – stabilirsi in Palestina. L’esilio ebraico esisterebbe ancora come prima. Ciò che cambierebbe è che la fiducia degli ebrei nel proprio futuro, la speranza degli ebrei nell’esilio, la lotta per una vita migliore verrebbero soffocate.314

Quando nel 1929 gli arabi attaccarono i coloni ebrei in Palestina, I sionisti chiamarono delle manifestazioni di protesta. Il Bund si rifiutò di partecipare e convocò proprie assemblee per esporre “la verità sulla Palestina”. I sionisti, affermò il Bund, erano colpevoli dei massacri di ebrei tanto quanto gli arabi o gli inglesi; si erano insediati in un territorio per sottrarlo alla popolazione indigena. Il Bund assunse una posizione fermamente anti-sciovinista, ribadendo che “con la massima energia ci opponiamo all’ondata nazionalista nel momento della sua massima crescita”315. I sionisti, che sull’onda emotiva aumentavano il proprio seguito (soprattutto le fazioni di destra), attaccarono quelli che definivano gli effendi bundisti, e vi fu un periodo di forte tensione tra le due componenti in seno al mondo ebraico.

Ingresso del Bund nell’Internazionale Socialista. Rimasto fuori dal Comintern dopo le trattative del 1921, a livello internazionale nel 1923 il Bund si era legato a un piccolo gruppo di partiti socialisti o filo-comunisti, il Bureau dei Partiti Socialisti Rivoluzionari, con centro a Parigi. Nel corso degli anni ’20 ripetutamente i dirigenti bundisti avevano espresso la consapevolezza

313 Naie Velt (New York), 2 luglio 1920 314 ibidem 315 Resoconto del Comitato Centrale al Quinto Congresso del Bund polacco, 1931 98 dell’inutilità di tale affiliazione. Il primo passo verso l’affiliazione all’Internazionale Operaia e Socialista (LSI) fu fatto al Quarto Congresso del gennaio 1929 a Varsavia, che ebbe luogo due mesi dopo le elezioni del 1928, nelle quali si era sperimentata positivamente l’alleanza con il PPS. I militanti bundisti erano cresciuti fino a oltre 7.500, contro i 4.500 di cinque anni prima. Erano aumentate anche le sezioni locali, 187 bundisti erano presenti nei vari consigli municipali e 13 erano magistrati. In quel periodo non vi era speranza di unione con i comunisti, e il distacco del PPS da Pilsudski aveva reso possibile l’affiliazione del Bund alla LSI, della quale il PPS era membro. Per sottolineare il “nuovo corso”, il PPS inviò l’editore del proprio quotidiano, il Robotnik, come delegato al Congresso. Costui fece un discorso a favore dell’ingresso del Bund nell’Internazionale Socialista, invocando una maggiore cooperazione tra i due partiti ed esprimendo appoggio per uno dei cavalli di battaglia del Bund, la garanzia dei diritti dei lavoratori ebrei nei luoghi di impiego. Non tutti i dirigenti del Bund erano a favore dell’ingresso nella LSI, da loro considerata la “palude del riformismo”. Costoro speravano ancora che il Comintern sarebbe cambiato in positivo, consentendo al Bund di affiliarsi all’Internazionale Comunista. La maggioranza dei dirigenti bundisti tuttavia non si facevano illusioni sul Comintern, e ritenevano che se anche ci fosse stata la possibilità di entrarvi il Bund avrebbe dovuto rifiutare, per il disaccordo su alcune fondamentali questioni di principio. Al Congresso Victor Alter propose quindi che il Bund entrasse nella LSI, e che tentasse di convincere gli altri membri del Bureau di Parigi a fare altrettanto. Ne sorse un lungo e acceso dibattito, come riportato da un delegato: “Per tre giorni e mezzo dentro il partito vi fu un acceso dibattito ideologico. Ciascuno di noi combattè vigorosamente per la verità per come la vedeva, poiché ciascuno era convinto che quella verità esprimesse al meglio l’interesse del partito”316. Alla fine la risoluzione di Alter fu approvata, con un emendamento che prevedeva una ratifica della decisione ad un congresso straordinario da tenersi l’anno successivo. Il Quinto Congresso del Bund si tenne quindi nel giugno 1930 a Lodz, città in cui la presenza socialista era molto consistente. Israel Lichtenstein, membro del Bund e del Consiglio municipale della città, espresse lo spirito dell’assise affermando: “I lavoratori ebrei di Lodz non sono soli nella lotta. Essi sono fianco a fianco con la classe operaia polacca e tedesca”317. Zygmunt Zaremba, socialista membro della Dieta eletto grazie a un’alleanza Bund – PPS, fece un appello per l’unità permanente tra i due partiti.

I lavoratori polacchi e i lavoratori ebrei non hanno solo punti in comune, ma anche differenze. Il nemico che divide i lavoratori di varie nazionalità detiene ancora un’ampia influenza su di noi…Se, nonostante ciò, i lavoratori polacchi ed ebrei si avvicinano sempre più, è perché da una parte vi è il Bund e dall’altra il PPS…i quali stanno costruendo un ponte di unità tra il proletariato delle due nazioni. Se vi sono delle differenze tra noi, non dobbiamo avercene a male; invece dobbiamo cercare di comprenderci l’un l’altro, e cercare di eliminare queste differenze. Poiché si sta creando una maggiore comprensione dei punti di vista di ciascuno, anno dopo anno ci stiamo avvicinando sempre più.318

Lo spirito di cooperazione era reso possibile in quanto l’esito del Congresso era scontato. Quasi il 60% degli iscritti al Bund si era espresso in precedenza per l’affiliazione alla LSI, e i delegati erano presenti nella proporzione corrispondente, 60 a 43. La minoranza tuttavia assunse un atteggiamento battagliero, rifiutandosi di far parte della presidenza del congresso. La risoluzione sull’affiliazione, preparata dal Comitato Centrale, sottolineò che non vi potevano essere compromessi con l’Internazionale Comunista. Essa affermò che il Comintern “è alla bancarotta ideologica e svolge un ruolo deleterio nel movimento operaio; il Bureau…non è riuscito, dopo sette anni, a diventare un centro per i partiti socialisti rivoluzionari, e l’Internazionale Socialista è cresciuta a causa del crescente desiderio di unità tra i partiti socialisti non comunisti. L’Internazionale Socialista ora include tutti i settori del movimento socialista eccetto i comunisti, e permette a ciascuno di far parte dei propri ranghi”319.

316 Der Veker (New York), 23 marzo 1929 317 Der Veker (New York), 28 giugno 1930 318 ibidem 319 ibidem 99 La minoranza propose una risoluzione alternativa, attaccando aspramente la LSI ma senza proporre un’affiliazione internazionale alternativa per il Bund, e chiese che il congresso rinunciasse ad esprimersi sulla questione per rispetto delle posizioni della minoranza: “Come potete chiedere a quasi la metà del partito di entrare in un’internazionale che consideriamo essere la più oltraggiosa negazione degli ideali stessi dell’internazionalismo?”. Erlich a nome della maggioranza negò che l’ingresso nella LSI significasse capitolazione ideologica: “Noi rimaniamo opposti tanto al riformismo quanto al comunismo”320. A questo punto la minoranza tentò un altro stratagemma burocratico, e 42 delegati su 43 lasciarono il congresso, pensando che un numero di presenti inferiore al 60% avrebbe inficiato la prosecuzione dei lavori. Ma i delegati rimasti votarono ugualmente la risoluzione (59 a 1, essendo un delegato della maggioranza assente). A questo punto la minoranza rientrò per partecipare alla sessione finale del congresso, dando prova di non volere dividere il Bund. Sancendo l’ingresso del Bund nella LSI, Erlich sottolineò comunque che il Bund si sarebbe battuto vigorosamente per farne un’organizzazione rivoluzionaria:

Il Congresso doveva rispondere a una domanda: “Come porre fine al paradosso della visione internazionalista del nostro partito e del suo isolamento nella pratica?” Nell’ambito dell’organizzazione (dell’Internazionale Socialista) è necessario per il bene della classe operaia ebraica trovare un posto per il suo partito…il Bund. Ma non cerchiamo di farci alcuna illusione sull’Internazionale Socialista…siamo consapevoli di tutti i suoi errori.321

La democrazia interna al Bund. L’unità del partito dei lavoratori ebrei era stata sempre un elemento fondamentale del Bund fin dalla sua nascita. Ma l’unità, nella terminologia del Bund, non aveva mai voluto significare un controllo monolitico sull’organizzazione. Nel Bund ci fu sempre una quasi totale libertà di espressione, anche se una volta prese delle decisioni era richiesta la disciplina nell’azione. Dopo il Congresso di Lodz la posizione della minoranza fu rappresentata nel Comitato Centrale e nella redazione del giornale ufficiale del partito. Il portavoce della minoranza, Chmurner, fu riconfermato nel Comitato Centrale ed entrò nella redazione del Najer Folkstseitung. “Sia la maggioranza che la minoranza, nei momenti del massimo disaccordo ideologico o…organizzativo, non persero mai il sentimento di fraterna unità”322. Dalle posizioni emerse al Congresso di Lodz scaturirono due pubblicazioni: Socialistisze Bleter a rappresentare il punto di vista della maggioranza, e Kegn Shtrom come espressione della minoranza. Nel 1931, a un articolo di Chmurner che difendeva la tattica scissionista del Comintern nel 1921, replicò per la maggioranza Emanuel Sherer:

L’influenza del riformismo sulla classe operaia era molto più debole prima della guerra rispetto ad oggi. Ciò era dovuto all’unità del movimento socialista in quasi tutte le nazioni importanti e nell’Internazionale. L’unità proletaria e non la divisione è oggi, ancora una volta, il modo più corretto ed efficace di combattere il riformismo. La linea comunista della scissione…è un danno per il socialismo rivoluzionario…dunque è un…crimine.323

Non tutti i dirigenti del Bund accolsero con favore la polemica tra fazioni interne al Bund. Alter ad esempio espresse forte contrarietà:

Una volta vi sono delle fazioni organizzate dentro il partito ci deve essere disciplina entro queste fazioni…così la disciplina di fazione diventa più forte della disciplina del partito. La sola disciplina che io accetto è quella del partito.324

Ciò che premeva di più ai dirigenti bundisti era l’unità di tutti i gruppi socialisti, dal più moderato al più rivoluzionario, sotto un’unica bandiera. In questo modo sarebbe stato possibile lo sviluppo di un movimento socialista in grado di comporre gli estremi ideologici. Il moderatismo del PPS o della Socialdemocrazia Tedesca era da rifiutare poiché non garantiva una sufficiente

320 ibidem 321 Najer Folkstseitung, 6 giugno 1930 322 Socialistisze Bleter, giugno 1931 323 ibidem 324 ibidem 100 efficacia nell’azione. Ma la posizione comunista era ancor peggiore: “Il regime senza libertà, lo stato prigione che il Partito Comunista vuole instaurare ci è estraneo”. Quasi tutti i leader bundisti erano contrari al tentativo comunista di “piegare la volontà della classe operaia istituendo una dittatura del Politburo”325. Pur difendendo le libertà democratiche e il parlamentarismo contro la reazione e il fascismo, i bundisti non espressero mai un’adesione alla democrazia parlamentare “per principio”, né consideravano possibile che la classe capitalistica cedesse il proprio potere pacificamente. Secondo i bundisti i fatti stavano a dimostrare che, nel momento in cui i socialisti fossero stati sul punto di prendere il potere attraverso la democrazia, il regime borghese si sarebbe evoluto in senso totalitario per impedirlo:

Anche avendo portato la maggioranza della popolazione dalla propria parte, la classe operaia non può aspettarsi che la borghesia cederà volontariamente il potere. Né le argomentazioni, né la giustizia, né il numero di persone che appoggiano il socialismo, ma solo la forza e lo spirito combattivo dei lavoratori determineranno l’esito della battaglia decisiva. La borghesia non rimarrà inerte mentre i suoi privilegi di classe vengono limitati. Dobbiamo attenderci una dura opposizione da parte della reazione, che difenderà le posizioni di potere che detiene da lungo tempo, e userà ogni mezzo disponibile contro qualunque tentativo di ridimensionarle da parte del nuovo ordinamento. In tali condizioni è necessario per le forze statali mettere a punto il proprio apparato statale – difendere il nuovo ordinamento…326

Il ruolo del regime di Pilsudski, secondo i bundisti, era di salvare il sistema capitalistico. La sola differenza tra il Sanacja e gli Endek era nel nome, e questi ultimi costituivano “l’esercito di riserva” del regime del Maresciallo. Il Bund era a favore delle riforme in epoca capitalistica, del miglioramento delle condizioni di vita e di lavoro delle masse impoverite in Polonia, prima dell’avvento della rivoluzione socialista. Erlich scrisse: “Noi non siamo comunisti, e non crediamo nella ridicola teoria del tanto peggio tanto meglio, o viceversa”327. Né i bundisti si illudevano di poter migliorare le condizioni degli ebrei senza che migliorassero le condizioni di tutta la popolazione polacca. Ma il Bund non volle mai entrare nel PPS, per non snaturare il proprio carattere di partito socialista ebraico.

325 Henrych Erlich, Der Icker fun Bundism, 1934 326 Materialn tsum Diskusie farn V. Tsusamenfor, documento del Bund 1934 327 Unser Tseit, gennaio 1929 101 11. IL BUND SCONFIGGE IL NAZISMO POLACCO (1935 – 39)

Intorno alla metà degli anni ’30 tre grandi e drammatici eventi, due esteri e uno interno, scossero la Polonia dalle fondamenta, e le risposte che il Bund seppe dare lo portarono in una posizione di vera e propria leadership nel mondo ebraico polacco. Gli eventi in questione furono l’ascesa al potere di Hitler in Germania, i brutali processi alla vecchia guardia bolscevica in Russia (culminati con le purghe staliniane), e la morte di Pilsudski, che aprì la strada alla deriva autoritaria e antisemita del regime da lui fondato.

