14 gennaio 2019

Aula Magna storica dell’Istituto “A.Bernocchi”

Chi fu Antonio Bernocchi?

Chi fu Antonio Bernocchi, è difficile dirlo in modo sintetico. Fu imprenditore di successo, mecenate, politico, cittadino munifico…. quella di Antonio Bernocchi è sicuramente una figura poliedrica, umanamente ricca di sfaccettature; lungo è l’elenco delle onorificenze che Bernocchi ottenne e delle cariche istituzionali che ricoprì: sindaco di dal 1901 al 1902, nel 1905 viene nominato Cavaliere del lavoro ed è insignito anche dell'onorificenza di Grande Ufficiale dell'Ordine della Corona d'Italia; in seguito, dopo aver ricevuto la Medaglia d’oro dei benemeriti dell’Istruzione professionale, nel 1929, un anno prima della morte, viene nominato senatore del Regno. Tanti titoli, dunque, tante cariche istituzionali, ma oggi, a distanza di quasi 90 anni dalla sua morte, non vogliamo fare di Antonio Bernocchi una celebrazione agiografica, né entrare nel merito delle sue scelte ideologiche, oggi, ci sembra più utile cercare di tracciare - brevemente, e per quanto ci è possibile – un ritratto che ci restituisca innanzitutto il suo profilo di uomo, di infaticabile lavoratore, prima operaio poi imprenditore, cittadino generoso e appassionato di cultura. Antonio: da operaio a imprenditore Scartabellando negli archivi e tra le cronache dell’epoca, viene da pensare che - di Bernocchi - tante cose potrebbe raccontarcele …un fiume, se solo avesse voce. Sì, perché è lungo l’Olona che questo racconto si snoda. Fin dall’inizio. Nato a il 17 gennaio del 1859, Antonio, viene da una famiglia di modeste condizioni. In località Gabinella, nei pressi dell’Olona, appunto, il padre Rodolfo gestisce una piccola lavanderia con candeggio, prima con il cugino Giuseppe, poi in autonomia (dal 1868). Tutti i famigliari danno il loro contributo e in poco tempo l’attività cresce; Antonio, pur cagionevole di salute, dimostra intelligenza vivace e viene incaricato di tenere il libro cassa.

Quando assume la direzione del laboratorio, dove lavorano - oltre ai suoi fratelli minori - cinque o sei operai, Antonio ha poco più di 15 anni. L’incarico lo costringe a interrompere gli studi iniziati alla scuola Tecnica di . Intraprendente e aperto alle novità, il giovane Bernocchi acquisisce sul campo le competenze necessarie a diventare quello che oggi si direbbe un grande manager: il fiuto per gli affari non gli manca, né la capacità organizzativa, qualità cui va aggiunta la costante collaborazione con i fratelli. Insieme a loro costruisce un piccolo impero, giungendo ad avere una delle più grandi industrie cotoniere d’Italia, che a conclusione della sua vita comprenderà dieci stabilimenti, dove lavorano 5000 operai con 170.000 fusi di filatura, 3000 telai, e reparti specializzati.

Le imprese Ricordiamo qui solo per sommi capi le tappe più importanti di questo percorso… All’epoca della “Società in nome collettivo Fratelli Bernocchi di Rodolfo” fondata da Antonio con i fratelli nel 1891, la fabbrica di Legnano è fornita di reparti di candeggio, stamperia di tessuti, finissaggio e tintoria. Vi collaborano Michele Bernocchi, che dirige la parte tecnica dello Stabilimento di Legnano, e Andrea che con gli stessi compiti gestisce il nuovo stabilimento di S.Vittore Olona, dove con cento telai viene avviata una tessitura. Nel 1898 sorge a Legnano quello che verrà definito “un grande perfetto stabilimento”: ampio, luminoso, è un modello del suo genere. L’attività legnanese non solo diventa una grande risorsa occupativa per la città, ma attira da fuori maestranze specializzate e allaccia legami con i Paesi fornitori di materia prima, il cotone soprattutto.

