123-124 | Basilicata Regione Notizie Le origini dell’agricoltura nel Mediterraneo e la diffusione dei cereali in Puglia e Basilicata

Il mare, più che costituire un elemento di divisione, ha rappresentato un mezzo per la diffusione di contatti fra le popolazioni, alimentando quel processo di esperienze comuni che è alla base dell’evoluzione della civiltà. La nascita dell’agricoltura si è verificata in seguito al miglioramento delle condizioni climatiche dovute alla fine dell’ultimo periodo glaciale. Studi e ricerche sulle coltivazioni presenti sin dall’epoca Neolitica

Antonio Affuso

L’ambiente mediterraneo

Il Mediterraneo rappresenta un bacino quasi chiuso nel quale sfociano numerosi corsi d’acqua. I territori che ne fanno parte costituiscono un’eco-regione ben definita, caratterizzata da una notevole diversità di paesaggi, geologia, clima. In particolare, la flora presenta numerose varietà di essenze endemiche a cau- sa dell’isolamento di popolazioni vegetali, dovute a barriere naturali, formatesi dopo la frammentazione delle aree continentali in piccole e grandi isole. Tra l’altro, mentre durante l’ultimo periodo glaciale è scomparsa gran parte della flora originaria dell’Europa centro-settentrionale, nell’area mediterranea, meno fredda, si sono conservate indenni specie di antichissima origine, quali ad esem- pio il carrubo, il mirto, la vite, l’olivo, il lentisco, usate dall’uomo in tutti gli stadi della civiltà (AA.VV., 2004). Il paesaggio mediterraneo si presenta come il risultato dell’interazione tra le caratteristiche geo-ambientali e le attività antropiche (Marzi, Tedone, 2009). Il mare, più che costituire un elemento di divisione, ha rappresentato un mezzo per la diffusione di contatti fra le popolazioni, alimentando quel processo di esperienze comuni alla base dell’evoluzione della civiltà. Il rapido progresso tec- nologico che accomuna le più antiche culture del Mediterraneo è dato, infatti, non solo dalle invenzioni autonome sviluppate nei singoli contesti, ma anche dalla diffusione di idee e tecniche tra le società e questo spiegherebbe come mai il progresso si è mostrato più veloce proprio in quelle zone in cui sono esistiti

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meno ostacoli ambientali ai contatti tra popoli. La nascita dell’agricoltura si è verificata in seguito al miglioramento delle condi- zioni climatiche dovute alla fine dell’ultimo periodo glaciale (Würm) e all’inizio dell’Olocene (intorno ai 10.000 anni fa) che perdura tuttora. A partire da questa fase, le coste del Mediterraneo sono investite gradualmente da un clima più mite, che raggiunge il suo optimum intorno ai 6000 anni fa. Si tratta di un periodo caratterizzato da temperature e piovosità maggiori di quelle attuali che hanno favorito insediamenti ed attività. In seguito, sebbene si sono avute alternanze di fasi più aride o più umide, più fredde o più calde, le condizioni climatiche sono rimaste tendenzialmente simili a quelle attuali. I cambiamenti climatici della fine del Würm, hanno causato lo scioglimento di masse glaciali e il livello del mare che si trovava a circa 120 metri più in basso di quello odierno ha iniziato a sollevarsi. Tale processo che va sotto il nome di tra- sgressione “Versiliana” ha modificato profondamente le linee di costa in seguito all’immersione di vaste zone. In relazione ai medesimi cambiamenti climatici la vegetazione di molte penisole mediterranee passò dalla steppa arborata alla foresta (Boenzi, Giura Longo, 1994).