La vittoria di Hitler in Germania. Nelle elezioni presidenziali tedesche del marzo 1932, nel pieno della spaventosa depressione economica, i nazisti si presentarono come forza politica in grado di rovesciare la fragile Repubblica di Weimar. La Socialdemocrazia tedesca a quel punto decise di convergere sulla riconferma alla presidenza, come indipendente, del vecchio eroe della Prima guerra mondiale, il Maresciallo Paul von Hindenburg, militarista e juncker. Una minoranza di bundisti polacchi, guidata da Maurycy Orzech, ritenne che i socialdemocratici tedeschi avessero agito correttamente – che nelle attuali condizioni i tedeschi potessero soltanto scegliere il minore dei due mali. La situazione in Germania, scrisse Orzech, non poteva essere vista come un vuoto in cui la scelta tra un candidato borghese e un altro fosse indifferente. La questione infatti era se Hitler fosse diventato presidente della Germania, facendo trionfare il nazismo. I socialisti non potevano concordare con la posizione dei comunisti “per cui non fa differenza per il proletariato tedesco se Hitler o Hindenburg è il presidente, e vi sarà poca differenza se il sistema di Bruning328 sarà sostituito da un regime fascista”. Orzech affermò che la scelta del presidente della Germania avrebbe fatto la differenza, e Hindenburg era da preferire a Hitler: “E’ ovvio che la Socialdemocrazia tedesca debba fare tutto il possibile per impedire a Hitler di essere eletto presidente”329. L’azione dei socialdemocratici tedeschi stupì la maggioranza dei bundisti, che storicamente si erano opposti alle coalizioni con i partiti non socialisti, e ancor più con forze non democratiche. La maggior parte dei dirigenti del Bund ammonì che alla fine Hindenburg si sarebbe alleato con Hitler. Al Congresso del 1931 della LSI il Bund, il piccolo Partito Laburista Indipendente di Gran Bretagna, Bataille Socialist (fazione del partito francese) e il piccolo Partito Socialista Indipendente di Polonia attaccarono aspramente la Socialdemocrazia tedesca. Alter esortò Rudolf Hilferding, dirigente della SPD, a presentare al Reichstag una proposta di politiche fiscali di stampo keynesiano, nel tentativo di sanare l’economia e ricacciare indietro Hitler. Ma il suggerimento fu respinto. Otto Wels, alto dirigente della SPD, derise il Bund e i suoi alleati, dicendo che erano troppo piccoli per comprendere i difficili compiti di governo e avevano poca voce in capitolo, a parte le questioni di principio: “Il Bund, a conti fatti, è membro dell’Internazionale da cinque mesi, e sta già provando a dire all’SPD che cosa deve fare”330. I fatti diedero ragione ai bundisti. Con l’appoggio dei socialdemocratici, Hindenburg vinse le elezioni presidenziali del 1932, ma in capo a meno di un anno chiamò controvoglia Hitler all’incarico di Primo ministro (Cancelliere). E nel 1933 il più forte movimento operaio e socialista del mondo collassò, e i suoi dirigenti finirono o in esilio o nei campi di concentramento. In conseguenza di ciò, alla Conferenza dell’Internazionale Socialista tenutasi a Parigi nell’agosto 1933 crebbe la minoranza radicale formata dal Bund e da membri dei partiti socialisti di Stati Uniti, Belgio, Francia ed Estonia. Tuttavia questa fazione rivoluzionaria prese ancora solo 18 voti su 309. Erlich, portavoce della fazione, affermò che la responsabilità dell’ascesa di Hitler in Germania era da imputare in pari grado all’SPD e ai comunisti. I dirigenti comunisti avevano

328 Heinrich Bruning, Primo ministro uscente, del Partito di Centro. 329 Unser Tseit, luglio 1931 330 Najer Folkstseitung, 6 agosto 1931 102 “inventato la formula del ‘ruolo positivo’ dell’hitlerismo” in quanto il fascismo era l’ultimo stadio del capitalismo e salendo al potere esso avrebbe accelerato il crollo del capitalismo. Per di più Hitler aveva ottenuto “in un breve lasso di tempo ciò che i comunisti avevano a lungo cercato di fare senza successo, ovvero la distruzione del Partito Social Democratico”331. Ma per quanto gravi fossero le colpe dei comunisti, Hitler era salito al potere anche a causa delle mancanze dei socialdemocratici.

Naturalmente noi sappiamo quanto sia grande la responsabilità dei comunisti per (l’ascesa di) Hitler. La loro politica avventurista, e in particolare la loro idea di poter giovare al proletariato dividendo i suoi ranghi, hanno subito una completa disfatta in Germania. Ma non meno completa è la sconfitta della politica riformista, la politica di contare sulla democrazia formale e la legalità. Ciò deve essere chiarito, cosicchè non solo possiamo ben giudicare il passato ma anche imparare come agire in futuro.332

La linea dei socialisti tedeschi di coalizione con i partiti non-socialisti, disse Erlich, aveva rafforzato quelle stesse fazioni che essi intendevano sconfiggere. La SPD, creando l’illusione della democrazia, aveva paralizzato la classe operaia e reso impossibile l’azione contro Hitler. Wels ammise che l’SPD aveva commesso degli errori, in particolare nell’insistenza affinchè a Hitler fossero garantite pienamente le libertà previste nella Costituzione di Weimar. Ma, aggiunse, il partito avrebbe potuto fare ben poco per fermare Hitler. La resistenza sarebbe stata inutile: i lavoratori avevano perso il loro spirito militante. Nel 1920 egli aveva lanciato uno sciopero generale e il proletariato aveva aderito entusiasticamente, ma nel 1932 lo stesso appello avrebbe avuto “l’effetto di gettare una torcia in un covone di paglia bagnata”333. Una lotta vincente contro la minaccia fascista in Europa, replicò Erlich, richiedeva una completa revisione delle posizioni dei socialisti. Il capitalismo era in declino, e in quelle condizioni la democrazia diminuiva a sua volta. La questione a quel punto era “se la classe operaia possa ottenere il potere e iniziare a realizzare l’ideale socialista attraverso mezzi puramente democratici”334. La fazione di Erlich propose, senza successo, che l’Internazionale adottasse una risoluzione contenente molti elementi delle teorie di Lenin:

L’esperienza dell’ultimo anno ha dimostrato che le crisi economiche prolungate, i frenetici tentativi della borghesia di mantenere i suoi privilegi a dispetto di tutto, e di preservare con ogni mezzo la propria posizione dalla minaccia del socialismo, pongono di fronte ai partiti operai e contadini la necessità della realizzazione del socialismo come obiettivo immediato. La sola scelta davanti alle classi subalterne è tra la completa distruzione, sotto il fascismo, e la lotta immediata per il socialismo. …Non è compito dei partiti socialisti tentare di risollevare il mondo capitalista, o anche di collaborare a tali tentativi. Essi dichiarano, al contrario, che a prescindere dai mezzi coi quali ottengono il potere essi non devono esercitare il potere entro la struttura del regime capitalista, ma devono utilizzare il potere per distruggere lo stato borghese e instaurare la dittatura del partito rivoluzionario durante la fase dell’edificazione socialista. Durante il periodo della lotta per la conquista del potere, come durante il periodo della sua gestione, i partiti socialisti devono rimanere fedeli al principio della democrazia proletaria, che è la sola garanzia per lo sviluppo della dittatura delle classi rivoluzionarie in una dittatura degli operai e dei contadini. La dittatura dovrebbe essere esercitata sotto il controllo permanente di organizzazioni libere di negoziare, di scegliere i propri rappresentanti, e di stabilire autonomamente la propria linea di azione. E’ chiaro che la classe operaia difenderà energicamente le conquiste democratiche contro tutti i tentativi reazionari, ma la lotta contro il fascismo non può avere come obiettivo il mantenimento o il ristabilimento della democrazia borghese, che è basata sulla diseguaglianza economica, bensì la costruzione di una vera democrazia socialista.335

331 Henryk Erlich, The Struggle for Revolutionary Socialism, report della Conferenza di Parigi della LSI, 1934 332 ibidem 333 ibidem 334 ibidem 335 ibidem 103 Non appena Hitler conquistò il potere i bundisti intravidero in ciò una minaccia diretta all’esistenza della Polonia. Nel maggio 1933 Erlich ammonì che il piano di Hitler era eliminare il Corridoio Polacco, che univa il paese al mare, rioccupare la parte di Slesia divenuta territorio polacco, occupare Danzica e infine fare dell’intera Polonia una colonia del Terzo Reich.

Il Bund polacco e le purghe staliniane. Il 1 dicembre 1934 Sergej Kirov, membro del Politburo e capo del PCUS a Leningrado, fu ucciso a colpi di pistola da un giovane studente. La reazione di Stalin e del suo blocco fu una serie di processi durante i quali i principali protagonisti della Rivoluzione d’Ottobre, e della successiva difesa del potere bolscevico durante la guerra civile, furono condannati a morte. L’effetto sui bundisti polacchi fu scioccante. Molti dei condannati prima del 1917 erano stati compagni di lotta di Erlich, Alter e degli altri leader del movimento operaio ebraico. Vi erano stati disaccordi su temi di principio e di tattica, ma tutti si erano uniti nella lotta armata contro il regime zarista. Zinovev nei primi tempi era stato uno dei più fieri avversari del Bund, ma la sua devozione alla causa rivoluzionaria non era mai stata messa in dubbio. E ora veniva processato come “agente delle guardie bianche zariste”. I dirigenti del Bund affermarono che il processo a Zinovev e ad altri leader aveva come scopo il rafforzamento del potere di Stalin, e non era legato direttamente all’uccisione di Kirov. Alter scrisse che ammettendo che il verdetto fosse giusto, allora la rivoluzione era stata fatta da indegni traditori; di converso se, com’egli credeva, il verdetto era sbagliato, allora i governanti dell’URSS avevano commesso un’orribile crimine contro la rivoluzione e gli uomini che l’avevano fatta. In entrambi i casi i processi erano una tragedia non solo per la Russia ma per il movimento rivoluzionario nel suo complesso: “Le fucilazioni non hanno colpito solo i condannati, ma anche seriamente ferito la rivoluzione stessa”336. Le esecuzioni segnarono un nuovo marcato distacco del Bund dal comunismo e spinsero i suoi dirigenti a sottolineare ancora il valore della democrazia proletaria. Il totalitarismo, dichiarò Alter, significava “ritorno alle tradizioni barbare, al potere illimitato dell’individuo che sta al di sopra della legge umana e divina – alla tradizione del Khan mongolo, di Ivan il Terribile, e di Pietro il Grande”. Il totalitarismo rappresentava la negazione di migliaia di anni di lotte per la libertà e per la fine dell’oppressione. Alter definì il potere di Stalin una forma di questo totalitarismo.

Dobbiamo rivedere la vecchia teoria che il comunismo e il socialismo, crescendo dalla medesima radice – e anche dallo stesso ramo – sono divisi solo per questioni di tattica e metodi di lotta, e dovrebbero unirsi come un tutt’uno per la lotta per la società futura. Una volta era così; ora è diverso. Anche i fini sono cambiati. Se il socialismo è rimasto fedele ai principi di una società futura fondata sulla libertà, il comunismo si è allontanato sempre più, e ha raggiunto l’attuale totalitarismo antilibertario stalinista.337

Il regime sovietico, ribadì Alter, ora era l’antitesi della futura società socialista. Era piuttosto uno stato totalitario in cui chiunque lottasse per una vera società socialista sarebbe andato incontro alla prigione e alla morte. Di fronte alla tragedia dei processi, Alter si spinse anche a relativizzare i principi del marxismo:

Il momento del trionfo finale del Marxismo sarà anche il momento della sua scomparsa. Allora automaticamente sorgerà una nuova ideologia, legata a quell’epoca in cui la lotta per la sopravvivenza cesserà di essere la forza motrice della vita umana. Il metodi marxisti resteranno parzialmente nella nuova ideologia. Serviranno a studiare il passato, ma il futuro sarà oggetto di leggi più generali.338

La Polonia dei colonnelli: provvedimenti contro gli ebrei. La definitiva scomparsa della democrazia in Polonia arrivò nell’aprile 1935, quando fu adottata la nuova, cosiddetta Costituzione di Pilsudski. Essa limitava i poteri della Dieta, aumentava il potere del Presidente, e gettava le basi

336 In Henryk Erlich un Victor Alter, 1951 337 ibidem 338 ibidem 104 per il controllo dall’alto delle nomine e delle elezioni. Ma Pilsudski non potè abusare dei nuovi provvedimenti, poichè tre settimane dopo il loro varo morì. Nel luglio 1935, in vista delle elezioni, i colonnelli dell’esercito seguaci di Pilsudski introdussero una legge elettorale che rendeva praticamente impossibile per l’opposizione nominare dei candidati. I socialisti chiamarono quindi al boicottaggio elettorale. Nonostante la repressione della polizia contro gli agitatori che promuovevano il boicottaggio, il 50% degli aventi diritto non si presentò alle urne, e nei quartieri operai delle città la percentuale salì all’80%. I seguaci di Pilsudski – i colonnelli Slawek, Koc, Kowalewski e Smygly-Rydz - non si scomposero e nel giro di due anni formarono un nuovo blocco governativo, il Campo di Unità Nazionale, comunemente detto Ozon. Il programma dell’Ozon ricalcava quello dei fanatici endek: offriva alla Chiesa Cattolica una posizione di privilegio, salutava l’esercito come forza unificante della nazione, attaccava frontalmente il comunismo come estraneo alla Polonia e solo come ultima voce prometteva la distribuzione della terra ai contadini poveri. La nascita di questo “non-partito” fu seguita dall’aumento della repressione verso gli oppositori politici. Un reporter inglese all’epoca parlò di “un’atmosfera tesa, carica di ansietà e paura”339 in tutto il paese. Gli attacchi alle sedi socialiste divennero un evento quasi quotidiano; bombe a tempo vennero collocate in sezioni del Bund; teppisti organizzati dall’Ozon assalivano i militanti socialisti, e in particolare bundisti. Nel settembre 1937 un ordigno incendiario fu gettato nella sede centrale del Bund a Varsavia, e a ciò seguì una sparatoria che fece quattro feriti gravi. Non ci fu nessun arresto e nessuna condanna, sebbene “la polizia fosse al corrente in anticipo degli assalti imminenti, e fosse ben conscia dell’identità dei loro autori”340. Il Primo Maggio 1937, un gruppo di teppisti attaccò lo spezzone del Bund al corteo operaio e socialista; alcuni partecipanti furono seriamente feriti, e un bambino di cinque anni perse la vita. A Kalisz un membro diciannovenne del Zukunft, il gruppo giovanile del Bund, fu ucciso da sconosciuti dopo aver lasciato la sede dell’organizzazione. Altri attacchi si ripeterono in tutta la Polonia nel corso dell’anno seguente. I giornali dell’opposizione venivano chiusi “con allarmante frequenza, perché pubblicavano notizie e opinioni ostili al governo”. I giornali socialisti in particolare furono colpiti; le loro sedi venivano sistematicamente ispezionate e dichiarate tecnicamente inadatte ad ospitare i macchinari di stampa. Le pubblicazioni che non venivano completamente vietate contenevano spazi bianchi laddove i censori avevano fatto cancellare gli articoli invisi; gli editori li sostituivano con note del tipo: “Non abbiamo potuto stampare l’articolo a causa di circostanze inaspettate”341. La crescente oppressione politica giunse in concomitanza con una forte crisi economica, che colpì in modo particolare la parte ebraica della popolazione. Il Comitato Centrale del Bund scrisse: “Questi sono tempi difficili. La crisi economica cresce sempre più…La situazione economica delle masse ebraiche, che prima della crisi era stata incerta e difficile, nel corso degli ultimi anni è peggiorata terribilmente”342. Le sofferenze economiche degli ebrei erano particolarmente accentuate a causa della loro posizione subalterna nella società polacca. Di 3.500.000 ebrei che vivevano in Polonia negli anni ’30, il 75% erano nelle aree urbane. A Varsavia più del 30% della popolazione era ebrea, a Lodz il 35% e a Lvov il 25%. La maggior parte degli ebrei erano artigiani o operai, con un consistente strato di piccoli negozianti; il Bund nel 1937 tra gli ebrei polacchi calcolava 700.000 salariati e 400.000 artigiani. Alla collocazione sociale si aggiungevano gli attacchi e le discrimazioni antisemite, all’ordine del giorno negli anni ’30. Sin dal 1931 iniziarono i problemi per gli studenti ebrei. Ad essi fu di fatto impedita l’ammissione alla maggioranza delle università, in particolare quelle per gli studi tecnici e medici. Moltissimi studenti ebrei preferirono andare a studiare all’estero: nel 1932 vi erano 8.000 ebrei polacchi nelle università straniere. Con l’avvento di Hitler al potere in Germania, i movimenti antisemiti polacchi subirono un’accelerazione. Un gruppo di giovani fanatici provenienti dagli Endek nel 1934 formò il Partito Nazional Radicale (comunemente detto “Nara”). I Nara volevano che tutti gli ebrei polacchi

