Città di Torino Assessorato per la Cultura

martedì 9 settembre 1986, ore 21 Teatro Carignano

"La gatta inglese" (The English Cat) Fondata nel 1974, la Junge Deutsche Philharmonie è composta da giovani scelti tra i migliori studenti delle scuole superiori di musica della Germania Federale. La formazione dell'Orchestra da camera è avvenuta nel 1980. Ne fanno parte venticinque archi, i quali ese- guono un repertorio che spazia dal barocco alla musica contempo- ranea. Così come il complesso più grande, anche l'orchestra da camera si gestisce autonomamente, senza un direttore artistico sta- bile e senza sovvenzioni statali. La scelta del metodo di lavoro, dei programmi da eseguire, dei solisti e dei direttori ospiti viene effet- tuata collettivamente da tutti i suoi membri. Vanta partecipazioni a vari festival e manifestazioni, tra cui la presenza al Festival Bee- thoven di Bonn e l'esibizione, a New York, in occasione del decen- nale dell'adesione della Germania Federale alle Nazioni Unite.

David Shallon è nato a Tel Aviv nel 1950. Ha studiato violino, vio- la, corno, composizione e direzione d'orchestra perfezionandosi a Vienna con Hans Swarowsky. Dopo aver debuttato con l'Orchestra Filarmonica Israeliana, nel 1979 ha diretto il "Fidelio" a Vienna con i Wiener Philharmoniker. L'an- no successivo ha collaborato con Isaac Stern e con le più prestigio- se orchestre americane. È stato assistente di Léonard Bernstein e ha sostituito Rafael Kube- lik in numerose occasioni. Ha diretto la prima esecuzione mondiale dell' di Gottfried von Einen "Jesu Hochzeit" al Festival di Vienna nel 1980. Recentemente ha compiuto una tournée in Giappone con l'Orche- stra d'Israele e ha diretto la New York Philharmonic. La gatta inglese (The English Cat)

Storia per voci e strumenti di Edward Bond

Musica di

Regia di Ian Strasfogel

Personaggi ed interpreti: Lord Puff Neil Jenkins Arnold Richard Crist Jones Matthew Best Tom Alan Cemore Peter Jliliali Pike Minette Susan Roberts Babette Cynthia Buchan Louise Anne Dawson Miss Crisp Rosemary Hardy Mrs Gomfit Tracey Chadwell Lady Toodle Amerai Gunson Mr. Plunkett Stephen Richardson

Orchestra da Camera della Junge Deutsche Philharmonie

David Shallon, direttore

Scenografie: Hans Hoffer

Costumi: Joachim Herzog

Direzione tecnica: Roland Karatesk La gatta inglese (The English Cat)