Le origini dell’agricoltura: il Vicino Oriente antico

I Natufiani

Nel Vicino Oriente con la fine del periodo pleistocenico si verifica un progressivo inaridimento che spinge gruppi umani in poche aree umide situate in prossimità di oasi e fiumi. In Siria, Libano, Palestina, Israele e Giordania durante il Mesoli- tico, da 12.000 a 10.000 anni fa c.ca, vivono comunità chiamate dagli studiosi natufiane, che adottano, come particolare forma di adattamento all’ambiente, la sedentarietà. Tali gruppi presentano un’articolata organizzazione sociale e un’economia di tipo predatorio che si basa sulla raccolta intensiva di ciò che la natura produce spontaneamente. La cultura natufiana dell’area del Carmelo e della Galilea si ca- ratterizza per la presenza di grandi villaggi con capanne rotonde e ovali segnate da piccoli muretti di sostegno e pavimento sovente lastricato, pozzetti interrati per la conservazione dei cereali, buche probabilmente utilizzate per arrostire chicchi di frumento (ad es. Aïn Mallaha in Israele, Abu Hureyra e Tell Mureybit in Siria). L’economia di queste comunità si basa prevalentemente sulla pesca, sul consumo di molluschi e crostacei, sulla caccia e sulla raccolta di cibi vegetali, tra cui semi di cerali selvatici e leguminose. I natufiani praticano una caccia intensiva alle gazzelle a tal punto da ridimensionarne la popolazione. Accanto a resti di gazzelle, sono documentati quelli di daino, cervo, bue, capriolo, cinghiale, stambecco, onagro, volpe, coniglio e vari uccelli, forse catturati con trappole (Seragnoli, 2001-02). Durante gli scavi archeologici sono venuti in luce anche utensili per la raccolta, lavorazione, conservazione dei cereali: falcetti per mietere, costituiti da supporto in legno in cui sono inserite piccole lame di selce, coltelli in osso per tagliare, un ricco repertorio di macine e mortai. Nell’arco di circa due millenni le culture natufiane gradualmente scompaiono. Successivamente i gruppi neolitici, non si insediano più nella zona mediterranea del Levante, ma al margine delle steppe, lungo il medio corso dell’Eufrate, nel bacino di Damasco e nella bassa valle del Giordano (Liverani, 1999).

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Figura 1 L’introduzione della domesticazione delle piante Vicino Oriente. Indicazione dei primi villaggi agricoli Con il passaggio dalla raccolta alla coltivazione delle piante si entra progres- Figura 2 sivamente nel Neolitico, termine che attualmente indica la fase in cui nasce Diffusione degli agricoltori verso ovest l’agricoltura. Le più antiche forme di domesticazione riguardano specie vegetali: farro e orzo provenienti dal sito di , lungo il medio corso del- l’Eufrate, e da , nel bacino di Damasco, datate a 8500 anni da oggi. L’introduzione delle pratiche agricole comporta una forte riduzione nello spettro delle risorse alimentari di origine vegetale e significative modificazioni morfo- logiche. Nei livelli epi/paleolitici e mesolitici e nei livelli del primo neolitico di Abu Hureyra (Siria) nella fauna domina la gazzella (80%); solo nel corso del VII millennio si registra una brusca inversione con un forte declino delle gazzelle e un considerevole aumento della capra/pecora. Intorno a 8000 anni da oggi nel Vicino Oriente si verifica ormai una selezione di un gruppo di specie vegetali che comprende anche i frumenti nudi, ovvero il grano duro (Triticum ) e il grano tenero (Triticum aestivum), tra i legumi la veccia (Vicia sativa) e le cicerchie (Lathyrus cicera e L. sativus) e inoltre il papa- vero da oppio (Papaver somniferum) (figura 1).

Il Neolitico dell’europa mediterranea

La diffusione dell’agricoltura

La domesticazione di piante e animali si propaga dalle aree originarie verso la penisola greca e l’Europa occidentale determinando l’inizio del Neolitico euro- peo. Il processo si sarebbe verificato a causa di una costante crescita demogra- fica che avrebbe spinto gruppi di agricoltori a spostarsi per la ricerca di nuove terre da coltivare. Tale fenomeno, definito “wave of advance” (onda di avanza- mento), avrebbe sopraffatto le comunità mesolitiche locali attraverso forme di competizione tese alla riduzione delle precedenti strategie predatorie. La pro- gressione delle datazioni radiocarboniche registrate per siti del Mediterraneo che si sviluppano da Est verso Ovest e da Sud verso Nord, apparentemente re- golare, mostrerebbe come la diffusione dell’agricoltura attraverso il continente europeo si sarebbe verificata nell’arco di 4000 anni, con una progressione media di 1 km all’anno. L’onda espansiva raggiunse la Grecia, Cipro e il subcontinente indiano prima del 6500 a.C., l’Egitto subito dopo il 6000, l’Europa centrale prima del 5400, la Spagna meridionale prima del 5200, e la Gran Bretagna attorno al

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Legenda.

