PANO RAMI QUES VALLE d’AOSTA – VALLée d’AOSTE

D. GAGLIANONE

GIANFRANCO ROSI

NICOLAS PEREDA

A. FEDORCHENKO

Periodico semestrale – Sped. in a.p. – art. comma 20/c legge 662/96 – Filiale di Aosta – Tassa riscossa / Taxe perçue / Taxe riscossa – Tassa legge 662/96 – Filiale di Aosta – Sped. in a.p. art. comma 20/c Periodico semestrale ATHINA TSANGARI

CHRIS PETIT

S. PUSHPAKUMARA

PARK JUNG-BUM 51 I semestre 2011

Rivista di cinema edita dall’assessorato istruzione e cultura della regione autonoma valle d’aosta E éDITORIAL

Una rivista a misura d’uomo

Il numero 51 di “Panoramiques” cinema, arte che al suo interno con- Come bene testimonia il primo pia- vede la luce in concomitanza con la tiene un po' di teatro, un po' di pit- no del bambino valdostano in coper- seconda edizione di Babel. Festival tura, un po' di letteratura e un po' di tina. L'immagine – tratta da un pro- della parola in Valle d’Aosta, una musica. Semplificando si potrebbe getto che l'Assessorato Istruzione e manifestazione che ogni anno attor- dire che, prima di essere realizzato, Cultura della Regione autonoma Val- no ad un tema prestabilito (quest'an- il film è una somma di possibilità, le d'Aosta ha sostenuto e che presto no il coraggio) raggruppa le varie una «babele» di elementi che il re- vedrà la luce – racconta di una rivista arti. Anche il cinema contribuisce gista deve selezionare ed ordinare. che vuole essere a misura d'uomo, con una serie di proiezioni speciali, In questo modo, il cinema spesso un osservatorio su quanto accade in di incontri con attori e laboratori con riesce a essere uno specchio fedele paesi lontani (questo numero tocca gli studenti. Più che le singole attivi- della realtà contemporanea. Cinema nazioni come la Corea del Sud e Sri tà, ci piace però ricordare la filosofia come finestra sul mondo, dunque: Lanka, il Messico e la Russia), ma an- di fondo del festival: ovvero l'idea questa la linea guida di «Panorami- che nella nostra regione (si veda al di proporre una riflessione a 360°, ques». Conservare questa libertà di riguardo la ricca mappatura dei film cercando di superare barriere e stec- approccio e di pensiero non sarebbe in preparazione). Perché il mondo – cati e al contempo salvaguardando possibile senza la volontà da parte come ogni bambino impara fin dai le specificità. In un'epoca di estre- dell'amministrazione pubblica di primi anni della sua vita – inizia sem- ma specializzazione, di divisione e evitare ogni ingerenza pubblicitaria. pre sotto casa. Buona lettura e buon concorrenza tra le varie discipline, Non sono le star o gli effetti speciali viaggio in compagnia del cinema! ci sembra importante affermare che a campeggiare in prima pagina, ma la cultura è un bene condiviso e da le persone comuni, quelle che, se fil- Laurent Viérin condividere. mate con affetto e attenzione, sanno Assessore all'Istruzione e Cultura Questa è anche la nostra visione del dar prova di una straripante vitalità. della Regione autonoma Valle d'Aosta

L'io e il mondo. In origine il cinema- rispecchia questo stato di cose. Punto che ha al suo centro l'uomo, con le sue tografo nasce come annullamento di partenza è questa volta l'Italia, con paure, i suoi desideri, le sue violenze e dell'istanza soggettiva nella visione due autori che a nostro avviso merita- i suoi slanci di generosità. Allo sguar- di una realtà che si fa da sé (Lumière). no un riconoscimento da parte della do senza futuro di Sanjeewa Pushpa- L'illusione meccanica dettata dalle critica e del pubblico. Gianfranco Rosi kumara fa eco il bildung roman messo avanguardie si tradurrà nel corso degli e Daniele Gaglianone sono espressio- in scena da Athina Tsangari. Alla rifles- anni in un'arte della trasparenza, fino ne di quella parte di cinema italiano sione linguistica di Chris Petit rispon- a quando il cinema moderno determi- che esce con successo dai confini na- de i viaggi proposti da Nicolas Pereda nerà un rovesciamento dei piani, con zionali: il primo – dopo aver mostra- e Aleksei Fedorchenko. E' un cinema l'esibizione del soggetto. Da allora l'io to il suo ultimo film a Venezia – è in del mondo che salva le differenze e il mondo si sono spesso scambiati questi giorni oggetto di un omaggio al e rende possibile la comprensione i ruoli, fino a confondersi reciproca- «Cinéma du réel» di Parigi, il secondo dell'altro senza ridurlo ad un'immagi- mente. Oggi può capitare che generi ha presentato il suo ultimo lavoro in ne rassicurante. Lingua (quella parlata deputati all'espressione del mondo – concorso a Locarno. Pur con le dovu- dai personaggi) e linguaggio (la forma quale è il documentario – siano invasi te differenze, i due hanno un dato in di racconto scelta dai cineasti) sono il da racconti in prima persona, intimi e comune: con la loro prassi tendono a primo momento in cui questa alterità a volte anche ombelicali e che «au- scompaginare le categorie prefissa- è sperimentata: la varietà delle forme tori» riconosciuti scelgano di calcare te: fiction e documentario, cinema di – che le conversazioni bene mettono il terreno della Storia, confrontandosi impegno sociale e inchiesta politica, in evidenza – è la garanzia dello sta- con gli archivi (è il caso di tutta la ul- saggio fenomenologico e diario di to di salute di un cinema che anche in tima produzione di Marco Bellocchio) viaggio. Giusto per ricordare che se le un momento di crisi come questo non o adottando forme di racconto più im- definizioni, come le risposte, possono cessa di sorprendere. personali. rendere più saggi, sono le domande a Dal suo osservatorio privilegiato, cer- renderci più umani. Carlo Chatrian cando di cogliere le linee di fondo in- Su questo asse si inseriscono anche sieme ai segnali di novità emersi tanto gli altri incontri presentati in questo nel panorama della distribuzione ita- numero. Dalla Grecia a Sri Lanka, dalla liana quanto nel contesto sempre più Corea del Sud al Messico, dalla Russia ricco dei festival, «Panoramiques» all'Inghilterra, si snoda un percorso

panoramiques Editoriali 2

Année XXI, n°51 Revue de cinéma CINEMA EN NOIR ET ROUGE Agenda 4 Babel 5 Directeur Luciano Barisone La realtà filmata 6 In Valle e non solo 8

Rédacteur en chef Mappatura dei progetti documentari valdostani in fase di realizzazione 9 Carlo Chatrian Tra terra e cielo 13

SCHEDE Rédaction Raphaël Bixhain A propos d’Elly di Charlotte Garson 14 Alice Moroni Affetti e dispetti di Roberto Manassero 15 L’amore buio di Grazia Paganelli 16 Collaborateurs Bright Star di Silvia Colombo 17 Paolo Bertolin Charlotte Garson Copia conforme di Giuseppe Gariazzo 18 Alessandro Celi Mauro Gervasini Departures di Daniele Dottorini 19 Silvia Colombo Roberto Manassero Alexine Dayné Thierry Méranger Fantastic Mr Fox di Leonardo Gandini 20 Nora Demarchi Giona Nazzaro Fish Tank di Mauro Gervasini 21 Daniele Dottorini Grazia Paganelli Gorbaciof di Giuseppe Gariazzo 22 Simone Emiliani Daniela Persico Leonardo Gandini Cristina Piccino Les Herbes Folles di Thierry Méranger 23 Giuseppe Gariazzo Dario Zonta L’illusioniste di Thierry Méranger 24 di Mauro Gervasini 25 Propriété Ma che storia! di Alessandro Celi 26 Région autonome Vallée d’Aoste Miral di Giuseppe Gariazzo 27 Niente paura di Simone Emiliani 28 Direction et rédaction Non è ancora domani di Cristina Piccino 29 33, rue de – I – 11100 Aoste Le Père de mes enfants di Charlotte Garson 30 Tél. : +39 0165 26 17 90 Courriel : [email protected] La passione di Roberto Manassero 31 La pecora nera di Roberto Manassero 32

Administration Pietro di Giuseppe Gariazzo 33 Potiche – Quel genio di mia moglie di Simone Emiliani 34 La regina dei castelli di carta di Leonardo Gandinii 35 Il rifugio di Alexine Dayné 36 Le quattro volte di Cristina Piccino 37 Simon Konianski di Simone Emiliani 38 Somewhere di Daniela Persico 39 Tajabone di Daniela Persico 40 Le temps qu'il reste di Thierry Méranger 41 L'uomo nell'ombra di Daniele Dottorini 42 1, place Deffeyes – I-11100 Aoste Lo zio Boonmee che si ricorda delle sue vite precedenti di Grazia Paganelli 43 Tél. : +39 0165 27 34 13 / 32 Fax : +39 0165 27 33 96 FESTIVAL Courriel : [email protected] International Film Festival, Locarno 2010 Il passato che non passa. Ritratto di Daniele Gaglianone, Graphisme et mise en page di Giuseppe Gariazzo 44 Pier Francesco Grizi Da solo. Conversazione con Pietro Gaglianone, a cura di Carlo Chatrian 45 Charvensod (AO) – Italie Mostra Internazionale del Cinema, Venezia 2010 Impression Imprimerie Valdôtaine - Aoste Scrivere con il cinema. Ritratto di Gianfranco Rosi, di Dario Zonta 49 Una lezione sul male. Conversazione con Gianfranco Rosi,

Enregistrement au tribunal d’Aoste n°8/90 a cura di Carlo Chatrian 50 L'impronta della finzione. Conversazione con Nicolas Pereda, Revue semestrielle a cura di Roberto Manassero 54 Expédition par abonnement postal Art. 2, alinéa 20/c de la loi n°662/96 – Aoste Sulle tracce del passato. Conversazione con Aleksei Fedorchenko, a cura di Carlo Chatrian e Nora De Marchi 59 Pour recevoir Panoramiques Assessorat de l’éducation et de la culture La morte e la fanciulla. Conversazione con Athina Rachel Tsangari, Direction soutien et développement a cura di Daniela Persico e Alessandro Stellino 63 des activités culturelles, musicales, théâtrales et artistiques Festival dei Popoli, Firenze 2010 1 place Deffeyes – 11100 Aoste – Italie Courriel : [email protected] Dalla celluloide alla penna usb. Conversazione con Chris Petit, a cura di Giona A. Nazzaro 68 En couverture: Cahiers de Alessandro Stevanon Toute photo de tournage de Cahiers International Film Festival, Rotterdam 2011 © Simone Martinetto / Virginia Farina Come pesci all’amo. Conversazione con Sanjeewa Pushpakumara, a cura di Carlo Chatrian 71 Uno sguardo intriso di umanesimo. Conversazione con Park Jung-Bum, a cura di Paolo Bertolin 76 4 Cinema en noir et rouge

PREMIO MOGOL 2011 valle d’aosta Prix Mogol 2011 Vallée d’Aoste L’Assessorato Istruzione e Cultura, nell’ambito delle L’Assessorat de l’éducation et de la culture de la iniziative culturali promosse a favore della musica Région autonome Vallée d’Aoste, dans le cadre de ses popolare, organizza anche per l’anno 2011, il Premio initiatives culturelles visant à promouvoir la musique Mogol, in collaborazione con la Fondazione Istituto populaire, organise le Prix Mogol en collaboration avec Musicale della Valle d’Aosta e il CET-Centro Europeo di la Fondation Institut Musical de la Vallée d’Aoste et le Toscolano. CET – Centro Europeo di Toscolano. L’istituzione del Premio nasce dall’intesa che lega la La création du Prix naît de l’entente qui lie la Vallée Valle d’Aosta al più importante autore di testi della d’Aoste et le plus important auteur de textes de la musica italiana, Giulio Rapetti in arte Mogol, per questa musique italienne, Giulio Rapetti, alias Mogol, pour ed altre iniziative e che si fonda sul comune amore per cette initiative et d’autres, et qui se base sur un amour la cultura popolare e per le voci della terra a rischio commun pour la culture populaire et pour les voix de di estinzione. L’evento consiste nell’assegnazione di la terre en voie d’extinction. Cet événement consiste un premio di grande prestigio - un tatà d’oro, antico en l’attribution d’un prestigieux prix – un tatà en or, giocattolo della tradizione popolare valdostana - che ancien jouet de la tradition populaire valdôtaine – pour riconosce il migliore testo edito nel periodo 1° marzo le meilleur texte édité entre le 1er mars 2010 et le 28 2010 – 28 febbraio 2011 a livello nazionale. février 2011 au niveau national. Nella prima edizione il Premio Mogol è stato assegnato A l’occasion de la première édition, le Prix Mogol a été a Lorenzo Cherubini in arte Jovanotti, per il testo del remis à Lorenzo Cherubini, alias Jovanotti, pour le texte brano “Fango”, nell’edizione dell’anno scorso il premio de la chanson « Fango ». L’année dernière le prix a été è andato ex aequo a Edoardo Bennato con il testo “È attribué ex aequo à Edoardo Bennato pour « E lei » et lei” e a Simone Cristicchi con il brano “L’ultimo valzer”. Simone Cristicchi pour « L’ultimo valzer ».

Per ulteriori informazioni: Assessorato Istruzione e Cultura Direzione promozione beni e attività culturali Tel. 0165.273431

BABEL PREMIO MOGOL 21 aprile – 8 maggio 2011 Giugno 2011 Aosta Teatro Romano Aosta a g en d Cinema en noir et rouge 5

BABEL Aosta, 21 aprile - 8 maggio 2011

La parola torna a raccontare il mondo in Valle d’Aosta, in cui la letteratura incontra le eccellenze enologi- dal 21 aprile all’8 maggio prossimo. Babel, il nuovo che della Valle d’Aosta. E ancora, la formazione sulla Festival della parola in Valle d’Aosta, alla sua seconda poesia e sulla narrativa di BabeLab e gli allestimenti edizione, quest’anno si occuperà del coraggio, dopo sul ctema del coraggio e sulle parole della prima edi- aver raccontato la condizione dell’esilio (parola chia- zione di BabelPercorsi. Infine, i suoni di BabelMusica, ve e tema della prima edizione) con le voci, le imma- concerti legati al coraggio e ai linguaggi sonori del gini e i suoni di testimoni, scrittori, artisti. Organizza- mondo. Dunque, un Festival in cui la parola verrà de- to dall’Assessorato Istruzione e Cultura della Regione clinata nei diversi linguaggi della creatività e portata Autonoma Valle d’Aosta, Il Festival, che l’anno scorso in alcuni dei luoghi più suggestivi della Città e della ha ricevuto il riconoscimento di “Festival of Festi- regione. Un festival in cui ogni evento racconterà il vals” come miglior evento nella sezione “Le Regioni coraggio di ascoltare, di guardare, di parlare. Insieme dei Festival”, anche quest’anno trasformerà la piazza a musicisti, testimoni, scienziati. Chanoux in una grande libreria aperta e in un luogo in cui le idee si possano incontrare. Le due strutture allestite, Agorà (la libreria delle librerie della città) e Per ulteriori informazioni: la Casa di Babel (sede degli incontri ed eventi degli Assessorato Istruzione e Cultura autori e dei testimoni del Festival), accoglieranno le Direzione promozione beni e attività culturali parole di Babel e consentiranno l’incontro libero di Tel. 0165.273431 temi e riflessioni. Libero sarà anche l’accesso a tutti i luoghi ed eventi del festival, compresa naturalmente la libreria Agorà, dove si troveranno le principali no- vità editoriali, soprattutto legate al tema del corag- gio, fil rouge di questa seconda edizione. Con cui si confronteranno narratori, musicisti, testimoni, scien- ziati. Gli altri luoghi di Babel sono il Criptoportico Forense del Capoluogo, dove sono previsti incontri e proiezioni, il Centro Saint-Benin e l’Hotel des Etats, sede di laboratori di cinema e di poesia e scrittura. Ogni anno, il Festival presenta un mosaico di eventi e sezioni, ciascuna con la propria identità. BabelEco- le è la sezione dedicata alle Scuole, ai bambini e agli adolescenti, dai 5 ai 18 anni. BabelFilm è un momen- to fondamentale di riflessione sulla Parola e sul co- raggio. Cinema e documentario diventano strumenti di racconto e indagine della realtà, delle esperienze dei singoli, delle paure e delle speranze. Gli Assag- gi Letterari sono degustazioni animate dalla parola,

CERVINO CINEMOUNTAIN STRADE DEL CINEMA FILM FESTIVAL 5-12 agosto 2011 29 luglio – 7 agosto 2011 Teatro Romano Breuil-Cervinia e Valtournenche Aosta

Per informazioni: Per informazioni: tel. 0165 230528 tel. 0165 230528 email: [email protected] email: [email protected] www.cervinocinemountain.it www.stradedelcinema.it 66 La realtà filmata Osservazioni sul mondo delle immagini all’epoca di Youtube

qualunque latitudine lo dapprima postulato da film am- fungono da enorme imbuto in cui si immagini, il cinema bientati nel futuro (Strange Days), convogliare tutta la produzione, A documentario si basa su poi ipotizzato dalla scienza (tra- mi sono reso conto del grado di una forte relazione tra soggetto pianto di retina, innesti cerebra- consapevolezza da parte dei re- filmante e territorio. L'atto del li), sembra oggi definitivamente gisti o dei produttori rispetto alla filmare traduce un rapporto di scomparso. tipologia di film realizzato tanto appartenenza o risponde al de- Questo sistema, che presuppone che, al di là delle ovvie differen- siderio di conoscere una realtà come paradigma una percezione ze dovute a sensibilità, soggetto nuova. Ci sono cineasti che hanno delle cose legata alla loro rap- e strumenti produttivi, il film su- bisogno di partire e trovarsi al di presentazione audiovisiva, impo- bisce una torsione che lo porta fuori dei confini a loro noti e ce ne ne una forte omologazione delle abbastanza velocemente ad in- sono altri che invece non fanno immagini. Detto in altri termini: serirsi in una categoria. In poche che filmare lo stesso contesto da se è la realtà a doversi adattare inquadrature si comprende se il angolature diverse. In entrambi i al linguaggio audiovisivo, è ovvio documentario è stato pensato casi, fondante è il rapporto con il che questa si troverà in difficoltà per essere mostrato in televisio- reale così come esso si presenta a conservare la sua specificità. Ac- ne o in un circuito «art et essai», e come viene rielaborato dal film. cade così che, sebbene lo spettro se in un festival tematico o in un La volontà di raccontare passa at- dei soggetti rappresentati si allar- museo di arti plastiche. Questo traverso l'espressione di una data ghi a vista d'occhio (youtube e il discorso valido per ogni prodotto realtà (geografica, sociale, storica, suo corrispettivo statico «google audiovisivo diventa particolar- umana), quasi fosse un fonda- immagini» stanno aggiornando mente centrale nel caso di do- mento imprescindibile. La critica il progetto di una «enciclopedia cumentari che vogliono trattare oggi insiste molto su questa com- mundi» caro al Settecento) la ric- soggetti atipici o comunque che ponente «reale» del cinema (an- chezza e la diversità del mondo si si discostano dal modello antro- che di quello di finzione – se non riduca giorno dopo giorno. pico-urbano dominante. altro perché questo riceve sem- Una rapida scorsa ad un qualun- Se è ovvio che un film-maker non pre più fondi da enti legati ad un que portale d'immagini renderà può e non deve obliterare il suo determinato territorio); senza per evidente quella che è una forte sguardo è altrettanto importante interrogarsi su che cosa consista omologazione in termini di moda- che il suo bagaglio tecnico non questa «realtà filmata». Se pare lità di racconto ma anche di com- sia d'ostacolo all'incontro con il ovvio che essa non coincida con posizione delle immagini. Anche reale. Oggi lo sviluppo delle tec- la realtà tout court è altrettanto nel sistema produttivo e distribu- nologie leggere permette di an- indubitabile che il mondo in cui tivo attuale, ordinato in categorie nullare o quasi le difficoltà o le viviamo ha prodotto uno slitta- piuttosto rigide, è come se siano regole dettate dal territorio. Gira- mento di senso, per cui il fatto che in atto dei taciti codici linguistici re in montagna – giusto per fare un corpo o un luogo sia filmato, che se da un lato rendono imme- un esempio – non pone più un ripreso, catturato in un'immagine, diatamente riconoscibile il film problema di ordine tecnico; anzi non costituisce più un problema dall'altro ne riducono la portata anche in un contesto «impervio» epistemologico. Essere filmato creativa. Lavorando da qualche si possono adottare le stesse so- equivale ad essere. Il diaframma tempo come selezionatore per luzioni di ripresa utilizzate in cit- che separa l'occhio dall'obiettivo, i festival del cinema, che spesso tà. Questo dato di fatto mi sembra La realtà filmata Cinema en noir et rouge 7 Osservazioni sul mondo delle immagini all’epoca di Youtube

il primo passo verso la riduzione venire nelle consuetudini della conto della seconda si rischia di delle differenze che invece nella casa, senza però arrivare a scon- non mostrare nulla. Per essere in realtà ancora esistono. Tradurre volgerne. Altrimenti da ospite di- grado di rispondere nel migliore uno spazio reale in uno spazio venta occupatore. dei modi a questa sfida una dupli- cinematografico comporta innan- Nel momento in cui ci si appresta ce strada s'impone: da una parte è zitutto la conoscenza del primo. a varare un progetto che vuole auspicabile un percorso continuo Aldilà dell'intervento necessario raccontare un territorio attraverso di formazione che tenga i cineasti del regista in fase di selezione e le immagini audiovisive (lo stes- aggiornati su quanto accade nel composizione del materiale, so discorso andrebbe fatto per mondo del cinema documentario, fare del cinema documen- la componente sonora) è fonda- sulle modalità di produzione ma tario impone il rispetto mentale tenere presente questa anche sui risultati più interessan- della realtà filmata. Tale prospettiva: è necessario da una ti che di anno in anno modificano rispetto è dovuto al parte conoscere e bene indivi- il mercato; dall'altro è altrettanto fatto che il reale pre- duare le indicazione del mer- fondamentale avere un rapporto esiste allo sguardo cato, dall'altra trovare il modo stretto con chi il territorio lo co- del cinema. Come per restituire le caratteristiche nosce da tempo, lo vive giorno un ospite invitato del territorio. Se non si tiene dopo giorno e lo traduce in gesti, a cena, il cine- conto della prima condizione azioni, oggetti. asta può arri- si rischia di avere un film che vare a inter- nessuno vedrà, se non si tiene Carlo Chatrian

Life in a Day In VaCinemalle Een nonnoir e tso rouloge 8 Linee guida per una politica legata al settore cinematografico

n concomitanza con la creazione una altissima visibilità alla nostra Re- ker. Ci sembra oltremodo importan- della «Film Commission Vallée gione. Ora che si è aperto un varco ci te, infatti, sottolineare come i film I d'Aoste» e nell'ambito del più sembra importante andare a definire da noi prodotti, più altri che stanno ampio progetto di incentivare il set- con dei progetti mirati (come target vedendo la luce in modo autonomo, tore audiovisivo in Valle, l'assessora- di riferimento) alcune tra le peculia- siano il frutto di un progetto creativo to Istruzione e Cultura della Regione rità del nostro patrimonio. autoctono e per di più legato ad una autonoma Valle d'Aosta ha recente- Innanzitutto, si è pensato al recupero nuova generazione di cineasti. Que- mente dato avvio ad una serie di pro- e la messa in evidenza di luoghi e tra- sto ci sembra un dato positivo molto getti audiovisivi volti a promuovere dizioni poco noti allo stesso pubblico importante che rispecchia una co- il territorio e il suo patrimonio, ma- valdostano. In questo senso, molto munità in movimento – soprattutto teriale e immateriale. Come si potrà più della finzione il documentario è perché il cinema stesso sta attraver- leggere nelle pagine che seguono di- il linguaggio che meglio si presta a sando un grande periodo di cambia- versi film sono in preparazione nella restituire la ricchezza di una cultura menti produttivi, estetici e distributi- nostra Regione e in molti di questi sottoposta a forti pressioni dal con- vi. Fedeli ad un pensiero che coniuga il nostro intervento è stato deter- testo globalizzato. Se l'appeal della i vantaggi di una facilità d'accesso minante quale motore (non solo fiction è innegabile è altrettanto vero alle informazioni, alle novità offer- economico). Si tratta di opere che a che i suoi prodotti si esauriscono te dalla tecnologia (la leggerezza e vario titolo intendono raccontare il nello spazio di una stagione; il do- professionalità del digitale, innanzi- nostro territorio attraverso prospet- cumentario etnografico e ancor più tutto), con l'attenzione al territorio tive personali e storiche, pedagogi- quello di creazione – che spesso si di appartenenza siamo fiduciosi che che e politiche. contamina con la finzione – riesce in- questo spazio concesso ai giovani È questo un livello d'azione comple- vece ad aggirare la velocità di consu- non potrà che portare i suoi frutti sul mentare a quello già attivato con il mo determinata dal mercato. Detto territorio. E non solo. L'auspicio è che sostegno a produzioni cinematogra- in altre parole: se ben realizzati, i film questa generazione di cineasti abbia fiche o fiction televisive di più alto documentari sono visti da meno per- la forza per uscire dai confini regio- respiro. Il film di Lucio Pellegrini,Figli sone ma per una durata molto mag- nali (alcuni di loro lo hanno già fatto) delle stelle, uscito in oltre 200 sale a giore. E i fantastici archivi che possie- e proporsi in modo competitivo sul ottobre 2010 e la fiction televisiva de la Regione (il fondo Novaro-Tillot, mercato internazionale, veicolando Fuoriclasse, la cui puntata «valdo- in primis) sono lì a dimostrarlo. sempre la base della nostra cultura e stana» (andata in onda domenica 13 L'altro aspetto che caratterizza la fi- del nostro modo di essere. febbraio 2011) è stata vista da oltre losofia di questo piano d'intervento 7 milioni di persone hanno garantito è il sostegno dato ai giovani filmma- Laurent Viérin

sul set di Fuoriclasse MAPPATURA Dei progetti documentari valdostani 9 in fase di realizzazione.

er essere efficace, un pro- aiutare la trasmissione delle sue necessitano di un tempo di produ- getto di promozione di un caratteristiche intrinseche. zione maggiore. La maggior parte P territorio deve articolarsi Parallelamente a questo percorso, sono il frutto di una collaborazio- su un doppio binario: da un lato l’Assessorato Istruzione e Cultu- ne tra enti pubblici e creatività dei è necessario coinvolgere e stimo- ra della Regione autonoma Valle singoli e intendono raccontare la lare grosse produzioni capaci di d’Aosta ha avviato già da qualche Valle d’Aosta da diverse angolatu- veicolare l’immagine ad un largo anno un progetto di sostegno e di re, etnografica, storica, antropolo- numero di persone, dall’altro è supporto ai giovani filmmaker val- gica, culturale… Senza esprimere però altrettanto necessario mette- dostani, tramite un programma di un giudizio di merito (allo stato re in atto un processo di sensibiliz- produzioni e aiuti. Alcuni registi delle cose impossibile) abbiamo zazione e di sviluppo della realtà sono così riusciti a varcare i con- voluto presentarne alcuni con agili imprenditoriale locale. Questo se- fini regionali facendosi notare in schede per fornire alcuni elemen- condo aspetto, meno appariscen- festival internazionali (Locarno, ti d’insieme di una realtà che sta te, è tuttavia fondamentale per Firenze, Trento ma anche Ban- iniziando a raccogliere la sfida di due ragioni: primo per far sfrutta- fin e Tokyo). Attualmente diversi raccontare se stessa. Alcuni pro- re al meglio l’indotto creato dalla progetti stanno interessando il getti per varie ragioni – di spazio, presenza di una grossa produzio- territorio valdostano: alcuni sono di tempistica, di opportunità – non ne, secondo perché l’impiego di in fase di progettualità, altri sono sono stati inclusi nella presente professionalità locali che bene co- già in uno stadio più avanzato, al- sezione. Ci piace però elencarli in noscono il territorio non può che cuni vedranno la luce a breve, altri attesa di ritrovarli realizzati.

La mano nel Hurzeler, le dernier Le ore. cappello chercheur d’or Lumière rétrouvée di Paola Colliard di Pietro Giglio e Pietro Taldo di Michelangelo Buffa terminato in produzione in pre-produzione Un diario di lavoro filmato sul la- Partendo dal romanzo Le Jardin Una meditazione sul fluire, sulla boratorio teatrale condotto dall'at- du Miage di Franco Hurzeler percezione dell'immagine nella tore e regista Rodolfo Ceschia con Revel, la docu-fiction racconta sua trasparenza, temporalità, re- gli utenti dell'Unità Operativa di il tentativo di sfruttamento della sistenza. Il richiamo di un cinema Educativa Territoriale Handicap del miniera di Tete Carrée da parte essenziale, rispettoso dello spa- Comune di Novara. di Emile e Jean Hurzeler e di zio/tempo. Louis Bareux, un episodio carico di fascino, di suggestione e di commozione.

La superficie Emilio In cerca del Movie del mare di Paola Colliard di Joseph Péaquin di Michelangelo Buffa in produzione in produzione in produzione "E poiché la vita è alla superficie In quattro stagioni, la vita di Emi- Un video indagine sulle tracce di e nel profondo, così il mistero lio, ultimo abitante della frazio- quello che fu, a Torino, il cineclub della vita può essere afferrato ne "Suisse" di Chamois. più importante e frequentato nel solo congiungendo le due cose”. suo decennio di vita. Ritratti, volti A partire da questa suggestione e voci di coloro che hanno orga- di Hugo von Hoffmannstal, nasce nizzato, gestito, frequentato il il desiderio di un contatto fisico, “MovieClub”. sensoriale con il mondo: gli ele- menti, le creature, le cose… VALLE D'AOSTA work in progress

CAHIERS di Alessandro Stevanon

Scheda tecnica primo premio al Festival Nazionale scuola primaria durante il periodo Regia: Alessandro Stevanon. Foto- del Cortometraggio organizzato da invernale. L’idea è di creare un rac- grafia: Michele D’Attanasio (A.I.C.). Cinecittà e ANICA. conto di formazione dove ambien- Suono in presa diretta: Alessandro Nel 2004 fonda la società Ezechiele te naturale e ambiente scolastico Bianchi. Montaggio: Marco Spo- 25:17 Film Production per la quale dialogano perché direttamente letini (A.M.C.). Fotografo di scena: dirige cortometraggi, videoclip e coinvolti l’uno con l’altro. Simone Martinetto. Formato: Digi- spot pubblicitari. Dal punto di vista produttivo, il tal Cinema 2K from Arri Alexa. Au- Dal 2009 si dedica anche alla pro- progetto sceglie un approccio di- dio: Dolby Digital 5.1. Produzione: duzione di documentari con la re- verso rispetto al modello «film- Assessorato Regionale Istruzione alizzazione dei film Aquiloni Con- maker», si avvale di un’equipe e Cultura – RAVA, Ezechiele 25:17 trovento e The Wounded Land che di professionisti (direttore della Film Production. vedranno la luce nel 2011. fotografia, fonico in presa diret- ta, montatore…) per realizzare un Profilo del regista Il progetto prodotto dalle alte qualità tecni- Alessandro Stevanon nasce a Aosta I protagonisti di questo film sono che e che vada oltre il semplice nel 1982. Si diploma presso l’istitu- tredici bambini che vivono e vanno documentare. to per la Cinematografia R. Rosselli- a scuola in due piccoli comuni mon- ni di Roma nel 2004. In quegli anni tani della Valle d’Aosta: Gressoney Durata delle riprese: inizia le sue prime esperienze come La Trinité e Rhemes Notre Dame. Le riprese si sono svolte dal 10 assistente alla regia in alcune pro- Il film è strutturato come un raccon- gennaio al 6 febbraio 2011 per duzioni romane. Nel 2003 dirige to in parallelo del quotidiano tra le una durata complessiva di 4 set- il corto Niet No Nein che gli vale il vite degli alunni che frequentano la timane. 11

IL CACCIATORE di Marcello Vai (titolo provvisorio)

Scheda tecnica ministrazioni pubbliche. Dal 2009 tempo sembra non avere peso e Regia: Marcello Vai. Produzione: cura la programmazione del cine- l’armonioso equilibrio del mon- Moebius Film. ma Palanoir di Courmayeur. do continua a rivivere nei ricordi Oltre ad alcuni video industriali, ancestrali, attraverso i quali vie- Profilo del regista tra i suoi lavori citiamo alcuni do- ne costruito l’atavico rapporto fra Nato nel 1974 ad Aosta, Marcello cumentari quali Il Parco del Monte l’uomo e la natura. Volti, storie, Vai è dottore in Lettere e Filosofia, Avic (2005), Frammenti – Carlo maschere di un mondo altro, che DAMS cinema. Dal 1995 lavora Tassi (2006), Storia in un killer di male si sposa con la quotidianità come tecnico di ripresa e montato- polli (2010), Il cacciatore (2011) alla quale siamo abituati, fatto di re; nel 1998 nasce l’Associazione e le fiction Iustitia (1997), Split echi lontani che riempiono le val- Culturale «Isoticam» che produce 7 (2004), Mille non più mille (2001) li alpine e che, in parte, conser- cortometraggi in pellicola, 35mm, e La Tempêta (2006). vano la memoria dei luoghi. Una 16mm, Super8, un documentario storia crudele ed entusiasmante e alcuni video industriali. Nel 2005 Il progetto come la vita. fonda la Moebius Films. Un percorso si snoda lungo i sentie- Nel 2007 è docente di teoria del- ri della Valle d’Aosta, per presentar- la comunicazione all’interno del ci la caccia attraverso i suoi prota- Durata delle riprese: corso «Comunicare per esserci» e gonisti. L’eterna sfida tra l’uomo e 5 anni, condizionati dalla stagione negli anni successivi è docente di la natura. venatoria di circa 4 mesi tra autun- laboratori audiovisivi per FSE e Am- Terre aspre e affascinanti dove il no e inverno.

SENTIERI DI LIBERTÀ di Gian Luca Rossi e Margherita Sergi

Scheda tecnica dotta per Rai-Vda. colo teatrale Dell’importanza di Regia, riprese, montaggio: Gian Nel 2008 ha esordito nelle sale chiamarsi Norberto, scritto e diret- Luca Rossi, Margherita Sergi. Pro- cinematografiche con il lungome- to da Gian Luca Rossi e dello spet- duzione: Assessorato Regionale traggio Ho ammazzato Berlusco- tacolo di Agnese Molinaro Sentieri Istruzione e Cultura – RAVA. Pro- ni, scritto e diretto con Daniele di Libertà. duzione esecutiva: Margherita Giometto. Da quindici anni svolge Sergi. Immagini d’archivio: Istituto attività di formazione ai mestieri Il progetto storico della Resistenza, RAI VDA, dello spettacolo attraverso scuole, Il documentario rievoca le vicende Archivi dell’Assessorato Istruzione corsi e laboratori. della resistenza in Valle d’Aosta, e Cultura della Regione autonoma Margherita Sergi. E’ iscritta al Cor- attraverso le testimonianze di al- Valle d'Aosta so di Laurea in D.A.M.S., indirizzo cuni partigiani, foto e filmati d’e- Teatro, presso l’Università degli poca e frammenti dello spettacolo Profilo dei registi Studi di Torino. Ha partecipato a teatrale itinerante I sentieri della Gian Luca Rossi. Diplomato in re- diversi stage nell’ambito dei Festi- Libertà, realizzato dalla coopera- gia cinematografica all’ ESEC di val di Mons, Namur e Noir in Festi- tiva HABITAT e dalla associazione Parigi ed in regia teatrale al Cen- val di Courmayeur. culturale ADRET per i ragazzi delle tro Internazionale La Cometa di Nel 2007 ha recitato nello spetta- scuole valdostane nella primavera Roma, ha studiato recitazione con colo teatrale Morte di Minotauro, 2010 sui luoghi della resistenza al Nikolaj Karpov, Alan Woodhouse, realizzato dall’associazione cul- nazi-fascismo. Irina Promptova, Ugo Chiti e Gio- turale «Mamima Swam» e «Re- Il documentario è rivolto in primo vanni Lombardo Radice. plicante teatro». In seguito, ha luogo agli studenti delle scuole se- Ha diretto spettacoli teatrali, cor- partecipato al progetto «Nuovo condarie e superiori della nostra tometraggi, documentari (Fra’ attore, Nuova Attrice-Progetto in- regione, per permettere loro di co- Dolcino – Ribelle in Cristo, Apolo- terregionale Teatro» ed al corso di noscere le vicende e le ragioni che gia di una Follia, Un menestrel, gi- formazione «Atelierimages», rea- hanno portato tanti ragazzi degli rato, montato e diretto a sei mani lizzando il cortometraggio Camera anni quaranta ad abbracciare le con Luca Bich e Valeria Allievi) e il Oscura. armi ed dare il proprio contributo magazine televisivo Zero in Con- È stata aiuto regista dello spetta- alla lotta di liberazione. 12

JE ME SOUVIENS di Daniele Giometto (titolo provvisorio)

Scheda tecnica si occupa di montaggio e post-pro- descrivere l’applicazione della leg- Regia, Montaggio e produzione: duzione. ge 101, adottata nel 1977 (Carta Daniele Giometto. Fotografia: Luca Dal 2006 al 2008, scrive e dirige, della lingua francese). Ripercorrere Bich, Gianluca Rossi insieme al regista valdostano Gian- i giorni precedenti e successivi al Fonico: Andrea Brugnoli. Produzio- luca Rossi, il film Ho ammazzato referendum sull’indipendenza del ne: Assessorato Regionale Istruzio- Berlusconi. 30 ottobre 1995 attraverso le testi- ne e Cultura – RAVA monianze di artisti sul referendum Il progetto: stesso e sulla politica di protezione Profilo del regista Viva il Quebec libero! Il racconto di della lingua francese. Soffermarsi Daniele Giometto nato ad Aosta il un paese e della sua particolarità in infine sull’aspetto naturalistico del 31 agosto 1977. Frequenta l’Istitut alcuni momenti selezionati, comin- territorio, sulle tradizioni culinarie e des Arts de Diffusion, a Louvin-la- ciando dal discorso di Charles de sulla febbre dell’hockey. Neuve in Belgio dal 1999 al 2003. Gaulle a Montréal, nel 1967, per ar- Nel 2004 lavora come segretario rivare ai giorni nostri, accompagnati Durata delle riprese: di edizione per il film Hotdogs di da diverse testimonianze di persone Dal 21 di marzo al 5 di aprile 2011 à Frédéric Brival. Tra il 2004 e il 2005 locali, famose e non. Approfondire e Montréal e a Quebec.

LE LIBRAIRE DE BELFAST & AUTRES HISTOIRES de Alessandra Celesia

John Clancy était libraire. Il a dû Mon film s’intéresse à ceux qui sprit d'une communauté, une fermer son magasin de livres d’oc- ont été laissés aux marges par culture longtemps confrontée à casion à cause de la flambée des cette vague de capitalisme sau- la violence, en quête d'une nou- loyers du centre de Belfast. Il vit vage, qui a eu sur la ville l’im- velle identité. tout seul dans une maison en bri- pact d’un tremblement de terre. ques, au milieu de ses quatre mille Réduits sur un territoire toujours En production volumes invendus. plus restreint, on retrouve l'e- tra terra e cielo Cinema en noir et rouge 13

Regia: Joseph Péaquin. Montaggio: Valentina Andreoli. Sound design: Ric- cardo Spagnol. Mixage: Paolo Segat. Produzione: Assessorato Istruzione e Cultura della Regione Autonoma Valle d’Aosta - Programma europeo Alcotra 2007-2013. Co-produzione: Docfilm. Paese: Italia. Anno: 2010. Durata: 72 minuti.