Grazie anche alla collaborazione con Dante Camerini, la ditta dei Bernocchi, è – in quegli anni – in prima linea nella conquista dei mercati esteri. Intanto i prodotti si moltiplicano in quantità e si raffinano in qualità; si vanno creando nuove formule, nuovi colori, nuovi disegni per le stoffe. Dopo aver cambiato denominazione, nel 1905 la ditta “Antonio Bernocchi e fratelli” apre un’importante filatura a Cerro Maggiore che arriverà ad avere 55.000 fusi.

L’imprenditore legnanese sa guardare lontano e supera le diffidenze di settore nei confronti di nuovi materiali: intravede i vantaggi futuri che può dare l’impiego del rayon e già nel 1905 lancia i primi prodotti con questa fibra che vengono anche esportati con successo nelle cosiddette Indie Inglesi e nelle Indie Olandesi.

In quegli anni Legnano si è già guadagnata il titolo di “Manchester italiana”(titolo conteso con la vicina Busto Arsizio): l’orizzonte della cittadina è contrappuntato da una selva di ciminiere, e oltre alle fabbriche del settore tessile (Cantoni, Bernocchi, Agosti, Giulini e Ratti) ci sono quelle della meccanica (Franco Tosi, Pensotti…)

Poi però l’Europa precipita verso quella che verrà definita l’ “inutile strage”: scoppia la Grande Guerra. I tempi non sembrano certo favorevoli, ciò nonostante nei primi mesi del 1915 Bernocchi acquista un’altra tessitura ad e nello stesso anno entra in possesso di una filatura a Carate Brianza (40 mila fusi di filatura e 17000 di torcitura). Trasformatasi nel 1920 in ‘Società Anonima Bernocchi’, la ditta nata sulle rive dell’Olona conta all’epoca anche stabilimenti Nerviano, Besnate, Angera, Cogozzo e Sarezzo in Val Trompia. La Società dei Bernocchi continuerà a crescere anche dopo la morte di Antonio nel 1930, arrivando ad avere rappresentanze sparse in tutto il mondo, trovando una propria nicchia di mercato soprattutto nella produzione di tessuti raffinati per abiti da donna ed esportando in tutti i continenti.

Affidato agli eredi, i nipoti, Marco ed Eraldo Bernocchi, e poi ancora al figlio di questi, Andrea, lo stabilimento di Legnano rimarrà in attività fino al 1971; mentre quelli in val Trompia chiuderanno i battenti negli anni ’90.

Antonio, uomo generoso Antonio fu anche un uomo indubbiamente generoso, fu imprenditore attento al sociale, secondo i modelli di quel “paternalismo padronale” di cui gli storici hanno messo in luce la complessità, evidenziando accanto agli esiti di modernizzazione economica, anche le forme efficaci di controllo sociale sulle classi subalterne. Rimane il fatto che interpretando in modo originale tali modelli Bernocchi ha lasciato in eredità alla città e al territorio importanti beni collettivi.

Attento ai bisogni dei suoi dipendenti, Antonio Bernocchi realizza case per operai, impiegati e dirigenti, provvede all’allestimento di asili, refettori, cooperative di consumo; fonda - con suoi esclusivi mezzi - una Cassa previdenza malattie e una cassa pensioni. Inoltre si impegna per sovvenzionare moderne strutture sanitarie nel territorio.

E’ più volte presidente dell’Ospedale della nostra Città per il quale nel 1900 partecipa in modo significativo alla prima sottoscrizione. Nel 1926, con un’altra ragguardevole cifra è tra i promotori dell’ampliamento del nosocomio, e avvia la sottoscrizione per il Padiglione della Chirurgia, poi a lui dedicato.

A questo proposito è interessante notare come Bernocchi difendesse le regole con cui l’ente ospedaliero si era costituito, talora lo fece non senza una certa vis polemica: è il caso dell’ episodio in cui – in un momento critico per le finanze dell’Ospedale - si risente del fatto che troppi cittadini semiabbienti usufruiscono di cure gratuite: “Il Comune – si legge infatti in un verbale del 1924 – assista come di dovere i veri poveri e non permetta a quelli che possono pagare di defraudare la beneficenza pubblica”.