Dalla sua prima rappresentazione, nel giugno dell'83, La Gat- ta inglese ha avuto in media due allestimenti l'anno, segno del favore che questa — come altre opere di Hans Werner Henze — "storia per cantanti e strumenti" gode nel mon- do, spesso passatista, dell'opera. Protagonisti ne sono un gruppo di gatti, più un topo, un cane, una pecora, una vol- pe, alcuni volatili. Nella "Volpe Astuta" di Janacek gli ani- mali convivono con gli uomini, non si contano in altre opere i volatili di vari generi — galli, usignoli, cigni — ma un'ope- ra esclusivamente popolata di animali è sicuramente, in un secolo poco fiabesco come il nostro, un unicum. È stato for- se questo ad attrarre irresistibilmente Henze verso questo rac- conto di Balzac, che il compositore vide rappresentare nel '76, in una messa in scena del TSE argentino, per la riduzio- ne della Serrault. Potrebbe a prima vista passare per una mo- rality abbastanza comune, addurre agli animali dei comportamenti umani per metterne in sarcastica luce le mi- serie (umane), ma in realtà siamo nel regno della maschera- ta, dell'affabulazione senza un fine di convincimento moral-sociale. Quale può infatti essere la morale legata a que- sta vicenda? La grottesca distorsione dei gatti inciviliti, che proteggono i topi più dei loro simili, è ipocrita depravazione ed è miglio- re la felice naturalità felina; ma non è quello di 'gatto man- gia topo' lo stesso principio che accetta fatalisticamente la morte del più debole, e contro cui si ergono i nostri migliori principi? Allora: la falsa bontà appagata di se stessa dovrebbe diventare autentica morale, ma da chi può qui venire una tal radicale critica? Non certo dall'obbediente compostezza, per quanto inquieta, di Minette, e nemmeno dalla gagliarda ba- nalità del simpatico Tom, ben contento peraltro di essere con la sua eredità ascritto al mondo degli aristocratici, tanto da poter tranquillamente superare la morte dell'amata Minette sostituendola con la sorella. Ed è per questo che al dramma- tico rivolgimento del finale (nell'originale balzachiano non era prevista la morte della protagonista) non corrisponde al- cun mutamento del materiale musicale. Il librettista, Edward Bond, costruisce una surreale commedia di costumi alla Mo- lière in cui più che una morale esiste un popolare buonsen- so; Henze vi consente, avendo scelto con entusiasmo questo soggetto, anche se vi mancano le grandi figure così care alla sua personale etica e al suo impegno. Come Molière fa, delle sue intuizioni e visioni del mondo, Teatro e non letteratura, Henze fa di questa storia, che l'ha affascinato, Musica, facendoci appassionare senza intenzioni alla complicata vicenda, ancora più disimpegnata del Gio- vane Lord, l'altra opera buffa del '65 in cui ferinamente com- pare una scimmia. C'è da chiedersi, qui come là, se l'allegria non abbia qualcosa di più malvagio e triste della malinconia di altre opere; sta di fatto che — dopo Ho Chi Min e Don Chisciotte, Eliogabalo e Bassaridi, Cuba e il Cimarron — Henze circoscrive il proprio impegno e rigore alla musica. All'inizio della lunga genesi de La gatta inglese, Henze scri- ve nel proprio diario di lavoro di essere interessato ai "rap- porti sonori tradizionali (...) dalla cui base di intellegibilità si sviluppi una vita strumentale di grande originalità che è, come tutta la buona musica, ordinata in modo chiaro (...) come un tutto conchiuso. " La consequenziale articolazione della vicenda febbrile e dell'altrettanto febbrile svolgersi mu- sicale si articola in nodi, in riferimenti chiari e logici per l'a- scoltatore: per esempio la caratterizzazione dei personaggi per mezzo di timbri strumentali e di intervalli melodici; le raffinate strutture di variazione che sono inarrivabili all'a- scolto — ed Henze ne è ben conscio — ma creano comun- que una rete di relazioni che inconsciamente orienta l'ascoltatore. Buona parte della musica nasce come variazione della rabbiosa e malvagia Canzonacela di Arnold (identifi- cato dall'inizio come "Il Cattivo"); il riferimento formale (ma anche testuale: si veda la citazione nel primo interludio strumentale) è alle "Variazioni Diabelli"; Henze è interes- sato alla variazione architettonica e scarnificante di Beetho- ven, senza dimenticare l'itinerarip "minimale" e successivo di Brahms. È interessante vedere in questa prospettiva come Henze usi la tonalità: che è, per esempio, legata al disegno più immediato e infantile di Minette. Ma appena il perso- naggio ha una espressione più completa e personale (nell'a- ria sul tetto) la tonalità è arricchita da sovrapposizioni e dissonanze; c'è chi come Louise non raggiunge mai questo spessore. Il canto di Tom è per lo più tonale, ma il suo am- biente strumentale non lo è mai; Puff ha una tonalità cor- rotta, ma nel suo momento più umano (dialogo con Minette alla fine della quarta scena) il suo timbro chiave, l'organo, si scontra con le franche dissonanze di flauto e fagotto. La tonalità serve anche all'autore per dipingere una qual riso- lutezza, come in certi recitativi, o come riferimento di fondo per una più ricca costruzione musicale, magari nella sovrap- posizione di più tonalità. Un altro metodo costruttivo è la serie, usata da Henze per connotare i personaggi, con inter- valli che mantengono peraltro una propria valenza espressi- va: il teso tritono per Minette, le cordiali quinte e quarte per Tom, le seconde per Arnold e così via. È singolare poi nota- re come Henze utilizzi i costrutti più "onorevoli" —• corale, valzer, canto a cappella — per fare del sarcasmo sulla retti- tudine e urbanità della