Poco alla volta, misurando il proprio la successiva. ta sull’esistenza); qui l’universo delle passo, Joseph Péaquin sta dando for- Ciò che si può e si deve documentare piante medicinali è la porta d’entrata ma ad una personale cartografia. La è innanzitutto un’esperienza (e quale all’incontro con il dolore. Dapprima «sua terra» non coincide con alte vet- esperienza più grande della malattia rimossa nell’immagine dei bambini e te o lontani esotici; e neppure è così e della guarigione?). Per farlo bisogna poi malamente occultata dalla serenità importante la definizione di un territo- sapere di cosa si parla; solo così si può promessa dalle pubblicità, la sofferen- rio alpino, per quanto ormai il regista avere la certezza di rispettare l’integri- za entra prepotentemente in campo valdostano ne padroneggi la geome- tà di chi ci affida quel momento. Che con il personaggio di Louis. Il suo con- tria; il senso del procedere è racchiuso si tratti di un piccolo reportage o di un tinuo, silenzioso, borbottio prelude ad nell’attenzione con cui ogni suo film lavoro di più ampio respiro l’onestà nel altro, una crepa ben più profonda che costruisce uno spazio dell’anima. Che filmare i propri soggetti resta immutata. il film si guarderà bene dallo svelare. si tratti di cibo, di camminate o di me- Con questo nocciolo duro e irriducibile Il fondo fragile su cui poggia la nostra dicina, lo sguardo di Péaquin cerca di si confronta chi fa documentario. Come esistenza è come messo in rilievo dal andare oltre la superficie delle cose per a dire che, a dispetto di tecniche, tec- lavoro di Louis e Nelly. Ci vuole poco a coglierne il significato profondo, quello nologie e forme linguistiche adottate, scivolare nella malattia; e forse ci vuole che riesce ad esprimere la verità di un un documentario lo si riconosce dal poco a risalirne. Il professore etnologo personaggio, di un luogo, di una situa- fatto che la realtà (filmata) preesiste Caccialanza offre al riguardo un’imma- zione. Questo salto nell’intimo avviene allo sguardo di chi la filma e in quanto gine di rara potenza, quella che vede i in modo graduale e si concretizza in tale non è sottomessa alle logiche del pigmei piegati a cercare qualcosa tra il dettagli spesso ordinari. In fondo si ha racconto e della messa in scena. Basta nero delle radici di un albero della fore- l’impressione che tutta la macchina ca- vedere il modo in cui irrompe l’immagi- sta. Sospesi verso il buio: non si sa se in librata con estrema cura tenda a ritrova- ne d’archivio della «Geppina» nel film. cerca di qualcosa o risucchiati da esso. re attimi tanto semplici come il calcare La grana povera, il taglio da reportage Tra terra e cielo è un film che fluttua la neve in In un altro mondo o una zuppa dell’inquadratura nulla tolgono alla for- tra mondi opposti. La Valle d’Aosta e che cuoce in Les delices du petit monde. za del personaggio che è tutta lì, cattu- la foresta equatoriale, l’industria del E’ proprio un progetto più complesso rata per sempre nell’immagine. benessere e l’iconografia medievale, e articolato nella sua struttura come Come gli altri film di Péaquin anche Tra le riflessioni di un etnologo e il sape- Tra terra e cielo a svelare questo «pen- terra e cielo finge di parlare di una cosa re tramandato di madre in figlia. E’ un chant». Come spiegare altrimenti la quando in realtà ne allude ad un’altra. film che ha protagonisti semplici, ca- scelta di aprire un film, che avrebbe In Les delices du petit monde l’autarchia paci di sfoderare un sorriso disarmante potuto giocare sull’appeal di un sog- alimentare di una famiglia era il prete- mentre curano con la forza delle mani. getto molto alla moda (l’alimentazione sto per descrivere una favola alla Phi- Nella loro singolarità sono dei perfetti biologica, la medicina naturale), con libert, un mondo in cui l’utopia ha per cittadini del XXI° secolo. Sono persone una sequenza dedicata a bambini che una volta trovato il suo posto tra le cose che abitano il presente, pur restando ad occhi chiusi imparano ad ascoltare della terra; in In un altro mondo il diario immuni dalle sue più acute degenera- il vento? Il documentario di Péaquin di un guardia-parco diventava l’occa- zioni. Sono persone che si prendono non è occasione per svelare verità sco- sione per una sorta di «memorie dal cura di sé. E arrivano talvolta a curare mode: il business del naturale – con sottosuolo», in cui più che di tensione gli altri. Stanno tra terra e cielo. In un tanto di supermercati e imprese che si verso l’altro si finiva per guardare sot- mondo che è il nostro. O che potrebbe camuffano con nomi «verdeggianti» – to i nostri piedi (si ricordi, al riguardo, esserlo. occupa lo spazio di una sequenza; giu- l’immagine conclusiva dello stambec- sto per fare il raccordo tra una scena e co, vibrante come un’ombra proietta- Carlo Chatrian il giro del mondo in 60 film saison culturelle 14 A PROPOS D’ELLY… Darbareye Elly

Réalisation, scenario : Ashgar Farhadi. Im- age : Hossein Jafarian. Montage : Hayedeh Safiyari.Interpretes : Golshifteh Farahani, Taraneh Alidusti, , Merila Zarei, Manih Haghighi, Peyman Moadi, Rana Azadivar. Production : Simaye Mehr. Distribution : Mediaplex Italia. Pays : . Année : 2009. Durée : 116 minutes.

Ils sont jeunes, parents, éduqués et tails, montage volontiers elliptique et L’Avventura de Michelangelo Anto- plutôt riches : une joyeuse caravane cadrage très posé cèdent le pas chez nioni : car la mystérieuse Elly, que l’on d’amis, 4 x 4 et BMW rouge en tête Farhadi à une fluidité, un effacement voit mentir au téléphone à sa mère de cortège, a quitté le décor urbain volontaire du travail de filmage et de et annoncer son retour avant la fin de son quotidien… et de la plupart montage. Formé au théâtre autant du week-end, passe du mystère à la des films iraniens de ces dernières qu’au cinéma, le jeune cinéaste déjà disparition. Seul le dernier plan qui la années. Destination : un week-end à auteur de La Fête du feu s’intéresse montre se rapproche d’un cinéma ira- la mer avec femmes et enfants. Dans avant tout aux acteurs. La souplesse nien post-Kiarostami : souriante pour la surexcitation générale, seule une de sa mise en scène met tous les la première fois, captivée par le jeu, jeune femme paraît plus effacée. Elly personnages à égalité. Il offre ainsi la jeune femme guide un cerf-volant (Taraneh Alidusti) ne fait pas encore une radiographie subtile du couple au-dessus de l’eau. Bientôt le fil qui partie du groupe même si elle est du moderne iranien, loin des préjugés la relie à la vie, au monde social et voyage. Les anciens copains de fac de soumission de la femme (ou de aux relations qu’elle cache à ses nou- ont beau être des parents respon- leur revers fantasmé : le matriarcat) veaux « amis » se rompra, dans une sables et autonomes, cette fois-ci, ils que le durcissement sociopolitique coupe, une ellipse, loin des regards. s’en sont remis pour l’organisation du pays ces dernières années a en- Sa disparition détricote la belle en- à l’une d’entre eux, la belle Sepideh couragés en Occident. Moins qu’un tente du groupe de fêtards enjoués, (Golshifteh Farahani, connue pour rapport de pouvoir affiché, les rela- qui s’aperçoivent qu’aucun d’entre son rôle dans Ennemi d’Etat de Ridley tions hommes-femmes sont un jeu de eux, même Sepideh, ne la connais- Scott, qui lui a valu des ennuis en ping-pong par lequel mari et femme sait vraiment. Même son nom de Iran). Sepideh veut bien faire mais il se rejettent sans cesse la responsabi- famille et le prénom dont « Elly » est y a des couacs : la villa attendue, pas lité des décisions. A un moment, Amir, l’abréviation leur échappent. Devant disponible comme prévu, est rem- le mari de Sepideh, bouleversé et la désintégration du groupe, on se placée au pied levé par une maison furieux, frappe sa femme avant de lâ- prend à repenser à l’intrigue comme ouverte aux quatre vents, décatie cher à un ami : « Elle m’a forcé à lever à une série de mensonges : Sepideh et poussiéreuse. Mais qu’importe, la main sur elle ! ». Moins avoué, plus n’a-t-elle pas dit à la dame qui s’oc- puisqu’elle donne de plain-pied sur retors et intellectuellement « justi- cupe de la maison qu’Elly et Ahmad la plage ! C’est aussi Sepideh qui a fié » que dans la génération de leurs sont de jeunes mariés et ce voyage, convaincu Elly, l’institutrice de sa parents, le machisme traditionnel « un peu leur lune de miel » ? Ce men- fille, à prendre part à l’aventure. Le refait surface chez ces jeunes gens songe inaugural, fait pour préserver but ? Lui présenter dans une atmos- libéraux, et l’auteur-réalisateur ne les bonnes mœurs, s’était attiré des phère détendue Ahmed, l’un des amis manque pas de souligner ce travers. « you-yous » et des bons vœux immé- qui vient de divorcer en Allemagne Car dans ce huis-clos qui a la particu- rités, dans la gêne générale. Qui, dans et cherche épouse en Iran… où il ne larité d’être plein de courant d’airs et ce groupe de trentenaires libérés, est passe que dix jours. de s’ouvrir sur le grand large, c’est à prêt à défendre la liberté de mœurs ? D’emblée, le scénario comme la mise une énumération des hypocrisies de Sans emprunter la route codée de en scène de Ashgar Farhadi (né en cette classe moyenne éduquée que la fable ou de la parabole, A propos 1972) l’inscrivent assez loin du ci- se livrent les dialogues. d’Elly désigne le mensonge comme néma iranien de la génération qui l’a Pourtant, A propos d’Elly n’est pas acte de parole le plus répandu dans précédé : longs plans sur un paysage seulement la transposition ciné- une société aussi vaste et déglinguée où se détache une figure perdue dans matographique d’une dynamique que la grande et belle maison louée son environnement, histoires à la de groupe toute théâtrale. C’est par le groupe d’amis. simplicité enfantine qui permettent aussi une tragédie, une réécriture de se pencher sur la grâce des dé- iranienne (et psychologique) de Charlotte Garson il giro del mondo saison culturelle in 60 film 15 AFFETTI E DISPETTI La nana

Regia: Sebastián Silva. Sceneggiatura: Se- bastián Silva, Pedro Peirano. Fotografia: Sergio Armstrong. Montaggio: Danielle Fillios. Musica: Pedro Soubercaseaux. Interpreti: Catalina Saavedra, Claudia Celedón, Alejandro Goic, Andrea García- Huidobro, Mariana Loyola, Agustín Silva, Darok Orellana, Sebastián La Rivera. Pro- duzione: Tiburón Filmes e Punto Guion Punto Producciones. Distribuzione: Bole- ro Film. Anno: 2009. Paese: Cile. Durata: 94 minuti.

Certo cinema dei paesi dell’Ameri- ama, privata di una vita autonoma. regole riconosciute. Il film raccon- ca Latina non sembra essersi libe- Raquel non esiste al di fuori del- terà la conquista di un’identità, ma rato dal peso di uno sguardo ine- la casa in cui lavora. è un oggetto solo per far risaltare all’opposto la vitabilmente politico: un residuo al pari dei pavimenti che lava, dei violenza sottile e inconsapevole di dell’idealismo represso nel sangue letti che sistema, dei soprammobili chi da sempre imprigiona un essere negli anni ‘70 e poi soffocato dalla che spolvera; è una superficie mo- umano. realpolitik dei decenni successivi. nocorde, come suggerisce l’incredi- È chiaro che l’unica persona in gra- Una tensione irrisolta attraversa il bile volto senza espressione della do di avviare il processo di rinascita continente, dal Messico all’Argen- bravissima Catalina Saavedra, sulla di Raquel non sarà una borghese, tina, riconoscendo nella ricca bor- quale i suoi padroni hanno forgiato bensì una donna d’estrazione popo- ghesia bianca una colpa che da sto- la figura della serva ideale. lare; una figura rivoluzionaria che rica si è fatta atavica e naturale. E Come uno spettacolo di commedia non porterà presso i Valdez lo spi- se nel cinema di Lucrecia Martel (La dell’arte aggiornato al realismo di rito della distruzione (come invece niña santa, La donna senza testa) la ogni moderna rappresentazione, succedeva negli anni Sessanta con casta benestante è vittima di una Affetti e dispetti non delinea perso- il Teorema pasoliniano), ma la sola crisi d’identità che supera origini naggi ma maschere, non mette in arma che il muro di gomma della di tipo sociale e in un film come La scena relazioni ma situazioni, con società borghese non abbia anco- zona (per rimanere a opere distri- l’intento di fornire messaggi preci- ra imparato ad assorbire: l’alterità, buite in Italia) il problema della si sul significato morale dell’opera. dal momento che la rivoluzione disparità tra ricchi e poveri genera Nella sua immediatezza e lettera- sessuale e la fantasia al potere, un barriere assassine; nel cileno Affetti rietà risiedono la sua forza e il suo tempo nemici giurati dell’«establi- e dispetti la disamina dell’appagata limite, figli di un’impostazione mili- shment», oggi sono state ampia- e irrispettosa borghesia metropo- tante che per forza di cose è sentita mente assorbite e sfruttate. Lucy, litana passa attraverso la presenza ancora come necessaria in America la cuoca e cameriera assunta per af- di un oggetto estraneo eppure de- Latina. Non è un caso, in fondo, che fiancare Raquel, l’unica in grado di terminante. Un oggetto che non in- il film si apra con una scena che è resistere alle trame imbastite dalla nesca bombe o rivoluzioni, ma che, il ribaltamento di una normalità domestica per conservare il proprio con la sua sola presenza, modifica acquisita: Raquel festeggiata dalla posto, toglierà la maschera dell’im- la rappresentazione di un mondo famiglia di cui è domestica, ma solo posizione e rivelerà una personali- tanto ricco quanto violento. per pochi minuti e con la donna tà celata da anni di compromesso. E La «nana» del titolo originale – che rifiuta le attenzioni rivolte. È la lo farà parlando il linguaggio della cioè, traducendo, la domestica, la vecchia metafora del povero invi- fisicità, dell’ironia, dell’indifferenza signora di origine india che di nome tato al banchetto del ricco; ma nel alla classe benestante. fa Raquel e che lavora nella villa dei rifiuto della protagonista il film non Non è una rivolta, solo un cambia- Valdez, tipico nucleo alto borghese tarda a imbastire la sua parabola: mento interiore. È ancora un ripie- con padre professionista, madre l’invito per la donna non è un’of- gamento, certo, ma si parte sempre mantenuta, figli viziati e nonna ma- fesa, ma un’azione inconcepibile, dalla libertà interiore per arrivare a triarca – è l’«oggetto» attorno a cui fuori dall’ordine delle cose. Perché detronizzare chi, nonostante colpe ruota l’intero film. Una donna ridot- ciò che manca a Raquel non è una e debolezze, tiene ancora ben salde ta allo stato di manichino, costretta rivendicazione politica, ma un’au- le mani sulle leve del potere. a vivere in una casa che non le ap- tonomia esistenziale, un ricono- partiene, legata a persone che non scimento che non passi attraverso Roberto Manassero il giro del mondo 16 in 60 film saison culturelle L’AMORE BUIO

Regia, sceneggiatura: Antonio Capuano. Fotografia: Tommaso Borgstrom. Montag- gio: Giogiò Franchini. Musiche: Pasquale Catalano. Interpreti: Irene De Angelis, Ga- briele Agrio, Luisa Ranieri, Corso Salani, Valeria Golino, Anna Ammirati, Fabrizio Gifuni. Produzione: L.G.M. – ellegiemme in collaborazione con Rai Cinema. Distri- buzione: Fandango. Paese: Italia. Anno: 2010. Durata: 109 minuti.

Ci si sposta su continue contrapposi- nella contrapposizione tra vicinanza e alta voce. “Quando io nella mia testa zioni nell’ultimo film di Antonio Ca- lontananza, spinti da un crescente de- penso «amore» come fai tu a sape- puano. A partire dal titolo, quasi un siderio di sapere/vedere che si espri- re che lo sto pensando? Non lo sai, ossimoro che mette in conflitto due me paradossalmente attraverso la di- non lo puoi sapere, è un amore che mondi e due stati dell’animo. L’amore stanza. Ci sono differenze incolmabili non puoi vedere, sta dentro i muri e l’oscurità, il desiderio e l’inerzia. É tra i due protagonisti, distanze mag- del carcere. Quando scaveranno non in questo intricato dualismo che vivo- giori di quelle geografiche o sociali. troveranno niente, invece se lo scri- no i personaggi di L’amore buio Irene C’è una città uguale e diversa, una vil- vi, «amore» io lo posso leggere”. È e Ciro, borghese e introversa lei, ra- la in collina lontana da tutto e una pri- stupore e silenzio, un ordine fino ad gazzo dei quartieri popolari lui. Due gione su un’isola straordinariamente ora assente. Dall’altra parte ci sarà universi che non si sarebbero neppu- vicina alla vita. Per Irene la soluzione Irene davanti alle lettere del ragaz- re sfiorati se Ciro (con altri tre amici) è uscire e scoprire ciò che la circonda, zo. Le nasconde senza leggerle, le una sera di un giorno di mare e di per Ciro è cercare in se stesso il senso strappa per poi ricomporle e trovare ragazzate, non fosse stato coinvolto del caos che si porta dentro. Ed ecco, pace. Ecco la struttura del film, fatta nello stupro di gruppo ai danni della allora, le passeggiate improvvise nel di pezzi che cercano di recuperare il ragazza. Un inizio forte e spezzato nel cuore pulsante di Napoli, la rivela- loro posto, frammenti sparpagliati e montaggio e nella tensione coraggio- zione della bellezza mai assaporata poi ricostruiti. Alla fine tutto appari- sa verso la sottrazione dello sguardo. prima. Ma non si può vedere tutto in rà nuovo, la luce, l’aria, il paesaggio, La violenza è solo accennata, sug- un solo momento, ecco perché l’o- sembreranno infiltrarsi nelle imma- gerita da una scarpa che resta sulla pera di Caravaggio si lascia guardare gini del finale. Proprio queste nuove, strada dove poco prima camminava a frammenti, dettagli di splendore davvero, finalmente lontane dall’om- tranquilla Irene. E poi i colori accesi capaci di capovolgere le cose e le bra che circondava la giovane, ma che, nella stessa immagine, si con- certezze. Sotto la pioggia, Irene vede anche dai bagliori improvvisi che il- taminano con le figure sfocate, gli una città che non conosceva e inizia a luminavano il ragazzo. angoli abbagliati dalla troppa luce, i desiderarla, a interrogarsi e ad amar- Dopo due anni di prigione questi contorni indefiniti che rimandano a la, proprio come riesce, finalmente, a esce dal carcere di Nisida e si ritrova ciò che non si vede. guardare il suo corpo senza disprezzo. spaesato ma libero, nella piazzetta Al centro di tutto ci sono Ciro e Ire- Per Ciro tutto questo è rappresentato davanti ai cancelli, circondato di gen- ne, ma si tratta di due centri lontani e dalla scrittura. Non ha mai scritto, ma te, e con lo sguardo attento a cerca- diversi in tutti i sensi. Nel conforto di davanti ad un foglio bianco l’ebbrez- re nel volto di ogni donna quello di una splendida villa vive Irene, tacitur- za cresce e si trasforma in una foga Irene. Il tempo si ferma mentre i due na e pensosa, isolata nei suoi pensieri impossibile da trattenere. Si trova a protagonisti sembrano trovare qui nascosti. In carcere, invece, sta Ciro, confrontarsi con la libertà improvvi- l’unico momento di fisica vicinanza. adolescente inquieto e irrequieto, sa, e senza compromessi, di parole, Sembrano scambiarsi lo sguardo che non dorme e non sa tacere nei collo- pensieri, lettere che si susseguono e non c’è mai stato. Ma è un’illusio- qui con la psicologa. Cerca parole da possono ridisegnare la sua vita. ne dolce, non ingannevole. Irene è scrivere e da recitare, ma non riesce Prosegue in questa alternanza L’a- in America e passeggia tra le ampie a definire la bellezza. In due microco- more buio, film segnato da distanze strade della città in cui vive. Resta il smi tanto diversi Ciro e Irene finiscono che cercano una propria definizione. mistero dei suoi pensieri e di quel- per compiere lo stesso percorso con Si contrae e si dilata, nel tempo e la lettera spedita al giovane che l’ha gli occhi sempre più aperti con cui im- nello spazio, eppure ci appare come violentata. parare a vedere il mondo che ancora il foglio accartocciato, stretto nel pu- non si è fatto conoscere. Si muovono gno, della poesia che Ciro legge ad Grazia Paganelli il giro del mondo saison culturelle in 60 film 17 BRIGHT STAR

Regia, sceneggiatura: Jane Campion. Fo- tografia: Greig Fraser. Montaggio: Ale- xandre de Franceschi. Musiche: Mark Bradshaw. Intepreti: Ben Whishaw, Abbie Cornish, Paul Schneider, Thomas Sang- ster, Jonathan Aris, Samuel Barnett, An- tonia Campbell-Hughes, Samuel Roukin, Roger Ashton-Griffiths. Produzione: BBC Films, Hopscotch Entertainment, Hop- scotch Entertainment, Pathé Renn Pro- ductions, UK Film Council, Australian Film Finance Corporation. Distribuzione: 01 Distribution. Paese: Australia, Francia, Gran Bretagna. Anno: 2009. Durata: 120 minuti.

Jane Campion ha sicuramente una pre- ta. Da una parte è sicuramente il modo che per tutto il film avrà il ruolo del mes- dilezione per i film in costume. DopoLe - migliore per mettere in scena il dissidio saggero), come se il mondo aspettasse zioni di Piano (1993) e Ritratto di signora che agita le sue figure femminili, donne l’abile lavoro delle dita di una ragazza (1996), Bright Star è il suo terzo lungo- che si dibattono in una società forte- per venire alla luce. Come per la Isabel metraggio ad ambientare le sue storie mente connotata da regole, precetti e Archer di Ritratto di signora, Fanny espe- di donne, di amore e di vita in epoche pregiudizi: le sue eroine sono divise tra risce il mondo tramite il proprio corpo, passate: in tutte e tre le pellicole citate l’ansia di libertà e la volontà di afferma- connesso e contemporaneamente se- il periodo storico di riferimento è l’Otto- re la propria indipendenza in un conte- parato dal mondo esterno attraverso la cento. È infatti tra il 1818 e il 1821 che si sto sociale patriarcale, dove ogni segno sottile pellicola che la avvolge. La storia dipana la tormentata storia d’amore tra di anticonformismo viene ferocemen- d’amore tra i due ragazzi si delinea come il poeta romantico e squattrinato John te osteggiato. D’altra parte è proprio scontro di caratteri. Lei è una signorina Keats e la sua vicina di casa Fanny Braw- nell’Ottocento che si avvertono i primi di buona famiglia con la passione per le ne. La pellicola ricalca con precisione la segni di una società che stava per cam- cose che si possono toccare: i tessuti, le biografia di uno dei più grandi esponenti biare: è il XIX secolo, infatti, che vede la stoffe, i fiori, le foglie, le farfalle. Il mon- della letteratura inglese: nato nel 1795 nascita dei primi movimenti femministi do di John Keats invece, è fatto di parole: nel sobborgo londinese di Moorgate, e le lotte per il diritto di voto alle donne. parole spremute, cercate, invocate. Pa- Keats è ancora un ragazzo quando rima- Naturalmente non è solo il lato storico a role come «fumo» secondo la definizio- ne orfano di entrambi i genitori. Avviato riempire di senso la scelta di ambienta- ne che ne dà Fanny. Il film rende sempre agli studi di medicina, si interessa sem- re nel passato le storie. All’interno della più concreto l’incontro tra queste due pre più alla letteratura, ma le sue prime filmografia della regista neo-zelandese forme espressive, inseguendo la sinte- raccolte di poesie – il volume Poems la soffocante rete sociale dentro cui si si e il connubio delle anime. Da questo ed il poema Endymion vengono stron- dibattono le donne è resa visibile nelle punto di vista si può davvero parlare di cate della critica. È nel 1818, a seguito forme e nelle superfici dei vestiti dentro Bright Star come di un film «romantico». della morte del fratello di tubercolosi, cui si muovono le protagoniste. Nella vi- Il film insegue infatti l’utopia della fusio- che John si trasferisce a Londra, ospite sione di Jane Campion, quel complesso ne completa: nella visione degli amanti dell’amico Charles Brown, ed è in questa inestricabile di norme, divieti, disciplina, non si persegue solo l’incontro fra due occasione che conosce Fanny Brawne, di palpiti e ansie viene letteralmente «ap- esseri umani, ma si pretende anche la cui si innamora. Ma la relazione tra i due poggiato» sul corpo delle protagoniste: perfetta coesione degli innamorati con giovani sarà segnata dall’impossibilità i vestiti sono contemporaneamente l’universo che li accoglie. Non è un caso di realizzare una vita insieme: le preca- corazza e prigione, ma anche superfici che, mano a mano che la storia d’amore rie condizioni di salute di Keats e le sue traspiranti attraverso cui si avvertono i tra il poeta e la fanciulla si concretizza, condizioni economiche ai limiti dell’in- palpiti, i sospiri, il dolore e la ricerca di si assiste alla compenetrazione pro- digenza non gli permetteranno mai di libertà che batte sotto una superficie gressiva tra spazi interni ed esterni: il prenderla in moglie. Quando anche lui si traslucida. Anche in Bright Star succede vento entra e soffia dalle finestre, una ammala di tubercolosi, gli viene sugge- la stessa cosa, solo che nell’ottavo lun- stanza si riempie di farfalle, un uomo si rito di trasferirsi in luoghi dal clima più gometraggio della Campion è la giovane sdraia sui rami di un albero, una sedia mite di quello inglese: muore a Roma protagonista (una straordinaria Abbie appare sul prato. Le parole della poesia nel 1821, all’età di venticinque anni. La Cornish) a cucirsi essa stessa gli abiti che escono nel mondo e svelano la bellezza corrispondenza epistolare tra i due ra- indossa. Il film si apre con un ago in pri- del creato nel momento stesso in cui gazzi verrà pubblicata postuma, e scan- missimo piano che buca la stoffa e con una ragazza porta il sentimento dentro dalizzerà la società vittoriana. È dunque un filo che corre avanti e indietro: da- la stanza dove un poeta consuma la sua l’Ottocento ad affascinare la regista vanti alla finestra vicino alla quale Fanny giovane vita. neo-zelandese, e si potrebbe cercare ricama, un’altra figura si sveglia alla vita di scandagliare i motivi di questa scel- (la sorellina minore della protagonista, Silvia Colombo il giro del mondo 18 in 60 film saison culturelle COPIA CONFORME Copie conforme

Regia, sceneggiatura: Abbas Kiarosta- mi. Fotografia: Luca Bigazzi. Montaggio: Abbas Kiarostami. Suono: Dominique Vieillard. Interpreti: Juliette Binoche, William Shimell, Agathe Natanson, Gianna Giachetti, Adrian Moore, Filippo Trojano, Angelo Barbagallo. Produzio- ne: MK2 Productions, BiBi Film, Abbas Kiarostami Productions. Distribuzione: BIM. Paese: Francia, Italia, Iran. Anno: 2009. Durata: 106 minuti.

Qual è la copia e quale l’originale? 63° Festival di Cannes, dove ha vinto quei luoghi assolati, Kiarostami spin- E quale il senso della «copia confor- la palma per la migliore attrice, con- ge il suo cinema in una direzione sor- me»? Attorno a questo inestricabile segnata a Juliette Binoche nel ruolo prendente, realizzando uno dei suoi punto d’avvio (e mai d’arrivo), si sno- della donna senza nome, sensuale e film migliori che, nella parte dedicata da, per le strade sinuose di un territo- misteriosa. al viaggio in auto dei due protagoni- rio (quello toscano), del linguaggio (le Protagonisti due soli personaggi, at- sti, sembra riscrivere e ritrovare nel tre lingue parlate – inglese, francese, torno ai quali ruota una moltitudine cuore dell’Italia il suo cinema e i pa- italiano – che s’intrecciano, anche in di figure, necessarie a Kiarostami a esaggi iraniani. Si ritrovano anche i uno stesso dialogo) e delle identità confondere ancora di più i livelli del- toni della commedia dell’assurdo e (sempre più incerte) dei protagonisti, la finzione e della verità, della copia l’immergersi in un gioco, senza voluta il nuovo, seducente, film di Abbas Kia- originale e di quella conforme a essa. soluzione, sull’identità e sul mistero rostami, Copia conforme. Non si sa a cosa e a chi credere in que- che circonda le cose e le persone. Procediamo con ordine. In un film sto film che è il primo lungometraggio Il paesaggio rurale, le stradine e la che l’ordine – l’ordine di quel che si girato dal regista iraniano fuori dal piazza del paesino, gli edifici che si vede e si sente, si pensa e si crede di paese d’origine. Un film che diventa, affacciano su di esse, gli interni di un sapere – sovverte dalla prima all’ul- seguendo l’itinerario della coppia, vecchio caffè, di un ristorante, di una tima inquadratura. E addirittura che un personale viaggio in una parte di pensione, e le «comparse» che Lei si permette di andare oltre le stesse territorio italiano, un Viaggio in Italia, e James incontrano nelle tappe del- inquadrature, in quel fuori campo che guardando a Rossellini e a un’altra la loro lunga passeggiata (l’anziana anticipa e prosegue il testo e nel qua- coppia seguita nel fluire del tempo e proprietaria del caffè, le coppie per le si trovano (forse) le «verità» che le dello spazio interiore e fisico. strada…) costituiscono come delle immagini suggeriscono. La prima scena, con il pubblico che in quinte, dei fondali con cui interagi- Copia conforme è un’opera che, con una sala attende l’arrivo di uno scrit- re, ognuno dei quali custode di una esemplare lucidità narrativa e lumi- tore per presentare il suo libro (che memoria o di una pista con cui rilan- nosità formale (direttore della foto- come il film, si chiama Copia confor- ciare il gioco. Ci si domanda: la galle- grafia è Luca Bigazzi, mago delle luci me), è già indicativa. Lo scrittore, in- rista e lo scrittore sono stati davvero e delle infinite tonalità che si possono glese, si chiama James Miller (il bari- sposati? O Lei lo «perseguita» nella dipingere sullo schermo), conduce lo tono William Shimell, al suo esordio sua ostinazione a (ri)conquistarlo? spettatore e i personaggi in un vor- al cinema). Tra i presenti, c’è anche Domanda centrale nel «gioco» del tice. L’uomo e la donna sono accom- Lei, la donna della quale non sapre- fingersi/essere moglie e marito da pagnati in un labirinto che si dipana mo mai il nome e il cognome, una quindici anni e di avere trascorso la dentro di loro, sui loro corpi, nei luo- gallerista francese; in fondo, lontano prima notte di nozze proprio in quel- ghi che attraversano, allontanandoli e annoiato, c’è un ragazzo, suo figlio. la pensione ritrovata… Luogo dove sempre più da una via d’uscita, e dun- Fin da subito appare evidente l’inten- Kiarostami porta la donna, James e que dallo scioglimento dei nodi che zione della donna di perseguire un il film a concludersi, ancora alla pre- l’autore ha sapientemente sparso nel preciso scopo: sedurre l’uomo che le senza di specchi, parole e sguardi corso della messa in scena di un in- sta davanti. Si conoscono? È la prima che inducono a continue deviazioni. contro lungo poco più di una giornata. volta che s’incontrano? Il viaggio nel- Luogo dove il riflesso di ciò che si Sta qui, nel permanere del dubbio e la campagna toscana, il mattino se- vede e il fuori campo prolungano e nell’affiorare silenzioso del lato «in- guente, una domenica piena di gente non esauriscono l’attesa della risolu- visibile» e indecifrabile che ogni im- del posto e di turisti, per raggiungere zione del mistero. magine contiene, la forma e la sostan- il borgo di Lucignano dovrebbe scio- za di questo capolavoro, presentato al gliere quelle domande. Filmando Giuseppe Gariazzo il giro del mondo saison culturelle in 60 film 19 DEPARTURES Okuribito

Regia: Yojiro Takita. Sceneggiatura: Kun- do Koyama. Fotografia: Takeshi Hamada. Montaggio: Akimasa Kawashima. Inter- preti: Masahiro Motoki, Ryoko Hirosue, Tsutomu Yamazaki, Kimiko Yo, Takashi Sasano, Kazuko Yoshiyuki. Produzione: Amuse Soft Entertainment, Asahi Shim- bunsha, Dentsu, Mainichi Hoso, Sedic, Shochiku Company, Shogakukan, Tokyo Broadcasting System (TBS). Distribuzio- ne: Tucker Film. Paese: Giappone. Anno: 2008. Durata: 130 minuti.

La sequenza iniziale del film è già Departures di Takita Yojiro svela così ma, che non muta mai nell’astrazione una dichiarazione di poetica: mostra il suo percorso, sin dal titolo interna- totale della cerimonia funebre, né si immediatamente l’universo, entro il zionale, che significa appunto «par- immerge nella follia dei fantasmi del quale si muoverà la narrazione, l’o- tenze». Il film è anzitutto un racconto passato. Daigo attraversa le fasi del- rizzonte all’interno del quale lascerà morale, la cui tradizione è anch’essa la sua consapevolezza – la coscienza che si posi lo sguardo. La scena a cui antichissima e nobile e la cui forma è di non poter essere un musicista, di assistiamo è una cerimonia antica e spesso quella della metafora. Takita, doversi riconciliare con il suo luogo complessa, una cerimonia di com- regista esperto e importante all’inter- d’origine e con il proprio vissuto, miato ai defunti, il «nokanshi». Due no del circuito «mainstream» del ci- di accettare il nuovo compito di ce- uomini sono intenti a compiere i ge- nema giapponese (è il regista tra l’al- rimoniere del passaggio dalla vita sti necessari a svolgere la cerimonia: tro di uno dei blockbuster di maggior alla morte – con una serenità che è un uomo anziano, evidentemente più successo degli ultimi anni, il fantasy- la somma di tante piccole esperien- esperto, e uno più giovane, che avrà action The Yin-Yang Master), sceglie ze, di microeventi che costruiscono, però il compito di proseguire e por- di calibrare e gestire armonicamente, lentamente, la struttura del film. Per tare a termine l’opera del maestro. con equilibrio, tutti gli elementi a di- quanto possano essere evocati dal- I gesti sono misurati, lenti ma conti- sposizione. Il ritorno alla dimensione la visione del film, i nomi di Ozu o nui. Il corpo viene preparato, vestito familiare del protagonista, Daigo, il di Ken Kumai, e forse anche l’umo- e truccato per l’ultimo viaggio. La rapporto con la giovane e apparen- rismo surreale di Juzo Itami, resta- cerimonia apre il film, lo inaugura in temente serena compagna, l’incontro no lontani dalle immagini del film, un certo senso, come messa in scena con Sasaki, l’anziano maestro della ce- nonostante la presenza di un attore dei gesti, lavoro estetico-rituale in cui rimonia del «nokanshi», i tempi nar- come Yamazaki Tsutomu, corpo fetic- la parola è bandita e la conciliazione rativi del film scanditi dalla struttura cio di registi come Kurosawa Akira, con la morte e con la «partenza» del vagamente ispirata alla forma della lo stesso Itami, e di Miike Takashi. La defunto avviene attraverso un rituale black comedy e la narrazione attra- narrazione si avvia verso la fine e il cui assistono i parenti della vittima. versata da una tonalità lievemente cerchio si chiude con la stessa grazia C’è una tradizione lunghissima nella surreale; il contrasto tra l’elemento leggera con cui Takita aveva filmato cultura (e ovviamente anche nel ci- vitale della musica (Daigo è un vio- la cerimonia iniziale: un insieme di nema) giapponese, una tradizione del loncellista che è stato licenziato dal- gesti (nessuna cinematografia come racconto che vede interagire tra loro la sua orchestra) e l’elemento tragico quella giapponese è stata capace, un maestro e un allievo, un «sensei» della morte, il confronto necessario nel corso della sua storia, di evocare e un «seto». Il «sempai» (l’uomo più con il proprio passato (la figura del e valorizzare la bellezza di un gesto) esperto, in grado di elargire consigli padre che incombe nella vita di Dai- che si presentano come segni di un di vita) diventa punto di riferimento go). Tutti elementi che Takita misce- universo alla ricerca di conciliazione per chi sta attraversando una fase di la sapientemente all’interno di un e di armonia. Forse è anche per que- crisi o di passaggio. O semplicemen- flusso sostanzialmente armonico, in sto che il film nasconde, sottotraccia, te sta apprendendo a vivere. Il gesto cui la dimensione dell’equilibrio è un’atmosfera nostalgica, malinconi- introduce allora ad un doppio pas- dominante, lontana da ogni eccesso. ca, segno del fatto che ciò di cui parla saggio, il passaggio cerimoniale dalla Il «découpage» del film si articola appartiene all’universo del desiderio vita alla morte e il passaggio da una sulla simmetria delle inquadrature, e del sogno, ed è a quell’universo generazione ad un altra, da un mae- sulla durata uniforme dell’immagi- che, inquadratura dopo inquadratu- stro ad un allievo di una sapienza ce- ne, dalla mancanza di eccesso nella ra, si fa ritorno. rimoniale che è evidentemente meta- rappresentazione. Il racconto morale fora dell’esistenza stessa. procede sotto l’egida della bella for- Daniele Dottorini il giro del mondo 20 in 60 film saison culturelle FANTASTIC MR. FOX

Regia: Wes Anderson. Sceneggiatura: Wes Anderson, Noah Baumbach. Foto- grafia: Tristan Oliver. Montaggio: Andrew Weisblum. Musica: Alexandre Desplat, Randall Poster. Produzione: American Empirical Pictures, Blue Sky Studios, In- dian Paintbrush, Twentieth Century Fox Animation Distribuzione: 20th Century Fox. Paese: USA. Anno: 2009. Durata: 88 minuti.

