LE TEMPESTE 9 Copyright © 2011 A.SE.FI. Editoriale Srl - Via dell’Aprica, 8 - Milano www.tsunamiedizioni.com

Prima edizione Tsunami Edizioni, dicembre 2011 - Le Tempeste 9 Tsunami Edizioni è un marchio registrato di A.SE.FI. Editoriale Srl

La foto di copertina è di Charles Peterson (, Central Tavern, , estate 1988)

Progetto grafico e copertina: Eugenio Monti

Finito di stampare nel novembre 2011 da GESP - Città di Castello PG

ISBN: 978-88-96131-36-7 Tutti i diritti riservati. È vietata la riproduzione, anche parziale, in qualsiasi formato senza l’autorizzazione scritta dell’Editore.

La presente opera di saggistica è pubblicata con lo scopo di rappresentare un’analisi critica, rivolta alla promozione di autori ed opere di ingegno, che si avvale del diritto di citazione. Per- tanto tutte le immagini e i testi sono riprodotti con finalità scientifiche, ovvero di illustrazione, argomentazione e supporto delle tesi sostenute dall’autore. Nell’impossibilità di risalire agli aventi diritto delle fotografie pubblicate, l’Editore si dichiara disponibile a sanare ogni eventuale controversia. Claudio Todesco IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE INDICE

DA QUESTA PARTE DI SKID ROAD...... 9 Dove l’autore cala la musica grunge nel reticolo delle strade di Seattle per scoprirne le radici più autentiche TEMPI DISPERATI...... 21 Dove viene presentato il desolante panorama culturale della città e si tende l’orecchio ai primi suoni del Nordovest ANNO ZERO...... 37 Dove si racconta la genesi della compilation da cui nasce il grunge. Ovviamente chi la produce cade subito in disgrazia IL CHITARRISTA CHE FUGGÌ DA SEATTLE...... 55 Dove scappa dalla città e suo malgrado ne diventa il simbolo. Oggi fa la guardia a una società che produce muzak LA NUOVA MOTOWN...... 69 Dove due discografici (e un fotografo) trasformano la cultura popolare locale in uno stile musicale rumoroso TOCCAMI, SONO MALATO...... 85 Dove nasce e prolifera un miscuglio di garage rock, birra, punk, ironia, cinismo e chitarre mal registrate IL CASTELLO DI SEA-TAC...... 103 Dove alla fine degli anni ’50 un deejay fonda un circuito di sale da ballo. Lì prolifera una nuova razza di rock‘n’roller MELROSE AVENUE...... 127 Dove s’incontrano i destini di due amici fragili. Uno diventa rock star, l’altro muore per overdose LA CITTÀ DEI PERDENTI...... 149 Dove nasce l’antieroe del grunge, tra rocker perseguitati dalla sfiga e freak provenienti dalla parte arida dello Stato RAGAZZE RIBELLI...... 165 Dove un omicidio a sfondo sessuale sconvolge la città. A Olympia la rivoluzione avanza ancheggiando LAMESTAIN!...... 181 Dove il grunge diventa moda globale. La città contempla, sbalordita VITALOGIA...... 197 Dove le storie dei due gruppi più popolari s’intrecciano con quella della città UNA BOTOLA NEL SOLE...... 219 Dove la storia giunge alla tragica conclusione. Un suicidio e una morte terribile scoprono il lato oscuro della città SEATTLE DOT COM...... 237 Dove il rock convive con la rivoluzione informatica. La città pensa in grande RINGRAZIAMENTI...... 255 ANNO ZERO Dove si racconta la genesi della compilation da cui nasce il grunge. Ovviamente chi la produce cade subito in disgrazia

«La gente mi diceva: li hai sentiti, Kim? Adesso i suonano in modo mostruosamente lento» Kim Thayil

Il ragazzo sembra uscito da un film di Tim Burton. Ha 20 anni, ma dice di averne 15. Sarà alto due metri. Persino le enormi Converse che calza gli sono strette. Le indossa perciò slacciate, mentre spinge una cas- sa con la strumentazione di una band di amici suoi chiamata Melvins. È una delle prime volte che il gruppo entra in sala d’incisione e lui, che gli gira attorno da un paio d’anni, è felice di dare una mano. Perciò spinge la cassa, e traballa, inciampa, ricomincia daccapo. E di nuovo si sbilan- cia, s’inarca sbuffando, arranca nelle scarpe che sembrano sul punto di stropicciarsi sotto i suoi piedi. Lo guarda un tizio di nome Chris Hanzsek. È stato lui a invitare i Melvins a incidere nel suo studio e adesso osserva la scena tra il diver- tito e lo spaventato. La sala d’incisione non è coperta da assicurazione e se il ragazzo casca, si fa male. Se si fa male, potrebbe far loro causa. In quel momento s’avvicina il cantante dei Melvins, un tipo con una capi- gliatura afro enorme e disordinata, un fumetto di Matt Groening fatto e finito. Col sorrisetto di chi la sa lunga indica il gigante: «È un bravo ragazzo, sai?, e ha una band tutta sua». Chris lo guarda con aria beffarda: «Davvero? Che prima impari ad allacciarsi le scarpe». Hanzsek non immagina che nel giro di qualche anno il ragazzo dalle Converse enormi, che di nome fa Krist Novoselic, diventerà il bassista del gruppo rock più famoso al mondo. Né può prevedere che l’incisione che ha organizzato – intitolata Deep Six, realizzata coi soldi della fidan- zata e presto dimenticata persino dai musicisti che l’hanno effettuata – sarà considerata l’alba di una nuova era della musica rock locale. www.tsunamiedizioni.com 37 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE

Chris Hanzsek aveva traslocato a Seattle nel 1983, attratto dai ma- gnifi ci scenari naturali. Sapeva che, rispetto ad altre metropoli america- ne, la città era musicalmente sottosviluppata e proprio per questo moti- vo la riteneva un terreno fertile per un aspirante produttore in cerca di più opportunità e meno competizione. Nato nella Pennsylvania sudorientale, Hanzsek aveva iniziato a in- teressarsi di musica al Penn State College dove aveva studiato teatro e lavorato come disc jockey volontario presso la stazione radiofonica WDFM. Fiorite negli anni ’70 come piccole stazioni da 10 watt e dif- fuse nelle principali città americane, le radio dei college erano al pari delle fanzine lo strumento col quale i ragazzi esprimevano un’identità antagonista alla cultura popolare dominante. Le piccole emittenti era- no il lasciapassare per un mondo di minuscole etichette discografi che, gruppi sperimentali, idee alternative, giornaletti ciclostilati. Avendo un’identità marcatamente geografi ca, le radio erano anche il veicolo per la diff usione dei nuovi gruppi locali che non trovavano esposizione presso mass media più importanti. Al Penn State, Hanzsek trasmetteva dischi punk-rock e new wave in un programma chiamato Too Much Too Soon, dal titolo di una canzone dei New York Dolls. Era il 1980. «I tipi del college» racconta Hanzsek «nutrivano un senso di superiorità rispetto al punk. Io e la mia ragazza ce ne andammo dal Penn State e ci trasferimmo a Boston con la speranza di essere maggiormente coin- volti nella cultura urbana. Poi un amico che stava a Seattle mi chiamò: vieni a vivere qui, disse, ti piacerà. Aveva ragione. Il mare, i laghi, le montagne, il verde: questo è un gran posto dove cercare ispirazione per produrre arte». Hanzsek è garbato, terribilmente sveglio, dotato d’un gran senso dell’umorismo. Lo raggiungo nella casa dove ha da poco trasferito le sue apparecchiature, a una quarantina di minuti a nord di Seattle. Non ripensa ai giorni del grunge con nostalgia, ma nemmeno con l’ama- rezza che t’aspetteresti da un uomo che ha vissuto un periodo cruciale nella storia della musica cittadina ed è stato dimenticato. Racconta che quando arrivò a Seattle aveva 26 anni e si sentiva troppo vecchio per quella musica selvaggia e rumorosa. L’età, l’intelligenza acuta e la di- stanza dagli eventi lo rendono un testimone prezioso. È uno dei pochi protagonisti della scena in grado di astrarsi dalla pura cronaca degli eventi per azzardare analisi più vaste. Ama profondamente i paesaggi 38 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO del Nordovest e, appena può, va a fare trekking. Ha scalato la montagna più alta di quassù, il Rainier che coi suoi 4.392 metri è «the mountain», la montagna per eccellenza per i Seattleite. «The mountain’s out», di- cono nelle giornate in cui il cielo è sgombro dalle nuvole e il profilo imponente del Rainier fa da sfondo alla città. Sul tavolo della cucina Chris ha apparecchiato un tè e qualche re- perto d’epoca: il primissimo EP dei Melvins, qualche 45 giri, la copia in vinile della compilation Deep Six. Racconta: «Prima che mi ci tra- sferissi, qualcuno mi disse: odierai Seattle, è un’enorme risacca, non c’è niente, è il vuoto, è buia, non accade mai nulla. Andandoci, sparirai dalla faccia della terra». Sorprendentemente, accadde il contrario. Il 1° gennaio 1984 Hanzsek coronò il sogno di aprire uno studio di registra- zione, il Reciprocal Recording al 3401 della Diciassettesima Avenue W, nella zona di Interbay. «Registrai qualunque musicista bussasse alla porta attratto dal fatto che effettuavo incisioni per soli 10 dollari l’ora. Fu così che incontrai gli artisti più poveri e creativi del pianeta». In quel periodo Hanzsek s’imbatté in un gruppo musicale piutto- sto bizzarro, una miscela apparentemente mal assortita di hard rock e garage punk, i Green River. «Vennero il terzo o il quarto mese che eravamo aperti. Li registrai subito dopo gli Accüsed e un paio d’altri gruppi. Li trovavo divertenti, ma essendo un purista non ne approvavo la miscela di punk e metal. In fin dei conti provenivo da Boston, che era come New York in versione psichedelica: essendo un luogo pieno di college, le band erano molto intellettuali e new wave. Alcune ave- vano una tastiera, una o due cantanti di sesso femminile, un suono trendy. Indossavano vestiti di scena e teatralizzavano le performance, per quanto in modo acerbo e a volte ridicolo. Altri gruppi di Boston erano politicizzati. Era un altro mondo. Arrivai nel Nordovest e trovai ragazzi che ancora ascoltavano Kiss e Aerosmith. Non potevo crederci. Sentivo molta imitazione in quel che facevano. Avrei voluto spingerli in direzione art rock». La lontananza geografica e culturale dai poli dell’elaborazione musi- cale e intellettuale aveva lasciato Seattle nelle retrovie, alle prese con una forma di rock rudimentale e primitiva, ma in definitiva meno artefatta di quella che stava prendendo piede nelle grandi città americane. Agli occhi di Hanzsek, e di chiunque si fosse trasferito a Seattle all’inizio degli anni ’80, non si trattava di un vantaggio per la scena locale, ma di un handicap. Prima di recuperare il livello di elaborazione intellettuale, di sensibilità politica e di coscienza artistica raggiunto dai musicisti di altre città ci sarebbero probabilmente voluti anni. Che cosa si poteva www.tsunamiedizioni.com 39 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE creare in un tale contesto? Era impossibile prevedere che, attraverso quei suoni imitativi, sgraziati e naïf, i gruppi locali stavano ponendo le basi per un ritorno allo spirito primigenio del rock. Agli occhi di Hanzsek era evidente un altro fatto: all’interno dei Green River si contrapponevano due fazioni. Da una parte c’erano e , interessati al lato ludico dell’esperienza, dall’altra Stone Gossard e Jeff Ament, che avrebbero voluto trasformare la band in un’occupazione a tempo pieno. La divisione si rifletteva nella musica, che univa il garage rock selvaggio degli Stooges e l’hard rock volgare degli Aerosmith in maniera ora naturale, ora forzata. Quell’unione, che allora doveva sembrare bizzarra e contro natura, si sarebbe rivelata in prospettiva foriera di sviluppi di enorme portata.1 A differenza di altre band come i Melvins che sembravano prendere la musica hard molto seriamente, i Green River avevano iniziato caricando d’ironia le proprie pose rock. «C’erano molte discussioni circa la natura e l’interesse dei Green River», ricorda Hanzsek. «Penso che Stone e Jeff volessero ge- stire la band con criteri razionali, trasformandola in qualcosa di solido e duraturo. Speravano di vivere di musica, diciamo che erano più seri. Mark, invece, era un clown fatto e finito. Aveva sì una laurea in inglese, una cultura insomma, ma non prendeva sul serio quel che faceva. Una canzone, per lui, doveva divertire e allo stesso tempo provocare ribrezzo. Gossard e Ament volevano scrivere inni rock, canzoni lunghe 6 minuti piene di assoli. Mark voleva rifare gli Stooges, far casino e comportarsi come un teppista: era ed è un commediante col gusto per le storielle divertenti. Vederli insieme era stupefacente. Ecco un frontman comico che si fa accompagnare da una band che suona inni rock: è un’unione un po’ perversa, non credi?». Il risultato delle session con Hanzsek fu l’extended play di 6 canzoni Come On Down, disco d’esordio del gruppo e primo lavoro d’una cer- ta rilevanza per il produttore. «Quando sei giovane e hai pochi soldi», commenta Chris, «sei disposto a lavorare fino alle 4 del mattino: faresti di tutto pur di realizzare il tuo sogno. I Green River avevano le medesi- me motivazioni e lo stesso spirito». Registrato nel dicembre del 1984, il disco fu mixato nel febbraio 1985. I tipi della Homestead di New York avevano mostrato interesse per un paio band di Seattle e finirono per dare alle stampe l’EP.2 Hanzsek rammenta: «Mark mi chiamava e mi di- ceva: ho sentito Bruce Pavitt3 e mi ha detto che potrebbe recensire Come On Down. A quel tempo Mark lo stava convincendo a prendere in con- siderazione i gruppi locali. Ma, diciamolo, non c’era granché di recensi- bile a Seattle. In compenso, c’era spazio per crescere, una caratteristica 40 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO che in retrospettiva si sarebbe rivelata importante. Pur con tutti i limiti della scena, quassù era percepibile un grado maggiore di intensità».