deprecabile R.S.P.R. (Reale società per la protezione del topo); Henze coniuga poi il proprio magistrale artigianato con tut- to—o quasi — lo scibile musicale: dall'operetta a Mozart, da Beethoven a Kurt Weill passando volentieri per Puccini, Johann e Richard Strauss, con un riferimento particolare a Strawinsky — non solo nella ferocia di certi ritmi, ma anche per il simile stile compositivo — e a Berg, come appare già dal preludio organistico del I atto, fratello in spirito per la vocazione a sfruttare le emozioni di un passato piegando la dodecafonia alle proprie intenzioni espressive. Henze conta- mina il proprio linguaggio contemporaneo con una dichia- rata aspirazione a Rossini e una un po' meno dichiarata, ma forse più ambita, a Mozart. All'opera buffa è estranea la Parodia, e la fiabesca, surrea- le, realtà di questi personaggi, nella loro animalesca esem- plarità, usa la tipologia operistica sette-ottocentesca — il Cattivo, l'Eroe, la Protagonista — cui concorre l'organiz- zazione in numeri chiusi: arie, recitativi, duetti e così via; l'ambiguità della musica di Henze li carica di garbate dilata- zioni psicologiche. Così non è esagerata la connotazione drammatica di Minette, che si riferisce nel primo atto sem- plicemente alla verdiana Violetta, e nemmeno lo è, all'inizio del secondo atto, la sua analogia malinconica e forse pateti- ca con l'altrettanto intimo canto di Melisande dall'alto della torre. La dilatazione dello spessore drammatico ha spazio negli in- terludi strumentali che, tranne il primo, sono come parente- si di crudezza. Interessante è a proposito la Tempesta, interludio fra la IV e la V scena; in occasione di una sua ese- cuzione come brano da concerto, Henze ne scrive: "si sta ce- lebrando una messa, e (...) si consuma, non lontano da lì, nel cortile di una caserma, il supplizio dell'incredulo San Tommaso apostolo. (...) Quando nell'opera si arriverà ad ascoltare La Tempesta, il conflitto tra la società e l'incredu- lo e pio Tommaso è appena scoppiato." Ciò che sta per ac- cadere alla fine di questo interludio è la celebrazione del divorzio fra Puff e Minette,. ma più che una volgare corri- spondenza fra i due riti, vogliamo vedere, nell'immagine di Henze, accanto ad un qualsiasi rito magari in forma di mel- lifluo valzer, una Minette incredula e pia che sta entrando nella fase finale del suo progress, per riapparire come disin- cantato e sardonico fantasma a accogliere con una inedita sufficienza le trite enormità amorose di Tom. Una caratteristica comune agli interludi e alle parti strumen- tali è il serpeggiare, felino e affascinante, di sinuosi colpi di coda, di balzi leggeri, di, si direbbe, crepitare di pelo che si rizza (un'immagine quasi da "cartoon", grafica). Henze chiede poi una realizzazione scenica poco astratta, anzi realistica, probabilmente per immergere l'ascoltatore anche visivamente in un mondo straniato. La storia comincia nel salotto vittoriano di Mrs. Halifax — a Londra, intorno al 1900 — dove è in corso una riunione della R.S.P.R., "Reale società per la protezione del topo", fondata da una onorevole comunità di gatti evoluti e mora- lizzati protettori di topi. Lord Puff chiede ai membri ed amici di esprimere un parere su una gattina che Mrs. Halifax gli ha scelto per moglie, lui decrepito ma di nobile casata, a cui assicurare una discendenza. Puff, tenore dalla tessitura acu- tissima, si presenta con un edulcorato suono di organo un po' ipocrita e bigotto, suo Leitmotiv timbrico; quando Puff parla di Minette, che sta per arrivare, emergono i violini, le- gati al personaggio ingenuo e comicamente poetico della pro- tagonista. I primi scettici interventi dei membri della R.S.P.R. hanno l'ineluttabilità della buona reputazione, sanciti da un intervallo di settima minore discendente; in mezzo a tanta buffa e falsa urbanità ribollono i livori di Arnold, nipote di Puff che, oppresso dai debiti, vede svanire la sua speranza di ereditare. La sua Canzonaccia (Gassenhauer) è quasi il contraltare delle pietistiche identificazioni della società, e diventerà materia- le musicale fondamentale della sostanziale malvagità della vicenda; strumento di Arnold è il sinistro ( baritono). Alla canzonaccia segue una Preghiera collettiva della R.S.P.R. per l'amico Puff; inizia con un pianoforte — as- surto a simbolo della congrega — e la preghiera si trasforma ben presto in una sgangherata polka in cui inutilmente l'or- gano cerca di sbrogliare l'intonazione. Entra Babette, non Minette, ed è la sorella, introdotta dagli affettuosi timbri di viole e oboe; ha preceduto la sorella per assicurarsi di avere a che fare con persone rispettabili, e un simile dubbio scate- na le ire della rispettabilissima società. Mentre Babette va a prendere la timida sorella, Arnold espande con vivaci accenti nel genere buffo il suo disappunto per la piega delle cose, interpuntati dagli interventi di buone maniere degli astanti (dove si devono mettere? chi fra le signore deve introdurre Minette? la più giovane? la più nobile? quasi ci è più simpa- tico il malvagio Arnold). All'entrata di Minette un accordo stupito e ammirato (do maggiore su un accordo tenuto di re- minore) esprime l'emozione alla sua bellezza. Minette, co- me un fiore, dichiara di non aver mai visto tanta gente così, ma non ne ha paura perché prima di partire il parroco l'ha istruita sui pericoli e sull'aiuto che immancabilmente il Si- gnoreMà se lo si prega. La sua prima Cavatina viene intro- dotta dalla cetra, timbro a lei legato che, con una semplice melodia che sembra di uccellini, introduce un canto grazio- so e tenero da