Rassegna del 03/07/2017

FABI 03/07/2017 Centro - Chieti 8 Gruppo Ubi, 1.300 posti a rischio cessione Iannotti Arianna 1 6.20.00 Lanciano Vasto 03/07/2017 Giorno-Carlino-Nazione 7 Bancari Scudo contro i licenziamenti, contratto dopo i salvataggi Cresci Camilla 2 4.18.00 Economia&Lavoro 30/06/2017 Cittadino di Lodi 8 Per il credito cooperativo 3500 esuberi all'orizzonte Rinaldi Lorenzo 3 7.29.00 01/07/2017 Corriere della Sera 34 «Banche venete, non ci saranno licenziamenti» Querzè Rita 4 3.52.00 02/07/2017 Corriere di Arezzo 4 Ubi-Banca Etruria Esuberi: il 6 luglio via alla trattativa Antonucci Marco 5 8.22.00 01/07/2017 Eco di Bergamo 9 Ubi, diritti esauriti E incontro in forse sul piano industriale F.B. 6 4.56.00 01/07/2017 Giornale 19 Zuppa di Porro - Qualcosa non torna nel salvataggio delle banche Porro Nicola 7 2.03.00 venete - Nel salvataggio delle Venete non tutti i conti tornano 29/06/2017 Italia Oggi 29 In un Funzionigramma la macchina della nuova Equitalia Bartelli Cristina 8 5.20.00 29/06/2017 Messaggero Abruzzo 38 Ubi convoca sindacati, scure su sportelli e personale - Carichieti e D'alessandro Alfredo 9 5.42.00 le altre, la scure di Ubi prevede esuberi e chiusura di filiali 02/07/2017 Messaggero Veneto 15 Parte la trattativa sugli esuberi Si punta a una soluzione soft l.d.o. 10 9.32.00 29/06/2017 Mf 2 Intanto i sindacati incontrano Intesa sul piano di salvataggio Cervini Claudia 11 4.38.00 30/06/2017 MF Sicilia 1 Il deserto degli sportelli Lo Re Carlo 12 5.56.00 29/06/2017 Nazione Prato 3 I sindacati tendono la mano a Intesa «Esuberi? Solo su base ... 13 7.11.00 volontaria» 02/07/2017 Piccolo 16 Le banche venete avviano la trattativa sugli esuberi Dell'Olio Luigi 14 8.59.00 29/06/2017 Sole 24 Ore 12 Intesa, solo uscite volontarie Casadei Cristina 15 1.36.00 SCENARIO BANCHE 03/07/2017 Corriere della Sera 13 Lavorare alla Banca d'Italia? Per 30 posti 85 mila richieste Sideri Massimo 16 4.52.00 03/07/2017 Giornale 9 Il sogno Bankitalia: 85mila in corsa per 30 posti Granzotto Jacopo 17 0.43.00 03/07/2017 Giornale 10 Ecco dove sono finiti i banchieri dei crac - Mal di banca, dove sono Conti Camilla 18 0.58.00 e cosa rischiano i responsabili della grande crisi 03/07/2017 Giornale 10 '***Ecco che fine hanno fatto i super banchieri dei crac - I signori Conti Camilla 19 6.24.00 del crac Mal di banca, dove sono e cosa rischiano i responsabili della grande crisi - Edizione della mattina 03/07/2017 Giorno-Carlino-Nazione 7 Il crepuscolo delle filiali bancarie Migliaia di sportelli da chiudere Cresci Camilla 20 4.16.00 Economia&Lavoro dal Veneto al granducato Mps 03/07/2017 Giorno-Carlino-Nazione 9 Contro corrente - Nessuno si fida più di questa Europa Preatoni Ernesto 21 4.26.00 Economia&Lavoro 03/07/2017 Giorno-Carlino-Nazione 13 Educazione finanziaria - La giungla dei costi sui conti correnti Gozzi Alessia 22 4.37.00 Economia&Lavoro 03/07/2017 Il Fatto Quotidiano 18 Non solo bail-in: la nuova trappola nascosta nella direttiva BRRD Seminerio Mario 23 2.37.00 03/07/2017 L'Economia del 6 Con la Sga 934 milioni guadagnati dal Tesoro Imperiali Emanuele 24 6.18.00 Corriere del Mezzogiorno 03/07/2017 L'Economia del 2 Salvataggi bancari Il conto in tasca a noi contribuenti sarà salato e De Bortoli Ferruccio 25 3.39.00 Corriere della Sera non uguale per tutti - Il conto sarà salato per le venete (Ma lo pagherà chi ha fatto danni?) 03/07/2017 L'Economia del 4 Senza salvataggio uno choc sul debito pubblico Fubini Federico 26 3.27.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 5 L'opinione degli italiani - L'accordo andava fatto ma i dubbi restano Gambarini Francesca 27 3.27.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 5 L'uomo del nordest arriva da Roma Righi Stefano 28 3.27.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 13 La Stanza dei Bottoni - Banche rock Le manager di Wcd in Cinelli Carlo - De Rosa 29 3.59.00 Corriere della Sera Ambasciata Federico 03/07/2017 L'Economia del 35 Offshore - Governi e salvataggi bancari, quella norma non scritta Caizzi Ivo 30 1.02.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 38 Qui Milano piccole e medie alla riscossa. Banche a metà del Barrì Adriano 31 0.53.00 Corriere della Sera guado 03/07/2017 L'Economia del 38 Mifid II, la certificazione una corsia preferenziale Gadda PierEmilio 32 0.53.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 40 Tutto il mondo del Fintech a portata di clic De Rosa Federico 33 0.44.00 Corriere della Sera 03/07/2017 L'Economia del 41 Wall Street rallenta. E riabilita i big bancari Cometto Maria_Teresa 34 0.40.00 Corriere della Sera 03/07/2017 Libero Quotidiano 1 Fuori i nomi dei ladri delle popolari venete De Dominicis Francesco 35 3.09.00 03/07/2017 Messaggero 9 Bankitalia, in 85 mila ma i posti sono 30 - La carica degli 85 mila Di Branco Michele 36 0.47.00 per 30 posti in Bankitalia 03/07/2017 Messaggero 9 Intervista a Rocco Martini - Il candidato «Io, laureato ma escluso M.Di Bra. 37 1.25.00 Volevo solo un lavoro fisso» 03/07/2017 Repubblica 1 Credito e industria, il Nord-Est volta pagina i nuovi signori della Paolini Roberta 38 2.40.00 Affari&Finanza locomotiva italiana - I nuovi signori del Nord-Est 03/07/2017 Repubblica 1 Banche, Intesa Sanpaolo riapre il risiko il sistema aspetta le Bcc, Puledda Vittoria 39 1.57.00 Affari&Finanza Unipol e Parma - Banche, Intesa riapre il risiko ora tocca a Bcc, Parma e Unipol 03/07/2017 Repubblica 4 Intervista a Gianni Mion - Mion: "Vicenza e Montebelluna la guerra Panara Marco 40 2.24.00 Affari&Finanza dei manager alla Bce" 03/07/2017 Repubblica 5 Affari in piazza - Carige Fiorentino tra immobili e aumento Minella Massimo 41 2.04.00 Affari&Finanza 03/07/2017 Repubblica Genova 3 Carige, più soldi e meno mattone per il risanamento Minella Massimo 42 5.27.00 03/07/2017 Sole 24 Ore - Norme e 23 Il Fisco vigila sui vantaggi dei «Pir» Sirocchi Stefano 43 1.27.00 Tributi 03/07/2017 Stampa 18 Bankitalia: in 85 mila per 30 posti Olivo Francesco 44 3.42.00 03/07/2017 Stampa 18 Banche Venete, da giovedì Intesa tratta sugli esuberi ... 45 3.44.00 03/07/2017 Stampa Tuttosoldi 24 Lettera. La posta di Maggi. Come tagliare le tasse sui depositi Maggi Glauco - Luigi F. 46 4.20.00 03/07/2017 Tempo 13 Banca d'Italia, 85 mila per il posto Fil.Cat. 47 1.02.00 WEB 02/07/2017 SATURNONOTIZIE.IT 1 BancaEtruria-UBI - Primo stop alla trattativa ... 48 0.07.00 01/07/2017 AREZZONOTIZIE.IT 1 Ubi, incontro sindacale il 6 luglio potrebbe saltare. Non ammesse ... 49 10.26.00 le delegazioni territoriali - Arezzo Notizie 01/07/2017 ILGIORNALE.IT 1 Nel salvataggio delle Venete non tutti i conti tornano ... 50 0.08.00 28/06/2017 ILSOLE24ORE.COM 1 Intesa Sanpaolo, soltanto uscite volontarie ... 51 10.15.00 01/07/2017 INVESTIREOGGI.IT 1 Lavoro in banca: allarme per i robot anche agli sportelli ... 52 0.08.00 28/06/2017 MILANOFINANZA.IT 1 IL PUNTO SULLE BANCHE - MilanoFinanza.it ... 53 0.07.00 RILEVAZIONI AUDIOVISIVE 01/07/2017 LA7 1 OMNIBUS 08:00 - Temi della puntata: ... 54 11.22.00 - Settore bancario. Approfondimento ded... Centro - Chieti Lanciano Vasto 03-lug-2017

Gruppo Ubi, 1.300 posti a rischio cessione art di Arianna Cannotti , CHIETI Si apre giovedì prossimo a Bergamo la trattativa sindacale sulla ex Carichieti. Esuberi, esternalizzazioni, rischi di mobilità territoriale e professionale, sovrapposizioni e chiusura di filiali: saranno giorni caldi per l'istituto di credito di via Colonnetta, che ha già cambiato insegna in Ubi Banca, nonostante che il nome, seppur temporaneo, dovrebbe essere quello di Banca Teatina. Il rischio principale è quello delle esternalizzazioni, «uno "schiaffo"», dicono i sindacati, «inaccettabile e incomprensibile». «Come è possibile», si chiedono, «fare un'operazione di acquisto di tre aziende e contemporaneamente cedere attività? Sarebbe un controsenso». L'incontro di giovedì a Bergamo riguarda tutto il gruppo Ubi. La trattativa sindacale si prevede lunga. I sindacati stimano che l'accordo potrebbe arrivare nel mese di ottobre. Per ora c'è un dato di partenza che allarma: al 31 dicembre 2016 il gruppo Ubi contava 22.518 dipendenti, tra tre anni, nel 2020, la dirigenza vuole passare a 19.505. Circa 3.000 dipendenti in meno. Che, con ogni probabilità, andranno pescati soprattutto dalle nuove tre banche arrivate nel gruppo: Nuova Banca Marche (la più grande), Nuova Banca Etruria e, appunto, Nuova Carichieti. I tre istituti di credito contano insieme 4.958 dipendenti, di cui circa 490 sono in forza alla ex Carichieti. A tutto questo c'è da aggiungere che «già in sede di accordo per l'acquisizione delle tre banche, a maggio scorso», dice il coordinatore regionale Fisac Cgil, Francesco Trivelli, «si è parlato di 1.800 fuoriuscite. Nonostante il fatto che il piano industriale 2019-2020 preveda anche 878 assunzioni. Ma anche il numero delle assunzioni che la direzione ha annunciato di voler fare sarà materia di trattativa sindacale. L'azienda ha parlato di esuberi ma non di licenziamenti. E ha tirato in ballo anche le esternalizzazioni. Una logica, quella di esternalizzare servizi e lavoratori, che non riusciamo a comprendere e che ci preoccupa molto. Perché con le esternalizzazioni è sempre la solita storia: si sa come si inizia ma non come si finisce». All'incontro di giovedì parteciperanno i rappresentanti sindacali di Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl, Uilca e Unisin. «Il rischio più allarmante», dicono in coro in una nota i sindacalisti, «è quello di cessioni-deconsolidamenti-esternalizzazioni per 1.318 dipendenti: ciò comporterebbe l'uscita dal perimetro societario del gruppo Ubi. Tale rischio è stato messo nero su bianco dall'azienda nell'informativa sindacale. Riteniamo inaccettabile e incomprensibile», sottolineano i sindacati, «una posizione aziendale di questo tipo che rappresenta un vero e proprio "schiaffo" a tutti i dipendenti e che rischia di compromettere le relazioni sindacali nel gruppo». Il piano industriale prevede anche un nuovo assetto distributivo del gruppo, che risulterà suddiviso in sette macro aree territoriali e 48 direzioni territoriali. La riorganizzazione, però, vedrà anche la chiusura di 270 sportelli su tutto il territorio nazionale. Per la ex Carichieti sono 20 le filiali da chiudere. Probabilmente si inizierà da quelle che hanno sede fuori regione, che non sono poi molte. La ex Carichieti ha, infatti, una filiale a Milano, una a Perugia, una a San Benedetto del Tronto e due a Roma. I sindacati, però, non si preoccupano molto delle filiali di Roma e Milano, perché i dipendenti saranno facilmente ricollocabili all'interno del gruppo. Il problema si porrà con forza, invece, quando si passerà agli sportelli che chiudono in Abruzzo. In questo caso insieme alle filiali, secondo i sindacati, potrebbe essere a rischio anche il personale.

FABI 1 Giorno-Carlino-Nazione Economia&Lavoro 03-lug-2017

Bancari Scudo contro i licenziamenti, contratto dopo i salvataggi art MILANO LA CATEGORIA dei bancari italiani è stata finora una delle più fortunate dal punto di vista contrattuale. Non solo per le garanzie previste dal contratto nazionale di lavoro (rinnovato un paio di anni fa dopo un lungo confronto), ma anche per l'articolato sistema di ammortizzatori finanziato interamente dai datori di lavoro, cioè dalle banche stesse. Oggi le maggiori preoccupazioni della categoria sono concentrate sul futuro di questi strumenti, messi a durissima prova dalle ristrutturazioni in corso o future. Finora infatti gli esuberi sono stati gestiti principalmente attraverso prepensionamenti volontari, evitando i licenziamenti collettivi. Non è detto però che lo scudo resista. Non a caso alla fine del 2016 il governo Renzi ha messo a disposizione del fondo di solidarietà di categoria circa 650 milioni di euro: per la prima volta il settore ha beneficiato di contributi pubblici a cui potranno accedere quasi tutti gli istituti in fase di ristrutturazione, a partire da Mps. MA L'AIUTO pubblico non si è fermato qui. L'accordo tra Intesa Sanpaolo e il governo per il salvataggio di Bpvi e Veneto Banca prevede che lo Stato versi alla Ca' de Sass 1,5 miliardi di euro a copertura degli oneri di ristrutturazione. Non a caso i sindacati del credito hanno salutato positivamente il provvedimento, schierandosi compattamente a favore del piano di Intesa: il governo, ha dichiarato ad esempio il segretario generale della Fabi Lando Sileoni, ha «scongiurato i licenziamenti che voleva l'Europa. Consideriamo positivo il decreto perché è riuscito a risolvere un problema che avrebbe avuto pesanti impatti sull'intero settore bancario italiano. Non ci saranno traumi perché nessun lavoratore perderà il posto di lavoro e tutto sarà gestito attraverso uscite volontarie. È chiaro che ora ci aspettiamo una convocazione da parte di Intesa per tutelare al meglio i lavoratori delle due banche venete». LE NUBI DI TEMPESTA sono state insomma allontanate, ma non dissipate del tutto. Non a caso lo stesso Sileoni ha proposto all'Abi un rinnovo anticipato del contratto nazionale per tener conto del mutato scenario di mercato. L'idea sarebbe quella di allargare il perimetro dell'accordo alle Bcc, agli assicurativi e ai promotori finanziari per tenere conto di un modello di banca sempre più elastico. Le resistenze non mancano, ma la necessità di cambiare è più chiara che mai al sindacato: «Serve un contratto che sappia gestire il cambiamento in atto definendo nuove professionalità e nuovi mestieri, in coerenza con un nuovo modello di banca al servizio del paese che ponga le condizioni per un aumento dei ricavi e dell'occupazione», sostiene Sileoni. Camilla Cresci ***

FABI 2 Cittadino di Lodi 30-giu-2017

Per il credito cooperativo 3500 esuberi all'orizzonte art LORENZO RINALDI Sono 3500 gli esuberi stimati da Federcasse per le banche di credito cooperativo nell'arco del prossimo triennio. Un numero importante, che dovrebbe essere gestito con le modalità del prepensionamento e che sarà uno degli elementi chiave alla ripresa delle trattative tra federazione e sindacati per il rinnovo del contratto di categoria. Nel Lodigiano stanno alla finestra i lavoratori di Centropadana, Laudense e Borghetto, che attendono di conoscere dai sindacati l'esito della ripartenza di un confronto che finora è stato tutto in salita. Le parti potrebbero ritrovarsi a Roma già la prossima settimana e la sensazione degli addetti ai lavori è che ci sia la possibilità di arrivare un'intesa entro l'autunno. Se ciò avvenisse, infatti, le banche potrebbero spesare i primi prepensionamenti già sui bilanci 2017, coneffetti positivi sui conti. «La stima dei 3500esuberi per noi èeccessiva ein questo momento non praticabile - avverte però il sindacalista Mario Nava della Fabi di Lodi -; la piattaforma Fabi per il rinnovo prevede un miglioramento salariale medio di 85 euro lordi al mese, la salvaguardia dei posti di lavoro (dunque non licenziamenti maprepensionamenti, ndr) e sacrifici non solo per i dipendenti ma anche per i consigli di amministrazionee i dirigenti delle singole banche, finora esclusi dalle ricadute della crisi economica nonostante in molti casi siano stati i responsabili della situazione di difficoltà in cui si trovano alcuni istituti». Il rinnovo del contratto definirà la costituzione del Fondo per l'occupazione (Foc), da utilizzare peri prepensionamenti. I lavoratori del comparto, circa 36 mila a livello nazionale, dovrebbero contribuire per circa 90 milioni di euro, da recuperare attraverso soluzioni non impattanti sui livelli salariali, al esempio riducendo le ferie. Altri 90 milioni circa dovrebbero arrivare direttamente dalle banche ed è in questo contesto che la Fabi chiede sacrifici a presidenti, consiglieri di amministrazione e dirigenti. Infine circa 80 milioni sono attesi dallo Stato. L'obiettivo della Fabi èapprovare il rinnovo del contratto prima della partenza ufficiale dei due gruppi bancari (Iccreae Cassa centrale) attesa per giugno 2018. Nel Lodigiano Centropadana e Borghetto hanno scelto di aderire a Iccrea, mentre Laudense ha optato per Cassa centrale. I cantieri sono già aperti e i contatti tra i singoli istituti e i due gruppi bancari nazionali sono in corso. Da risolvere anche il rebus del logo del credito cooperativo: rimarrà in uso solo alle banche aderenti a Iccrea? ***