Con l’inizio del primo conflitto mondiale la sua generosità aumenta. Ci limitiamo qui solo ad alcuni esempi di questa indubbia qualità di Antonio Bernocchi esercitata negli anni della guerra. In quel periodo infatti, in tema di previdenza sociale assume talora un ruolo da precursore delle norme statali: nel 1915 ai suoi operai e impiegati che vengono richiamati come uomini “validi alla guerra” l’imprenditore, nel salutarli, comunica che sosterrà le loro famiglie reintegrando i compensi di quanti partiranno. Non solo mantiene la promessa per tutta la durata del conflitto, ma assegna un sussidio alle famiglie che non hanno visto tornare i loro cari dal fronte. Il suo gesto è anticipatore, poiché solo più tardi un Decreto regio obbligherà le ditte a corrispondere un sussidio per i richiamati.

Nel 1917, anno della tragedia di Caporetto, la notizia delle difficoltà e delle condizioni in cui versano gli Italiani, nonché i suoi concittadini, raggiunge l’ imprenditore: Bernocchi parte per il fronte per portare aiuti materiali e incoraggiamenti morali ai soldati; non è questa l’unica volta in cui si reca nelle zone di guerra e l’impegno gli vale un riconoscimento dal Duca d’Aosta. Ma non basta: dona per primo 400.000 lire per dar vita all'istituzione denominata “La Patria Riconoscente” che diventerà poi l'Opera Nazionale dei Combattenti.

Sport e cultura Non meno generoso Bernocchi fu nell’ambito dello sport e della cultura. Basti qui menzionare il suo impegno nella squadra del Football Club Legnano, di cui fu più volte presidente e per cui, insieme alla Franco Tosi, sostenne le spese per il primo campo di calcio, in via Lodi. Ma quando si parla di sport nella nostra città la mente vola inevitabilmente al ciclismo. A quella che fu denominata “Coppa Cav. Antonio Bernocchi”. Ancora una volta l’imprenditore scommette sul futuro e accoglie la sollecitazione di Pino Cozzi, in un momento di difficoltà dell’Unione Sportiva Legnanese sembra che tra il serio e il faceto abbia detto all’industriale: “Se io ci metto una lira, lei ce ne mette 1000 e facciamo una corsa professionistica”. Bernocchi, abituato a prendere sul serio sfide del genere, accetta, e dal 1919 prende avvio la Coppa Bernocchi, destinata a diventare una competizione professionistica di rilevanza internazionale. Va detto che non fu il solo della famiglia a lasciare contributi per lo sviluppo del territorio: ricordiamo per esempio la scuola d’infanzia a Cerro Maggiore e la casa di cura intitolate ad Andrea Bernocchi, fratello di Antonio.

Antonio Bernocchi, era un uomo del “fare”, concreto e pragmatico, ma era anche un autodidatta capace apprezzare la cultura in tutte le sue forme: si pensi ai 4000 libri di cui dota la Biblioteca Tecnica della scuola operaia e al sostanzioso lascito per la realizzazione, nel capoluogo lombardo, del Palazzo dell’Arte a lui intitolato (oggi sede della Triennale). A proposito di arte, è forse poco noto che il nome di Antonio Bernocchi è legato anche ad una lampada artistica: progettata nel 1926 dall’architetto Baldessari per l’expo di Barcellona del 1929, Luminator Bernocchi, così venne chiamata, era un’audace lampada da terra, una sorta di manichino cromato in cui si sperimentava l’uso artistico del tubo metallico. Un oggetto che in seguito ispirò progettisti come Achille Castiglioni. Sostenendo la produzione di quel prototipo, ancora una volta, Bernocchi dimostrò di avere uno sguardo “illuminato”.