educanda; alla fine, commossa sembra dalle proprie stesse parole, Minette intona senza accompagnamento le 12 note che costituiscono la sua serie. Babette è visibilmente indignata dalla storia della protezione dei topi, che in cam- pagna vengono naturalmente cacciati e mangiati. Per argo- mentazione viene esibita l'orfanella Louise, il topo adottato dalla R.S.P.R. dopo che la sua innumere famiglia è stata di- vorata da un gattaccio. Il semplice e ironicamente sciocco Làndler di Louise raccon- ta come il gattaccio che la stava mangiando fosse stato fer- mato da una voce dall'alto dagli accenti nobili su parsifaliani tremoli dei violini (probabilmente una qualche Mrs. Halifax, rappresentante di Dio sulla terra per codesti gatti e topi). Se- gue un concertato paradossalmente concitato; non si tratta di un coro: tutti hanno un qualche movente personale. Ar- nold accusa lividamente quella gatta divoratrice e strega, Ba- bette è certa che ci sia qualcosa di malato e sinistro in questi gatti altruisti, Minette invoca la mano del Signore, Puff — dopo aver dichiarato che sposerà Minette per salvarla (ma soprattutto per diventare presidente della R.S.P.R.) — si è addormentato e la benemerita società canta del diavolo sem- pre in agguato: non c'è ormai dubbio da che parte si sia schie- rato il compositore. Un breve interludio strumentale, un valzerone di corni, riprende il clima armonico della canzo- nacela di Arnold con il tema di valzer della R.S.P.R. e il te- ma di Minette ai violini. Ci conduce sui tetti dove Minette è scappata nel trambusto generale, da vera gatta quale an- cora è. Cosa vi si sente, se non i canti dei gatti in amore? La Serenata inizia omofona, in una luce lunare che redime il mondo della sgangherata musica R.S.P.R.; non c'è però lussuria in questo scintillante mondo notturno, le voci si di- sperdono a canone sui tetti con interventi strumentali da ada- gio veneziano (e sono i bassi come un continuo). Qualcosa sta per succedere, entrano difatti Tom e Peter, ve- ri gatti da tetti, nobili nella loro naturalità; la loro goliardi- ca marcia è accompagnata da vivaci interventi dei clarinetti, strumenti di Tom. Minette è estasiata, ma redarguisce come una brava scolaretta quei gatti che passano sul privato tetto di Mrs. Halifax. Quando escono, si lascia andare ad un'a- ria, la cui breve introduzione orchestrale, con la tromba, e la sezione centrale contengono i segni dei contrastanti senti- menti della gattina di campagna di fronte alla complessità del mondo. Si apre una comprensione nuova di Minette, del contrasto fra l'insegnamento impartitole e la sua fresca sen- sibilità. Tom ritorna, Minette dichiara subito di non voler comprare enciclopedie, né iscriversi a partiti politici o essere convertita, ma Tom le si presenta e le racconta in un tono da vaudeville un sogno inverosimile, una cavatina che ci di- ce che Tom è uno che se la spassa. Nel sogno una gatta-angelo di nome Minette lo salvava da morte, lui conclude dichia- randole il suo amore, Minette è felice. Il duetto che precede la dichiarazione presenta i personaggi quasi straniati da se stessi: Minette con la sua concezione del mondo da romanzo rosa è inquieta (e poi il parroco le ha raccomandato di non toccare nessuno, nemmeno se stessa, e Tom vuole farle sen- tire la sua febbre); Tom ha davanti a sé un interrogativo uma- namente lacerante: "Perché la bellezza risveglia il desiderio?". Il tenero colloquio è interrotto da quel malva- gio di Arnold che freme di gioia alla prospettiva di uno scan- dalo, per lui verosimilmente risolutorio. Minette sa che il suo matrimonio con Lord Puff è "inappropriato", ma in un Ron- dò di delirio religioso cerca di convincere Tom (inverosimile Carmen) a convertirsi alla R.S.P.R., per regalare questa sua conquista allo sposo. Tom inorridito scappa, e sulle accora- te invocazioni di Minette si apre, luminoso e notturno, il canto felice delle stelle, su un'armonia color di miele di celesta, ar- pa, cinese. L'intervento della luna vi instilla qualcosa di malinconico; il coro dei pianeti è stupendo, anche quan- do l'iniziale tepida intimità si scolora in una fredda tristezza di gelidi rintocchi. Minette, allo spasmo di una malinconica tensione, fa echeggiare i suoi richiami su tutta la città, ma Tom è scomparso. Un collage sinfonico ci conduce alla terza scena, con una tromba che sembra presentarci a fondo la scapigliatura di Tom; fra l'altro si sente qui la serie di Tom, derivata per ri- volto (non testuale) dalla serie di Minette. Insieme a mate- riale dalla seconda scena sentiamo in questo interludio tumulti e sussurri (veicolati anche da una sezione aleatoria) che dan- no libera espressione al desiderio felino. Il clima lunare di- venta incandescente, l'alternanza di stati emotivi ci porta un po' in un prolungamento di sogno del clima di poco fa: qual- cosa è successo nella composta vita di Minette e in quella ran- dagia di Tom. La terza scena è la celebrazione del matrimonio di Puff e Mi- nette. Arnold vi introduce il suo amico — ma soprattutto cre- ditore — Jones, privo di scrupoli e individuato dal perfido timbro del clarinetto contrabbasso come appartenente al co- rotto mondo R.S.P.R.. Jones si spaccia per medico e cerca di convincere Puff che il matrimonio gli sarebbe fatale; Puff non gli dà credito (vuole assolutamente diventare presidente) e allora, con il consen- so di quel depravato di Arnold, Jones gli offre una medici- na letale. Nel frattempo sono entrati il parroco e il suo aiutante (che altri non è in realtà che Tom sotto mentite spo- glie); al loro ingresso insieme a Mr. Plunkett i