FABI 3 Corriere della Sera 01-lug-2017

«Banche venete, non ci saranno licenziamenti» art II PIANO «Non ci sarà nessun licenziamento e le 3.9oo uscite a livello di gruppo saranno su base volontaria e beneficeranno dell'applicazione del fondo di solidarietà dei bancari». Stanno tutte in questa frase di Stefano Barrese — responsabile della banca dei Territori di Intesa Sanpaolo, ieri a Vicenza per fare il punto sull'integrazione delle due banche venete — le rassicurazioni ricercate dal sindacato nella vicenda di Veneto Banca e PopVicenza. I 3.900 esuberi usciranno tramite prepensionamenti volontari (fino a sette anni in anticipo) finanziati dal fondo di solidarietà tramite risorse pubbliche: un miliardo e 285 milioni. Quella sulle banche venete è stata da parte del governo un'operazione «di grande sagacia» ha detto ieri il presidente della Repubblica Mattarella, perché così da ripresa economica potrà essere accompagnata dal settore bancario». A seconda delle posizioni individuali, ciascuno uscirà con il 70-80% dello stipendio. In realtà i prepensionabili all'interno delle venete a sette anni sono 1.250-1.300. Ma il bacino potenziale è di oltre 8.000 bancari in Intesa Sanpaolo. Chi resterà dovrà mettere in conto la possibilità di spostarsi: in due anni andranno chiuse 600 filiali su 96o. Tra le ipotesi, quella di tenere in Veneto il centro per la gestione dei conti online. «Qualche sacrificio sarà necessario ma si tratta di una soluzione onorevole — dice il leader della Fabi, Lando Sileoni —. Non dimentichiamo che Intesa è scesa in campo dal primo giorno pagando gli stipendi a u mila dipendenti». «Ora l'importante è che le regole delle mobilità mettano tutti i lavoratori sullo stesso piano», guarda avanti Giulio Romani, alla guida della First Cisl. Da notare che — prima della discesa in campo di Intesa — lo scenario era peggiore. Sempre partendo da circa 4.000 esuberi, le due venete avevano negoziato con la Bce il seguente schema: 1.200 lavoratori in uscita con il fondo di solidarietà a cinque anni, 1.5oo uscite a fronte di cessione di società controllate, solidarietà al 10% per fare fronte ai 1.3oo esuberi rimanenti. Rita Querzé

FABI 4 Corriere di Arezzo 02-lug-2017

Ubi-Banca Etruria Esuberi: il 6 luglio via alla trattativa art di Marco Antonucci AREZZO - Il primo confronto tra Ubi e i sindacati è in agenda per giovedì prossimo a Bergamo. Sotto la lente il piano industriale 2019/2020, un piano che tocca da vicino l'ormai ex Banca Etruria in procinto di passare definitivamente sotto le insegne del gruppo lombardo. Esuberi, chiusure e nuovi modelli di filiali, direzioni territoriali, esternalizzazioni: sono soltanto alcuni dei temi che la trattativa dovrà passare sotto la lente. Una procedura che muove i suoi primi passi e che proprio il 6 luglio vedrà le parti sedersi attorno allo stesso tavolo. Un tavolo che i sindacati volevano più "grande" ma che invece, per il momento, dovrà limitarsi ad accogliere le delegazioni di gruppo e non allargate, come era stato chiesto, anche alle rappresentanze sindacali di quelle banche - Etruria, Banca Marche e CariChieti - per le quali il percorso di acquisizione è già partito e che dovrà concludersi entro i primi mesi del 2018. Ad esprimere perplessità è la Fabi della ormai ex Banca Etruria. Il confronto - sottolinea il segretario provinciale Fabio Faltoni-deve rappresentare al meglio i lavoratori di tutto il "nuovo" gruppo Ubi, "un gruppo che ora possiamo veramente definire nazionale, con circa ventiduemila dipendenti e duemila filiali. Dipendenti che provengono da realtà diverse e distanti, non solo per l'entrata di Banca Etruria. Banca Marche e CariChieti, ma anche per l'assorbimento negli ultimi mesi di altre sette banche. Così - sono le parole di Fabio Faltoni - proprio per la complessità della trattativa, per la delicatezza del momento, per l'esigenza di avere al tavolo sindacale una rappresentanza uniforme dei lavoratori delle diverse realtà aziendali, nonché per coinvolgere un po' tutti i territori interessati, la Fabi e tutti i sindacati avevano chiesto un allargamento delle delegazioni sindacali. Purtroppo tale richiesta è stata rifiutatadall'azienda". L'attenzione resta dunque concentrata su giovedì prossimo, quando banca e sindacati inizieranno il confronto su un piano che, tra i punti, dovrà anche "ridisegnare" quella che fino a pochi mesi fa è stata Banca Etruria e che, a fine anno, entrerà definitivamente in Ubi. Intanto, dopo l'aumento di capitale, nella prima seduta dell'offerta in Borsa, sono stati venduti tutti i 6.676.180 diritti di opzione non esercitati nel periodo di offerta che attribuiscono il diritto alla sottoscrizione di 1.144.488 azioni ordinarie di nuova emissione Ubi Banca. E Ubi, ha annunciato ieri, l'accordo triennale di partnership stipulato tra il gruppo e la società calcistica dell'Atalanta. Ubi Banca apporrà il proprio logo sull'abbigliamento sportivo di allenamento della prima squadra, sarà main sponsor della squadra Primavera e una tribuna dello Stadio Atleti Azzurri d'Italia si chiamerà Tribuna Ubi Banca. ***

FABI 5 Eco di Bergamo 01-lug-2017

Ubi, diritti esauriti E incontro in forse sul piano industriale art Al primo giorno di offerta in Borsa, Ubi Banca ha già venduto tutti i 6,67 milioni circa di diritti non già esercitati nel periodo di offerta per la sottoscrizione dell'aumento di capitale, secondo quanto comunica l'istituto in una nota. Un risultato che conferma il successo dell'operazione, già testimoniato dall'esito dell'aumento di capitale nei giorni scorsi. Le opzioni attribuiscono il diritto alla sottoscrizione di circa 1,14 milioni di azioni ordinarie di nuova emissione della banca al prezzo unitario di 2,395 euro per azione. L'offerta dell'aumento di capitale da400 milioni, legato all'acquisto delle tre «bridge banks» - Nuova Banca Marche, Nuova CariChieti e Nuova Banca Etruria - era iniziata il 12 giugno. La trattativa sindacale Nel frattempo, prosegue la trattativa tra azienda e sindacati (Fabi, First-Cisl, FisacCgil, Sinfub, Ugl, Uilca-Uil e Unisin) sulle diverse questioni sul tavolo. Ma l'incontro, in calendario il 6 luglio, sull'aggiornamento del piano industriale 2019-2020, comprensivo della fusione per incorporazione delle «bridge banks», rischia di saltare. Questo perché l'azienda (almeno ad oggi) non ha accolto la richiesta delle sette sigle sindacali di allargare la delegazione trattante. E così l'appuntamento potrebbe slittare alla settimana successiva. A tenere banco, la questione degli esuberi. Complessivamente, l'azienda dagli attuali 22.518 dipendenti punta ad arrivare a 19.505 (con uno scarto di 3.013 unità) nel 2020. Questo attraverso uscite gestite con il fondo di solidarietà di settore (2.173), altre iniziative di piano (L318) e la «natural attrition», ovvero uscite fisiologiche dettate da pensionamenti o dimissioni (400). Compensate da un turnover generazionale di 878 unità. Ad ogni modo le parti si troveranno già lunedì per un nuovo confronto su un'altra partita: l'integrativo. A riguardo «se le posizioni restano così distanti, sarà difficile trovare un accordo - dice Andrea Battistini della First-Cisl - perché l'azienda con l'armonizzazione contrattuale vuole rivedere al ribasso molti istituti, in particolare in tema di welfare, come borse di studio, permessi retribuiti e permessi aggiuntivi alla legge 104». E anche sul premio aziendale l'intesa sembra essere lontana, «dato che l'azienda vorrebbe riconoscerlo solo sotto forma di welfare». Paolo Citterio della Fabi puntualizza: «Purtroppo constatiamo un approccio dell'azienda non adeguato rispetto a trattative così importanti e delicate. Si banalizzano troppo le questioni sul tavolo, cosa che rischia di tradursi in ricadute negative per un'azienda al passo coi tempi». «C'è distanza soprattutto sugli aspetti sociali dell'integrativo - rileva Pierangelo Casanova della Fisac-Cgil -. Rispetto alla discussione sul piano industriale, auspico che si possa trovare la necessaria serenità per sedersi e affrontare questioni preoccupanti nel pieno rispetto reciproco». Dal canto suo Claudia Dabbene della Uilca-Uil sottolinea che «le posizioni sono ancora distanti sui temi delle politiche sociali, su cui ci sono pochissime aperture» e Natale Zappella della Unisin afferma che «l'augurio è che da parte dell'azienda ci sia la volontà di stringere in tempi brevi la trattativa sull'integrativo per potersi dedicare alla nuova procedura che sicuramente sarà impegnativa». F. L ***

FABI 6 Giornale 01-lug-2017

Zuppa di Porro - Qualcosa non torna nel salvataggio delle banche venete - Nel art salvataggio delle Venete non tutti i conti tornano

Zuppa di Porro Qualche numero sul salvataggio due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che d'ora in poi chiameremo Venete. E due considerazioni preliminari. Prima. Le venete sono fallite, ma in questo caso non è stato applicato il cosiddetto bail in per il quale correntisti e obbligazionisti ci avrebbero dovuto rimettere le penne. Seconda. Non si possono sommare pere e mele. Se il Tesoro fornisce garanzie, ancora non ha speso un euro di soldi pubblici. Se poi ciò che garantisce, salta, solo allora l'impegno diventa un onere. Come vedremo il salvataggio è fatto da un mix di garanzie e cassa. Questi i numeri fondamentali delle Venete nel 2016 (2015): margine di interesse 770 milioni; commissioni nette per 494 milioni; perdite per 3,5 miliardi (2,3 miliardi di rosso nel 2015); sportelli 982 (166 chiusi in un anno); 11.236 dipendenti in crescita rispetto ai 10.976 dell'anno precedente. Insomma le due banche sono morte a causa dei prestiti dati a casaccio, che compromettono il conto economico con svalutazioni. Nel marzo il fondo Atlante, costituito dalla maggior parte delle banche italiane, dalle fondazioni loro azioniste e dalla Cdp (67 istituzioni ne sono i soci) aveva 3,5 miliardi, per ricapitalizzarle. In assemblea i vecchi soci, circa 120mila, non vollero, comprensibilmente, mettere altri quattrini in quel buco nero. Il boss del fondo Atlante disse: per questo genere di ristrutturazione ci vogliono anni, noi ci metteremo 18 mesi. Previsione che non si è verificata. Se c'è una sicurezza in questa vicenda è che il fondo Atlante ha somministrato un'aspirina ad un malato terminale, con il consenso del governo e delle istituzioni che anzi lo hanno spinto a farlo, e che il costo dell'inutile farmaco è stato di 3,5 miliardi. Banca Intesa, che poi si papperá le venete, ha svalutato nel bilancio del 2016 la sua partecipazione nel fondo Atlante per 220 milioni. Al 31 marzo del 2017 la trimestrale porta le svalutazioni, per la sola parte veneta, a 488 milioni. Ma siccome grazie a questa posta pagherá meno tasse, si può dire che la perdita effettiva è di circa 150 milioni. Occorre però ricordare come Banca Imi (gruppo intesa) nel 2015 si era impegnata a garantire per un miliardo l'aumento di capitale di Veneto Banca. Insomma, forzando un po' la storia, si può dire che grazie al fondo Atlante che si è sostituito agli azionisti nell'aumento di capitale, Intesa si è risparmiata il rischio di diventare azionista di Veneto banca e perdere dunque tutto. Nell'ultimo anno, ha ricordato recentemente Carlo Messina, le due banche avevano emesso titoli, per non saltare, per 10 miliardi, interamente garantiti dallo Stato. Se le due banche fossero fallite, il Tesoro si vedeva bruciati dunque fino a 10 miliardi. È stato evidentemente un argomento forte nella trattativa governo-Intesa. Se le banche non fossero state salvate, il Tesoro si beccava l'escussione di garanzie per dieci miliardi. Domenica 25 giugno arriva con un decreto del governo il salvataggio delle banche da parte di Intesa. Se dovesse cambiare una virgola nella sua conversione in Parlamento rischia di saltare tutto: nelle virgole infatti girano i miliardi. La banca guidata da Messina dice di aver comprato le due banche per un euro. In realtá viene pagata dal tesoro per 5,2 miliardi per accollarsi il pacco (4,8 per non compromettere i suoi cosiddetti ratio patrimoniali e oneri di ristrutturazione, e 400 milioni per crediti non sicuri al 100%). Padoan ha tecnicamente definito questo gruzzoletto: anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche». Boh. Sui giri della contabilitá pubblica alziamo le mani. Forse intendeva dire che le coperture sono giá inserite nella manovra dei 20 miliardi sulle banche di pochi mesi fa. Accettiamo suggerimenti. Intesa inoltre presta 5 miliardi alla bad bank che si ciuccia i crediti deteriorati delle venete. Si becca un interesse dell' 196, ma il suo prestito è garantito dallo Stato, insomma è come un Bot. Messina ottiene risorse e facoltà per prepensionare 3.900 dipendenti e chiudere 600 sportelli (100 in piú di quanti ne ha tutta la Popolare di Vicenza, appena inglobata) entro due anni. Dalle Venete il bacino dei prepensionabili è di mille lavoratori, dal gruppo Intesa è di 8.200. Serviranno risorse, anche pubbliche previste dal decreto di domenica 25 giugno, se, come è probabile, gli esodati dovranno vedersi riconosciuti scivoli fino a sette anni. Secondo un'altra fonte, il Fondo esuberi che dovrebbe costare 4,7 miliardi é fuori dal decreto. Vediamo meglio. I prepensionamenti sono volontari. Una cosa è certa 1.300 proverranno dalle venete. E gli altri da Intesa. II prepensionamento non costa alle casse dello Stato. Lando Sileoni, numero uno della Fabi, dice che in questo modo negli ultimi anni sono fuoriusciti 40mila dipendenti del settore a costo zero per il contribuente. Questi lavoratori se ne stanno a casa e prendono tra il 70 e il 75% del loro stipendio. La banca riduce il suo costo del lavoro. E il dipendente non spende

FABI 7 soldi in benzina e pasti per recarsi in filiale. Conviene a tutti. In questa vicenda Intesa ha un vantaggio non scritto. Avendo 8.200 dipendenti che potenzialmente possono accedere al prepensionamento e calcolando che in media lo richiedono il 60% dei lavoratori, nei prossimi sette anni avrà 5mila fuoriuscite. A cui sommare le 1.300 derivanti dall'acquisizione delle banche venete. Insomma prende al volo l'occasione per portarsi a casa una riduzione del personale. E ritorniamo al famoso decreto, l'anticipo di cassa da 5,2 miliardi. In esso è prevista una voce che si chiama «oneri di integrazione» pari a 1,285 miliardi. Con questi quattrini pubblici, Intesa si paga l'accorpamento delle filiali, il cambio delle insegne, l'integrazione dei sistemi informatici, la mobilitá del personale e la sua formazione. Ma attenzione, c'è anche una voce che si chiama «prepensionamenti». Immaginiamo che il ministro Padoan lo sappia come si concili questa voce con la sua affermazione che non ci sono quattrini pubblici per l'esodo di lavoratori dal nuovo gruppo. Giusto per info. La bad bank avrá crediti deteriorati per 17,8 miliardi. La Banca d'Italia calcola che si potranno recuperare 9,9 miliardi (un tasso di recupero al 50%). Inoltre 1,7 miliardi arriveranno dalla vendita di partecipazioni azionarie che le Venete avevano. In totale la bad bank potrebbe dunque incassare 11,6 miliardi. In sintesi il Tesoro fornisce più di cinque miliardi a Intesa e si accolla poco meno di 18 miliardi di crediti monnezza. Inoltre il Tesoro si impegna a coprire lo sbilancio di cessione delle banche venete e altre garanzie, per un totale di 10,9 miliardi. In sintesi se tutto fila liscio incassa 11,6 e spende 10,9: un saldo positivo che secondo la relazione del Tesoro può essere di 700 milioni. Correntisti e obbligazionisti senior (sono le obbligazioni più garantite): per loro non cambia nulla, non perdono nulla. Con il bail in sarebbero stati toccati i correntisti per quota superiore a 100mila euro e i bond senior. Secondo alcune statistiche un correntista su tre ha depositi superiori ai 100mila euro, e dunque uno su tre sarebbe stato colpito dal bail in. Obbligazioni subordinate (junior): 180 milioni in mano al retail e circa un miliardo in mano a fondi istituzionali. Totale 1,2 miliardi per un complesso di 14 emissioni, saranno azzerate. Ricordate sempre: gli istituzionali sono anche quei fondi che investono le vostre pensioni. Non sono dei cattivoni speculatori, che la nostra invidia sociale può odiare con leggerezza. Azionisti: quote azzerate. Ma i 120mila privati era da tempo che lo sapevano. Per Atlante, come detto, si tratta di una botta da 3,4 miliardi.