Già da qualche anno, nel cinema hol- caratterizzazione dei personaggi: ri- racconto di Roald Dahl) davvero, quan- lywoodiano, l’animazione rappresenta troviamo qui il medesimo campionario do si tratta di mettere in scena figure una sorta di zona franca, dove creati- di figure svagate ed eccentriche, paca- bizzarre e universi squinternati, non vità e originalità possono esprimersi te e strampalate, che attraversa tutto il conosce limiti. Riuscendo però sempre in modo compiuto. Beninteso, siamo suo cinema. Insomma, nulla di meno di a tenere appeso il suo campionario di sempre all’interno di un sistema com- quanto si possa trovare ed ammirare in eccentricità ad un esile (ma fondamen- merciale, in cui il talento individuale opere anteriori del medesimo regista. tale) filo di ordinarietà, fatto di situazio- quindi non può comunque concedersi Al contrario, semmai l’animazione per- ni ampiamente riconoscibili: un figlio il lusso dell’autoreferenzialità; al con- mette ad Anderson di sviluppare com- ansioso di essere stimato dal padre, trario, nell’animazione si gioca ormai piutamente certi tratti del suo cinema una moglie che vede scemare la pro- contemporaneamente su due tavoli, che già affioravano alla superficie nei pria fiducia nel marito, un maschio insi- nel tentativo di costruire un intratte- film precedenti: penso soprattutto curo, bisognoso di rinsaldare il proprio nimento intelligente che risulti tale ai all’uso simbolico dei colori, ai croma- carisma agli occhi della sua comunità. bambini e agli adulti, ai figli come ai tismi come punto di ancoraggio nella Sotto questo punto di vista, il film di genitori. Eppure, come bene esempli- definizione dei personaggi, che trova Anderson può essere definito un we- ficato dai film Pixar, si ha costantemen- qui – si veda ad esempio la figura del stern, sia pure sui generis, essendo di te l’impressione che la circolazione di topo – una sua espressione organica. fatto permeato dal disincanto di un idee, trovate e spunti narrativi sia qui Alla base del cinema di Anderson c‘è cineasta metropolitano per origine e più veloce e intensa che in altri ambiti sempre una piccola comunità, perlo- cultura. L’opposizione tra individualità del cinema americano. Tant’è vero che più familiare, che viene scossa da ten- e comunità – tra una vita avventuro- all’animazione cominciano ad acco- sioni centrifughe e incomprensioni re- sa, piena di azzardi e peripezie, e una starsi anche cineasti abituati a lavo- ciproche. Da I Tenenbaum a Il treno per pantofolaia e domestica, narcotizzata rare nel cinema tradizionale, attirati il Darjeeling, la storia del film è quella dai rapporti familiari e di buon vicina- appunto dalla possibilità di una mag- delle tribolazioni semiserie e parados- to – è la stessa che attraversa i migliori giore autonomia creativa. sali attraverso cui il nucleo ritrova infi- film di John Ford; né manca una vena Il film di Anderson ne costituisce un ne una sua (provvisoria) compattezza. epica, condensata nella straordinaria egregio e splendido esempio, per al- Trasposto dal piano umano a quello scena della comparsa del lupo, forse il meno due motivi. Il primo riguarda la animale, la vicenda assume i tratti di miglior momento di cinema americano possibilità, per uno stile, di transitare un’opposizione fondante nel cinema degli ultimi anni. E, come in Ford, l’op- felicemente da una tecnica all’altra, americano, quella tra «civilization» e posizione non viene risolta in modo senza perdere nulla del proprio impat- «wilderness». Debitamente antropo- definitivo e/o ideologico; trova -piut to. Da questo punto di vista, Mr. Fox è morfizzato, come peraltro vogliono le tosto un punto di conciliazione prov- pienamente, dall’inizio alla fine, un regole del cinema d’animazione, mi- visoria, di felicità momentanea, nel film di Wes Anderson: le sue caratte- ster Fox in principio si ritrova molto tempio – un centro commerciale – di ristiche formali – predilezione per la «mister» – casa, famiglia, routine pro- quel capitalismo avanzato che disin- dimensione orizzontale dell’immagi- fessionale – e poco «Fox»: è una volpe, nesca gli istinti attraverso la ricchezza ne, inclinazione a riempire le inqua- un animale predatore, costretto però e la disponibilità dell’offerta gastrono- drature di dettagli, una conformazione dalla condizione domestica a guardare mica. Ma fino a che punto mister Fox degli spazi tale da mettere in rilievo le sue prede a distanza, sopprimendo si adatterà al cibo in scatola, tirato giù geometrie e simmetrie, amore per i gli istinti più famelici. Il film racconta dalla scansia senza sforzo né pericolo, campi lunghi e i totali – sono le me- la sua ribellione, e a rimorchio molto non è dato sapere... desime che segnano le sue pellicole altro, come si conviene ad Anderson, precedenti. Lo stesso si può dire della la cui fantasia (qui innescata da un Leonardo Gandini il giro del mondo saison culturelle in 60 film 21 FISH TANK

Regia, sceneggiatura: Andrea Arnold. Fo- tografia: Robbie Ryan. Montaggio: Nico- las Chaudeurge. Musiche: Evandro Forna- sier, Walter Magri, Mario Actis. Interpreti: Katie Jarvis, Kierston Wareing, Michael Fassbender, Harry Treadaway, Rebecca Griffiths, Sarah Bayes, Charlotte Collins, Chelsea Chase, Brooke Hobby, Jason Maza, Sydney Mary Nash, Joanna Horton, Grant Wild, Carrie-Ann Savill, Toyin Ogi- di, Jack Gordon, Michael Prior. Produzio- ne: Kasander Film Company, Limelight, UK Film Council, BBC Films. Distribuzio- ne: One Movie. Paese: Gran Bretagna, Olanda. Anno: 2009. Durata: 123 minuti.

In una zona periferica dell’Essex, l’a- do estremamente partecipe, che mai era stato prodotto Red Road. Il cinema dolescente Mia, seguita dai servizi so- si arrende al nichilismo in agguato. europeo più moderno, problematico, ciali, sogna di ballare l’hip hop, evita Come nel cinema dei fratelli Darden- transnazionale (l’ottimo Philippe Lio- rabbiosa la vicinanza delle compagne, ne si è detto – e un po’ è vero. Dove ret di Welcome in Francia, per esem- si lega a un coetaneo zingaro dopo aver viene meno il rigore dei due registi pio) e fondamentalmente «glocal», cercato di liberare la cavalla della sua belgi è nel sovraccarico di simbologie che cioè ambienta in luoghi partico- famiglia, ha una «liaison» pericolosa non troppo originali. Lo sforzo reitera- lari e connotati tematiche «de-loca- con l’amante della madre, con la quale to di Mia di liberare una cavalla inca- lizzate» e universali. Nel caso della ha un rapporto estremamente conflit- tenata per restituirla al suo destino si Arnold sono quelle che riguardano tuale. Visione realistica, contesto de- commenta da sé, il palloncino a forma la condizione femminile, con alcune gradato, ritratti di donne problemati- di cuore che si libra in aria nel finale costanti sulle quali vale la pena sof- che. Prepotente è il rimando al cinema aperto alla speranza è una sottoline- fermarsi. Da Wasp a Fish Tank le storie di Ken Loach e Mike Leigh, ma solo in atura ridondante. Come l’utilizzo di raccontate sono quelle di donne sen- apparenza. La cineasta Andrea Arnold, una canzone abusata, California Dre- za mariti e senza padri. Quando credo- classe 1961, anche autrice della sce- amin’, a voler accompagnare il sogno no di trovare entrambi, come nel caso neggiatura, riflette sulla condizione di fuga (seppure verso il Galles, una di Connor, figura affascinante e otti- femminile nel più difficile dei mondi, meta certamente meno esotica e mi- mamente interpretata da Fassbender, quello periferico urbano impermeabi- tica). Se in Red Road i segni ricorrenti, finiscono irrimediabilmente tradite e le a qualunque prospettiva sul futuro. analogici ed esemplificativi parevano abbandonate. Non ci sono all’orizzon- Nel 2005, con il cortometraggio Wasp, più contestualizzati, in Fish Tank risul- te né la retorica femminista spiccia né storia di una donna rimasta sola con tano in effetti un po’ forzati. A partire gli stereotipi del maschio «infame», quattro figli, disperatamente deside- dal titolo: il «pesce blindato» è quel- ma emerge la necessità che siano le rosa d’amore, la regista vinse l’Oscar. Il lo che Mia e l’amante della madre donne a costruire il proprio destino, film successivo, Red Road, declinava al Connor (Michael Fassbender, attore a partire non da un rapporto subito femminile un tema, quello della ven- celeberrimo in patria, già spia inglese con l’uomo della provvidenza (padre, detta, tipico dei generi «machisti», germanofona in Bastardi senza gloria marito, amante) quanto da quello sco- pedinando una guardiana notturna di Tarantino) pescano in acque limac- perto giorno dopo giorno partendo che vede in uno dei suoi monitor l’uo- ciose e inquinate. Per potersi salvare dalle affinità, come appunto accade mo che ubriaco uccise la sua famiglia. dallo schifo acquitrinoso e raggiunge- tra Mia e il suo amico nomade. Andrea Ora propone una costellazione di af- re finalmente il mare, anche il pesce si Arnold, nei suoi film, dimostra nei fetti infranti: una madre che replica deve in qualche modo corazzare. confronti di questi personaggi fem- gli atteggiamenti ostili della figlia, Detto dei limiti del film, occorre an- minili una fortissima complicità, mai una adolescente che disordinatamen- che sottolinearne i pregi. Il realismo assolutoria e senza vittimismi. Mia te affastella esperienze per non re- sociale di Andrea Arnold, tipico ap- non è una «vittima della società», stare vittima dell’«horror vacui» che punto di registi come Loach o Leigh perché non ne esistono, se si prende coglie le coetanee, immortalate in un e appartenente a una tradizione so- consapevolezza del proprio destino. costante errare senza meta. In mezzo, prattutto britannica, è funzionale a In un’epoca di profonda crisi delle al solito, la disfatta delle istituzio- storie che vogliono essere universali narrazioni cosiddette postmoderne, ni: servizi sociali formali, impacciati, e non così connotate esteticamente. questo tipo di cinema umanistico, pur «maternalistici», scuola inesistente, Sono evidenti certe scelte stilistiche con i suoi difetti, appare sempre più polizia vissuta come presenza repres- della cineasta, nel solco dei maestri auspicabile e necessario. siva. Il ritratto di una donna, o meglio sopracitati ma anche del «Dogma» di più donne, definito da uno sguar- di Lars von Trier, nell’alveo del quale Mauro Gervasini il giro del mondo 22 in 60 film saison culturelle GORBACIOF

Regia: Stefano Incerti. Sceneggiatura: Diego De Silva, Stefano Incerti. Foto- grafia: Pasquale Mari. Montaggio: Mar- co Spoletini. Musiche: Teho Teardo. In- terpreti: Toni Servillo, Mi Yang, Geppy Gleijeses, Nello Mascia, Gaetano Bruno, Hal Yamanouchi, Antonio Buonomo, Ago- stino Chiummariello, Salvatore Ruocco, Francesco Paglino, Salvatore Striano. Produzione: Devon Cinematografica, Surf Film, Bottom Line, The, Teatri Uniti. Distribuzione: Lucky Red. Paese: Italia. Anno: 2010. Durata: 85 minuti.

Della scena napoletana, che negli la mensa della prigione, il locale di vi- come un labirinto, consegna la sua anni Novanta portò una ventata di deogiochi, la sala corse… Incerti osser- interpretazione a espressioni fisiche sguardi innovativi, Stefano Incerti è va i comportamenti di Gorbaciof e di da cinema muto. D’altronde, uno dei stato, soprattutto al suo esordio con coloro che, figure anonime o ricorrenti segni che emerge da Gorbaciof è l’in- Il verificatore, del 1995, un cineasta nella narrazione, lo attorniano. Ne de- comprensione, l’incomunicabilità fra degno di attenzione, pur distante da scrive i gesti che, come gli ambienti, le persone, anche quando tale scarto personalità artistiche più complesse, si ripetono in rituali quasi drogati: si potrebbe, forse, essere superato. È il come quelle di Mario Martone e Pap- pensi, su tutti, all’uso delle mani che caso della relazione impossibile tra pi Corsicato (dei quali è stato aiuto incessantemente contano soldi e li Gorbaciof e Lila, due personaggi che regista). Incerti si fece notare per la spostano da un luogo a un altro, sot- non si capiscono (lui non parla il cine- sua determinazione espressiva, che è traendoli da una cassa per depositar- se, lei non parla l’italiano) e che, anco- anche il segno d’identità del suo più li e «reinvestirli» altrove in un gioco ra con la complicità dei gesti, tentano recente lungometraggio, Gorbaciof, sempre perdente eppure al quale è di evadere da quel mondo, comuni- presentato fuori concorso alla Mostra impossibile rinunciare. Gorbaciof lo cando con gli sguardi. In quei momen- di Venezia. sa e, ogni giorno, preleva dalla cassa- ti, il film si apre ad attimi di sospen- Un film che, da una parte, sorprende forte dell’ufficio parte del denaro de- sione spazio-temporale (come accade per la tensione filmica costruita dal stinato dalle famiglie ai detenuti per anche in un altro film recente, Pietro regista e, dall’altra, conferma il talen- metterlo su un tavolo di carte e gio- di Daniele Gaglianone, nelle scene to e la versatilità di un attore come care l’azzardo in quel ristorante dove, d’amicizia fra altri due personaggi Toni Servillo, protagonista «assoluto» accanto a figure malavitose o soggio- che vivono ai margini), per disegnare ma non per questo presenza totaliz- gate dai boss, incontra la cinese Lila, istanti di una felicità cercata lontana zante, proprio per lo stile impresso in della quale si innamora. dai «luoghi comuni» della quotidiani- ogni inquadratura da Incerti. Uno stile Incerti disegna una precisa traiettoria, tà: lo zoo, le strade di notte, i negozi, ben identificabile, evidente fin dall’i- tesa come una corda, dove la colon- l’acquario… Ma la realtà feroce e la di- niziale camminata in piano sequenza na sonora ha un ruolo fondamentale, sillusione incombono sul destino del nel traffico, tra le auto e un bus che dove entrano ed escono di scena i piccolo truffatore napoletano e della gli passa davanti del personaggio personaggi di un dramma senza re- giovane cinese. Un’ultima missione interpretato da Servillo, Marino Pa- denzione, fin dall’inizio destinati alla attende Gorbaciof, prima di poter cileo, soprannominato Gorbaciof per sconfitta, alla solitudine, alla morte. partire con Lila, su un aereo… Incerti una voglia sulla fronte simile a quella Nella descrizione quasi documentaria monta in parallelo quell’ultima attesa, dell’ex leader sovietico. È solo l’avvio di questa deriva le parole non sono rendendo protagonisti gli occhi in pri- di un procedere narrativo inscritto più essenziali; Gorbaciof si pone come mo piano dell’uomo e della donna, e nell’immagine e nei gesti che nella un poema visivo dalle luci cangianti di un bambino che in strada lo guarda. parola, come ribadiscono le scene suc- (direttore della fotografia è l’ottimo La camera a mano descrive la fatalità cessive, costruite come un lungo pro- Pasquale Mari), un ritratto sociale tra che accade all’interno dell’auto dove logo senza dialoghi. Immagini con le l’allucinato e il realista, filtrato dal- si trova Gorbaciof, mentre poco prima quali Incerti pedina il suo personaggio le ombre del cinema di genere, del le lacrime negli occhi di Lila sembra- nei posti da lui quotidianamente fre- noir, e da memorie filmiche (viene in no pre-vedere l’epilogo della storia. quentati: le stanze e gli uffici del car- mente il Ben Gazzara di Assassinio di Una storia immersa nell’Italia di oggi, cere di Poggioreale, dove lavora come un allibratore cinese di John Cassave- che Incerti racconta con toni inusuali, cassiere; il retro di un ristorante cine- tes). Toni Servillo, deambulando per dove l’happy-end non è possibile. se usato come bisca; la sua abitazione le strade della città e nei suoi ritro- densa di solitudine; la metropolitana, vi abituali, sempre più inestricabili Giuseppe Gariazzo il giro del mondo saison culturelle in 60 film 23 LES HERBES FOLLES

Réalisation : Alain Resnais. Scénario : Lau- rent Herbiet et Alex Reval, d’après Chris- tian Gailly. Photographie : Eric Gautier. Montage : Hervé de Luze. Musique : Mark Snow. Interprètes : André Dussolier, Sa- bine Azéma, Anne Consigny, Emmanuelle Devos, Mathieu Amalric. Production : Jean-Louis Livi. Distribution : StudioCanal. Pays : , 2009. Durée : 104 minutes.

Il s’offre désormais le luxe des ren- son dernier film la citation de Flaubert autant à des images mentales qu’à contres inopinées et de l’imprévu. qui servait d’épigraphe au roman de un ballet. La caméra elle-même est Alain Resnais, à 87 ans, peut, de son Gailly : « N’importe, nous nous serons de la partie, plongeant et virevoltant propre aveu, se permettre de faire bien aimés ». Car la suite du texte de comme un avion qui se livre à toutes les films que le hasard place sur son L’Education sentimentale, sous-en- les acrobaties sur un aérodrome de chemin. Mais aussi, surtout, de traquer tendue par le lettré qu’est Resnais, banlieue. Loin d’être une démons- les aléas de l’existence à travers un apporte une nouvelle clef : « Sans nous tration de virtuosité gratuite, l’art de scénario débridé qui met en abyme appartenir, pourtant ! ». Alors que le Gautier témoigne pourtant avant tout sa propre fascination pour les coïn- passage à l’acte n’est que suggéré, d’une affirmation renouvelée du pou- cidences. C’est le cas de ces Herbes seules comptent les échappées vers voir du cinéma et de la recréation ar- folles, tiré du roman français de Chris- des univers parallèles dont aucun ne tistique en général. La cinéphilie d’un tian Gailly L’Incident et applaudi à peut prétendre représenter la vérité Georges Palet, sur fond de cinéma de Cannes en 2009. Le changement de ni le vraisemblable. Le film conserve quartier dont l’irréalité superbe brille titre est essentiel. A l’image des végé- donc jusqu’au bout ses parts de mys- de mille feux, permet ainsi de convo- taux qui profitent du moindre inters- tère et d’indétermination, comme quer d’autres images et d’autres sons, tice pour pousser en milieu urbain et pour prolonger au-delà de la projec- empruntés à Hitchcock aussi bien révéler les blessures de l’asphalte, tion le jeu avec le spectateur. Nul ne qu’à Mankiewicz – Mrs. Muir, naturel- le cinéaste choisit de pratiquer le connaîtra vraiment le passé mysté- lement – qu’au générique de la Fox. hors-piste. Comprenons : la dérai- rieux de Georges Palet. De même, nul De la même façon, Resnais semble son, l’aberration, l’égarement. Donc, ne saura pourquoi Resnais l’insolent jouer, dans le choix de ses acteurs, à tous les sens du terme – y compris substitue in fine au doute qui nous as- à mélanger des familles de cinéma. étymologique – la séduction. L’his- saille sur le devenir des personnages Si Sabine Azéma et André Dussolier toire d’amour attendue entre Georges la question d’une petite fille : « Maman, font partie de son glorieux passé, Palet, l’oisif aux pulsions troubles, et quand je serai un chat, est-ce que je l’emprunt d’Emmanuelle Devos et Marguerite Muir la dentiste-aviatrice pourrai manger des croquettes ? ». Mathieu Amalric à l’univers d’Arnaud excentrique ne restera ainsi qu’une A ces audaces scénaristiques corres- Despléchin est l’occasion de télesco- ébauche. Un possible parmi d’autres, pond une inventivité visuelle de tous pages du plus bel effet, qui donnent selon le principe de l’emblématique les instants qui décline en souplesse lieu pour l’occasion à quelques-unes diptyque Smoking-No smoking, réalisé tous les partis pris antinaturalistes du des plus agréables scènes de comédie en 1993, qui explorait, en arbores- cinéaste. Grâce à un travail sidérant que le cinéma français ait récemment cence, les différentes possibilités qui sur la couleur et la lumière, le chef produites. Au total, le film n’est donc s’offraient à ses personnages. A ceci opérateur Eric Gautier semble faire pas davantage une œuvre-somme près que tous les éléments narratifs de chaque plan une case de bande que l’opus mineur d’un auteur majeur. des Herbes folles appartiennent désor- dessinée. Cette référence assumée Les Herbes folles, jouant de la parfaite mais à une intrigue unique et flottante à l’œuvre de Will Eisner (auquel on adéquation de son propos et de son qui entrecroise voix et points de vue, pourrait associer Blutch, qui a des- style, est surtout un Art poétique qui, comme si la rigueur quasi oulipienne siné l’affiche, voire Hergé qui a visi- loin de faire du divertissement un dé- avait définitivement laissé la place à blement inspiré la figure jumelle des rivatif à la tragédie de notre existence, un surréalisme espiègle qui préfère deux policiers) va bien au-delà de ne cesse de proclamer la nécessité les élans et les fantasmes à la morne la référence esthétique et du plaisir frondeuse de laisser libre cours à nos certitude de l’accomplissement. On ludique : le traitement à l’identique envies de détournements. comprend dès lors pourquoi le ci- des extérieurs et des plans de studio néaste a choisi d’intégrer au corps de recrée un univers qui correspond tout Thierry Méranger il giro del mondo 24 in 60 film saison culturelle L’ILLUSIONNISTE

Réalisation : Sylvain Chomet, d’après un scénario de Jacques Tati. Adaptation, montage et musique : Sylvain Chomet. Production : Django Films, CineB, Pathé Pictures International. Distribution : Sa- cher Distribuzione. Pays : France. Année : 2010. Durée : 80 minutes.

Dans le petit monde de l’anima- à la réalisation. De fait, l’ébauche de disparaître pour tout à la fois tion française Sylvain Chomet est ne mettait pas en scène son per- se préserver d’un amour impos- un artiste à part qui ne craint pas sonnage fétiche, M. Hulot, mais sible et affirmer la liberté de celle de ramer à contre-courant pour un prestidigitateur en fin de car- qu’il a fait naître. Le dernier nu- voguer de l’avant. Le succès in- rière, dépassé par les nouvelles méro, enfin, est l’œuvre de Cho- ternational des Triplettes de Bel- attentes d’un public en quête de met lui-même, qui, à l’esquisse ini- leville, en 2003, a fait découvrir tapage et de frissons. Se dessi- tiale de Tati, parvient à substituer un univers graphique qui, célé- nait ainsi une sorte d’autoportrait un film mature et personnel dont brant la suprématie du trait et en artiste angoissé et vieillissant, les longs plans séquences et les de la trace, ne cède en rien aux d’autant plus proche du Chaplin cadrages précis tiennent à la fois modes et aux gimmicks du temps. des Feux de la rampe que la ren- de l’hommage et de la distance. Pas de 3D stéréoscopique, donc, contre d’une jeune femme dont Car L’Illusionniste, bien que tou- ni de volonté de parader sur le il prenait en charge l’éveil artis- jours soucieux de montrer les terrain de Pixar. Fondamentale, tique laissait le Pygmalion irré- personnages en pied et réticent en revanche, est chez Chomet médiablement seul. à l’égard du champ contrechamp, la référence à l’une des grandes Il n’est guère étonnant, dans de ne singe pas la mise en scène du époques des studios Disney, telles conditions, que Chomet maître, s’attachant, au contraire durant laquelle, entre Les 101 fasse de Jacques Tatischeff – c’est de ce qui se produit dans la geste Dalmatiens (1961) et Robin des le vrai nom de Tati qui fut d’abord de M. Hulot, à assigner à son héros bois (1973), la ligne claire et les vedette de music-hall – le héros une place qui n’est pas plus celle rondeurs cédèrent la place à un de son film. Si l’automne de l’ar- d’une caméra que d’un substitut crayonné qui mettait en valeur tiste en est le thème majeur, la de cinéaste. Autant dire qu’en le travail du dessinateur. Les Tri- réflexion se double, en filigrane, choisissant Tatischeff comme plettes, en affichant un univers d’un questionnement poignant sujet de son film Chomet nous graphiquement et culturellement de la relation père-fille, présente donne à voir non pas tant une centré sur les années 50 et 60, à la fois à travers la découverte nouvelle œuvre de Tati qu’un re- se permettait un clin d’œil à une ambiguë de la féminité chez Alice, gard subtil et décalé sur son ciné- référence d’envergure : le cinéma la jeune protégée de l’illusion- ma. Loin de cultiver une nostalgie de Jacques Tati. niste, et le symbole d’une photo- passéiste, le film suggère habile- C’est cette mine que creuse sept graphie qui pourrait finalement ment que tout n’a pas été vu. De ans après L’Illusionniste, issu d’un suggérer le retour final du per- la même façon faut-il sans doute scénario inédit que le réalisa- sonnage à un bonheur familial. interpréter le recours – très majo- teur de Jour de fête semble avoir Ainsi se déroulent sous nos yeux, ritaire – à la 2D dans sa fabrica- envisagé à plusieurs moments métaphoriquement, les trois plus tion. La beauté étourdissante des de sa carrière avec, dans le rôle beaux tours de magie du film. Ce- décors et la remarquable fluidité titre, son truquiste Pierdel ou son lui, d’abord, de la transformation des mouvements réaffirment haut assistant Pierre Etaix. Il y a tout de la petite Ecossaise en adulte et fort qu’en dépit des modes im- lieu d’imaginer que les aspects glamour et désirable. Mais aussi, posées l’animation à plat est bien intimes d’un scénario où il se parallèlement, celui de l’escamo- loin d’avoir jeté ses derniers feux. livrait davantage qu’à l’accoutu- tage librement consenti du père mée dissuadèrent Tati de passer adoptif, conscient de la nécessité Thierry Méranger il giro del mondo saison culturelle in 60 film 25 LONDON RIVER

Regia: Rachid Bouchareb. Sceneggiatura: Rachid Bouchareb, Olivier Lorelle, Zoé Galeron. Fotografia: Jerôme Alméras. Montaggio: Yannick Kergoat. Musiche: Armand Amar. Interpreti: Brenda Blethyn, Sotigui Kouyaté, , , . Produzione: Arte France, Tessalit Productions. Distri- buzione: BIM Distribuzione. Paese: Alge- ria, Francia, Gran Bretagna. Anno: 2009. Durata: 87 minuti.

London River è il sesto e penultimo diaparco in Francia, occupandosi prin- dario. Troppo contemporanei gli even- film in ordine di tempo di Rachid Bou- cipalmente della salute degli Olmi. Il 7 ti descritti (dal terrorismo di Al Qaeda chareb, cinquantunenne regista fran- luglio 2005 una serie di attentati de- alla crisi del multiculturalismo britan- cese di origine algerina. Al pubblico vasta la metropolitana di Londra e da nico) per una elaborazione complessa italiano Bouchareb è quasi sconosciu- quel momento della figlia di Jane e del (ma il budget ridotto ha giocato un suo to, visto che il suo titolo di maggior figlio di Ousmane si perdono le -trac ruolo: tutte le sequenze relative agli successo, Indigènes (che tratta la sto- ce. L’uomo e la donna si recano nella attentati sono di repertorio). Eppu- ria di alcuni «tirailleurs» nordafricani capitale per trovarli, cominciando un re, anche in London River è la Storia a impiegati dall’esercito francese nella percorso di ricerca straziante, tra com- determinare le esistenze, a intrecciare Seconda Guerra Mondiale e poi pra- missariati di polizia, «morgue» e ve- i destini di persone lontanissime non ticamente dimenticati dal governo), è glie funebri. Rispetto al suo consueto solo geograficamente, e che invece rimasto inedito nonostante enormi in- cinema, Bouchareb sembra apparente- un accostamento coatto rivela come cassi in patria (oltre tre milioni di spet- mente interessarsi a due storie piccole simili. Il secondo elemento riguarda il tatori) e un premio collettivo al cast al e non più ai grandi scenari formativi di linguaggio, la comunicazione tra i due Festival di Cannes del 2006. London coscienze nazionali. Un uomo doppia- protagonisti, ancora una volta esem- River viene realizzato da Bouchareb mente sradicato, Ousmane, che dall’A- plari per un regista che da sempre cer- mentre già lavora a un altro progetto, frica è andato prima in Francia e poi in ca, nei suoi racconti, lo spessore sim- più ambizioso, intitolato Hors-la-loi e Gran Bretagna, oltretutto sconosciuto bolico dei personaggi principali. L’i- in seguito presentato a Cannes 2010 al figlio che non vede da quindici anni. gnoranza li rende distanti e «isolati» con strascico di polemiche. Quasi un E una donna semplice, priva degli stru- (Jane, più ostile, lo è per definizione). seguito di Indigènes, con gli algerini menti per interpretare la realtà che La conoscenza, come abbiamo visto, li che scambiano la vittoria della Francia la investe con violenza. Lo sguardo trasforma in complici, ma il denomi- e degli Alleati sui tedeschi per l’inizio del regista non è imparziale: mentre natore comune resta la sofferenza. Il di un processo di emancipazione irre- Ousmane (così come tutti i britannici linguaggio comune che scardina le versibile, estraneo però alle intenzio- musulmani incontrati dalla coppia: dal reciproche diffidenze è quello del do- ni di Parigi. Da qui gli scontri violenti giovane responsabile della moschea lore. La prima volta che Jane rivolge ai quali seguono prima l’uccisione di al macellaio) è pronto al confronto e la parola con gentilezza a Ousmane è numerosi «pieds-noir» da parte dei all’accoglienza, la bianca e cristiana subito dopo la veglia funebre a King’s «ribelli» algerini (i cosiddetti «hors- Jane ha un sussulto ogni volta che si Cross, e rompe il ghiaccio dicendogli: la-loi»), poi la reazione dell’esercito deve rapportare con «l’altro». Quan- “Mi fanno male le gambe”. Anche nel- francese che nelle città di Sétif e Guel- do Ousmane la contatta, una volta la contingenza, è comunque la sensa- ma, nel maggio 1945, compirà massa- scoperta la possibile relazione senti- zione di malessere il loro «contesto». cri di massa. mentale tra i due figli, lei addirittura lo Dietro questa traccia si cela la morale Possiamo considerare London River denuncia alle autorità. Gradualmente, amara della vicenda, con i protagoni- una sorta di film-cerniera tra due pel- l’uomo e la donna iniziano però a co- sti destinati a tornare da dove sono licole così controverse politicamente noscersi, frequentano gli stessi luoghi venuti: lui nel suo parco, lei sull’isola, e storicamente? Probabilmente sì. Il e le stesse persone fino ad avvicinarsi con una rabbia (esplicita nel furibon- tema centrale della vicenda riguarda senza più ostilità. do zappare di Jane) probabilmente l’incontro-scontro tra culture diffe- Due elementi molto interessanti in un ignota, prima. La Storia li ha stravolti. renti e, soprattutto, diffidenti. Jane percorso di crescita emotiva non così Ma la Storia, ripete Bouchareb in tutti Sommers (Brenda Blethyn) ha una pic- inedito. Il primo ha a che fare con lo i suoi film, la fanno gli uomini. cola fattoria su un’isola della Manica. scenario. Rispetto a Indigènes e Hors- Ousmane (Sotigui Kouyaté) fa il guar- la-loi, il contesto storico appare secon- Mauro Gervasini il giro del mondo 26 in 60 film saison culturelle MA CHE STORIA…

Regia: Gianfranco Pannone. Fotografia: Tarek Ben Abdallah. Montaggio: Angelo Musciagna. Produzione: Cinecittà Luce. Distribuzione: Cinecittà Luce. Paese: Italia. Anno: 2010. Durata: 77 minuti.

Il film di Gianfranco Pannone è una nazionale fino alla seconda metà del minacce contro la libertà conquistata sinfonia per immagini, musica e pa- Novecento. Le figure di Mazzini, Ca- dopo la dittatura fascista. role, nella quale differenti strumenti vour, Garibaldi sono descritte grazie a A commento di questa posizione, Pan- mediatici orchestrano movimenti che, spezzoni che ne forniscono un’imma- none propone immagini della prepa- seppur diversi nel tempo e nell’altez- gine oleografica e stereotipa – Cavour razione di un’elezione politica e una za, mantengono alcune costanti, a ga- come «grande tessitore», ad esempio pagina di Norberto Bobbio che celebra ranzia dell’unità dell’opera. Come per – cosicché il film offre non solo una Carlo Cattaneo, “uno dei pochissimi ogni sinfonia, però, occorre prestare sintesi delle vicende risorgimentali, intellettuali risorgimentali, forse l’uni- attenzione ad ogni parte e non stupirsi ma anche una preziosa testimonianza co, che non hanno mai potuto essere se, accanto a passaggi facili ed imme- della cultura ufficiale italiana durante utilizzati dal fascismo” per la sua con- diati, si trovano momenti meditativi o tutto il Novecento. Segue una parte di cezione dello Stato, agli antipodi di di raccordo che, seppur necessari, ne critica alla precedente, che presenta quella dello Stato etico mussoliniano, rallentano lo svolgimento. sia l’interpretazione borbonica della e la sua avversione per le filosofie ege- Pannone presenta una sintesi critica spedizione dei Mille sia le condizioni moni nell’Italia della Novecento. La della storia d’Italia dal Risorgimento sociali dell’Italia del 1860 e, ancora, conclusione del film non è, però, com- al 1980, attraverso l’utilizzo di parti di l’uso politico della figura di Garibaldi pletamente positiva: utilizzando una documentari, spezzoni di film e crona- durante tutta la prima metà del Nove- pagina di Alberto Arbasino tratta da che di cinegiornali, montati attraverso cento, con un’evidente continuità tra Un paese senza (1990), Pannone mette logiche legate non solo alla cronologia età liberale, periodo fascista e secon- in evidenza i corsi e ricorsi della sto- degli avvenimenti, ma anche a temati- do Dopoguerra. Si passa, poi, agli arti- ria d’Italia, chiedendosi – e chiedendo che che, in modo circolare, riemergono sti: l’azione di Manzoni, Verdi e D’An- allo spettatore – se nel Belpaese non in diverse parti dell’opera, a formare un nunzio è intrecciata alle immagini e ai prevalgano, al posto degli aneliti alla sottotesto che organizza la narrazione commenti sulla Prima e sulla Seconda libertà e all’uguaglianza, “il gusto del- e rende evidente il pensiero dell’auto- Guerra mondiale, le cui conseguenze la pestilenza e della putredine, sempre re. Fondamentale, in tal senso, l’uso del sono descritte fino all’entrata delle maggioritari nei confronti di qualsiasi sonoro, che alterna l’audio originale truppe italiana a Trieste, nel 1954. illuminismo”. dei filmati, la lettura di pagine di autori La quarta parte del film ritorna all’Ita- ma che Storia… offre numerosi ele- otto-novecenteschi e i canti popolari, lia del 1961. Il boom visto da Milano menti di riflessione sul passato e sul soprattutto contadini. Si crea così un e da Torino, l’arretratezza del Meridio- presente dell’Italia. Affascinante nella efficace contrasto «basso» alle pagi- ne, l’immigrazione e l’emigrazione, la scelta delle immagini, costruisce il pro- ne della letteratura «alta», senza che crisi del mondo rurale e l’inurbamen- prio percorso attraverso un montaggio il testo filmico cada in dissonanza, ma to costituiscono un crescendo di con- alternato che vuole dimostrare la conti- consentendo al messaggio dell’imma- traddizioni e problemi, culminanti nel nuità di alcuni comportamenti e le diffi- gine di completarsi tramite i commenti terremoto dell’Irpinia del 1980 e nel- coltà (o l’incapacità?) degli Italiani a di- sonori a volte antitetici, a volte univoci. la stagione del terrorismo. Su questo ventare un popolo, come ricorda all’ini- ma che Storia… parte dai festeggia- periodo della storia italiana si chiude zio del film la celebre frase di Massimo menti organizzati a Torino, per il pri- la parte narrativa del film. Le immagi- d’Azeglio. Malgrado tale pessimismo di mo centenario dell’Unità, e retrocede ni dei funerali delle vittime di Piazza fondo, l’opera costituisce un’ottima oc- a descrivere i fatti che portarono al Fontana e una fugace apparizione di casione per vedere le immagini di un’I- Regno d’Italia. Questa prima parte pre- Aldo Moro servono per ricordare le dif- talia ormai scomparsa e trarne spunti di senta una narrazione molto tradizio- ficoltà degli anni Settanta ed esprime- meditazione non banali. nale, incentrata sui protagonisti del Ri- re la fiducia nella capacità di cinquan- sorgimento, celebrati dalla mitologia ta milioni di Italiani di resistere alle Alessandro Celi il giro del mondo saison culturelle in 60 film 27 MIRAL

Regia: Julian Schnabel. Sceneggiatura: Rula Jebreal. Fotografia: Eric Gautier. Montaggio: Juliette Welfling. Interpreti: Freida Pinto, Willem Dafoe, Alexander Siddig, Hiam Abbass, Omar Metwally, Makram Khoury, Yasmine Al Masri, Ruba Blal, Vanessa Redgrave, Stella Schnabel, Makram J. Khoury, Lana Zreik, Doraid Liddawi, Adham Aqel, Yolanda El-Karam. Produzione: Pathé. Distribuzione: Eagle Pictures. Paese: Francia, Gran Bretagna, Israele, Usa. Anno: 2010. Durata: 112 minuti.

L’istruzione come strumento per com- e poi scuola, “Al-Tifl Al-Arabi” (tuttora sguardi, a testimonianza della com- battere l’odio, il fanatismo, le guerre. esistente), autofinanziandosi, inve- plessità dell’argomento. Il lungome- Si basa sull’imprescindibile necessità stendo in quel progetto tutti i soldi traggio di Julian Schnabel si inscrive della conoscenza di sé e dell’altro Mi- ricavati dalle proprietà di famiglia, in quella «categoria» di film che di- ral, il film con cui Julian Schnabel af- creando, come ricorda Schnabel, “una segna i fatti, i personaggi, i luoghi, con fronta la questione palestinese e l’oc- vera e propria oasi per le giovani ra- realismo poetico, con un utilizzo della cupazione israeliana della Palestina a gazze palestinesi”. E fra quelle ospiti, sceneggiatura e della colonna sonora partire dal 1948. Il regista newyorkese ecco apparire Miral, una bambina di nel segno delle convenzioni (si pensi di origine ebrea ripercorre le tappe del sette anni che, nel 1978, viene porta- alla scena più dura, quella della distru- conflitto tra quei due popoli dal punto ta nell’istituto alla morte della madre. zione di una casa palestinese da parte di vista di solide e determinate figure Su Miral, Hind Husseini gioca tutte le delle ruspe israeliane, sottolineata da femminili, attraverso le storie di don- sue energie, sente che quella ragazza una musica che si sostituisce ai suoni ne arabo-israeliane in un arco tempo- potrà diventare il simbolo del suo im- e ai silenzi della devastazione) e delle rale compreso tra quel fatidico 1948 e pegno, la forma come insegnante che esigenze di un’ampia co-produzione il 1994, ovvero l’anno degli accordi di dovrà lavorare in un campo profughi. internazionale (Israele, Francia, Italia, pace (di una pace mai attuata) di Oslo. Dove, fuori da quell’oasi, la ragazza India). Miral è un’opera che intreccia avve- ritroverà un mondo in guerra e si inna- In tal senso gli interpreti ben com- nimenti storici e situazioni personali, morerà del militante politico Hani. pongono questa geografia: la star pa- immagini d’epoca e descrizioni intime Sono alcune delle tracce narrative svi- lestinese Hiam Abbass, nel ruolo di e soggettive per portare in primo pia- luppate da Schnabel in Miral, girato a Hind Husseini; l’indiana Freida Pinto e no – con l’uso di una struttura filmica Gerusalemme, dove il regista è stato l’americano di origine egiziana Omar collaudata sui toni espressivi di un “testimone della lotta tra l’umanità e Metwalli in quelli di Miral e Hani; cinema che invita alla partecipazione l’ideologia”, altro elemento centrale Willem Dafoe e Vanessa Redgrave e all’indignazione moderata – quei del film, che coinvolgerà in prima per- in piccole parti… In un film che inizia momenti salienti e la tenacia del per- sona la giovane insegnante, divisa tra e termina nel 1994, con la morte e il sonaggio scelto per avvalorare, scena l’adesione alla resistenza e alla politi- funerale di Hind Husseini a fare da cor- dopo scena, la tesi del fondamentale ca e la messa in pratica del pensiero di nice al lungo flash-back in cui accade diritto allo studio e a una vita lontano «Mama Hind», di una pace raggiunta tutta la narrazione, e che si basa sul dalla guerra. per il tramite dell’istruzione. Il cinea- romanzo La strada dei fiori di Miral di Protagonista di Miral è Hind Husseini, sta e pittore illustra questi conflitti in- Rula Jebreal. Nel libro, la giornalista una donna che lottò tutta la sua esi- teriori e collettivi ricorrendo a una for- televisiva e scrittrice palestinese na- stenza per dare un’educazione ai bam- ma poetica che non cerca l’azzardo vi- turalizzata italiana rievoca la propria bini palestinesi senza più famiglia. sivo, bensì la composizione strategica, infanzia nei territori occupati. Nel film, Una lotta, che diventò una missione, ben calibrata, di ogni dettaglio. Affron- di cui è sceneggiatrice, fa una breve iniziata da Hind Husseini nella Geru- tando con la camera a mano oppure apparizione quando, in maniera di- salemme del 1948 quando, recandosi con totali panoramici, o ancora con un screta, quasi come un’istantanea leg- al lavoro, incontrò per strada cinquan- modo di filmare affannoso per aderire gera dopo l’artificio esibito delle altre tacinque orfani, li salvò dal vagabon- a situazioni drammatiche (negli spazi immagini, compare nell’inquadratura daggio, li portò a casa dando loro un di un ospedale come in quelli dell’or- finale in auto. Miral è diventata adulta, rifugio. Divenne, questa benefattrice, fanotrofio), un materiale talmente am- si è liberata della finzione, riaffiora in un punto di riferimento e gli orfani pio ed esplosivo come quello israelo- un lampo di autobiografia filmata. salvati furono sempre più numerosi. palestinese, che il cinema ha portato Decise così di fondare l’orfanotrofio, sullo schermo con una moltitudine di Giuseppe Gariazzo il giro del mondo 28 in 60 film saison culturelle NIENTE PAURA

Regia: Piergiorgio Gay. Sceneggiatura: Piergiorgio Gay, Piergiorgio Paterlini. Fo- tografia: Marco Sgorbati. Montaggio: Car- lotta Cristiani. Musiche: Luciano Ligabue. Produzione: Lionello Cerri, Valerio De Paolis, Nico Colonna, Claudio Maioli per Lumière & Co./Bim. Distribuzione: Bim. Pa- ese: Italia. Anno: 2010. Durata: 85 minuti.