tre esordisco- no con un corale pseudo-religioso, in cui un'eco della canzonacela di Arnold instilla il falso; l'andamento obbli- gato si deteriora presto in un valzeraccio che avrebbe potuto uscire dalla penna di Johann Strauss un po' brillo. La "me- dicina" di Jones è a base di brandy e, salvezza di Puff, Mr. Plunkett e il parroco, nella secca generale indignazione per tale alcolico vizio, sottraggono il flacone dalle mani di Puff per scaraventarlo fuori della finestra. Entrano le dame della sposa, ingresso in tutto simile al precedente del parroco e soci, e Arnold tenta la sua ultima carta: l'incontro notturno sui tetti di Minette con Tom. All'acido e in fondo soddisfatto stupore degli astanti si con- trappone il candore di Minette, che prorompe — e siamo al- la fine del I atto — in un accorato canto, esprimendo in lunghe frasi dalla spasmodica tessitura la sua delusione per un mondo in cui "è persa l'innocenza". Dai recitativi della prima parte della scena si sfocia in un teso crescendo rossi- niano a più voci in cui Tom si rivela a Minette, Arnold si sfrega le zampe, Jones si congratula per il suo successo, Ba- bette si intenerisce e gli astanti inveiscono inveleniti contro Minette. Ma il matrimonio, per scelta di Puff, infine si fa; all'attimo di composta celebrazione del parroco-pecora se- gue una stretta in cui Minette si vota all'obbedienza e al sa- crificio, Tom invoca la morte e impreca contro il fato, Babette rievoca i trepidi e defunti sogni di gattine adolescenti, la R.S.P.R. intona un couplet di celebrazione, interviene an- che Louise. Vi domina la voce di Minette, su un duro fondo orchestrale nient'affatto romantico dal basso ostinato e dai lacerti di già sentito. Nel secondo atto — brevemente preludiato con riferimenti alla toccante aria sui tetti di Minette — troviamo la nostra eroina alle prese con lo studio del violoncello, con cui fa una misera figura confronto all'elegante solo di violoncello in or- chestra. La Canzona che intona è la sua aria più elaborata e commovente, estesa e ricca di colorature, con addirittura una citazione bachiana da un'aria della «Passione secondo Matteo». Su una schiarita timbrica entra Babette, che ha sen- tito dell'infelicità della sorella; questa le risponde con un pic- cato moto d'orgoglio di avere l'onore di essere moglie del presidente e di tenere un salotto mondano, ma ammette di rimpiangere la semplice vita di campagna. Babette le annunzia che tutto è drammaticamente cambiato: sono ora in mise- ria; il duetto — delle miserie umane — in un torbido mi mi- nore, contiene citazioni dalle passate arie di Minette ed è irrigidito su accordi di viole e violini. Babette se ne va con un po' di soldi regalatile dalla sorella e, nella desolazione di Minette, che non riesce più a riposare ossessionata dal ricor- do di Tom, si sente proprio la sua maschia voce dai toni eroici e dalle modulazioni raffinate, in un suadente ritmo di sici- liana accompagnato dai clarinetti che ne ricordano la bal- danza sui tetti. Minette è turbatissima, crede ad una allucinazione, ma infine Tom entra davvero, dalla finestra in un crescendo addirittura wagneriano, e le rispettive escla- mazioni ("Minette!", "Sei davvero Tom?") si aggiungono con ingenua verità all'elenco di nomi esclamati con traspor- to dagli innamorati sulle scene. Come Tom appare, Minette ritrova la sua serenità quotidiana, fatta di tappeti che si ba- gnano (Tom è zuppo di pioggia) e di tinnii della cetra, natu- ralmente in do maggiore. Apprendiamo che Tom ha disertato dal corpo in cui per disperazione si era arruolato, e con cui non ha avuto cuore di salpare per terre lontane, non poten- do vivere lontano da Minette; apprendiamo anche che Tom non ha mai avuto genitori, e nel tango del racconto un pate- tico accento non turba la gaiezza di questo momento. In un delizioso recitativo secco Minette trova il bramato segno del Cielo che le dice di amare Tom: un laccio della scarpa slac- ciato (nulla nell'abbigliamento di una signora può essere in disordine!). Segue è ovvio un duetto della promessa d'amo- re, ingenuo e poetico, assolutamente privo di ironia ma an- che infantilmente esente da passione: la melodia e il ritmo di Làndler sono di una mozartiana semplicità, quasi una pa- rentesi nel concitato succedersi degli eventi. Tom vuole im- mediatamente scappare con Minette; questa è presa da uno dei suoi deliri: Tom dovrebbe costituirsi come disertore, scon- tare e poi iniziare un'attività manifatturiera, pagare i danni a Puff — al nipote Arnold se Puff sarà già morto — e nel- l'età avanzata unirsi a lei, il tutto accompagnato da una aliena musica da rivoluzione industriale. Tom ovviamente grida NO! e le si getta ai piedi e, manco a dirlo, entra la R.S.P.R. al completo, ed è la seconda volta che l'appassionato gesto di Tom causa guai: sul tetto era comparso Arnold. Su ritmi di valzer sempre più sguaiati la serie di esclamazioni prima so- lamente ritmica si fa tematica, in una irregolarità metrica in cui Arnold è comunque interessato a sapere quanto gli sa- rebbe stato pagato e Louise, confusa, squittisce invece di mia- golare come le è stato insegnato. L'inno R.S.P.R. con il suo strumento, il pianoforte, e la canzonaccia, fonte del mate- riale musicale della disprezzabile buona società, si fondono in un ulteriore crescendo di tensione interrotto da un breve Trio di Puff, introdotto come un sipario da uno sforzando orchestrale. Puff, debole ma umano, vorrebbe perdonare Mi- nette, ma gli inviperiti interventi degli astanti lo convincono ad un più onorevole divorzio, su glissati cubisti degli archi e frullati