FABI 8 Italia Oggi 29-giu-2017

In un Funzionigramma la macchina della nuova Equitalia art L'Agenzia delle entrate-Riscossione riparte da 18 direzioni regionali, suddivise in base alle dimensioni di volumi gestiti e abitanti serviti. Le 18 nuove realtà che andranno dal primo luglio a coabitare con le direzioni regionali dell'Agenzia delle entrate, sono poi ulteriormente suddivise in specifici cluster. Cluster grande: Campania, Emilia- Romagna, Lazio, Lombardia, Piemonte-Val d'Aosta, Puglia, Toscana e Veneto. Il cluster medio: Abruzzo, Calabria, Friuli Venezia Giulia, Liguria, Marche, Sardegna e Trentino Alto Adige, il cluster piccolo, infine, con Basilicata, Molise, Umbria. Nel documento di 121 pagine diffuso ieri e che ItaliaOggi è in grado di anticipare c'è la descrizione di quelle che sono le direzioni centrali in un complesso organigramma. Il documento che l'ente autodefinisce funzionigramma, descrive gli ambiti di competenza attribuiti a ciascuna struttura organizzativa, in termini di missione e di aree di responsabilità. Prima, però, di passare nel dettaglio delle singole direzioni, delle strutture centrali e di quelle regionali, si forniscono principi validi per tutti definiti appunto «responsabilità comuni». Le 19 regole dell'ente vanno dall'agire in conformità con le direttive e con le politiche definite dal centro di potere rappresentato da comitato di gestione e dal presidente all'assicurare le attività di indirizzo, coordinamento e monitoraggio delle attività dell'ente, garantendo la definizione e la diffusione di linee guida gestionali uniformi. La riorganizzazione va avanti, intanto, incassando anche il sostegno delle sigle sindacali degli 8 mila lavoratori di Equitalia che in una nota del 28 giugno hanno fatto quadrato intorno al presidente, Ernesto Maria Ruffini, rispondendo al contenzioso avviato da Dirpubblica per la sospensione della procedura (si veda ItaliaOggi del 27 luglio scorso). «La tutela dei lavoratori non può prescindere dalla difesa del posto di lavoro» e le organizzazioni sindacali continueranno ad esercitare il mandato «opponendosi», scrivono le quattro sigle sindacali Fabi, FirstCisl, FisacCgil, Uilca, «con ogni mezzo a qualunque strumentalizzazione politica». Cristina Bartelli ***

FABI 9 Messaggero Abruzzo 29-giu-2017

Ubi convoca sindacati, scure su sportelli e personale - Carichieti e le altre, la art scure di Ubi prevede esuberi e chiusura di filiali

CHIETI La convocazione è arrivata ieri in tarda mattinata. I vertici di Ubi Banca e le organizzazioni sindacali si incontreranno a Bergamo il prossimo sei luglio e tutto lascia pensare che non sarà una gita di piacere. Sarà, infatti, l'inizio della trattativa sul piano industriale 2019-2020, che si annuncia molto lunga e che non si chiuderà entro restate. Sette sigle dei lavoratori dell'universo bancario presenti in Ubi, il colosso che abbraccia anche le cosiddette bridge banks ovvero Nuova Carichieti, Nuova Banca dell'Etruria e Nuova Banca Marche, sono sul piede di guerra e denunciano la riduzione di tremila lavoratori al netto delle entrare stimate. Mentre il rischio più allarmante, sempre secondo i sindacati, è quello di cessioni, deconsolidamenti ed esternalizzazioni per 1.318 dipendenti. Fabi, First Cisl, Fisac Cgil, Sinfub, Ugl credito, Uilca e Unisin , delineano ricadute sul personale fra sovrapposizioni, chiusura di filiali, rischi di mobilità territoriale e professionale, modifiche del modello distributivo e dei nuovi modelli di filiale. I TIMORI Sull'Abruzzo è dunque in arrivo il conto salato per l'acquisizione- salvataggio dopo che Ubi, ha acquistato Carichieti, che vanta una presenza capillare soprattutto fra Chieti, la sua provincia e Pescara, ma anche Etruria e Banca Marche. Le ricadute più pesanti soprattutto i termine di chiusure di sedi e filiali, potrebbero abbattersi dunque, sia nell'area metropolitana Chieti - Pescara che nel vasto territorio della Marsica dove è presente Etruria ma l'incidenza è sicuramente regionale, poichè con le tre acquisizioni si sono determinate inevitabili sovrapposizioni. Solo per restare a Carichieti è difficile immaginare un futuro nel quale sopravvivano ben sei sedi nella sola Pescara, alle quali si aggiungono le cinque di Chieti e quella di Montesilvano. Senza considerare, poi, la presenza di altre filiale che soprattutto a Pescara fanno capo direttamente a Ubi. In un simile scenario non è difficile ipotizzare neppure tagli di filali nello stesso capoluogo teatino, cuore storico di Carichieti e nelle altre città in cui Ubi Banca è già presente con il proprio brand. Probabili tagli anche nella realtà più piccole in cui Carichieti oggi è presente con due sedi, oltre che fuori dai confini regionali: mantenere la presenza a Milano, roccaforte di Ubi, sembra un'utopia. Ma in questi casi a dettare condizioni e decisioni soni numeri e redditività. Alfredo D'Alessandro RIPRODUZIONE RISERVATA ***

FABI 10 Messaggero Veneto 02-lug-2017

Parte la trattativa sugli esuberi Si punta a una soluzione soft art PADOVA Il perimetro all'interno del quale definire gli esuberi, le modalita con cui sarà attuata la mobilita territoriale e il destino dei lavoratori in carico alla bad bank. Sono i tre temi caldi sul fronte occupazionale per quel che concerne le due ex Popolari venete. Il 6 luglio è in calendario l'incontro Intesa-sindacati. Si prevede una trattativa rapida con conclusione già a fine luglio. Nella mattinata di ieri i sindacati hanno ricevuto un invito da Intesa SanPaolo per avviare la trattativa sul personale. Secondo le richieste europee, accolte dal decreto governativo approvato la scorsa settimana (e in via di conversione in Parlamento), vi saranno 3.900 esuberi complessivi. «Questa è l'indicazione della Dg Comp di Bruxelles, ma ora spetta al compratore definire le modalità di individuazione degli esuberi. Per quanto ci riguarda, siamo pronti a fare la nostra parte perché si arrivi a una soluzione non traumatica», commenta Mauro Bossola, segretario generale aggiunto della Fabi, che seguirà direttamente le trattative per conto del principale sindacato dei bancari. «La nostra richiesta è che il perimetro interessato dalle fuoriuscite volontarie sia relativo all'intero gruppo Intesa SanPaolo, che conta circa 100 mila dipendenti, e non solo ai 10 mila circa rinvenienti dall'acquisizione di alcuni asset fin qui in capo a Veneto Banca e Popolare di Vicenza». Su questo punto non dovrebbero esserci frizioni, tanto che sono già circolate delle ipotesi: 1.100 bancari delle due banche rilevate e 2.700 già in carico a Ca'de Sass, con inviti al prepensionamento per tutti coloro che matureranno i requisiti. Gli stessi sindacati si attendono un'adesione massiccia, dato che si prospetterebbe per i dimissionari una pensione pari all'80% dell'ultimo stipendio. Più delicata appare la vicenda relativa all'utilizzo della modalità territoriale. A fronte delle 600 filiali delle due venete più alcuni sportelli Intesa che dovranno chiudere entro il 30 giugno 2019, secondo i piani presentati dalla banca di Carlo Messina, è stato indicato l'utilizzo di questo strumento per salvaguardare l'occupazione. Nel piano-contratto di cessione d'azienda firmato da Intesa alla voce oneri di ristrutturazione e integrazione, un totale di 1,702 miliardi, ben 1,316 miliardi riguardano la copertura degli esodi anticipati e ben 158 milioni sono interamente dedicati al capitolo turnover e mobilità. Dalla First Cisl, il segretario Giulio Romani segnala un pericolo: «C'è la sensazione che la banca voglia spingere su strumenti come la mobilità territoriale per mandar via anche più persone di quelle previste». In sostanza, si potrebbe chiedere a chi lavora in una città di spostarsi magari di 200 km e, in caso di rifiuto, scatterebbe il licenziamento. Da Intesa al momento non parlano del tema, mente Bossola si mostra più prudente. «L'incontro del 6 sarà solo un primo passo per definire un percorso comune, non si entrerà da subito nel vivo delle trattative. Non dimentichiamo che il nostro settore negli ultimi otto anni ha gestito 50 mila fuoriuscite senza grossi traumi. Penso prevarrà la collaborazione tra le parti». Il dialogo sindacati-Intesa non riguarda invece il destino dei dipendenti di Banca Intermobiliare e degli altri asset che finiranno nella cosiddetta «bad bank». (l.d.o.) ***

FABI 11 Mf 29-giu-2017

Intanto i sindacati incontrano Intesa sul piano di salvataggio art di Claudia Cervini MF-Dowjones Circa 600 filiali saranno chiuse entro il 30 giugno 2019 e alcune funzioni oggi svolte nella sede centrale potrebbero essere trasferite in Veneto. E quanto emerso ieri nell'ambito dell'incontro tra i rappresentanti di Intesa Sanpaolo e i sindacati sul salvataggio delle banche venete. La Ca' de Sass avrebbe sottolineato che al centro dei propri piani di sviluppo ci sono le persone che lavorano nel gruppo. E inoltre stato presentato il quadro legislativo e regolamentare e il possibile sviluppo del confronto, che dovrà tenere conto dei vincoli della vigilanza europea. «Per contenere la mobilità territoriale in Veneto, Intesa sta lavorando a diverse soluzioni. Tra queste si ipotizza di trasferire alcune lavorazioni oggi svolte nella sede centrale in questo territorio. La mossa risponde alle eccedenze di personale che si manifesteranno in Regione a seguito dell'acquisizione di alcune attività e passività di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Eccedenze che, al di là del piano esuberi, comporteranno riconversioni professionali e trasferimenti». Lo ha spiegato una fonte a MF-Dowjones a valle dell'incontro sindacale avvenuto oggi in una sede milanese del gruppo Intesa Sanpaolo. Il decreto legge dovrebbe essere convertito entro il termine del 26 agosto. Se la trattativa sugli esuberi partirà nei prossimi giorni, l'esecuzione di questi ultimi avverrà solo dopo la conversione del decreto. L'azienda ha confermato la volontà di realizzare la riduzione degli organici attraverso uscite volontarie con il ricorso al Fondo di Solidarietà di settore. Il personale complessivamente coinvolto dall'operazione di acquisizione è di 9.960 dipendenti in Italia e di 880 all'estero. «Abbiamo valutato positivamente l'intervento del Gruppo Intesa Sanpaolo che ha salvaguardato l'occupazione, tutelando le famiglie e le imprese, e che nel contempo ha evitato una crisi del sistema creditizio del Paese», hanno fatto poi sapere le organizzazioni sindacali in una comunicazione interna. «Nelle prossime settimane si avvierà il confronto a partire dalle uscite volontarie. Dovranno essere sviluppati anche i temi relativi alla mobilità straordinaria, formazione e riconversione e trattamenti complessivi». Nel meeting di oggi sono stati confermati i numeri relativi alle uscite, che dovrebbero toccare i 3.900 esuberi complessivi. (riproduzione riservata) ***

FABI 12 MF Sicilia 30-giu-2017

Il deserto degli sportelli art DI CARLO Lo RE Il recente rapporto di Banca d'Italia sull'economia siciliana, nella sezione «Il mercato del credito», ha evidenziato una contrazione del numero degli sportelli bancari in regione, un veto e proprio deserto degli sportelli che sta portando molte zone a restare scoperte. Analizziamo nel dettaglio i dati a disposizione, partendo dalle strutture vere e proprie. Al 31 dicembre 2016, gli istituti di credito attivi in Sicilia con almeno uno sportello erano 62, dei quali 28 con sede amministrativa nell'Isola. Rispetto al 2015, il numero di banche attive nel territorio regionale è diminuito di una unità per effetto di un'operazione di concentrazione tra banche di credito cooperativo. Dopo la sostanziale stabilità dell'anno precedente, dunque, nel 2016 il numero di sportelli bancari si è ridotto, portando avanti un processo di ristrutturazione/razionalizzazione della rete territoriale in atto da ormai quasi dieci anni, ovverossia dall'inizio della crisi. Nel loro complesso, dalla fine del 2009 alla fine del 2016 le dipendenze bancarie in Sicilia sono diminuite del 17% e si è corrispondentemente accresciuto (elemento di una certa gravità per i disagi oggettivi alla cittadina) il numero di Comuni non serviti da banche, in cui viveva il 2,9% della popolazione siciliana e che rappresentava l'8% dell'estensione del territorio regionale. Ma proviamo a spiegare quello che è accaduto. La contrazione della rete territoriale è sostanzialmente dovuta alle banche di maggiore dimensione, che tra il 2009 e il 2016 hanno chiuso circa un terzo delle loro dipendenze. A fronte della riduzione della rete fisica, è aumentata la diffusione dei canali alternativi di contatto fra gli istituti e la rispettiva clientela. Il numero di contratti di home banking in rapporto alla popolazione è raddoppiato tra il 2009 e il 2016, raggiungendo le 35 unità ogni 100 abitanti. Prendendo in analisi lo specifico segmento dei bonifici, in Sicilia si è registrata invece una più elevata propensione a effettuare online operazioni di questo tipo. Situazione «certificata» empiricamente dal calo delle attese da parte dell'utenza fisica bancaria. L'occupazione L'occupazione è il reale nervo scoperto del settore. Alla fine del 2016 in Sicilia erano occupati nel comparto bancario circa 12 mila dipendenti, pari al 4% degli addetti nazionali. Il settore rappresentava lo 0,8% dell'occupazione complessiva regionale, comunque una quota inferiore alla media italiana. E giusto considerare come dall'inizio del decennio il numero di addetti nel comparto bancario si sia ridotto in tutte le aree del Paese. In Sicilia il calo è stato in linea con quello osservato nel Mezzogiorno e la riduzione, «riconducibile principalmente alle banche appartenenti ai primi cinque gruppi bancari e a quelle che sono state oggetto di operazioni di aggregazione» (si legge nel report di Bankitalia), ha comunque riguardato solo gli occupati nella rete degli sportelli. Tra il 2010 e il 2016 il numero medio di addetti allo sportello è rimasto stabile, ma è cambiata (e non di poco) la loro distribuzione: il numero di dipendenti agli sportelli più piccoli si è ridotto, a fronte di un lieve aumento per quelli più grandi. La dimensione degli sportelli maggiori è quindi passata da 3,7 a 6 volte quella delle dipendenze minori. La riduzione degli addetti agli sportelli bancari nella regione è stata meno intensa nelle aree urbane e, in particolare, in quelle di grandi dimensioni. Le posizioni dei sindacati Contattato da MF Sicilia, Giuseppe Angelini, dirigente nazionale del sindacato Fabi (Federazione autonoma bancari italiani), ha spiegato come «la diminuzione degli sportelli sia preoccupante per due motivi: primo, perché in Italia è specchio di una forte contrazione economica che comporta una diminuzione notevole dei posti di lavoro nel settore bancario. Secondo, perché in alcune regioni scarsamente alfabetizzate, come la Sicilia, i grandi gruppi bancari, con le loro sedi settentrionali, non pensano come la clientela abbia ancora bisogno in provincia, ma anche nelle periferie cittadine, del vecchio «cassiere», che è per il cliente l'unico interlocutore in grado di poter compilare una distinta di versamento o dare i consigli più corretti per una linea di investimento». Dal canto suo, Francesca Artista, segretario generale di Fisac-Ggil (Federazione italiana sindacato assicurazione credito) per la Sicilia, ha evidenziato come «la situazione debba essere guardata innanzitutto da un punto di vista generale: la riduzione degli sportelli è opera dei grandi gruppi nazionali, che tagliano e lo fanno dentro una macrovisione. Concentrano nei capoluoghi e abbandonano i territori che a loro dire non avrebbero appeal. Sia chiaro che la banca oggi non è più soggetto che intercetta credito in maniera capillare e diffusa. Oggi pretende di vendere assistenza finanziaria e prodotti, affidando all'home banking le sue funzioni classiche. Questo è un fenomeno strutturale nazionale. Una fetta di clientela, gli anziani, chi ha poca dimestichezza con le nuove tecnologie, viene lasciata ai margini. Ma abbandonata a chi? Magari alle bcc... No, in realtà i clienti non in grado di usare l'home banking vengono lasciati a una miriade di fantomatiche finanziarie. In

FABI 13 tale contesto le lavoratrici e i lavoratori sono inevitabilmente travolti, trattati come elemento secondario della forza di impatto e di presenza di una banca. Sia chiaro che mandare a casa migliaia di impiegati in Italia vuol dire depauperare un patrimonio di conoscenze e professionalità, significa creare un vuoto a danno della clientela. Noi difendiamo il lavoro, ma non solo: la banca ha una funzione sociale, non dimentichiamolo, e il nostro sindacato intende tutelarla». E quella dell'Abi Comprensibilmente diversa la posizione di Salvatore Malandrino, presidente della Commissione regionale Abi (Associazione banche italiane) della Sicilia, per il quale «già dal 2015 è in atto un processo di ristrutturazioni e riorganizzazioni aziendali, in applicazione dei rispettivi piani industriali, che sta portando alla chiusura di numerosi sportelli bancari. Il settore bancario è alle prese con un' incalzante «rivoluzione» digitale che richiede un orizzonte di nuove professionalità, nuove attività, innovativi strumenti gestionali per creare nuova occupazione, aumentare i ricavi e continuare a sostenere l'economia in una fase contraddistinta da un consolidamento dei segnali di ripresa». «Secondo dati più recenti», ha proseguito Malandrino, «nelle filiali bancarie il futuro è già oggi. Mentre si affermano sempre più modalità di contatto innovative per accedere ai servizi bancari e finanziari e ormai il 95% dei clienti usa i canali faida-te (atm, internet banking, mobile banking e contact center) e il 17% usa solo questi, gli sportelli, sempre più innovativi, accompagnano il cambiamento. La riduzione delle visite dei clienti (-3% nell'ultimo anno) alleggerisce il personale di agenzia dalla gestione dell'operatività e consente di orientarsi sempre più verso attività di consulenza e assistenza sui nuovi servizi. E a cambiare è anche l'aspetto delle filiali, dove si creano nuovi spazi relazionali per incontrare la clientela. Si diffondono sempre più apparecchiature evolute di self service e si riduce al contempo la presenza delle postazioni dedicate alla gestione delle operazioni di cassa. E un cambiamento epocale che le banche stanno affrontando per assecondare le trasformazioni che il mercato richiede». (riproduzione riservata)

FABI 14 Nazione Prato 29-giu-2017

I sindacati tendono la mano a Intesa «Esuberi? Solo su base volontaria» art GRANDI NUMERI Ribadita l'uscita di circa 3900 dipendenti di Intesa e di 1050 delle banche venete DOPO il primo incontro informale fra vertici di Intesa San Paolo e i sindacati (una delegazione del gruppo composta da Fabi, First/Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl, Uilca, Unisin) il clima, a pochi giorni dall'acquisto delle attività/passività di BpVi e Veneto Banca, sembra più disteso. Nelle prossime settimane si avvierà il confronto vero e proprio, che ovviamente partirà dalla questione riguardante gli esuberi e le uscite volontarie. «Il personale complessivamente coinvolto è di 9.960 dipendenti in Italia e di 880 all'estero. L'azienda ha confermato la volontà di realizzare la riduzione degli organici attraverso uscite volontarie con il ricorso al Fondo di Solidarietà di settore», spiegano in una nota congiunta le varie sigle sindacali. «Abbiamo valutato positivamente l'intervento del Gruppo Intesa Sanpaolo che ha salvaguardato l'occupazione, tutelando le famiglie e le imprese e che nel contempo ha evitato una crisi del sistema creditizio del paese. Nelle prossime settimane dovranno essere sviluppati anche i temi relativi alla mobilità straordinaria, alla formazione e riconversione e ai trattamenti complessivi». All'incontro erano presenti anche il Ceo della banca, Eliano Omar Lodesani, il responsabile affari istituzionali sindacali e politiche del lavoro Alfio Filosomi e la responsabile delle relazioni industriali Patrizia Ordasso. Intesa San Paolo, nell'incontro informativo, ha illustrato la ratio dell'operazione e gli impegni assunti con il Governo e con gli organi di vigilanza italiani ed europei. Ribadite le circa 3900 unità di esuberi di Intesa e le 1050 unità relative a BpVi e Veneto Banca, tutte da smaltire su base volontaria. A SEGUITO dell'acquisto concordato con il Governo delle attività/passività dei due ex gruppi, i dipendenti di ex Banca Popolare di Vicenza ed ex Veneto Banca sono diventati da lunedì scorso dipendenti di Intesa Sanpaolo. Il perimetro dell'operazione, a parziale tranquillizzazione di alcune perplessità fatte emergere recentemente dagli stessi sindacati, riguarda anche società interne alle due banche come BancApulia, Banca Nuova, Sec Servizi, Servizi Bancari e reti, filiali e banche estere. Oggi le delegazione territoriali dei sindacati interni della ormai ex BpVi avranno un nuovo incontro informale, a Vicenza, a partire dalle 12, per affrontare più nel dettaglio le questioni che riguardano esuberi, filiali e futuro dei dipendenti dopo il passaggio nel Gruppo Intesa San Paolo. *** La politica «Ma adesso serve una commissione d'inchiesta» «Adesso che la vicenda banche venete è stata chiusa, non vediamo l'ora che parta la commissione di inchiesta sugli istituti bancari». Chiosa cosi l'ex premier e segretario nazionale del Pd, Matteo Renzi, sulla trattativa che ha portato il Gruppo Intesa San Paolo a inglobare BpVi e Veneto Banca. «La commissione potrà darci almeno un pezzo di verità su quello che è accaduto nel mondo del credito: è stato legittimo e doveroso da parte dello Stato intervenire sulle banche venete - insiste Renzi -. Altrettanto legittimo e doveroso sarà capire chi ha combinato il disastro di Vicenza e Veneto Banca». Per quanto riguarda la trattativa sindacale sugli esuberi, sembra, dai primi rumors dopo l'incontro fra vertici del gruppo e segretari nazionali dei bancari, che Intesa voglia chiudere rapidamente [entro la fine di luglio) la partita.