A Milano anche il restauro del Palazzo di Brera e della Scala di Milano ebbero il fattivo sostegno della famiglia Bernocchi. Resterà allo stadio progettuale un’altra intuizione di Antonio: quella di dare a Legnano un grande Teatro. Mentre è sicuramente in sintonia con i suoi progetti l’idea poi realizzata, decenni dopo, di far diventare sede della biblioteca cittadina, quella che Villa Bernocchi. Insomma, l’elenco degli enti e delle associazioni che hanno visto il contributo di Antonio Bernocchi sarebbe lunghissimo e rischieremmo di dimenticare qualcosa, perciò veniamo a quella che qualcuno considera “massima fra le Sue innumeri benemerenze” ovvero l’istituzione della scuola operaia.

Il “Sciur Antoni” e il professore Benché una legge del 1912 le avesse istituite, le scuole operaie, da frequentare dopo il percorso elementare, nel secondo decennio del ‘900 erano ancora scarse. L’iniziativa concreta era lasciata all’interesse degli industriali. Paradossalmente, proprio il conflitto mondiale riaccese l’attenzione sull’importanza di avere operai specializzati e maestranze istruite.

A Legnano l'idea di una scuola per i lavoratori era germinata anni prima, quando l’unica scuola superiore era il collegio “Silvio Pellico”, i cui costi ne facevano però un istituto per studenti di famiglie benestanti. Al di là di corsi organizzati all’interno delle aziende, chi voleva ottenere una specializzazione industriale doveva frequentare Istituti di Milano, Bergamo, Biella, Novara. Tecnici e imprenditori legnanesi discutevano della necessità di una scuola tecnica “comunale o pareggiata” e così nel 1917 si dette vita all’Istituto Tecnico Comunale di indirizzo commerciale . Ma Bernocchi è uomo determinato, e ancora una volta guarda avanti. Pensa alla concorrenza straniera nell’ambito tessile, pensa ai giovani che torneranno dal fronte, pensa alle famiglie che toccate dalla guerra non potranno far studiare i figli. E’ fermo nel suo proposito di fornire alla città una scuola operaia. In questo suo progetto si mescolano filantropia, liberalismo illuminato, e atteggiamenti tipici del paternalismo industriale. Ma non si può escludere che oltre a queste, e ad altre tante ragioni legate all’epoca, come la necessità di maestranze specializzate, ve ne fosse anche un’altra: l’imprenditore legnanese non aveva dimenticato i tempi in cui alla Gabinella lavorava nel candeggio dei genitori, non aveva dimenticato – come si disse allora - di essere stato un “figlio del popolo” e il suo interesse per la formazione fu forse acuito dal fatto di aver lui dovuto rinunciare a completare i suoi studi.

Antonio Bernocchi coinvolge così Egidio Assi, docente di italiano e storia presso il collegio Silvio Pellico, nonché insegnante presso la scuola tecnica comunale. Al professore viene affidato l’incarico di elaborare il progetto: l’intento è quello di fornire una formazione anche a chi non ha i mezzi per proseguire gli studi dopo le elementari, nella convinzione che le masse operaie necessitino di istruzione, anche per affrontare l’influsso di ideologie che in quella fase storica potevano facilmente attrarre i lavoratori italiani. Soprattutto, con la nuova scuola, si persegue un fine non meramente localistico: addestrare meglio le maestranze perché le industrie italiane possano reggere il confronto con la concorrenza, possano combattere ad armi pari in quella che sempre il professor Assi chiama la “accanitissima lotta per la conquista dei mercati” che si scatenerà nel dopoguerra. A tali ambiziosi scopi deve quindi corrispondere un progetto che ne sia all’altezza: non una delle “solite scuole di disegno”- si legge nei documenti fondativi - ma una vera e propria scuola professionale di I° grado, con fini e programmi ben determinati; diurna per i più giovani e serale per gli operai che devono specializzarsi.