T. monococcum H. disticum T. cf. spelta H. vulgare nudum T. aestivum/durum T. estivum/compactum H. vulgare H. spelta T. dicoccum T. m. ssp. aegilopoides T. spelta

Figura 3 Siti del Neolitico con presenza di resti cerealicoli

3500 (figura 2). In Europa ad un’agricoltura di tipo estensivo, tipica di aree aride, si sostituisce via via una di tipo orticolo, praticata presso sorgenti e rive di fiumi |1| e di laghi. Tra i cereali diviene particolarmente diffuso l’orzo, forse perché resistente a un clima più freddo e umido. Il modello agricolo si diffonde rapidamente in Europa sud-orientale e per via costiera in gran parte dell’Europa mediterranea (Italia, Francia e Spagna me- ridionali, Africa del Nord). Lo sviluppo dell’agricoltura in Europa vede l’aggiun- ta graduale di nuove piante coltivate: spelta o farro grande (Triticum spelta), originaria del Caucaso, adatta a climi freddi, l’orzo nudo (Hordeum vulgare), la segale (Secale cereale), il miglio (Panicum miliaceum) e il panico (Setaria italica), provenienti dalla Cina e infine l’avena (Avena Sativa), coltivata in Europa dal II millennio a.C.

Prime forme di agricoltura nel Neolitico dell’Italia Meridionale

Nel neolitico antico, a partire da 7.000 anni c.ca da oggi, nel sud-est italiano, in particolare Puglia e Basilicata, sorgono i primi villaggi agricoli basati su un’eco- nomia di produzione, in cui sono stati ritrovati resti carbonizzati di semi delle specie vegetali coltivate provenienti in forma domesticata dal Vicino Oriente: farro, piccolo farro, orzo, lenticchia; più rari pisello, veccia, cicerchia e fava (fi- gura 3) (AA.VV., 1996). In seguito l’area di diffusione dell’agricoltura si amplia al resto dell’Italia cen- tro-meridionale, il farro diviene prevalente e si diffondono i frumenti nudi (Tri- ticum aestivum e T. durum), l’orzo nudo sostituisce quello vestito. Nelle regioni

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A B

Farro piccolo Farro grande Grano duro Grano tenero Triticum monococcum Triticum dicoccum Triticum durum Triticum aestivum

Figura 4 dell’Italia sud-orientale, indagini condotte su macroresti vegetali carbonizzati A: prime specie di frumento domesticato. B: principali grani moderni provenienti dagli insediamenti neolitici del comprensorio territoriale apulo-lu- cano (Tavoliere foggiano, areale ionico-salentino, Murge baresi in Puglia, Mel- fese, Materano in Basilicata) hanno consentito di ricavare numerosi nuovi dati archeobotanici (AA.VV., 1992). Presso l’insediamento di Terragne (Manduria, Taranto) sono state determinate carisossidi di Triticum monococcoum (farricello), Triticum dicoccum (farro), Triti- cum aestivum (grano tenero), Triticum durum (grano duro), Hordeum sp. (orzo), oltre che le cotiledoni di leguminose riconducibili alle prime coltivazioni prati- cate dall’uomo. Nel VI millennio a.C. l’agricoltura è già ampiamente documentata anche in Ba- silicata a Rendina (Melfi, Potenza) dai resti di Hordeum vulgare (orzo) e Triticum aestivum/durum (grano tenero/duro), a Trasano (Matera) per la presenza di Tri- ticum aestivum/durum. Triticum monococcum e dicoccum e Hordeum sp. sono documentati in Puglia a Scamuso (Torre a Mare, Bari) e un’associazione simile a Le Macchie (Polignano a Mare, Bari), vari tipi di semi di Triticum domestico provengono da Fontanelle (Brindisi) e Torre Canne (Fasano, Brindisi). Analisi paleobotaniche evidenziano verso la metà del V millennio a C. un ulte- riore potenziamento delle specie coltivate a Rendina, dove sono attestati vari tipi di Triticum, di Hordeum e due leguminose, Vicia faba (Fava) e Lens culinaris (lenticchia). A Madonna delle Grazie (Rutigliano, Bari), il 95% di un campione è formato da Triticum (soprattutto dei tipi aestivum e durum) ed il 5% da Hordeum vulgare nudum (figura 4) (Affuso, Lorusso P, 2004).

