STRAGE DI PORTELLA DELLA GINESTRA 1 MAGGIO 1947 I GIORNI PRIMA DELLA STRAGE

Il 20 aprile 1947 le elezioni regionali siciliane vengono vinte dal blocco politico formato dai comunisti e dai socialisti, una vera e proprio svolta popolare. Questi partiti volevano liberare la Sicilia dai latifondisti, dalla mafia, dallo spirito separatista e indipendentista che era fortemente presente tra i siciliani, volevano una Patria democratica e soprattutto unita. IL GIORNO DELLA STRAGE

Il Primo Maggio del 1947, a Portella, la Festa del Lavoro venne vissuta dai lavoratori con un entusiasmo diverso. C’era da festeggiare la fine della guerra, la vittoria alle regionali del blocco popolare e il ripristino della festa dopo gli anni del fascismo, il tutto in un clima dove si ritornava a respirare finalmente aria di libertà. Tutto sembrava andare per il meglio fino a quando si udirono dei botti. Quei colpi inizialmente furono scambiati dai contadini come botti di festa, ma in pochi attimi distrussero innanzitutto vite, ma anche sogni. Giuliano e gli altri banditi avevano sparato colpi di mitra sulla folla provocando 11 morti e 27 feriti. La Strage di Portella della Ginestra è la prima strage dell’epoca Repubblicana. La prima strage di Stato. Un atto così vile contro gente così indifesa, è qualcosa di troppo doloroso da descrivere anche dopo più di settant’anni.

LE INDAGINI

Perché Salvatore Giuliano commise quella strage? E per ordine di chi? Sono queste le domande alle quali ancora oggi non sappiamo rispondere, o meglio, c’è una sentenza definitiva che condanna la banda Giuliano come mandante e come esecutrice della strage, ma è una sentenza che non convince del tutto. Dietro a quel giudizio sembra nascondersi una verità diversa. Sono troppi gli aspetti che ancora oggi restano offuscati. , all’epoca Ministro dell’Interno, dopo la strage tentò di minimizzare la portata dell’evento, definendolo come un mero atto banditesco e criminale, slegato da legami politici. Più un evento viene ridimensionato e più la gente dimentica in fretta, smette di farsi domande, e sembrava proprio questo l’intento politico di Scelba. Per capire le motivazioni della strage bisogna ricercare e capire i problemi, le tensioni sociali che la Sicilia viveva in quel tempo. LE DICHIARAZIONI

Data la situazione politico-sociale dell’epoca e visti gli interessi che i contadini andavano a ledere con le loro battaglie, una strage poteva sembrare in quel contesto un modo facile ed efficace per zittire quelle voci. Ma quella strage, addossata poi alla banda Giuliano nella sua completezza, sarebbe servita anche a spaventare chi guardava al “blocco rosso”. Sarebbe servita, in altre parole, a far tornare tutto come prima, mirando a quell’equilibrio sociale tanto caro. Oggi di quella Strage troppo poco ricordata rimane dolore, indignazione e una verità ancora troppo offuscata. C’erano così tanti interessi in gioco: i latifondisti, i mafiosi, la politica. Troppo spesso le tragedie in questo Paese finiscono per diventare retorica alla mafia e alla politica.

L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO

«Ci eravamo dati appuntamento per festeggiare il Primo maggio ma anche l’avanzata della sinistra all’ultima tornata elettorale e per manifestare contro il latifondismo. Non era neanche arrivato l’oratore quando sentimmo degli spari», racconta più di settant’anni dopo ancora commosso Serafino Petta, l’ultimo sopravvissuto alla strage. «Avevo 16 anni, pensavo che fossero i petardi della festa, ma alla seconda raffica ho capito. Ho cominciato a cercare mio padre, non l’ho trovato. Quello che ho visto sono i corpi distesi per terra. I primi due erano di donne: la prima morta, sua figlia incinta ferita. Questa scena ce l’ho ancora oggi negli occhi, non la posso dimenticare». L’ULTIMO SOPRAVVISSUTO

A sparare fu la banda di Salvatore Giuliano. «I mandanti non si conoscono ancora ma ad armare la sua mano furono la mafia, i politici e i grandi feudatari», spiega. «Volevano farci abbassare la testa perché lottavamo contro un sistema in cui poche persone possedevano migliaia di ettari di terra e vi facevano pascolare le pecore, mentre i contadini facevano la fame. Un mese dopo successe però una cosa importante: «Tornammo qua a commemorare i morti senza paura, “Non ci fermerete”, gridavamo tutti e non ci hanno fermati. Abbiamo cominciato la lotta per la riforma agraria e nel ‘52 abbiamo ottenuto 150 assegnatari di piccoli lotti. Ma neanche loro si sono fermati, e a giugno bruciarono sedi di Cgil e partito comunista, poi nel mirino finirono anche i sindacalisti».