339 Living Age, gennaio 1938 340 ibidem 341 ibidem 342 baricht 105 perdessero i diritti di cittadinanza, che tutte le proprietà ebraiche fossero espropriate, e che tutti gli ebrei fossero espulsi dalla Polonia. Ciò era in contraddizione con la posizione dei Nara verso le altre minoranze nazionali, per le quali essi volevano l’assimilazione ai polacchi. I Nara erano soprattutto giovani delle città, specialmente studenti universitari. Quando nel 1936 la loro organizzazione fu messa fuorilegge, passarono a tattiche e azioni ancor più apertamente terroristiche. I colonnelli che erano succeduti a Pilsudski non avevano gli scrupoli di quest’ultimo nel difendere gli ebrei dagli attacchi antisemiti. Il primo accenno alla questione venne dal colonnello Koc in occasione dell’annuncio della nascita dell’Ozon: “La posizione verso la minoranza ebraica è la seguente. Noi non potremo mai approvare la violenza e i brutali attacchi antisemiti, che rappresentano un degrado per la nostra dignità e il nostro onore nazionale. La calma, l’ordine e la sicurezza devono essere mantenute, ma noi comprendiamo l’istinto di legittima autodifesa del nostro popolo nel suo sforzo verso l’indipendenza economica”343. La risposta dell’Ozon ai problemi degli ebrei fu di invocare un esodo forzato di massa di questi ultimi dal paese che era stato la loro casa per 600 anni. Prima di poter cacciare gli ebrei, tuttavia, la Polonia doveva estrometterli dal tessuto economico, e rimpiazzarli con i polacchi. Il colonnello Jan Kowalewski, un leader degli Ozon, chiarì la posizione dell’organizzazione in un messaggio radiofonico:

La questione ebraica in questo paese è uno dei problemi più importanti. Gli ebrei sono troppo numerosi. La risposta è l’emigrazione di massa…e noi dovremmo spingere in quella direzione. Tuttavia, non possiamo aspettare che il problema si risolva da solo con la sparizione degli ebrei; noi dobbiamo senza indugio trovare impieghi per la popolazione polacca nel commercio, nell’industria e nelle attività artigiane. Non dobbiamo risparmiare alcuno sforzo nel polonizzare le principali branche dell’economia nazionale, e fare sì che le nostre principali città giochino un ruolo nella vita economica e culturale della Polonia.344

Per alcuni anni le condizioni economiche degli ebrei erano già peggiorate a causa delle discriminazioni nella politica fiscale e della disoccupazione. Allo scopo di mantenere il proprio smisurato esercito, la Polonia sviluppò un intricato sistema di tassazioni dirette e indirette, il peso delle quali ricadde in primo luogo sulla popolazione urbana. Di conseguenza gli ebrei, che vivevano quasi tutti nelle città, furono il gruppo più colpito. Essi costituivano il 10% della popolazione del paese ma pagavano circa il 40% delle tasse. Gli impieghi divennero sempre più difficili da ottenere per gli ebrei, molti di quelli che già li avevano finirono disoccupati. Ciò valse in particolare per i settori nazionalizzati, nei quali fu portata avanti una politica di sistematica colonizzazione. Nel 1922, per esempio, le manifatture tabacchi di proprietà privata a Varsavia, Bialystok, Lublino e Grodno impiegavano complessivamente circa 3.000 lavoratori ebrei; nove anni dopo, con l’industria nazionalizzata dallo stato polacco, non vi era quasi nessun lavoratore ebreo. Lo stesso accadde nella produzione di alcoolici e olio. E le amministrazioni comunali quasi sempre rifiutavano di assumere ebrei per le varie mansioni civiche, anche le più umili. Per gli artigiani le cose andarono nello stesso modo. Nel 1927 il regime di Pilsudski, nel tentativo di innalzare il livello di istruzione della popolazione, aveva approvato una legge che richiedeva una qualifica agli artigiani, e che stabiliva dei criteri d’esame. Questi criteri includevano la conoscenza della lingua e della storia polacca, la geografia e una prova di letteratura nell’idioma prevalente nello stato. Senza la licenza un artigiano non poteva assumere un apprendista, e ciò gli rendeva molto difficile svolgere la propria attività. Dal momento che la maggior parte degli artigiani ebrei erano uomini adulti che erano cresciuti nelle scuole yiddish o ebraiche del periodo zarista (quando la Polonia non era uno stato), per loro era molto difficile passare l’esame. Il risultato della legge sulle licenze fu una drastica diminuzione degli artigiani ebrei. Un effetto collaterale del fenomeno fu rendere difficile l’apprendimento di impieghi qualificati da parte della gioventù ebraica. Gli artigiani dai quali imparare non c’erano quasi più, e le scuole commerciali tendevano a privilegiare gli studenti polacchi. E quando un ebreo era ammesso agli studi, doveva guardarsi dalle discriminazioni, e dagli attacchi dei Nara e degli Endek.

343 Citato dal New York Times, 22 febbraio 1937 344 Gazeta Polska, 22 aprile 1937 106 Nel 1937 l’International Missionary Council of New York riportò che almeno un milione di ebrei in Polonia erano vicini all’indigenza. Un corrispondente del London Daily Herald scrisse che essi stavano “vivendo nel terrore fisico, e sono minacciati di espulsione di massa dalla Polonia. Non riescono a organizzarsi per difendersi, e sembra che stiano perdendo anche la speranza”345. Il Bund assunse la direzione della lotta per difendere i posti di lavoro degli ebrei e le attività degli artigiani. A Lodz il tentativo di licenziare undici insegnanti fu sventato grazie alla minaccia di sciopero unitario da parte del Bund e del PPS. Due membri della Dieta eletti grazie a un accordo Bund – PPS fecero pressioni sui dirigenti delle poste affinchè degli impieghi in quel settore fossero assegnati agli ebrei. E nelle manifatture tabacchi e in altri settori i sindacati guidarono degli scioperi nel vano tentativo di preservare i posti di lavoro degli ebrei che venivano licenziati. Per tutelare le condizioni economiche degli artigiani il Bund organizzò una Unione degli Artigiani Socialisti Ebrei, che lavorò a stretto contatto con gli artigiani polacchi legati al PPS per far fronte agli attacchi antisemiti.

Resistenza popolare allo squadrismo. Dal 1936 alla lotta economica contro gli ebrei si aggiunse il terrore fisico, portato avanti dai Nara e dagli Endek. Il primo di una serie di attacchi fu compiuto il 9 marzo 1936 nella piccola città di Prytzyk. Almeno due ebrei e uno degli assalitori furono uccisi. L’assalto fu preceduto da un volantino degli Endek che diceva: “Non temete il sangue! Colpite! Colpite duramente! Colpite duramente tutto ciò che potete! Colpite gli ebrei!”346. Non appena la notizia raggiunse Varsavia, un apposito incontro del Comitato Centrale del Bund produsse la decisione di indire uno sciopero di mezza giornata, che venne fissato per il 17 marzo 1936; il 13 marzo il consiglio regionale dei sindacati ebrei votò per co-promuovere lo sciopero. L’appello ufficiale allo sciopero, distribuito massivamente tra i lavoratori ebrei, diceva:

In risposta all’orribile…assalto alla popolazione ebraica della Polonia, abbiamo deciso di indire mezza giornata di sciopero dell’intera popolazione ebraica della Polonia, per martedi 17 marzo. Le nostre principali ragioni dello sciopero di martedi sono: 1. Contro l’antisemitismo degli Endek e del Sanacja, contro la propaganda pogromista e lo sterminio fisico della popolazione ebraica. 2. Contro il nazionalismo ebraico e la reazione clericale. 3. Contro il boicottaggio dei lavoratori ebrei, contro l’esclusione degli ebrei da tutte le attività economiche, contro la politica dell’asservimento delle masse ebraiche. 4. Contro le persecuzioni verso le scuole yiddish e verso la cultura delle masse ebraiche; contro il tentativo di creare un ghetto ebraico nei collegi, contro tutte le forme di oppressione nazionale. 5. Contro la reazione, il fascismo e il capitalismo. 6. Per la piena eguaglianza della popolazione ebraica a tutti i livelli (economico, sociale, politico) in Polonia. 7. Pane, lavoro e libertà per tutte le nazioni in Polonia. 8. Per la solidarietà proletaria internazionale. 9. Per un’efficace autodifesa della popolazione ebraica contro i tentativi di pogrom. 10. Per un governo degli operai e dei contadini, per il socialismo.347

L’appello fu pressoché ignorato dalla stampa yiddish non socialista; Der Moment, il più popolare giornale yiddish all’epoca, lo menzionò ma riportò erroneamente che lo sciopero era soltanto di un’ora, e criticò il Bund e i sindacati per non aver chiesto a intellettuali e professionisti di sostenere l’azione. L’ala destra di Poale Zion ignorò completamente l’invito a scioperare; essi proclamarono un’ora di fermata dei macellai, il sindacato che controllavano maggiormente, ma la sola proposta fu di astenersi dalla macellazione rituale. Il piccolo Socialist Workers Party e l’ala sinistra di Poale Zion furono le sole organizzazioni a unirsi con il Bund e i sindacati nello sciopero, che dunque fu di fatto un’iniziativa del Bund. Lo sciopero paralizzò le attività nelle aree ebraiche di Varsavia, Bialystok, Czestochowa, Vilno, Cracovia, Lwow, Tarnow, Lodz, Lublino e di tutti gli altri centri ove la popolazione ebraica era numerosa. In quelle città i sindacati legati al PPS si unirono ai loro fratelli di classe ebrei, e lo

345 Living Age, gennaio 1938 346 In J. Kiersz, Der Jidisher Arbeter Klas in yor 1936, 1937 347 Circolare numero 36 del Comitato Centrale, 13 marzo 1936 (Archivio del Bund) 107 sciopero più efficace di quanto il Bund si aspettasse. I giornali, che prima avevano ignorato la cosa, riportarono il successo dello sciopero in termini entusiasti. Secondo il filo-sionista Hajnt,

In tutti i settori dove sono impegati operai e organismi ebrei, lo sciopero è stato un successo totale. Tutte le attività ebraiche – quasi senza eccezione – sono state chiuse. Al mattatoio municipale non si sono visti lavoratori ebrei, e neppure lavoratori cristiani collegati al PPS. Là un’assemblea di lavoratori, ebrei e non ebrei, ha visto susseguirsi una serie di fieri discorsi.348

La popolare Radio Varsavia commentò: “Shabbat dei shabbat! Questo è il solo modo di descrivere l’assordante silenzio di oggi, la protesta della popolazione ebraica di Polonia contro Prytzyk e in generale contro il folle antisemitismo”349. Il quotidiano del PPS si unì al coro, sottolineando in particolare l’unità tra i lavoratori ebrei e polacchi nelle fabbriche dove lavoravano fianco a fianco. Lo sciopero fu una notevole dimostrazione di forza da parte del Bund, il quale volle coltivare la solidarietà coi lavoratori polacchi convocando una conferenza contro l’antisemitismo da svolgersi congiuntamente con il PPS e i sindacati. L’appello chiariva che si trattava di un’assise socialista, e che l’obiettivo era di lanciare un’offensiva socialista unitaria contro il governo, che il Bund considerava alla base dei pogrom. Ma il governo proibì la conferenza e sequestrò i volantini stampati dal Bund. La mobilitazione socialista non portò a una significativa riduzione degli atti antisemiti, ma cementò la crescente solidarietà tra i lavoratori polacchi ed ebrei, e segnò un ulteriore distacco del Bund dalle altre organizzazioni ebraiche. Nel maggio 1937 ebbe luogo un altro pogrom, questa volta a Brest-Litovsk. Un ebreo fu ucciso e quasi tutti i negozi della città gestiti da ebrei furono distrutti. Fu pubblicata una dichiarazione congiunta del Bund, del Partito Socialdemocratico della minoranza tedesca in Polonia e del PPS:

Il pogrom di Brest è frutto della sistematica propaganda nazionalista. E’ il prodotto del clima di continue concessioni del Sanacja ai cosiddetti Nara. Le concessioni assumono la forma dell’accettazione da parte del Sanacja delle condotte più reazionarie e antisemite da parte dei Nara, e anche del permettere che i Nara autori degli eccessi antisemiti rimangano impuniti.350

Significativamente, il Bund si rifiutò di partecipare a uno sciopero di due ore indetto dai partiti ebraici non-socialisti. Esso affermò che lo sciopero, essendo stato convocato dai sionisti e da altri elementi “borghesi”, era nazionalista e dunque reazionario. Il Bund stava diventando parte di un movimento operaio di massa multietnico, e voleva valorizzare questo carattere. Altri pogrom si susseguirono uno dietro l’altro. Il più violento fu a Czestochowa, città di attività tessili. Nel solo agosto 1937 ebbero luogo complessivamente 400 attacchi a ebrei in 79 città di tutta la Polonia. Per far fronte alla situazione i bundisti organizzarono delle squadre mobili 24 ore su 24 di stanza presso la propria sede di Varsavia. Alla notizia di un attacco il loro Ordener- grupe (servizio d’ordine), bastoni e tubi tra le mani, interveniva in soccorso. All’epoca centinaia di bundisti e di attivisti della milizia del PPS, la Akcja Socyalistyczna, furono coinvolti in aspri scontri con i sostenitori di endek e nara351. La più importante di queste battaglie di strada fu quella al Giardino Sassone, famoso parco di Varsavia, nel 1938, quando il Bund scoprì che i Nara avevano in programma un pogrom nel parco e nelle strade adiacenti. Bernard Goldstein, leader dell’Ordener-grupe, ha poi descritto la battaglia nelle sue memorie:

Creammo un grosso gruppo di militanti e lo concentrammo nella grande piazza vicino al cancello di ferro. Il nostro piano era di spingere i teppisti in quella piazza, che era chiusa da tre lati, e di bloccare la quarta uscita, e quindi coglierli in trappola in un luogo dove potevamo dare battaglia e impartire loro una bella lezione…all’improvviso sbucammo fuori dai nostri nascondigli, circondandoli da ogni lato…dovettero chiamare le ambulanze352.