«Come siamo come eravamo e le can- quello che le persone raccontavano. A per smuovere nelle coscienze di un zoni di Luciano Ligabue». Già da questo queste voci si alternano quelle di per- popolo abituato a tutto. Nel ripercor- (sotto)titolo si potrebbe pensare quasi sonaggi più conosciuti: oltre a Ligabue rere gli eventi più importanti gay se- a una specie di documentario-musical anche Giovanni Soldini, Stefano Rodo- gue il filo emotivo della Storia e della sul filo della nostalgia, che segue quin- tà, Paolo Rossi, Carlo Verdone, Marghe- memoria individuale più che quello di un percorso istintivo e appare come rita Hack, Fabio Volo, Roberto Saviano, della logica. Questo tipo di struttura fa un trascinante flusso ininterrotto. In Peppino Englaro, Umberto Veronesi, emergere la «doppia anima» dell’Italia realtà Niente paura è più lineare. Un Javier Zanetti, Don Luigi Ciotti. Dalle quella che contempla il video dell’o- film in linea col genere (interviste, do- loro parole emerge uno smarrimento e micidio avvenuto in un bar di Napoli, cumenti d’archivio, musiche), a prima insieme il tentativo di recupero dell’i- con il cadavere a terra in mezzo all’in- vista attentamente calcolato, anche fin dentità del proprio paese. In questo differenza della gente che gli passava troppo «politicamente corretto», dove Niente paura pesca, come dal profon- davanti, e l’arresto del boss mafioso Ligabue diventa il filo conduttore con do, frammenti d’archivio su alcuni dei tra gli applausi dei cittadini. Un proce- le sue canzoni, ma anche la figura di momenti più importanti della storia dimento elementare ma efficace che, passaggio tra la macchina da presa e italiana degli ultimi 30 anni: l’arrivo pur giocando su un corpo/volto/voce la testimonianza della gente comune. della nave Vlora con 20.000 albanesi a noto, non cade nel surplus di presenza Forse è proprio il brano del cantante bordo, il caso Eluana Englaro, la strage come per la Guzzanti tra le macerie di emiliano (Buonanotte all’Italia) che di Bologna e quelle di Capaci e di via L’Aquila. Film collettivo Niente Paura mette in moto Niente paura. Ciò avvie- d’Amelio, l’attacco alla scuola Diaz a va oltre i volti delle persone e la logica ne in modo trasparente, quasi al limite Genova nel luglio 2001 durante il G8. dell’antagonismo propria della politi- della banalità, ma lo sguardo di Gay E più recentemente i fatti di Rosarno ca. Nei frammenti più o meno visti c’è ha il merito di rendersi invisibile nel con la manifestazione dei cittadini im- il prima e c’è il dopo, forse il futuro. raccontare un pezzo di storia italiana migrati (“Senza ordine non si può pro- Finalmente manca l’oggi, il presente. recente e sembra puntare a quell’es- gredire”, dice uno di loro). Sulla scorta Non nominare politici di ogni parte senzialità primitiva dei documentari di di questi documenti emergono anche politica, scandali recenti, triste socio- Ermanno Olmi, del quale è stato allie- gli articoli della Costituzione italia- logismo sulla decadenza culturale con vo a «Ipotesi Cinema». na che, nella loro fissità, assumono le i reality, è forse l’aspetto più forte di La macchina da presa raccoglie le te- sembianze di strani sepolcri. questo documentario. Non ha la pre- stimonianze delle persone comuni: “Tutti i cittadini sono uguali davanti tesa moralistica di Erik Gandini che in come per esempio quella della ragaz- alla legge” (Art. 3), “La libertà indivi- Videocracy ci insegna come funziona za di origine albanese che racconta duale è inviolabile” (Art. 32) vengono il nostro paese a partire da alcune sue la storia dei suoi genitori quando è letti e filmati come se fossero delle deformazioni esemplari (Lele Mora & venuta in Italia, oppure il toccante in- scritte su delle tombe, da rispolverare Fabrizio Corona). Con coraggio e lon- tervento della figlia di Guido Rossa, dalle ceneri del tempo, così come tor- tano da ogni snobismo intellettualisti- l’operaio e sindacalista italiano ucciso nano dal passato figure come quelle di co, Gay apre l’abisso sul vuoto che c’è a Genova il 24 gennaio 1979 dalle Bri- Pier Vittorio Tondelli, Enzo Biagi e San- adesso. E il futuro, che non si vede e gate Rosse. Lo stile riporta al metodo dro Pertini. Senza stravolgere le regole si fatica a percepire dalle parole della d’inchiesta della tv d’inizio anni ’70, di un genere o apportare delle verità gente, alla fine si sente. Ed è la carezza dove l’oggettività della documenta- sconvolgenti, Niente paura corre lungo di un pittore sul corpo, dopo una serie zione e dell’informazione andava di un filo che unisce canzone e memoria: di scene tragiche viste in successione. pari passo con la capacità di far sentire vuole essere un film esemplare, non veramente la voce delle persone, cre- innovativo. Qualcosa però, attraverso Simone Emiliani ando un legame immaginario al di là di il suo accumulo indifferenziato, finisce il giro del mondo saison culturelle in 60 film 29 NON È ANCORA DOMANI La Pivellina

Regia: Tizza Covi, Rainer Frimmel. Foto- grafia: Rainer Frimmel. Montaggio: Tiz- za Covi. Interpreti: Patrizia Gerardi, Asia Crippa, Tairo Caroli, Walter Saabel. Pro- duzione: Vento Film – Vienna. Distribu- zione: Officine Ubu. Paese: Austria, Italia. Durata: 100 minuti.

San Basilio, Roma. Borgata di pa- al centro i sentimenti e la tensione infinite attenzioni riesce persino a lazzoni, immigrati italiani, casette emotiva che cresce piano piano. non essere triste, a non piangere la abusive e speculazioni cresciuta nel Non è la retorica dell’attualità sulla mamma che non c’è più. Patti la por- dopoguerra col piano Marshall, ne- periferia che interessa Tizza Covi e ta al mare, a passeggio, le fa cono- gli anni Settanta è un quartiere di Rainer Frimmel, anche perché i pro- scere gli animali del circo, divide in- lotta per l’occupazione delle case. tagonisti del film sono nomadi, non sieme alla bimba ogni istante. “Non Il bianco e nero delle fotografie di appartengono fino in fondo a nes- ti affezionare troppo” la ammonisce Tano D’Amico ne tesse la memoria sun posto. E se nel loro modo di es- il compagno. Patti ha superato l’età sui volti delle donne che combatto- sere affiorano citazioni o riferimenti per l’adozione, è povera, non è spo- no. Cecilia Mangini tra quelle case al patrimonio dell’immaginario è sata, la legge non glielo permette- popolari e le scuole pubbliche che sempre in punta di piedi, senza insi- rebbe mai. accoglievano malvolentieri i loro ra- stenza, perché sono «questi» perso- Tizza Covi e Rainer Frimmel hanno gazzini «difficili» gira La briglia sul naggi e la «loro» realtà che i registi una predilezione per il mondo del collo (1971), un capolavoro realizza- amano e ci vogliono raccontare. circo, non quello sfarzoso – chissà to in una manciata di giorni perché i Patti fa parte della famiglia di un poi se ancora esiste. Il loro sguardo soldi non bastavano. Il film – l’ulti- circo. Con lei ci sono il compagno si posa sui piccoli circhi di famiglia, mo girato dalla regista – racconta la e il nipote, Tairo. Abitano nel quar- che faticano a sopravvivere e si storia di Fabio, uno di quei «bambi- tiere, un po’ si arrangiano, l’allaccio muovono in sgangherate periferie ni difficili», famiglia proletaria, tanti dell’acqua è dato dalla fontanella nel crescente disinteresse. Appar- fratelli: la madre presa dai più pic- pubblica. Ormai non lavorano quasi teneva a un circo anche la famiglia coli, il padre dal lavoro, tutti e due più, lei e il marito sono troppo vec- protagonista del loro film prece- troppo stanchi per occuparsi delle chi, e gli altri sono stanchi della fa- dente, Babooska (2005), un sorta di fantasie scatenate del ragazzino. A tica imposta dalla vita circense. Un «viaggio in Italia» che rivelava i pre- scuola la maestra lo emargina, Fabio giorno mentre cerca il suo cane Patti giudizi e la diffidenza verso questo è un «disadattato», «non è come trova in un parco pubblico una bam- mestiere bello e antico. Babooska gli altri»; il preside finge compren- bina. Avrà circa due anni, è sola. La aveva al suo centro un’adolescente sione, mentre dalle molti voci che mamma l’ha abbandonata, la si vede e finiva il suo percorso anch’esso in parlano di Fabio affiora il ritratto fuori dall’inquadratura mentre di una periferia romana. Qui il viaggio, spietato di una società italiana «or- nascosto, prima di andarsene, osser- invece, è tutto interiore, riguarda gogliosamente» di classe. va fino ad accertarsi che qualcuno si l’affetto profondo tra la bambina e In questi stessi luoghi, quarant’an- occupi della piccola. La bambina si la donna. Nel passaggio da un pro- ni dopo, si ambienta la storia della chiama Asia, ma subito Patti la so- getto all’altro i registi hanno affina- «Pivellina», lungometraggio ideato prannomina la Pivellina. La donna to il loro stile e metodo di lavoro. Gli e realizzato da Tizza Covi e Rainer l’accoglie, inizia a amarla pure se attori sono dei non professionisti e Frimmel. Può sembrare strano che sa che ad ogni istante la mamma colpiscono per la verità e immedia- due registi estranei all’ambiente vera potrebbe riprenderla. Ha la- tezza messe in campo; sebbene la romano – Frimmel è austriaco, Covi sciato un segnale, un bigliettino e «cifra» sia quella del cinema della di Bolzano – abbiano scelto San poi promesse di appuntamenti mai realtà, qui tutto è scritto, messo in Basilio come set. Ma forse proprio rispettati. scena e recitato, anche dalla piccoli- questa «distanza» permette loro di La Pivellina diviene per Patti il cen- na, con bravura consumata. costruire insieme a luoghi e perso- tro del mondo, una piccola princi- naggi una relazione libera, che pone pessa che nel gioco felice di quelle Cristina Piccino il giro del mondo 30 in 60 film saison culturelle LE PERE DE MES ENFANTS

Réalisation, scenario : Mia Hansen-Løve. Image : Pascal Auffray. Montage : Marion Monnier. Interpretes : Chiara Caselli, Louis-Do de Lencquesaing, Alice de Lencquesaing, Alice Gautier, Manelle Driss. Production : Les Films Pellés. Dis- tribution : Teodora Film. Pays: France. Année : 2009. Durée : 110 minutes.

Le deuxième long métrage de Mia mail… – et qui résonnent avec des Chez Hansen-Løve, la transmission Hansen-Løve est le portrait poignant réalités identifiables, tel le cinéaste ne se mesure ni en gènes communs, d’un homme qui, ni au début ni à la suédois Stig Janson, dont l’impossible ni en nombre d’années. On pourrait fin du film, met fin à ses jours d’une Saturn produit par Canvel, est en train dire qu’elle relève de l’espace et de la manière aussi attendue que brutale. de ruiner celui-ci (on reconnaît le lumière plutôt que du temps passé à Attendue parce que sa société de Hongrois Béla Tarr, dont L’Homme de vivre ou à travailler ensemble. production de cinéma, Moon Films, Londres a gravement endetté Balsan). Le mystère de la décision de se suici- vient de faire faillite ; brutale parce Mais malgré ce fond réel, le choix der malgré une vie affective intense que l’amour réciproque de sa femme de tenir ensemble et en tension les et heureuse reste aussi intact que et de ses trois filles saute aux yeux sphères professionnelle et familiale les mosaïques de Ravenne que Gré- dans les scènes qui les montrent éloignent le film de la biographie ro- goire Canvel, dans une séquence de ensemble. Le geste tragique placé au mancée. De quoi s’agit-il dans ce récit vacances, choisit de montrer à ses milieu du Père de mes enfants fascine limpide, aussi maîtrisé que fluide ? Le filles. Il y a dans la mosaïque une et déroute comme le centre cristallin titre donne la réponse : c’est l’épouse dureté scintillante qu’à l’évidence, d’une roche à la fois transparente et (excellente Chiara Caselli) qui parle. la cinéaste avait décelée chez feu complexe. Cet étonnant alliage de Le fait qu’elle ne soit pas française son producteur. Mais au lieu de se mystère et de lisibilité correspond à mais italienne ajoute un degré à la contenter d’un hommage à cette fi- la fois à la personnalité de l’homme légère distance des émotions, qui gure audacieuse et noble, elle laisse – Grégoire Canvel, inspiré par le pre- est désormais la patte de Mia Han- son geste brutal irriguer le début mier producteur de la jeune cinéaste, sen-Løve. Le Père de mes enfants, ou et la fin du film, pénétrer la famille. suicidé avant d’avoir pu mener à bout que reste-t-il du passage d’un homme Le personnage de l’adolescente, leur projet en 2005 – et au style de qui, par vocation, a beaucoup donné Clémence (Alice de Lencquesaing), la réalisatrice. Déjà remarquée pour aux autres – famille mais aussi aux s’offre en versant féminin de l’alter son choix de casting de Paul Blain artistes, dans une sorte d’empathie ego de la cinéaste, qui avait déjà dans Tout est pardonné (2007), elle avec eux ? Si cette personne s’est filmé cette jeune actrice avec une a trouvé en l’acteur Louis-Do de elle-même supprimée, qu’a-t-elle attention remarquable dans Tout Lencquesaing un convaincant alter pu transmettre à la génération sui- est pardonné. Plutôt que d’être ego d’Humbert Balsan. Ce producteur vante ? Il n’est pas anodin que le per- éclipsé par le geste autodestructeur français connu pour avoir parié sur sonnage d’Arthur, jeune réalisateur de l’époux et père, les femmes qui des auteurs comme Claire Denis, Béla qui comme Hansen-Løve avait briève- l’entourent rayonnent encore après Tarr ou Youssef Chahine avant que sa ment entamé une collaboration avec sa mort de l’amour qu’elles lui por- société ne fasse faillite, avait incarné le producteur – soit plus développé taient. Ce n’est pas que l’homme, le beau Gauvain dans Lancelot du lac après la mort de ce « père artistique » étoile morte, les éclaire comme des de Robert Bresson (1974). qui a cru en lui. Son élan de créativité planètes satellitaires, mais bien plu- Le Père de mes enfants serait-il alors est en quelque sorte le credo de Tout tôt que la force de vie de leurs senti- un «biopic» à la française, ou pire, un est pardonné et du Le Père de mes ments à elles dépassent leur objet et film à clefs réservé à un microcosme enfants : dans le premier, une adoles- le perpétuent. En lieu et place de la parisien ? Il est vrai que le milieu de cente vivait de brèves retrouvailles chronique d’une disparition, Hansen- la production indépendante française avec son père qu’elle n’avait pas Løve filme la permanence de la vie y est rendu dans des détails concrets connu, avant d’apprendre sa mort ; à travers les liens filiaux, au propre savoureux – l’aisance avec laquelle dans celui-ci, la relation profession- comme au figuré. Canvel jongle entre diverses conver- nelle tout aussi furtive d’Arthur avec sations au début, argent, amour, SMS, Grégoire est également indélébile. Charlotte Garson il giro del mondo saison culturelle in 60 film 31 LA PASSIONE

Regia: Carlo Mazzacurati. Soggetto, sce- neggiatura: Umberto Contarello, Doriana Leondeff, Marco Pettenello, Carlo Mazza- curati. Fotografia: Luca Bigazzi. Montag- gio: Paolo Cottignola, Clelio Benevento. Musica: Carlo Crivelli. Interpreti: Silvio Orlando, Giuseppe Battiston, Corrado Guzzanti, Cristiana Capotondi, Stefania Sandrelli, Kasia Smutniak, Maria Paiato, Marco Messeri, Giovanni Mascherini, Fau- sto Russo Alesi. Produzione: Fandango in collaborazione con Rai Cinema. Distribu- zione: 01 Distribution. Paese: Italia. Dura- ta: 106 minuti.

È sintomatico dell’attuale stato del di magnifici e orribili freak televisi- messa del cinema ora decaduta; c’è Paese se da tempo il cinema italiano vi. La stessa comicità al vetriolo sul l’idea stessa di una sconfitta stori- è stato mangiato dalla televisione e mondo del cinema italiano, da cui ca, la superficialità di ogni discorso se il dialogo tra i due è fortemente nascono le battute più divertenti condotto con le regole imposte dal- sbilanciato verso la seconda. Dopo del film, non è che la riproposizione lo spettacolo televisivo. aver vinto la battaglia della seduzio- della verve acida di Boris, della sua Tutto è piatto, bidimensionale, co- ne e della popolarità, la televisione auto-indulgenza e della sua bona- struito: non come il tableau di una si è conquistata il diritto di parlare rietà travestita da cattiveria. passione medievale, ma come uno per prima, di creare personaggi e Non è mettere alla berlina colleghi schermo senza profondità. Non è figure comiche che prosperano sul e avversari che preme a Mazzacura- un caso, quindi, che la rabbia a un piccolo schermo e poi arrivano an- ti, pur con tutta l’ironia e il diverti- certo momento si sfoghi non come che a esprimersi sul grande. Con mento che impiega. E non è nem- reazione alla sfortuna, ma come «Checco Zalone» e «Cettolaqualun- meno l’ingenuità della provincia sdegno di fronte alla derisione sen- que», per restare agli ultimi clamo- a interessarlo, avendo in passato za vergogna dello spettatore comu- rosi esempi, è andata così: la tv ha attraversato, e con ben altra forza, ne, insensibile a tal punto da ridere dato il via al tormentone e i film che quel mondo di articolate ambigui- di un uomo grasso che crolla al suo- ne sono seguiti si sono limitati a no- tà. Resta sì un pittore di paesaggi lo e da non accorgersi di assistere bilitarlo o ad allungarne l’esistenza. umani e sociali, ma con la consa- a uno spettacolo vero, tridimensio- Il cinema, o almeno il cinema com- pevolezza che la compromissione nale, alla rappresentazione reale di merciale e comico in cui la ripetizio- dello sguardo televisivo ha defini- una moderna passione, l’unica oggi ne è norma e bisogno spettatoriale, tivamente mutato la capacità di di- possibile. La passione, cioè, del di- non prosegue il discorso televisivo, scernimento della realtà. Il mondo verso, dell’ultimo, del singolo la cui ma lo ripete solamente, al massimo che mette in scena, superficiale e soggettività non si adegua all’emo- lo prolunga. bozzettistico, con una Toscana da tività collettiva e merita quindi irri- Carlo Mazzacurati, che è un regista spot e una lingua da vernacoliere, sione e rifiuto. vero e non un esecutore, lo sa bene è l’unico che al momento il cinema E non è un caso, infine, che una vol- e nel momento in cui decide di gi- comico possa permettersi, il solo ta spezzato il velo di nulla con cui rare una commedia italiana datata gioco che il pubblico accetti di gio- ha avvolto la sua commedia (inevi- 2010 si pone al limitare del pro- care per arrivare alla risata. tabilmente) televisiva, Mazzacurati blema, un passo prima della resa La passione è dunque la storia di scelga di chiudere il «suo» film con alle dinamiche televisive, un passo un’impotenza creativa che si tra- un «altro» film, che è cinema quan- oltre la possibilità di pensare al co- duce in un’impotenza esistenziale. to meno indipendente, creato dalla mico in termini cinematografici. Il L’inazione di Gianni Dubois, regista mente finalmente libera di Dubois e suo La passione fa ridere, ma lo fa senza più ispirazione e incapace di dunque racconto senza veli, raccon- come una fiction riuscita e ben scrit- dirigere una rappresentazione po- to di fuga e liberazione che sceglie ta: con i tempi rapidi dello sketch polare che sembra andare in scena di collocare un personaggio al limi- da cabaret, con le macchiette dei da sola, come un film senza regia, è tare di un mondo da scoprire, oltre personaggi che prevalgono sulla il segno della sconfitta del cinema il quale si celano lo sconosciuto, l’i- loro definizione psicologica, con la rispetto alla televisione. Non c’è natteso, il nuovo forse. presenza di Corrado Guzzanti che si nemmeno Mazzacurati dietro l’im- limita ad aggiornare la sua galleria magine stereotipata dell’ex pro- Roberto Manassero il giro del mondo 32 in 60 film saison culturelle LA PECORA NERA

Regia, soggetto: Ascanio Celestini. Sce- neggiatura: Ascanio Celestini, Ugo Chiti, Wilma Labate. Fotografia: Daniele Ciprì. Montaggio: Giogiò Franchini. Scenogra- fia: Tommaso Bordone. Costumi: Grazia Colombini. Interpreti: Ascanio Celestini, Giorgio Tirabassi, Maya Sansa, Luisa De Santis, Nicola Rignanese, Barbara Val- morin, Luigi Fedele. Produzione: Ales- sandra Acciai, Carlo Macchitella, Giorgio Magluilo per Madeleine e Raicinema, in collaborazione con Bim. Distribuzione: Bim. Origine: Italia. Anno: 2010. Durata: 93 minuti.

«Com’è possibile camminare sui dalla continua reiterazione di pa- Il discorso è politico, militante ad- prati verdi e avere l’animo triste? role, frasi, situazioni. Ereditando dirittura: in fondo Celestini non si è Essere immersi nel caldo del sole una tradizione letteraria che fa del mai nascosto dietro un dito, né negli mentre tutto intorno sorride e ave- manicomio un luogo sacro, non per spettacoli teatrali, né negli inter- re l’angoscia nel cuore? Lasciate a forza idealizzato o glorificato bensì venti televisivi. Con La pecora nera, noi le vostre tristezze. A noi che non concepito come regno dell’alterità, però, non compie l’errore di pescare possiamo andare nei prati e non ve- Celestini non scivola nella retorica da un repertorio noto o da una pra- diamo mai il sole». Così, su un tono grazie a una struttura costruita sulla tica scenica rodata, e sceglie invece malinconico e rassegnato, rabbioso sua immaginazione imballata, con di riformulare daccapo la sua visio- quasi, si chiude l’esordio nel cine- la follia che prende gradualmente ne del mondo; si lascia alle spalle ma di finzione dell’attore e scrittore possesso del film e finisce per ribal- esperienze artistiche affini ma - dif romano Ascanio Celestini, tratto da tare la posizione dello spettatore ferenti e imbastisce un discorso au- un suo romanzo omonimo a sua vol- nei confronti dei personaggi, co- tonomo e azzerato, istintivo e bello ta ispirato a uno spettacolo teatrale stringendolo a una revisione totale di una bellezza che è casuale, forse e come altre sue precedenti espe- di ciò che ha visto. inconsapevole. rienze artistiche nato da un’unica Le figure letterarie del paradosso e Nella vita Celestini non fa cinema, è fonte poi libratasi in svariate forme. dell’antinomia, che nei monologhi evidente, non intende ricercare una È la ripetizione, in fondo, la figura teatrali di Celestini reggono giri narrazione piena e sceglie tempi centrale del mondo poetico di Ce- di frase infiniti, sillogismi ironici dilatati, a tratti pure catatonici: ma lestini, il modo insieme moderno e drammatici, qui regge un inte- per fortuna la cosa non sembra cre- e ancestrale con cui sviscera il lin- ro film, con la prigione che si tra- argli imbarazzi, non gli mette l’an- guaggio per scomporlo e illuminar- sforma a poco a poco in un mondo sia dell’emulazione e non lo porta a lo di nuovi possibili significati. «altro», non una negazione della rifugiarsi, dopo il documentario Pa- La continua riflessione che egli società che ha tagliato fuori i matti, role sante, nei territori rassicuranti opera sui medesimi temi (la follia, ma un suo stravolgimento. Il matto del format televisivo. Al contrario, la condizione operaia, la lotta di è un alieno o un santo, dice Cele- gli regala un approccio libero e non classe, il trauma della guerra) segue stini, non perché più intelligente o programmatico nei confronti del ci- una spirale che porta a un nucleo sensibile o puro delle persone nor- nema, gli dona uno sguardo che si centrale da cui tutto ha inizio. E le mali, ma perché dotato di un siste- annulla dietro un mezzo non padro- parole che chiudono il film si avvi- ma di pensiero più limitato, trauma- neggiato e lo fa rinascere di fronte cinano con autentico dolore a quel tizzato, e dunque impermeabile ai a un obiettivo che lo mette sempre nucleo, a quella pietas umana che condizionamenti dell’esterno, alle al centro, ma in realtà lo lascia, lui in fondo a tutto è l’unico possibile lusinghe del consumismo e delle come gli altri matti del manicomio- sguardo morale sulle tragedie del- mode mediatiche. Significativa- mondo, ai margini di una riflessione la vita. mente, il solo luogo che si vede al di sulla follia in quanto celebrazione Nel suo sofferto viaggio di ricerca fuori dal manicomio è un supermer- della diversità. Il matto non sceglie Celestini imbastisce una traiettoria cato e il solo evento storico che tra- di essere diverso, il matto è diver- narrativa che è schizofrenica come pela nelle sue mura è la morte del so. Per questo è triste, malinconico, la mente dei suoi personaggi, fran- Papa dell’aprile 2005, con il coc- sconfitto, ma pure libero come nes- tumata in mille episodi slegati, tra ciuto sistema di pensiero dei matti suno di noi sani sarà mai. flashback dell’infanzia e dialoghi che non si fa scalfire dai soliti canali assurdi, ma tenuta insieme proprio della seduzione di massa. Roberto Manassero il giro del mondo saison culturelle in 60 film 33 PIETRO

Regia, sceneggiatura: Daniele Gagliano- ne. Fotografia: Gherardo Gossi. Montag- gio: Enrico Giovannone. Suono: Vito Mar- tinelli. Interpreti: Pietro Casella, France- sco Lattarulo, Fabrizio Nicastro, Carlotta Saletti, Diego Canteri, Giuseppe Mattia. Produzione: Babydoc Film in collabora- zione con La Fabbrichetta. Distribuzione: Lucky Red. Paese: Italia. Anno: 2010. Du- rata: 82 minuti.

Che Daniele Gaglianone sia uno degli la pena ricordarlo – è stato girato in do- il vivere sospeso di Pietro, i suoi sen- autori più originali, rigorosi e appas- dici giorni in una Torino trasformata da timenti più intimi e indicibili, crea una sionati del cinema italiano contempo- Gaglianone in luogo «mai visto», con sovrimpressione radicale tra il film e raneo è evidente da anni. Pietro, il suo la complicità di attori meravigliosi, a il personaggio, come se si trattasse di lungometraggio più recente, ne è la te- partire da Pietro Casella, interprete di una sua lunga soggettiva, talvolta allu- stimonianza necessaria e preziosa. Un una performance radicale dopo due cinata, talvolta catatonica. film nel quale il regista torinese mette mesi di prove e, come Francesco Lat- Il tempo e il vivere sospeso si mani- in campo tutta la sua poetica con uno tarulo e Fabrizio Nicastro, proveniente festano in ogni istante di Pietro. Suo- stile riconoscibile eppure ogni volta dal cabaret. ni e rumori della strada entrano in sorprendente. C’è un filo rosso, al tem- Pietro descrive un percorso di ribel- campo quando lo schermo è ancora po stesso nascosto e ben identificabile, lione pedinando, inquadratura dopo nero, a testimoniare la loro fisicità e che attraversa la sua filmografia, nella inquadratura, il protagonista nei suoi l’importanza della «visione sonora», moltitudine dei lavori documentari spostamenti, con quello sguardo «do- anticipano le immagini d’apertura e come nelle due opere narrative che cumentario» che si incontra ovunque si confondono con esse. Sono suoni e precedono Pietro, l’esordio in bianco- in Gaglianone, indispensabile anche immagini che eludono ogni preambo- nero di I nostri anni e Nemmeno il de- nella struttura più solidamente elabo- lo, come se la storia fosse già iniziata, stino. Tutti, ritratti di personaggi che vi- rata per tracciare le linee di una verità che non spiegano e non prendono per vono ai margini di una società che, per filmica, portando in primo piano un’u- mano lo spettatore, non lo rassicurano, motivi diversi, non li desidera: gli an- manità umiliata e offesa. È il segno lo scuotono invece fin da subito di fron- ziani ex-partigiani prigionieri della loro indelebile che affiora anche da questo te a un personaggio che vive in maniera memoria nel suo primo film, gli adole- film, ritratto di un ventottenne affetto «spostata» il posto assegnatogli sulla scenti di periferia e le lacerazioni fami- da un disturbo mentale, isolato in un terra. Un personaggio incontrato men- liari nell’opera seconda, basata sull’o- suo mondo di pensieri e azioni, con- tre depone volantini sulle auto in sosta, monimo romanzo di Gianfranco Bettin. fortato dalla lettura di Michele Strogoff, seguito, lì e altrove (nell’appartamento, E ora altri personaggi e corpi feriti, che sfruttato sia dal fratello tossicodipen- nel lungo fiume, nel garage utilizzato dal abitano un’altra periferia, uguale e dif- dente con cui divide l’appartamento padrone come ufficio, in un capannone ferente da quelle sparse nel cinema di dopo la morte dei genitori sia dall’am- vuoto, alla fermata di un bus), da una Gaglianone. Pietro è uno dei suoi film biguo individuo per il quale distribui- camera a mano che procede ora concita- più disperati, realizzato sei anni dopo sce volantini. Un personaggio senza ta ora quasi ferma, sempre espressione Nemmeno il destino, come in reazio- famiglia che con la sua presenza si- della tensione vissuta da Pietro e da chi ne a una situazione lavorativa immo- lenziosa «domina» la scena, portando gli sta attorno. Una camera a mano che bile, come contrasto all’indecisione e riportando il suo corpo in ambienti osserva e partecipa e dunque cambia produttiva legata ad altri progetti. Un simbolo di un degrado disegnato con tono nelle scene in cui Pietro e la nuova film nato dalla rabbia e che quel sen- spietatezza, sempre evitando giudi- amica incontrata sul luogo di lavoro cer- timento lo racconta in maniera cruda zi frettolosi e adesioni a un cinema cano di ritagliarsi attimi di felicità nell’il- e commovente seguendo le giornate sociale schematico e prevedibile. Sta lusione di poter fuggire da quel mondo. di un giovane, Pietro, soffocato dalla proprio nella forma, nell’uso contun- Una fontana è luogo di una pace tem- ripetizione dei gesti quotidiani. Un film dente della macchina da presa, di un poranea, dove Pietro si rifugia e dove il che dimostra come, con un budget mi- sonoro e di un montaggio taglienti che film lo colloca, nell’ultima inquadratura. nimo e lontano da ogni compromesso, producono un tempo sospeso, la forza Luogo di un altrove infine negato, che si possa esprimere il senso più profon- di questo cineasta. In tal modo, con Pietro, nella stanza del commissariato, do del fare cinema indipendente con l’elaborazione continua di questi ele- può solo ripensare. esemplare professionalità. Il film – vale menti, Gaglianone traduce in immagini Giuseppe Gariazzo il giro del mondo 34 in 60 film saison culturelle POTICHE. LA BELLA STATUINA Potiche

Regia: François Ozon. Sceneggiatura: François Ozon dalla pièce di Pierre Baril- let e Jean-Pierre Grédy. Fotografia: Yorick Le Saux. Montaggio: Laure Gardette. Mu- siche: Philippe Rombi Scenografia: Katia Wyszkop. Costumi: Pascaline Chavanne. Interpreti: Catherine Deneuve, Gérard Depardieu, Fabrice Luchini, Karin Viard, Judith Godrèche, Jéremie Renier, Sergi López, Evelyne Dandry . Produzione: Eric e Nicolas Altmeyer per Mandarin Films. Distribuzione: Bim. Paese: Francia. Anno: 2010. Durata: 103 minuti.

Ritorna da Jacques Demy il corpo di memorie sepolte di «amori perduti» ta si rimette in discussione, che vuole Catherine Deneuve. I colori accesissi- ritornano a galla (ancora la Deneuve apparire sempre diverso ma che in mi, l’esibizione del décor e degli og- con Depardieu da L’ultimo metrò di realtà adesso ha acquistato un’iden- getti (gli ombrelli), la canzone dopo il Truffaut), da uno sguardo in continua tità che prima non aveva. Potiche è il comizio post-vittoria con i suoi elet- tensione nel frantumare l’esterno alla risultato di un regista, oggi, in stato di tori e l’illuminazione «teatrale» della ricerca dell’aria, come nell’immagi- grazia che non riesce più a controllare fotografia di Yorick Le Saux sono in ne iniziale di Suzanne che fa footing la sua creatività, anche se all’interno continuo rapporto con la sua figura, che richiama quelle commedie degli di una struttura non facilmente pla- i suoi movimenti. Sembra essersi anni ’70 di Claude Zidi e Patrice Le- smabile, che sa tirare fuori il meglio reincarnata 46 anni dopo da Les Pa- conte (il film è infatti ambientato nel dagli attori, qui un gioco di squadra rapluies de Cherbourg, piombata sul 1977) soprattutto per come sfuma le di prima grandezza dove oltre alla cinema di François Ozon come una prospettive e lascia prevalere l’istin- Deneuve, primeggia Fabrice Luchini meteora dallo spazio e, dopo il pri- to sulla ragione dei suoi protagonisti. ma sono egregiamente spalleggiati mo difficile primo contatto di 8 don- Potiche è un film pieno di pulsioni anche dallo stesso Depardieu, Karin ne e un mistero, trova stavolta un’e- nascoste, di desideri negati, di scatti Viard, Judith Godrèche e Jérémie Re- nergia trascinante, inizialmente più faticosamente trattenuti da una ge- nier. Le battute fulminanti sono gesti- controllata poi sempre più dirom- stualità comunque già molto visibile. te con una scelta dei tempi perfetta, pente. In Potiche è Suzanne Pujol, Per certi aspetti sembra la sintesi più ad orologeria, in cui entrano in gioco casalinga sottomessa che all’im- felice delle molteplici variabili del anche le espressioni dei personaggi, provviso si trova costretta a pren- cinema di Ozon, ora più classico ora quasi sfasati, fuori sincrono rispetto a dere in mano le redini della fabbrica più sperimentale, ora indissolubil- quello che stanno pronunciando e che del dispotico marito. mente legato alla scrittura ora invece creano un ritmo indiavolato, lo stesso Ritorna dal palcoscenico il cinema di permeato di un vissuto epidermico dell’ultimo cinema di Alain Resnais, François Ozon, a tratti filtrato dalle che sembra delineare in progress la da Cuori a Gli amori folli dove proprio ombre di Rainer Werner Fassbinder vicenda. Può apparire paradossale, l’attore sembra volersi ribellare al suo che diventavano poi avvolgenti in ma quest’ultimo film (presentato in personaggio e non potendone muta- uno dei suoi film più riusciti, Gocce concorso al 67° Festival di Venezia), re il destino cerca comunque di alte- d’acqua su pietre roventi e da Dou- segna idealmente il punto conclusivo rarne il rapporto per spingerlo verso glas Sirk nell’accentuazione della di un’ipotetica tetralogia sulla fami- territori diversi a cui è destinato. Al materia del set, qui essenziale nella glia e soprattutto sulla ricerca della tempo stesso il cinema di Ozon s’in- descrizione del «luogo» domestico. felicità in cui si passa dall’Inghilterra fiamma all’improvviso, tra comme- Non c’è dubbio che la pièce teatrale all’inizio del ‘900 in Angel, alle trac- dia e musical, con luci (sulla ribalta) di Pierre Barillet e Jean-Pierre Grédy ce di quel cinema operaio presenti adatte per ogni periodo, anche per gli da cui il film è tratto, ha un peso de- anche in questa pellicola che poi tra- anni ’70. Potrebbe essere un cineasta cisivo soprattutto nella disposizione valicano in una dimensione sospesa anche post-Nouvelle Vague. Chissà degli attori nello spazio scenico e tra grottesco e fantastico di Ricky, alla cosa direbbe Truffaut. Ma questo non nei tempi dei dialoghi. Eppure sta- comune elaborazione del lutto di Il è «cinéma de papa». È inattuale pro- volta qualcosa si frantuma e si libera rifugio in cui l’utopistica aspirazione prio come Jacques Demy. Forse può improvvisamente, proprio il contra- a una famiglia ideale sembra condi- apparire come una scommessa azzar- rio della claustrofobia di 8 donne e zionare anche quest’ultimo lavoro del data, ma Potiche può avere anche la un mistero e si è contagiati da una cineasta francese. Passato, presente, stessa resistenza al tempo. follia che è insieme lucida e passio- futuro. Senza apparente soluzione di nale, da una danza collettiva dove le continuità, in un cinema che ogni vol- Simone Emiliani il giro del mondo saison culturelle in 60 film 35 LE QUATTRO VOLTE

Regia, soggetto e sceneggiatura: Miche- langelo Frammartino. Fotografia: Andrea Locatelli. Montaggio: Benni Atria, Mauri- zio Grillo. Suono: Simone Olivero, Paolo Benvenuti. Costumi: Gabriella Maiolo. Scenografia: Matthew Broussard. Produ- zione: Invisibile Film, Vivo Film, Essential Filmproduktion, Ventura Film. Distribu- zione: Cinecittà Luce. Paese: Italia, Ger- mania, Svizzera. Anno: 2010. Durata: 88 minuti.