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Figura 5 La reintroduzione dei cereali “antichi” nelle colture agricole attuali Da sinistra a destra: cariossidi di grano orientale, di grano tenero e di grano duro Attualmente con la dicitura generica di “grani antichi” sono definite specie di- (http://ulisse.sissa.it) verse appartenenti al genere Triticum, fra cui il farro ed il grano orientale o khorasan meglio conosciuto col nome di Kamut. Con la denominazione farro si indicano i frumenti vestiti, le cui glume e glumelle anche dopo la trebbiatura restano saldamente legate alle cariossidi. Dal punto di vista sistematico ci si riferisce a tre specie diverse del genere Triticum: T. monococcum L., diploide (2n=14), detto farro piccolo o gonococco; il T. dicoccum Schüber, (sin. T. dicoc- con Schrank), tetraploide (2n=28), detto farro medio o dicocco ed il T. spelta L., esaploide (2n=42), detto farro grande o spelta (figura 5). Il grano orientale (Triticum turanicum Jakubz) proverrebbe dall’area più ad est della “Mezzaluna fertile” (la denominazione di khorasan, con cui è anche noto, richiama una regione dell’attuale Iran). Sarebbe comparso nello stesso periodo dei grani svestiti dai quali però, si differenzia per la forma della cariosside, più grande e allungata. Sebbene ancora coltivato nell’areale di origine, una rinnova- ta attenzione per il grano orientale è partita dagli anni ’70, in seguito al ritrova- mento di questo cereale in alcune tombe egizie. Attualmente l’area di maggior produzione risulta una zona al confine tra USA e Canada, dove il Kamut ha trovato un habitat ottimale per la sua coltivazione. La diffusione delle specie antiche di cereali in territori del Mediterraneo differen- ti per pedologia e clima e diverse pratiche di coltivazione, ha portato alla costi- tuzione di una grande varietà di agro-ecotipi di cui solo una parte è giunta sino a noi. Una serie di ricognizioni ultradecennali condotta dall’istituto di Genetica Vegetale del C.N.R. di Bari evidenzia in Italia e altri paesi del bacino mediterra- neo, compresi il Vicino Oriente e l’Etiopia, oltre 1.000 campioni di diverse qualità di farro (AA.VV., 2005).

La coltivazione del farro presenta notevoli vantaggi, fra cui: - possibilità di adattamento di tale specie anche in terreni poveri e pietrosi d’alta collina, generalmente inadatti alla coltivazione del grano; - buona competizione nei confronti di altre specie infestanti e resistenza alle pa- tologie che comunemente riguardano altri cereali. La resistente pula che ricopre le cariossidi anche dopo trebbiatura, le difende sia dalle malattie fungine sia da forme di inquinamento ambientale; - scarsa richiesta di un’alta specializzazione professionale; - sviluppo iniziale molto rapido con accrescimento vigoroso; - possibilità di utilizzare nell’alimentazione anche le glumelle, pellicole che ri-

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mangono nel cibo costituendo una risorsa preziosa di vitamine, sostanze mine- rali, scorie salutifere.