348 Hajnt, 17 marzo 1936 349 Radio Varsavia, 17 marzo 1936 350 Najer Folkstseitung, 15 maggio 1937 351 In AA.VV., Studies on Polish Jewry, 1919 – 1939, 1974 352 ibidem 108

Unità socialista: lo sciopero dei contadini e nelle università. La situazione di minaccia determinò un ulteriore avvicinamento tra il Bund e il PPS. A Varsavia essi fondarono un quotidiano congiunto; si unirono per la parata del Primo Maggio 1937, e formarono delle squadre di autodifesa unitarie. Gli iscritti ai sindacati tenevano congressi congiunti, e vi furono anche discussioni sull’unificazione dei due partiti. Il solo ostacolo all’unione fu il timore da parte del PPS che gli elettori polacchi avrebbero esitato a sostenere un partito con una forte componente ebraica. Sebbene il governo avesse assunto una linea ufficialmente antisemita, e nonostante l’offensiva economica e fisica contro un così ampio settore della popolazione della Polonia, vi sono prove che la maggioranza della classe operaia polacca e dei contadini si opposero alle azioni antisemite. A Varsavia vennero formate delle unità di autodifesa multietniche, con l’obiettivo primario di difendere gli ebrei. Quando i Nara organizzarono dei picchetti per impedire ai polacchi di fare acquisti nei negozi ebrei, in molte città furono cacciati da operai e contadini del PPS. Questi ultimi formarono anche gruppi per impedire che i giornalisti antisemiti scattassero fotografie per i loro periodici. Nell’agosto 1937, i contadini polacchi lanciarono uno sciopero generale di dieci giorni per “la libertà, la democrazia e la fine della dittatura”. Nonostante l’opposizione degli endek e del governo, l’astensione dal lavoro fu quasi completa. Per porre fine allo sciopero venne chiamata in causa la polizia, che in molte situazioni aprì il fuoco sui picchetti dei contadini, facendo alla fine complessivamente 50 morti. Il PPS e il Bund sostennero la lotta dei contadini, raccolsero fondi per lo sciopero e organizzarono manifestazioni commemorative dopo il massacro. Ora la crescente unità tra i partiti democratici era evidente. Accanto al terrore fisico, l’Ozon e i due partiti apertamente antisemiti, i Nara e gli Endek, intensificarono la campagna per segregare gli ebrei e per spingerli a lasciare la Polonia. L’ordine dei medici votò per escludere gli ebrei dai propri ranghi. Un osservatore americano scrisse nel 1938: “Il ghetto chiesto dai ‘Veri Russi’, un partito ultra-nazionalista antiebraico e antipolacco molto vicino al regime zarista, e che il governo zarista non introdusse, ora i nazionalisti polacchi lo stanno chiedendo per gli ebrei. E il governo ha iniziato a crearlo”.353 Il ghetto fu introdotto inizialmente nelle università, dove vi erano numerosi sostenitori dei Nara. Su richiesta del ministro dell’Istruzione, i rettori delle università polacche istituirono ufficialmente dei “banchi ghetto”, scrivanie segregate dal resto. Gli studenti ebrei che rifiutavano di sedersi là erano percossi dagli studenti antisemiti e quindi espulsi dall’istituto. Ci furono proteste da parte dei sindacati e dei dirigenti dell’intellighenzia polacca, tra cui illustri scienziati, professori e uomini di lettere, così come degli studenti socialisti e democratici. Gli scontri tra studenti antisemiti e democratici erano quasi quotidiani. Il Bund per protestare contro la segregazione proclamò due giorni di sciopero generale. Il PPS e molti accademici risposero all’appello, e lo sciopero ebbe molto successo; i polacchi si unirono agli ebrei nell’opporsi agli attacchi dei teppisti nazionalisti. Il reporter di The Nation scrisse: “Mai prima d’ora il Partito Socialista Polacco ha lavorato così armoniosamente col Partito Socialista Ebraico (Bund) contro l’antisemitismo”354.

La collaborazione dei sionisti con gli antisemiti polacchi. La soluzione proposta dal regime polacco per il “problema ebraico” era simile a quella sionista: ovvero, emigrazione di massa. Spesso i picchetti di boicottaggio anti-ebraico dei nazionalisti erano condotti all’insegna dello slogan: “Moszku idz do Palestyny!” (“A calci in Palestina!”). Nel 1936 i delegati endek nel consiglio comunale di Piotrkow fecero un gesto dimostrativo proponendo di destinare un zloty “per sostenere l’emigrazione di massa in Palestina degli ebrei di Piotrkow”355. Il 31 agosto 1937 l’ABC, organo dei Nara, affermò:

La Palestina da sola non risolverà la questione ma può rappresentare l’inizio di un’emigrazione di massa degli ebrei dalla Polonia. Di conseguenza essa non deve essere

353 The Nation, 2 aprile 1938 354 ibidem 355 World Jewry, 13 marzo 1936, p. 5 109 ignorata dalla politica estera polacca. L’emigrazione volontaria degli ebrei dalla Polonia può ridurre la tensione delle relazioni ebraico-polacche356.

Un sostenitore del regime scrisse: “L’organizzazione su larga scala dell’emigrazione degli ebrei polacchi alla volta di altri paesi, e in particolare della Palestina, è importante tanto per gli ebrei quanto per i polacchi, e il governo polacco dovrà dedicarvi molto del proprio tempo…”357. Su questa base i dirigenti sionisti a livello internazionale e nazionale cercarono più volte di scendere a patti col regime dei colonnelli, in particolare a partire dal 1936, quando in seguito alla Grande Rivolta Araba l’imperialismo inglese aveva di fatto bloccato l’emigrazione ebraica legale in Palestina. Sul fronte dei sionisti laburisti, il 20 settembre 1936 un editoriale dell’americana Labor Zionist Newsletter scrisse:

L’attenzione del mondo politico internazionale è stata attirata dalla notizia che il governo polacco si sta preparando ad accrescere la sua richiesta di colonie…Gli analisti più seri ritengono che la questione della redistribuzione delle colonie diventerà qualcosa di fondamentale. Perciò tali progetti e proposte da parte di paesi con un’ampia popolazione ebraica dovrebbero ricevere molta attenzione da parte della leadership ebraica mondiale358.

In realtà la Polonia non aveva alcuna possibilità di “un posto al sole” nella spartizione coloniale, ma dando credito alle lunatiche aspirazioni della destra polacca i sionisti speravano di persuadere l’opinione pubblica del fatto che la risposta all’antisemitismo polacco fosse al di fuori del paese. Nel 1937 il presidente dell’Organizzazione Sionista Mondiale, il sionista liberale Chaim Weizmann, ebbe un incontro con il ministro degli Esteri polacco Jozef Beck, il quale a quanto pare gli assicurò che qualora gli inglesi avessero acconsentito alla formazione di uno stato ebraico in Palestina, benché piccolo, il governo di Varsavia si sarebbe adoperato in modo da garantire la massima ampiezza possibile alle frontiere del nuovo saterello ebraico, nell’ottica di avere la massima emigrazione dal territorio polacco. Lo stesso anno Yehuda Arazi, incaricato dall’Haganah, acquistò mitragliatrici e fucili dall’esercito polacco per contrabbandarli in Palestina all’interno di compressori a vapore. Alcuni istruttori dell’Haganah furono ammessi in Polonia per addestrare segretamente all’uso di quelle armi i suoi simpatizzanti, che quindi si sarebbero trasferiti in Palestina359. Furono tuttavia i revisionisti, i sionisti di destra, ad avere i maggiori legami con il regime polacco, col quale evidentemente c’era anche un’affinità ideologica. Il capo riconosciuto dei revisionisti, Vladimir Jabotinskij, nel 1937 sulla stampa polacca annunciò un suo gigantesco “piano di evacuazione” di un milione e mezzo di ebrei dall’Europa orientale, la maggior parte dei quali dalla Polonia. In un articolo rivolto agli ebrei spiegò la sua idea:

Dapprima ho pensato a un “Esodo”, una “seconda partenza dall’Egitto”. Ma non può essere. Noi siamo impegnati in politica, dobbiamo essere in grado di relazionarci con le altre nazioni e di chiedere il sostegno di altri stati. E stando così le cose, non possiamo sottoporre loro un termine offensivo, che richiama alla mente il Faraone e le sue dieci piaghe. Per di più, la parola Esodo evoca una terribile immagine di orrore, l’immagine di un’intera nazione che si muove disordinatamente e in preda al panico360

Il governo polacco applaudì, mentre l’opinione pubblica ebraica fu sconvolta da quella che considerava una follia. Ma i revisionisti insistettero, e nel 1939 inviarono Robert Briscoe, membro del parlamento irlandese, dal ministro polacco Beck con un’altra fantasiosa proposta:

Per conto del Nuovo Movimento Sionista…vi suggerisco di chiedere all’Inghilterra di cedere a voi il Mandato per la Palestina e renderla di fatto una colonia polacca. Allora potrete spostare

356 In Information Bulletin (American Jewish Committee), nn. 8-9, 1937, p. 3 357 Stefan Litauer, Poland’s Problems in 1939, 1939 358 Labor Zionist Newsletter, 20 settembre 1936, p. 10 359 AA.VV., Encyclopaedia Judaica, 16 voll., 1971 - 72 360 Vladimir Jabotinsky, Evacuation – Humanitarian Zionism, 1937 110 tutti gli ebrei polacchi indesiderati in Palestina. Ciò porterebbe grande giovamento al vostro paese, e avreste una colonia ricca e prospera per sostenere la vostra economia361.

Il governo polacco non perse tempo a rivolgere inutili richieste all’Inghilterra, ma nella primavera del 1939 allestì un campo di addestramento per i revisionisti a Zakopane, sui Monti Tatra. Ufficiali dell’esercito polacco istruirono a fondo 25 paramilitari sulle tecniche di sabotaggio e insurrezione. Furono fornite armi per 10.000 uomini in previsione di un’invasione della Palestina che secondo i piani di Jabotinskij doveva avvenire nell’aprile del 1940362. La sezione polacca del Betar, la milizia giovanile revisionista, capeggiata da Menachem Begin, futuro leader dopo la morte di Jabotinskij, non si scontrò quasi mai coi pogromisti polacchi: a meno che non fosse attaccata direttamente, nonostante il suo marcato militarismo si astenne sempre dal contrastare i fascisti polacchi. Shmuel Merlin, che negli anni prima della Guerra era a Varsavia come editore di un giornale revisionista, affermò che:

E' assolutamente corretto affermare che solo il Bund fece una lotta organizzata contro gli antisemiti. Noi non prendevamo in considerazione il fatto di dover combattere in Polonia. Credevamo che il modo di risolvere la situazione fosse portare gli ebrei fuori dalla Polonia. Noi non avevamo alcuno spirito battagliero363.

I bundisti sottolinearono a più riprese le analogie tra gli antisemiti polacchi e i sionisti. Un dirigente del Bund affermò che Ben Gurion, capo del movimento sionista laburista, Gruenbaum, leader dei sionisti generali e il sionista ultra-nazionalista Jabotinskij concordavano con i nemici degli ebrei. Gli Ozon avevano dichiarato che era necessario inserire i polacchi nel commercio, e ciò poteva essere fatto solo spingendo gli ebrei a lasciare il paese. Il Congresso Mondiale Ebraico, un organismo filo-sionista, aveva detto che per ragioni economiche, o a causa della crisi, o a causa della struttura sociale dei paesi dell’Europa orientale, era necessario che gli ebrei emigrassero. I bundisti definirono ciò un tradimento verso gli ebrei, “che non hanno alcun interesse a lasciare la Polonia”. Gli ebrei, disse Alter, erano utili all’economia polacca tanto quanto i polacchi. “La teoria di Gruenbaum che gli ebrei sono una ‘zavorra in eccesso’ in Polonia è una pericolosa assurdità, che deve essere rigettata con forza”364. La stampa antisemita accusò il Bund di essere ostile alla Polonia, e che tutti gli ebrei erano nemici dello stato. L’Ozon propose che il Bund fosse dichiarato fuorilegge a causa del suo antagonismo verso la Polonia. Il Bund replicò che nelle mire dell’Ozon vi era la popolazione ebraica nel suo complesso e in generale il movimento operaio. La federazione dei sindacati si schierò con il Bund. In difesa delle proprie posizioni, il Comitato Centrale diramò una dichiarazione:

No, non siamo noi che creiamo tra le masse ebraiche un sentimento di alienazione dalla Polonia; quel tentativo è compiuto da coloro che hanno sempre e ovunque fomentato la reazione ebraica, che porta a trasformare le masse ebraiche in un…gruppo fanatico estraneo agli ideali e alle lotte del proletariato polacco; quel tentativo è compiuto dai nazionalisti polacchi che affermano, davanti al mondo intero, che la Polonia è soltanto una residenza temporanea per gli ebrei, e che questi se ne devono andare, presto o tardi, perché la Polonia non può essere che antisemita. …Il nostro partito ha promosso, e tuttora promuove, la consapevolezza tra le masse ebraiche che il loro destino e il destino del paese in cui vivono sono inseparabili; ha sviluppato e tuttora sviluppa nelle masse ebraiche il sentimento di essere cittadini della Polonia, che sono titolari non solo di uguali diritti, ma anche di uguali responsabilità verso gli altri; ha legato, e tuttora lega, sempre più le masse ebraiche alla vita della Polonia e alle lotte dei lavoratori polacchi, per un futuro migliore e una piena liberazione nella loro patria comune.365

Il Bund offrì agli ebrei una risposta di classe all’antisemitismo: non dovevano aspettarsi la liberazione dalla persecuzione a meno che non vi fosse una “simultanea liberazione delle masse

361 Robert Briscoe, For the Life of Me, 1958 362 Jewish Spectator, estate 1980 363 Intervista di Lenni Brenner a Shmuel Merlin, 16 settembre 1980 364 Victor Alter, Antysemityzm Gospodarczy w Swietle Cyfr, 1937 365 Najer Folkstseitung, 20 giugno 1937 111 polacche dall’oppressione sociale”. Era quindi necessario per i lavoratori ebrei e polacchi unirsi in una lotta comune contro l’autoritarismo del regime, per la democrazia e il socialismo. “La vostra liberazione” scrisse Alter “può essere soltanto un effetto secondario della liberazione generale di tutti i popoli oppressi”. L’idea che il vero obiettivo dell’Ozon fosse il movimento operaio e democratico in genere fu condivisa da molti osservatori. Il corrispondente di The Nation scrisse: “Potrà sembrare strano all’estero, ma in Polonia è in genere vero che l’attuale linea anti-ebraica, con tutto il suo terrore, la sua barbarie e le reminescenze medievali, è diretta più contro la democrazia polacca che contro gli ebrei”366.

Vittorie elettorali del Bund. Dal 1935 in poi, le risposte che il Bund seppe mettere in campo di fronte alla linea antisemita del nuovo governo polacco furono premiate a livello elettorale, dalla popolazione ebraica e non solo. Ciò accadde anche a causa dell’inadeguatezza mostrata dagli altri partiti ebraici. I partiti sionisti dal 1936 videro la loro attrattiva diminuire fortemente a causa della Grande Rivolta Araba e del conseguente blocco dell’emigrazione in Palestina da parte degli inglesi, mentre era sotto gli occhi di tutti l’oggettiva convergenza tra loro e gli antisemiti polacchi sul tema della fuoriuscita degli ebrei dal paese. I partiti ebraici borghesi per loro natura non erano in grado di convocare scioperi o proteste di massa contro l’antisemitismo, e inoltre non avevano alleati tra i partiti polacchi loro omologhi, che erano schierati col governo. Il partiti religiosi erano troppo legati alla teologia mistica del chassidismo, che non contemplava l’azione militante. Dunque solo il Bund poteva nel contempo rappresentante l’ostilità popolare alle politiche di espulsione degli ebrei, allearsi con partiti polacchi di un certo peso e condurre un attivismo militante contro gli antisemiti. Il primo segno del rafforzamento elettorale del Bund si ebbe nelle elezioni delle kehillah (le comunità ebraiche) del 1936. In molte città le sezioni locali del Bund parteciparono alle elezioni, contravvenendo alle indicazioni del Comitato Centrale, allo scopo di provare il proprio radicamento, e ottenero risultati al di là di ogni aspettativa. Il Bund fu il partito più votato a Vilna, Lublino, Grodno, Piotrkow e Varsavia. Nella capitale ottenne un numero di voto molto elevato, con 20 seggi contro i 3 presi dalla lista di Poale Zion. Un secondo momento di affermazione fu l’elezione del consiglio municipale di Lodz, nell’ottobre 1936. L’antisemitismo fu il tema dominante, e i partiti socialisti si presentarono divisi. Il PPS cercò febbrilmente di ottenere il sostegno degli elettori ebrei conservatori, sulla base dell’assunto che gli ebrei avrebbero scelto i socialisti piuttosto che gli endek, e fece campagna elettorale contro il Bund. Ma gli elettori ebrei assegnarono 23.692 voti alla lista separata del Bund, e 14.947 a una lista ebraica non socialista, mentre il PPS prese sì quattro volte tanto i voti del Bund, ma quasi tutti nei quartieri non ebraici. Dopo l’elezione i dirigenti nazionali del PPS rimproverarono la sezione di Lodz per non essersi alleata con il Bund, e ottennero che d’ora innanzi i due partiti cooperassero nel consiglio municipale. Alla fine di novembre i partiti socialisti di tutte le minoranze nazionali della Polonia decisero un’azione congiunta per porre fine all’autoritarismo del regime, e per rafforzare il movimento socialista in Polonia. A metà del 1937, il Bund ottenne 193 delegati su 253 alle elezioni del congresso dei lavoratori ebrei di Varsavia. Il PPS a nome di tutti i partiti socialisti polacchi chiese lo scioglimento della Dieta e l’indizione di nuove elezioni. La politica dell’Ozon non incontrava l’appoggio popolare, e i problemi economici erano gravissimi. In una statistica fornita alla Società delle Nazioni, il governo riportò che circa 6.000.000 di polacchi erano sull’orlo dell’indigenza. Il governo doveva far fronte al fermento di ribellione dei contadini. Alla fine del 1937 il colonnello Koc, leader dell’Ozon fin dalla sua nascita, si dimise e fu sostituito dal generale Skwarcynski, un liberale già amico di Pilsudski. Questi tra i primi atti espulse un deputato filo-nazista, M. Budzynski, dall’Ozon e dalla Dieta. Dal 1938 l’Ozon si divise in due fazioni distinte, e la guerra tra queste portò all’indizione di nuove elezioni per il mese di novembre. Il presidente Moscicki, ex membro del PPS e capo dell’ala democratica dell’Ozon, non riuscì a far cambiare la legge elettorale in modo da rendere possibile la partecipazione dei socialisti. Il PPS, il Bund e anche gli Endek boicottarono le elezioni, ciascuno per le proprie ragioni.