La caratteristica delle immagini di chiude, però, anche il ciclo della vita cui scaldarsi. E nel fumo polvere lieve Michelangelo Frammartino è di op- e della morte, della rinascita e della che si alza in volo tornando a fondersi porsi a ogni definizione. Un «corpo a trasformazione, il mutare di ogni esse- con la natura. corpo» deciso nei confronti di quanto re vivente, uomini, animali, vegetali in Ecco Le quattro volte, quattro movi- si riporta abitualmente alle nozioni di una trama eterna. Non è questa, a pen- menti che racchiudono ed esprimono «genere». Oltre gli angusti concetti di sarci, la sostanza del cinema, miscela l’universo. Illuminano d’una sacrali- finzione e documentario si pongono di spazio, tempo, passato, presente? tà terrena il nostro essere al mondo infatti i due lungometraggi realizzati Cinema che cattura la luce, e ricrea fuori dai dogmi e dalle regole, se non a vari anni di distanza: Le quattro vol- un diverso orizzonte in cui quanto quelle della vita. Nel contrappunto tra te e Il dono. Questo tipo di categorie pensiamo di conoscere assume forme ritualità e variazione si pone il cinema privano del piacere di una sorpresa, sempre nuove? di Frammartino. La messinscena geo- di un’epifania dello sguardo da cui la- L’anziano soffre di tosse. Vive solo metrica, persino gelida, non è affidata sciarsi coinvolgere e appassionare. Le nella vecchia casa in paese. Giorni a una forma narrativa riconoscibile quattro volte non è un documentario, tutti uguali, portare fuori il gregge, la e nega dunque anche l’aspetto del- perché non è il racconto della realtà in solitudine nei campi, il ritorno a casa. la «finzione». È qualcos’altro che si sé che spinge Frammartino a filmare; E la tosse, ogni notte più violenta. Lo mostra, qualcosa di indefinibile, che e neppure la narrazione del mondo solleva la cenere che una pia donna non appartiene a nessuna catego- contadino, anche se fortemente pre- raccoglie per lui in chiesa e gli porge ria, e che pure ci fa ridere, piangere, sente; né tantomeno l’idea del film sussurrando preghiere. Sacro e profa- stupire… Ci incanta e ci commuove. etnografico che intende salvaguarda- no. Un giorno l’uomo perde la cenere Una sfida discreta, senza l’autoritari- re le tradizioni (scomparse o sul punto nei campi. È notte, troppo tardi per smo di chi vuole imporre una visione di scomparire). La centralità di luoghi, correre dalla donna nella sacrestia. o l’ammiccamento sentimentale. In atmosfere, figure che popolano il film, Al mattino le capre attendono inva- questo senso Frammartino fa un ci- accresce l’indipendenza delle imma- no: l’uomo è morto. Osservandone il nema fortemente «politico» – questa gini dai propri referenti. Lì, nella terra corpo nel letto le bestie gli danno un forse la sola definizione possibile – a di Calabria da cui proviene la famiglia ultimo saluto. Su di loro passa la sto- partire dall’esigenza di riposiziona- del regista, e dove si ambientava an- ria. Uno stesso andamento ne ordina re lo sguardo dello spettatore, che è che Il dono, Frammartino si muove con la vita, conseguente come lo sono le condotto in un universo disseminato la sicurezza che gli permette l’astra- stagioni, il sorgere e il calare del gior- di segni familiari a cui dare un nuovo zione. C’è senz’altro una componente no. Il pascolo, la stalla, il cibo, una rete senso. E dove anche il cinema è messo affettiva, ma questa vive nella distan- di relazioni, i grandi e i piccoli: la ge- a confronto con se stesso, nell’era che za di chi è cresciuto altrove (a Milano). rarchia del gregge. Finché l’imprevisto ha lasciato la vecchia pellicola per il Questa stessa ha permesso di svilup- le cancella dallo schermo, un capretto digitale, in cui più che mai la memoria pare una memoria intima di quei pae- si perde e si addormenta sotto un al- non deve essere espressione nostal- saggi «originari», in cui si intrecciano bero secolare... Anche la vita di questo gica. E quell’immagine, che oggi la suggestioni fantastiche, esperienza gigante solitario del bosco è scandita tecnologia ha reso facile, col rischio culturale e frammenti di realtà. dalle stagioni. La variazione determi- di perdere forza e significato, abituan- La storia del pastore ammalato e delle na, come già per l’uomo e per l’anima- doci a tutto senza vedere più nulla, sue capre ha il ritmo di una fiaba del- le, il passaggio della pianta a un’altra Frammartino ci chiede la pazienza di la buonanotte, antica, che oggi non si dimensione. Prima palo alla festa pae- guardarla. racconta più e di cui resta un ricordo sana della fertilità, poi legna da arde- remoto. Come le fiabe o i miti, - rac re per l’inverno, cenere e carbone con Cristina Piccino il giro del mondo in 60 film saison culturelle 36 LA REGINA DEI CASTELLI DI CARTA Luftslottet som sprängdes

Regia: Daniel Alfredson. Sceneggiatura: Ulf Rydberg. Fotografia: Peter Mokro- sinski. Montaggio: Hàkan Karlsson. Mu- scia: Jacob Groth. Interpreti: Michael Nyqvist, Noomi Rapace, Michalis Koutso- giannakis, Lena Endre, , Sofia Ledarp, Annika Hallin, Peter Ander- sson, Hans Alfredson, Jacob Ericksson, Johan Kylén, Tanja Lorentzon, Mirja Ture- stedt, Anders Ahlbom, Magnus Krepper, Niklas Hjulström. Produzione: Nordisk Film, Sveriges Television (SVT), Yellow Bird Films, ZDF Enterprises. Distribu- zione: Bim Distribuzione. Paese: Svezia. Anno: 2010. Durata: 147 minuti.

Terzo episodio della cosiddetta «Mil- modo esemplare le proprie devianze, vero e proprio «deus ex machina» lenium Trilogy», trilogia dedicata non meno deleterie di quelle psico- capace di schiudere porte e dissep- all’omonima rivista svedese di con- logiche che affliggono l’individuo. pellire segreti molto ben celati. Nel troinformazione, il film si presta a Dopo due film nei quali ad emerge- rapporto con la tecnologia informati- due diverse letture. La prima è legata re erano soprattutto le lacerazioni ca i personaggi sembrano recuperare al fatto che vi si coglie una certa no- dell’istituzione familiare, luogo di quelle doti di disinvoltura e creatività stalgia per un giornalismo d’inchie- fragilità e crudeltà reciproche che a andate definitivamente perdute nel- sta, incentrato su servizi scottanti, di tratti trovava nella piccola comunità le relazioni interpersonali. Di più: lo quelli che obbligano i reporter, per della redazione di «Millenium» una schermo del computer diventa il dia- sollevare il velo di omertà che copre sorta di antidoto atipico, qui a pren- framma protettivo attraverso il quale le malefatte del potere, ad abban- dere il centro del palcoscenico sono è possibile aprirsi verso il prossimo donare la scrivania, consumarsi le le fratture che corrono interne allo salvaguardando la propria reticenza, suole e mettere a rischio la propria stato, concretizzandosi in strutture di contattare gli altri in modo, al con- incolumità. Nella progressione da un contropotere che agiscono nella più tempo, intrusivo e impersonale. In film all’altro questo aspetto della tri- completa impunità. una civiltà nella quale l’immediatez- logia si è fatto sempre più evidente, La seconda lettura – che sinceramente za è scandita sulla lunghezza d’onda tant’è vero che il primo della serie, trovo più interessante, non fosse altro della violenza, dell’aggressività e Uomini che odiano le donne, era in perché chiama in causa elementi che della sopraffazione fisica, ai «Mac» buona misura un thriller tradiziona- sembrano correre sottotraccia al film, portatili è affidato il compito di sco- le, con ricerca di un colpevole la cui quasi all’insaputa dei suoi realizzato- prire (nel duplice senso di appren- identità veniva svelata solo alla fine; ri – non è di carattere socio-politico, derne la conformazione e svelarne i mentre nel secondo, La ragazza che ma, potremmo dire, antropologico ed segreti) il mondo, mediante una for- giocava con il fuoco, cominciava già esistenziale. Il film, come già gli altri ma di percezione e conoscenza che ad emergere il tema della corruzione due, traccia una mappa dei rapporti può avvenire – in modo cruciale – a delle istituzioni, politiche e mediche, umani molto prossima alla desolazio- distanza di sicurezza. Da questo pun- che in questo terzo episodio diventa ne, ad un inaridimento congenito dei to di vista, il panorama antropologico l’asse centrale della vicenda. Il moti- sentimenti: anche quando a trionfare disegnato dalla trilogia è davvero ag- vo della colpa trapassa così gradual- non sono il sadismo, la crudeltà e la ghiacciante, di gran lunga più inquie- mente da un piano individuale, asso- perversione, i rapporti sono impron- tante di quello descritto negli scenari ciato a patologie estreme, di natura tati, nel migliore dei casi, ad una deli- distopici dei film catastrofici. Poiché violenta e sadica, ad uno collettivo, berata diffidenza (si veda, al riguardo, non si sta parlando di un futuro trat- dove ad essere messi a fuoco sono la sequenza finale) o alla noncuran- teggiato in chiave apocalittica, né di soprusi che riguardano essenzial- za nei confronti delle persone più una visione millenaristica, ma di un mente l’esercizio indebito del pote- prossime, come emerge a più ripre- presente assolutamente tangibile, di re, l’organizzazione di trame occulte, se dall’atteggiamento di Holmqvist un qui e ora nel quale il tributo che la totale strumentalizzazione delle verso i suoi collaboratori. A fronte di si paga all’informatica è a dir poco proprie funzioni pubbliche. Non per questa «terra desolata», segnata da oneroso. In modi più o meno legali ci caso l’epicentro di questo terzo film una sorta di grado zero dell’emoti- si può liberare, spiega la trilogia, de- è costituito da un processo, a sancire vità e della solidarietà, vengono per gli uomini che odiano le donne; ma una resa dei conti questa volta non contro ad essere esaltate la presenza come affrontare gli uni e le altre che privata ma istituzionale, dove lo sta- e la funzione del computer, che da un amano (troppo) il computer? to, recuperando una parvenza di le- certo punto di vista si erge a grande e gittimità e autorevolezza, punisce in unico protagonista di tutti e tre i film, Leonardo Gandini il giro del mondo saison culturelle in 60 film 37 Il Rifugio Le refuge

Regia, sceneggiatura: François Ozon e Mathieu Hippeau. Fotografia: Mathias Raaflaub. Montaggio: Muriel Breton. Mu- siche: Louis-Ronan Choisy. Interpreti: Isa- belle Carré, Louis-Ronan Choisy, Pierre Louis-Calixte, Melvil Poupaud, Claire Ver- net, Jean-Pierre Andréani, Marie Rivière, Jérôme Kircher, Nicolas Moreau, Emile Berling, Maurice Antoni. Produzione: Te- odora Film, Eurowide Film Production, FOZ, in associazione con Coficup – BA- CKUP FILMS, France 2 Cinéma. Distribu- zione: Teodora Film. Paese: Francia, Italia. Anno: 2010. Durata: 90 minuti.

Ancora una volta, dopo Sous la sable mostrata sotto un confortante velo casa al mare viene punteggiata al e Le temps qui reste, Ozon riprende poetico, viene portata sul piano pianoforte. In entrambi i casi la mu- alcune delle tematiche che hanno della realtà, la quale porta ad inne- sica, con andamento da dondolio, segnato gran parte della sua fil- scare dubbi, riflessioni ed esigenze risuona malinconica e viene usata mografia: la morte, la conseguente di scelte. Decisioni che verranno in chiave espressionista per espli- elaborazione del lutto e dunque la affidate a Mousse, la quale non rie- citare la diversità dei due fratelli, mancanza. Due corpi lividi e marto- sce ad accettare quella bambina che così netta e profonda: Paul incarna riati, isolati eppure uniti in una stan- sta per nascere, si sente inadegua- l’emblema della diversità, in quan- za si iniettano della droga e lo sguar- ta e questo disagio viene espresso to omosessuale e figlio adottato e do dell’autore non arretra di fronte in maniera esplicita attraverso la proprio per questo riuscirà ad av- al dato duro e concreto di questa sobria immagine della donna allo vicinarsi alla fragilità della donna situazione; senza edulcorazioni ci specchio. Questo ruolo viene inter- Mousse. mostra una serie di immagini bruta- pretato da un’eccellente Isabelle Tutti i personaggi del film testimo- li e lo sfacelo di questa coppia che Carré, realmente incinta, che sceglie niano questo precario equilibrio: forse un tempo era felice. Da una di rifugiarsi nella gravidanza per sono introversi, problematici e non dissolvenza in nero nasce una scena mantenere un ultimo contatto con parlano di frequente. I silenzi vengo- che, estrapolata, potrebbe essere l’amato Louis. no riempiti dalla melodia che si ripe- fine a se stessa, diversa dalle altre in Da qui il semplice titolo Le Refuge, te, ma anche dai visi dei protagonisti quanto fotografata con luce non na- denso di significati. Per non mo- che, a volte, occupano l’intero spazio turale e smorzata da una visione di strare le proprie fragilità, Mousse visivo e danno una nota di spontanei- purezza. Due anime prendono vita si isola, anche attraverso i suoi oc- tà e freschezza alla regia dell’autore. su uno sfondo bianco. Inquadrati chiali scuri che indossa ovunque, Lo stesso grembo materno viene in- in primo piano lo stesso uomo e la sperimentando prima la droga, poi quadrato costantemente come fosse stessa donna che avevamo visto ap- cerca consolazione nel suo corpo in un volto, in modo quasi da toccarlo pena prima con espressioni dolenti. trasformazione e da qui trova prote- per sentire al suo interno la presenza Mousse e Louis si guardano sereni, zione in una casa al mare, con l’ap- di una vita che sta nascendo. Eviden- si abbracciano e si avvolgono in un poggio del fratello di Louis, Paul. te è la scena in cui Mousse si trova dolce bacio prima di dirsi addio. Un Ed è proprio con Paul, incarnato nella vasca da bagno e la macchina sogno luminoso, e forse per questo dall’attore al suo esordio Louis Ro- da presa si sofferma per qualche se- irreale, ma di una poeticità e deli- nan-Choisy, cantante e musicista di condo sulla sua pancia che emerge catezza come si manifesta l’intero mestiere, che sentiamo intonare al dal biancore latteo dell’acqua insa- film, preannuncia allo spettatore pianoforte anche il brano musicale ponata da cui poi sbucano anche due l’imminente morte di Louis che darà intitolato Le Refuge. Questa canzo- mani che lentamente accarezzano il però seguito a una nuova vita, quel- ne, ripresa nei titoli di coda dai due ventre. Oltre all’autore che porterà la della figlia. protagonisti, darà avvio a tutta la in tutto il film lo sguardo desidero- La maternità, già affrontata nella colonna sonora che farà da contrap- so nei confronti della maternità, sarà pellicola precedente Ricky, diventa punto all’intero corso del film. Paul che si prenderà cura della don- il fulcro di questa storia e permette La parte iniziale, accompagnata da na incinta e assumerà su di sé la frase all’autore di approfondire il percor- un commento musicale di sola chi- che cita all’inizio: “Ciò che hai semi- so che ogni donna deve fare prima tarra elettrica identifica Melvil Pou- nato verrà raccolto da altri”. di diventare madre. Quest’espe- paud, che recita la parte di Louis, rienza generalmente idealizzata o mentre la sezione ambientata nella Alexine Dayné il giro del mondo 38 in 60 film saison culturelle SIMON KONIANSKI

Regia, sceneggiatura: Micha Wald. Foto- grafia: Jean-Paul de Zaetijd. Montaggio: Susana Rossberg. Costumi: Nadia Chmi- lewski. Interpreti: Jonathan Zaccaï, Nas- sim Ben Abdeloumen, Abraham Leber, Irène Herz, Judka Herpstu, Marta Domin- go, Popek, Ivan Fox. Produzione: Versus Production, Haut et Court, Forum Films, RTBF. Distribuzione: Fandango. Paese: Belgio, Francia, Canada. Anno: 2009. Du- rata: 100 minuti.

Alla ricerca delle proprie origini. Sot- dei Coen, anche lui stordito dalla frat- Il viaggio in Ucraina diventa invece una to forma di road-movie e, prima, di un tura sentimentale e da un’incertezza rivelazione, senza però cadere nella film dissacrante e claustrofobico, quasi esistenziale. banalità. Anzi, i personaggi, come lo riciclaggio di «gruppi di famiglia in un Senza dubbio Simon Konianski è un’o- zio paranoico e la zia dalla parlantina interno»ßßßß in perenne scontro ver- pera che può rischiare di uscire fuori facile, mantengono le loro caratteri- bale. Simon Konianski è una beffarda strada. L’umorismo è potente – talvolta stiche: sembrano marionette impazzi- commedia yiddish ma anche un film al limite della scorrettezza – per come te, quasi reincarnazioni di un cinema sul disgregamento familiare e sulla tratta, per esempio, l’argomento dei muto dove ogni gesto e ogni sguardo precarietà. Nella vita del protagonista campi di concentramento. Eppure, no- possono diventare esplosivi. Tuttavia, Simon, 35 anni, tutto è instabile. Da nostante una certa esuberanza, i dialo- anche queste caratteristiche fanno poco lasciato da una danzatrice, torna ghi colgono spesso nel segno. Il belga percepire la vicinanza con una memo- a casa dal padre che non lo accoglie Wald mostra di possedere la misura ria condivisa anche da chi non l’ha vis- molto volentieri. Il figlio di Simon, Ha- con la quale trovare un equilibrio tra suta. Il momento culminante di questo drien, lega invece con il nonno Ernest, follia, frustrazione individuale e i fram- progetto coincide con la visita di Simon ex-deportato, ed è appassionato dai menti di una storia (di un popolo, ma e Hadrien ai campi di concentramento: suoi racconti del passato. anche personale) che si riaffacciano padre e figlio sono catturati da una Trovare dei legami con la comme- gradualmente con sempre maggiore sensazione più grande di loro, quasi dia ideata dai grandi autori di origine frequenza. Il cineasta, che riprende le avvolti dalla Storia e dalla tragedia. In ebraica può essere un’operazione de- disavventure del personaggio di Alice un film dal ritmo spesso forsennato, pistante o, ancora peggio, dannosa. et moi (2004), che si chiamava anche con un’accumulazione visiva che guar- Woody Allen c’entra ben poco: tranne lui Simon. Quel suo cortometraggio era da anche a Kusturica (l’auto smontata magari nella scena a tavola con gli zii e incentrato sui rapporti conflittuali con alla dogana, le galline per strada), tutto una giovane pianista in cui scoppia una la famiglia e l’ebraismo; già allora Wald sembra non solo rallentare ma proprio violenta discussione su Gaza. Proprio aveva il merito di non rendere né trop- arrestarsi. Come se si attraversasse uno questo momento è esemplare dell’iso- po pesante né leggera la materia, qui spazio vuoto. Come se i due personag- lamento in cui si trova il protagonista. mostra un delicato pudore nel modo in gi fossero inghiottiti, sia pure per un at- C’è, infatti, un suo sguardo in sogget- cui descrive la malattia e la morte del timo, dal luogo. Quest’idea di un passa- tiva che già lo separa dagli altri visti padre anche attraverso piccoli segni (il to non vissuto ma ripercorso conduce come un corpo unico. È proprio questa sangue sputato nel lavandino). ad un altro film segnato da un viaggio la situazione che l’uomo si trova ad Simon Konianski può essere, insieme, di scoperta similare: Ogni cosa è illu- affrontare per tutta la prima parte del un film sulla paternità, sul desiderio minata (2005) di Liev Schreiber, tratto film, dove la macchina da presa sembra negato, sull’amore assoluto idealizzato dal romanzo di Jonathan Safran Foer. stargli continuamente addosso, sen- e irraggiungibile. Quest’ultimo è bene Rispetto a quell’esito, Wald (al suo se- za dargli respiro. La sua figura viene rappresentato dai tentativi fatti da Si- condo lungometraggio dopo Voleurs analizzata o, peggio, sezionata: l’uo- mon per riavvicinare la donna che ama: de chevaux del 2007) si fa prendere la mo diventa anche cavia per provare vedi la riuscita scena in cui la famiglia mano e si concede qualche eccesso. alcuni medicinali non ancora immessi dell’uomo si ricompone, il tempo di Anche questi momenti (come le appa- sul mercato. Anche quando si sfiora il una giornata al parco, e dove i tre fini- rizioni del padre) tolgono però poco ad grottesco c’è sempre un profondo ri- scono per buttarsi il gelato addosso. In un film che – pur nelle sue tante meta- spetto nei confronti del protagonista parallelo, si definisce il rapporto con morfosi – è riuscito a mantenersi fede- – al limite si possono scorgere delle la prima moglie del padre, morta gio- le al suo spirito. analogie con il professore del Midwest vanissima e vicino alla quale l’uomo Larry Gopnik di A Serious Man (2009) vuole essere sepolto. Simone Emiliani il giro del mondo saison culturelle in 60 film 39 SOMEWHERE

Regia, sceneggiatura: Sofia Coppola. Fo- tografia: Harris Savides. Montaggio: Sa- rah Flack. Musiche: Phoenix. Interpreti: Stephen Dorff, Elle Fanning, Chris Pon- tius, Michelle Monaghan, Laura Ramsey, Robert Schwartzman, Caitlin Keats, Jo Champa, Laura Chiatti, Simona Ventura, Lala Sloatman, Amanda Anka, Erin Wa- sson, Alexandra Williams, Nathalie Fay, Kristina Shannon, Karissa Shannon, Silvia Bizio, Damian Delgado, Giorgia Surina. Produzione: American Zoetrope. Distribu- zione: Medusa. Paese: USA. Anno: 2010. Durata: 98 minuti

Inesorabile è la corsa in un circui- in cui scivolano senza essere segui- scienza affiora nell’animo di Johnny to chiuso: nessuna concessione al ti come succede alla coppia di «lap e macchia lo sguardo della piccola cambiamento, un moto continuo, dancer» chiamate più per distrazione Cleo. La bambina per la prima volta costante nella velocità e fluido nello che per soddisfare un piacere. Solo prefigura qualcosa (l’abbandono ma- scorrimento. Così Johnny Marco, divo di fronte al sinuoso movimento della terno, l’incapacità del padre, l’eterna del cinema d’azione hollywoodiano, sua bambina sul ghiaccio levigato di solitudine umana) e riga il suo volto conduce la sua vita, sintetizzata in una pista Johnny muoverà gli occhi, di lacrime. Il padre si sdoppia in una maniera pragmatica da Sofia Coppo- pronti per un attimo a seguire il dol- maschera che tramuta il suo aspetto la nella definita (e quasi definitiva) ce fluire di un corpo adolescente, che e l’abisso della distorta visione di se sequenza iniziale. La parzialità della si rivela in tutta la sua straordinaria stesso gli permette di concettualiz- pista inquadrata, la preminenza del alterità. zare una mancanza di responsabilità sonoro sul campo visivo, la piattezza Cleo, figlia undicenne dallo sguardo nei confronti della propria vita. della fotografia sono la dichiarazione limpido, afferma subito la propria In maniera meno ammiccante di Lost di un punto di vista: le strade nei de- identità, scrivendo il suo nome ed in Translation, Somewhere descrive il serti, le pareti delle camere d’alber- esprimendo il proprio affetto tenero terreno di incontro tra due entità che go, gli squallidi non-luoghi contem- e struggente per un padre, che a tratti sono chiamate a manifestarsi l’un poranei sono in questo film la mani- diventa suo figlio. Cleo ha una firma, l’altra nella loro complessità di in- festazione di un nuovo corpo sociale, agisce nel perfezionamento del pat- dividui. La maschera può essere ab- fatto di uomini che hanno smarrito il tinaggio, nel dedicarsi alla cucina, nel bandonata, così come il ruolo sociale loro statuto di persone. prendersi cura delle persone che le imposto dall’industria dello spetta- Johnny Marco sintetizza questo bino- stanno accanto, ma soprattutto ama colo (che qui si sostituisce alla corte mio: attore, e come tale portatore di con tutta l’innocenza dell’infanzia. di Marie Antoinette e alla provincia uno smarrimento di identità, agisce Cleo ancora non vede, ma ha la forza benpensante di Il giardino delle ver- soltanto sullo schermo, lasciandosi di agire traghettando suo padre ver- gini suicide), ma non c’è una sempli- trasportare nella vita quotidiana dal- so una dimensione dimenticata, for- cistica via d’uscita per chi inizia una le decisioni e dalle azioni altrui. Sem- se sepolta dal tempo ma sicuramente nuova vita. Fuori dalla società, nel bra vittima del fato che lo costringe mai realmente superata. L’infanzia di deserto materiale ma anche di affet- ad affrontare l’ingessatura di un brac- Johnny resiste nell’orizzonte ludico, ti e di relazioni, si cerca una nuova cio prima, poi la visita più lunga del campo comune tra l’uomo quaranten- forma di umanità. Il viaggio finale previsto della figlia lasciata sola dalla ne e la figlia undicenne: i videogiochi, di Johnny reclama un ritorno al mito madre. Due «incidenti» a cui l’uomo la piscina, il gelato a letto sanciscono primigenio americano, così come non reagisce, si limita ad accettarli l’unico ed essenziale (nella loro pa- lo sguardo sobrio di Sofia Coppola tentando di assorbirli nel suo sguar- lese futilità) incontro tra chi guarda chiede un’altra strada per il cinema do accomodante e segnato dal tedio. e chi agisce. Per un attimo rivestono, statunitense. Per questo le numerose soggettive solidali e comprensivi, il ruolo di una Consapevoli del fatto che da qual- (o semisoggettive) del film si soffer- coppia di stranieri in visita nel paese che parte, come suggerisce il titolo mano su un campo visivo immobile. del divertimento: una laccata Milano, del film, inavvertitamente qualcosa Il desiderio non muove più lo sguar- la cui eleganza austera lascia spazio ha la forza di smuovere uno sguardo, do di Johnny; anzi è a lui estraneo. Il all’oscenità di uno spettacolo che rompere un ciclo, scalfire l’apatia e mondo si cristallizza in un quadro in- ha divorato le persone riducendole trasformare la fissità in movimento. capace di dare importanza ai soggetti a mere immagini luccicanti. Forse che sembrano attirati dal fuoricampo, in questo viaggio un barlume di co- Daniela Persico il giro del mondo 40 in 60 film saison culturelle TAJABONE

Regia: Salvatore Mereu. Sceneggiatura: Laura Bigini, Rossan Patricelli e gli alunni Andrea Amhetovic, Abdullah Seye, Ange- lica Argiolas, Sara Portoghese, Erica Spis- su, Gianluca Migoni. Fotografia: Massimo Foletti. Montaggio: Andrea Lotta. Musica: Saly Diarra. Suono: Mariza Cordò, Stefa- no Grosso, Stefano Costantini, Vincenzo Urselli. Produzione: Viacolvento. Paese: Italia. Anno: 2010. Durata: 67 minuti.

Per un nuovo cinema servono nuo- corso di educazione all’immagine Le storie più strutturate sono lega- vi spettatori: un dato che l’Italia ha coinvolgendo due «terze medie» di te ai due ragazzi extra-comunitari preso in considerazione soltanto in Cagliari: un progetto comune a tan- chiamati a vivere in prima persona campi dell’audiovisivo differenti dal te scuole che in maniera sporadica le difficoltà dell’inserimento tra ob- cinema. Nuovi spettatori sono stati i scelgono di annettere al programma blighi familiari e confronto con i loro bambini degli anni Ottanta, plasma- alcune ore di «cinema». La differen- coetanei: la necessità di conciliare ti dall’estetica televisiva e spesso za è data dalla consapevolezza di chi studio e lavoro per Abdullah, il supe- disarmati di fronte ad essa. La loro ha iniziato e portato avanti questo ramento di faide familiari di Munira casa era la televisione e la televi- particolare laboratorio, che ha lavo- e Brandon, protagonisti di una fuga sione si è fatta casa per annetterli rato al fianco dei ragazzi per un inte- d’amore. Sono storie che si intrec- nei reality contemporanei. La resi- ro anno scolastico e li ha realmente ciano con una dolcezza lontana dai stenza a tale immagine mascherata condotti in una dimensione profes- meccanismi narrativi di tanto cinema da vita è rappresentata dal cinema, sionale, vera carenza di molto cine- attuale: gli incontri sembrano detta- il cui immaginario dovrebbe sempre ma girato a scuola. Salvatore Mereu, ti dall’imprevisto, dall’apertura di veicolare una riflessione tra la rap- non nuovo a questo tipo di esperien- un’immagine che si fa vita seguendo presentazione e il reale. Proprio l’i- za (i giovani protagonisti del primo i guizzi degli sguardi dei ragazzi, la nadempienza nei confronti di un’a- episodio di Ballo a tre passi – suo loro costante irrequietudine. deguata educazione a una materia film d’esordio – erano stati scelti È proprio la vivacità dell’adolescen- così complessa nelle scuole primarie al termine di un altro laboratorio), za a farsi cifra stilistica del film: la e secondarie è uno dei grandi limiti porta il cinema dentro la vita di una videocamera segue i ragazzi, corren- della didattica italiana, ancora ferma comunità studentesca, superando, do o fermandosi con loro, sorvolan- all’utilizzo del cinema secondo una come esperimento, persino La classe do situazioni quotidiane, fissando dittatura del referente (i film storici di Laurent Cantet. Tajabone è un film momenti difficili da comprendere e per insegnare i grandi avvenimenti, non privo di una dimensione autoria- accettare. Raramente il montaggio gli adattamenti letterari per sosti- le, ma messa al servizio di un gruppo spezza le lunghe e spontanee chiac- tuire la lettura dei classici, etc.). In di lavoro: i ragazzi e la loro coralità. chiere quotidiane descritte in piani un campo didattico totalmente – o Sono le storie intrecciate di Alberto, sequenza, ponti tra una storia e l’altra, quasi – libero, trovano spazio allo- Munira, Vanessa, i loro volti e i loro unite in un unico percorso che va in- ra nuove pratiche di qualche critico corpi, a dare vita a un film che mostra contro alla vita. Comunitario è il film pronto a cimentarsi con la classe e di i problemi e le gioie della prima ado- che Salvatore Mereu ha realizzato registi che, per necessità o passione, lescenza nel ventunesimo secolo, con il gruppo di ragazzi: un’opera in si accostano ai loro futuri spettatori portando la traccia di una nuova for- cui si cerca di trasmettere una visione per osservarli da vicino. ma cinematografica libera e irruenta che non trascende le contraddizioni Alcuni di questi laboratori nascono come «i nostri tredici anni». tipiche dell’esistenza ma le mette di dalla volontà di condivisione di un Il viaggio in treno è l’immagine me- fronte allo sguardo di ciascuno per nuovo sguardo sul reale (un esem- taforica scelta in apertura e chiusu- cercare una condivisione fuori dalle pio recente è dato dall’uso dei te- ra. I binari sono quelli sicuri con cui mura domestiche e dagli spazi ineffa- lefonini di VedoZero di Andrea Cac- identificare una serie di tappe ed bili della rete telematica. Secondo un cia), altri sono invece lo stimolante esperienze tipiche dell’età: l’amici- movimento che sa trasformare ancora punto di arrivo (o di nuova partenza) zia in un gruppo di ragazzine, la soli- la vita in immagine e non sostituire di un percorso didattico condotto darietà maschile, il primo bacio e la l’immagine alla vita. con disciplina e fantasia. Tajabone prima delusione amorosa, la scoper- è un film realizzato all’interno di un ta feroce della precarietà della vita. Daniela Persico il giro del mondo saison culturelle in 60 film 41 LE TEMPS QU’IL RESTE

Réalisation et scénario : Elia Suleiman. Photographie : Marc-André Batigne. Montage : Véronique Lange. Son : Pierre Mertens, Christian Monheim. Interprètes : Elia Suleiman, Saleh Bakri, Yasmine Haj, Leila Muammar. Production : Elia Suleiman, Michael Gentile. Distribution : BIM. Pays : France, Belgique, Italie, Royaume-Uni. Année : 2009. Durée : 105 minutes.

Le troisième long métrage d’Elia du cinéaste. Aspect essentiel de son séquences au présent, dépasse de fort Suleiman, impatiemment attendu œuvre, la veine polémique dénonce loin la simple perspective autobio- après le beau succès cannois d’Inter- sans équivoque l’injuste absurdité graphique. Opérant, à la manière des vention divine en 2002, confirme l’im- de la situation au Moyen Orient et la plus grands burlesques, la fusion du portance et le talent du plus connu des souffrance des compatriotes du réa- réalisateur, de l’acteur et du person- cinéastes palestiniens. Le temps qu’il lisateur. Mais la profonde originalité nage, Suleiman convoque les mânes a fallu pour réaliser le film rend compte du film tient surtout à une autre de de Keaton – auquel il emprunte son de l’ampleur d’un projet qui, s’il n’a ses dimensions : loin de jouer la carte impassibilité mutique – et de Chaplin pas nécessité une mise de fonds pha- du pamphlet réaliste ou du brûlot édi- dont il chérit le comique de répétition raonique, relève d’une ambition intel- fiant, Suleiman choisit, comme dans et les situations lyriques. Ce dernier lectuelle et artistique remarquable. A Intervention divine où un ballon rose avatar de l’auteur-interprète, loin de quel genre faut-il lier Le Temps qu’il à l’effigie d’Arafat se riait des fron- se contenter d’un regard aiguisé sur reste ? La réponse, singulière et mul- tières, la voie de la comédie fantas- ce qui l’entoure, affiche spectaculai- tiple, révèle de fait les enjeux d’un magorique. En jouant avec maestria rement en fin de parcours son désir cinéma dont la maturité ne tempère des effets d’accumulation et de va- de transgression. C’est ainsi que le pas les audaces. Le film tient d’abord, riation, le film juxtapose les tableaux cinéaste prouve qu’il n’est pas de mur de toute évidence, de la chronique décalés qui refusent systématique- infranchissable, optant symbolique- historique puisque l’action, exclusi- ment la facilité des effets de réel. ment pour une stratégie de contour- vement située en Palestine, s’étend S’installe ainsi très vite une distance nement et d’élévation qui semble sur presque 60 ans. A l’intérieur d’un comique salutaire qui, sans s’exercer se substituer à certaines aspirations récit-cadre situé dans le présent de aux dépens des personnages, repose guerrières de l’opus précédent. On 2009, et qui est peut-être, implicite- surtout sur la précision des cadrages n’en comprend que mieux pourquoi ment, ce « temps qu’il reste » annoncé et la conception chorégraphique de la le cinéaste est à la fois entomologiste, par le titre, ce sont successivement mise en scène. C’est ainsi que le film observateur d’un monde nettement trois périodes de l’histoire du pays nous livre, sur le modèle des gags et délimité par les cadres que ses plans qui sont évoquées, qu’il s’agisse d’un des cadrages de Tati, de nombreuses séquences mettent en place, et l’un moment clef (guerre et résistance de scènes dont l’irrésistible drôlerie n’a des plus brillants zélateurs du hors 1948), d’une date à forte portée sym- d’égale que la discrétion. Il en va ainsi champ, dans lequel il a depuis le bolique (1970, mort de Nasser) ou du moment, d’ores et déjà antholo- début le fantasme de pouvoir se dis- d’un repère historiquement moins si- gique, où un Palestinien lambda est soudre. La fin du film – qui fait somme gnifiant (1980). A ce premier aspect se menacé par un char qui stationne toute écho à un prologue où la pré- superpose, en un jeu subtil qui associe devant chez lui et s’obstine à le tenir sence de Suleiman n’est que fantoma- grande et petite histoire, la dimension en ligne de mire alors que le suspect tique – suggérerait donc un possible intime, voire intimiste, du travail de ne fait que sortir les poubelles ou passage de témoin. Alors même que Suleiman. Car c’est bien une bio- téléphoner à un ami. le personnage, désormais confronté graphie familiale que propose le ci- On comprend dès lors que le film, loin à la perte de ses deux parents, doit néaste, dont les parents et lui-même – d’être écartelé entre les différents affronter son véritable passage à interprété selon les époques par trois enjeux qui le constituent – historique, l’âge adulte, il incombe désormais au acteurs différents – sont les véritables familial, politique, cinématogra- spectateur de profiter du temps qu’il héros du film. L’engagement paternel phique –, tire précisément sa réussite lui reste pour, à son tour, apprendre à dans la résistance palestinienne, clef de leur imbrication. En ce sens, la pré- regarder le monde. de voûte de l’édifice, annonce et anti- sence à l’écran du cinéaste lui-même, cipe de fait celui du fils… donc celui qui interprète son propre rôle dans les Thierry Méranger il giro del mondo 42 in 60 film saison culturelle L’UOMO NELL’OMBRA The Ghost Writer

Regia, sceneggiatura: Roman Polanski. Fotografia: Pawel Edelman. Montag- gio: Hervé de Luze. Interpreti: Ewan Mc Gregor, Pierce Brosnan, Eli Wallach, Kim Cattral, Olivia Williams, Tom Wilkinson, James Belushi, Timothy Hutton, Jon Bernthal. Produzione: Summit Enter- tainment. Distribuzione: 01 Distribzione. Paese: Germania, Usa. Anno: 2009. Dura- ta: 131 minuti.

Qualcuno ricordi la maledizione del Writer senza nome, assunto dal poten- nografia, montaggio, taglio. È un limite demone («Questa vita, così come te primo ministro per scrivere la sua sempre dell’immagine, ma è anche la l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una autobiografia, è quello di «portare a sua forza. volta e ancora innumerevoli volte, e termine» ciò che è stato iniziato da al- Lo spazio è costrizione, trappola, quan- non ci sarà ma niente di nuovo....»), la tri. Portare a termine nel senso vero e to il tempo è ripetizione, condanna, profezia dell’aforisma 341 della Gaia proprio della parola. Finire, terminare, ritorno annunciato. È la maledizione scienza di Nietzsche. Una delle più fa- delimitare. Parole che hanno a che fare ma anche la forza del cinema. Ewan mose formulazioni dell’eterno ritorno con le forme a priori del cinema, il tem- McGregor interpreta un personaggio nietzschiano, è al tempo stesso una po e lo spazio, che sono gli elementi senza nome che raccoglie in sé tutti i delle più suggestive anticipazioni del che limitano e soffocano l’azione nel personaggi polanskiani, per il semplice fascino (e della condanna) del cinema cinema polanskiano. Lo scrittore fanta- fatto che mostra il loro Destino: accet- stesso. Quello di vivere, e di dover rivi- sma, non è semplicemente una penna tare di rivivere la vita (di un altro) per vere, le innumerevoli vite dell’immagi- prezzolata che deve scrivere l’autobio- compiere un atto di giustizia: Adrien ne stessa. Ma accettarlo (e «desiderar- grafia, che sarà poi firmata dal primo Brody in Il pianista era costretto a «ve- lo») è il compito più difficile – «immen- ministro; egli è la figura centrale del dere» gli orrori della guerra, solo per so» è l’attimo in cui lo si pensa – perciò cinema del regista polacco, colui che si poter poi tornare a suonare Chopin con proprio questo è il compito titanico di muove nello spazio claustrofobico del un’intensità che altrimenti non sareb- quel cinema che ne raccoglie la sfida. mondo e nel tempo limitato del suo be comprensibile. Ewan McGregor è Quello di Polanski è un cinema che destino, per giungere ad un barlume di costretto a scrivere solo perché le pa- pensa e che affronta di petto la ripe- verità (o ad un destino di sparizione). role (che non sono e non saranno mai tizione infinita di sé come condanna Tutto è straordinariamente allegorico «le sue») possano rivelare la verità, e come destino. I personaggi dei film nell’Uomo nell’ombra: allegorico dell’e- l’ingiustizia che è stata perpetrata ne- polanskiani (l’inquilino Trelkowski, sistenza umana anzitutto – il destino a gli anni. Quelle parole sono nascoste, Carol, Paulina, Henry Walker e, via via, cui non si sfugge, che, anzi, si deve ac- vanno cercate, combinate insieme. Una moltissimi altri) hanno spesso in comu- cettare e «volere» con forza, anche a volta portato a termine il libro, esse ne l’atto di ripetere (se pure in modo costo di scomparire per sempre fuori potranno rivelare una verità. Ma oc- differente) gli atti e i gesti di chi li ha campo (come nello splendido finale); corre un esercizio della mente e dello preceduti; o devono, volenti o nolenti, e allegorico del cinema stesso. Perché sguardo per arrivare a ciò. Anche que- andare fino in fondo alla loro scelta, es- il cinema rivela il racconto «profetico» sto insegnano i personaggi polanskia- sere ad essa fedeli («fedeli alla terra», dell’eterno ritorno forse meglio di al- ni: di non accontentarsi mai del primo sempre per parafrasare il Nietzsche tre forme espressive, ricorda il regista. sguardo, di pensare che ciò che si vede dello Zarathustra). Gli spazi cinematografici (non importa sia tutto ciò che si può comprendere Fedeltà a se stessi e al proprio destino, quanto vasti) sono sempre un limite, del mondo, e soprattutto, che ciò che la condanna della ripetizione, della vita sono sempre claustrofobici; quanti si vede sia ciò che accade davanti agli come della morte. Le linee di fondo del appartamenti maledetti costellano il occhi per la prima volta. Da questo cinema di Polanski sono tutte presen- cinema di Polanski? E ville? Giardini? punto di vista, L’uomo nell’ombra è una ti in L’uomo nell’ombra, straordinaria Sembrano tutti ritornare nello spazio straordinaria – allegorica certo, ma nel «variazione», però, del tema del de- gelidamente geometrico della villa del senso più enigmatico del termine – le- stino e della condanna. La capacità di primo ministro, a sua volta costretta zione di cinema, della sua inquietudine Polanski di modulare sempre in modo nello spazio recintato che non può far come della sua potenza, della sua sto- diverso le proprie ossessioni cinema- altro che far risaltare l’altro spazio in ria come del suo futuro. tografiche non finisce di stupire. cui è costretta, quello dell’isola. Anche Il compito dell’uomo-ombra, del Ghost il cinema è costruzione spaziale, sce- Daniele Dottorini il giro del mondo saison culturelle in 60 film 43 LO ZIO BOONMEE CHE SI RICORDA LE VITE PRECEDENTI Loong Boonmee Raleuk Chaat Regia e sceneggiatura: Apichatpong Weerasethakul. Fotografia: Sayombhu Mukdeeprom, Yukontorn Mingmon- gkon, Charin Pengpanich. Montaggio: Lee Chatametikool. Interpreti: Thanapat Saisaymar, Jenjira Pongpas, Sakda Kaew- buadee, Natthakarn Aphaiwonk, Geera- sak Kulhong, Kanokporn Thongaram. Produzione: Illumination Films/Past Lives Productions, Kick the Machine Films. Di- stribuzione: BIM. Paese: Germania, Spa- gna, Francia, Gran Bretagna, Thailandia. Anno: 2010. Durata: 114 minuti.