Da un recente studio condotto presso il laboratorio di genetica molecolare della Facoltà di agraria dell’università degli studi della Basilicata è emerso che il farro dicocco italiano ed etiopico presentano un germoplasma appartenente ad un genepool più primitivo, migrato dal centro di origine (Mezzaluna Fertile) in en- trambe le regioni, probabilmente in un periodo successivo al Neolitico del Vicino Oriente (Figliuolo, Masi, 2004). Attualmente la produzione per l’alimentazione umana prevede un consumo di- retto del farro maggiormente in zuppe, minestre, ecc. in modo da fornire un significativo apporto di elementi utili all’organismo. Grazie a questi, infatti, è considerato un alimento funzionale e salutistico. Lo sfarinato può essere impie- Figura 6 gato per l’ottenimento di pani caratteristici e in associazione con semola di gra- Farro della Grafagnana no duro per la produzione di paste speciali. Il farro, inoltre, può essere utilizzato (http://www.agraria.org) per la produzione di dolci, biscotti, e altri prodotti da forno. In Italia, il farro medio e la spelta rappresentano prodotti di nicchia garantiti da marchi di tutela. Il marchio comunitario di Indicazione Geografica Protetta (IGP) è stato attribuito al “farro della Garfagnana” (figura 6) mentre quello di prodotto tipico riguarda diverse varietà locali quali: il farro del Lazio, di Molteleone di Spoleto, d’Abruzzo, dei Monti Lucretili, del pungolo di Acquapendente, il “farro dicocco” del Molise e il “triticum dicoccum” delle Marche. Al recupero di antiche varietà di grano tenero, duro e farro è improntata anche la sperimentazione condotta in Basilicata dal 2007 presso l’Azienda “Pantano di Pignola” dell’Alsia coordinata scientificamente dal Dipartimento di Biologia Agro-forestale dell’Università della Basilicata. In relazione a tale sperimenta- zione viene evidenziato che per ogni varietà vene utilizzata la quota di ha 1 su terreno di natura franco-argillosa e concime organico; la quantità di seme impiegato per le varietà di farro Lucanica e Forenza è di q 2,00 per ha 1 (Rosa, Catalano, 2008). Attualmente è oggetto di recupero e valorizzazione nell’area del Pollino la varietà di segale detta “iermana”, solo per uso zootecnico, che si adatta ad altitudini di 1.000 - 1.300 metri. Indicata in documenti antichi che fanno riferimento al Re- gno delle due Sicilie, veniva utilizzata per la produzione di per la panifica- zione. Il pane ricavato veniva chiamato “pane nero” per via del colore scuro della farina. Presenta cariosside minuta e pianta molto resistente che può raggiungere anche i due metri di altezza, ha una resa pari ai 25-30 quintali per ettaro.

I prodotti del frumento: il pane

Il pane è uno straordinario prodotto che racchiude numerosi saperi dell’uomo: dalla conoscenza dei territori fertili ai metodi di coltivazione, dai periodi di rac- colta delle messi alla trasformazione dei semi, dai diversi processi di lavorazione dei cereali al loro differente modo di cottura che si lega ad elementi naturali fondamentali come la terra, l’aria, l’acqua. La ricerca archeologica è riuscita a recuperare testimonianze delle prime forme di pane non lievitato in contesti abitativi, nel villaggio neolitico in località La Marmotta, sul lago di Bracciano, negli scavi dell’abitato terramaricolo di Castio- ne dei Marchesi (Parma) ed in altri luoghi del bacino del Mediterraneo. La conoscenza delle tecniche agricole ha consentito in breve tempo di giungere

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Figura 7 all’arricchimento della dieta con la felice introduzione di cibi a base di grano e di Pane di Matera orzo, ottimi integratori alimentari. Il quadro che emerge in Puglia e Basilicata, a partire dal Neolitico, sembra essere quello di una agricoltura pienamente sviluppata già ai suoi esordi, probabilmente caratterizzata da coltivazioni estensive, con tecniche agrarie consolidate ed una articolata gestione dei campi, con modalità di conservazione ed immagazzina- mento del raccolto a breve e medio termine (silos) (A.VV., 1999). La conoscenza del processo di trasformazione dei prodotti del raccolto e la ca- pacità di sfruttare con l’aggiunta di acqua le proprietà degli impasti ottenuti, derivano certamente da tradizioni più antiche, per esempio dalle attività di ma- nipolazione e trasformazione di frutti e piante, su cui si inseriscono nuove espe- rienze, molte delle quali ancora alla base del nostro vivere quotidiano. Le proprietà panificatorie degli impasti ottenuti dalle diverse specie di grano sono connesse al diverso contenuto di due proteine, gliadine e glutenine, che compongono il glutine insieme all’amido ed all’acqua. L’uomo del Neolitico, agricoltore e pastore, ha conservato e tramandato per ge- nerazioni fino ad oggi i segreti per ricavare da una terra arida e povera i grani migliori e il pane più buono, vero premio per la fatica umana che unisce quei primi agricoltori alla realtà contadina che ancora oggi si vive nel territorio apu- lo-lucano. Sistemi di panificazione tradizionale e farina ottenuta prevalentemente da grani duri locali sono alla base del riconoscimento del marchio IGP per il “Pane di Ma- tera” (figura 7) e del marchio DOP per quello di Altamura. Il tipico pane a forma di cornetto è prodotto principalmente nei comuni di Ma- tera e dell’alta collina materana, a Montescaglioso, Irsina, Tricarico, Grassano,