366 The Nation, 2 aprile 1938 112 Il governo tuttavia fece molta propaganda per il voto, e circa il 65% degli aventi diritto si presentarono ai seggi, un numero molto più elevato rispetto al 1935. Le elezioni municipali del dicembre 1938 e del gennaio 1939 furono invece partecipate da tutte le forze politiche, e si configurarono come un vero e proprio plebiscito popolare verso il nuovo governo uscito dalle mezze elezioni politiche svoltesi nel novembre. Il Bund propose al PPS di presentarsi uniti, ma quest’ultimo rifiutò temendo che i candidati ebrei avrebbero allontanato gli elettori polacchi dalla lista. Il Bund prese in considerazione di sostenere i candidati del PPS, ma alla fine decise che sarebbe stato meglio avere due liste separate. Alter spiegò la decisione:

Il PPS ha voluto mantenere il carattere polacco della propria lista, spiegando che in tal modo sarà più facile battere il nazionalismo polacco; perciò è stato necessario per i lavoratori ebrei andare alle urne separatamente. Suggerire che i lavoratori ebrei rinuncino ai propri candidati indica un atteggiamento di resa da parte loro. Se il ruolo di guida nella battaglia per i diritti delle masse ebraiche fosse trasferito ai socialisti polacchi, ciò sarebbe indice di un complesso di dipendenza…La stampa antisemita insiste sull’esclusione degli ebrei dalla vita politica. Se i lavoratori ebrei avessero come unica scelta il voto per la lista del PPS, essi creerebbero esattamente ciò che vogliono gli antisemiti: un consiglio municipale libero da ebrei.367

Nonostante ciò, la campagna elettorale dei due partiti fu all’insegna della cooperazione. Erlich chiese ai bundisti che vivevano nei distretti ove non vi erano candidati del Bund, di votare per il PPS anziché per le altre liste ebraiche. Il PPS a sua volta chiese ai propri sostenitori nei quartieri ebraici di sostenere il Bund. Il successo elettorale socialista fu notevole. I partiti antisemiti uscirono fortemente ridimensionati; l’Ozon calò considerevolmente; il PPS mostrò una consistente crescita; e il Bund si affermò come primo partito tra gli ebrei polacchi. A Varsavia il Bund prese 17 dei 20 seggi acquisiti da candidati ebrei, e a Lodz 11 su 17. Il PPS prese 27 consiglieri a Varsavia e 33 a Lodz, il che significava che le due maggiori città della Polonia erano governate da una maggioranza socialista. Lo stesso accadde a Lvov, Piotrkow, Cracovia, Bialystok, Grodno, Vilna e altri centri. Il Bund aveva raggiunto l’apice della propria forza. Esso chiese la revisione della legge elettorale e nuove elezioni nazionali, nelle quali sicuramente i suoi dirigenti sarebbero diventati i portavoce ufficiali dei 3.500.000 ebrei residenti in Polonia. Ma arrivò l’invasione nazista.

367 Najer Folkstseitung, 16 dicembre 1938 113 12. IL BUND NELLA POLONIA DELL’OLOCAUSTO

L’invasione nazista e la resa di Varsavia. L’invasione tedesca della Polonia non giunse inattesa; i negoziati che l’avevano preceduta andarono avanti per mesi. Solo il governo polacco negli ultimi tempi non riuscì a riconoscere il pericolo immediato in cui il paese era finito, e non diede l’ordine di mobilitazione dell’esercito fino al 30 agosto 1939, meno di due giorni prima dell’invasione. Il regime polacco sperava ancora che in qualche modo gli appetiti di Hitler sarebbero stati placati; di certo, pensava, il Fuhrer non sarebbe stato così pazzo da combattere una guerra su due fronti, con Inghilterra e Francia a ovest e Polonia e URSS a est. Ma otto giorni prima dell’invasione le ultime speranze polacche furono distrutte dalla sigla del Patto di non aggressione tra Germania e URSS. I socialisti di tutti i paesi furono scioccati dall’accordo di Stalin con Hitler. Il patto, scrisse l’organo del Bund, era un immorale e ingiustificabile tradimento di tutte le speranze della classe operaia: “l’amichevole stretta di mano tra i rappresentanti del governo di Mosca e i promotori del patto anti-Comintern è stato un momento veramente terribile”368.

Cosa pensano ora i comunisti in Inghilterra e Francia? Come si sentono i comunisti in Germania – essi e i socialisti che hanno sognato la sconfitta militare e politica di Hitler? Come si sentono i lavoratori nei campi di concentramento di Germania e Cecoslovacchia…vedendo che la cricca dei loro persecutori è resa più forte da…Mosca?369

368 Najer Folkstseitung, 24 agosto 1939 369 ibidem 114 Il giorno dopo l’annuncio del Patto, fu chiaro che la Polonia non aveva alternativa tra la resa e la guerra. Hitler comunicò all’ambasciatore britannico a Berlino, sir Arthur Henderson, che la Germania non avrebbe fatto compromessi, che tutte le sue richieste dovevano essere accolte o la macchina militare tedesca sarebbe entrata in azione. Forse, ipotizzò un bundista, Hitler avrebbe agito alla stessa maniera nonostante la Russia; ma di certo il Patto di non aggressione lo rese più sicuro delle proprie possibilità: “Chi è così ingenuo da pensare che sia casuale che Hitler abbia dato questa risposta proprio nel momento in cui l’aeroplano che aveva portato Ribbentrop a Mosca era sceso all’aeroporto della capitale sovietica?”370. L’attacco tedesco spinse l’esercito polacco a una precipitosa ritirata. Quelle armate che erano state l’orgoglio dei colonnelli si dimostrarono assolutamente non in grado di fronteggiare i tedeschi, i quali in capo a cinque giorni giunsero alle porte di Varsavia. Il governo polacco dichiarò la capitale città aperta, e procedette all’evacuazione; tutti i partiti politici non socialisti obbedirono. Il Comitato Centrale del Bund, comprendendo il pericolo per i 300.000 ebrei di Varsavia, ipotizzò di chiamare alla resistenza, ma quasi all’ultimo decise di accettare l’ordine di evacuazione, per evitare che agli ebrei fosse imputata la colpa delle uccisioni e delle distruzioni che una resistenza impari avrebbe comportato.371 I socialisti polacchi, tuttavia, decisero che la capitolazione della città senza combattere sarebbe stata una catastrofe ancor più grande di una resistenza senza speranza. Niedzialdowski e Zygmunt Zaremba, due dei massimi dirigenti del PPS, persuasero il sindaco Starzinski e il generale al comando della guarnigione di Varsavia a non accettare l’ordine di resa del governo. La dichiarazione di Varsavia città aperta fu annullata, e iniziarono i preparativi per la difesa. Durante i 21 giorni di assedio che seguirono, la Luftwaffe e l’artiglieria tedesca imperversarono sulla città. Il Bund e il PPS operarono in stretta collaborazione durante l’assedio, formando delle compagnie di loro militanti poste sotto il comando di ufficiali polacchi, e battaglioni di lavoratori per erigere barricate. Shmuel Zygielboym, dirigente del Bund, si incontrava giornalmente con Niezialdowski e Zaremba per coordinare gli sforzi della popolazione ebraica e polacca. Il Folkstseitung del Bund e il Robotnik del PPS furono gli unici giornali a uscire in città durante l’assedio. Quando dopo tre settimane la città decise di arrendersi e i tedeschi vi fecero ingresso, Niezialdowski si rifiutò di firmare il documento di resa, dichiarando che “la classe operaia non capitola”372.

Il Bund in clandestinità. Due settimane dopo la resa di Varsavia, il Bund fu ricostituito come organizzazione clandestina, con una conferenza apposita cui parteciparono 20 delegati di tutti i settori del proletariato ebraico. Fin dall’inizio l’organizzazione fu divisa in tre gruppi, tutti sotto la direzione centrale del Comitato di Varsavia. Il primo gruppo era costituito dai comitati sindacali, il cui primo compito fu di allestire delle mense per offrire un sostentamento ai lavoratori e nel contempo un luogo di ritrovo per discutere, poichè i nazisti avevano vietato le riunioni pubbliche. Il secondo gruppo era costituito dai comitati politici, piccoli e a compartimenti quasi stagni, per evitare che in caso di cattura da parte dei tedeschi i prigionieri, sotto tortura, facessero troppi nomi. Oltre a questi due gruppi principali, il Bund allestì anche degli organismi di appoggio, il più importante dei quali fu la Croce Rossa Socialista. Essa aveva tre scopi: provvedere alle cure mediche per i membri e i simpatizzanti del Bund, assicurare nascondigli per i militanti ricercati dai nazisti, e mantenere contatti e fornire cibo e vestiario ai militanti arrestati, o imprigionati nei campi di concentramento. I tedeschi avevano sequestrato tutti i macchinari tipografici e i duplicatori per impedire la nascita di pubblicazioni clandestine, ma i bundisti avevano anticipato quelle mosse nascondendo un macchinario nella casa di un militante dell’organizzazione, col quale iniziarono a stampare un settimanale e quattro mensili. Al prezzo di denaro e anche di diverse vite umane fu garantito il rifornimento di carta e inchiostro, e in questo modo durante l’occupazione tedesca gli organi del Bund apparvero regolarmente, in yiddish e in polacco. Per ragioni di segretezza le attività di redazione e di stampa furono separate: i redattori non sapevano dove si trovasse la tipografia e chi la gestisse, e viceversa. La distribuzione della stampa era un terzo settore di lavoro, completamente autonomo.

370 Najer Folkstseitung, 26 agosto 1939 371 Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949 372 ibidem 115 Un altro lavoro di vitale importanza svolto dal Bund fu l’allestimento di un rudimentale sistema scolastico per i bambini ebrei, poiché i nazisti avevano vietato tutte le scuole ebraiche ufficiali, sia laiche che religiose. Il Bund creò subito due scuole illegali, dove i bambini ricevevano un’istruzione e potevano giocare e sfamarsi. Le scuole bundiste arrivarono a ospitare il 20% dei bambini ebrei di Varsavia. Furono altresì allestiti circoli giovanili nei quali si svolgevano seminari, corsi di canto, di teatro e simili, tutto clandestinamente. Si organizzarono lezioni di medicina, per venire incontro a una delle principali necessità della popolazione ebraica, provata dai disagi e dalla mancanza di medici e infermieri; il direttore di queste lezioni era il dottor Ludwig Hirschfeld, premio Nobel per la Medicina qualche anno addietro.

La creazione degli Judenrat e dei ghetti. Ogniqualvolta i nazisti occupavano una città, pretendevano che le autorità locali indicassero un gruppo di “ostaggi”, un elenco di abitanti che sarebbero stati giustiziati in caso in quella città vi fossero stati episodi di seria resistenza all’occupazione. Il giorno dopo la capitolazione di Varsavia i nazisti chiesero un elenco di ostaggi per la capitale, sia polacchi che ebrei, e il sindaco chiese al Bund di indicare un nome in rappresentanza della classe operaia ebraica. Quasi tutti i dirigenti bundisti erano già ricercati dalla polizia; perciò i bundisti indicarono l’unico tra i loro dirigenti che non era particolarmente conosciuto, ovvero Shmuel Zygielboym. Zygielboym aveva vissuto a Varsavia fino al 1937, ma quell’anno si era trasferito a Lodz, e nel 1938 era diventato consigliere muncipale in quella città. Era rientrato a Varsavia poco prima dell’assedio, e dunque non era sulla “lista nera” della polizia polacca. Dietro sua richiesta volontaria fu indicato come “ostaggio”. Zygielboym fu anche nominato dal Bund come delegato allo Judenrat, il Consiglio ebraico collaborazionista creato dai nazisti per eseguire i loro ordini. Già nell’ottobre 1939 i nazisti intimarono allo Judenrat di promuovere il trasferimento di tutta la popolazione ebraica di Varsavia in un ghetto. Lo Judenrat decise di obbedire supinamente alla direttiva, ma Zygielboym fece un appassionato appello affinchè questa fosse respinta. Nella riunione del Consiglio egli affermò:

Avete preso una decisione storica. A quanto pare non sono stato in grado di convincervi che non dobbiamo agire così. Da parte mia, non ho abbastanza forza per partecipare a questa sottomissione. Credo che non avrei diritto a vivere se…il ghetto fosse creato e la mia sorte fosse risparmiata. Quindi dichiaro di rinunciare al mio mandato. Riconosco che il presidente ha l’obbligo di riferire ciò alla Gestapo, e so a quali conseguenze andrò incontro personalmente. Non posso agire diversamente.373

Il discorso di Zygielboym convinse i membri dello Judenrat a riprendere la discussione sulla questione. Alla fine fu raggiunto un compromesso: lo Judenrat non avrebbe ordinato agli ebrei di trasferirsi nel ghetto, ma li avrebbe informati dell’ordine dei nazisti. Non appena si diffuse la voce, un’enorme folla di ebrei che vivevano al di fuori dei confini dell’ipotetico ghetto si radunarono davanti alla sede dello Judenrat. Zygielboym decise di approfittare della situazione e arringò le migliaia di astanti dal balcone, esortandoli a non lasciare le proprie case e piuttosto a farsi portare via con la forza dai tedeschi. Il discorso fu riferito alla Gestapo, e il capo di questa ordinò a Zygielboym di presentarsi al quartier generale della polizia tedesca il mattino seguente. Il Comitato Centrale del Bund si riunì d’urgenza, decise che Zygielboym non poteva rimanere in Polonia e decise di inviarlo all’estero. Dopo alcuni giorni, grazie a contatti con il movimento clandestino polacco, Zygielboym riparò in Belgio, di qui negli Stati Uniti e poi a Londra, dove nel 1942 divenne rappresentante del Bund presso il Governo polacco in Esilio. L’appello di Zygielboym ebbe l’effetto di ritardare il progetto tedesco di costruzione del ghetto, ma nell’autunno del 1940 esso alla fine venne edificato, e la popolazione ebraica accettò passivamente il trasferimento: “Un alto muro di mattoni e filo spinato separò gli ebrei dai gentili. Non vi era alcuna commistione, alcuna comunicazione, alcun contatto”374. Il Bund continuò a tenere regolari riunioni di partito all’interno del ghetto, ma si pose subito il problema dei contatti con l’esterno. Fu creato un canale con il movimento operaio polacco attraverso Antoni Zdanowski, dirigente del Sindacato dei Trasporti. Inoltre Leon Feiner, avvocato di