La sede di Interbay vicino ai binari della ferrovia non era il luogo ideale per stabilire uno studio di registrazione permanente. L’esperienza fi nì nel giro di un anno. «La collocazione dello studio fu un errore ma- dornale: riesci a immaginare una piccola sala di registrazione con fi ne- stre di vetro posta vicino ai binari della ferrovia? Ogni volta che passava un treno dovevamo interrompere le registrazioni». Per un’altra dozzina di mesi Hanzsek portò le apparecchiature nel- lo scantinato di casa proseguendo il lavoro di produttore discografi co occasionalmente e presso altri studi di registrazione. In quel periodo comprese che sarebbe stato interessante produrre una compilation dei gruppi che erano passati per il suo studio e che animavano i club cittadi- ni. «Mi dicevo: è il modo migliore per conoscere molta gente e dare una svolta alla mia attività». Di band ce n’erano a suffi cienza. E benché gran parte di esse fosse una copia acerba degli Stooges, dei Black Sabbath o dei Led Zeppelin, o una bizzarra combinazione di essi, avevano qualcosa. Altri 33 giri e cassette avevano riunito gruppi rock di Seattle e dintorni, una sorta di appello delle band locali che si ripeteva dai tempi di Seattle Syndrome, ma nessuna aveva catturato la miscela di punk e metal che sarebbe stata battezzata grunge. La compilation di Chris lo fece. Le session iniziarono nell’agosto del 1985 agli Ironwood Studios, il luogo scelto da Hanzsek per ospitare le registrazioni. Il titolo prescelto per il 33 giri fu Deep Six, un omaggio all’omonimo fi lm di Rudolph Maté del 1958 (in Italia Acque profonde) e un riferimento al numero di band coinvolte nel progetto. Nessuna di esse godeva in quell’estate della benché minima popolarità a livello nazionale, la qual cosa rende in retrospettiva quelle session straordinarie, sebbene tecnicamente siano piuttosto ordinarie. Alcuni musicisti varcavano la soglia di uno studio di registrazione per la prima volta. C’erano i e i Green River, i da Bainbridge Island e i Melvins da Montesano, quelli che qualche mese più tardi avrebbero portato in studio con sé il giovane Novoselic. C’erano gli di e gli U-Men, gli unici ad avere pubblicato un album prima di entrare agli Ironwood. I musici- sti di Deep Six venderanno collettivamente decine di milioni di album, il loro stile terrà banco per almeno cinque anni dando una scossa al pa- norama musicale mondiale, le loro vicende personali monopolizzeranno www.tsunamiedizioni.com 41 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE le cronache, il loro avvento sarà salutato da milioni di giovani in tutto il mondo come un evento epocale, la loro storia collettiva – e quella dei gruppi che ne prenderanno la scia – segnerà in modo indelebile la cultu- ra popolare degli anni ’90. Eppure Hanzsek non trarrà dall’esperienza né fama, né vantaggi economici, né tanto meno sentimenti di riconoscenza da parte dei gruppi coinvolti nelle registrazioni. Dovrà superare altri ostacoli prima di realizzare il suo sogno di diventare un produttore rock nella città dimenticata da discografici e promoter. «Quando produssi Deep Six era la seconda volta in assoluto che en- travo in un grosso studio di registrazione», confessa quasi giustificando l’inadeguatezza del suono della prima stampa su vinile che tiene fra le mani. «La selezione delle band fu fatta con Jeff Ament e Mark Arm. I Green River godevano di grande rispetto, furono loro a darmi i numeri di telefono degli altri musicisti da contattare. Spiegammo loro chiara- mente che cosa avrebbero avuto e che cosa ci avrebbero dato. Un effetto lo ottenemmo: da quel momento in poi le band di Deep Six sarebbero state identificate come una collettività. Più tardi alcuni musicisti, tra cui quelli dei Nirvana, mi hanno detto: perché non ci hai chiesto di parte- cipare?». Il vero problema di Deep Six erano i soldi. «Dissi a Mark che avrei convinto la mia ragazza a prestarceli», ricorda Hanzsek. La fidanzata di Chris fin dai tempi del Penn State era Tina Casale. Era stato lui a farle conoscere la new wave, i Television, i Magazine, i New York Dolls e Patti Smith. E lei lo aveva seguito a Seattle aiutandolo a gestire la prima sede dei Reciprocal. «La lavorazione e la stampa di Deep Six costarono all’in- circa 7.000 dollari», mi scrive Tina in una lettera in cui riassume il suo coinvolgimento nella faccenda. È tornata a vivere in Pennsylvania e non ha più nulla a che fare col mondo della musica. «Facemmo preparare i contratti da un avvocato. Dicevano in sostanza che una volta che Chris e io avessimo recuperato le spese sostenute, ogni band avrebbe ottenuto il 2% dei profitti. Secondo l’avvocato era una cifra generosa. Non gua- dagnammo nulla, per cui non fa alcuna differenza. Prenotammo delle ore in uno studio dotato di un 16 tracce. Registravamo di sera. Le band vennero una alla volta. Permettemmo a due membri di ogni gruppo di partecipare al missaggio». Secondo Chris, quest’ultima decisione fu un errore: «Scegliemmo di farlo in modo democratico, ma ognuno aveva idee terribili a proposito di come dovesse suonare il disco. Ci costò una cifra astronomica averli in studio a perdere tempo discutendo del mix. Ci furono frizioni tra Tina e i tipi dei Green River e dei Malfunkshun. Ricordo che quando Andy Wood venne a registrare indossava i costumi 42 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO di scena, anche se ovviamente non c’era nessuno a vederlo. Faceva spet- tacolo anche in sala di registrazione. Era un circo ambulante, ma quando si metteva al lavoro era molto concentrato». Per pubblicare l’album Chris e Tina fondarono l’etichetta discografi- ca C/Z così chiamata per via dei loro cognomi (Tina: «Mi sembrava che la zeta fosse la parte più significativa del cognome di Chris»). Ai tempi i due non possedevano neanche un fax e C/Z era una sigla più che una vera e propria attività. Furono stampate 2.000 copie in vinile. Nessuno fu contento del suono, un prodotto della scarsità di risorse a disposizio- ne. Secondo Jack Endino, «affidarsi a uno studio di registrazione costoso fu un errore: pensai che sarebbe venuto meglio se l’avessimo inciso nel mio scantinato con un 4 piste». Le cose precipitarono quando si trattò di promuovere l’album: fu allora che Tina lasciò Chris. «Niente più soldi», commenta laconicamente Hanzsek. «In quel periodo per mantenermi lavoravo in una tipografia e usavo di nascosto i loro macchinari. Vivevo la tipica esistenza punk-rock: guadagnavo 3 dollari e 50 all’ora da un lavoro che non m’interessava granché. Vivevo per la musica. Quando Tina se ne andò, la tipografia andò in bancarotta e persi il lavoro. Non avevo soldi, né un’occupazione, ma per le mani avevo un master pronto per essere stampato. Alcune band erano arrabbiate perché non investii nella promozione, ma come avrei potuto nelle mie condizioni? Forse qualcuno pensava di diventare una star grazie a quel disco». Ovviamente non accadde. Ci vollero almeno tre anni perché le 2.000 copie andassero esaurite. Ma una pietra miliare del rock di Seattle era stata posta. «Nessuno era particolarmente soddisfatto», commenta Endino, «né l’album ricevette attenzione o recensioni fuori città. È tut- tora difficile da trovare. Non era di per sé un gran disco, però convinse molte persone dell’esistenza di un suono regionale di cui nessuno aveva coscienza e che solo molti anni dopo sarebbe stato battezzato grunge». Hanzsek ammette che «il vinile di Deep Six non suona molto bene a causa di un cattivo mixing e di un pessimo mastering. Diciamo che fu una buona idea, ma tecnicamente non un capolavoro». Dopo appena un paio di uscite discografiche, il produttore finì per vendere la C/Z a Daniel House, bassista degli Skin Yard, tipo energico e intraprendente, esattamente quel che ci voleva per gestire un’etichetta perennemente sull’orlo del fallimento.4 «In realtà», precisa Chris, «non l’ho venduta, l’ho ceduta a titolo gratuito. Daniel s’è preso il magazzino a un dollaro e mezzo, due a disco. Tanto non ci facevo granché. Accadde nel periodo durato circa tre mesi in cui non avevo un lavoro. Non mi vedevo a capo di un’etichetta discografica. Ero single e disoccupato, non www.tsunamiedizioni.com 43 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE era il momento di investire soldi nei dischi. Feci a Daniel i miei auguri sperando che avrebbe usato la C/Z come punto di riferimento per il network dei musicisti, un’etichetta in grado di stabilire un rapporto ami- chevole con le band. Oggi sono fuori dal giro. Al passato non penso mai. Sono felice di invecchiare. Ho portato il mio studio quassù, in un posto dove virtualmente nessuno mi vede». Solo all’inizio degli anni ’90 qualcuno si accorse che alcuni fra i mu- sicisti rock più famosi al mondo – i Soundgarden, membri dei e dei Mudhoney – avevano preso parte a una piccola compilation. Essendo stata stampata dalla C/Z, i diritti erano di proprietà di House che approntò una ristampa su compact disc con la A&M, l’etichetta dei Soundgarden. «Sono sicuro che Daniel è riuscito a farci qualche soldo, ma io seppi della ristampa a cose fatte», commenta Chris. «Non sono mai stato bravo a trattare, è per questo che ho mollato subito la dire- zione dell’etichetta discografi ca. Non mi piaceva mentire. Se non sono onesto, non sono felice». Ha ragione da vendere Tina Casale quando mi scrive che «Chris non ha mai ricevuto il giusto credito per Deep Six».