di fiati. Forse il momento di vera umanità di Puff è il colloquio con Minette, in cui — completamente fra pa- rentesi la sua corrotta tonalità — viene rassicurato da Mi- nette che la loro vita coniugale è stata tutto sommato soddisfacente nonostante la mancanza di una certa "tendres- se"... Segue un recitativo di Minette, in cui, alla parola "hap- pyness" (felicità: quando Tom, sia pure rudemente, l'ha toccata), un evasivo e intenso accordo ricorda nuovamente il mondo di Melisande. La scena si conclude con un klagen- des Lied, un lamento di Minette quasi continuazione della Canzona dell'inizio, ma sul concertato di oboe, viole e cor- no inglese le estese arcate di frase raggiungono alla fine un certo qual drammatico eroismo, chiuso dal topos del lamen- to, le acciaccature dei legni. L'interludio fra la IV e la V scena comincia a mutare il sen- timento generale di farsa in dramma; "/' temi (...) sono stati trattati al modo di un antico ricercare" dice il compositore, ma il clima spesso e torbido, gli improvvisi allentamenti co- me mancamenti ci dicono il dramma che incombe; il gong e l'ostinato d'archi preludiano infine la V scena. Siamo in un'aula di tribunale, con una giuria di oche e volatili; inter- rotto lo starnazzare dal contrabbasso concertante e dal giu- dice inizia il processo di divorzio, su recitativi quasi ariosi, e in uno scorrere fluido veramente teatrale si dipinge la di- vertente serie degli interventi. Il clima cambia totalmente quando Tom (che è scappato dalla prigione in cui si cercava di ucciderlo a frustate, ha imbavagliato e legato il vero av- vocato di Minette e si è sostituito a lui) si rivela a Minet-ie e le racconta le sue peripezie: la solidità della sua cavatina (che ha qualche riferimento con quella sui tetti) si scioglie in lacrime tristaniane; qui Wagner è, così ne dice Henze, una sorta di ortaggio in un minestrone. Con un moto mahleria- no di violoncelli e contrabbassi Tom si getta ai piedi di Mi- nette; naturalmente entra la giuria (che aveva fatto la pausa del té) e commenta acidamente lo spettacolo. Prosegue il di- battito, con un indubbio aumento di tensione e un uso ironi- camente burocratico della serie; Tom interroga Minette sui rapporti coniugali, sta per dimostrare la sua trionfale inno- cenza perché il matrimonio non è mai stato consumato, ma entra imbavagliato il vero avvocato; l'imbroglio è scoperto. In un concertato sempre più malvagio, dal ritmo strawinskya- no ma sempre più sconclusionato viene decretata la colpe- volezza di Minette. Colpo di scena: mentre Tom aspetta di esser imprigionato e si lamenta per la sorte avversissima, il giudice lo riconosce per il figlio disperso del defunto Lord Fairport, l'uomo (il gatto?) più ricco d'Inghilterra; accom- pagnata dal pianoforte come un Lied ottocentesco la romanza del pubblico ministero racconta il naufragio dello yacht di Fairport, in cui per salvare i topi fu dimenticato l'erede, con strazio della madre; infine tutti perirono. Tom è mortificato perché disertore e imbroglione, ma a detta dell'accusa sono tutte ragazzate, che anche papà Fairport faceva con molto spasso, per esempio di spingere le vecchiette nei tombini. Tom può pagare gli onerosissimi danni della sentenza e avere Mi- nette. Il couplet di Tom, pubblica accusa e giudice sulla prov- videnza riservata ai ricchi, inizia con un ordine mozartiano per trasformarsi in operetta, e confluisce nella Corrente. Que- sto interludio strumentale, prima della VI scena, ci dice che il dramma non è affatto risolto e, dominato dal sinistro tim- bro dell'heckelphone, sembra abbandonarsi a rumori, fre- miti; un momento di leggerezza è nella citazione di una corrente di William Byrd, ma il tragico riprende quota con un crescendo ostinato di flauti e con roventi interventi di fiati. La IV scena è lirica, anche se intessuta da ricordi dell'inquieta Corrente. Entra Babette, sente piangere la sorella dentro un sacco e viene a conoscenza del terribile destino di Minette: Mrs. Halifax ha deciso di buttarla nel Tamigi, per non ve- derla più soffrire; nessun appello è possibile perché, per non dolersi troppo, Mrs. Halifax è andata in Scozia (e qui com- prendiamo le citazioni da hornpipe sentite negli interludi pre- cedenti). 11 racconto di Minette è quasi un Wiegenlied, un canto da culla e rassegnato; nel clima di dramma or- mai consumato l'ingresso di Tom che annunzia la sua muta- ta fortuna è ancora più baldanzoso. Nel terzetto che segue, le voci a canone delle sorelle sono contrapposte alla vivacità di Tom che si è accorto della bellezza di Babette con tutto ciò che il fatto comporta. Minette cita il proprio Lamento e Tom in un candore di nuovo mozartiano, le confessa la sua nascente passione per Babette. Minette, che aspira alla bea- tificazione, benedice non senza amarezza la nuova unione, e la fine del terzetto è molto sentimentale. Sentiamo un nuo- vo duetto della promessa, di Tom e Babette, imitazione pal- lida e straniata del precedente Tom/Minette; Tom, commosso dalla grandezza d'animo di Minette, le si getta ai piedi ed entra immediatamente la R.S.P.R. Costoro si aspettano una donazione della cospicua eredità Fairport, ma Tom, riper- correndo anche musicalmente la propria storia, li delude; Puff e i suoi compari decidono — su un ad libitum delle per- cussioni, dopo aver stizzosamente zittito un intervento di Louise — di impedire che l'eredità vada in mano altrui, e concludono con un viscido corale. Minette, rimasta sola, aspetta il servo che la getterà nel fiume, e intona un breve recitativo e arioso che ha il moto irrefrenabile di un corpo che affonda.