373 ibidem 374 ibidem 116 Cracovia e dirigente del Bund che poteva essere facilmente scambiato per un polacco, fu incaricato di vivere al di fuori del ghetto per mantenere i legami con la comunità polacca. Furono creati un esecutivo e un consiglio per dirigere l’attività del Bund dentro il ghetto, una federazione giovanile (Zukunft) e una dei giovanissimi, lo Skif (Sotsialistisher Kinder Ferayn). La stampa fu strutturata con un settimanale in yiddish a grande tiratura, un mensile teorico, un mensile in polacco e pubblicazioni per i giovani in yiddish e in polacco. L’attività non fu limitata al ghetto di Varsavia, ma si sviluppò in maniera analoga in quasi tutte le città della Polonia occupata dai nazisti. Nonostante i rischi, la distribuzione della stampa poteva contare su numerosi volontari. In Germania l’Hamburger Tageblatt riportò di tre bundisti catturati nel ghetto mentre diffondevano un settimanale clandestino contenente notizie dall’estero. “Il giornale aveva molti sostenitori” scrisse il quotidiano nazista “che pagavano quote regolari per far fronte ai costi di produzione”. A Lublino un bundista arrestato perché il possesso di volantini illegali morì in prigione. Le relazioni tra gli abitanti del ghetto e l’esterno erano mantenute soprattutto grazie ai legami del Bund con i socialisti polacchi, i quali in quei mesi si divisero tra un’ala più radicale, che scelse il nome generico di Socialisti Polacchi, e il restante PPS. La ragione della scissione fu l’atteggiamento verso l’URSS. I Socialisti Polacchi erano del parere che date le circostanze si dovesse concentrare la lotta unicamente contro i nazisti e non fare propaganda contro l’URSS, a maggior ragione dopo l’inizio dell’invasione nazista del giugno 1941, mentre il PPS non voleva passare sotto silenzio la storica oppressione dei polacchi da parte dei russi e il Patto Hitler – Stalin del 1939. Furono in particolare i Socialisti Polacchi ad aiutare i bundisti a tenere i contatti tra i comitati delle varie città e con il Governo in Esilio. D’altra parte, i partiti polacchi antisemiti anche sotto l’occupazione tedesca continuarono a manifestare odio verso gli ebrei. Nonostante anche l’Ozon, gli endek e i Nara fossero costretti alla clandestinità, costoro non ebbero da obiettare al trattamento dei nazisti nei confronti degli ebrei. Circa un quarto dei 40 periodici polacchi usciti clandestinamente durante l’occupazione nazista espressero posizioni antisemite, mentre i restanti per lo più non parlavano del destino degli ebrei. Solo i socialisti e il Wyzwolenie espressero solidarietà per la drammatica situazione ebraica. Per quanto riguarda gli altri partiti ebraici, il Comitato Centrale del Bund li accusò di ignorare la tragedia in corso, e di farsi inutili illusioni. Secondo un resoconto dell’organizzazione clandestina del Bund nel 1942,

Gli oppositori del Bund…non mostrano molto interesse per il destino della Polonia. Quelli di Poale Zion…sono pronti a cedere la Polonia al suo vicino orientale. Nelle loro sporadiche pubblicazioni parlano soltanto di un sogno – andare in Palestina. Essi minimizzano l’importanza degli Alleati per il nostro futuro. La loro unica speranza è la Russia. Il Bund rimane fiducioso e crede nell’esistenza della Polonia. I comunisti si sono organizzati in ritardo e in generale…su base patriottica. Per ora, la loro influenza nel ghetto è minima.375

Nonostante le persecuzioni e i massacri sempre più intensi, il Bund mantenne sempre la speranza in un’eventuale vittoria: “Restiamo fermamente dalla parte di una Polonia, libera, indipendente e socialista, in una libera federazione di repubbliche socialiste in Europa”376, proclamò. E, soprattutto, il Bund continuò a rifiutare la prospettiva di emigrare dalla Polonia, insistendo che la questione ebraica dovesse essere risolta in Polonia, con il raggiungimento dell’uguaglianza politica e sociale. Anche nei momenti più bui, il Comitato Centrale del Bund chiedeva ai propri emissari informazioni sulla situazione in URSS, sui rapporti tra i vari partiti socialisti e comunisti, se vi fossero segni di cambiamento nel totalitarismo sovietico, se il Governo in Esilio e l’URSS si fossero riconciliati o no, come fossero i rapporti col governo inglese etc. In questo periodo i rappresentanti del Bund all’estero svolsero la funzione di servizio informazioni per il movimento polacco e di raccolta fondi per l’attività clandestina del Bund nei ghetti. I polacchi fornivano somme di denaro in zloty ai bundisti all’estero, e questi ultimi li cambiavano in dollari e depositavano nelle banche americane per conto dei polacchi.

375 In di Yorn fun Idishn Khurbn, 1946 376 ibidem 117

La fine di Erlich e Alter per mano dell’URSS. Quando, all’inizio dell’invasione nazista, Varsavia fu dichiarata città aperta, il Comitato Centrale del Bund decise che i suoi due dirigenti principali, Erlich e Alter, si trasferissero nella nuova capitale del paese, ovunque essa fosse. Alter chiese di rimanere per dirigere il movimento clandestino, ma il Bund rifiutò: era troppo conosciuto come capo dei sindacati ebraici, e sarebbe stato un pericolo per se stesso e per l’organizzazione. Alter si recò a Kowel, al confine orientale della Polonia, e Erlich raggiunse Miedzyrec, sul confine lituano. Nel frattempo, l’URSS aveva occupato il settore orientale della Polonia, come parte dell’accordo con la Germania. Erlich era stato portavoce del Soviet di Pietrogrado nel 1917, e in seguito si era opposto decisamente alla presa del potere bolscevico. Rintracciato alla stazione di Miedzyrec, fu arrestato immediatamente. Alter era stato arrestato nel 1921, durante la burrascosa fase della scissione del Bund russo. Anch’egli di lì a poco fu fermato dagli agenti dell’NKVD, mentre tentava di rientrare a Varsavia. Le Grandi Purghe erano appena terminate, e Stalin aveva eliminato dal suolo sovietico tutti i potenziali rivali. I due dirigenti del Bund furono incarcerati separatamente nella prigione Batirka di Mosca, dove furono interrogati per lunghi periodi. Furono accusati di essere agenti dei servizi segreti polacchi, di tramare per sabotare le ferrovie russe e altre simili fantasie. Secondo il compagno di cella Lucien Blit, Erlich in particolare fu sottoposto a severi interrogatori dal capo della NKVD in persona, Lavrentij Beria. Nessuno dei due confessò, ma nel luglio 1941 furono condannati a morte come spie polacche. La sentenza fu commutata in 10 anni di lavori forzati. In settembre, mentre i nazisti avanzavano in URSS, fu proclamata un’amnistia per i cittadini polacchi, ed essi furono liberati. Il Governo polacco in Esilio subito propose che Erlich diventasse membro del Parlamento polacco in Esilio, e iniziò i preparativi per portarlo in Inghilterra. Alter sarebbe dovuto diventare funzionario dell’Ambasciata polacca a Mosca, per occuparsi dei cittadini polacchi nell’URSS. Ma nel frattempo i sovietici chiesero a Erlich e Alter di occuparsi della formazione di un comitato antifascista internazionale che unisse tutti gli ebrei del mondo nella lotta contro Hitler. I due tuttavia mostrarono subito un’attitudine indipendente, chiedendo che la promozione del nuovo comitato fosse curata non solo dall’URSS, ma anche da USA, Inghilterra e Polonia, e che la direzione fosse non russa. Dopo tre mesi di tempo, durante il quale i contatti furono molto sporadici, Erlich e Alter furono convocati a un fantomatico colloquio, in quella sede furono di nuovo arrestati e sparirono. Sette mesi dopo l’ambasciatore polacco a Mosca, Stanislav Kot, chiese notizie dei due al vice Commissario agli Esteri sovietico, Andrej Vyshinskij, il quale gli rispose di non poter fornire informazioni in quanto Erlich e Alter per l’URSS erano cittadini sovietici. Le proteste per l’arresto dei due bundisti si allargarono a livello internazionale, finchè il 27 gennaio 1943 un gruppo di socialisti di livello mondiale tra cui William Green, presidente dell’American Federation of Labor, inviarono un cablogramma a Stalin chiedendo di liberarli. La risposta, indirizzata a Green, venne dall’Ambasciatore sovietico negli Stati Uniti, Maxim Litvinov:

Caro mr. Green: Sono informato da mr. Molotov, Commissario del Popolo agli Esteri, del ricevimento di un telegramma da voi firmato riguardante due cittadini sovietici, Alter ed Erlich. Ho l’incarico da parte di mr. Molotov di informarvi dei seguenti fatti: Per attività sovversiva contro l’Unione Sovietica e aiuto ad attività armate dei servizi dell’intelligence polacca, Erlich e Alter furono condannati alla pena capitale nell’agosto del 1941. Su richiesta del governo polacco, Erlich e Alter furono rilasciati nel settembre 1941. Tuttavia, una volta liberati, all’epoca delle più disperate battaglie delle truppe sovietiche contro l’avanzante esercito di Hitler, essi ripresero le loro attività ostili, incluso appelli alle truppe sovietiche a fermare lo spargimento di sangue e a concludere una pace con la Germania. Perciò essi furono riarrestati e nel dicembre 1941 condannati ancora una volta alla pena capitale dal Collegio Militare della Corte Suprema. Questa sentenza è stata eseguita a carico di entrambi.377

377 Telegramma di Litvinov a William Green, 23 febbraio 1943 (Archivio del Bund) 118

Così il mondo apprese che Stalin aveva fatto uccidere i due massimi dirigenti del Bund polacco.

Il Bund e il Governo polacco in Esilio. Durante la guerra il Bund mantenne in piedi due organizzazioni, una in Polonia e una all’estero, negli Stati Uniti e in Inghilterra. Quest’ultima divenne portavoce degli ebrei socialisti presso il Governo polacco in Esilio, mantenendo legami particolarmente stretti con gli omologhi del PPS. All’inizio del 1942 il Parlamento polacco in Esilio votò per l’inserimento di un delegato bundista nei propri ranghi, alla luce del radicamento dell’organizzazione tra gli ebrei polacchi quale si era constatato nelle elezioni municipali del 1938 – 39. Si trattava della prima volta nella storia di un bundista nella Dieta polacca, seppure in circostanze tragicamente eccezionali. Poiché Erlich era scomparso nelle galere sovietiche, il Bund scelse Shmuel Zygielboym, fuggito da Varsavia già nel 1939 perché ricercato dalla Gestapo. Nella nuova veste Zygielboym prevedeva di dover condurre un’aspra battaglia contro i nazionalisti polacchi e contro i sionisti, e sin dall’inizio assunse una linea di opposizione nei confronti di costoro, riprendendo la tattica del Bund di isolare o escludere la destra, e di un antifascismo che avesse per protagoniste le masse operaie. I timori di Zygielboym si manifestarono sin dall’inizio, in quanto gli endek presentarono e fecero approvare la proposta che si costituisse uno stato ebraico al di fuori della Polonia, nel quale gli ebrei polacchi si sarebbero dovuti trasferire. L’emendamento del dr. A. Schwarzbard, delegato sionista, di nominare espressamente la Palestina, fu respinto. Solo Zygielboym e un socialista votarono contro. Schwarzbard si astenne, e un altro socialista, Adam Ciolkosz, si dichiarò contrario ma fu assente al momento del voto. Il rappresentante bundista affermò che “Le masse ebraiche considerano la Polonia come patria unitaria di tutta la popolazione del paese. Il voto del Parlamento Nazionale è un avviso alle masse ebraiche. Esso dimostra che la reazione polacca non ha abbandonato la sua posizione antisemita”378. Il Bund si scontrò ancora una volta con i sionisti, che volevano che la guerra sfociasse nel riconoscimento dello stato ebraico in Palestina. I sionisti lavoravano per un’armata ebraica separata di 10.000 uomini da stanziare in Palestina, formata da 3.000 coloni già residenti nell’area e 7.000 ebrei di altri paesi. La proposta fu respinta dal governo inglese, che temeva che un’armata ebraica avrebbe suscitato l’ostilità degli arabi nei confronti degli Alleati. I sionisti continuarono a insistere, finchè una Brigata Ebraica di 5.000 uomini fu allestita verso la fine della guerra. Il Bund fin dall’inizio fu contrario alla Brigata ebraica:

L’idea di un’armata ebraica separata è dannosa per gli ebrei, ovunque essi siano; è dannosa anche per gli ebrei in Palestina. Gli ebrei di Palestina hanno davvero interesse a suscitare l’ostilità…tra la popolazione indigena? Hanno interesse a disporre di un esercito separato in Palestina contro il quale vi sarà un esercito separato arabo? A chi giova tutto questo? L’idea di un esercito ebraico separato è stata sostenuta dalle forze più reazionarie nella Russia zarista e in Polonia. Esse volevano introdurlo come segno di disuguaglianza. E le masse ebraiche hanno sempre guardato a ciò con sospetto, e indubbiamente se ne guarderanno anche in futuro. Dunque quando i sionisti oggi sollevano la questione dell’esercito ebraico…creano un grosso danno…Stanno portanto acqua al mulino della disuguaglianza e della reazione…essi mobilitano le energie del popolo ebraico per avventure inutili e donchisciottesche, nella presente, tragica epoca in cui noi dobbiamo spendere così tante energie per aiutare i 10 milioni di ebrei soggiogati da Hitler.379

I bundisti temevano che l’esercito ebraico sarebbe stato soltanto un primo passo verso l’emigrazione, e verso l’ulteriore alienazione degli ebrei dalla Polonia. Zygielboym chiarì la posizione in una sua importante dichiarazione davanti al Parlamento in Esilio: “La popolazione ebraica della Polonia ha la sua patria. Quella patria è la Polonia, così come è la patria delle masse

378 Unser Tseit, luglio 1942 379 Unser Tseit, aprile 1942 119 polacche”380. Era giunto il momento, disse, di porre fine alla questione ebraica in Polonia, e ciò poteva avvenire soltanto attraverso un programma in tre punti: 1. Piena uguaglianza per la popolazione ebraica in tutti i settori della vita politica, economica e sociale del paese; 2. La garanzia per la popolazione ebraica di potere esercitare la propria autonomia nazional culturale, con il riconoscimento della lingua yiddish nelle istituzioni educative e statali; 3. Proibizione dell’antisemitismo nel campo politico, sociale e educativo. Per raggiungere questi tre obiettivi, occorreva una Polonia libera e democratica, all’interno di un’Europa libera e democratica. E un’Europa libera e democratica, disse Zygielboym, era l’obiettivo verso il quale il Bund stava dirigendo tutti i propri sforzi. Perciò egli presentò al Parlamento in Esilio un programma in dieci punti: 1. governo degli operai e dei contadini 2. autodeterminazione territoriale, nazionale ed economica 3. proibizione delle discriminazioni verso le minoranze nazionali 4. distribuzione della terra ai contadini e nazionalizzazione dell’industria 5. aiuti di stato ad artigiani, piccoli imprenditori e cooperative 6. diritto al lavoro e alla salute per tutti i cittadini 7. un piano di ricostruzione per l’economia polacca, in particolare di risanamento della popolazione ebraica impoverita 8. istruzione pubblica libera per tutti, con uso delle varie lingue delle minoranze nazionali 9. laicizzazione della vita politica e sociale polacca 10. creazione di un organismo permanente per la cooperazione delle nazioni libere dell’Europa, sulla base dell’uguaglianza reciproca. I bundisti erano consapevoli che tale programma era idealistico, e che alla metà del 1942 era in forse l’esistenza stessa della comunità ebraica polacca. A un incontro dell’Internazionale Socialista a Londra, Zygielboym affermò che “è possibile che non vi sia alcuna via di salvezza”381.