Mentre Hanzsek portava a termine le registrazioni di Deep Six, gli U-Men off rivano su un palco del maggiore festival cittadino un’esibizio- ne incendiaria. Nel vero senso della parola. Il festival in questione, il Bumbershoot, era nato nell’agosto 1971 su iniziativa dell’allora sindaco Wes Uhlman, intenzionato a regalare alla città un weekend di svago nel bel mezzo della crisi provocata dai guai economici della Boeing. Presso il Seattle Center, il luogo che nel 1962 aveva ospitato la World’s Fair, furono organizzati concerti, esibizioni teatrali, performance visive, balletti. Si presentarono oltre 100.000 per- sone, il triplo di quelle preventivate dagli organizzatori. I grandi raduni musicali, che fi no a quel momento erano stati tenuti prudenzialmente fuori città, entravano nel contesto urbano. Da allora, il festival è diventa- to un appuntamento fi sso del weekend del Labor Day, il fi ne settimana che segna la conclusione delle vacanze estive e l’inizio di un nuovo anno lavorativo, una grande festa collettiva cui prendono parte persone d’ogni età. È tradizione che una parte signifi cativa dei performer siano della città o almeno del Nordovest degli Stati Uniti. Essendo considerati il gruppo rock locale emergente per eccellenza, gli U-Men furono invitati a esibirsi nell’edizione del 1985. Fu loro assegnato il Mural Amphitheatre, un palco ideato per la World’s Fair e separato dal pubblico da un piccolo 44 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO fossato artificiale riempito d’acqua. Noto per le performance estreme, il gruppo pensò di animare lo spettacolo con un piccolo numero incen- diario. L’operazione fu provata nel bagno della casa del manager Larry Reid: il batterista aveva versato del liquido infiammabile usato per ali- mentare gli accendini nella vasca da bagno riempita d’acqua, dandogli poi fuoco. Funzionò talmente bene che il quartetto pensò di replicare il numero al Bumbershoot facendo le cose in grande e utilizzando il fossa- to del Mural Amphitheatre al posto della vasca di Reid. Funzionò anche questa volta, e fin troppo bene. Verso la fine del concerto, quando il sole stava tramontando, il manager e un roadie versarono 4 litri di liquido in- fiammabile nell’acqua, che si estendeva fin sotto il palco in muratura. Il cantante John Bigley prese una scopa di paglia, le diede fuoco e la gettò nell’acqua. Le fiamme si impossessarono non solo del fossato antistante il palco, ma anche della parte sottostante, un effetto che il gruppo non aveva calcolato. In breve tempo un fumo denso coprì ogni cosa. La folla impazzì e cominciò a pogare. Disorientati e pensando di dovere placare dei disordini, i poliziotti presenti manganellarono la gente in modo ap- parentemente casuale. Gli U-Men continuarono a suonare compiaciuti. Ovviamente furono banditi dal Bumbershoot. «Il più grande spettacolo cui avessi mai assistito», afferma Mark Arm. Il gruppo degli U-Men era nato quattro anni prima su iniziativa del chitarrista Tom Price e del batterista Charlie “Chas” Ryan, cui s’erano poi aggiunti Bigley e la bassista Robin Buchan, presto sostituita da Jim Tillman (quest’ultimo sarà a sua volta rimpiazzato da Tom Hazelmyer, fondatore della Amphetamine Reptile e membro degli Halo Of Flies). La loro musica spigolosa e selvaggia, spaventosa e decadente, tesa a de- costruire la struttura canonica della canzone rock, offriva a chi l’ascolta- va l’impressione di trovarsi ad assistere a un qualche strano rito pagano, una cerimonia musicale primitiva dall’espressività spaventevole. Bigley, descritto dagli amici come un uomo piuttosto mite nella vita quoti- diana, salito sul palco si trasformava in un demone che avrebbe fatto di tutto pur di spiazzare le aspettative del pubblico. Era minaccioso, carismatico, imprevedibile. Curiosamente, in un primo tempo la miscela degli U-Men composta da vocalizzi gutturali, continui cambi di ritmo e clangori di chitarre elettriche attirò soprattutto mod affascinati più da Quadrophenia che dalla new wave. La formazione trovò una sponda nell’attività di Larry Reid, il gallerista che aveva gestito con la moglie Tracey Rowland la Roscoe Louie Gallery e la Graven Image5. «Dividevamo la sala prove con gli U-Men», ha ricordato Michael Stein dei D’Rango-5, «uno scantinato della Image: pavimento marrone www.tsunamiedizioni.com 45 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE scuro, luci rosse, lattine di birra ovunque. Un posto perfetto per imparare ad accordare la chitarra, o a non farlo, nel nostro caso. Ma quando suo- navano gli U-Men, era come stare in chiesa dove John il Predicatore era chiaramente anche il peccatore più grande e non c’era modo di offrire redenzione ad alcuno, men che meno a se stesso. I semi degli U-Men hanno prodotto frutti marci».6 Con l’aiuto di Reid, gli U-Men incisero un primo, omonimo EP di quattro brani. L’extended play fu pubblicato nel 1984 dalla Bombshelter gestita da Russ Battaglia e da Bruce Pavitt. La festa per la pubblicazione si tenne nel retro della Graven Image. Nonostante la loro musica abbia pochi punti di contatto col caratteristico Seattle Sound che si sarebbe imposto negli anni successivi, Steve Turner afferma che «il gruppo che più d’ogni altro ebbe una profonda influenza sulla scena dei Mudhoney, dei Nirvana, dei Pearl Jam e dei Soundgarden furono gli U-Men. Erano i re. Noi eravamo ragazzetti e U-Men e Ten Minute Warning erano modelli da seguire. Anche se in fin dei conti avevamo più o meno la stessa età, erano loro quelli cool. Inoltre, gli U-Men furono tra i primi a firmare un contratto con un’etichetta discografica di New York». E in più Tom Price suonava una Fender Mustang, un modello vintage non molto usato all’epoca, meno pregiato di una Stratocaster: i musicisti del- la scena cominciarono a imitarlo. Tanta attività aveva attratto l’attenzione di Hanzsek e Casale, che avevano convinto il gruppo a prendere parte a Deep Six nonostante l’ini- ziale ritrosia del manager. Gli U-Men parteciparono con un brano inti- tolato They e lo fecero, ricorda Casale, «per fare un favore agli altri grup- pi presenti, che in seguito – che ironia – avrebbero fatto molta più strada di loro». Si fece viva anche la Homestead di New York. Al pari della recensione di Rolling Stone di Topsy Turvy degli Young Fresh Fellows, la firma degli U-Men con una casa discografica che poteva vantare una distribuzione nazionale fu d’incoraggiamento per molte formazioni lo- cali che consideravano il circuito di etichette e taverne della città limi- tante, se non asfissiante. L’EP Stop Spinning, registrato al Crow Studio da John Nelson, fu il primo disco rock locale ad avere una distribuzione nazionale dai tempi di Because This Fuckin’ World Stinks dei Fartz. Dopo una tournée nel Sudovest degli Stati Uniti e un paio di 45 giri tra cui uno per la Amphetamine Reptile, il gruppo esordì su ellepi nel 1988, poco prima di sciogliersi, con Step On A Bug: The Red Toad Speaks. Vi fu un attesissimo concerto all’UW Hub come supporter degli eroi del momento Hüsker Dü, ma al posto di lanciare ulteriormente gli U-Men, ne segnò la fine. «Non fummo capaci di gestire la pressione», ha detto 46 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO

Tom Price.7 Per due volte il chitarrista si presentò alle prove trovando una stanza vuota. Alla terza si rassegnò: era fi nita. Price avrebbe poi suonato con Chas Ryan nei Bottle Of Smoke e fondato i Gas Huff er, fi nendo per suonare coi membri dei Mudhoney nei Monkeywrench. Tillman è diventato un fotografo di moda, Bigley è il proprietario del Capitol Club, un elegante locale su East Pine Street dall’ambientazione nordafricana, e del Barca sulla Undicesima. Vent’anni dopo l’esibizione infuocata al Bumbershoot, Steve Turner non ha dubbi: «La mia defi ni- zione di cool sono John Bigley e Chas Ryan».8

Se nel 1983 Seattle era la città dimenticata dai promoter, Aberdeen era la città dimenticata da Dio. Sita nell’area di Grays Harbor a un cen- tinaio di miglia a sudovest dallo Space Needle, là dove i fi umi Chehalis e Wishkah confl uiscono, Aberdeen ha vissuto per un centinaio d’anni grazie all’attività di pescatori e taglialegna, tanto da meritarsi l’appella- tivo di capitale mondiale del legname. L’attività degli ambientalisti e la riduzione delle quote di legno da costruzione rese disponibili da parte del governo federale hanno minato una delle principali fonti di sussi- stenza della comunità. Alla nomea di città culturalmente stagnante s’è sovrapposta quella di centro economicamente depresso cui il turismo sta ridando ossigeno: Aberdeen e la città gemella Hoquiam sono infatti le porte per l’Olympic Peninsula, una vasta area naturalistica che com- prende l’Olympic National Park9 e che si estende a nord fi no allo stretto di Juan De Fuca che separa gli Stati Uniti dal Canada. Con i suoi 16.000 abitanti, Aberdeen può sembrare una metropo- li rispetto alla vicina Montesano. Lì viveva nei primi anni ’80 un tale Melvin, impiegato come commesso nella drogheria di un Th riftway, uno dei centri commerciali che spezzano il vuoto dell’immensa provincia americana. Nello stesso negozio lavorava , un tizio con la passione per il punk-rock estremo e una strana capigliatura afro. Con i compagni di scuola Matt Lukin e , aveva fondato il trio dei Melvins. Il loro rock velocissimo e ispirato tanto all’hardcore, tanto all’heavy metal doveva suonare perlomeno bizzarro – ma molto più pro- babilmente inascoltabile – ai ragazzi del luogo, non avvezzi a musiche diverse dall’hard rock “pettinato” che usciva dai loro apparecchi radiofo- nici e che era l’unica musica dura di cui potevano reperire i dischi. Buzz la sapeva più lunga e divenne perciò «il guru punk-rock di Aberdeen», per dirla con le parole del suo fan più celebre, Kurt Cobain, che nelle www.tsunamiedizioni.com 47 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE pagine del suo diario racconta: «Ricordo una volta che cazzeggiavamo insieme al Thriftway di Montesano, Washington, quando un ragazzo coi capelli corti che scaricava scatole e assomigliava al tipo degli Air Supply mi ha passato un volantino che diceva: Them Festival, domani sera nel parcheggio che sta dietro il Thriftway. Gratis musica rock dal vivo. Montesano, Washington, un posto non abituato a ospitare musica rock dal vivo nei propri limitati confini. Una popolazione di qualche migliaio di boscaioli con le loro mogli sottomesse. Siamo entrati nel parcheggio dietro il Thriftway assieme ad altri zombie con la camminata da tamarro e il pettine infilato nella tasca posteriore. C’erano il magazzi- niere degli Air Supply, con in mano una Les Paul su cui era appiccicata una foto di rivista patinata con la pubblicità delle sigarette Kool, un ragazzetto dai capelli rossi che faceva il meccanico di moto e un tipo alto, il primo in assoluto a portare i Levi’s superattillati, un drastico e audace cambiamento rispetto a Sticky Finger o alle tute da moto di San Francisco. Hanno suonato più velocemente di quanto mi immaginavo fosse possibile suonare, e con più energia di quanta i miei dischi degli Iron Maiden potessero sprizzare. Era proprio quello che stavo cercan- do. Ah, il punk-rock. Gli altri cannaioli si annoiavano e continuavano a urlare: suonate i Def Leppard. Dio quanto odiavo quei coglioni – ero giunto alla terra promessa di un supermercato e lì avevo trovato la mia peculiare vocazione». Da quel giorno al Thriftway, «ho cominciato a se- guire i Melvins diventando una specie di presenza silenziosa sempre tra i piedi. Un giorno mi hanno fatto fare una prova per entrare nel gruppo ma ero davvero troppo nervoso e così mi sono seduto in un angolo per centinaia di prove dei Melvins negli anni successivi».10 Nel giro di un anno i Melvins avrebbero fatto parlare di sé anche