L'ultimo interludio strumentale è quasi una funebre contra- danza irrigidita e praticamente senza melodia, per la morte di Minette, con alla fine il furioso impazzare degli accordi di pianoforte. La scena VII e ultima si apre con un largo e ribattuto accor- do orchestrale; dopo un recitativo di Tom con il notaio — da cui è andato a firmare un testamente secondo cui tutti i suoi averi andranno a Babette e non alla R.S.P.R. — c'è l'ul- tima aria di Tom, un canto eroico sottolineato dai violon- celli che celebra l'arbitrio umano contro il destino, tema sotterraneo di tutta l'opera. Lucian, il segretario chiamato a testimoniare alla firma del testamento, accoltella alle spal- le Tom con il tagliacarte; il clima musicale è orrifico. Entra la R.S.P.R., che registra il 'suicidio' di Tom e ne riscuote l'eredità, spettamele in mancanza di diverse note testamen- tarie; un ottetto è l'ultimo intervento in forma di valzer del- la ammirevole società. Un fantasmatico preludio di arpa e flauto introduce il fantasma di Minette, che risponde agli ac- centi ancora appassionati di Tom sottolineando il sapore stan- tio di tali slanci, e su cristalli strumentali i due si — e ci — lasciano. L'ultima apparizione è dell'orfanella Louise, che da topo sin- cero apprezzava in fondo più il carnivoro Tom degli altri; spaventata da ciò che i suoi protettori sono capaci di fare nella loro efferatezza, squittendo si allontana non senza aver compianto — in un clima ciaikovskiano — la morte di Tom, ed essersi ripromessa di tornare ad esser un piccolo demonio. Luciana Galliano leggere di musica