È di nuovo la foresta l’ambientazione vita. Suoi compagni sono la giovane nativo. Una ricerca profonda, dunque, scelta da Apichatpong Weerasethakul cognata, il nipote devoto e un immi- che si conclude in un film tanto lieve per il suo film Lo zio Boonmee che si grato laotiano. Ma in una notte serena quanto pungente, tra politica e poesia, ricorda le vite precedenti, Palma d’Oro arrivano a fargli visita anche la moglie tra fisica e metafisica, dove non c’è all’ultimo festival di Cannes, che ha morta vent’anni prima e il figlio spari- inizio né fine, ma uno sconfinamento così premiato l’opera più sorprenden- to misteriosamente nella foresta, che continuo tra piani narrativi e memorie te, allucinata e sincretica della compe- ricompare ora con le sembianze di cinematografiche. Il film è anche un tizione. Al suo sesto lungometraggio, una scimmia dagli occhi rosso fuoco omaggio alla Thailandia (paese tormen- il regista thailandese porta avanti un (“Sono andato nella foresta, mi sono tato oltre che dai recenti colpi di stato, discorso iniziato nel 2000 con Myste- unito a una scimmia selvaggia, i miei anche dal rischio di estinzione di culture rious Object at Noon e proseguito, con peli hanno cominciato ad allungarsi”). e specie viventi), e al cinema popolare, rigore e leggerezza due anni dopo in Non si tratta di fantasmi ma di spiriti agli horror fatti con poco, dove “i mostri Blissfully Yours (tra documentario e giunti ad infondere armonia e sereni- erano nascosti nel buio per dissimulare finzione, dove l’invenzione spinge la tà, mostrando all’uomo la continuità di i costumi a buon mercato e i loro occhi realtà al cortocircuito). Le influenze respiro tra vita e morte. Grazie alla loro erano proiettori di luce rossa così evi- sono tante da trasfigurare e modellare presenza, Boonmee potrà compiere il denti da poterli vedere”. sulla base di uno sguardo personalis- viaggio più importante, attraverso le Nell’universo magico creato da Api- simo e inconfondibile. The Adventure sue vite precedenti, in una girandola chatpong, la natura circonda e perva- of Iron Pussy (2003), co-diretto dall’ar- magica tra contemplazione, racconti de ogni cosa. La foresta, fatta di ombre, tista performer thailandese Michael e immagini mitologiche. Apichatpong suoni, luci e improvvise vibrazioni, Shaowanasai, Tropical Malady (2004, mescola gli elementi e li reinterpreta. è un dato reale, anzi, il personaggio Premio Speciale della Giuria a Cannes), La reincarnazione come il fluire inin- principale che ci permette il viaggio Syndromes and a Century (2006), sono terrotto di un fiume, solo apparente- attraverso i successivi livelli. Gli in- le tappe successive del percorso di un mente invisibile, in quanto vivo nell’e- finiti spazi le direzioni molteplici (il artista visionario eppure lucidissimo, sperienza di ognuno. Alla base di que- fiume, la caverna, i sentieri tra gli al- che concepisce le sue opere come te- sta storia incantata c’è il racconto di un beri) rappresentano un’idea di realtà sti completi, sintesi di una riflessione monaco buddista su un anziano che, in che prevede la compresenza di spiri- instancabile sulla vita, il mondo, la fase di meditazione profonda, poteva ti e di corpi, qui e altrove, allo stesso Storia, la tradizione, il cinema, l’ar- vedere sfilare davanti a sé le sue vite modo concreti, a loro volta evocativi te. Non è un caso che il suo nome passate come le immagini di un film. E di mondi e visioni. Per questo le vite sia noto nell’ambiente delle gallerie c’è un libro, dal quale il film ha tratto dello zio Boonmee gli si rivelano in d’arte internazionali per le numerose il suo titolo, sette video (The Primitive un fluire disordinato. Non occorre installazioni video, dove proseguire il Animate Project) e due cortometraggi mostrarle una dopo l’altra, non serve suo discorso rarefatto, per cui l’astra- realizzati per il museo Haus der Kunst sapere quali forme ha assunto via via zione si fa strumento necessario alla di Monaco, tutti attorno alla reincarna- il suo spirito, sia esso il bufalo ferito coesione di storie e metafore del pre- zione, tutti ambientati nel villaggio di della prima scena o il pesce gatto o le sente e del passato. Nabua, nel Nord-est della Thailandia, creature invisibile che hanno popolato Lo zio Boonmee che si ricorda le vite dove ancora risuona la violenza della le immagini di quest’opera. Non sono precedenti racconta il viaggio del vec- guerra civile, della repressione del go- necessari indizi per sciogliere i nodi di chio Boonmee, colpito da una grave verno contro i comunisti. “Ne ho uccisi un mistero che dobbiamo solo asse- insufficienza renale, fin nel cuore an- tanti, per questo sono malato” dice Bo- condare. tico della foresta, dove trascorrere in onmee ricordando i tempi i cui era un silenzio e in pace gli ultimi giorni di soldato al servizio dell’esercito gover- Grazia Paganelli 44 Il passato che non passa Ritratto di Daniele Gaglianone

on sembra che siano tra- fisiche e mentali nei cui meandri lasciandosi contaminare da essi. scorsi vent’anni da quando Gaglianone s’intrufola con costan- È un altro segno di forte identità N Daniele Gaglianone scos- za e ostinazione, unitamente a all’interno di un lavoro che proce- se il cinema off italiano con La quell’altro segno indelebile di tut- de per scarti, per immagini e gesti ferita. Era l’inizio di una ricerca ta la sua filmografia: la relazione che si incalzano in un’espansa so- profonda rivolta alla narrazione, con la memoria, con il passato che vrimpressione, per sbilanciamenti a un suo uso non convenzionale, non passa. necessari. Ecco, dalla moltitudine e alla forma da conferire al testo, Tra queste due opere, La ferita e dei film di Gaglianone, capolavori alle vibrazioni dei suoni e alle de- Pietro, si colloca l’ampia e artico- come Era meglio morire da piccoli viazioni di percorso suggerite dal lata produzione di uno degli autori (1992), dove corpi maschili si rin- montaggio. Era il 1991 quando più sensibili del cinema italiano corrono negli spazi della memoria; Gaglianone realizzò quel cortome- contemporaneo, nella sua espres- L’orecchio ferito del piccolo coman- traggio, «storia di una ragazza cui sione più indipendente o, per dante (1993), «una breve storia di non resta che il delirio», indagine usare un termine recentemente guerra»; E finisce così (1995), dove di un comportamento, osservazio- rivendicato con determinazione, si assiste con radicalità pasolinia- ne di un corpo ferito ciclicamente autonoma. Una filmografia, quella na alla crudeltà dei gesti di bam- dal sangue mestruale che vaga in di Gaglianone, che si manifesta an- bini al confine tra infanzia e ado- immagini labirintiche che sbricio- cor più preziosa perché non ricon- lescenza. Fino a testi più recenti, lano le certezze precostituite del ducibile a un percorso facilmente quali i primi due lungometraggi nostro sguardo, a partire da quel sintetizzabile, né a proposito del- narrativi I nostri anni e Nemmeno che è, o potrebbe essere, docu- la durata né dei formati, sempre il destino, e il lungo viaggio nella mentario e quel che è, o potrebbe pronta a rimettersi in discussione Bosnia-Erzegovina Rata nece biti, essere, finzione. e riprendere la propria esistenza dentro la sofferenza di una terra A quasi vent’anni da quel lavo- in qualche altra esplorazione inat- distrutta dalla guerra. ro, ormai una vera e propria rari- tesa (come sembra lasciar intuire Fondamentale, negli anni novanta tà, Daniele Gaglianone ha girato, il nuovo lungometraggio Ruggine, la collaborazione del regista all’Ar- con la rabbia motivata da una si- dove per la prima volta il cinema chivio Nazionale Cinematografico tuazione lavorativa immobile, il di Gaglianone ospita interpreti di della Resistenza di Torino per il breve lungometraggio Pietro, che grande richiamo come Stefano Ac- quale ha girato numerosi docu- nel 2010 è stato scelto dal Festi- corsi, Valerio Mastandrea, Filippo mentari. In una filmografia dove la val di Locarno per il concorso in- Timi e Valeria Solarino). memoria partigiana è argomento ternazionale. Conferma, Pietro, di A ripensare l’immensa produzio- rilevante, insieme ad altri soggetti quell’instancabile ricerca avviata ne del regista torinese, costituita “pesanti” (oltre a quelli ricorda- negli anni novanta, di un cinema finora per buona parte da lavori ti, si pensi anche a quello dell’a- flagrante nello sguardo e straor- brevi di folgorante bellezza, uno noressia presente in un altro suo dinariamente potente nel descri- degli elementi che viene subi- testo abbagliante, La carne sulle vere un’umanità che, con motiva- to alla luce è quello di immagini ossa, del 1996) sempre elabora- zioni differenti, vive ai margini di mai definitive, che definiscono un ti con lo stupore e la crudeltà del una società che non la desidera. La testo in tutta la sua profondità e vedere che contraddistinguono ragazza de La ferita o Pietro sono al tempo stesso circolano libere un’opera irrequieta e in progress. personaggi che abitano periferie negli altri film, contaminandoli e Giuseppe Gariazzo

Nemmeno il destino locarno

DA SOLO Conversazione con Daniele Gaglianone, Locarno 2010

Come si lega Pietro al tuo prece- dente lavoro Rata nece biti? Se non avessi fatto il documen- tario in Bosnia il film Pietro non sarebbe stato così. Un esempio per tutti: il monologo finale. Non l’avrei mai pensato in quel modo se non avessi lavorato sull’at- titudine all’ascolto necessaria per poter raccogliere le testimo- nianze dei miei interlocutori che compaiono nel documentario. È sufficiente confrontare la scena dove Pietro parla di sé e della sua vita con l’incontro con Zoran nel primo capitolo del documentario Prigione dei popoli. Inoltre la di- visione in capitoli in Pietro viene direttamente da Rata nece biti. E ancora una notazione più perso- nale: non avrei mai avuto la forza di realizzare Pietro senza il soste- gno del gruppo che sta dietro a Rata nece biti.

Da dove è nata l’idea del film? Mai come questa volta mi risulta difficile dirlo con precisione. Nel percorso di genesi di Pietro si in- trecciano più elementi. Innanzi- tutto aspetti molto personali che riguardano la mia situazione. Tre o quattro anni fa, infatti, attra- versai un periodo buio della mia vita, in cui la tentazione di lasciar perdere la carriera cinematogra- fica fu molto forte perché avevo Pietro Pietro l’impressione di non riuscire più a un ragazzo emiliano di diciasset- ché rimase intrappolata nel traf- trovare uno spazio; quel senso di te anni, un po’ diverso dagli altri, fico. Sono piccoli fatti, piccole no- impotenza si è sicuramente river- molto studioso e poco alla moda, tizie che mi lasciano senza fiato. sato nella storia di un personag- che si uccise perché durante i fe- gio che si sente messo nell’ango- steggiamenti della vittoria dell’I- Un aspetto che è delicatamente lo e che reagisce con rabbia. Poi ci talia ai mondiali di calcio i suoi accennato nel film e che emerge sono altri elementi, meno intimi, amici lo avevano preso in giro e anche dalle tue parole è il discor- che riguardano il mondo che ci si erano divertiti con lui, filman- so sulla famiglia o sugli elementi circonda. Nella mia vita ho cono- dolo. Purtroppo vicende come che una volta rappresentavano la sciuto persone che mi hanno fatto questa sono sempre più nume- famiglia: il piccolo paese, la scena pensare ad un personaggio e ad rose. Un altro ricordo per me del film di Peckinpah in un conte- una storia di questo tipo. Persone fondamentale per la costruzione sto familiare, la mancata nascita fragili che danno l’impressione di quella scena è stata la sequen- di un bambino. L’assenza di lega- di poter essere schiacciate senza za del matrimonio nel film Sfida mi o la loro fragilità è un elemento pietà senza che nessuno se ne ac- nell’Alta Sierra di Sam Peckinpah, decisamente molto forte nel defi- corga, ma che nascondono, dietro quando uno dei fratelli si sposa nire il dolore o la «deficienza» del alla loro fragilità e gentilezza, una e gli altri prendono la sposa con protagonista. violenza esplosiva. Persone che violenza; pur non essendoci alcu- Penso che in una società sempre fanno parte del «limbo» sempre no stupro, si tratta di una scena di più individualista il primo a mori- più vasto della precarietà assolu- una ferocia inaudita. re sia veramente l’individuo, per- ta – sociale, esistenziale ed eco- ché nessuno conosce più i confini nomica – e che si muovono in un Fa specie notare che un film come della persona e la comunità, sia mondo dove la solitudine sembra Pietro, tutto racchiuso attorno al essa la famiglia o un gruppo di l’unico modo possibile per affron- suo personaggio, abbia spunti amici che condividono qualcosa, tare le cose. così diversi e lontani. si frantuma. Se «l’altro» non esi- Qualcosa è rimasto anche nel ste più, non ho nessuno con cui Ti riferisci al nostro paese? corpo del film. Ad esempio, nel- stare e se non ho nessuno con chi Sì, ma non solo. Trovo che la no- la sua lunga confessione, Pietro stare, io stesso non sono nessu- stra società stia perdendo sem- ad un certo momento racconta no. La famiglia è – nel bene e nel pre di più il senso di comunità. di essere nato nel 1982, durante male – il concetto con cui ci dob- In questo periodo mi stanno i mondiali, quando l’ambulanza biamo confrontare, anche se ne tornando alla memoria tanti ele- non riusciva a passare tra le stra- siamo orfani. Forse rappresenta menti che hanno ispirato alcune de della città in festa. Il racconto anche il luogo più violento della scene del film. Rimango spesso è tratto da un episodio avvenuto società: la famiglia è un rifugio, molto colpito da alcune notizie durante il periodo dei mondiali da cui partire per costruire qual- di cronaca – che sono sempre più del 2006, in una trasmissione di cosa, ma può essere anche un frequenti e che secondo me indi- Rai Tre che si interrogava sul si- lager. La famiglia – intesa come cano il vero livello cui la società è gnificato culturale di un paese unità sociale primaria – è un’i- arrivata, più degli scandali o del- che vince i mondiali: qualcuno stituzione sempre più fragile. le vicende politiche da prima pa- era intervenuto raccontando di Pietro e il fratello sono orfani in gina. Ad esempio alla base della una signora di Roma che doveva un mondo dove le persone non scena della festa c’è la notizia di partorire, ma che non riuscì per- hanno alcun punto di riferimen- 47

to. Mi viene in mente una rifles- adesso esiste real- modo suo. Il suo discorso è inge- sione: Amidei, lo sceneggiatore mente, perché non nuo e allo stesso tempo intenso, di Rossellini in Roma città aperta, esistono né l’oratorio, condotto con estrema serenità. cominciò a lavorare con De Sica né la sezione del partito Alla fine però ci rendiamo con- in Ladri di biciclette. Poi decise di comunista… to che è un discorso che fa a se abbandonare il gruppo dato che stesso, perché forse nessuno ha secondo lui la storia non stava in Pietro è un film «concentraziona- voglia di ascoltare la sua storia e piedi, perché se un individuo tro- rio», in altri tuoi film ad un certo a nessuno interessa sapere qual- va lavoro grazie ad una biciclet- punto almeno si intravedeva una cosa di lui. Credo sia quella la sua ta che possiede, nel momento in via di fuga… via di fuga. Pietro è senz’altro cui gliela rubano va alla sezione In un certo senso il finale di Pie- un film disperato, anche se io ci del partito comunista e gli viene tro è più simile a I nostri anni. trovo molta tenerezza. La condi- restituita. Ladri di biciclette è un Ne I nostri anni i due vecchi non zione di Pietro esiste davvero, la film eterno proprio perché ope- sanno più dove andare, non c’è violenza che lo circonda è reale; ra questa forzatura sulla realtà. più alcun posto per loro e si ri- si tratta di un film su una società Amidei aveva ragione, però il fugiano nella memoria. Sono sempre più feroce, ma anche sul film riesce a distaccarsi da questa sempre in bilico tra il passato e mondo del lavoro, su ciò che ne contingenza e a fare della perdita il presente, rientrano nella radu- resta, da quando è stato sostitui- di una bicicletta una questione ra e riescono a fare ciò che non to dal mondo del ricatto. metafisica. Ai giorni d’oggi Ladri sono riusciti a fare 40 anni prima, di biciclette sarebbe plausibile, salvare i loro amici. Pietro com- Pensi di aver fatto un film neore- perché se ti rubano la bicicletta pie questa strage per poter pren- alista? non avresti alcun luogo dove an- dersi il tempo di parlare come No, non credo. È un film che ov- dare a recuperarla. Come a dire: probabilmente non ha mai fatto viamente si confronta con la il personaggio del film di De Sica in vita sua, raccontando le cose a realtà, però mi interessa poco

Pietro 48

stabilire «a priori» qual è il rap- ci giorni ha in qualche modo in- film interpreta il fratello di Pietro porto con il realismo, il modo di fluenzato il film? – sono noti come il duo comico riprodurre la realtà e raccontarla. Mi ha costretto ad un lavoro di torinese «Senso d’oppio», visto Penso che quella di Pietro sia la concentrazione in preparazione nel programma tv Zelig. Ho pen- vicenda in un essere umano che così come in ripresa che ha gio- sato subito a questo duo teatrale inconsapevolmente compie un vato al film. Sembrerà incredibile di cabaret surreale e ho costruito gesto violento e dopo averlo fat- ma non ho mai avuto la sensa- i personaggi sulle loro fisionomie, to appare molto più lucido. Pie- zione di avere il fiato sul collo o fisiche e psicologiche. Spesso, in- tro compie cose terribili, ma c’è di non avere tempo. È chiaro che fatti, gli attori comici hanno un qualcuno che possa giudicarlo? per girare un film come questo ventaglio espressivo di sfumature Se uno come lui arriva a compiere occorre poter contare su un grup- tragiche molto interessante. un gesto simile, significa che l’o- po di lavoro molto affiatato e micidio c’è già stato. Quando Pie- aver preparato con cura ogni det- Qual è il tuo prossimo progetto? tro va nel locale e il fratello lo usa taglio, in primis il lavoro con gli Ora sto lavorando al montaggio per essere accettato dalla sua co- attori. Pietro è soprattutto un film del film Ruggine che ho girato munità, anche quello è un omici- di attori e con Pietro, Francesco lo scorso autunno. È ispirato al dio. Pietro in quel momento non e Fabrizio è stato fatto un lavoro romanzo di Stefano Massaron e è una persona, ma una marionet- accurato sui personaggi che ha racconta la storia di una banda ta a cui non viene riconosciuto arricchito anche la sceneggiatura di bambini alla fine degli anni nulla. Se Pietro arriva ad uccidere in progress. settanta che, in un quartiere un uomo, qualcuno ha ucciso pri- periferico di una città del nord ma l’uomo che era in lui. Dove hai conosciuto e come hai piena di immigrati dal sud (e dal lavorato con gli attori? veneto), sono gli unici a render- Parlavamo di Neorealismo perché Conosco gli attori dai tempi di si conto che il nuovo dottore del in questo film molto cosciente- Nemmeno il destino, dove Fabri- quartiere da tutti considerato un mente usi il personaggio per at- zio Nicastro – che qui ricopre la gran signore è in realtà una sor- traversare i luoghi, che sono spes- parte dello spacciatore – inter- ta di orco che vuol «mangiare» so delle macerie. C’è una volontà pretava uno dei due protagonisti, i bambini. Stanno zitti perché di raccontare un paesaggio, quel- Ferdi. Da lì è partito un rapporto sono convinti che gli adulti non lo della città distrutta, attraverso di amicizia e di collaborazione possano credere. Il film intreccia le camminate del protagonista. molto forte. Tra di noi c’è grande questa storia con quella di tre È vero. Probabilmente non vie- complicità; io so perfettamen- di loro, 30 anni dopo. Nelle loro ne mai mostrato nulla prima che te dove poter andare con loro e vite giunge ancora l’eco di quella venga colto dallo sguardo di Pie- loro sanno perfettamente dove vicenda. Nel cast ci sono Filippo tro. Non c’è mai una percezione desidero farmi accompagnare. Timi, che interpreta il famigerato visiva di ciò che lui sta per vedere Quando ho scritto la sceneggia- dottore, Valeria Solarino, Valerio o incontrare. Questo è indicativo: tura avevo già pensato a Pietro Mastandrea e Stefano Accorsi sicuramente è Pietro colui che ci Casella e il titolo del film ha pre- che interpretano invece i bambi- guida nel film, anche se ci sono so il suo nome perché mentre ni adulti. momenti in cui il film lo attende. scrivevo nella mia testa avevo già associato il personaggio all’attore. A cura di Carlo Chatrian Il fatto di aver girato in soli dodi- Lui e Francesco Lattarulo – che nel e Alice Moroni

Pietro Scrivere 49 con il cinema Ritratto di Gianfranco Rosi

ianfranco Rosi è un docu- di questa comunità che ha richie- il deserto losangelino, Juarez in mentarista anomalo nel sto a Rosi cinque anni di lavoro e una stanza d’albergo). Per far sì, G panorama del cinema ita- di vita. È diventato per certi versi poi, che dall’incontro con il per- liano, se non altro per quel suo uno di loro, ha condiviso il de- sonaggio scatti una relazione che essere stato, sin da bambino, un stino furtivo di questa comunità porta, si spera, a un momento di apolide, un cittadino del mondo, anarchica, capace di vivere una complicità e verità, è necessario al seguito di genitori diplomatici sorta di utopia della libertà. che la «macchina cinema» sia la (suo padre lavorava all’IRI, la ma- Nell’ultima edizione del Mostra più leggera possibile, fino a farla dre ha fatto la carriera diploma- del cinema di Venezia, Rosi ha coincidere con una persona sola. tica). Gianfranco Rosi, forse pro- portato la sua terza opera: El Sica- Produttore, regista, operatore, fo- prio perché lontano dalla scena rio, room 164. È il monologo/con- nico, fuochista… Rosi è tutto nei (o mancata scena) e dalla scuola fessione di un ex-killer assoldato suoi film. Questo essere da «soli» (o mancata scuola) del documen- dai narcotrafficanti messicani che davanti al personaggio, senza tario italiano, è riuscito a stabili- racconta, confessandosi, il siste- l’ingombro anche minimo del set, re un primato davvero originale ma in cui opera il cartello sulla è fino ad oggi una condizione es- all’interno del cinema del reale, frontiera con gli Stati Uniti. Am- senziale perché si realizzino i suoi muovendosi su linee eterogenee bientato a Juarez, la città più vio- straordinari «drammi intimi», e autonome, seguendo tempi lenta al mondo con 8 mila morti che sono e rimangono tali anche impensabili per lo stesso mondo all’anno (la stessa raccontata in quando si svolgono in contesti documentaristico. Tre film all’at- forma romanzesca da Roberto esotici o epici, indiani, messicani tivo dalla fine degli anni ottanta Bolaño in 2666), El Sicario rappre- o americani. a oggi. Una media spaventosa, senta per certi versi un capovolgi- Quel che Rosi cerca è il romanzo, la un tempo di ricerca e di scoperta mento del metodo di Rosi, quasi verità romantica anche a costo della che non ha buchi, né ellissi, bensì un instant movie, capace allo stes- menzogna romanzesca. Per questo il calcolo non matematico di una so modo di restituirci la verità di sembra molto più uno scrittore che relazione speciale con il proprio un personaggio e di un luogo. un regista, nel senso che pur usan- oggetto dei desideri. Ma qual è il metodo di Rosi? Come do il linguaggio cinematografico, Il primo film è Boatmen. Rifa- i migliori registi documentaristi, egli scrive e compone. Riprova di cendosi, per poi superarla, alla Rosi non ama tracciare una netta ciò è il suo metodo di montaggio, lezione del cinema verità, Rosi distinzione tra cinema del reale anch’esso molto particolare: non racconta la giornata tipo di un bo- e cinema di finzione. Rifacendosi guarda mai il materiale girato fino atman di Benares, facendo espe- al magistero di registi come Cas- a quando non inizia a montare, an- rienza con lui del mistero della savetes, quello che cerca Rosi è la che quando passano degli anni dal compresenza in uno stesso luogo vita dentro il cinema, la possibilità momento delle riprese a quello della vita e della morte. Il film di di restituire attraverso l’artificio di del montaggio. una vita, si direbbe, le cui riprese, questa arte un brandello di verità, “In questo modo – come ci ha rac- durate quattro anni, sono state ma non di verismo. Per scovare il contato – il film diventa un film del- solo uno dei passaggi all’interno «vero» dentro il reale per il mez- la memoria, perché rimangono im- di un percorso di auto-formazio- zo della finzione cinematografica, presse soltanto le cose importanti. ne che parte dall’incontro con anche quando documentaristica, Quando giro, e spesso si tratta di il personaggio fino alla stesura Rosi impiega un tempo lungo o un materiale enorme, mi rimango- del montaggio. lunghissimo (come nei primi due no impresse delle situazioni, di cui Il secondo film è Below Sea Level, film) o breve e brevissimo come conservo la memoria nel tempo. vincitore di Orizzonti nel 2008 a nel terzo, ma comunque il tempo Quando poi vado al montaggio, Venezia. Il film è lo straordinario giusto per trovare il «personag- grazie a questa selezione emo- ritratto di una comunità di ho- gio» giusto e per stabilire con lui zionale, so già cosa devo andare a meless rifugiatasi nel deserto una relazione profonda o un patto prendere”. Se questa non è scrit- americano, nei pressi di una base di conoscenza e verità. Il cinema tura…! Basta rivedere El Sicario militare dimessa a 25 chilometri del reale è incontro con il perso- per capire la squisita matrice let- da Los Angeles e 40 metri sotto il naggio, e questi può essere tanto teraria e romanzesca del cinema livello del mare. Un incredibile af- una persona, o un gruppo di per- di Gianfranco Rosi. fondo nelle dinamiche più intime sone, quanto un luogo (Benares, Dario Zonta 50 Una lezione sul male Conversazione con Francesco Rosi, Venezia 2010

Vorrei partire da un elemento sce- sterioso che lo trova. Lo ingaggia. No, lo avevo incontrato prima. nico, quel fazzoletto, o velo, che Dio è forse un altro capo da ub- Aveva voluto conoscermi prima copre il volto del sicario… bidire. Dice: «Non ammazzare». di dare il suo assenso. C'è sta- È un elemento molto importante. E dunque ha un altro codice, seb- ta poi tutta una trattativa in cui Il velo deve celare il volto ma al bene meno violento... sono state definite regole preci- contempo lasciare passare il se- se su cosa si poteva girare, quan- gno di una vita. Il sicario si era Però i comandamenti c’erano pri- to si poteva girare, su cosa pote- presentato con un passamon- ma e ci sono poi. vo chiedergli, su quanto poteva tagna, quelli della polizia. Era Sì. Non era in mio potere cambia- parlare e su cosa non si doveva questa però un'immagine molto re questa parte. Certo, avrei pre- parlare. Io sapevo che lui era un stereotipata, già vista. Io invece ferito che diventasse buddista! grafomane; quindi ho portato avevo questo velo mimetico che con me un quaderno nero e una mi ero portato e che pensavo di Mi puoi parlare della stanza nu- penna. usare più che altro per camuffare mero 164? la videocamera nelle riprese in La stanza è come un set. È a tutti Avevi dunque già in mente la pre- esterni. Gli ho chiesto se poteva gli effetti, uno spazio d'astrazio- senza della scrittura come ele- indossarlo al posto del passa- ne. All'inizio è presentata senza mento centrale nel film? montagna: mi piaceva il tessuto e uomini con i soli arredi. È descrit- No, speravo di poterlo filmare l'effetto morbido che dava. E poi ta attraverso alcune inquadratu- mentre disegnava, ma di certo quella sorta di rete che nasconde re mentre poi alla fine la stanza non sapevo che questo sarebbe il volto ma non del tutto allude al diventa una sorta di cella; c'è diventato un elemento narrativo confessionale. persino il sudario, quel lenzuo- così importante. E non è stato fa- lo che copre la poltrona. C'è una cile che lui accettasse che io gli È ciò che viene in mente quando luce molto tenue. E al contempo filmassi le mani, perché le mani alla fine si fa i conti con la conver- questo spazio così astratto è an- sono state il suo strumento di la- sione religiosa del personaggio. che quello dove lui lavorava. voro e dunque sono riconoscibili. Io ovviamente ero a conoscen- za del suo percorso. Avevo letto La stanza come luogo del confes- Lo sviluppo del film è stato detta- l'articolo scritto da Bowden su sionale è anche lo spazio del do- to da lui? "Harp Press" e tramite lui ero lore. Sì, lui vedeva la sua storia come riuscito ad incontrare il sicario. Certo, è lo spazio della rievoca- un passaggio ininterrotto dall'in- Sapevo dunque della sua reden- zione. fanzia fino alla redenzione. Il film zione e dell'incontro con Dio, di è una sorta di monologo; io inve- questo suo – per così dire – pas- Hai avuto modo di studiare que- ce avevo in mente un altro film, saggio da un padrone ad un altro. sto spazio, prima delle riprese? ma poi la sua storia si è imposta Ci ho vissuto un giorno. Lui mi e ho dovuto adattarmi. Una volta Così effettivamente il sicario lo aveva detto: "Ci incontriamo qui che la sua confessione è partita, presenta nel film. Un tizio che lui domani…". non ho potuto più muovermi da cercava da sei mesi senza trovar- lì, da quel filo che lui dettava, lo... mentre poi è questo tizio mi- Era la prima volta che lo incontravi? perché avrei rotto l'intimità. Una VENEZIA 51

volta resomi conto che i margini si perché ci si trovava in quella morti! Ogni giorno filmavo que- di manovra erano molto limitati stessa camera. In un altro luogo ste situazioni. Girando di notte mi sono fatto forza a non cambia- non sarebbe stato possibile otte- con i reporter ho visto cose ter- re più l'angolo di ripresa Ma i do- nere le stesse cose con la stessa ribili. cumentari sono sempre il frutto intensità. Si tratta quindi di circo- di un lavoro di correzione del tiro stanze fortuite. Si tratta di met- Avevi filmato questa parte prima e penso che questa scelta si sia tersi a disposizione di quel che d’incontrare il sicario? rivelata corretta. si ha davanti e togliere la propria No, questo è accaduto nel cor- presenza, per quanto possibile. so del secondo viaggio. Prima ci Si esalta l’idea di una confessione. sono state le riprese con lui che Sì, e anche c'è l'idea di filma- Nel film, c'è la stanza, la parola e sono durate due giorni. Poi c'è re tutto – o quasi – all'opposto. poi, anche se limitata, c'è la pre- stato un secondo viaggio a Jua- Come se questa scrittura rove- senza dell'esterno, che a me sem- rez dove ho ampliato quanto lui sciata potesse dare l'idea di un bra molto importante. Tu avevi mi aveva raccontato, includendo mondo capovolto. avuto in mente questa parte fin altre storie. Soprattutto volevo dall'inizio? approfondire una parte che non A volte ti metti anche dietro le Io avevo pensato un film molto mi era ben chiara legata alla sua sue spalle, mi sembra. più ampio. Volevo coprire altre fuga. E poi l'ultimo giorno quan- Sì, questo è successo il giorno storie della città di Juarez, in cui do gli ho chiesto che cosa era dopo, quando gli ho chiesto di tra l'altro vi ho passato un mese successo nella chiesa, lui è par- ripassare tutto quanto aveva intero. Poi in fase di montaggio ci tito in quella confessione che è fatto il giorno prima. Da dietro siamo resi conto che la sua storia davvero impressionante. Anche non scrive, ma rielabora. Quindi era troppo forte e non era possi- lui probabilmente non sapeva sono pochi i passaggi cosiddetti bile intercalarle con altre. cosa avrebbe tirato fuori. E di filmici. fronte a questo, non puoi che La prima immagine è dedicata dirti: "Basta!" Chiudi la cinepresa Ci sono però i momenti di recita- alla città, ripresa dall'alto. Poi e vai a casa. zione. l’immagine si declina. Io gli avevo chiesto: «Cosa è suc- La città vista dall'alto assomiglia La cosa che impressiona è il rit- cesso in questa stanza?» E lui ha ad un cimitero. È uno spazio vuo- mo della parola. Lui prima ha un iniziato quest'esplosione di ri- to. Questa è la rappresentazione soffio che quasi chiude ogni pas- cordi e di colloqui. A volte questi più appropriata della città di Jua- saggio. Qui è come una corsa in dialoghi sono così violenti da es- rez. Apparentemente è un luogo apnea. sere surreali. La tortura… dove non succede nulla, però Sì, c'è il ritmo ma anche la strut- è una città che sta morendo. È tura e la profondità di linguaggio Come quando descrive il torturato davvero come un cimitero, dove di cui dispone. È molto sofistica- quasi morto che è riportato in vita tutto è piccolissimo, gli spazi, i to. Ti trovi di fronte ad una perso- perché il supplizio continui. suoni Poi d'improvviso si sento- na che ha ammazzato, torturato e Sì, quei momenti sono emer- no delle esplosioni. 27 morti! 5 poi alla fine non lo giudichi, non 52

riesci a capire. Ha questo modo solo dei semplici diagrammi. Que- momenti di cambio che hanno un di portarti dentro senza lasciare sto è l'enigma del dispositivo che ritmo bellissimo. spazio ad eventuali dubbi che fa sinceramente non ho ancora capi- tutt'uno con le sue capacità d'atto- to. Sempre che funzioni? Poi mi sembra che ci sia un lavoro re. È il suo modo di vivere – l'esse- ogni volta diverso sulla voce. re un sicario – che ha affinato il suo Funziona eccome. Ed è cinemato- Sì, perché non c'è mai il vuoto. In- mimetismo, la capacità di sedurre grafico perché si appoggia su un fatti, tutto il film è come la sintesi l'interlocutore. Perché è stato per immaginario da costruire… di alcuni momenti. È come se da anni poliziotto e sicario allo stesso Sì, in questo è il film più democra- un flusso di materiale emergano tempo. Lui stesso dice: "Il sicario tico che si possa pensare! Non c'è come dei flash. Come delle sinap- è in ogni luogo, nel parco, in una nessuna imposizione e il disposi- si che si aprono e chiudono; delle giunta comunale, nella polizia, sta tivo permette una relazione com- immagini che avvolgono dei pas- insieme ai figli. Si sa vestire, sa pletamente libera. saggi di tempo anche lunghissimi. comportarsi, sa interagire con le persone". Tutto questo ovviamen- E al contempo le parole del sicario Come hai trovato la struttura del te può portare ad una confusione richiamano tutto un cinema di ge- film? profonda. Non sapere più dove nere che ha dato forma ad un altro La struttura del film l'ha fatta lui. stanno il bene e il male; questi due immaginario, quello del gangster, Non ci sono molti andirivieni nella sistemi che dovrebbero essere se- del cartello del narcotraffico… storia. Ci sono dei blocchi che per- parati e invece sono paralleli. In effetti, lui è un personaggio ci- mettono di individuare alcuni temi nematografico. a lui cari, temi che bene descrivo- In questo le riprese della città han- no una cultura. C'è la famiglia, Dio, no una forza notevole. Le case che Il ritmo del film è dato dai passaggi il lavoro, l'etica che vi sta dietro. vedi, dall'apparenza normale sul nero. Debbo dire che nell'individuazio- Sono le case della morte, di cui Io non volevo fare degli stacchi ne di questi Iacopo è stato molto parla diffusamente. Quei luoghi sull’asse. Avevo provato ad adot- bravo. D'altronde è stato il primo a dove sono seppellite decine, for- tare questa soluzione per Below credere nel personaggio se centinaia di corpi. Ed è curioso Sea Level, ma lì non era necessaria. che questo film, che cinematogra- Invece qui il film era tutto concen- Tu invece? ficamente è molto limitato, ti la- trato sul personaggio: insieme a Mah, un film tutto incentrato su di scia poi delle immagini così forti. Jacopo (Quadri, il montatore ndr) lui mi sembrava eccessivo. Mi di- Immagini di sangue, di tortura, di abbiamo pensato di inserire que- cevo: "Ma chi andrà mai a vede- morte, quando poi si sono visti sti passaggi sul nero per dare dei re 80 minuti di uno che parla!" 53

E invece quando abbiamo finito "Ero presente". Ma se si pensa tutti i picchi e altri segnali di ri- quei 70 minuti e ce li siamo visti alla quantità d'informazioni che conoscimento, lasciandogli però sono passati come un lampo. In offre è sorprendente la capacità tutta la sua umanità. effetti, la stessa sensazione l'ho che ha di eludere l'informazione avuta mentre giravo. Mi dicevo: privata. È dunque la sua voce quella "Se lo ascolto io così, perché non ascoltiamo? dovrebbe ascoltarlo il pubblico". La scrittura è molto rivelatrice di Sì ma è stata compressa, come se una persona. si fosse tolta l'impronta digitale Nelle riprese eri da solo con lui? Quello è stato l'unico mezzo della stessa. Mantiene la verità, No, c'era anche Charles Bowden e che io avevo per rivelare la sua le pause, i sospiri, l'intimità Lui una traduttrice. Nel secondo viag- personalità. Però credo che ha ascoltato la registrazione del- gio ero solo, lì avevo bisogno di questa soluzione scenografica- la voce ed ha dato il suo assenso. più intimità e anche perché allora mente sia stata più forte che se si era creata una fiducia reciproca, avessi avuto uno a viso scoper- Che cosa ti interessava in questa che è poi alla base di ogni docu- to che mi parlava della sua vita storia? mentario. E comunque debbo dire che questo film nasce da vent'anni di lavoro di cronista e ricercatore di Charles, perché questo perso- naggio non è propriamente qual- cuno che trovi al mercato. In fondo lui è «The Ultimate», l'ultimo di una categoria in via di estinzione. Lo dice lui stesso, quando parla dello stile di azione e l'abilità di agire in modo preciso.