Sterminio, Resistenza e distruzione del ghetto di Varsavia. Nel 1942 il ghetto di Varsavia divenne una trappola di morte per 400.000 ebrei polacchi: i 300.000 che abitavano nella capitale prima della guerra e le decine di migliaia che vi erano affluite dai centri della provincia nei mesi passati. Jan Karski, emissario del Governo polacco in Esilio, descrisse la propria visita nel ghetto dopo un incontro con Feiner e un dirigente sionista, nel 1942:

Ciò che appresi nell’incontro…e in seguito, quando fui condotto a vedere coi miei occhi, fu orribile al di là di ogni descrizione. Conosco la storia, ho un’ampia conoscenza dello sviluppo delle nazioni, dei sistemi politici, delle dottrine sociali e dei metodi di conquista, persecuzione e sterminio, e so anche che mai nella storia dell’uomo è accaduto qualcosa di comparabile con ciò che è stato inflitto alla popolazione ebraica della Polonia. La prima cosa che mi fu chiara…fu la completa assenza di speranza nelle loro prospettive. Per loro, per gli ebrei polacchi sofferenti, questa era la fine del mondo…Non avevano paura della morte in sé, e anzi l’accettavano come qualcosa di inevitabile….382

Nell’ottobre 1942 l’emissario polacco riportò che al termine della Grande Azione, la deportazione di massa a Treblinka, 300.000 dei 400.000 abitanti del ghetto erano stati sterminati. In seguito Feiner stimò che circa 3 milioni di ebrei polacchi, inclusi i 300.000 di Varsavia, furono uccisi dai nazisti tra l’ottobre del 1939 e il giugno del 1943, la metà di loro negli ultimi dieci mesi di quel periodo. Egli riportò che soltanto 75.000 ebrei polacchi erano ancora vivi nell’area occupata dalla Germania, di cui 10.000 nascosti nei quartieri polacchi delle città. I dirigenti bundisti si resero conto ben presto che i nazisti pianificavano il totale sterminio degli ebrei del ghetto di Varsavia, e chiamarono la popolazione ebraica a resistere con ogni mezzo possibile. Alla metà dell’aprile 1942, i nazisti squestrarono alcune decine di professionisti ebrei di rilievo e li fucilarono in strada, davanti a tutti. L’organo del Bund Der Veker scrisse che questo era solo l’inizio di un’azione volta a schiacciare la resistenza ebraica: l’obiettivo, disse il Bund, era ottenere la completa sottomissione. Una delle tecniche dei nazisti per gli stermini di massa era di reclutare volontari per dei “campi di lavoro”, che in realtà erano campi di sterminio. Nel 1942 questa tecnica divenne lo strumento per dare il via alla Grande Azione, ma i bundisti scoprirono presto qual’era la vera destinazione dei treni carichi di volontari per i “campi di lavoro”. “Non lasciatevi ingannare! Fugate

380 Unser Tseit, giugno 1942 381 Unser Tseit, ottobre 1942 382 Jan Karski, Story of a Secret State, 1944 120 le vostre illusioni. Vi stanno conducendo alla morte per sterminio” ammonì il Bund “Non consegnatevi volontariamente nelle mani dei vostri esecutori…non fatevi catturare. Combattete con mani e piedi”383. Il Bund creò una milizia fin dai primi giorni dell’occupazione; si trattava di un rudimentale organismo paramilitare, con pochissime armi e molto coraggio. Nell’aprile del 1940 la milizia del Bund fu coinvolta nella protezione della popolazione ebraica di Varsavia da una serie di attacchi da parte di teppisti polacchi e tedeschi, fomentati dai nazisti per creare le giustificazioni politiche per la costruzione del ghetto. Quando, alla metà del 1941, anche il ghetto di Lublino fu completato, divenne sempre più chiaro che per gli ebrei la scelta era tra morire passivamente o lottando contro i nazisti, il Bund intensificò i propri sforzi per allestire un’organizzazione di combattimento, attraverso l’acquisto di armi. Bernard Goldstein, dirigente della milizia, in seguito scrisse: “Il reperimento di armi divenne l’unico obiettivo, per il quale facemmo il massimo sforzo come organizzazione. Era chiaro che avremmo dovuto combattere. Non sapevamo di quanto tempo potessimo disporre, ma sapevamo di non averne abbastanza”384. Dopo il massacro degli intellettuali ebrei del ghetto di Varsavia nell’aprile 1942, si fece urgente la necessità di unire le forze dei gruppi ebraici: il Bund si accordò con due gruppi giovanili della sinistra sionista, Hashomer Hatzair e Hechalutz. Ma la Grande Azione nazista non potè essere contrastata, anche per la passività con la quale la maggioranza della popolazione ebraica andava incontro al proprio destino. Solo nell’ottobre 1942 si formò una milizia unitaria, la ZOB (Żydowska Organizacja Bojowa, Organizzazione Ebraica di Combattimento), con Mordechai Anjelewicz (Hashomer Hatzair) come comandante e il bundista Marek Edelman tra i quattro vice. Tutti i capi militari della Resistenza avevano 20 anni o poco più. Altri bundisti con un ruolo rilevante nella lotta armata furono Bernard Goldstein, Berek Shneidmil e Abraham Blum, quest’ultimo membro dell’ufficio politico della ZOB. I legami con la resistenza polacca al di fuori del ghetto erano tenuti, tra gli altri, da Leon Feiner del Bund. Il problema più grave per la ZOB fu il reperimento delle armi. Le prime armi, alcune pistole, furono ottenute grazie alla Gwardia Ludowa, la milizia comunista del Partito Operaio Polacco (Polska Partia Robotnicza, PPR), nato nel gennaio 1942 ed erede del KPP. Il PPS e i Socialisti Polacchi, che facevano parte della resistenza polacca “ufficiale” (Armja Krajowa), sostenuta dal Governo in Esilio, contrabbandarono nel ghetto benzina e altri materiali per il confezionamento di rudimentali granate e delle prime bombe incendiarie Molotov. Le prime azioni della ZOB significativamente furono attentati verso i collaborazionisti della polizia ebraica nel ghetto, e missioni di salvataggio di compagni arrestati. Il resoconto di Marek Edelman descrive appieno questa prima fase della lotta armata385. Verso la fine del dicembre 1942 arrivò dall’Armja Krajowa una nuova fornitura di armi, giusto in tempo per far fronte alla liquidazione definitiva del ghetto, che i tedeschi avevano programmato per la metà di gennaio. Quando la Gestapo circondò quello che rimaneva del ghetto e fece il suo ingresso, questa volta incontrò una dura resistenza, subendo molte perdite. La battaglia del gennaio 1943 accreditò la ZOB presso la resistenza polacca, e vennero inviate altre armi all’interno del ghetto, comprese alcune mitragliatrici. Nel marzo 1943 i nazisti fecero un altro tentativo ordinando il trasferimento dei lavoratori della fabbrica di spazzole, nel settore del ghetto sotto il diretto controllo del Bund. Nessuno dei lavoratori si presentò. I camion tedeschi tentarono di entrare nella fabbrica, ma furono accolti dall’esplosione di una mina elettrica nascosta nel terreno, e dal lancio di granate e molotov. Nel contempo la resistenza assaltava la prigione del ghetto, liberando i detenuti. La liquidazione del ghetto fu posticipata al 19 aprile 1943, data di inizio dell’assedio finale. Nelle prime fasi dell’operazione, i resistenti riuscirono anche a distruggere un carro armato tedesco, e a impadronirsi di un mortaio e di altre armi. Alla lunga, la tattica vincente dei nazisti fu quella di incendiare sistematicamente le aree in cui erano asserragliati gli assediati, che poco per volta dovettero cedere. Marek Edelman riporta:

383 Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945 384 Bernard Goldstein, The Stars Bear Witness, 1949 385 Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945 121 Ciò che i tedeschi non erano riusciti a fare, il fuoco onnipotente lo realizza ora. A migliaia periamo nelle fiamme. L’odore dei corpi arrostiti prende alla gola. Ovunque, sui balconi, alle finestre, sulle scale di pietra che non hanno preso fuoco, giacciono cadaveri carbonizzati. Il fuoco caccia fuori la gente dai rifugi, li snida dai nascondigli che avevano arrangiato da lungo tempo, in luogo sicuro, in un solaio o in una cantina. Migliaia di persone vagano nei cortili, esponendosi alla cattura, detenuti o uccisi sul campo dai tedeschi.386

L’8 maggio i tedeschi espugnarono il bunker nel quale si era rifugiato il più grosso gruppo di resistenti. Decine di militanti della ZOB persero la vita, tra cui il comandante Mordechai Anjelewicz. Alcuni gruppi di combattenti si salvarono attraverso una fuga nelle fognature, durata due giorni, e il 10 maggio riuscirono a uscire nella parte polacca di Varsavia, i più prendendo la vita dei boschi per unirsi ai partigiani. Marek Edelman, Bernard Goldstein e i pochi bundisti sopravvissuti continuarono a lottare per la liberazione della Polonia, partecipando all’insurrezione della città di Varsavia nell’agosto 1944.

Le responsabilità degli Alleati e dei sionisti nello sterminio degli ebrei. Una delle più vergognose pagine della Seconda guerra mondiale fu il comportamento degli Alleati e dei sionisti di fronte alle notizie che provenivano dalla Polonia, e dagli altri paesi occupati dai tedeschi, riguardo allo sterminio in corso degli ebrei. La linea di condotta generale fu improntata a dare la priorità alle esigenze dello sforzo bellico, facendo sì che i civili ebrei fossero sempre messi in secondo piano, quando non usati come zavorra da sacrificare per indebolire il nemico nazista. Durante il 1940 e 1941 l'Esecutivo dell'Agenzia Ebraica, l’organo dirigente sionista in Palestina, raramente discusse degli ebrei dell'Europa occupata e a parte i timidi sforzi per l'immigrazione clandestina l'Agenzia non fece nulla per loro.387 Nè fecero molto di più gli ebrei della neutrale America; anzi, la dirigenza sionista americana fece una campagna contro quegli ebrei che provavano a inviare aiuti in Europa. Aryeh Tartakower, che era incaricato per il Congresso Mondiale Ebraico del lavoro di assistenza in America nel 1940, ha raccontato parte della vicenda in un’intervista con lo storico israeliano Shabatei Beit-Zvi:

Ricevemmo una chiamata dal Governo Americano, dal Dipartimento di Stato, e loro ci fecero notare che inviare aiuti agli ebrei in Polonia non era nell’interesse degli Alleati…Il primo a dirci di interrompere immediatamente fu il dottor Stephen Wise388…Egli disse: “Dobbiamo smettere per il bene dell’Inghilterra”.389

La linea inglese sosteneva che fosse “compito” dei tedeschi, in quanto belligeranti, nutrire le popolazioni dei territori che occupavano. I pacchi di viveri inviati dall’estero, affermarono gli inglesi, erano solo un aiuto agli sforzi bellici tedeschi. In ottemperanza a tali direttive l’apparato del WJC-AJC (Congresso Mondiale Ebraico – American Jewish Congress) non solo smise di inviare cibo, ma fece pressioni sulle associazioni caritatevoli ebraiche non sioniste affinchè cessassero a loro volta di farlo, e quasi tutte accettarono eccetto gli ebrei ortodossi di Agudas Israel. Quando l’establishment ebraico in Occidente e gli Alleati scoprirono che Hitler stava sistematicamente uccidendo gli ebrei? Resoconti di massacri in Ucraina iniziarono a raggiungere la stampa occidentale nell’ottobre del 1941, e nel gennaio 1942 i sovietici approntarono un dettagliato rapporto, il “Molotov Announcement”, che analizzava le azioni delle Einsatzgruppen. Il rapporto fu snobbato dalla World Zionist Organization in Palestina come “propaganda bolscevica”.390 Nel febbraio 1942 Bertrand Jacobson, ex rappresentante del Joint Distribution Committee in Ungheria, organizzò una conferenza stampa al suo ritorno negli USA e fornì le informazioni dai contatti ungheresi sul massacro di 250.000 ebrei in Ucraina. Nel maggio 1942 il Bund inviò via radio a Londra il messaggio che in Polonia il numero degli ebrei sterminati era già arrivato a 700.000, e il 2 luglio la BBC trasmise una sintesi della situazione in Europa. Il Governo

386 Marek Edelman, Il Ghetto Combatte, 1945 387 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 388 Il Presidente dell’American Jewish Congress. 389 Shabatei Beit-Zvi, Post-Ugandan Zionism During the Holocaust, 1977 390 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 122 polacco in Esilio utilizzò il messaggio del Bund nella propria stampa propagandistica in lingua inglese. Ma ancora il 7 luglio 1942 Yitzhak Gruenbaum, dell’Agenzia Ebraica, rifiutava di credere ad analoghi racconti di massacri in Lituania, perché il numero ipotetico dei morti era maggiore della popolazione ebraica sita nel paese prima della guerra.391 Il 15 agosto Richard Lichtheim della Svizzera inviò un rapporto a Gerusalemme, basato su fonti tedesche, sugli scopi e i metodi dello sterminio. Ricevette la risposta di Gruenbaum, datata 28 settembre:

Francamente non sono incline ad accettare tutto il contenuto alla lettera…Come uno deve imparare ad accettare anche le storie più incredibili se corrispondono a fatti reali, così uno deve imparare dall’esperienza a distinguere tra la realtà, per quanto dura essa sia, e l’immaginazione che produce idee distorte per un giustificato timore.392

Gruenbaum sapeva che stavano accadendo cose terribili, ma egli le minimizzava come se si trattasse “soltanto” di pogrom. L’8 agosto Gerhart Riegner dell’ufficio di Ginevra del World Jewish Congress ottenne un resoconto dettagliato del programma di soppressione col gas da fonti tedesche affidabili, e lo inoltrò alle sezioni WJC di Londra e New York attraverso diplomatici inglesi e americani. La sezione del WJC di Londra ricevette il materiale, ma Washington evitò di trasmetterlo al rabbino Stephen Wise, il numero uno del Congress. Il 28 agosto la sezione inglese inviò a Wise un’altra copia, ed egli chiamò il Dipartimento di Stato scoprendo che avevano rispedito indietro il dossier. Quindi il governo americano gli chiese di non rendere pubbliche le notizie poiché le stavano ancora verificando; egli acconsentì e non disse nulla fino al 24 novembre – 88 giorni dopo – quando il Dipartimento Stato finalmente riconobbe come autentico il rapporto. Solo allora Wise rese pubblico il piano nazista di sterminio degli ebrei. Il 2 dicembre egli scrisse una lettera al presidente Franklin Roosevelt (al quale si rivolge confidenzialmente con l’appellativo “Caro Boss”) chiedendo un incontro urgente e informandolo che:

Ho avuto cablogrammi e informazioni riservate per diversi mesi, che riportavano questi fatti. D’accordo con i capi di altre organizzazioni ebraiche, ho stabilito di non informare la stampa.393

Insomma i vertici ebraici americani per mesi non dubitarono che il rapporto di Riegner fosse vero, ma non lo resero pubblico. Anche in Palestina i vertici sionisti erano da tempo al corrente dei massacri. Ad esempio il 17 aprile 1942, prima del messaggio del Bund, Moshe Shertok (capo del Dipartimento Politico dell’Agenzia Ebraica) scrisse al generale Claude Auckinleck, comandante dell’Ottava armata inglese in Nord Africa, dicendosi preoccupato per ciò che sarebbe potuto accadere agli ebrei in Palestina se l’Africa Korps avesse sfondato in Egitto.