a Seattle. Tennero il loro primo vero concerto in città al Mountaineers. Nonostante l’influenza esercitata sui gruppi locali e la nomea- comu nemente accettata di padrini del grunge, i Melvins non sono mai stati parte integrante della scena cittadina, verso la quale hanno coltivato un sentimento di diversità e sospetto – senza contare il fatto che sul finire del 1988 il trio si era già trasferito a San Francisco. «Non abbiamo mai abitato a Seattle», ha chiarito Buzz Osborne.11 «Eravamo ragazzi pro- venienti da un piccolo centro che scorrazzavano nella grande città». E ancora: «La non aveva alcun interesse in noi nel 1986. La pub- blicazione di Gluey Porch Treatments meritò un centimetro e mezzo di spazio nella rubrica Sub Pop sul retro del giornale locale Rocket – questo ai tempi in cui Sub Pop era solo una rubrica sul retro del Rocket. Credo gli piacque, difficile a dirsi. Ai tempi avevo l’impressione che avremmo 48 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO ricevuto più attenzione dalla stampa locale se avessimo clonato i riff degli Stooges».12 Uno dei primi, in città, a credere in loro fu Hanzsek che li invitò a partecipare a Deep Six: «Ricordo la prima volta che li incontrai e li ascoltai. Erano unici. Mi sentivo come uno scienziato che scopre un nuovo tipo di farfalla. Ero stupefatto. Chiesi loro: ma cosa vi è successo, ragazzi, come diavolo siete cresciuti, che razza di musica avete ascoltato? E loro: oh sai, i Kiss, roba di questo genere. Era evidente che l’isolamento in cui avevano vissuto aveva contribuito a creare un’identità peculiare, certamente diversa da quelle prodotte a New York o a Los Angeles. Li aveva resi unici e indipendenti da quel che accadeva nelle maggiori città degli Stati Uniti. Senza isolamento nessuna nuova specie può svilupparsi. L’impollinazione incrociata non ti dà l’opportunità di creare qualcosa di unico. E invece qui per anni vi fu in incubazione uno stile di cui nessuno sospettava l’esistenza. Se ci pensi, i casi più eclatanti sono quelli di Melvins e Nirvana, ragazzi che passarono l’adolescenza in posti come Montesano e Aberdeen dove non c’era nulla». L’8 febbraio 1986 i Melvins si presentarono nuovamente agli Ironwood dov’era stato inciso Deep Six per una nuova session prodotta da Hanzsek. Fu in quell’occasione che portarono con sé Krist Novoselic come roadie. Lo stile della formazione era già cambiato. «All’inizio mi spedirono una cassetta di metal veloce», ricorda il produttore, «e mi pia- ceva. Poi mi dissero: Chris, è meglio che veniamo in studio a spiegarti, perché non facciamo più quel tipo di musica che ti piace. Abbiamo ral- lentato. E io: oh no, siete sicuri? Mi sembrava una pessima idea». E in- vece l’idea, mutuata dai Black Sabbath ma anche dal lato B di My War13 dei Black Flag, era ottima. Ricorda Kim Thayil dei Soundgarden: «La gente mi diceva: li hai sentiti, Kim? Adesso i Melvins sono mostruosa- mente lenti. Non potevo crederci: erano il gruppo più veloce in città e ora erano il più lento. Fu una mossa sorprendente e coraggiosa. Avvenne nel periodo in cui nascevano Green River e Soundgarden. Mark Arm, Ben Shepherd ed io parlavamo di continuo degli Stooges, discutevano dei momenti in cui gli MC5 erano lenti, depressi, pesanti. Noi ci limi- tavamo a parlarne, i Melvins lo fecero».14 Hanzsek si convinse che la seconda pubblicazione della C/Z sarebbe stato un EP di sei canzoni dei Melvins intitolato 6 Songs. «Difficile dire che cosa accadde durante e attorno alle registrazioni di questo disco, l’intero periodo è avvolto da un’indistinta nebbiolina alcolica», scrive Osborne nelle note di copertina dell’ultima ristampa dell’EP su com- pact disc, espansa a 26 canzoni. «Le registrazioni portarono via pochis- simo tempo. Suonammo dal vivo usando un registratore a 2 piste, il che www.tsunamiedizioni.com 49 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE signifi ca niente mixing. Per noi lo studio era un mistero assoluto. Non sapevo discernere una buona cosa da una cattiva. Ricordo di aver chiesto a Jerry dei Rejectors che vi lavorava come assistente che cosa ne pen- sasse. Scrollò le spalle e disse: mi sembra buono. Beh... ok... confusione totale... e beata ignoranza». Nonostante la scarsità di mezzi, l’inesperienza e le perplessità di Hanzsek sul nuovo corso del trio, i riff dei Melvins mastodontici, lenti e minacciosi, ossessivi ma pieni di cambiamenti inattesi, preconizzarono la nascita del grunge. Secondo Novoselic, «da quella musica che sembra- va un canto funebre nacque il grunge del Nordovest».15