Come due anni fa a Boulez, l'anno scorso a Ligeti, anche quest'an- no Settembre Musica dedica il suo consueto omaggio ad una perso- nalità della musica contemporanea: il grande "festeggiato" è Hans Werner Henze, tra ipiù prestigiosi e stimolanti dissidenti della Nuova Musica, protagonista in questi giorni di una serie di iniziative volte a favorire la conoscenza e la comprensione della musica contempo- ranea. Alte diverse esecuzioni concertistiche, rappresentazioni e proie- zioni cinematografiche, agli incontri e contatti diretti, si affianca la lodevole proposta editoriale dell'Assessorato per la Cultura del Comune di Torino, in collaborazione con l'EDT: si tratta di un vo- lume monografico su Henze, curato da Enzo Restagno, frutto del lavoro collettivo di numerosi studiosi e musicologi (1). Oltre a que- sto prezioso strumento, menzioniamo, per completezza d'informa- zione, la raccolta di scritti del compositore disponibile in inglese (2) la nuova edizione ampliata di questi ultimi (3) e il saggio di Henze stesso sulla sua opera Die englische Katze (4). Al 1968 risale l'unica monografia, compilata da G. Klaus (5), men- tre, tra le riviste, ricordiamo almeno il numero XXXII di "Melos" (6), il XXIdi "Osterreichische Musikzeitschrift" (7) e il numero X di "Musik und Bildung" (8), interamente dedicati al compositore. In italiano leggiamo Henze nel colloquio con Pinzauti ora compre- so nel libro di quest'ultimo, più volte citato (9). Laura Cosso

(1) E. RESTAGNO, H.W. Henze, Torino, EDT 1986 (2) H.W. HENZE, Music and Politics. Collected Writings 1953-81, London, Faber & Faber 1982 (3) H.W. HENZE, Musik and Politik. Schriften und Gespràche 1955-1984, Munchen, Deutscher Taschenbuch Verlag 1984 (4) H.W. HENZE, Die englische Katze. Ein Arbeitstagebuch 1978-1982, Fankfurt a.M., Fischer, 1983 (5) G. KLAUS, Hans Werner Henze, Berlin, Rembrandt-Verlag 1968 (6) "Melos" XXXII, 1965 (7) "Osterreichische Musikzeitschrift" XXI, 1966 (8) "Musik und Bildung" X, 1978 (9) L. PINZAUTI, Musicisti d'oggi. Venti colloqui, Torino, ERI 1978

La maggior parte dei testi indicati può essere consultata presso la civica Biblioteca Musicale "Andrea Della Corte" - Villa Tesoriera - corso Francia, 192.

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