Come modalità di ripresa ho visto che a volte colleghi il disegno alla persona. Questo è capitato di rado, alla fine quando ero un po' più a mio agio. Di norma ho cercato di re- stare fisso sulle mani e sul dise- gno. Cercando di tenere in cam- po sia lui sia il foglio.

I disegni sono molto schematici, precisi… Sembra una lezione all'Univer- negli stessi termini. Il velo crea Potrei risponderti con la frase che sità. Una lezione sul male. E poi mistero e ci si domanda: "Ma chi mi ha detto Charles quando gli ho c'è questa cosa sorprendente di è il personaggio che sta dietro posto la stessa domanda. Ovve- saper passare dal privato al pub- a questi disegni?" Poi anche la ro far comprendere che i 28.000 blico, dall'organizzazione a se voce è talmente potente che ti morti di tutto il Messico e i 8.000 stesso. Anche quando racconta di porta con sé. della sola città di Juarez in un anno come ammazzare una donna. Lì è non sono il frutto di un magico re- davvero agghiacciante. Sulla voce come avete lavorato? alismo, ma il risultato di un'orga- È stato fatto un lavoro molto de- nizzazione molto precisa. E il film Sì, anche perché è un racconto licato e importante. Una delle in fondo di questo è un prezioso alla terza persona e però capisci condizioni che lui aveva dato, documento. molto bene che questa persona è prima di iniziare le riprese, era quella che ti sta parlando. alterare la voce. Né io né lui d'al- Tu pensi che in rapporto alla si- Sì, è molto attento a non svela- tra parte volevamo un camuffa- tuazione italiana, un personaggio re cose personali o dettagli che mento che rende la voce come come il sicario – fatte le debite pro- potrebbero farlo riconoscere. quella di Mickey Mouse. È stato porzioni – si possa trovare? Non dice mai: "Ho fatto questo eseguito un lavoro di un mese Io credo di sì. o quest'altro". Dice: "L'organiz- da un bravissimo ingegnere del zazione…" Una o due volte dice: suono a Parigi. Sono stati tolti A cura di Carlo Chatrian 54 VENEZIA L'impronta della finzione Conversazione con Nicolas Pereda, Venezia 2010

asce come un incontro tra si è imposto come uno dei futuri siderato una riflessione sulla mes- un regista e una comuni- autori del cinema contempora- sinscena, un documentario su un N tà, Verano de Goliat, e di- neo, filma la vita in un villaggio gruppo di bambini e su una donna venta il racconto inafferrabile del nel sud-ovest del Messico (Hui- abbandonata o una metafora sul- Messico contemporaneo. Non c’è lotepec, nella regione di Oaxaca) la deriva di un mondo dominato documentario o finzione che ten- come se avesse perso la bussola e dalla violenza dell’esercito e dallo ga quando il cinema parla con la si fosse irreparabilmente smarrito. sfacelo che l’emigrazione si lascia voce sicura e divertita delle pro- Colpa del cinema, dello sguardo alle spalle. pria ambiguità: la storia di un ra- d’acciaio che getta sulle cose, per- Non c’è risposta, naturalmente, gazzino che ha ucciso la fidanzata ché in realtà Pereda quel villaggio ma solo sguardi sul reale, solo co- si contamina con la sua leggenda lo conosce benissimo: vi ha vissu- lori, luci e corpi da filmare e poi metropolitana; la messinscena to e lavorato per anni, ma nel mo- mettere in sequenza perché lo della finzione si sfalda sotto i mento in cui ha deciso di girarvi un spettatore decida cosa farne. Dif- colpi della realtà economica e so- film ne ha perso la consapevolez- ficilmente, crediamo, il cinema è ciale di un paese militarizzato; lo za, non ha più saputo distinguer- arrivato così vicino ad affermare il sguardo fuori fuoco si oppone ai vi il falso dal vero, la spontaneità proprio potere di manipolazione colori smaglianti di una fotografia dalla ripetizione, il dramma dalla e, al tempo stesso, come se il pa- che ricopre ogni cosa di una luce sua trasfigurazione grottesca. Ne è radosso fosse la sua unica natura, smaltata e iperrealista. nato perciò un lavoro indefinibile la propria drammatica impotenza Nicolas Pereda, giovane regista che afferma a ogni scena la pro- di fronte al reale. messicano che con questo film pria libertà: libertà di essere con- R.M. La cosa che colpisce immediata- al figlio un po’ tonto. In generale sti sono alcuni degli aspetti più mente del film è il suo livello di è un film diverso da quelli che ho drammatici della vita in villaggi complessità. Non ci riferiamo solo girato fino a ora, molto più ardi- come Huilotepec. all’elemento più evidente, quel- to, coraggioso e costruito. Nasce lo cioè del rapporto tra finzione e dal rapporto che ho instaurato In questo lavoro di conoscenza e documentario, ma anche ai vari con i bambini di Huilotepec e osservazione di una realtà socia- livelli di senso che seguono e sor- dalle esperienze che ho vissuto le, in quale momento hai deciso reggono la sua struttura. Ci puoi passando quasi cinque anni con di ricorrere alla finzione, di fare parlare delle implicazioni perso- loro, considerando anche i lunghi della ripetizione e dell’evidente nali, artistiche e sociali che hanno momenti in cui non ho vissuto lì. messa in scena la linea guida del portato a fare di Verano de Goliat Chiaramente non parla tanto di film? E, subito dopo, come hai un film indefinibile e ricchissimo? loro, quanto delle sensazioni che gestito il rapporto tra finzione e Il film è un’analisi del Messico ho provato, in quanto regista e os- documentario? contemporaneo, è un racconto servatore, nel conoscere e filmare Non penso che il documentario che affronta il vuoto di una situa- quei volti, nel conoscere e ascol- sia una questione di verità o di zione sociale in cui non ci sono tare quelle storie, poco importa finzione, ma un’opzione formale, speranze e in cui tutto quanto si se vere o inventate. Da qui sono una possibilità di approccio diret- è trasformato in una commedia nati anche i riferimenti alla so- to rispetto a forme più intellet- dell’assurdo. Questo, ad esempio, cietà messicana di oggi, che però tualizzate. Direi che è soprattutto è ciò che emerge da una scena non sarebbero emersi se prima una questione di impostazione, di come quella della ripetizione del- non avessi deciso di parlare dei riconoscimento immediato di una la lettera, in cui la madre cerca di bambini o delle famiglie abban- ripresa in quanto documentaria o far imparare un testo a memoria donate dai parenti emigrati: que- di finzione. Nel film c’è un miscu- 56

glio continuo di elementi: alcuni a chiedersi se il personaggio la che potrebbero essere tranquil- fatti sono reali e osservati con imparerà e se continuerà a stor- lamente utilizzate come docu- sguardo documentario, altri sono piarla e soprattutto come. mentario. ricostruiti, altri ancora, invece, In ogni caso, non posso negare sono inventati. Le possibilità sono Da quello che dici sembra che tu che il montaggio sia un momen- tante e potenzialmente infinite. abbia lavorato molto al momen- to decisivo, soprattutto perché Per me, è una questione di scelte. to delle riprese, che avessi già in quasi sempre mi ritrovo seduto a Così, ad esempio, la prima scena testa il film mentre lo giravi e che un tavolo con ore e ore di girato e del film, con i bambini intervistati intervenissi per condurlo in una sono costretto a decidere la strut- frontalmente e la mia voce fuori determinata direzione. Le tue idee tura del film. Al tempo stesso, lo campo, combina elementi veri e sono state poi confermate durante trovo un momento straniante, inventati e realizza ciò che dav- il montaggio o hai cambiato strut- perché sancisce la fine del rap- vero mi interessava: la creazione tura e andamento del film? porto con i personaggi e con gli di un tensione continua, di un Non mi reputo un montatore, attori, spingendomi a pensare al dubbio che si fa strutturale. Le perché in generale considero più film sotto un altro aspetto: non, risposte sono vere, ma mentre importante la fase delle riprese, cioè, come a un’esperienza esi- formulavo le domande e filmavo che svolgo in modo da rendere il stenziale, ma come a qualcosa di mi sono accorto che alcuni ra- girato già pronto per il montaggio materiale. Chiaramente monto gazzi avevano delle storie piut- (motivo per cui tengo da parte sempre da solo, perché in ogni tosto drammatiche da raccontare molte riprese di scorta). In questo caso resta un lavoro troppo per- e ho pensato che guidarli nelle senso, mi viene da pensare alla sonale per essere affidato a qual- cose che dicevano – forzando un questione dello sguardo: a volte, cuno che non può vivere quello po’ loro la mano, per intenderci infatti, mi ritrovo con delle scene che vivo io: quindi, è al momen- – fosse per loro più facile e per che potrebbero essere sia docu- to del montaggio che costruisco il film meno compromettente. mentarie sia di finzione e solo in il film, che capisco veramente in Per quanto riguarda poi la scena sala di montaggio decido come quale direzione procederà il mio della ripetizione della lettera, usarle, frapponendole ad altre lavoro. Non direi che si tratti di si tratta di una sorta di strate- leggermente diverse che contri- un momento creativo, ma di una gia per incuriosire il pubblico e buiscono a cambiare il punto di questione di assemblaggio, come richiamare la sua attenzione: in vista e a fare in modo che il film se il film venisse fuori pezzo per scene come quelle ci si può an- abbia un’impostazione piuttosto pezzo. Tra le riprese e il montag- noiare facilmente, ma a forza di che un’altra. A volte giriamo sce- gio passa pochissimo tempo ed sentire una cosa ripetuta diventa ne come se fossero di finzione e è come se le due cose facessero inevitabile che ciascuno cominci poi al montaggio ci accorgiamo parte dello stesso processo. 57

Puoi dirci come ti sei approcciato vinto Golia, se quell’omone sgra- soffocamento, derivi dall’impres- al film e come invece sei arrivato ziato e violento avesse trionfato sione che ho sempre avuto viven- al momento delle riprese? sul ragazzetto furbo e carino; se, do a Huilotepec. Se nel film non Verano de Goliat è un film nato in insomma, avesse per una volta compare quasi mai un senso di modi e contesti particolari. Cono- vinto quello che nessuno ama. È compassione nei confronti delle sco le persone che vi prendono esattamente ciò che è successo persone che vi abitano, è perché parte e da diversi anni pensavo di a Huilotepec, visto che Goliat è ho preferito concentrarmi su al- girare qualcosa con e su di loro. vivo, accusato di un delitto ma li- tro, sui meccanismi che regolano All’inizio Goliat doveva essere il bero, e quindi guardato come uno lo sguardo della finzione e quello personaggio principale e ho co- che vive al posto di un altro. Per del documentario, non certo per- minciato a parlare della sua storia quanto riguarda la sua progres- ché non sia stato toccato dai pic- con i bambini del villaggio, di- siva sparizione, devo ammettere coli e grandi drammi che vivono. scutendo con loro di ciò che era che con il passare delle riprese la Al contrario, provo una profonda successo (o ciò che si raccontava sua figura diventava sempre più compassione per quelle persone fosse successo), dei personaggi indefinita, come un’idea o un’e- e soprattutto per i bambini, per che avrebbero impersonato… Ab- mozione, nascosta alla base del i quali si può facilmente preve- biamo pure provato qualche bat- film. Il personaggio concreto è dere un futuro di povertà o emi- tuta. Poi ho cominciato a lavorare rimasto, ma solo all’inizio, come grazione. con gli adulti, ma non appena si spunto. O forse come una corni- iniziava a parlare di Goliat mi ac- ce dentro la quale cerco di dare Questo fa pensare alla riflessione corgevo che la cosa non funziona- al film l’impronta della finzione. sulla situazione sociale del Messi- va. O, meglio, mi sembrava che le Poi quello che succede in seguito co, che scorre lungo tutto il film, cose che dicevo io della storia di può portare in una direzione o in come un tema che non emerge Goliat non erano quelle che loro un’altra, ma a quel punto penso mai in modo esplicito ma ne in- conoscevano e alle quali erano che molto dipenda dalla scelta forma la struttura. interessati. Nelle interviste, come del singolo spettatore, che decide Come ho già spiegato, non era ad esempio quella al camionista a cosa rapportarsi e a cosa presta- mia intenzione parlare del Mes- e alla donna seduta sul letto, poi re più o meno attenzione. sico di oggi in modo diretto. Ma finite nel film, loro parlavano di è inevitabile che un argomento tutt’altro e dalle loro parole ve- L’ambiguità del film è eviden- così importante emerga in qual- nivano fuori cose decisamente te anche e soprattutto nella sua che modo in superficie. In paesi più interessanti. Per esempio, la chiosa finale, con un personaggio come Huilotepec è il luogo stes- questione dei militari di stanza che sembra perdere ogni control- so a dare un’idea di violenza e tri- nel paese era sentita in modo tra- lo e fa intravedere la possibilità stezza; lo si capisce già dalla loro gico e per quanto non fosse l’ar- della morte come presenza reale struttura, con una strada dritta e gomento che avrei voluto svilup- di Huilotepec. impolverata che li attraversa da pare non potevo oppormi al fatto Per me è sempre difficile parlare cima a fondo e le case costruite che spingesse per entrare nel in modo preciso di una scena, del lungo i margini. Le uniche gioie film. Allora ho capito che dovevo significato o della simbologia che di un posto come quello sono i adattarmi alle storie che sentivo, può nascondere, specie, poi, se divertimenti quotidiani e a volte che non importava se perdevo di non è ancora passato abbastanza casuali dei bambini, la speranza vista la vicenda di Goliat: per me tempo dalla fine della lavorazio- che ciascuno di noi ripone nelle lui rimaneva lo spirito che aleg- ne. Ho sempre dei dubbi su ciò sorprese della vita quotidiana, giava sul film, il punto da cui ero che la gente possa pensare di un giorno per giorno. La cosa triste, partito e che in un certo senso mio film e non so mai bene cosa però, è che tale speranza spesso condizionava tutto il resto. nascondano o provino i miei per- passa solamente per la televisio- sonaggi. Nel caso del finale del ne, perché in queste zone – così Ci vuoi parlare di Goliat? Perché film, però, posso dire che la don- povere da negare pure la speran- nel film sembra davvero che a un na diventa quasi un animale, non za di un futuro – i soli sogni che certo punto te ne dimentichi del controlla le sue emozioni, si abban- arrivino sono quelli trasmessi dai tutto… dona completamente al suo dolore. media. Ma questa in fondo è una Quando sono venuto a conoscen- Forse, sì, c’è qualcosa di definitivo in cosa tipica del mondo intero, non za della sua tragica storia, mi quella scena. solo del Messico rurale. avevano colpito molto – anche se non sono cattolico – le affini- Come se si chiudesse idealmente il L’idea di ricorrere spesso al fuori tà con la vicenda biblica di Davi- cerchio aperto dalla storia di Goliat… fuoco è un modo per rendere l’im- de e Golia. Mi sono allora chiesto Assolutamente. Credo che la fi- possibilità dei sogni in un luogo cosa sarebbe successo se avesse gura del cerchio, metafora del come Huilotepec, la loro inde- 58

terminatezza o la distanza che parlare dei trafficanti di droga nema e reale. Uno rappresen- separa le persone dalla realtà. O o delle donne abbandonate dai tava il rifugio di fronte al dato c’è un’altra motivazione? mariti emigrati, ma volevo che materiale, il riparo nel mondo La decisione di realizzare diver- si percepisse l’atmosfera che si dei pensieri e nell’oscurità del- se inquadrature fuori fuoco è respira in un posto dove il nar- la mente; l’altro è dedicato alle stata presa già durante le ripre- cotraffico o l’abbandono delle cose che vedo, che tocco e che se e non in post-produzione. È famiglie da parte degli uomini sento. Non a caso, là c’erano il uno dei tanti modi con cui cerco sono eventi reali e drammatica- testo, la messinscena teatrale, di esprimere quello che penso mente presenti. la cornice, mentre qui c’è un la- del posto in cui giro, il segno del voro più libero sul corpo della mio smarrimento, del fatto che Il colore, però, sembra dare un realtà. In ogni caso, però, si trat- non ci sto capendo nulla. Sono tono quasi leggero al film, sem- ta per entrambi di lavoro creati- stato tantissime volte nella re- bra esprime tutta la serenità e lo vo nato da un disorientamento. gione di Huilotepec, l’Oaxaca, e splendore espressi da una parola Che io stia realizzando un film, ho visitato diversi villaggi an- come «verano», estate. Sembra una videoinstallazione o una cora prima di cominciare a rea- l’ennesimo elemento che contri- scultura, sono sempre così preso lizzare il film, ma nel momento buisce all’ambiguità del film e, dal lavoro che svolgo da esserne in cui ho cominciato a lavorare ripensando ai tuoi lavori prece- sopraffatto, soprattutto a livello ho trovato sorprendente il diva- denti, si oppone drasticamente mentale. E a chi mi chiede cosa rio che si poneva tra me e quel al precedente Todo, en fin, el stia facendo, non so mai cosa ri- luogo: non appena l’ho pensato silencio lo ocupaba (2010), che spondere. Comunque, sì, i miei come il set di un film le cose era immerso in un buio totale, lavori, film compresi, stanno già sono cambiate e pure le per- spezzato da piccoli spazi di luce nella mia testa prima di comin- sone, sicure di essere filmate, bianchissima. ciare: è vero poi che la direzione hanno mutato atteggiamento. Quel film era qualcosa di molto la imbocco quando giro o quan- Quindi il fuori fuoco è una me- speciale, un approccio decisa- do monto, ma solo perché arrivo tafora della mia incapacità di mente intellettuale nei confron- a capire razionalmente quello far percepire il film come au- ti di concetti universali come il che dentro di me provavo come tentico, come documentario. rapporto tra mente e razionali- sensazione. Credo che Verano de E anche un modo per dire che tà, singolo e collettività, umano Goliat parli proprio di questo. nel mio paese le cose non sono e universale. Verano de Goliat, mai chiare, che l’ambiguità è invece, è aperto alla realtà e si A cura di Nora Demarchi dappertutto: non volevo certo interroga sulla relazione tra ci- e Roberto Manassero sulle tracce VENEZIA 59 del passato Conversazione con Aleksei Fedorchenko, Venezia 2010

orse è la nostalgia, o forse sua troupe mettono in scena un loro tradizioni vivono nella vita la necessità, che ci spingo- immaginario mitologico creato a moderna dei loro discendenti. I F no a ricreare un insieme di posteriori nel quale re-inserire i due uomini intraprendono così miti e leggende nei quali crede- loro personaggi, la loro cultura e un viaggio di migliaia di chilome- re. Forse quello di cui abbiamo le loro origini. tri lungo le terre di confine. Con bisogno è l’atto dello sforzo cre- Quando l’amata moglie di Miron, loro, due piccoli uccelli in una ativo, il fatto di sapere di esse- Tanya, muore, l’uomo chiede al gabbia. Lungo la strada, com’è re ancora in grado di inventare suo migliore amico Aist di aiu- tipico per i Merja, Miron condi- storie. O forse l’intima urgenza tarlo a dare l’ultimo saluto alla vide intimi ricordi della sua vita di ricreare un immaginario col- donna in accordo con i rituali coniugale. Ma una volta arrivati lettivo in grado di rassicurarci della cultura Merja, un’antica sulle rive del lago sacro dove essi del fatto che abbiamo ancora etnia ugro-finnica. Nonostante i prenderanno per sempre conge- delle appartenenze culturali Merja siano un popolo che è sta- do dal corpo, Miron capisce che dalle quali discendiamo. In ogni to assimilato dai Russi nel dicias- non era il solo ad amare Tanya. caso, Aleksei Fedorchenko e la settesimo secolo, i loro miti e le n.d. 60

. questa comunità? attestano la sopravvivenza di que- Il titolo originale Ovsyanki cor- La mia intenzione era di mostrare sta cultura restano dei toponimi, risponde alla parola russa usata un’altra visione della Russia, un in particolare i nomi dei fiumi. per indicare gli zigoli, dei piccoli paese dove le più antiche tradi- uccelli giallo-verdi, molto diffusi zioni pagane pre-ortodosse e le Essendo così scarse le tracce ci sem- in Russia. Così sono anche i prota- dinamiche umane fossero liberate bra molto felice l’idea di fare riferi- gonisti del film: gente semplice e dalla banalità della civilizzazione. mento all’immaginario di questo comune. Quello che li contraddi- Ho provato a mostrare un piccolo popolo. stingue è la loro visione del mon- mondo abitato da persone pure e La popolazione Merja è scompar- do, che deriva dall'appartenenza a sincere – un mondo che è quasi sa da 400 anni. Noi abbiamo ri- un’antica tribù, e le insospettabili alla nostra portata, ma che non esi- creato tutto l’apparato mitologico passioni nascoste nel profondo ste per davvero. In questo mondo, ex-novo. Certo, abbiamo corso il delle loro anime silenti (Silent vivere, amare e morire sono ugual- rischio di sbagliare ma, sebbene Souls è il titolo internazionale del mente desiderabili. Per i Merja non siano filologicamente aderen- film, ndr). non ci sono divinità, solo Amore e ti, posso dire che i rituali e la mi- Anche se il film si svolge nel no- Acqua, che a sua volta rappresenta tologia alla quale ci siamo ispirati stro tempo e tutti i personaggi la morte più desiderabile, quel- non avrebbero offeso il popolo di sono persone moderne, le loro av- la per annegamento. Tutti questi Merja. Volevamo dare a un popo- venture sono connesse al passato, elementi, queste tradizioni, li ho lo che non esiste più un sistema al misterioso popolo Merja. I Merja attinti dalle informazioni ricavate di credenze senza offenderne la sono stati assimilati alla cultura grazie agli scavi archeologici com- memoria. russa da molto tempo, tuttavia noi piuti in queste zone, agli studi e in questo film ipotizziamo che essi da un’immaginaria mitologia della Il film incomincia con un’inqua- continuino a vivere fra noi. Non regione del Volga. dratura particolare che offre una sono diversi dalle altre persone: si precisa scelta visiva. All’inizio c’è vestono come noi, parlano come Ci vuole dire qualcosa di più sui la strada con una persona in bici- noi, mangiano come noi. Ma il san- Merja? cletta che viene inquadrata prima gue russo che corre nelle loro vene I Merja sono un’antica popolazio- di fronte e poi di schiena. Strada è più ugro-finnico che slavo. Sono ne ugro-finnica che hanno abitato che diventa un po’ la metafora del capaci di riconoscersi l’un l’altro le province delle moderne città di viaggio… attraverso dei segni speciali che Rostov, Kostroma, Jaroslav e Vladi- Circa sei mesi prima di iniziare a solo loro percepiscono. E durante mir. I loro tratti culturali distintivi girare questo film ho fatto un do- i momenti più drammatici della sono stati rivelati dai numerosi ri- cumentario sui bulgari che veni- loro vita, si appoggiano l’un l’altro trovamenti archeologici in queste vano a tagliare il bosco nella taiga. e si rivolgono ai loro antichi rituali. aree. I Merja sono stati assimilati Questi uomini, una volta termina- dagli slavi e, in seguito, dalla cul- to il loro lavoro, sono ripartiti, la- Come mai ha scelto di parlare di tura russa. Tra le poche tracce che sciando le città deserte. Ho girato 61

delle immagini in un cimitero e ho corrono anche strade emotive. Il il dolore in modo da diluirne la dovuto percorrere una strada che senso del film sta nel viaggiare concentrazione. aveva ai margini dell’erba di colo- stesso. Volendo è possibile ri- re bianco, che dava l’idea di una scontrare due movimenti oppo- Visivamente il film si compone di neve fuori stagione. Sono rima- sti: da una parte il protagonista paesaggi tranne poche scene in cui sto colpito da questa immagine, che vuole trattenere le parole, i si vede che lei ha un’idea di quadro da questa finta neve ai bordi del ricordi, dall’altra il viaggio impli- molto precisa, come per esempio sentiero, che veniva così facile as- ca l’idea che questi elementi di l’inquadratura del concerto dove sociare alla morte. Così ho deciso perdano per strada. noi non vediamo le persone che di iniziare il film, con un richiamo cantano, ma solo il direttore d’or- al lavoro precedente. Quando ho Questa idea era presente nel rac- chestra. Come le è venuta in mente iniziato a girare Silent Souls sono conto da cui il film è tratto o è questa soluzione? andato a ricercare quel posto e un’idea sua? In realtà, l’orchestra non c’era! E anche il fiume, con quel ponte Quasi tutto era già presente nel neppure il coro; quindi bisognava che si muove, viene da quelle racconto. Per me è stato molto inventare qualcosa. Per rende- parti lì. Le immagini presenti nel facile poiché avevo già una sce- re verosimile la scena ho dovuto film mi sono state suggerite dalla neggiatura pronta. Il mio lavoro lavorare molto sulla direzione natura unica che si può trovare in è stato, una volta letta la sceneg- dell’attore. In un film in cui la reci- Russia e vogliono esserne anche giatura, ripercorrere in macchi- tazione è molto trattenuta ho pen- un po’ un omaggio. na, con lo sceneggiatore, tutto sato una scena in cui la recitazione il viaggio narrato nella novella, si fa espressiva e molto evidente. Il film parla di una comunità, e in modo da prendere confidenza D’altra parte non poteva essere di solito le comunità sono legate e poter capire i luoghi e le di- diversamente perché spettava a dei luoghi, però lei ha deciso di stanze da percorrere. In seguito all’attore far capire che dietro la raccontare una storia che è quasi ho portato sulla stessa strada macchina c’è un’intera orchestra. un road movie. il direttore della fotografia e il Allora mi sono messo di fronte a Da una parte il tema del viaggio set-designer e insieme abbia- lui, vicino a me c’era una persona era necessario per dare l’idea di mo cercato il modo di rendere al con il testo, a dirigerlo quasi fossi estensione territoriale: queste meglio il tema del viaggio e del il direttore d’orchestra. Io indicavo isole etniche in Russia non sono paesaggio. i movimenti e lui li copiava i miei. circoscritte in luoghi precisi ma Essendo un buon professionista sono molto grandi. Per arrivare Ci può dire qualcosa riguardo al non è stato poi complicato. da una parte all’altra della stessa tema dell’elaborazione del lutto? comunità ci metti una giornata. Il film è percorso da una tristez- Questo film si ricollega in qualche Dall’altra parte il viaggio descrit- za e nostalgia incredibili. Ma più modo con una tradizione antica to è un percorso dell’animo, dove forte di tutto è il desiderio di del cinema russo, che è il cinema oltre alle distanze fisiche si per- condividere con un’altra persona di viaggio, antropologico, con una 62

forte componente documentaria? abbiamo cercato dei dettagli che qua dà poi al tema della mor- Non vorrei che il mio lavoro fos- potevano aiutarci a visualizza- te una dimensione particolare, se presentato come un esem- re la cultura Merja. Alcune cose quasi dolce. A noi ricorda pagine pio di cinema che si ricollega a che vedete nel film non sono importanti della letteratura euro- una data cinematografia. Certo, propriamente russe ma sono pea, da Shakespeare a Eliot… abbiamo visto dei film della ci- elementi che hanno catturato la La nostra parola d’ordine era nematografia mondiale e russa; nostra attenzione. L’incontro con «tenerezza». Volevamo che la non è possibile creare qualcosa il territorio è stato uno shock no- tenerezza si trasformasse in no- di nuovo senza trarre ispirazio- tevole. Noi sappiamo che il po- stalgia. Nella trama del racconto ne e basarci sui migliori film fatti polo dei Merja abitava un tempo e nel nostro trattamento l’idea in ogni angolo del pianeta e del quei territori con villaggi e città era che questi sentimenti venis- mondo. Ma noi abbiamo comun- che oggi non esistono più; però sero a significare l’amore per la que cercato di dare qualcosa di la sensazione della loro presenza donna defunta. nostro e personale, qualcosa di è stata percepita durante tutta la originale. nostra permanenza. Nei visi delle Come avete impostato la colonna donne, la cui espressione molto sonora? Il film è tratto da una novella, profonda ci ha colpito, abbiamo La sceneggiatura prevedeva una come ci avete lavorato? sentito che qualcosa di diverso e musica pre-esistente, ma anche Denis Osokin, lo sceneggiatore, di eterno viveva lì. per questioni di budget abbiamo ha il grosso merito di aver cre- optato per una partitura origina- ato questo mondo fantastico e Il film è in effetti anche un omag- le. La particolarità è che non è grazie al quale noi ci siamo riu- gio alla femminilità. una musica tipica di una qualche niti e abbiamo deciso di visualiz- Sì, è un omaggio alla donna, all’a- popolazione, ma è la musica di zare il libro di Aist Sergeyev. La more ma non all’erotismo. Forse un popolo che non c’è. A realiz- sceneggiatura ha tenuto conto noi russi temiamo di realizzare zarla concorrono musiche occi- della magnifica opera di Aist, del alcune scene, anche se l’eroti- dentali, balcaniche... È la musica suo linguaggio, delle sue idee. smo si ritrova dappertutto. Oggi di vari popoli che danno linfa al La preparazione del film è stata anzi si potrebbe parlare di un sangue russo. La comunità russa abbastanza veloce: siamo stati certo degrado dell’erotismo. An- è infatti composta da un miscela nella parte occidentale di que- che per questo abbiamo escluso di varie etnie, i finnici, gli slavi… sta zona, abbiamo visto tutte le questo elemento dal nostro film. E forse questo è il segreto della terre che io non conoscevo per sua ricchezza. vedere dove si poteva girare. In La figura femminile si coordina particolare volevamo capire cosa con l’elemento dell’affettività che A cura di Carlo Chatrian era rimasto di quella cultura e è fortissimo. La presenza dell’ac- e Nora Demarchi La morte VENEZIA 63 e la fanciulla Conversazione con Athina Rachel Tsangari, Venezia 2010

i tratta di uno dei rari azzar- la, due giovani donne, due ami- totalizzante con la figura pater- di felici. Non soltanto per i che, che in uno scenario urbano na, per andare incontro a nuove Sselezionatori del festival di asettico mimano (come in uno esperienze. La Grecia in divenire Venezia, che lo hanno accolto nel spettacolo di teatro sperimenta- – location privilegiata è il grande concorso internazionale, ma an- le) le tappe della sessualità tra- cantiere dove il padre lavorava che per la stessa regista che con il sformandole in gioco macabro e – sottolinea le tensioni tra due suo secondo film apre una nuova divertito; si esibiscono vestite in generazioni: i forti ideali paterni strada per il cinema d’autore eu- grembiuli scuri da vecchie ma- messi in discussione dal nuovo ropeo. Attenberg è un film leggero trone di paese e sostituiscono la millennio e il vuoto destabiliz- e libero, una vera «stranezza» se verbalizzazione del pettegolezzo zante e ineffabile in cui si muove confrontato alle asfittiche produ- con una gestualità poliseman- la figlia. Unico insegnamento che zioni da pubblico colto, sempre tica e irridente. Le passeggiate permane è guardare la vita attra- più arroccate sulla sceneggiatu- in una città deserta (immagine verso gli occhi di un altro, come ra. Apparentemente privo di una stereotipata della Grecia dalle successe di pensare un giorno a narrazione forte, il film segue l’e- casette basse e bianche, a cui fa Sir Richard Attenborough men- ducazione al sesso e alla morte di da controcampo il paesaggio in- tre filmava i suoi adorati gorilla. una ragazza ventiquattrenne con dustriale) punteggiano la vicenda E proprio prendendo le mosse uno stile all’insegna della grazia personale di Marina, costretta ad dal mondo animale, si apre la ribelle e anarchica di Le margheri- affrontare la malattia del padre, vita all’irrazionalità di un gioco e tine di Vera Chytilova e la compo- unico genitore che l’ha cresciu- si trova la forza per vivere in un stezza irriverente del Godard anni ta. Il progressivo aggravarsi delle mondo che sembra non recare più sessanta. condizioni fisiche dell’uomo la traccia dei maestri amati. In Attenberg ci sono Marina e Bel- spingono a rompere il rapporto (d.pe.) 64

In Attenberg ci sono due linee nar- proccio surreale? I toni di alcune organizzato con precisione. Cia- rative che si intrecciano: la prota- sequenze del film (il rapporto tra le scuno dei protagonisti era iden- gonista si trova a dover dire addio due amiche, gli scherzi sul letto tra tificato con un animale e doveva a una persona amata nello stesso padre e figlia) ricordano l’irriveren- imparare a rappresentarne le po- momento in cui accoglie il sesso za e la libertà espressiva di Le mar- sizioni caratteristiche, simulando nella sua vita. Era una cosa chiara gheritine di Vera Chytilova. la posa da seduto, in piedi o da fin dall’inizio? In realtà non avevo in mente quel coricato. Volevo che trasferis- La sceneggiatura è cominciata pro- film. Durante la preparazione non sero questo «apprendista- prio pensando a una ragazza che ho razionalizzato le mie intenzio- to» nel loro personag- chiede al proprio padre se l’avesse ni, né lo stile o i personaggi. Sape- gio, influenzando mai immaginata nuda. La doman- vo di voler affrontare temi molto in maniera meno da, imbarazzata e dirompente, na- importanti: due riti di passaggio, esibita la reci- sce dal fatto che la stessa ragazza uno che riguarda la morte, l’altro il tazione, il modo per la prima volta ha concepito sesso, del resto – come insegna Ba- in cui parlavano l’idea di suo padre senza vestiti: lo taille, uno degli autori che più mi e si muovevano. ha immaginato però senza pene, hanno segnato – il sesso e la morte Durante le prove, perché come figlia non vuole pen- sono sempre connessi. Da questa tutto questo lavo- sarlo come un uomo. In lei c’è un blocco: in tutte le figlie sussiste una rimozione nei confronti del padre, necessaria proprio a pro- teggerci dall’idea dell’incesto.

La rimozione e la distanza sono la cifra del film: è sorprendente che si racconti in questo modo una società di stampo mediterra- neo, abituata a rapporti distesi tra le persone e a un contatto fisico più spontaneo. Non è così, soprattutto se parlia- mo dell’istituzione familiare. Il riflessione è scaturita in manie- nudo, anche all’interno della fami- ra organica la forma; essendo il glia, è ancora un tabù. Credo che mio pensiero attratto da una ric- i paesi scandinavi, la Francia o la ca simbologia e facendo ricorso Germania, siano molto più liberi alle relazioni primordiali, ho cer- al riguardo. A me non è mai capi- cato di strutturare così anche il tato di vedere i miei genitori nudi. film. Fin dall’inizio, inoltre, ero Ho vissuto a lungo in America, ma certa che per riuscire a trattare volevo tornare in Grecia per gira- due argomenti così ancestrali re il mio secondo film: ho pensato fosse necessaria una presa di che raccontare la mia terra fosse distanza e una buona dose di fortemente connesso a una rifles- humour. Mi piace la comicità sione sulla famiglia. Il patriarcato, surreale dei Monty Python, ado- la relazione tra padre e figlia sono ro la battuta secca e i dialoghi fondamentali nel mio paese; inve- scoppiettanti di Howard Hawks. stigarli, per raccontare differenti lotte di potere tra due o più perso- Tutto questo affiora nel film spe- ne, significa riflettere sull’unità es- cie negli intermezzi in cui le due senziale della società contempo- amiche, Marina e Bella, si aggira- ranea. L’idea è stata fin dall’inizio no per la città deserta. intraprendere una via poco con- Le scene con le due amiche che venzionale per raccontare questo ballano e compiono strani gesti conflitto, qualcosa in grado di rap- sono state pensate durante le presentare la relazione tra padre e riprese. Sono arrivate offrendo figlia che io avrei desiderato. una quota d’imprevisto al film. Nell’idea iniziale tutto era mol- Da qui è nata la scelta di un ap- to strutturato, ogni dettaglio era 65

ro mi è sembrato troppo forzato; rivedevo in maniera ossessiva su fisicità, ad esempio Mou- anziché rendere più libero il film, Youtube The Ministry of Silly Walks, rikis è un grande attore greco e lo costringeva entro determinati lo sketch dei Monty Python (uno non aveva mai fatto niente del ge- limiti. Così, mentre guardavamo degli episodi di Flying Circus, ndr). nere. Credo che anche per lui sia i documentari di Attenborough, Così mi venne l’idea di proporre stato liberatorio ridicolizzarsi nel- mi venne l’idea di chiedere a cia- alle due protagoniste, entrambe le scene in cui gioca a trasformarsi scun attore quale fosse il proprio ballerine, di rielaborarlo in diver- in animale. animale preferito e di imitarlo: se variazioni sul tema: alla fine ne solo allora hanno cominciato a in- abbiamo realizzate almeno una Il titolo sottolinea proprio l’aspetto ventare cose buffe. In quei giorni ventina e ne abbiamo tenute cin- legato al mondo animale e i docu- que da inserire nel film. Mi sembra mentari che padre e figlia guardano esprimano come le due ragazze si insieme. Quando ha deciso che que- sentano: «diverse», due «freaks», sto doveva essere il titolo del film? per questo si rendono ridicole agli È stato scelto per caso. Mentre pro- occhi degli altri. vavo con le attrici, all’inizio della lavorazione, Ariane Labed (che Il film si pone come una rappre- interpreta la protagonista, Marina sentazione in cui l’uomo gioca a ndr) ha citato i documentari di «Sir tornare animale. La sua riflessione Richard Attenberg», sbagliando il nome, e alla fine la battuta è ri- masta. Quando mi sono trovata a pensare al titolo del film ho capi- to che «Attenberg» potesse fun- zionare perché allo stesso tempo non significava assolutamente nulla e qualunque cosa ciascu- no voglia. Niente di definito: poteva essere il nome del- la città, la citazione della mancanza di comprensio- ne, ma se mi domandate cosa significa per me mi sembra il titolo perfet- to per un documentario sugli animali dedicato agli umani. Il mio film vuole esse- re un documentario sugli esseri umani. Comunque devo ammet- sembra suggerirci un tere di essere una grande fan dei ritorno a una maggiore film di Attenborough, li guardavo istintività? tantissimo da piccola. Trovo che È la mia maniera di dire siano documentari di grande po- che abbiamo un’estre- esia, capace di emergere anche se ma necessità di essere filtrata da un approccio scientifico, in maggiore contatto sanno emozionare e commuovere con il nostro corpo. nonostante la distanza che metto- Questo, in una manie- no tra lo sguardo e l’oggetto. ra esasperata, è il senti- mento che vive la protago- Proprio la distanza tra sguardo e nista: si sente una diversa, non ha iniziazione di una giovane fanciul- amici e non sa come esprimere se la permane nel film: quasi fosse stessa. Ma non accade soltanto un’indagine su un momento par- agli outsider: tutti siamo vitti- ticolare vissuto con la consapevo- me dell’evanescenza dei corpi lezza di una ragazza di 23 anni e nella società contemporanea. non di un’adolescente. Come mai Succede persino agli attori che ha fissato un’età del genere per la non sono più spinti a lavorare sua protagonista? Non sembra un mettendo alla prova la propria fatto molto comune di questi tempi 66

perdere la propria verginità dopo i Le prime volte che si esce con un zia. Quando Bella va a letto con il vent’anni. uomo, nessuna donna vuole dimo- padre di Marina, l’esperienza sarà Accade molto più spesso di quan- strarsi inesperta e così imparava- dolorosa e turbante per lei, per- to si pensi. Nella mia testa forse mo a baciare provandoci le une con ché non ha mai fatto sesso prima, anche l’altra ragazza non ha mai le altre. In questo non c’era niente ha soltanto finto al riguardo. In più fatto sesso, anche se dice di sa- di omosessuale: era tecnica, come questo atto la pone su un piano di perla lunga al riguardo. Le ragazze andare a scuola. I rapporti tra ami- maternità nei confronti dell’amica, mentono: fingono le une con le che sono complessi: contengono quasi diventasse improvvisamente altre; per i ragazzi invece credo sia sempre una componente di fiducia il surrogato della madre. Anche in più comune fare sesso più tardi e che prima o poi viene tradita, per- questo caso c’è una sorta di gioco non sentono il bisogno di raccon- ché l’amica è anche considerata di ruolo: ritengo che abbiamo sem- tarsi bugie tra di loro. La canzone una rivale. Nel mio film ho volu- pre bisogno di una terza persona di Françoise Hardy ci indica questo to ribaltare questa concezione e per vivere alcune pulsioni, poco sentimento: è una canzone d’amo- piuttosto parlare di un sacrificio importa che rivesta il ruolo di an- re ma anche amara, malinconica. compiuto nel nome dell’amici- tagonista rispetto a noi.