La distruzione della razza ebraica è uno dei principi fondamentali della dottrina nazista. Gli autorevoli rapporti pubblicati recentemente mostrano che questa politica è portata avanti con indescrivibile spietatezza…C’è da temere che una distruzione anche più rapida possa colpire gli ebrei della Palestina.394

Dunque mentre Gruenbaum si mostrava scettico sulla veridicità dei resoconti sui massacri che riceveva, il suo collega Shertok stava utilizzando gli stessi resoconti per convincere gli inglesi a intervenire in difesa del movimento sionista in Palestina, magari armando una Brigata ebraica. Quando Jan Karski fu inviato a Varsavia come emissario del Governo polacco in Esilio, per raccogliere informazioni di prima mano sulla situazione, i rappresentanti del Bund e delle altre fazioni ebraiche gli chiesero di fare pressione presso i governi alleati: “Dite ai governi alleati, se vogliono aiutarci, di inviare dichiarazioni ufficiali al governo e al popolo tedesco dicendo che le

391 Midstream, aprile 1968, p.51 392 Yoav Gelber, Zionist Policy and the Fate of European Jewry (1939-42), 1979 393 Eliyahu Matzozky, The Response of American Jewry and Its Representative Organizations to Mass Killing of Jews in Europe, 1979 394 Commentary, dicembre 1979, p. 53 123 conseguenze della continua persecuzione saranno rappresaglie di massa, e la sistematica distruzione dell’intera nazione tedesca”395. Un combattente del ghetto si appellò disperatamente alle organizzazioni ebraiche in America e Inghilterra, affinchè facessero pressione sui governi Alleati:

Dite ai dirigenti ebrei che non è il momento della politica o della tattica. Dite che la terra deve essere scossa dalle fondamenta, che il mondo deve essere svegliato. Forse allora si sveglieranno, capiranno, si renderanno conto. Dite che devono trovare il coraggio di compiere sacrifici che nessun altro uomo di stato ha mai dovuto fare, sacrifici dolorosi come il destino del mio popolo morente…Gli scopi e i metodi tedeschi non hanno precedenti nella storia. Le democrazie devono reagire in un modo che sia anche senza precedenti, scegliere come risposta dei metodi inusitati…La vittoria militare non scongiurerà ciò che il nemico include nel proprio programma di distruzione. I loro metodi non ci risparmieranno. Mi chiedete quale linea di condotta suggerisco ai dirigenti ebrei. Dite loro di recarsi presso le istituzioni e le agenzie inglesi e americane più importanti. Dite loro di non andarsene di là finchè non avranno ottenuto garanzie che è stato trovato un modo per salvare gli ebrei. Fate che non accettino cibo né acqua, fate che muoiano lentamente mentre il mondo li guarda. Lasciate che muoiano. Questo forse scuoterà la coscienza del mondo.396

Il bundista Zygielboym a Londra si impegnò a fondo perché gli Alleati facessero qualcosa per impedire lo sterminio degli ebrei polacchi, ma invano. “Le nostre azioni e proteste non hanno effetto pratico”, scrisse ai rappresentanti del Bund in America, e il Parlamento polacco in Esilio si mostrava altrettanto sordo. L’11 maggio 1943, alla notizia della completa distruzione del ghetto di Varsavia, Zygielboym si tolse la vita, lasciando una lettera rivolta alle autorità polacche, che tra l’altro diceva:

La responsabilità per il crimine dello sterminio dell’intera nazione ebraica in Polonia risiede innanzitutto in quelli che lo stanno compiendo, ma indirettamente essa ricade anche sull’intera umanità, sui popoli delle nazioni alleate e sui loro governi, che fino a oggi non hanno compiuto alcun passo concreto per fermare questo crimine. Assistendo passivamente a questa tortura e questo sterminio di milioni di uomini, donne e bambini, essi ne hanno condiviso la responsabilità. …Non posso continuare a vivere, e rimanere in silenzio, mentre gli ebrei polacchi superstiti, di cui sono rappresentante, vengono sterminati. I miei compagni nel ghetto di Varsavia sono caduti armi in pugno nell’ultima, eroica battaglia. Non ho potuto cadere come loro, insieme a loro, ma sono con loro, nella loro fossa comune. Con la mia morte confido di dare la massima espressione alla mia protesta contro la passività con la quale il mondo assiste e permette la distruzione del popolo ebraico. So che la vita di un uomo non ha molto valore, soprattutto oggi. Ma se non vi sono riuscito in vita, forse attraverso la morte potrò contribuire al risveglio dal letargo di coloro che potrebbero e dovrebbero agire affinchè anche ora, forse all’ultimo momento, quei pochi ebrei polacchi che sono ancora in vita possano venire salvati dalla distruzione certa.397

Ancora dopo alcuni mesi, il periodico del Bund a New York poteva constatare amaramente il disinteresse degli ebrei americani per la sorte delle vittime dell’Olocausto nazista, e anzi lo sfruttamento della situazione da parte dei sionisti per chiedere lo stato ebraico in Palestina, come una sorta di compensazione per le quelle vittime:

Il fatto che non li aiutiamo non è solo una tragedia per loro; è anche una vergogna per noi. Mi riferisco alla criminale indifferenza…Tutte le richieste fatte a Washington si riducono a una sola: una casa ebraica nazionale in Eretz Israel.398

Che i sionisti più convinti...non siano particolarmente dispiaciuti dello sterminio e della distruzione delle comunità ebraiche in Europa, è cosa che abbiamo sempre saputo.399

395 Jan Karski, Story of a Secret State, 1944 396 ibidem 397 Archivio del Bund 398 Nokhem Chanim su Der Veker, 1 settembre 1943 399 David Einhorn su Der Veker, 15 settembre 1943 124 12. EPILOGO

L’ultima fase della guerra. Nel giugno 1944, contemporaneamente allo sbarco in Normandia, l’Unione Sovietica diede inizio sul fronte orientale alla Operazione Bagration, per ricacciare l’esercito nazista fuori dal territorio russo e da quello polacco. Il 22 luglio venne annunciata la formazione di un Comitato Polacco di Liberazione Nazionale (Polski Komitet Wyzwolenia Narodowego, PKWN), un governo provvisorio polacco filo-sovietico, dapprima con sede a Chelmno e dal 1 agosto con sede a Lublino (comunemente detto infatti Comitato o Governo di Lublino). Lo stesso 1 agosto l’Armja Kraiowa, diretta dal Governo in Esilio a Londra, diede inizio a una rivolta anti-nazista a Varsavia. I bundisti di Varsavia che non avevano raggiunto i partigiani nelle foreste (tra cui Marek Edelman e Bernard Goldstein) parteciparono all’insurrezione, la quale nelle prime settimane ebbe successo, ma in seguito fu abbandonata a se stessa dagli Alleati (l’esercito sovietico stazionava a pochi chilometri), e il 2 ottobre la città capitolò ai tedeschi, che la distrussero quasi completamente. Solo nel gennaio 1945, con i tedeschi in ritirata, Varsavia fu occupata dall’Armata Rossa. Il 1º gennaio 1945 il Comitato Polacco di Liberazione Nazionale divenne il Governo Provvisorio della Repubblica di Polonia (Rząd Tymczasowy Rzeczypospolitej Polskiej o RTRP). A Londra, il Governo polacco in Esilio protestò: fu scritta una dichiarazione secondo la quale l'Unione Sovietica aveva "preso il controllo dei diritti politici sovrani della nazione polacca". Il futuro della Polonia venne discusso alla successiva Conferenza di Jalta (febbraio 1945), ove vennero definiti i nuovi confini. Il 28 giugno il Governo Provvisorio della Repubblica di Polonia fu trasformato nel Governo Provvisorio di Unità Nazionale (Tymczasowy Rząd Jedności Narodowej). Questa conversione era stata promessa da Stalin a Jalta, e fu effettuata come gesto di apertura verso il Governo in Esilio della Polonia. Di fatto tuttavia la Polonia entrò nella sfera di influenza sovietica. La Polonia fu il paese che in percentuale subì il maggior numero di vittime della Seconda guerra mondiale. Nel 1939 aveva circa 35 milioni di abitanti, scesi a 29 dopo sei anni (una

125 diminuzione del 20%): 3 milioni furono le vittime polacche, e altrettanti gli ebrei residenti nel paese, la quasi totalità della comunità. In seguito alla ridefinizione dei confini e alle conseguenti migrazioni di massa imposte dagli Alleati, il numero di abitanti rilevato nel censimento del febbraio 1946 ammontava a 23,9 milioni. Dopo l'annessione sovietica dei territori ad est della linea Curzon, circa 2 milioni di polacchi vennero rimpatriati da queste aree per passare nei nuovi territori occidentali e settentrionali ad est della linea Oder-Neisse, che i sovietici girarono alla Polonia dopo gli accordi di Potsdam. Inoltre circa 5 milioni di polacchi della Polonia centrale si trasferirono nei "territori recuperati" alla Germania. La popolazione tedesca, circa 10 milioni di individui, venne espulsa dai nuovi territori acquisiti dalla Polonia. Con il rimpatrio in Unione Sovietica della popolazione di origine ucraina, e considerando lo sterminio degli ebrei operato dalla Germania nazista, la Polonia per la prima volta divenne uno Stato-nazione quasi omogeneo.

Destino degli ebrei polacchi sopravvissuti. Ciononostante, nel 1945 molti degli 80.000 ebrei polacchi sopravvissuti allo sterminio erano disposti a rifarsi una vita in Polonia. Nella regione della Bassa Slesia, che da tedesca divenne territorio polacco, si progettava la costituzione di un nuovo centro propulsore della comunità ebraica. Inoltre numerosi ebrei polacchi erano radunati nei campi per i profughi (Displaced Persons, DP) allestiti dagli Alleati in Germania e Austria. Anche qui i bundisti cercarono di riorganizzarsi, ma dovettero fare i conti con i sionisti e le loro mire. Il 1 giugno 1946 150 bundisti si riunirono a Camp Feldafing, in Germania, per una conferenza di tre giorni alla quale fu presente anche un rappresentante dall’Europa occidentale. La conferenza discusse dell’organizzazione del Bund nei campi, di un giornale del movimento e delle prospettive future in Europa. Ma i sionisti impedirono l’ingresso negli organismi direttivi dei campi al Bund e ad altri gruppi contrari o non interessati alla Palestina, ad esempio ai territorialisti della Freiland Lige, che proponevano la costituzione di comunità autonome ebraiche in varie parti del mondo. Un membro del Bund descrisse la situazione nei campi in una lettera a un amico a New York, paragonandola alla persecuzione degli ebrei nel Medioevo:

Siamo circondati da una ridda di kibbutzim, dipartimenti e segreterie del movimento sionista. I nostri compagni vivono lì come un tempo i marrani in Spagna.400

Il simpatizzante bundista Moshe Ajzenbud, l’unico a inviare resoconti regolari dai campi, scrisse un pezzo tristemente ironico pubblicato in seguito su un periodico newyorkese del movimento:

…dalla Terra Santa arrivarono i missionari a rimettere il sacro gregge sul cammino della rettitudine, in modo che potesse andare in Paradiso. Questi missionari accorsero nei campi con le loro bandiere bianche e blu e così venne fondata una colonia sionista: i campi ebraici in Germania, Austria e Italia. E come in genere capita nelle colonie, anche qui i sionisti governarono con durezza, volendo che tutto si facesse solo a vantaggio della Palestina. In suo nome si comportarono da padroni dei campi. I sionisti avevano convinto il resto del mondo che i sopravvissuti costituissero un fronte unito.401

Analogo contesto è quello descritto da uno storico della Freiland Lige:

Le misure prese contro di noi, contro i bundisti e in genere contro gli ebrei che volevano emigrare in paesi diversi da Eretz Israel, consistevano in incessanti pressioni. Ci toglievano i viveri, ci cacciavano dal lavoro e dai campi, ci picchiavano (in maggio a Salisburgo furono organizzati dei raid nelle strade)…402

400 Archivio del Bund, New York 401 Unser Tsait, gennaio 1949 402 Michael Astor, Geschichte fun der Freiland Lige, 1967 126 Anche un consigliere per le questioni ebraiche presso il comando supremo americano, William Haber, ebbe a scrivere che “la pressione esercitata sulle persone è stata rude, e talvolta ha riprodotto le tecniche che essi avevano appreso dai loro stessi oppressori”403. Insomma gli ebrei dei campi DP, reduci dalle persecuzioni naziste e fasciste, dovettero subire dai sionisti altre vessazioni, a volte di tipo analogo. Nella Polonia devastata dalla guerra intanto riprendevano gli episodi di antisemitismo, a carico degli 80.000 sopravvissuti e dei quasi 200.000 ebrei rientrati dall’Unione Sovietica dopo la definizione dei nuovi confini. 351 ebrei furono uccisi tra il novembre 1944 e l’ottobre 1945; i pogrom continuarono fino al 1946 e culminarono in un feroce massacro che ebbe luogo a Kielce il 2 luglio, nel quale 42 ebrei furono uccisi. Il massacro terrorizzò gli ebrei rimanenti e circa 100.000 di loro lasciarono la Polonia e altri paesi dell’Est Europa nell’arco dei tre mesi successivi.

Lo scioglimento del Bund polacco. Nel 1947 vari partiti socialisti polacchi si aggregarono intorno a un “blocco democratico” il cui centro era costituito dal PPR filosovietico. Nelle elezioni legislative del gennaio 1947 il blocco democratico prese l’80% dei voti, e 394 seggi su 444 alla Dieta. Nel dicembre del 1948 venne costituito il Partito Operaio Polacco Unificato (Polska Zjednoczona Partia Robotnicza, PZPR) nel quale confluirono il PPS e altri partiti socialisti minori. I sopravvissuti del Bund assistettero impotenti allo svolgersi degli eventi; il 16 gennaio 1949 si riunirono in Congresso a Wroclaw e votarono per sciogliersi a loro volta nel PZPR. La base sociale del Bund, il proletariato ebraico di Polonia, era ridotta ai minimi termini, e il potere sovietico era egemone. Molti bundisti polacchi lasciarono il paese, altri decisero di rimanervi, come Marek Edelman. Quasi tutti mantennero fede alla linea di condotta anti-sionista, mentre i sionisti coglievano i frutti dello sterminio degli ebrei in Europa ottenendo dalle potenze alleate (compreso l’URSS) il riconoscimento dello Stato di Israele, nato da decenni di sporche manovre politiche e dalla pulizia etnica della Palestina del 1848 – 49. Da allora in avanti il Bund perse la caratterizzazione russo-polacca, per assumere i connotati di organizzazione internazionale. La nuova veste iniziò a prendere forma nel maggio 1947 con un congresso di organizzazioni bundiste tenutosi a Bruxelles, dal quale scaturì l’International Jewish Labor Bund.

(dicembre 2017)

403 Yosef Grodzinsky, All’ombra dell’Olocausto, 1998 127