FABI 15 Piccolo 02-lug-2017

Le banche venete avviano la trattativa sugli esuberi art di Luigi dell'Olio MILANO Il perimetro all'interno del quale definire gli esuberi; le modalità con cui sarà attuata la mobilità territoriale; il destino dei lavoratori in carico alla bad bank. Sono questi i tre temi caldi sul fronte occupazionale per quel che concerne le due banche venete, che contano una presenza nutrita anche in Friuli Venezia Giulia: 491e filiali della Popolare di Vicenza e 12 quelle di Veneto Banca per un totale di 61, circa l'8%del totale. Considerato che Intesa SanPaolo ha in mente di chiudere circa due terzi degli sportelli ereditati con l'acquisizione di alcune delle attività di BpVi e Veneto Banca, l'impatto in termini occupazionali si preannuncia pesante. Anche se non è possibile avere per ora una stima precisa, dato che si procederà proponendo l'uscita a tutti coloro che nei prossimi sette anni matureranno i requisiti di legge per andare in pensione, senza distinzioni territoriali, fino ad arrivare a quota 3.900 esuberi a livello nazionale: poco meno di 1100 riguarderanno le venete e la parte restante di Intesa. La partita degli esuberi è comunque ai nastri di partenza ieri mattina i sindacati hanno ricevuto un invito da Ca' de Sass a incontrarsi per giovedì per avviare la trattativa sul personale. «Per quanto ci riguarda siamo pronti a fare la nostra parte perché si arrivi a una soluzione non traumatica», commenta Mauro Bossola, segretario generale aggiunto della Fabi, che seguirà le trattative per conto del principale sindacato dei bancari. «La nostra richiesta è che il perimetro interessato dalle fuoriuscite volontarie sia relativo all'intero gruppo Intesa SanPaolo, che conta circa 100mila dipendenti, e non solo ai 10mila circa rinvenienti dall'acquisizione di alcuni asset fin qui in capo a Veneto Banca e Popolare di Vicenza». Più delicata appare la vicenda relativa all utilizzo della modalità territoriale. A fronte delle 600 filiali delle due venete che dovranno chiudere, secondo i piani presentati da Intesa SanPaolo, è stato indicato l'utilizzo di questo strumento per salvaguardare l'occupazione. Dalla First Cisl il segretario Giulio Romani segnala un pericolo: «C'è la sensazione che la banca voglia spingere su strumenti come la mobilità territoriale per mandar via anche più persone di quelle previste». In sostanza, si potrebbe chiedere a chi lavora in una città di spostarsi magari di 200 chilometri: in caso di rifiuto scatterebbe il licenziamento. Da Intesa al momento non parlano di questo tema, mente Bossola si mostra più prudente. «L'incontro di giovedì sarà solo un primo passo per definire un percorso comune, non si entrerà da subito nel vivo delle trattative. Non dimentichiamo che il nostro settore negli ultimi otto anni ha gestito 50mila fuoriuscite senza grossi traumi. Penso prevarrà la collaborazione tra le parti». Il dialogo sindacati-Intesa non riguarda invece il destino dei dipendenti di Banca Intermobiliare e degli altri asset che finiranno nella cosiddetta "bad bank". L'obiettivo è di cedere gli asset che hanno mercato, a cominciare dalla private bank ereditata da Veneto Banca e occorrerà vedere quali saranno i piani sul fronte occupazionale dei potenziali acquirenti. «Di certo al momento c'è che seguiremo anche la loro vicenda», assicura il segretario aggiunto della Fabi. Ieri si è espresso sulla vicenda delle banche venete il governatore di Bankitalia, Ignazio Visco: «Certo non è una bella cosa», ha commentato in merito alla crisi bancaria italiana per poi ricordare che vi sono stati casi di malagestione di alcuni istituti. ***

FABI 16 Sole 24 Ore 29-giu-2017

Intesa, solo uscite volontarie art Cristina Casadei — La trattativa che si aprirà la prossima settimana nel gruppo Intesa Sanpaolo si muove in un terreno completamente nuovo, quello aperto dal decreto legge che ha consentito il salvataggio delle due banche venete, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, entrate in Ca' de Sass. Di questosonotuttibenconsapevoli, come è emerso nell'incontro di ieri tra il coordinamento sindacale di Intesa Sanpaolo e il chiefoperating officer Eliano Omar Lodesani, la responsabile relazioni industriali, Patrizia Ordasso e il responsabile affari istituzionali sindacali e politiche del lavoro, Alfio Filosomi. L'incontro di ieri - a cui oggi ne seguirà un altro trai manager e il coordinamento sindacale dellebanchevenete-èstatolapremessa dell'avvio della trattativa che avverrà già la prossima settimana ed è servito per illustrare i contenuti dell'operazione riguardante le Banche venete, il quadro legislativo e regolamentare e il possibile sviluppo del confronto che dovrà tenere conto dei vincoli posti dalla vigilanza europea di riduzione degli organici di circa 3.900 unità e chiusura di circa 600 filiali da real ir-are entro 1130 giugno del aoi9. Per quanto il terreno sia nuovo, i manager hanno comunque sottolineato che «al centro dei piani di sviluppo si trovano le persone che lavorano nel gruppo. La tutela dell'occupazione ha guidato anche la valutazione della percorribilità dell'operazione banche venete». La riduzione degli organici, spiegano da Ca' de Sass, sarà «realizzata con uscite volontarie che riguarderanno prioritariamente leBanchevenete»e«dovràessere condiviso un percorso che defmisca nel tempo - una volta anche confermatala cornice legislativa strumenti e% soluzioni per gestire l'integrazione informatica e delle strutture di governance e il posizionamento competitivo della rete commerciale». Il percorso di integrazione prevede l'uscita di circa3.9oo bancari che non potranno però provenire tutti dalle banche venete perché il bacino dei prepensionabili è di circamillelavoratori.Leusciteawerranno quindi anche nel perimetro diIntesaSanpaolodovelaplateadi lavoratori prepensionabili è ampiacolorochehannoirequisitiper andare in esodo, attraverso il Fondo di Solidarietà a 7 anni, sono infatti oltre 8mila. Fin qui il campo delle potenzialità, che guardando i numerisonosuperioriallerealinecessità. II ricorso all'ammortizzatore di settore comporterà però oneri ingenti, soprattutto se nella trattativa emergerà la necessità di utilizzarlo a 7 anni e proprio per questo peri finanziamenti si attingerà, in parte, al fondo finanziario previsto dal decreto. «La soluzione proposta da Intesa Sanpaolo è la migliore sul campo perché mette in sicurezza i posti di lavoro e salvaguarda quanto più possibile i risparmi di famiglie e imprese. Grazie alle forti pressioni esercitate in questi mesi dal sindacato, siamo riusciti a scongiurare i licenziamenti collettivi», commenta Roberto Aschiero, coordinatore Fabi Intesa Sanpaolo. Mauro Incletolli, segretario nazionale della First Cisl aggiunge che «premesso che il gruppo Intesa Sanpaolo non sta facendobeneficenza a nessuno, accogliamo con favore l'operazione perché consente una prospettiva a untila famiglie. Per orasi ha visibilità soltanto dei numeri disponibili, ma sarà la trattativa a definire quante uscite saranno necessarie e come dovranno essere realizzate». Per la Fisac il segretario generale AgostinoMegalesottolineache«èstata respinta la pretesaUe dei licenziamenti» mentre Maurizio Zoè osserva che «come spesso accade in Intesa stiamo lavorano su un terreno nuovo: ci troviamo di fronte a un decreto legge che ha consentito a due banche che rischiavano la bancarotta di essere rilevate da un grande gruppo. Le uscitedevonoriguardareinnanzituttolebanchevenetemasiccome i bacini dei prepensionabili di Popolare di Vicenza e Veneto banca non sono sufficienti bisognerà compensare le uscite in Intesa». ***

FABI 17 Corriere della Sera 03-lug-2017

Lavorare alla Banca d'Italia? Per 30 posti 85 mila richieste art di Massimo Sideri Bankitalia non sarà più quella di una volta, quando nel 1997 — nemmeno troppo tempo fa — un operaio alle dirette dipendenze di Via Nazionale poteva guadagnare 5 milioni di lire al mese, una cifra monstre nell'Italia pre-euro e anche pre-disintermediazione di Internet. Le 17 mensilità che allora erano una diffusa normalità all'interno dell'autorità che governava (e stampava) la lira ponevano il sogno di un lavoro presso l'istituto centrale, anche con mansioni di base, al fianco di un ingresso in Parlamento come invidiato dipendente. Non sarà più così, vero, ma entrare in Banca d'Italia resta una meta ambita a giudicare dai numeri: per il concorso pubblicato lo scorso aprile per 3o posti da vice assistente sono state presentate 84.745 domande. Fascino poco discreto: su Google trends, strumento online che permette di capire quanto gli utenti ricerchino determinate parole, «concorso Banca d'Italia» ha fatto registrare un deciso picco da aprile in poi. Certo, per il novanta per cento di questo esercito di persone che sognava di lavorare per chi aveva il potere di conio la realtà è arrivata subito con la prima scrematura, basata sui semplici requisiti formali (almeno 18 anni e istruzione secondaria di secondo grado). Ne sono rimasti 8.14o: comunque 271 persone in competizione per una poltrona. Per il test finale (too domande, dal diritto all'economia di base) dovranno restringersi a 3.000. Cosa fa un vice assistente con un profilo amministrativo? Classifica, archivia, conteggia e sposta valori. All'occorrenza può stare anche dietro a uno sportello di Via Nazionale: dalla difficile arte del banchiere (Luigi Einaudi) alla difficile arte del vice assistente. Nel documento non si parla di condizioni contrattuali (anche se, sulla base del contratto nazionale, lo stipendio dovrebbe aggirarsi sui 22 mila euro) ma si aggiunge: «Ai neoassunti compete il rimborso del prezzo del biglietto pagato per il viaggio con qualunque mezzo pubblico di linea per il raggiungimento della residenza di assegnazione dall'attuale residenza anagrafica». Messa così un magro ricordo del super-welfare di una volta. ***

SCENARIO BANCHE 18 Giornale 03-lug-2017

Il sogno Bankitalia: 85mila in corsa per 30 posti art Jacopo Granzotto Roma In 85mila per 30 risicati posti da viceassistente in Banca d'Italia. Nei cuori dei lavoratori c'è sempre il posto fisso, anche a costo di passare la vita a fare concorsi. Un boom di domande che non sorprende più di tanto. La possibilità di essere travolti dalle richieste era stata messa in preventivo da Bankitalia, che nel bando del 20 aprile aveva precisato gli step che sarebbero serviti per scremare la platea nel caso in cui fossero giunte più di 3.000 domande. Asticella ampiamente superata, visto che a palazzo Kock ne sono giunte ben 84.740. E così si è dovuto ricorrere alla preselezione sulla base dei titoli che lasceranno passare alla prova scritta solo 8.140 candidati, quelli in possesso di laurea e di un punteggio pari a 11,40, il più elevato. Insomma il diploma non basta più e solo uno su dieci potrà cimentarsi con il test a risposta multipla. Esame iniziale dopo il quale resteranno in 300. Per entrare nella graduatoria bisognerà poi passare una seconda prova, un colloquio. Una strada lunga e tortuosa, ma si tratta pur sempre di un posto a tempo indeterminato. Dunque, l'oggetto del desiderio è sempre un posto da impiegato, primo gradino della carriera operativa che parte da 28.300 euro lordi annui (a cui vanno aggiunte indennità e premi). La ricerca riguarda personale di profilo amministrativo con mansioni esecutive come «classificazione, «archiviazione», «conteggio», «protocollo di documenti», ma probabilmente anche il temuto sportello bancario. L'impiegato potrà anche essere di supporto all'attività delle unità attraverso strumenti di «office automation». Le prove dovrebbero iniziare a novembre, l'inserimento dovrebbe avvenire a metà 2018 e con tutta probabilità le posizioni saranno raddoppiate (da 30 a 60), anche perché la graduatoria dura quattro anni. Agli 8 mila preselezionati non resta dunque che studiare per essere pronti al primo test che prevede cento domande a risposta multipla tra diritto, economia, matematica, statistica e lingua inglese. Il bando richiedeva età non inferiore a 18 anni e come requisito obbligatorio quello del diploma (minimo una laurea magistrale) e una maturità ottenuta con il massimo dei voti. ***

SCENARIO BANCHE 19 Giornale 03-lug-2017

Ecco dove sono finiti i banchieri dei crac - Mal di banca, dove sono e cosa art rischiano i responsabili della grande crisi

Camilla Conti Giuseppe Mussari va a cavallo con l'amico Aceto e cucina per gli amici nella villa di proprietà della moglie Luisa a due passi da Siena; il suo braccio destro Antonio Vigni fa il coltivatore diretto nella sua tenuta a Castelnuovo Berardenga, sempre sulle colline del Chianti, e la sua ultima apparizione pubblica risale a qualche mese fa a San Gusmè, in occasione della festa del delizioso paesino, nello staff della festa a grigliare bistecche. Meno ruspanti i pomeriggi del patron - per quasi vent'anni - di Pop Vicenza, Gianni Zonin che proprio nei giorni scorsi è stato fotografato con la moglie in via Montenapoleone a Milano mentre faceva shopping con un tempismo perfetto, ovvero a poche ore dal decreto salva-venete. Che fine hanno fatto i responsabili dei fallimenti e delle grandi crisi? In generale non se la passano male. Certo, per i «signori del crac» la reputazione è ormai bruciata e per molti di loro non è semplice farsi vedere in giro con il rischio di incrociare i risparmiatori traditi. Alcuni sono stati soltanto pessimi manager, altri hanno anche commesso reati. Hanno distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi. Ma nessuno è in prigione. Cause, richieste di danni e processi sono però solo all'inizio e alla fine il conto qualcuno lo dovrà pagare LA BANCA DELL'ORO La prossima udienza per la bancarotta di Banca Etruria al tribunale di Arezzo è fissata per il 12 ottobre 2017 e sarà interamente dedicata alle parti civili. Il processo vede tra gli imputati gli ex presidenti Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi e i nomi di ex componenti dei cda sotto inchiesta, di cui non faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell'ex ministro Maria Elena. Il procuratore della Repubblica di Arezzo Roberto Rossi contesta loro finanziamenti facili, mai rientrati, che avrebbero portato a bilanci fallimentari provocando il crack della banca. Ma tra le tre banche oggi finite dentro Ubi c'è anche Banca Marche. Sotto la direzione dell'ex ad Massimo Bianconi l'istituto faceva credito a tutti, soprattutto agli amici. Il consiglio approvava fino a 83 pratiche di affido in meno di cinque minuti netti (è successo dawero, il 23 luglio del 2008). Secondo gli awocati dello studio Bonelli Erede, quello di Banca Marche è il più grave scandalo bancario dai tempi del crac Sindona. Tra i tanti primati, Bianconi detiene anche quello di essersi fatto pagare la buonuscita due volte, facendosi licenziare e assumere lo stesso giorno poco prima che Bankitalia vietasse i «paracaduti d'oro» per i banchieri. A NORDEST Quando non fa spese con la moglie nel quadrilatero milanese, Gianni Zonin può restarsene al fresco della villa in provincia di Udine, a Ca' Vescovo, a due passi dalla laguna di Grado e dal campanile romanico di Aquileia. Una tenuta trasformata in fortezza, con siepi alte tre metri, telecamere, vetri anti sfondamento. Dal 20 gennaio 2016 aziende e vigne della Zonin 1821 appartengono ai tre figli. Nove tenute in Italia, per 2mila ettari coltivati a vite, una in Virginia, negli Usa. Tutto intestato agli eredi con un passaggio generazionale che sicuramente era stato già previsto in tempi non sospetti, ma di certo ha messo al riparo il patrimonio di famiglia dalle tempeste giudiziarie. Zonin è infatti indagato a Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. La stessa banca ha chiesto a lui e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2,3 miliardi. Ed è stato multato dalla Consob (370mila euro) per illeciti nella vendita di azioni alla clientela. Ma finora l'inchiesta della procura di Vicenza ha procurato al Doge vicentino solo la «seccatura» di un interrogatorio di 5 ore in due anni. Per il suo «vicino» Vincenzo Consoli, ex ad di Veneto Banca, la richiesta di rinvio a giudizio è arrivata a poche ore dal via libera italiano ed europeo al passaggio delle banche venete a Intesa. A muoversi è stata la procura di Roma, che ha chiesto il processo anche per l'ex presidente Flavio Trinca e altri nove tra amministratori e manager: le ipotesi sono presunte irregolarità nella gestione dell'istituto tra il 2012 ed il 2014 e ostacolo all'esercizio delle funzioni dell'autorità pubbliche di vigilanza. Consoli si è chiuso in un rigoroso silenzio per due anni poi, lo scorso 3 giugno, ha rilasciato una lunghissima intervista con la sua verità al Gazzettino: «Il dispiacere e il dolore sono per me immensi, verso tutti i soci che hanno perso soldi. Si deve sapere che tra i soci che hanno perso i soldi c'è anche la mia famiglia, c'è mia sorella che faceva l'operaia e aveva investito in banca tutti i suoi risparmi e non li ha più, ci sono i miei figli», ha detto Consoli. Il suo jet Bombardier Learjet 60XR, acquistato nel 2012 da Veneto Banca per assicurare rapidità, comfort e prestigio agli spostamenti dell'allora consigliere delegato, se ne è volato via da Montebelluna lo scorso 23 dicembre per 4,3 milioni di dollari. SOTTO LA LANTERNA «Mi aspettavo l'ergastolo. Ci mancava solo mi sparassero». Lo scorso 22 febbraio non ha rinunciato al suo sarcasmo l'ex presidente di