Il 21 e 22 marzo 1986 si tennero alla UCT Hall di Seattle le due feste-concerto che accompagnarono la pubblicazione di Deep Six. Jack Endino ricorda che la prima sera si esibirono nell’ordine Melvins, Soundgarden e Green River, la seconda Malfunkshun, Skin Yard e U-Men. «Tutto quel che rammento» aff erma Hanzsek «è che Mark Arm saltava come un pazzo sul palco e fi nì per sbattere più volte contro il soffi tto. I Melvins mi colpirono per la tecnica. Una cosa è certa: quei due giorni contribuirono a costruire la scena». Osborne: «Iniziammo il nostro set e un fan lanciò sul palco una copia della compilation fatta a pezzi. Il che aveva un senso. [...] Eravamo tanto ingenui? Penso di sì. Era assurdo. L’intera nostra esistenza ai tempi era assurda. Quando ci venne avanzata l’off erta di partecipare a Deep Six senza ricevere mai al- cun pagamento e forse qualche copia del disco ci sembrò un’opportunità d’oro da cogliere al volo... Non credo di avere mai visto un contratto, ma potrei sbagliarmi. In ogni caso, se ci fosse stato lo avremmo fi rmato. Sicuro, perché no? Non possedevamo nulla e non avevamo soldi... Mi piace come suonano i nostri pezzi su Deep Six e mi piacciono persino le canzoni, perciò quando i tipi dell’etichetta chiesero di fare un altro disco con noi, ci dicemmo d’accordo».16 La storia dei Melvins con Seattle fi nì con6 Songs. Il disco successivo, il vero e proprio album d’esordio Gluey Porch Treatments, fu registrato a Sausalito, California. «A quei tempi», scrive ancora Osborne, «la stampa musicale di Seattle era piena di band tipo Charlie And Th e Tunas e Freddie And Th e Screamers. Non ho mai avuto niente a che fare con quella scena musicale, che era circondata da una densa nuvola di miste- ro. Mi ci volle un bel po’ di tempo per capire che locali di cui avevo letto come il Vogue o la Central Tavern non erano altro che piccoli buchi 50 www.tsunamiedizioni.com ANNO ZERO del cazzo in cui non ero autorizzato a entrare perché troppo giovane. Ricordo in particolare un articolo sul Rocket a proposito della scena dan- ce del Vogue che descriveva nel dettaglio le mosse che la gente faceva sui dischi dei Talking Heads... Già allora pensavo che fosse una grossa stronzata... Chi erano quei ragazzi che ballavano e chi cazzo scriveva quella spazzatura? Mi faceva andare fuori di testa il pensiero che qual- cuno pubblicasse quella roba. Nella mia giovane immaginazione avevo costruito un’idea della scena di Seattle di proporzioni bibliche e sapevo che non poteva ridursi a stronzate insulse come quella, ma ahimè avevo torto: la scena divenne più patetica di quanto potesse aff errare la mia immaginazione adolescenziale». Nonostante tutto, la scena di Seattle era in movimento. Il fatto che ci fossero ragazzi che andavano a ballare facendo stupide mosse al ritmo delle canzoni dei Talking Heads, altri che si entusiasmavano di fronte ai fuochi degli U-Men, altri che si divertivano ascoltando il garage rock fi nto naïf degli Young Fresh Fellows, e altri ancora che amavano i riff sepolcrali dei Melvins, testimonia la varietà del panorama musicale lo- cale a metà degli anni ’80. «Il bello di Seattle è che ascoltavamo il classic rock ma anche i Black Flag, strana new wave come Blondie o i Devo ma anche i Kiss, i Queen e i Lynyrd Skynyrd: non c’erano pregiudizi», ha detto . «Le scene che fi orivano a Athens, Minneapolis, Austin e New York», avrebbe ricordato dieci anni dopo Chris Cornell dei Soundgarden, «era- no formate da band che ci sembravano molto fi ghe. C’era la percezione che le cose fossero più fi ghe fuori Seattle. Solo dopo un paio di tournée capimmo quanto speciale fosse la nostra scena».17