Nelle sue parole continua a riecheggiare la parola «di- verse» a contraddistingue- re Marina e Bella. Ho scelto che fossero isolate, non hanno altro che se stesse e non si conformano a nient’al- tro, si comportano in modo strano. Quando ero più giovane vive- vo l’amicizia con le altre ragazze della mia età come una società segre- ta, qualcosa da cui i maschi sono esclusi. 67

Nel film il personaggio del padre è La città è vuota, la società non vie- cose, eppure scegliamo due stra- profondamente malinconico: un ne mostrata, i giovani vivono come de emotive molto distanti. Il resto uomo a cui ormai sembra totalmen- una vita sospesa... Questa am- del cinema greco resta più realisti- te fuggire la realtà in cui vive. In una bientazione particolare diventa un co: anche se penso che in Grecia battuta dichiara che il ventesimo deserto in cui si aggirano le nuove la situazione stia cominciando a secolo sia sopravvalutato. È una generazioni? cambiare. La crisi forse costringerà concezione che condivide? Ho girato il film in un piccolo cen- i greci a muoversi, creando nuove Assolutamente. Mi identifico com- tro industriale della Grecia, ma urgenze e bisogni. Credo che la pletamente con il padre. Mi sen- penso sia una storia valida anche situazione intellettuale locale, al- tirei molto liberata dalla morte. È se avessi deciso di ambientarla meno negli ultimi trenta anni, sia un architetto e la città che ha con- in una grande città come Atene. piuttosto addormentata, i greci tribuito a edificare è in completo Raccontare la vita di due venten- non sono stati abbastanza pungen- decadimento, cosa che oggi vale ni vuol dire confrontarsi con una ti, svegli, reattivi. Il cinema greco per tutta la Grecia. È un uomo solo. nuova percezione della realtà, è ancora dominato da commedie Credo che provi allo stesso tempo perché non abitiamo più in luoghi molto datate, costose, remake di vergogna – una vergogna che riten- concreti. Sempre più gente vive la vecchi successi: sembra strano ma go sentano tutti i genitori, riguardo propria vita e le relazioni con gli restano sempre gli stessi titoli a a non aver insegnato o lasciato ai altri in maniera virtuale, attraverso incassare. Del resto il fatto di vive- figli ciò di cui hanno veramente bi- i social network. Lo vedo partico- re lontano dalla Grecia fa si che la sogno per andare avanti – e una larmente nelle persone più giova- rabbia nei confronti del mio paese liberazione nei confronti di Ma- ni di me (anche all’università, in sia contenuta, anche se pure a sta- rina. Finalmente si è staccata Texas dove insegno), la generazio- re in America cresce la rabbia... da lui e vive il sesso attraver- ne dei venti-trentenni: per loro è so la parola, è diventata la tutto virtuale, hanno un’esistenza La città deserta che ingloba i per- narratrice del suo stesso virtuale, desideri virtuali, una ses- sonaggi restituendone i sentimen- documentario… sualità virtuale, hanno avatar che ti, il gusto picaresco in un’avven- li rappresentano, assumono pose tura contemporanea, la distanza e idee al loro posto. Quindi la cit- tra azione e interpretazione sono tà in cui vivono è vuota perché la segno anche delle sue passioni da collettività che dovrebbe esserci cinefila? in realtà è assente. Le persone Guardo molto cinema, sin da quan- stanno dietro finestre chiuse e si do ero molto giovane. Da bambi- sentono solo echi deboli delle na impazzivo per Mary Poppins. loro voci. Amo Godard. Tutto Godard. C’era un senso di enorme libertà nella È difficile che i film greci arrivino Nouvelle Vague del quale sono ai concorsi internazionali dei più molto gelosa. Non c’era un modo importanti festival. Lei è orga- giusto o sbagliato di fare le cose. nizzatrice culturale, insegnante, Non dico di voler imitare i film di produttrice e vive negli Stati quel periodo, ma mi piace lavorare Uniti, che relazione sente di non avendo idee preconcette, la- avere con il cinema prodotto sciando che sia il processo stesso in Grecia? a guidarmi, cerco di approcciarmi Con Giorgos Lanthimos lavo- al cinema nella loro stessa manie- riamo e viviamo insieme, an- ra. Se posizionare la macchina da che se non siamo una cop- presa ha a che fare con la tecnica, pia. Ho prodotto il suo pri- il processo di realizzazione del film mo film, Kinetta, nel 2005 deve restare libero. Quando arrivo e ho continuato a lavorare alle riprese tutto è molto studiato, con lui, sviluppiamo lo preciso, ma il vero film nasce pri- stesso tipo di linguaggio, ma. anche se i suoi film sono molto diversi dai miei: A cura di Daniela Persico ci interessano le stesse e Alessandro Stellino 68 firenze DALLA CELLULOIDE

ALLA PENNA USB. Conversazione con Chris Petit, Firenze 2010

resentato in concorso lo stesso Petit, il film inizialmen- lungo il Westway Interchange. nell’ambito della 51esima te doveva essere un documenta- Content in questo si è andato mo- P edizione del Festival dei rio estremamente convenzionale dificando non solo nel corso delle Popoli, Content di Chris Petit si incentrato sul tentativo di com- riprese ma soprattutto durante il è rivelato uno dei titoli più com- prendere le ragioni dietro il crollo faticoso processo del montaggio, plessi e affascinanti della compe- finanziario del 2008. Una volta segno evidente delle molteplici tizione. A trent’anni di distanza calatosi nell’impresa, Petit si è diramazioni che il film affrontava da Radio On il regista britannico si reso conto di essere più interes- contemporaneamente come inse- è rimesso in viaggio per tentare di sato ad attraversare il complesso guendo le numerose suggestioni tracciare una mappa del paesag- delle mutazioni urbane, tecnolo- di un panorama in mutamento co- gio contemporaneo in costante giche e mentali che si offrivano stante. mutazione. Come ci ha raccontato al suo sguardo mentre guidava g.a.n.

Content è un road movie molto par- to è cambiato. Se i fratelli Lumière molto sulla tecnologia dell’epoca, ticolare che ha perso quasi del tutto avessero osservato il processo di ossia riprodurre della musica in i tratti caratteristici del genere. lavorazione di Radio On, lo avreb- macchina, allo stesso modo Con- Trent’anni fa ho realizzato un road bero compreso. Avrebbero rico- tent, che abbiamo realizzato nel movie intitolato Radio On, la sto- nosciuto cosa stavamo facendo. 2009, è un film incentrato sulla ria di un dj che intraprendeva un Se invece ci avessero visti filmare tecnologia disponibile oggi... È viaggio per indagare sulla morte Content e soprattutto se ci avesse- una specie di viaggio dalla cellu- del fratello. All’epoca si girava in ro visto montarlo, non avrebbero loide alla penna usb. pellicola e si montava in moviola. avuto alcuna idea di ciò che stava- Era un processo molto lineare. Il mo facendo. Durante la lavorazio- Nel film è presente una riflessione viaggio fisicamente andava da A ne di Content mi sono reso conto molto articolata sulla mortalità. a B. Lungo la strada incontravi una che ci stavamo spostando dal line- È vero, anche se non sono partito persona. Ci parlavi. C’era un po’ di are al non lineare. Dal reale al vir- con l’intenzione di farlo diventare musica e andavi avanti. Con Con- tuale. In questo modo finisci per il tema principale del film. In realtà tent sono tornato alla forma del raccontare una storia completa- il mio obiettivo iniziale era quello road movie e mi chiedevo quanto mente diversa. Così, proprio come di spiegare, con gli strumenti tipici fosse cambiata. E la risposta è: tut- nel 1979 Radio On era incentrato del documentario, il crollo finan- 69

ziario del 2008. La mia idea inizia- gliava molto a me stesso quando io capsula temporale anche perché le era di realizzare un film con mol- avevo la sua età. In questo modo l’automobile non rappresenta più te interviste dove chiedevo alla mio figlio ha finito per assumere l’idea di libertà come accadeva gente le loro opinioni tentando di il ruolo di questa specie di giudice trenta o quaranta o addirittura ses- capire cosa fosse accaduto. Perché, silenzioso che mi sta seduto sul- santa anni fa. La macchina adesso tornando ancora una volta a Radio le spalle e mi osserva da dietro. è una specie di cellula viaggiante On, il 2008 rappresenta davve- Il tema della mortalità è scaturito che isola da tutto il resto. ro la fine di un arco economico di in un secondo momento proprio a trent’anni. partire dal materiale con il quale Archeologia, ma anche topografia stavamo lavorando. Come sempre dell’immaginario collettivo. Si riferisce ovviamente all’ascesi del accade d’altronde. Però è vero: alla L’altra cosa che m’interessava, «thatcherismo» avvenuta all’inizio fine il film è diventato una rifles- anche questa in senso archeolo- degli anni ottanta. sione sulla mortalità. gico, è che la storia è sì una linea Nel 1979, subito dopo aver termi- temporale, ma anche una serie nato Radio On, abbiamo avuto Mar- Radio On è un film che ha tracciato di stanze. Si può davvero entrare garet Thatcher, e quella cosa lì è un prima e un dopo nel cinema in- da una stanza e uscire da un’altra durata, in termini economici, alme- glese degli ultimi trent’anni. Come in senso storico. Adesso che sono no sino al 2008. La mia idea quin- ha immaginato il ricollegarsi a più anziano mi capita di pensare di era di fare un film documentario quell’esperienza? che il passato, il passato prossimo piuttosto convenzionale. Avevo in Ho iniziato a lavorare al film gui- («middle past») e il passato remo- mente di guidare un po’... Ma poi le dando su e giù lungo il ponte che to («distant past») sono molto più ristrettezze del budget hanno fatto è situato nel West End di Londra, il vicini del passato più immediato. sì che abbia dovuto guidare molto Westway Interchange. Credo che Ti capita di vivere molto più fre- di più. Per esempio, il girato ame- JG Ballard l’abbia definito il «so- quentemente con elementi del ricano originariamente non faceva gno di pietra». («the stone dre- tuo passato che del tuo presente. parte del film, si tratta di un film am»). Mentre guidavo mi sono reso Quindi ho fatto uno sforzo sia per domestico realizzato in vacanza. conto che non volevo fare più un far collassare il tempo ma anche Stavo con mia moglie, Emma Mat- film incentrato su una spiegazione per espanderlo. Credo che sia il thews, che è anche la montatrice documentaria e ho pensato che sa- massimo della coerenza che possa di Content, e c’era anche mio figlio rebbe stato molto più interessante ottenere da me stesso nel tentare che stava seduto sul sedile poste- se il film fosse diventato archeolo- di spiegare il processo del film. riore e mia moglie lo filmava per gico: come scavare nel presente, tenerlo tranquillo. A quel materia- ma da un punto di vista che è posi- Content presenta una struttura for- le girato durante le vacanze non zionato lontano, nel futuro. Così, in male molto interessante. Al tempo abbiamo più dato uno sguardo se qualche modo, mi sono immagina- stesso orizzontale e verticale, come non durante il processo di montag- to come un viaggiatore del tempo. una sonda proiettata nel tessuto gio di Content. È stata mia moglie a In questo senso la macchina è fini- dell’immaginario collettivo e del farmi notare che mio figlio assomi- ta per assurgere alle dimensioni di presente. 70

Credo che alla fine il film assomigli siamo a prendere le decisioni giu- sero avere tutte queste sensibilità in qualche modo a un disegno di ste in maniera estremamente ra- differenti in uno stesso film. Così Escher, con le scale che non con- pida. Ma solo grazie a questo pro- per un certo periodo di tempo mi ducono alle porte, la cantina che cesso di costante rimontaggio. A sono fermato perché mi sono reso non sta in basso ma in cima e così un certo punto ci siamo persi nel- che non avrei ottenuto denaro via. Eppure credo che se qualcuno le innumerevoli versioni del film necessario per realizzare i miei ci guardasse dentro, potrebbe co- montato. Versione 50. Versione film e d’altro canto non avevo munque dire: sì, era proprio così... 60. Versione 75. E una volta che alcun desiderio di reinventarmi Meglio, non era «proprio» così, stavamo alla versione 75 ci chie- come un cinema sperimentale eppure era «proprio così». Mentre devamo: "Ma cos’è che stava nella o d’avanguardia. Comunque ho lavoravamo al film non avevamo versione 50?". Si trattava sempre sempre pensato che ci fosse sta- nessun punto di riferimento. Non di capire cosa lasciare fuori. Come ta una specie di frattura nella mia riuscivamo a capire esattamen- ridurre. È stato un lavoro molto carriera, considerato che avevo te cos’è che stavamo facendo. Di più duro di quanto avrebbe dovu- iniziato come scrittore a lavorare norma hai sempre qualche vago to essere. con le parole e poi ho continuato punto di riferimento che ti per- a lavorare con le immagini. In un mette di capire in che direzione Alla luce di Content, come consi- certo senso non ho mai capito se vuoi andare o stai andando. In dera la sua posizione nel cinema dovevo continuare a scrivere o questo film invece eravamo com- inglese contemporaneo? proseguire il mio lavoro cinema- pletamente ciechi. È stato davve- Il problema che mi sono sempre tografico. Intorno al 1985 ho deci- ro un grande sforzo. Per ottenere trovato ad affrontare come cine- so che preferivo i libri. È più facile il film com’è ora abbiamo iniziato asta è che mi sono sempre inte- scrivere un libro. Così per un pe- un po’ come una corsa dei caval- ressato al punto in cui il cinema riodo ho scritto e poi sono tornato li. In una gara ippica allinei dodici commerciale passa nel cinema a lavorare per la televisione, a rea- cavalli ma alla fine contano solo d’avanguardia. Il mio problema è lizzare documentari. credo si trat- i tre che tagliano il traguardo. che non sono mai stato abbastan- ti di una decisione influenzata dal In questo film avevamo davve- za commerciale, né potevo consi- dovere continuare a guadagnare. ro troppo materiale. Continuavo derare il mio cinema di avanguar- Così non ho smesso di fare film a dire a Emma: "Guarda che alla dia. Così non sono mai diventato per ragioni intellettuali o teoreti- fine non avremo bisogno di tutto né l’uno né l’altro. Non mi sono che: si trattava sempre di evitare questo materiale, anche se al mo- mai trovato nella posizione di Pe- di andare a lavorare in un ufficio. mento non so ancora dirti di cosa ter Greenaway, dove la gente sa D’altronde oggi la situazione del ho bisogno esattamente". Siamo esattamente cosa aspettarsi dal cinema è molto cambiata. Da andati avanti così per settimane, tuo lavoro. Il mio tipo di cinema un lato non esiste più il cinema non riuscivo a capire a cosa pote- era molto più contaminato. Non dei Godard o dei Fassbinder, ma vo rinunciare. Ricordo che lei a un riuscivo a capire perché un film dall’altra, per la prima volta nella certo punto mi disse: "Beh, nor- di serie B, un cartone animato, un storia del cinema, c’è la possibili- malmente a questo punto la cosa film d’arte dovessero essere se- tà di realizzare dei film a un costo da fare è evitare di schiantarci". parati con tanta precisione. In un relativamente molto basso. Sembrava davvero che stessimo certo senso sono la stessa cosa e precipitando. Alla fine credo che non capivo perché non si potes- a cura di Giona A. Nazzaro Come ROTTERDAM 71 pesci all’amo Conversazione con Sanjeewa Pushpakumara, Rotterdam 2011

opo Vimukthi Jayasundara la terza ha come protagonista un’a- ma scena, nella quale un pullman un altro regista provenien- dolescente tamil e il padre di que- viene fermato ad un posto blocco D te dal piccolo stato dello sta. Rapporti tra generazioni, tra fi- in piena campagna e i passeggeri Sri Lanka sorprende con una storia gli e genitori, ma anche tra soldati e fatti scendere, compiere pochi pas- forte che bene combina l’impatto cittadini; rapporti che spesso inne- si a piedi e risalire sullo stesso. La emotivo ad un più ampio discorso scano desideri e reazioni violente. visione di Sanjeewa Pushpakumara sulla situazione di questo paese Come si intuisce il disegno di fondo contempla un mondo in cui gli op- dilaniato da anni di guerra civile. ha tinte tragiche (culminante in un posti convivono; così la situazione Flying Fish si innesta in una tradi- finale grand-guignol) e coinvolge di assoluta tragicità fa tutt’uno con zione di cinema politico che evita un’intera comunità, quella di un un paesaggio dalla bellezza strug- ogni discorso ideologico per foca- piccolo villaggio situato nella parte gente. Questo è spesso adoperato lizzarsi sulla condizione delle per- est dell’isola. Sanjeewa Pushpaku- come un set naturale, attraversato sone comuni. Il racconto segue tre mara interseca i racconti, favoren- dallo sguardo della macchina da storie parallele in cui è questione do le analogie tra situazioni poste presa che va oltre l’immagine da di sofferenza, di speranze tradite da una parte e dall’altra dell’im- cartolina di un paese che ogni anno e di vendetta. Nella prima una gio- maginario confine che dovrebbe attira decine di migliaia di turisti. vane ragazza affida la sua verginità separare le due fazioni. È proprio Ma quel mondo illustrato appare e il suo amore ad un soldato che la dal trattamento dello spazio che lontano anni luce dalla realtà di so- abbandonerà; la seconda riguarda viene fuori l’assurdità di una guer- prusi, sofferenze e violente ribel- il contrastato rapporto tra una ma- ra che si gioca più sulla pelle dei lioni descritta in Flying Fish. dre sola, in condizione di estrema cittadini che tra soldati. Questo è indigenza, e il suo figlio maggiore; quanto si percepisce fin dalla pri- c.c. 72

Mi piacerebbe focalizzarmi su al- diversa mentalità – cercano in verno e i resistenti. Il film parla cuni aspetti che il suo film mette tutti i modi di combattere queste di soldati, ma non di guerra tra di in rilievo. Tra questi uno dei più in- forze. È quanto accade nel film loro; parla di soprusi condotti sui teressanti riguarda il rapporto fra alla giovane ragazza che alla fine civili, di uccisioni, ma non descrive le generazioni. Mi sembra infatti riesce a mettere in atto la sua mai un confine a partire dal qua- che la sua visione mostri i più gio- personale vendetta. le dividere le due fazioni. Questa vani come i meno inclini a subire scelta impedisce ogni giudizio di passivamente la violenza insita Questo percorso è il frutto di tipo politico. nello stato del suo paese. un'osservazione della società o È proprio così. E questa posizione Nel film ho voluto mostrare la una sua speranza? rispecchia il fatto che io stesso perdita di dignità subita da nor- Il film descrive il mio personale non ho alcuna simpatia né per mali cittadini quando sono con- punto di vista. Il punto di vista l'uno né per l'altro gruppo. Voglio frontati con forze più grandi di uno che ha vissuto fatti simili dire, come ragazzo sono stato vit- di loro. Queste non esitano ad a quelli descritti, che è cresciuto tima di soprusi compiuti ora dagli abusare del loro potere per sog- nelle stesse regioni dove il film ora dagli altri. Diverse volte mi è giogare le persone e spingerle a è girato, che ha visto la forza di toccato vedere mio padre essere compiere atti degradanti. In que- queste potenze in azione. In un picchiato. La mia famiglia è stata sto senso, giovani e meno giova- certo senso posso dire che tutto costretta ad abbandonare le pro- ni sono accomunati in uno stesso il film è il frutto di un'esperienza prie terre a causa di questa guer- destino di sofferenza e degrado diretta. ra che ambo le fazioni dicono di di se stessi. Lo scarto tra genera- combattere in nome del popolo zioni avviene un passo dopo, nel Flying Fish riguarda il discorso quando invece conducono per senso che mentre i genitori non politico ma non è un film politico. interessi privati, se non perso- hanno altra opzione che accetta- Questo perché la storia coinvolge nali. Avendo deciso di voler fare re passivamente il loro destino, i entrambe le parti impegnate nel questo film per parlare a nome più giovani – forse grazie ad una conflitto, le forze armate del go- delle persone ordinarie, è stato 73

per me evidente che avrei evitato mosso molto: addirittura posso zi anche in senso simbolico, la del tutto ogni questione «politi- dire che la maggior parte delle foresta, il mare… Che relazione ca». Al popolo non interessano le location si trova nei pressi della hanno questi elementi con la sua ideologie e i discorsi compiuti da mia casa. L’edificio in rovina era, cultura? un gruppo o dall'altro, ciò che im- ad esempio, il mio luogo preferi- La cultura e la società cingalese porta è che la vita possa avere il to di giochi quando ero piccolo. sono molto legate alla natura. suo corso naturale. Per me la de- Rappresentare queste persone solazione di questa scena è stata Quello è uno spazio che lei usa senza far riferimento al rappor- chiara quando ho lasciato il mio come se fosse un set a cielo aperto. to che le stesse hanno con gli villaggio per proseguire gli studi Sì, è così. In effetti conoscen- elementi naturali era per me a Colombo. Lì, vedendo le cose do molto bene i luoghi è stato impossibile. Il mare, la foresta da una certa distanza e potendo facile per me scrivere la sce- hanno dunque una presenza godere di un tipo di vita diversa, neggiatura e anche immaginare così forte perché simbolizzano mi è sembrata ancora più doloro- certe soluzioni visive. Anche se elementi chiave per capire la sa la situazione vissuta dai miei debbo dire che lo script è pas- cultura cingalese. concittadini. sato attraverso sette diverse versioni prima di vedere la luce. In questo senso i pesci hanno un Tutto il film è stato girato nei pres- Non sono stati però i luoghi a ruolo particolare. Sono cucinati, si del suo villaggio? variare quanto alcune scene. Il gettati per terra… Può sembrare strano, vista la va- mio obiettivo era comprendere Ogni volta che vedo un pesce, rietà di luoghi, ma è così. Il mio e restituire nel modo migliore le istintivamente provo della pena. villaggio si trova nella parte est anime sofferenti dei personag- I pesci sono come noi, in un certo del paese in una regione chiama- gi. Dunque di volta in volta si senso. Sono creature molto stupi- ta Trinkomali. Lì la natura è molto trattava di trovare la soluzione de: pensano che il cibo piova dal varia e le possibilità di riprese più efficace per rappresentarli. cielo e arrivi a loro come un regalo, sono tante. Ma io non è che mi sia Il film utilizza determinati spa- quando invece nasconde la loro 74

fine. Non diversamente si com- storia, anche se non ne condivido suo dolore e sul suo stato d’ani- portano gli uomini del villaggio: l’ideologia che vi soggiace. Essa mo. E ovviamente l’uso che faccio quando i soldati arrivano, loro infatti descrive un punto di vista della storia è tragico e ironico al pensano: “Ah, questi sono i miei prettamente maschile, ma è così contempo. salvatori!” E subito si affidano poetica e bella che mi affascina a loro senza preoccuparsi delle ogni volta. La storia di Siddhar- A colpire – e forse ad indicare già conseguenze. tha e Yasodhara è molto presente una possibile pista di lettura – è nella poesia cingalese ed è entra- che quest’amore idealizzato arri- Nel film c’è anche un coniglio con le ta nella mentalità del mio paese va subito dopo una scena di sesso, zampe legate… come la più idealizzata storia d’a- filmata da una certa distanza ma Il coniglio è un’immagine dell’in- more mai esistita. Tutti pensano comunque esplicita. Il luogo in cui nocenza… Nel film preferisco non che sia il modello a cui adeguarsi. tale scena si svolge è davvero par- spiegare a parole il significato di Anche per le donne, Yasodhara, ticolare con l’erba che cresce all’in- queste presenze. Penso sia meglio con la sua sottomissione al vo- terno dell’edificio abbandonato. lasciare agli spettatori il compito lere di Siddhartha, è considerata Si tratta di un vecchio deposito di cogliere e sviluppare queste im- un modello di fedeltà. Yasodhara che si trova proprio dietro casa magini: le parole non avrebbero la dà tutto ciò che le appartiene a mia. La cosa particolare è che è di stessa forza. Siddhartha, il quale una volta di- proprietà del governo ed è stato ventato Buddha non la considera depredato proprio dalle truppe All’inizio del film si allude alla vi- più. La mia rilettura riguarda non governative che ne hanno preso cenda di Siddhartha; alla fine del tanto il punto di vista di Buddha arredi e pezzi di tetto per farsi le racconto i ruoli del racconto sono ma quello di Yasodhara, colei che loro case. Nonostante tutti dica- capovolti, perché sarà la donna a la Storia ha dimenticato. Il mio no siano stati i resistenti, io ho lasciare l’uomo. racconto si concentra dunque li visti con i miei occhi saccheg- Ho sempre amato molto questa sulla figura dell’abbandonata, sul giare diversi edifici; così come 75

poi ho visto diverse coppie avere L’ultima scena di sesso tra il sol- non ho alcuna fiducia nel mon- rapporti sessuali tra quelle mura dato e la ragazza segue invece do e nella prospettiva di vita abbandonate. una prospettiva opposta. Qui lo offerta. E dunque ogni pensiero spettatore non occupa una posi- di trasmissione o di paternità è Il sesso è un elemento importan- zione dominante, non sa cosa sta per me difficile. Ho inserito que- te nel film ed è anche abbastanza accadendo e infatti lo sviluppo sta immagine come una sorta di originale nel contesto del cinema della scena e la sua violenza lo prologo al racconto. Quasi una cingalese (almeno di quello che sorprende. forma di ammonimento. arriva in Occidente). È proprio così. In questo caso è il In quanto filmmaker non volevo mio punto di vista, in quanto re- Questo è anche il percorso de- rappresentare il sesso solo per gista, ad emergere. scritto dal film che sprofonda il gusto di farlo o per scioccare nella sua ultima parte in una tra- il pubblico. Per me era impor- L’inizio del film è molto miste- gedia da cui sembra non esserci tante trovare il modo giusto per rioso. Dopo le prime inquadra- via d’uscita. Al riguardo come in- rappresentarlo. Ora non so dire ture dedicate ad un bellissimo terpreta l’immagine finale della se è il modo in cui l’ho descritto tramonto, c’è un movimento di ragazza che guarda dal pullman è nuovo, io ho riprodotto un’im- macchina che inquadra una serie il paese che sta lasciando? magine che avevo in mente e che di donne incinta in coda. È un rac- Non posso parlare a nome del ricalca quanto mi è capitato di cordo particolare anche perché pubblico, ma io vedo il pullman vedere proprio in quel luogo. È questa idea della maternità non dove è seduta la ragazza; è senza una prospettiva voyeuristica nel sarà ripresa. guidatore. Allora mi domando: senso che abbiamo cognizione di La presenza delle donne allude prendere un mezzo senza guida cosa sta accadendo molto più di ai bambini in arrivo e al mondo dove può condurre? quanto non abbiano i protagoni- che incontreranno. Nonostante sti della scena stessa. mi piacciano molto i bambini, A cura di Carlo Chatrian 76 ROTTERDAM Uno sguardo intriso di umanesimo Conversazione con Park Jung-bum, Rotterdam 2011

uando il cinema affronta la comune vulgata come «diserto- mente il cucciolo abbandonato tematiche di rilevanza so- ri nordcoreani» (terminologia che che un giorno Seung-chul porta Q ciale e s’ispira alla realtà viene adottata sistematicamente a casa e, allorché i suoi traffici lo per imbastire racconti di finzione anche in The Journals of Musan). trascinano in ingenti guai, rischia e creare consapevolezza nel pub- In linea con il titolo, il film di Park di compromettere la sicurezza blico, il rischio del predicatorio, Jung-bum adotta uno stile crona- dello stesso Seung-chul... da un lato, e del sensazionalismo, chistico che evita le sottolineatu- Onde ovviare ad un possibile sur- dall’altro, sono sovente dietro re forzate e schiva gli eccessi del plus drammatico, la vera penna l’angolo. Quando poi questi ele- potenziale melodrammatico insi- di cui Park si serve per redigere menti si combinano all’esperienza to nella vicenda narrata. i diari del suo protagonista è la autobiografica o biografica, la dif- Il protagonista del film, Jeon sua macchina da presa. Nei pia- ficoltà di mantenere una «giusta Seung-chul (interpretato con ni sequenza di Park si ritrova, distanza» si fa prominente, inne- sommessa intensità dallo stesso infatti, la secchezza e il rigore di scando problematiche di conte- Park), è un rifugiato che stenta a un cinema che flirta con il (buon) nuto e di stile spinosissime. trovare un posto nel nuovo tessu- documentario. Le sequenze si Con il suo lungometraggio d’esor- to sociale in cui s’è inserito e che sviluppano nel tempo, lasciando dio The Journals of Musan (Musan deve far fronte a dilemmi di diffi- che l’azione si produca in manie- ilgi, 2010), il regista coreano del cile soluzione: giacché in ragione ra di sembiante naturalistico; le sud Park Jung-bum ha superato le della sua condizione di rifugiato inquadrature spesso tallonano il trappole che queste premesse se- fatica a trovare un lavoro legale, protagonista da vicino, pedinan- minano copiosamente. Per il suo si barcamena come attacchino dei dolo senza essere mai invasivo - e premiatissimo film (vincitore del manifesti di un locale equivoco, in ciò, le sequenze in movimento New Currents Award a Busan e del suscitando le violente ire di at- del film ispirano accostamenti Tiger Award di Rotterdam, nonché tacchini concorrenti; s’innamora con il cinema dei fratelli Darden- laureato dei consessi Fipresci ad di una giovane donna che canta ne. Se di sottolineature si può ambo i festival) quest’ex-assi- nel coro della chiesa che frequen- parlare nell’esordio di Park, sono stente alla regia del maestro co- ta, la segue e si fa impiegare nel proprio quelle inscritte in un mi- reano Lee Chang-dong ha preso karaoke dove quest’ultima lavora surato e maturo uso della gram- spunto dai dolori, dalle fatiche e la notte, ma teme di rivelarle tan- matica e della sintassi filmica (e patimenti che i rifugiati nordco- to i suoi sentimenti, quanto la sua conseguentemente, è del tutto reani sperimentano allorché cer- provenienza; il rifugiato assegna- ovvia la scelta di non utilizzare un cano la difficile integrazione nella togli come compagno d’apparta- commento musicale extradiege- società sudcoreana. mento, l’arrogante Kyoung-chul, tico). Uno sguardo di cinema che Non si tratta di un tema del tutto che gestisce loscamente il flusso è intriso di umanismo e di con- nuovo o mai frequentato nel cine- del denaro che i compatrioti cer- sapevolezza morale e che rende ma locale: documentari e fiction cano d’inviare ai familiari rimasti The Journals of Musan tanto più si sono già in passato interessati in patria, si propone come unico appassionante ed emozionante delle condizioni di vita di quel- amico di Seung-chul, tentando quanto più sincero e rispettoso li che, in modo assai discutibile, di proteggerlo e di aiutarne l’in- verso il suo protagonista. vengono solitamente definiti nel- tegrazione, ma rifiuta sdegnosa- p.b. The Journals of Musan è un film che nelle riprese di Poetry e Lee mi ha cronaca di una giornata nella vita ispira ammirazione per la compiu- sostenuto molto concretamente, di un rifugiato nordcoreano cui, ta maturità della scrittura e della raccomandando il mio film ai festi- come all’inizio di The Journals of messa in scena. Raramente un de- val e convincendo la compagnia di Musan, viene rifiutato un posto di butto mostra una così piena padro- vendite che si occupa dei suoi film, lavoro allorché viene identificato nanza stilistica. Ci puoi dire come la FineCut, a rappresentare anche come tale. Il corto si chiudeva con hai appreso la pratica del cinema e il mio debutto. l’immagine di Jeon Seung-chul sviluppato questa maturità? che si coricava in un armadio ab- Il cinema non è stato il mio primo Il film è dedicato alla memoria di bandonato; un’altra immagine che interesse. Dapprima, avevo inizia- una persona che ha lo stesso nome ho riutilizzato nel lungometraggio. to degli studi di educazione fisica del protagonista, Jeon Seung-chul. per diventare insegnante. Dopo Si tratta per caso di un rifugiato Come mai hai deciso di inter- aver completato i due anni del- alla cui storia ti sei ispirato per la pretare tu stesso il ruolo di Jeon la leva obbligatoria sono tornato sceneggiatura di The Journals of Seung-chul? all’università e ho avuto l’occasio- Musan? Si è trattato di una scelta quasi ob- ne di vedere un film giapponese Jeon Seung-chul era un amico che bligata. Il personaggio è ispirato al che mi ha cambiato la vita: Hana- ho conosciuto all’epoca dell’u- vero Jeon Seung-chul, non solo in bi di Takeshi Kitano. Quel film mi niversità. Si trattava di un vero termini di vicende vissute, ma an- ha profondamente ispirato e mi ha rifugiato nordcoreano ed è stata che per quel che concerne il modo spinto a voler fare cinema. Ho de- la sua conoscenza ad introdurmi di essere, di muoversi, di reagire. ciso d’iscrivermi a dei laboratori di ai problemi che i rifugiati devono Nessun attore poteva conoscere i cinema e ho realizzato alcuni cor- affrontare, giorno dopo giorno, modi del mio amico come me. Mi tometraggi. Ho visto molti film in per integrarsi nella società sudco- sarebbe sembrato tutto falso se questo periodo e tratto ispirazione reana. Quando Seung-chul se ne qualcun altro l’avesse interpreta- dall’opera di cineasti come i fra- è andato mi sono profondamente to. Poiché volevo che il film fosse telli Dardenne, Nuri Bilge Ceylan rattristato e mi sono ripromesso un omaggio sincero al vero Jeon e Hou Hsiao-hsien. Uno dei miei di dedicare un film alla sua storia, Seung-chul non ho potuto tirarmi lavori poi è stato premiato al Fe- per dare voce alle ordinarie e quo- indietro. E poi, siccome nel film stival di Busan. Ho quindi lavorato tidiane sofferenze delle persone Seung-chul viene in un paio d’oc- come assistente regista, in parti- come lui, spesso sfruttate e sem- casioni pestato violentemente, ho colare con Lee Chang-dong. Sono pre ignorate nella nostra società. Il deciso di sobbarcarmi il ruolo an- stato assistente di Lee per tre anni, mio corto presentato a Busan, 125 che affinché queste scene fossero in particolare, per il suo film più Jeon Seung-chul (2008) era ispira- le più realistiche possibili. recente, Poetry. Lee è stato dav- to a questo mio amico. 125 sono Molti hanno rilevato come il film vero importante nell’approccio al i numeri con cui iniziano le carte assuma quasi una dimensione di cinema, ma anche il mio mento- d’identità dei rifugiati coreani. denuncia rispetto alle storture del- re: ho realizzato The Journals of Sono cifre che li marchiano, ren- la società sudcoreana, attraverso il Musan proprio durante le pause dendoli riconoscibili; il corto è la prisma dell’esperienza di un rifu- giato. Era nelle tue intenzioni pro- dagni e per la cui sorte temono non solo nei confronti del mio porre un commento sulla società trepidamente. personaggio e del vero Seung- capitalista del sud? chul, ma di tutti i rifugiati, le sto- Il mio vero intento era di raccon- La messa in scena del film sorpren- rie dei quali volevo racchiudere tare la vita dei rifugiati nordcore- de per una qualità quasi documen- in questa parabola. La sequenza ani. La gente sente spesso parlare taria. La distanza d’osservazione è cui ti riferisci è fondamentale: in di «disertori» alla televisione, ne sempre molto calibrata. Ma una se- quel momento Seung-chul si met- legge sui giornali e in libri, ma po- quenza mi è parsa particolarmente te a nudo e confessa un crimine chi li conoscono, li incontrano e si dirompente, quella della confessio- terribile. Non lo vediamo in volto confrontano con loro davvero. Vo- ne di Seung-chul, dove ascoltiamo perché volevo che lo spettatore levo mostrare l’esistenza di que- il suo racconto mentre egli è inqua- s’interrogasse davvero sulla sua ste persone che sono scappate drato da vicino, di spalle, senza mo- storia: quanto vicini possiamo es- dalla Corea del nord rischiando la strare l’espressione sul suo volto sere ad una persona che confessa vita, per venire al sud cercando la nel momento di questo svelamento d’aver commesso un omicidio? Il felicità e finendo a condurre vite dolorosissimo. movimento della camera che len- marginali, poverissime e sfrutta- La scelta delle inquadrature nel tamente si avvicina a Seung-chul te, lontani dalle famiglie cui cer- film è sempre molto curata e con- propone questo quesito in manie- cano d’inviare i propri miseri gua- dotta da un principio di rispetto ra metaforica. Ovviamente non do 79

una risposta; voglio che ogni spettatore s’interroghi sul per- sonaggio e sulla sua possibilità di relazionarsi con questi.

La recitazione di tutto il cast del film è indubbiamente lodevole. Ma un vero asso nella manica è il sorprendente cane Baek-doo. Un cucciolo mesto e abbandona- to che significativamente non sco- dinzola e abbaia quasi mai... La storia di Baek-doo è molto in- teressante. L’ho trovato in una strada a Seoul, dove da un lato si possono trovare negozi d’a- nimale, dall’altro i macelli ca- nini che riforniscono i risto- ranti che servono carne di cane. Baek-doo era uno dei cani destinati a finire in un piatto di stufato. Nel film lo vediamo così com’è e abbiamo utilizzato le sue reazioni naturali. La scena in cui si pian- ta sulla strada quando Kyoung-chul cerca di liberarsene è la sua reazione spontanea alla scena precedente, girata nel negozio d’ani- mali. In quella scena, Baek- doo ha visto degli altri cani in gabbia, li ha sentiti abbaiare e mugolare; questo gli ha certamente ricordato la sua esperienza al macel- lo. E Baek-doo ricorda- va che i cani che poi venivano portati fuori al guinzaglio sarebbero stati quelli che veni- vano macellati. Quando è stato con- dotto fuori dal negozio ha reagito esattamente come avrebbe reagito se fosse toccato a lui... Ovvia- mente, questo cane meticcio e silenzioso è la perfetta con- troparte metaforica del perso- naggio di Seung-chul e di tutti i rifugiati nordcoreani.

A cura di Paolo Bertolin