SCENARIO BANCHE 20 Carige, Giovanni Berneschi, nemmeno con una condanna a 8 anni e 2 mesi di reclusione per la maxitruffa al ramo assicurativo dell'istituto bancario sulle spalle. Eppure per lui è stata uno choc, quella sentenza, anche perche' il pubblico ministero Silvio Franz aveva chiesto 6 anni di reclusione. C'è chi dice che l'ex presidente, uomo libero fino alla pronuncia della Cassazione, se ne stia chiuso nel suo attico genovese e chi invece propende per un ritiro nella sua amata campagna spezzina. Ha una ricca pensione (200 mila euro solo di Inps, più il fondo integrativo della banca) e conta sull'appello, anche perché non è tipo da golf o bridge. L'AFFAIRE ITALEASE Il 20 maggio 2015 è stato ribaltato il verdetto per gli ex vertici di Banca Italease, tra cui l'ex ad Massimo Faenza (che comunque in carcere è rimasto per sette mesi, imputati a Milano per false comunicazioni sociali in relazione ad un bilancio del 2008. Condannati in primo grado, sono stati assolti in appello dai giudici che hanno anche prosciolto l'istituto di leasing, che rispondeva in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, e hanno revocato la confisca da oltre 58 milioni che era stata disposta dal Tribunale più di tre anni fa. Il processo - uno dei tanti filoni dell'inchiesta su Italease che aveva portato, tra l'altro, al patteggiamento a 4 anni per truffa e altri reati per Faenza - vedeva al centro l'accusa di false comunicazioni sociali. Il 27 febbraio del 2014, il Tribunale, oltre a condannare i cinque imputati ad un anno, aveva disposto anche la confisca di 58,9 milioni a carico di Banca Italease, poi finita nel gruppo Banco Popolare. Confisca che poi è stata revocata. Che fine ha fatto, invece, l'ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini? Con l'allora sua braccio destro Antonio Cannalire e altre 12 persone è imputato per la vicenda dei presunti finanziamenti illeciti concessi dall'istituto (oggi fuso con il Banco Popolare) tra il 2009 e il 2010. La gran parte dei reati contestati, tra infedeltà patrimoniale e corruzione privata, cadrà in prescrizione entro il 2017, mentre l'associazione per delinquere a metà del 2018. Si ritorna in aula il 10 luglio.

SCENARIO BANCHE 21 Giornale 03-lug-2017

'***Ecco che fine hanno fatto i super banchieri dei crac - I signori del crac Mal di art banca, dove sono e cosa rischiano i responsabili della grande crisi - Edizione della mattina

MANAGER IMPUNITI Ecco che fine hanno fatto i super banchieri dei crac II Che fine hanno fatto tutti i super banchieri finiti nella bufera per aver concesso ma preáfltT mandando in crisi gli istltutf di credito? In generale non se la passano male. Certo, per i «signori del crac. la reputazione è ormai bruciata e per molti di loro non è semplice farsi vedere in giro. Da Mussari, in esilio nella sua villa senese, a Zonin, che fa shopping in Montenapoleone, i manager che hanno tradito i risparmiatori ancora non hanno pagato il conto della loro malagestione. Mentre, nel frattempo, si consuma l'ennesima beffa e gli istituti ora vengono salvati a spese dei contribuenti. C. Cored alle pagine lo-tia I SIGNORI DEL CRAC L'INCHIESTA Mal di banca, dove sono e cosa rischiano i responsabili della grande crisi Camilla Conti Giuseppe Mussari va a cavallo con l'amico Aceto e cucina per gli amici nella villa di proprietà della moglie Luisa a due passi da Siena; il suo braccio destro Antonio Vigni fa il coltivatore diretto nella sua tenuta a Castelnuovo Berardenga, sempre sulle colline del Chianti, e la sua ultima apparizione pubblica risale a qualche mese fa a San Gusmè, in occasione della festa del delizioso paesino, nello staff della festa a grigliare bistecche. Meno ruspanti i pomeriggi del patron - per quasi vent'anni - di Pop Vicenza, Gianni Zonin che proprio nei giorni scorsi è stato fotografato con la moglie in via Montenapoleone a Milano mentre faceva shopping con un tempismo perfetto, ovvero a poche ore dal decreto salva-venete. Che fine hanno fatto i responsabili dei fallimenti e delle grandi crisi? In generale non se la passano male. Certo, per i «signori del crac» la reputazione è ornai bruciata e per molti di loro non è semplice farsi vedere in giro con il rischio di incrociare i risparmiatori traditi. Alcuni sono stati soltanto pessimi manager, altri hanno anche commesso reati. Hanno distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi. Ma nessuno è in prigione. Cause, richieste di danni e processi sono però solo all'inizio e alla fine il conto qualcuno lo dovrà pagare LA BANCA DELL'ORO La prossima udienza per la bancarotta di Banca Etruria al tribunale di Arezzo è fissata per il 12 ottobre 2017 e sarà interamente dedicata alle parti civili. Il processo vede tra gli imputati gli ex presidenti Giuseppe Fornasari e Lorenzo Rosi e i nomi di ex componenti dei cda sotto inchiesta, di cui non faceva parte Pierluigi Boschi, padre dell'ex ministro Maria Elena. Il procuratore della Repubblica di Mezzo Roberto Rossi contesta loro finanziamenti facili, mai rien *** trati, che avrebbero portato a bilanci fallimentari provocando il crack della banca. Ma tra le tre banche oggi finite dentro Ubi c'è anche Banca Marche. Sotto la direzione dell'ex ad Massimo Bianconi l'istituto faceva credito a tutti, soprattutto agli amici. Il consiglio approvava fino a 83 pratiche di affido in meno di cinque minuti netti (è successo dawero, il 23 luglio del 2008). Secondo gli awocati dello studio Bonelli Erede, quello di Banca Marche è il più grave scandalo bancario dai tempi del crac Sindona. Tra i tanti primati, Bianconi detiene anche quello di essersi fatto pagare la buonuscita due volte, facendosi licenziare e assumere lo stesso giorno poco prima che Bankitalia vietasse i «paracaduti d'oro» per i banchieri. A NORDEST Quando non fa spese con la moglie nel quadrilatero milanese, Gianni Zonin può restarsene al fresco della villa in provincia di Udine, a Ca' Vescovo, a due passi dalla laguna di Grado e dal campanile romanico di Aquileia. Una tenuta trasformata in fortezza, con siepi alte tre metri, telecamere, vetri anti sfondamento. Dal 20 gennaio 2016 aziende e vigne della Zonin 1821 appartengono ai tre figli. Nove tenute in Italia, per 2mila ettari coltivati a vite, una in Virginia, negli Usa. Tutto intestato agli eredi con un passaggio generazionale che sicuramente era stato già previsto in tempi non sospetti, ma di certo ha messo al riparo il patrimonio di famiglia dalle tempeste giudiziarie. Zonin è infatti indagato a Vicenza per aggiotaggio e ostacolo alla vigilanza. La stessa banca ha chiesto a lui e ad altri 31 ex dirigenti di risarcire 2,3 miliardi. Ed è stato multato dalla Consob (370mila euro) per illeciti nella vendita di azioni alla clientela. Ma finora l'inchiesta della procura di Vicenza ha procurato al Doge vicentino solo la «seccatura» di un interrogatorio di 5 ore in due anni. Per il suo «vicino» Vincenzo Consoli, ex ad di Veneto Banca, la richiesta di rinvio a giudizio è arrivata a poche ore dal via libera italiano ed europeo al passaggio delle banche venete a Intesa. A muoversi è stata la procura di Roma, che ha chiesto il processo anche per l'ex presidente Flavio Trinca e altri nove tra amministratori e manager: le ipotesi sono presunte irregolarità nella gestione dell'istituto tra il 2012

SCENARIO BANCHE 22 ed il 2014 e ostacolo all'esercizio delle funzioni dell'autorità pubbliche di vigilanza. Consoli si è chiuso in un rigoroso silenzio per due anni poi, lo scorso 3 giugno, ha rilasciato una lunghissima intervista con la sua verità al Gazzettino: «Il dispiacere e il dolore sono per me immensi, verso tutti i soci che hanno perso soldi. Si deve sapere che tra i soci che hanno perso i soldi c'è anche la mia famiglia, c'è mia sorella che faceva l'operaia e aveva investito in banca tutti i suoi risparmi e non li ha più, ci sono i miei figli», ha detto Consoli. Il suo jet Bombardier Learjet 60XR, acquistato nel 2012 da Veneto Banca per assicurare rapidità, comfort e prestigio agli spostamenti dell'allora consigliere delegato, se ne è volato via da Montebelluna lo scorso 23 dicembre per 4,3 milioni di dollari. SOTTO LA LANTERNA «Mi aspettavo l'ergastolo. Ci mancava solo mi sparassero». Lo scorso 22 febbraio non ha rinunciato al suo sarcasmo l'ex presidente di Carige, Giovanni Berneschi, nemmeno con una condanna a 8 anni e 2 mesi di reclusione per la maxitruffa al ramo assicurativo dell'istituto bancario sulle spalle. Eppure per lui è stata uno choc, quella sentenza, anche perche' il pubblico ministero Silvio Franz aveva chiesto 6 anni di reclusione. C'è chi dice che l'ex presidente, uomo libero fino alla pronuncia della Cassazione, se ne stia chiuso nel suo attico genovese e chi invece propende per un ritiro nella sua amata campagna spezzina. Ha una ricca pensione (200 mila euro solo di Inps, più il fondo integrativo della banca) e conta sull'appello, anche perché non è tipo da golf o bridge. L'AFFAIRE ITALEASE Il 20 maggio 2015 è stato ribaltato il verdetto per gli ex vertici di Banca Italease, tra cui l'ex ad Massimo Faenza (che comunque in carcere è rimasto per sette mesi, imputati a Milano per false comunicazioni sociali in relazione ad un bilancio del 2008. Condannati in primo grado, sono stati assolti in appello dai giudici che hanno anche prosciolto l'istituto di leasing, che rispondeva in base alla legge sulla responsabilità amministrativa degli enti, e hanno revocato la confisca da oltre 58 milioni che era stata disposta dal Tribunale più di tre anni fa. Il processo - uno dei tanti filoni dell'inchiesta su Italease che aveva portato, tra l'altro, al patteggiamento a 4 anni per truffa e altri reati per Faenza - vedeva al centro l'accusa di false comunicazioni sociali. Il 27 febbraio del 2014, il Tribunale, oltre a condannare i cinque imputati ad un anno, aveva disposto anche la confisca di 58,9 milioni a carico di Banca Italease, poi finita nel gruppo Banco Popolare. Confisca che poi è stata revocata. Che fine ha fatto, invece, l'ex presidente della Bpm, Massimo Ponzellini? Con l'allora sua braccio destro Antonio Cannalire e altre 12 persone è imputato per la vicenda dei presunti finanziamenti illeciti concessi dall'istituto (oggi fuso con il Banco Popolare) tra il 2009 e il 2010. La gran parte dei reati contestati, tra infedeltà patrimoniale e corruzione privata, cadrà in prescrizione entro il 2017, mentre l'associazione per delinquere a metà del 2018. Si ritorna in aula il 10 luglio. *** Da Mussari ine silio nella sua villa senese a Zonin che fa shopping in Montenapoleone, i banchieri che hanno tradito i risparmiatori ancora non hanno pagato il conto della loro malagestione Mentre gli istituti ora vengono salvati a spese dei contribuenti *** EX VERTICI Da sinistra, l'ex presidente di Mps, Giuseppe Mussari che prima di finire travolto dall'inchiesta giudiziaria su Antonveneta era stato anche eletto presidente dell'Abi; l'ex presidente (per 19 anni) della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin; l'ex patron di Veneto Banca, Vincenzo Consoli; l'ex dominus di Carige Giovanni Berneschi; l'ex presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi; l'ex direttore generale di Mps, Antonio Vigni Tutti in generale vivono bene Hanno distrutto o contribuito a bruciare centinaia di miliardi. Ma nessuno è in prigione ***

SCENARIO BANCHE 23 Giorno-Carlino-Nazione Economia&Lavoro 03-lug-2017

Il crepuscolo delle filiali bancarie Migliaia di sportelli da chiudere dal Veneto al art granducato Mps

Camilla Cresci • MILANO ANCHE SE IL BAIL-IN è scongiurato, il salvataggio delle due banche venete avrà un sicuro impatto occupazionale. In base al piano approvato dalla Commissione europea la Popolare di Vicenza e Veneto Banca, confluite nel frattempo in Intesa Sanpaolo come nuova divisione territoriale, dovranno chiudere 600 sportelli su 990 in due anni. Sarebbero già stati definiti 1.050 esuberi e la trattativa con i sindacati potrebbe iniziare già la prossima settimana per chiudersi alla fine di luglio. Complessivamente per il cavaliere bianco Intesa le uscite potrebbero salire a quota 4.000 per un costo complessivo in termini di oneri di ristrutturazione di 1,5 miliardi. NON A CASO una delle condizioni poste dalla banca guidata da Carlo Messina al governo per procedere all'acquisizione era la copertura di quei costi con risorse pubbliche, stanziate con il decreto legge di domenica 25 giugno. Queste risorse dovrebbero integrare il plafond da circa 650 milioni stanziato dall'ultima legge di bilancio per integrare il fondo di solidarietà della categoria. La notizia positiva è che, grazie ai fondi stanziati, le uscite dovrebbem avvenire attraverso prepensionamenti volontari, la modalità finora utilizzata dal settore bancario per gestire le ristrutturazioni. Viene insomma per il momento allontanato il rischio di licenziamenti collettivi, uno spettro che per molti mesi ha aleggiato sui salvataggi in corso. Ma il Veneto non è l'unico fronte aperto per i bancari italiani. In tempi brevissimi sarà annunciato anche il piano di salvataggio del Monte dei Paschi, l'altro grande malato del credito nazionale. La consistenza degli esuberi è stato uno dei punti più controversi della lunga trattativa tra i vertici della banca, il Tesom e la Commissione Europea e i numeri definitivi non ci sono ancora. Secondo le ultime indiscrezioni la cifra potrebbe oscillare tra le 5.000 e le 6.000 unità per un totale di circa 400 filiali chiuse, anche se inizialmente Bruxelles aveva chiesto fino a 10.000 tagli. Anche per Siena si tratta di capire se le uscite disposte dal piano saranno gestibili con le consuete procedure o se serviranno misure più estreme. DI CERTO l'ammortizzatore della categoria, il fondo di solidarietà, anche se rimpolpato dalle risorse pubbliche, è messo a dura prova dai processi di ristrutturazione in atto. Ubi Banca ad esempio ha recentemente annunciato 1.500 esuberi nell'ambito dell'integrazione delle tre good bank, cioè Banca Marche, Banca Etruria e Carichieti. Altre 3.900 uscite sono previste dall'accordo raggiunto nel febbraio scorso a Unicredit nell'ambito del progetto di ristrutturazione messo a punto dall'amministratore delegato Jean Pierre Mustier. NON È DETTO peraltro che l'elenco finisca qui. Anche dopo il salvataggio delle due venete e del Montepaschi, non mancano le aree di crisi nel settore bancario. Da un lato è in corso la trattativa tra Cariparma e le tre casse di Rimini, Cesena e San Miniato, mentre dall'altro lato si tratta di capire cosa succederà a Carige. Dopo la defenestrazione dell'ad Guido Bastianini e l'arrivo di Paolo Fiorentino la banca genovese deve affrontare un ambizioso programma di rafforiamento patrimoniale il cui esito è tutt'altro che scontato. C'è poi un pulviscolo di piccole e piccolissime aziende bancarie, messe a dura prova dai tassi zero e dalla concorrenza dei big, che potrebbero presto entrare in affanno. Il quadro insomma resta incerto e ogni nuova area di crisi potrebbe avere impegnativi effetti sull'occupazione. Per i bancari italiani insomma le acque continueranno a essere burrascose. Tanto che il presidente della Regione Toscana Enrico Rossi chiederà formalmente al ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan di attivare un tavolo di confronto con Regione e organizzazioni sindacali sui cambiamenti in atto nel sistema bancario in Toscana, anche in vista del piano di salvataggio del Monte dei Paschi di Siena e di altre emergenze occupazionali da gestire in Toscana e Veneto. *