Gli amministratori cittadini non pensavano che la scena di Seattle fosse speciale. Pensavano fosse pericolosa. Dopo una sparatoria nei pres- si di una discoteca vicino al Seattle Center chiamata Skoochies, e dopo alcuni episodi di violenza legati a una discoteca con sede in una chiesa sconsacrata chiamata Monastery, il consigliere comunale e futuro sinda- co Norm Rice riuscì a far passare la famigerata Teen Dance Ordinance, assieme a una legge che metteva fuori legge i poster appiccicati ai pali della luce, il modo preferito dai Seattleite per pubblicizzare piccoli con- certi.18 L’ordinanza passò il 29 luglio 1985, sarebbe stata modifi cata tre anni dopo e rimasta in vigore per diciassette anni. Prevedeva che nei locali che servivano alcol fosse ammesso solo di chi aveva compiuto www.tsunamiedizioni.com 51 GRUNGE - IL ROCK DALLE STRADE DI SEATTLE

21 anni; i ragazzi tra i 18 e i 21 anni potevano accedere a feste da ballo solo qualora non vi fossero venduti alcolici; inoltre, affinché potessero entrare ragazzi che avevano compiuto 16 anni, i locali dovevano assi- curare standard di sicurezza e polizze assicurative a un costo proibitivo. L’effetto era l’allontanamento dei minorenni dalla vita notturna. All’inizio pochi pensarono che il provvedimento avrebbe interessato non solo le discoteche, ma anche i locali rock. E invece anche ai concerti, ragionarono i promotori della legge, c’erano adolescenti che ballavano. E quindi andavano regolati. Agli ufficiali di polizia presenti sul luogo era -de mandato il compito di decidere se i ragazzi stavano ballando. Lo scopriro- no in estate i gestori del Rock Theater, un locale nell’International District fondato dall’ex proprietario del Gorilla Room e formato da due sale, il Gorilla Gardens e l’Omni Room. Le autorità ravvisarono una violazione dell’ordinanza per via della presenza di teenager durante un concerto degli Hüsker Dü. Ben presto i minorenni furono esclusi dai concerti punk-rock. Come se non bastasse, una nuova ondata di violenze e di scontri fra gang rese ancora più difficile la vita di chi lavorava per avere una scena musicale vibrante, ricca, provocatoria, ma pacifica. Molti gruppi si rifugiarono nelle cantine, negli appartamenti, nei cortili dove tennero concerti improvvisati e interrotti a volte dalla pioggia, a volte dall’arrivo della polizia. Dave Meinert, futuro manager dei Presidents Of The United States Of America, vide la polizia piombare a uno show dei Mudhoney che aveva organizzato alla Odd Fellows Hall. Era il 1993, i due gruppi rock di maggior successo al mondo erano di Seattle e i mass media presenta- vano la città come la nuova Mecca del rock. «Sembra che i ragazzi stiano ballando», disse un ufficiale di polizia a Meinert. «Nossignore», replicò il manager, «non stanno ballando, stanno po- gando». «A me sembra che ballino», disse l’ufficiale prima d’interrompere il concerto.

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NOTE

1 - Secondo Dave Dederer dei Presidents Of The United States Of America, «gli Alice In Chains e i Soundgarden capirono più tardi come far funzionare quel miscuglio. I Green River ci provarono». 2 - Ament nel libro di Greg Prato Grunge Is Dead: «L’Enigma e la Homestead furono le prime a rispondere. L’Enigma ci spedì un contratto di 60 pagine, la Homestead di due. Scegliemmo la Homestead». 3 - Ai tempi Pavitt aveva una rubrica chiamata Sub Pop sul Rocket. 4 - Secondo House, Deep Six ebbe un effetto nascosto, ma dirompente: ispirò Bruce Pavitt a lanciarsi nell’avventura Sub Pop. 5 - Sulla figura di Reid è stato modellato uno dei protagonisti del musical del 1983 Angry Housewives. 6 - La citazione è presa da un sito Internet di cui ho perso traccia. Me ne scuso con gli interessati. 7 - The Rocket, ottobre 1985. 8 - Maximum Rock‘n’Roll, agosto 1990. 9 - Nell’Olympic National Park è dedicato un capitolo di The Good Rain di Timothy Egan, Vintage Departures, 1991.. 10 - Kurt Cobain, Diari, 2002. 11 - Questa citazione e la successiva sono tratte dalle note di copertina di Gluey Porch Treatments, la ristampa del 1999 su Ipecac. 12 - E con questa ha sistemato anche i Green River... 13 - Il trittico Nothing Left Inside, Three Nights, Scream. 14 - Guitar World, febbraio 1995. 15 - Da Of Grunge And Government, RDV Books/Akashic Books, 2004. 16 - Note di copertina di 26 Songs (Ipecac, 2003). 17 - Seattle Post-Intelligencer, maggio 1994. 18 - Qualcuno ipotizza che l’arte dei poster musicali, così diffusa in città, abbia favo- rito lo sviluppo dell’arte grafica locale.

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