Così, l’appello dell’imprenditore e del professore non cade nel vuoto, viene anzi accolto dagli industriali legnanesi che si riuniscono nell’estate del 1918 per far nascere un apposito Comitato e dare inizio ad una sottoscrizione di fondi. I contributi vengono oltre che dalla famiglia del fondatore dalle aziende cittadine: la Ditta Fabio Vignati, i cotonifici F.lli Dell’Acqua e Cantoni, la Ditta Giulini & Ratti e molte altre. Un anno dopo, il 16 ottobre del 1919 la scuola apre i battenti nella sue sede provvisoria, ovvero in locali presi in affitto nel Palazzo Cornaggia in quella che era un tempo la piazza Carroccio, più nota come piasö di püi (piazzetta dei polli), oggi piazzetta Assi. La direzione viene affidata al professor Giovanni Strobino, docente di chiara fama, autore di numerose pubblicazioni, esperto nel settore della tessitura meccanica e già insegnante di tecnologia tessile in un Regio Istituto di Biella. Le lezioni cominciano con un numero di iscritti che supera ogni ottimistica previsione: sono 281 gli allievi, suddivisi nei corsi per Avviamento e Maestranze. I corsi sono organizzati in tre sezioni: una di I° grado, diurna, che prevede un biennio di studi di avviamento con l’aggiunta di un terzo anno a carattere di tirocinio meccanico tessile; due sezioni serali, delle quali una di perfezionamento per allievi assistenti di tessitura e una con corsi femminili di cucito e sartoria, e di economia domestica. Nel 1923 la scuola legnanese viene giudicata “ottima” e prima tra 45 scuole lombarde ispezionate. Antonio Bernocchi ne è entusiasta e scrive al Comune: vuole mantenere la promessa di dare una sede degna alla scuola, così mette a disposizione un terreno di circa 9.000 mq. dove in soli nove mesi, su progetto dell’Ing. Freguglia, l’edificio viene realizzato. Firmata la convenzione con la quale l’imprenditore dona al Comune la struttura, la scuola è inaugurata con tutti gli onori, alla presenza dell’allora Capo del Governo, Benito Mussolini, il 5 ottobre del 1924, venuto anche a portare a Legnano il diploma di “città”. Lo stesso giorno, presso lo stabilimento di Legnano, a ricordo dei 42 dipendenti morti nella prima guerra mondiale, viene scoperta una lapide - che purtroppo oggi non si può più ammirare. Alle manifestazioni di quella giornata, ci dicono le cronache – partecipano moltissimi lavoratori: “molti si sono incamminati di buon mattino – si legge in un articolo di quotidiano - hanno fatto dozzine di chilometri… il sig. Antonio si è ricordato dei suoi compagni di lavoro, offrendo 5000 cestini per la colazione”. La scuola operaia era dunque per Antonio Bernocchi un sogno che si realizzava; per la città l’inizio di un’esperienza destinata a durare ed evolvere nel tempo.

Al di là della retorica dei discorsi di circostanza che si tennero in quell’occasione, al di là delle valutazioni che si potrebbero esprimere sulla tessera ad honorem del Partito che il duce assegnò all’imprenditore, di quel giorno va ricordato un fatto, che forse più di tutti testimonia l’ampio consenso di cui godeva l’opera di Antonio Bernocchi: si tratta del dono di un album con 15.000 firme raccolte in 3 o 4 giorni per spontanea iniziativa degli operai delle Ditte di Legnano. Un segno di affetto nei confronti di un imprenditore che - accanto all’appellativo di “Sciur Antoni” – presso i suoi dipendenti si era guadagnato quello di “Pà Tugnin”, Papà Antonio.

In definitiva, Bernocchi ci appare oggi come un uomo che sapeva guardare avanti, avventurarsi in imprese incerte, con lo spirito del pioniere. Ci piace che sia ricordata soprattutto la sua capacità di intessere legami profondi con le comunità in cui si trovò a operare, ci piace il coraggio di guardare al futuro investendo sui giovani e sulla cultura: è questo il testimone che ha lasciato a noi insegnanti e comunità scolastica e che noi raccogliamo volentieri.

Gabriella Oldrini