SCENARIO BANCHE 24 Giorno-Carlino-Nazione Economia&Lavoro 03-lug-2017

Contro corrente - Nessuno si fida più di questa Europa art IL CAPITALE di un imprenditore è la fiducia. Mi chiedo oggi che fiducia si possa avere nelle istituzioni italiane ed europee. Prendiamo gli ultimi avvenimenti. Governo e autorità monetarie avevano garantito che le banche italiane erano le più solide del mondo. E allora com è potuto accadere che in due anni ne siano saltate sette? E speriamo naturalmente che non divengano otto, visto che c'è qualche altra situazione rischiosa. Ma non finisce qui: non ci avevano detto che con l'arrivo della Vigilanza della Bce i controlli sarebbero stati rigorosissimi? E allora com è potuto accadere che la Banca Popolare di Vicenza abbia superato gli stress test dell'autunno 2014 e due anni e mezzo dopo sia fallita? Non ci avevano detto che con le nuove regole europee i contribuenti non avrebbero più pagato per salvare le banche? E allora come potuto accadere che lo Stato abbia dovuto mettere a disposizione 17 miliardi per le due popolari venete? NON CI AVEVANO detto che con l'Unione bancaria le regole sarebbero state uguali per tutti? E allora com e potuto accadere che la Nordbank di Amburgo sia stata salvata dal governo tedesco con 17 miliardi, il Banco Popular a spese del Banco di Santander (sperando che ce laccia), Mps con un aumento di capitale precauzionale, Etruria, Marche, Carife, Carichieti dall'intero sistema bancario italiano attraverso il Fondo di garanzia dei depositi e le due popolari dallo Stato che ci ha messo i soldi ma, a differenza di Mps, non ha preso un azione? E che dire del bond da 85 milioni di Veneto Banca? Il 21 giugno il governo con un decreto ha sospeso il rimborso. Se quei titoli fossero stati in mano alle grandi banche d'affari internazionali la notizia sarebbe finita sulla prima pagina del «Financial Times». Siccome riguardava qualche poveraccio in Veneto, a stento se n e occupata la stampa locale. Ora mi domando: come può un imprenditore lavorare in un contesto simile? Non a caso da anni ho smesso di investire nella vecchia Europa e tanto meno in Italia. Prediligo Paesi che escono da una tragedia (per esempio il comunismo) le cui popolazioni apprezzano molto il livello di vita che hanno raggiunto. ***

SCENARIO BANCHE 25 Giorno-Carlino-Nazione Economia&Lavoro 03-lug-2017

Educazione finanziaria - La giungla dei costi sui conti correnti art Quanto costa un conto corrente? Dipende. Essendo un prodotto al quale possono essere collegati una serie di servizi offerti dalla banca, le spese di gestione possono variare sensibilmente. In generale, il costo complessivo di un conto corrente è composto da una parte fissa e da variabile. Vediamo allora come orientarsi per scegliere il prodotto più adatto alle proprie esigenze. * CI SONO sono alcune spese fisse di gestione che non variano, perché sono indipendenti dalti o e dal numero di movimenti che vengono effettuati sul conto, come ad esempio: il canone annuo (cioè il costo del possesso' del conto corrente), le spese per l'invio delle comunicazioni al cliente che la banca è tenuta a fare (estratto conto e documento di sintesi), il canone delle carte di pagamento (es. carta di debito e/o carta di credito) eventualmente collegate al conto, il canone per l'accesso all'home-banking. Infine, va considerata anche l'imposta di bollo. Vi sono poi alcune spese che variano in base al tipo e al numero di operazioni che si fanno (ad esempio: prelievo di denaro con la carta di debito, incasso assegni) e dipendono da come si utilizza il conto e dalle scelte commerciali della banca. Appartengono a questa categoria: le spese per la registrazione sul conto di ogni operazione, le spese di liquidazione periodica (ogni volta che la banca calcola gli oneri e gli interessi), le commissioni per bonifici: addebiti diretti e prelievi (sia quelli eseguiti in filiale siauelli fatti attraverso gli sportelli automatici/ATM), il cui ammontare può variare in base al numero di operazioni fatte e al tipo di canale utilizzato (filiale, online, ATM), le commissioni per il pagamento di imposte e tasse, gli interessi e altri oneri in caso di scoperto. Un utile parametro di valutazione dei costi del conto corrente è 17SC - Indicatore Sintetico di Costo - contenuto nel Foglio Informativo del conto corrente. L'ISCfornisce un idea del costo complessivo de conto corrente in base alle spese e alle commissioni che possono essere addebitate al cliente nel corso dell'anno, senza considerare gli oneri fiscali e gli interessi. *In collaborazione con la Fondazione per l'educazione finanziaria (Abi)

SCENARIO BANCHE 26 Il Fatto Quotidiano 03-lug-2017

Non solo bail-in: la nuova trappola nascosta nella direttiva BRRD art MARIO SEMINERIO Dopo l'intervento di Intesa Sanpaolo, che rileverà a costo zero e con generosi sussidi pubblici la parte sana delle due popolari venete poste in liquidazione, la consegna ufficiale del "sistema" è una sola: ostentare ottimismo. Secondo la vulgata ufficiale, questo - per ora - limitato intervento pubblico è servito a "porre in sicurezza" il sistema bancario italiano, come si ripete da alcuni anni, prima di nuovi dissesti di nostri istituti. Se dovessimo calcolare una tipologia di "costi collettivi", inclusiva quindi non solo del denaro pubblico in senso stretto ma anche degli oneri a carico del sistema bancario che fatalmente si riverseranno su risparmiatori e richiedenti credito (Atlante, braccio volontario del fondo interbancario di tutela dei depositi, fondo nazionale di risoluzione), supereremmo agevolmente -per ora- i 20 miliardi. Ma i problemi non sono terminati. Dopo i pianti greci di Associazionebancaria italiana e Banca d'Italia, che da tre anni invocano la non retroattività delle norme sul bail-in, siamoprossimi alla ridefinizione della direttiva BRRD. Le banche europee dovranno identificare delle passività che possano essere sacrificate in ipotesi di risoluzione. Si tratta del MREL (Minimum Requiremen t of own funds and Eligible Liabilities), un cuscinetto di sicurezza. La Commissione Ue, con l'approvazione dei ministri delle Finanze, lo scorso dicembre ha suggerito l'emissione di obbligazioni senior non privilegiate, tali da poter assorbire le perdite in caso di dissesto bancario. La nuova classe di obbligazioni verrebbe colpita prima di altre passività senior, in caso di risoluzione. La Francia ha già creato uno strumento del genere mentre la Germania ha stabilito, in caso di bail-in, che il debito senior già emesso sarà retroattivamente subordinato a depositi e titoli strutturati legati a derivati. In Italia, dove si è deciso che le obbligazioni senior non debbano per alcun motivo al mondo essere colpite da bail-in, scarseggia il debito "sacrificabile", che dovrà quindi essere emesso pressoché tutto ex novo. L'Abi ha già lanciato l'allarme: questi bond, in un sistema in cui il patrimonio delle banche continua a essere minacciato da alta incidenza delle sofferenze, rischiano di costare carissimo agli istituti, o addirittura di non trovare acquirenti. Malgrado la previsione di un regime transitorio per l'entrata in vigore delle nuove norme (durante il quale i contribuenti italiani rischiano quindi di dover pagare la moltiplicazione di procedure di liquidazione come quelle delle due venete), lo scenario di emersione di nuove crisi bancarie, soprattutto negli istituti di minori dimensioni, resta minacciosamente possibile, per non dire probabile. Allora non avremo più alibi di "eccessiva fretta" di mandare a regime le direttive europee, e risentiremo le lamentazioni sulle "discriminazioni" ai danni di un sistema "solido" come quello delle banche italiane. RIPRODUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 27 L'Economia del Corriere del Mezzogiorno 03-lug-2017

Con la Sga 934 milioni guadagnati dal Tesoro art Non è ancora stata scritta la parola fine sulla telenovela della Sga Banco Napoli che, più passa il tempo, più ci si rende conto essere una gallina dalle uova d'oro. Al punto che alcuni docenti di Economia dell'Università di Napoli, in prima fila il professor Roberto Maglio, giungono a una conclusione davvero sorprendente: il ministero dell'Economia ha guadagnato nel corso di 20 anni, dalla costituzione della bad bank, 934 milioni di euro. Su questo tesoretto oggi debbono essere esercitati i diritti dei vecchi azionisti, a cominciare dalla Fondazione Banco Napoli. Si tratta di veri e propri diritti, quindi, non indennizzi o risarcimenti, conseguenti all'esproprio che seguì all'azzeramento del capitale del maggior istituto di credito meridionale. La stima economica fatta dal professor Maglio è chiara: i costi per il Tesoro sono stati rappresentati dalla ricapitalizzazione per un miliardo e 33 milioni di euro avvenuta nel '96. Invece, sul versante dei ricavi, in aggiunta alla dote di circa 700 milioni di euro della Sga che il dicastero di via XX Settembre a Roma ha indi Emanuele Imperiali camerato con il decreto del maggio 2015, debbono essere conteggiati gli incassi per 32 milioni derivanti dalla vendita del 6o% del vecchio Banco di Napoli in asta alla cordata Ina-Bnl a cavallo tra il '96 e il '97, e quelli realizzati ne11998 in seguito alla privatizzazione della Banca Nazionale del Lavoro per ulteriori 774 milioni. A tali somme in attivo debbono poi essere aggiunte i 493 milioni di euro ricavati nel Duemila con l'opa residuale del San Paolo Imi sul restante 17% del Banco di Napoli ancora nelle mani nel Tesoro, i 469 risultanti nel bilancio della Sga al 2015 e i 201 di presumibile valore di realizzo dei crediti ancora in pancia alla bad bank. Per un totale di un miliardo e 967 milioni, contro un miliardo e 33 milioni di uscite. Di qui il saldo anzidetto pari a 934 milioni. Ci sono voluti vent'anni dal crac del Banco di Napoli, avvenuto perché il Tesoro bloccò l'erogazione delle agevolazioni promesse a circa 15 mila imprese meridionali per un totale di oltre 12 mila miliardi di vecchie lire, come ha ribadito Ammassari, a quei tempi direttore generale del ministero dell'Industria, ma non sono trascorsi invano. Non a caso il Governo Renzi, lo scorso anno, decise la trasformazione della Società Gestione delle Attività come bad bank, facendola rientrare nell'attuale processo di ristrutturazione e rilancio del sistema bancario italiano, con l'obiettivo di recuperare i crediti non performanti e deteriorati. Gli utili conseguiti dalla Sga, dal 2003 al 2015, che ammontavano a circa 43o milioni di euro, non essendo distribuibili, sono stati destinati a riserva. Attualmente sono ancora in pancia alla Sga circa 4000 pratiche residue da recuperare, considerate peraltro le più remunerative. Ecco perché oggi la bad bank può considerarsi un'azienda invidiabile, priva di debiti e patrimonializzata, pronta a una seconda vita dopo che nei giorni scorsi Gentiloni e Padoan le hanno affidato l'incarico di recuperare i crediti problematici e incagliati delle due banche venete, la Popolare di Vicenza e Veneto Banca. RIPRODUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 28 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Salvataggi bancari Il conto in tasca a noi contribuenti sarà salato e non uguale art per tutti - Il conto sarà salato per le venete (Ma lo pagherà chi ha fatto danni?)

di Ferruccio de Bortoli ormai ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Mion, che con l'amministratore delegato Fabrizio Viola ha gestito la banca dopo il dissesto nella sfortunata stagione di Atlante, non se l'aspettava. C'è rimasto male. All'indomani del varo del decreto (25 giugno) per la liquidazione dei due istituti veneti, si è trovato di fronte uno dei commissari che gli ha chiesto, come prima cosa, la carta di credito aziendale. Il commissario ha estratto un paio di forbici e l'ha fatta a pezzetti sotto gli occhi di un Mion esterrefatto. L'osservanza delle procedure, in questo caso del tutto nazionali (Testo unico bancario) ha in sé qualcosa di beffardo e umiliante. A Zonin la carta di credito non l'ha tagliata mai nessuno. E ha fatto in tempo a passare il patrimonio ai figli. Le ragioni Il decreto del governo, arrivato al termine di una estenuante trattativa con la Banca centrale europea e la Commissione europea, era indispensabile. Non approvarlo ora in Parlamento sarebbe suicida. Ma ciò non può eludere alcune domande. Intervenire prima sarebbe costato di meno? Certo, come per il Monte Paschi, il governo ha tergiversato nel timore di pagare un prezzo politico, specialmente nei mesi che hanno preceduto il referendum del 4 dicembre, cullandosi nell'idea di un salvataggio di mercato. Ma è anche vero che, nel dedalo infernale della nuova normativa europea, le autorità italiane sono state messe in difficoltà da interpretazioni incerte e pregiudizi diffusi. Solo il 23 giugno il Comitato di risoluzione unico (Single resolution board) ha accertato che non esistevano rischi sistemici, secondo la direttiva sui salvataggi bancari (Brrd, ovvero Bank recovery and resolution directive), e ha autorizzato l'intervento pubblico sulla Popolare di Vicenza e la Veneto Banca con le regole nazionali. Una scelta che non è piaciuta ai tedeschi, e non solo a loro, che vi vedono la sostanziale inaffidabilità italiana e una ragione in più per dire «no» a un'assicurazione europea sui depositi. Il completamento dell'unione bancaria si allontana. L'Italia è ancora più isolata su molti dossier, nonostante il presidente della Bce Mario Draghi abbia ricordato che la Germania ha destinato al proprio sistema bancario l'equivalente dell'u per cento del Pil. Ma lo ha fatto in tempi utili, prima della normativa del bail in. Firmata da noi e votata anche dai nostri europarlamentari, non dimentichiamolo. Colpevoli In fatto di banche nessuno in Europa è innocente. Solo più forte (Germania) o più lungimirante come la Spagna. Madrid ha chiesto nel 2012 cento miliardi all'Europa e ne ha usati solo 40. Noi italiani prima ci siamo addirittura vantati di essere immuni alla crisi del debito (privato e pubblico) e poi ci siamo mossi con scelte parziali e tra loro incoerenti. Nel novembre del 2015 abbiamo applicato il cosiddetto burden sharing alle quattro banche regionali (Etruria, Chieti, Ferrara, Marche) facendo pagare subito, oltre agli azionisti, gli obbligazionisti subordinati. Salvo poi ripensarci e rimborsare in parte questi ultimi, se privati cittadini. A Siena una soluzione sembra essere stata trovata con la proposta di aumento precauzionale con capitale pubblico (tra 5 e 6 miliardi) per il Monte Paschi, nel quale lo Stato dovrebbe entrare con il 6o-7o per cento. Nella liquidazione delle venete, lo Stato dà invece 4,8 miliardi a Intesa, affinché il gruppo non peggiori i suoi ratios patrimoniali, e garanzie per 12 miliardi sui crediti in sofferenza ma con un accantonamento immediato di soli 400 milioni. Le prospettive È finita qui? «È ragionevole pensare — spiega Giuseppe Lusignani, vicepresidente di Prometeia — che a questo punto il sistema sia stato messo in sicurezza. Anche se vi sono altre realtà a rischio». Le difficoltà di Carige o di Popolare di Bari sono note. «Credo sia stato un imperdonabile errore — aggiunge Lusignani — non prevedere da parte della commissione europea un periodo di transizione nell'applicazione della normativa sul bail in ». Il governo è riuscito nell'intento di salvaguardare, nel limite del possibile, lavoratori, correntisti e risparmiatori e assicurare la continuità del credito alle aziende. Ma gli esuberi tra i bancari saranno ingenti, anche per l'eccesso di sportelli. I correntisti degli istituti coinvolti sono tutelati ma quelli di tutti gli altri ne pagano un prezzo in termini di maggiori costi e commissioni. Gli obbligazionisti senior sono rimborsati a scadenza. Quelli subordinati, con formule diverse a seconda dei casi, ma solo per la clientela minuta e dagli stessi istituti. Gli istituzionali sono esclusi ma investono pur sempre soldi degli stessi risparmiatori. I contribuenti, azionisti a loro insaputa, sono chiamati a un sacrificio indiretto. Non dell'ammontare nominale dell'intervento statale — al momento 23 miliardi — perché la speranza assai fondata è che molti dei crediti in sofferenza, specialmente in una regione come il Nordest in netta ripresa, non si traducano

SCENARIO BANCHE 29 in perdite. L'analisi Se gli istituti di credito, con un'anomalia soprattutto italiana, non si fossero finanziati a lungo emettendo obbligazioni, in particolare le subordinate alla clientela minuta, la crisi sarebbe stata risolta in maniera più ordinata. La questione è tutta qui. Ignazio Angeloni, membro del consiglio di vigilanza della Bce, lo ha detto chiaramente al Senato nei giorni scorsi. Ci sono ancora troppi prodotti finanziari rischiosi nei portafogli della clientela retail. Un'anomalia soprattutto italiana. «Le famiglie — spiega ancora Lusignani — sono arrivate a detenere nel wu fino a 372 miliardi di obbligazioni bancarie, il 10,3 per cento del totale delle attività finanziarie. A condizioni troppo favorevoli perle banche. Solo con la crisi del debito e l'approvvigionamento di capitali a tassi favorevoli presso la Bce, il fenomeno si è sgonfiato. A fine 2016 costituivano il 3,3 per cento del totale. Le famiglie le avevano in gran parte sostituite con risparmio gestito o depositi bancari. La riduzione dovrebbe continuare». Anche perché se non continuasse avrebbero ragione i critici stranieri dell'intervento pubblico nell'accusarci di trattare questi strumenti come titoli di Stato ad alto rendimento. Quindi di incoraggiare il cosiddetto moral hazard. Siamo sicuri che il circolo vizioso non tornerà ad alimentarsi? La Mifid 2, la nuova direttiva sui mercati degli strumenti finanziari, entrerà in vigore nel 2018 e garantirà un livello più elevato di protezione del risparmiatore. Le obbligazioni subordinate non spariranno. Strumenti più rischiosi riemergeranno sotto altre forme. Lo chiede il mercato. Lo chiede persino il regolatore ma solo per gli istituzionali. «Non potrà essere trascurata — afferma Angelo Drusiani, consulente di AlbertinaeSyz — l'esigenza di promuovere una maggiore educazione finanziaria, nella quale siamo gli ultimi tra i Paesi aderenti all'Ocse. Il rischio zero non esiste. E non si possono avere alti rendimenti con bassi rischi». I responsabili dei dissesti vanno individuati e puniti. Per ora, purtroppo, il delitto finanziario paga. E nessuno si è visto fare a pezzi la carta di credito. Dovrà cambiare una cultura bancaria che ha, troppo a lungo, incoraggiato la sottoscrizione di capitale di rischio mascherato da investimento sicuro. Con incentivi ai dipendenti. L'ultimo decreto non e piaciuto ai tedeschi e allontana l'obiettivo dell'Unione bancaria Saranno necessari controlli più efficaci, interni ed esterni, che sono clamorosamente mancati. E dovrà finire una volta per tutte lo scandalo degli ex di Banca d'Italia, della Guardia di Finanza o addirittura magistrati assunti dagli istituti che in teoria dovrebbero controllare. Il contribuente che paga per colpe non sue vorrà sapere se qualcosa, su questo fronte, è cambiato e cambierà. Ma la voglia di chiudere la porta e dimenticare tutto, in Italia è irresistibile. Salvo stupirsi quando la storia si ripete. La continuità del credito tutela i clienti, ma ci saranno molti esuberi da gestire RIPRODUZIONE RISERVATA Le famiglie italiane hanno posseduto per troppi anni bond bancari senza capire il rischio della scelta • I casi chiusi (o quasi) Lunedì scorso, 26 giugno, Intesa Sanpaolo ha rilevato una parte delle attività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, chiudendone la pluriennale crisi. Venerdì è toccato a Carife, finita a Bper dopo che Etruria, Marche e Chieti erano state acquisite da Ubi. Giorni decisivi per il Monte dei Paschi di Siena • Le partite aperte Restano da gestire le crisi di tre ex Casse di risparmio (Rimini, Cesena, San Miniato) a cui è interessato il Crédit Agricole. Oggi, giornata (e cda) decisivo per il futuro della Cadge targata Paolo Fiorentino. Rimane in precario equilibrio la Banca Popolare di Bari ***