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Grottole. La forma rotonda, prodotta prevalentemente nell’areale ionico della provincia di Matera, nei paesi di Montalbano Jonico, Tursi, Pisticci, Policoro, dif- ferisce leggermente nel gusto e consistenza rispetto al tipico prodotto materano. Gli antichi processi di lavorazione tramandati nel tempo prevedono: - lievitazione naturale con l’utilizzo di pasta madre, anche se è consentito l’uti- lizzo di lievito compresso in percentuale non superiore all’1%; - i lunghi tempi di lievitazione e di cottura che determinano un’alta digeribilità del prodotto, consentendone una conservazione che può superare i 9 giorni in condizioni di medie temperature e ambiente asciutto; - la cottura prevalentemente in forno a legna.

La varietà culturale che caratterizza i comuni della Basilicata ionica è alla base delle diverse denominazioni con cui vengono indicati il pane e vari tipi di fo- caccia. Nell’area interna, ad Aliano il pane è chiamato “panella”, a San Mauro Forte, Tricarico e Garaguso, è genericamente indicato con il termine “panedd”. In particolare, nel dialetto di Garaguso è chiamato anche “scanat” o “pandozz”. A Grassano viene semplicemente chiamato “u pan”, a Montescagliso “vaccadedd”, ad Irsina le diverse denominazioni per tipi sono “u’ pen”, “a scanet”, “u’ mscuttl” (particolare tipo di pane bianco intrecciato). Nel retroterra costiero ionico, a Pisticci, i diversi tipi di pane si definiscono “u pan ialt”, “u pan vasc”, “u tilicch”, “a mblat”, a seconda della tipologia. Nell’area costiera, a Montalbano, sempre nella provincia materana, il pane diventa “shca- nat”, a Nova Siri cambia in “pitta”.

NOTE

|1| Si fa riferimento a siti dove sono stati trovati Boenzi F., Giura Longo R., 1994: La Basilicata - i resti archeobotanici databili con il radiocarbo- tempi, gli uomini, l’ambiente, Molfetta. nio. Rosa V., Catalano M., 2008: E nel potentino si punta al recupero di antiche varietà di frumento e farro in Agrifoglio, speciale. 04/15, 28 Anno V, Matera. BIBLIOGRAFIA Figliuolo G., Masi P., 2004: Il farro una cultura di AA.VV., 2004: L’uomo e le piante nella preisto- nicchia. La Basilicata rilancia l’antico cereale in ria, poster mostra a cura di Renata Grifoni Cre- Basilicata Regione Notizie, anno XXIX – 106. monesi, Pisa. Liverani M., 1999: Antico Oriente, Bari. AA.VV., 1992: Italia Preistorica, a cura di Guidi e Piperno, Bari. Marzi V., Tedone L., 2009: Fattori climatici e socio-economici nell’evoluzione del paesaggio AA.VV., 1996: Guide archeologiche Preistoria e agrario e forestale in ambiente mediterraneo. Protostoria, n. 11, Puglia e Basilicata, Forlì. Ital. J. Agron. / Riv. Agron., 4 Suppl.

AA.VV., 2005: Caratterizzazione e valutazione Seragnoli L., 2001-02: Il Neolitico, Dispense del della collezione di Farro, Consiglio Nazionale corso a.a. 2001-2002, Università Milano, Mila- delle Ricerche. Istituto di Genetica Vegetale, no. Cerignola.

AA.VV., 1999: Storia della Basilicata. 1. L’anti- chità a cura di Dinu Adamaesteanu, Bari.

Affuso A., Lorusso P., 2004: I processi di fermen- tazione cerealicola nel neolitico antico dell’Ita- lia sud-orientale. Nuovi dati archeobotanici (in corso di stampa). Congrés Intrnacional sobre la Cerveza a la Prehistòria i al Món Antic – Barce- Foto archivio Alsia lona (Catalunya, España).

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