SCENARIO BANCHE 30 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Senza salvataggio uno choc sul debito pubblico art di Federico Fubini Non si era mai vista tanta (apparente) incoerenza come quella andata in scena esattamente sette giorni fa. Durante il fine settimana il governo italiano, il più indebitato in Europa dopo la Grecia, aveva fatto l'opposto di ciò che gli investitori potrebbero augurarsi da un Paese del genere: ha «mobilitato i7 miliardi di euro» (parola del premier Paolo Gentiloni) per un duplice salvataggio bancario che forza tutte le regole europee in materia. Sulla Popolare di Vicenza e Veneto Banca non è scattato il temuto «bail-in», il coinvolgimento nelle perdite degli obbligazionisti ordinari e potenzialmente dei depositanti sopra i ioo mila euro. Sono stati azzerati solo i bond subordinati, i più esposti, e le azioni: il resto dell'operazione avviene con il passaggio a Intesa Sanpaolo delle parti buone delle due banche, grazie a un forte contributo dello Stato in capitale e garanzie. Difficile immaginare qualcosa di più negativo per il debito pubblico, sulla carta Eppure, per ora, i mercati non la pensano così. Lunedì scorso i differenziali sul premio di rischio fra titoli di Stato italiani e tedeschi, gli spread, si sono persino ristretti e i rendimenti dei titoli del Tesoro di Roma a 10 anni sono scesi da 1,70% a 1,669. Come se gli investitori ritenessero positivo per la tenuta dei conti pubblici un salvataggio che «mobilita» 17 miliardi dei contribuenti. Naturalmente il mercato ha sempre ragione, finché non capisce che aveva preso un abbaglio. Anche lo spread fra la Germania e la Grecia dieci anni fa era più stretto di quello fra Parigi e Berlino di due mesi fa. Ma ricostruire la psicologia degli investitori nel caso delle banche venete getta comunque un po' di luce sull'operazione, perché la loro intelligenza collettiva racchiude sempre un grumo di verità del momento. La conclusione, con ogni probabilità, non è che il Tesoro italiano abbia ragione o che qualcuno gli abbia creduto sul serio. Quasi nessuno lo ha fatto. A pagina 5 della «relazione tecnica» del decreto sulle banche venete del 25 giugno scorso si legge che lo Stato dovrebbe guadagnare un miliardo dall'intera operazione (prima di impegnare 30o milioni in «garanzia ad esito della due diligence» dei crediti passati a Intesa Sanpaolo). Difficile che finisca davvero così. La certezza in quella relazione è che il totale degli «impegni» del governo, cioè degli esborsi di cassa, sarà di 10,6 miliardi. Quanto al «realizzo dell'attivo della liquidazione», la somma che lo Stato deve ricavare in gran parte dalla gestione dei crediti in default, l'«ipotesi» è fissata in incassi per 11,6 miliardi. Questa prospettiva sembra molto incerta e poco probabile. Essa presuppone infatti che i commissari liquidatori riescano a vendere al loro pieno valore «partecipazioni e equity» (non meglio precisate) per 1,7 miliardi. Ma soprattutto, ipotizza che con la liquidazione delle due banche venete si recuperino 9,9 miliardi, 55,6% del valore di un portafoglio di 17,8 miliardi di prestiti entrati in vari stadi di default. Su una quota di crediti da 2,8 miliardi (il 15,6%degli impieghiandati a male) i debitori in teoria dovrebbero tornare pienamente in pari; sulla parte restante invece, fra otto o nove anni il tasso di recupero del prestito iniziale dovrebbe essere in media del 46,9%, una volta preso possesso dei beni posti a garanzia dei crediti. Questo non sembra realistico. Le banche venete, la stessa Intesa e molte altre tendono a stimare su questo tipo di impieghi andati a male una quota di recuperi fra il 35% e il 40%. Investitori esteri come Elliott e Fortress si sono rifiutati per esempio di comprare i crediti cattivi di Monte dei Paschi, perché il prezzo offerto era di 21 centesimi per ogni euro di prestiti in default: i due fondi stimano una redditività lorda del 2% l'anno per un decennio, dunque un recupero totale di valore attorno al 4o% che avrebbe potuto dare un minimo margine di guadagno solo comprando per meno di 21 cent al pezzo. In sostanza le «ipotesi» del Tesoro sulla capacità di recuperare i fondi impegnati sulle banche venete appaiono deboli. Perché allora i mercati hanno risposto comprando, non vendendo, il debito italiano? Per una volta la loro reazione non appare illogica. A un tasso di recupero sui crediti in default del 40%, sempre alto ma più plausibile, il governo riavrebbe tre miliardi in meno rispetto ai 10,6 che avrà speso. Sembra dunque verosimile che alla fine lo Stato non registri un guadagno sull'operazione, ma una perdita. Alla fine l'aumento di debito pubblico per le due banche venete sarà verosimilmente di circa tre o quattro miliardi di euro (lo 0,15-0,2% del reddito nazionale). Ed è ovvio che gli investitori lo accolgano con favore. In primo luogo, perché l'intervento rimuove un rischio sistemico di contagio finanziario e un ostacolo alla crescita che avrebbe complicato la sostenibilità del debito. Esso poi limita la perdita pubblica potenziale: il governo aveva già garantito debito delle due venete per dieci miliardi e un «bail-in» avrebbe trasformato all'istante quella somma in debito pubblico. Niente di tutto questo fa di questo intervento qualcosa di cui andare fieri in Italia. Non si doveva arrivare al punto da renderlo inevitabile. Ma la risposta positiva

SCENARIO BANCHE 31 sui Btp rimane, per quando è dato sapere, perfettamente razionale. RIPRODUZIONE RISERVATA • Glossario II bail in è il cardine della riforma entrata in vigore il 1 gennaio 2016 che norma, secondo principi opposti al passato, la gestione delle crisi nel mondo del credito. È una normativa voluta e studiata a livello europeo e applicata su tutto il territorio dell'Unione. In buona sostanza prevede che, davanti a una banca in crisi, siano gli stessi azionisti della banca e poi gli obbligazionisti fino ad arrivare anche ai correntisti a dover agire per il salvataggio. Escludendo l'aiuto pubblico, al fine di non turbare la libera concorrenza. Cosa si salva (Gli effetti del Bail-in) CONTI CORRENTI Fino a 100 mila euro LIBRETTI DI DEPOSITO Fino a 100 mila euro COVERED BOND E CERTIFICATI GARANTITI Qualsiasi importo CASSETTE DI SICUREZZA L'intero contenuto CONTI DI DEPOSITO TITOLI Esclusi eventuali titoli della banca coinvolta FONDI COMUNI Esclusi eventuali titoli della banca coinvolta Cosa si rischia (Gli effetti del Bail-in) AZIONI Azzeramento parziale o totale OBBLIGAZIONI SUBORDINATE Azzeramento parziale o totale o conversione in azioni OBBLIGAZIONI SENIOR Coinvolti nei casi più gravi CONTI CORRENTI OLTRE 1100 MILA EURO Coinvolti dopo gli azionisti e gli obbligazionisti

SCENARIO BANCHE 32 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

L'opinione degli italiani - L'accordo andava fatto ma i dubbi restano art Le venete andavano salvate oppure no? La domanda del sondaggio Swg di questa settimana chiede conto agli italiani dell'operazione appena conclusa perla vendita a un euro degli istituti di Montebelluna e Vicenza. «Sono anni che il tema delle banche è all'attenzione dell'opinione pubblica e genera molte reazioni che riflettono bene gli stati d'animo dei cittadini», spiega Maurizio Pessato, presidente di Swg. Oltre la difficoltà a capire i problemi, la ricerca delle responsabilità, la preoccupazione per i risparmi, la diffidenza verso l'Unione europea, al cittadino resta un dubbio: a chi toccherà davvero il saldo finale? L'indagine di Swg mostra che solo poco più di un quinto dell'opinione pubblica è totalmente contraria all'accordo trovato tra Intesa Sanpaolo, governo e Ue; solo un sesto lo approva in toto. «La gran parte, quasi la metà, è dubbiosa — osserva Pessato —. La distribuzione delle risposte evidenzia che la maggioranza dei cittadini non mette in mora la soluzione; questa andava trovata, anche a costo di avere qualche aspetto discutibile». D'altra parte, il pieno sostegno alla via d'uscita è limitato. Qualcuno, forse, sta pensando che si poteva fare prima o in modo diverso. «Dall'analisi dei segmenti sociali e territoriali emerge che il Nord Est approva in modo superiore alla media la soluzione, mentre appare una certa contrarietà nel Nord Ovest — riflette Pessato —. I dipendenti e i pensionati indicano un favore superiore alla media, in modo inverso si muovono gli operai, il lavoro autonomo e la piccola impresa». Insomma, anche nelle varie accentuazioni non cambia lo schema generale dei risultati. «Che ha il sapore di un'accettazione obbligata», conclude Pessato. Francesca Gambarini RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 33 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

L'uomo del nordest arriva da Roma art di Stefano Righi Quando sono entrato per la prima volta nella sede della Banca Popolare di Vicenza e in quella di Veneto Banca, lunedì scorso, le persone ché ho incontrato, le prime linee operative dei due istituti che da poche ore erano finiti sotto l'ombrello di Intesa Sanpaolo, mi sono parse rincuorate per come era finita la loro vicenda professionale. Rasserenati. Finiva un incubo durato troppo a lungo. Si poteva ricominciare a costruire. Io guardavo Gabriele Piccini, che da sei mesi lavorava in quel gruppo e che era stato appena nominato responsabile delle ex banche venete nella nona direzione regionale da me diretta, e lui mi assicurava su come, nonostante tutto, in quelle due banche fosse rimasta qualità, sia del personale che vi lavora che dei rapporti con la clientela. Un buon punto di partenza, ma anche una responsabilità in più per tutti noi di Intesa Sanpaolo». C'è un palazzo a Milano che tutti conoscono come Ca' de Sass, per la severa facciata in pietra. È a due passi da via Manzoni, era la sede della Cassa di risparmio delle provincie lombarde. Qui, al secondo piano, nella stanza 222, difeso da due segretarie, lavora Stefano Barrese, 47 anni, romano, responsabile della Banca dei Territori di Intesa. Sulla sua scrivania, ordinati e allineati, i dossier di tutte le banche locali che compongono il puzzle di Intesa, la più ampia rete agenziale d'Italia: 3.360 sportelli a cui si aggiungono i circa goo acquisiti da Veneto e Vicenza. È qui che il piano voluto dal ceo group Carlo Messina prende corpo. Poco lontano, a trecento metri, sull'altro lato di via Manzoni, inizia via Monte Napoleone. Lì, mercoledì scorso, l'ex presidente della Popolare di Vicenza, Gianni Zonin, si dedicava allo shopping nei negozi del lusso. Qui, da una settimana, si cerca di tenere assieme e di dare un futuro a quanto le scellerate gestioni che facevano capo proprio a Zonin e a Samuele Sorato a Vicenza e a Vincenzo Consoli e a Flavio Trinca in Veneto Banca, hanno distrutto, causando un buco superiore ai venti miliardi di euro di cui ancora nessuno è responsabile. Il compito non è semplice. Barrese — maturità scientifica nella capitale al liceo Cristo Re e laurea in Economia e Commercio alla Luiss, con tesi sul rapporto tra banca e impresa — guarda proprio alle imprese come cartina di tornasole dell'impegno di Intesa a Nordest. «Vicenza e Treviso, dove avevano sede le due banche, sono territori con degli straordinari fondamentali economici: un'imprenditoria capace, votata all'innovazione e all'export. Un'imprenditoria che vuole guardare avanti. Ho letto le preoccupazioni del presidente della Confindustria di Vicenza in merito al rischio di concentrazione del credito. Di sicuro, mi sento di dire subito, che non faremo mancare credito a Nordest. Dovremo fare una fotografia, abbiamo bisogno di conoscere, di comprendere le situazioni. Ma il messaggio di Carlo Messina è stato molto chiaro e il plafond aggiuntivo di 5 miliardi è da subito un segnale concreto di apertura verso quei territori: le due reti continueranno la loro attività. Venerdì scorso abbiamo incontrato una parte delle strutture commerciali e dei gestori delle due ex banche venete: acquisiamo 1,9 milioni di clienti, non faremo mancare credito a nessuno, ma siamo anche convinti che non si possa e non si debba fare credito con leggerezza». Personale In un territorio in cui Intesa Sanpaolo era già leader di mercato, i 900 sportelli di VenetoeVicenza creano un affollamento non sostenibile. Ci sono alcuni piccoli centri dove oggi Veneto, Vicenza e Intesa hanno agenzie nella medesima via. «Quello degli sportelli — assicura Barrese — francamente non è un tema. Gli sportelli si chiudono, è una tendenza evidente nella nostra industria. Noi siamo piuttosto focalizzati sui dipendenti, che vogliamo motivare e allineare agli standard di Intesa. Non solo nella consulenza e nell'offerta dei prodotti — qui soprattutto nelle soluzioni di wealth management daremo molta enfasi a prodotti a capitale protetto — ma proprio nell'atteggiamento: il nostro focus è l'interesse del cliente. Gli esuberi? Ci sono. Ma non licenzieremo nessuno. Nel complesso sono poco meno di 3.9oo le persone in eccedenza nell'intero gruppo, ma si tratta di persone che usciranno solo su base volontaria in applicazione del Fondo di solidarietà. Sulla rete l'impatto è molto limitato. Diversa la condizione delle due strutture centrali delle ex banche venete, che assorbono circa il 3o per cento dei dipendenti. Ma la nostra volontà di fondo è mantenere sostanzialmente inalterati i livelli occupazionali». L'integrazione di Popolare di Vicenza e Veneto Banca nella maggiore banca italiana procederà in due fasi. Entro la prossima primavera avverrà l'allineamento informatico, prima dell'estate zoi9 l'intero processo sarà completato. Nel mezzo il rebranding, la sostituzione delle insegne, il cambio delle livree. I due vecchi marchi spariranno rapidamente con tutto il carico di negatività che si portano addosso. Un racconto lungo un secolo e mezzo buttato nel cestino. Tra i nuovi slogan verrà premiata la solidità del gruppo Intesa, che ora arriva a sanare una situazione degenerata. Il Veneto del credito riparte ancora

SCENARIO BANCHE 34 una volta da zero. E ancora una volta per responsabilità proprie. RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 35 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

La Stanza dei Bottoni - Banche rock Le manager di Wcd in Ambasciata art a Cura di Carlo Cinelli e Federico De Rosa Avvocati, banker, consulenti e manager si sfidano. A colpi di rock. L'idea è venuta a Lc Publishing group, che edita i portali legalcommunity e financecommunity, che per la Legal Week di Milano ha organizzato il primo Corporate Music Contest. Mercoledì sul palco dello Spazio Scalabrini saliranno il notaio Carlo Marchetti, l'avvocato di BonelliErede, Andrea Carta Mantiglia, il partner di Linklaters, Giorgio Fantacchiotti. E poi i gruppi Bank-in Band di Banca Imi, The Pdf's di Fineurop Sodotic e insospettabili rocker di Chiomenti, Gianni Origoni Grippo Cappelli e partners, Unicredit e Wind 'Ire. Una giuria di esperti premierà la migliore perfomance. Nuova agenzia per Tingstrom La «lady di ferro» della comunicazione (così l'hanno ribattezzata da quando è atterrata a Milano) ne ha pensata un'altra (di agenzia). Lasciata la multinazionale Msl dopo la fusione con Cnc communication, Louise Tingstrom, la manager svedese che ha in mano l'agenda di Jean Pierre Mustier, si era messa in proprio fondando Chandos Pr, poi finita sotto le insegne del gruppo Havas di Vincent Bolloré. Da qualche giorno il nome di'l'ingstrom è apparso sul registro delle imprese di Londra come maggiore azionista di Finelk Limited, società inserita nella categoria «public relations and communications activities». Chissà se la mission della nuova agenzia di pr riguarderà anche l'Italia. La Brexit vista da Morris La Brexit non è solo una questione politica o di bilancio. Ci sono tante altre sfumature a far da contorno al divorzio tra Londra e Bruxelles. E l'ambasciatore inglese in Italia, Jill Morris, ha scelto di affrontare le implicazioni nella governance delle società, su suggerimento di Wcd, Women Corporate Directors, la più prestigiosa think tank internazionale al femminile dedicata alla corporate governance, che conta 75 chapter in giro per il mondo e associati le cui aziende valgono in totale oltre 8 mila miliardi di dollari. Morris ne parlerà domani, 4luglio, a Roma con le presidenti italiane della Wcd Foundation Italia, Marina Brogi e Cristina Finocchi Mahne, e una pattuglia di top manager, secondo le rigide regole della Chatham House. Far carriera al femminile Si parla di economia al femminile anche alla Luiss di Roma, dove luned'i prossimo The Ruling Companies ha invitato gli associati (oltre 120 aziende) a discutere di mobilità professionale delle donne. 11'he sticky floor: dal "soffitto di vetro" al "pavimento appiccicoso"» è Il titolo la tavola rotonda in cui si confronteranno Laura Villani, managing director di The Boston Consulting Group, Sandra Mori, presidente di Valore D, Walter Ruffinoni, amministratore delegato di Ntt Data, Simonetta larlori, coo di Cassa Depositi e Prestiti, Olga Iarussi, ceo Sud Europa di Triumph International e l'economista Veronica De Romanis. L'energia di Boschi e Gasparri Lei frequenta i social network per dovere istituzionale, ma in modo moderato. Lui invece ha un rapporto compulsivo con Twitter, dove se l'è presa un po' con tutti. Chissà fuori dalla rete come sarà il dialogo tra il sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio, Maria Elena Boschi e il vicepresidente del Senato, Maurizio Gaspard. I due, insieme a Cosimo Maria Ferri, sottosegretario al ministero della Giustizia, al senatore Massimo Mucchetti, all'onorevole Giancarlo Giorgetti e allo stato maggiore dell'energia guidati dal ceo di Eviva, Carlo Bagnaseo, e dal presidente di FareAmbiente, Vincenzo Pepe, si ritroveranno martedì, ospiti del Senato all'Istituto Santa Maria in Aquiro, a discutere di mercato elettrico. Rutelli accoglie Birol Tema, quello dell'energia, che giovedì sarà anche al centro del convegno milanese organizzato dal Centro per un Futuro Sostenibile, Institute of european democrats e Università degli Studi di Milano, per definire «L'agenda per il clima e l'energia». Ad aprire i lavori saranno Francesco Rutelli, nella veste di presidente del Centro per un Futuro Sostenibile, il sindaco di Milano, Giuseppe Sala e il rettore dell'Università di Milano, Gianluca Vago. A seguire due interventi dedicati agli scenari energetici. Il primo sarà del turco Fatih Birol, direttore esecutivo dell'Agenzia internazionale per l'energia, l'altro di Giampiero Massolo, presidente dell'Ispi. In chiusura l'europarlamentare Simona Bonafé dialogherà con l'ambasciatore, Li Ruiyu dei rapporti Europa-Cina. Comitato Leonardo a Bologna Il Comitato Leonardo fa tappa a Bologna. La presidente Luisa Todini insieme al presidente di Ima, Alberto Vacchi, e al numero uno della Confindustria Emilia Romagna, Maurizio Marchesini, riuniranno giovedì al Museo del Patrimonio Industriale il gotha dell'imprenditoria locale per parlare di investitori esteri e opportunità di sviluppo. Dopo l'introduzione, Alessandro Carpinella di Kpmg Advisory la parola passerà a Mauro Strani Fornasini, amministratore delegato di Philip Morris Manifacturing e Technology, e agli imprenditori Sonia Bonfiglioli, Adolfo Guzzini e Sergio Sassi. RIPRODUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 36 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Offshore - Governi e salvataggi bancari, quella norma non scritta art Il salvataggio di Popolare di Vicenza e Veneto banca, attuato dal governo italiano e approvato dal commissario Ue per la Concorrenza, la danese Margrethe Vestager, ha provocato polemiche sull'applicazione delle norme Ue sugli aiuti di Stato al sistema bancario. In pratica sono state rilanciate critiche simili a quelle che avevano accompagnato, al.-.l'inizio della crisi finanziaria, i maxi esborsi pubblici Bundesbank perle banche tedesche, britanniche, irlandesi o spaII presidente gnole. Jens Weidmann Stavolta ha aperto dubbi vedere la Concorrenza Ue accettare che il governo di Paolo Gentiloni e Pier Carlo Padoan riducesse le perdite a carico degli investitori privati, mentre per la nuova normativa Ue con «bail-in» e «burden sharing» sarebbero dovute essere maggiori (in modo da evitare o ridurre il costo peri contribuenti). Hanno criticato dal presidente della Bundesbank tedesca Jens Weidmann fino a media finanziari anglosassoni. Ma più o meno lo stesso era accaduto quando i governi della Germania e del Regno Unito sborsarono centinaia di miliardi pubblici per evitare il tracollo delle loro banche affossate dai titoli tossici. Allora apparvero evidenti sia la distorsione della concorrenza a danno delle altre banche europee non aiutate, sia il salasso dei contribuenti. La cancelliera tedesca Angela Merkel si difese facendo varare a Bruxelles l'Unione bancaria (con le norme su «bail in» e «burden sharing») per rassicurare che non ci sarebbero più stati aiuti di Stato a banchieri e investitori privati. Ma pretese eccezioni perla Nordbank di Amburgo e per le banche regionali. La replica in corso con Montepaschi e le due venete segue altre eccezioni in vari Paesi membri. In sostanza la norma Ue non scritta resta che si salvano le banche con aiuti di Stato, quando i governi non vogliono perdere consensi locali. E dopo si gestiscono le critiche su come sono state interpretate e applicate le regole Ue a tutela della concorrenza. RIPRODUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 37 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Qui Milano piccole e medie alla riscossa. Banche a metà del guado art di Adriano Barrì Al giro di boa Piazza Affari gode di buona salute. Da inizio le blue chip si posizionano ai vertici per performance dei listini europei dopo la maglia nera del 2016. Ancora meglio hanno fatto quelle a medio piccola capitalizzazione: da gennaio ad oggi sono salite del 28%. Un rally alimentato dalla benzina in arrivo dai Pir, i fondi di investimento specializzati in economia reale italiana che stanno facendo man bassa di titoli, soprattutto medio piccoli. Un po' a sorpresa in cima alla lista di chi ha corso di più c'è Ubi Banca 49%. La dimostrazione che il settore finanziario italiano, nonostante la vicenda delle banche venete, gode dell'interesse del mercato. Ma il grosso della pattuglia degli scattisti è composta da società industriali a vocazione internazionale: Ferrari, Recordati e Campan. Tra i piccoli si mettono in evidenza Landi Renzo, leader nel campo dei motori ecologici, Gefran e Sogefi che hanno raddoppiato il proprio valore da inizio anno. In ritardo le società legate al settore petrolifero complice la debolezza del prezzo dell'oro nero che viaggia lontano dai massimi di periodo e i media come Mediaset a cui non giova sicuramente il litigio con Vivendi. L'Economia ha fatto il punto della situazione della prima metà della stagione borsistica mettendo in rassegna le società appartenenti all'Indice FtseMib e all'indice Star. Conquistando la medaglia d'oro per performance da gennaio ad oggi tra le blue chip, Ubi può anche festeggiare il successo riscosso con l'aumento di capitale: 99,31% delle adesioni, che hanno consentito di raccogliere 397,2 milioni sui 400 richiesti al mercato. Un'iniezione di liquidità che si è resa necessaria per riequilibrare gli indici di patrimonializzazione dopo l'acquisto delle tre Good Bank: CariChieti, Banca Etruria e Banca Marche. Un risultato in linea con le aspettative di Kepler Cheuvreux che lo scorso 13 giugno aveva confermato la raccomandazione buy (comprare ndr), con prezzo obiettivo a 3,9 euro per tener conto dell'effetto diluitivo sul numero delle azioni dell'aumento di capitale. Gli analisti si aspettavano : «un'esecuzione positiva della ricapitalizzazione e dell'integrazione delle tre banche regionali, con sinergie di costi e ricavi e il miglioramento del capitale e del profilo di rischio». Giudizio positivo anche per Equita Sim che ha confermato il giudizio buy (comprare ndr) con un prezzo obiettivo di 4,2 euro. Le mid cap Tra le società a media capitalizzazione si è messa in mostra Landi Renzo che da inizio anno ha guadagnato oltre il 150%. Un movimento guidato dal positivo flusso di notizie: Eni e Snam hanno infatti recentemente firmato un accordo per lo sviluppo delle stazioni di rifornimento a metano in Italia. L'accordo prevede un investimento di 150 milioni di euro al 2021 per realizzare fino a 300 nuovi distributori di gas da autotrazione. Landi Renzo è tra i principali beneficiari dell'accordo sia per la costruzione delle stazioni di rifornimento che per lo sviluppo del parco auto. Di recente l'amministratore delegato, Cristiano Musi, ha dichiarato che «stiamo lavorando sul nuovo piano strategico che sarà pronto per metà, fine luglio 2017». Banca Akros ha così alzato la raccomandazione del titolo a neutral (neutrale ndr) da reduce (ridurre ndr), con prezzo obiettivo salito a 0,5 da 0,2 euro. Secondo gli analisti: d conti del primo trimestre 2017 mostrano una certa luce alla fine del tunnel». In saldo Maglia nera per Saipem, principale operatore in Italia nei servizi per le esplorazioni petrolifere che da inizio anno lascia sul terreno il 40%. Un movimento guidato dalla debolezza del prezzo del petrolio anch'esso in calo da gennaio ad oggi di quasi il 20% Ma il peggio potrebbe essere alle spalle. La pensa così Morgan Stanley che in un report di aggiornamento delle stime sugli utili per tutta l'industria dei servizi petroliferi, ha ridotto il target price di Saipem da 6 a 5,5 euro ma conferma la raccomandazione overweight (sovrappesare in portafoglio). Gli analisti restano positivi sull'azione alla luce della valutazione molto bassa: il titolo tratta ad appena 4,8 volte l'Ev/Ebitda 2018 rispetto alla media storica di 8 volte. RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 38 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Mifid II, la certificazione una corsia preferenziale art Il 3 gennaio 2018 potrebbe essere una data cruciale per l'industria del risparmio. Che si tratti di un vero cambio di paradigma o di una semplice manutenzione della prima direttiva sui mercati degli strumenti finanziari — dipenderà in larga parte dai provvedimenti attuativi — l'entrata in vigore di Mifid II è destinata ad aumentare le tutele a favore degli investitori, non solo in tema di trasparenza sui costi. «Uno degli aspetti più rilevanti riguarda le competenze e il bagaglio di conoscenze richieste agli intermediari per fornire un adeguato servizio di informazione e consulenza agli investitori», osserva Luciano Liccardo, segretario generale di Efpa Italia. A questo proposito, Esma, l'Autorità europea degli strumenti finanziari e dei mercati, ha emanato nel 2016 le linee guida cui i singoli legislatori nazionali dovranno attenersi nell'emanare i regolamenti di attuazione. II tempo stringe. Per l'Italia, spetterà a Consob esprimersi. Entro metà luglio è attesa la pubblicazione di un documento di consultazione. Gli operatori avranno poi un mese di tempo per fornire le loro eventuali osservazioni. «II principio di fondo su cui insiste la direttiva è la tutela dell'investitore — ricorda Liccardo —. Per centrare tale obiettivo, tra i vari requisiti, fa esplicito riferimento anche all'opportunità di certificare competenze e conoscenze. La certificazionevienevista, quindi, come uno dei criteri principali in grado di accertare un'adeguata formazione da parte di chi presta il servizio di informazione e di consulenza finanziaria. Inoltre, viene introdotto il concetto di verifica delle qualifiche, ovvero la necessità di un costante aggiornamento professionale». Per il segretario generale di Efpa, del resto, la certificazione del percorso formativo non riflette solo un futuro obbligo normativo a livello europeo. «Lo chiederà il mercato, che diventa sempre più competitivo». Secondo Liccardo, i vantaggi offerti da un ente certificatore come Efpa, in qualità di organizzazione europea impegnata nella definizione di standard professionali condivisi, abbracciano diversi ambiti: da un lato, spiega, una certificazione di qualità, mantenuta nel tempo, infonde nell'investitore una maggiore fiducia nei confronti del proprio consulente. Dall'altro, rende quest'ultimo più consapevole del proprio livello di competenze, inserendolo in un percorso di formazione permanente. «Per le reti di distribuzione — conclude Liccardo —l'accesso a più livelli di certificazione amplierà la possibilità di impostare strategie formative diverse, in funzione degli obiettivi di sviluppo nei mercati target». Pieremillo Gadda RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 39 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Tutto il mondo del Fintech a portata di clic art L'idea è quella di mettere un po' d'ordine nel variegato mondo delle Fintech. Creare una bussola per trovare in modo semplice, e affidabile, il servizio più adatto alle proprie esigenze. Come una sorta di Tripadvisor. Così è nato «Fintastico.com», il primo sito italiano dedicato ai servizi finanziari evoluti, che in un anno e mezzo di vita è riuscito a scalare le classifiche entrando nella Top2o di Strands Finance, il sito internazionale di riferimento per le classifiche Fintech. A fondare Fintastico sono stati tre ragazzi «del mestiere»: Fabio Brambilla, ex McKinsey che aveva già lanciato Advanced Capital sgr e Controlpartners, Fabio Marras che nel 2010 ha dato vita al primo roboadvisor d'Europa AdviseOnly, e Fabrizio Villani, eletto nel 2016 da Insurance Nexus tra i migliori io influencer insurtech e Internet delle cose al mondo, creatore nel 2014 del gruppo Fintech Italia su Linkedin, che oggi conta 2200 iscritti. Su Fintastico si trovano oggi oltre 1.200 servizi fintech classificati, che diventeranno 3.000 entro fine anno, da quelli bancari al blockchain, dalla sicurezza alle monete digitali fino al crowdfunding e al money transfer. Obiettivo del sito è ridurre la complessità del mondo fintech offrendo un'informazione affidabile e tempestiva. E Fintastico lo fa utilizzando algoritmi e intelligenza artificiale, affiancando a questo un'attività di divulgazione sul fintech, con l'identificazione dei trend del momento, spiegazioni tecniche, interviste ai protagonisti del settore, tramite un blog a cui collaborano l'Osservatorio del Politecnico di Milano, SiamoSoci, SpidChain e Growish. Fintastico.com, nato in Italia, è già sbarcato in Spagna e a breve coprirà anche Francia, Germania ed Israele. Federico De Rosa RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 40 L'Economia del Corriere della Sera 03-lug-2017

Wall Street rallenta. E riabilita i big bancari art di Maria Teresa Cometto La festa è finita a Wall Street? Sembra di sì, a giudicare dalle previsioni degli analisti su dove sarà a fine anno l'indice SeP 5oo, il più rappresentativo della Borsa americana. La media dei 20 intervistati dalla società di ricerche Birinyi associates lo vede infatti a quota 2.400punti, piùo meno lo stesso livello di fine giugno. Un risultato che però non sarà raggiunto con un andamento piatto delle quotazioni. Gli investitori devono aspettarsi invece saliscendi burrascosi, dopo un periodo di calma inusualmente lungo. E a trascinare all'ingiù il listino potrebbero proprio essere i cinque titoli tech con le zanne — Faang è il loro acronimo, simile a fang, zanna in inglese — che finora hanno rappresentato gran parte del rialzo, ma che sono ormai arrivati a prezzi da Bolla speculativa e appaiono anche a rischio di sanzioni politiche contro il loro strapotere. L'idea Una buona notizia? Se i Big della tecnologia peseranno negativamente sulla seconda metà dell'anno, i risparmiatori possono però cambiare cavallo e puntare sul settore finora andato peggio, quello delle banche e finanziarie, seguendo l'esempio di Warren Buffett. Certo, le azioni con le zanne hanno dato grandi soddisfazioni finora: Facebook e Amazon si sono rivalutate del 30% da inizio anno, oltre il doppio dell'indice Nasdaq (+14%), che è ai massimi storici. E anche la performance meno brillante, il 13% di Google (Alphabet) è comunque molto più alta di quella degli indici SeP5oo e Dow Jones. Ma le loro quotazioni sono diventate davvero care: vanno da 38 volte i profitti aziendali nel caso di Facebook a 184 volte per Amazon. «Quale rivista non ha Jeff Bezos o Mark Zuckerberg in copertina? — chiede Bill Smead, gestore di Smead capital a Seattle—. Non c'è dubbio che questa euforia possa finire malissimo. Ma il mercato può continuare ad essere irrazionale a lungo e queste azioni possono ancora realizzare un ultimo forte rally prima di sgonfiarsi». A bucare la Bolla, osserva JasonTrennert di Strategas a NewYork, può essere non solo l'improvvisa consapevolezza delle loro eccessive valutazioni, ma l'intervento del governo e delle autorità di controllo. «Ben prima dell'ultimo tweet del presidente Donald Trump contro Amazon — sottolinea Trennert — una varietà di improbabili alleati politici come la senatrice Democratica Elizabeth Warren e il New York Times hanno espresso preoccupazione sulla possibilità che Facebook, Google e Amazon abbiano accumulato troppo potere». I conti In effetti secondo l'ultimo rapporto di Pwc sull'industria globale dei media, 41 fatturato pubblicitario di Google equivale a quello di tutti i giornali stampati nel mondo, quello di Facebook supera gli introiti di tutte le radio e insieme il duopolio incassa quasi il 50% di tutta la spesa pubblicitaria». Insomma «Facebook, Amazon e Google — dice ancora Trennert — possono finire nel mirino prendendo il posto dei settori dell'energia e della finanza». La finanza, invece, potrebbe diventare un rifugio. Dopo aver passato a pieni voti lo stress test della Federal reserve, le grandi banche hanno annunciato l'aumento dei dividendi che, in rapportoal prezzodelleloroazioni, è arrivato a un rendimento del 2%, competitivo con quello dei decennali del Tesoro. In particolare il nuovo dividendo di Bank of America ha fatto scattare la decisione di Buffett di trasformare le sue azioni privilegiate in ordinarie, rendendolo il più grande azionista della banca che controlla Merrill Lynch. La seconda meta dell'anno, nonostante la ripresa anemica rispetto al passato, gli incombenti rialzi dei tassi, le delusioni per il rinvio dei tagli delle tasse può riservare sorprese positive secondo Sam Stovall, stratega degli investimenti di Cfra. «Non ci sono segnali di recessione — puntualizza Stovall — e i profitti aziendali crescono a ritmo sostenuto». RIPRODUZIONE RISERVATA

SCENARIO BANCHE 41 Libero Quotidiano 03-lug-2017

Fuori i nomi dei ladri delle popolari venete art di FRANCESCO DE DOMINICIS Arriva in Parlamento il decreto sulle banche venete. ri calendario è rigidissimo ed è stato imposto dal governo per evitare assalti o intoppi. Entro il 10 luglio il testo sarà votato dall'aula della Camera, probabilmente senza alcuna modifica. (...) (...) Una, invece, sarebbe indispensabile. Lo stesso premier Paolo Gentiloni, che nei giorni scorsi ha promesso la massima trasparenza sulla vendita di PopVicenza e Veneto Banca a IntesaSanpaolo, dovrebbe proporre una misura volta a fare chiarezza sulle cause del sacco bancario del Nord Est. O, ancora meglio, una norma per portare alla luce (e poi alla sbarra, se del caso) i responsabili di una macelleria creditizia clamorosa e ancora oscura che peserà sulle tasche dei contribuenti tra i 5 e 17 miliardi di euro. Compreso il Monte dei paschi, il conto finale supererà abbondantemente i 20 miliardi finora stanziati. In effetti, il denaro che uscirà dalle casse dello Stato è centrale in questa vicenda. Le nuove regole europee stabiliscono, di fronte al dissesto finanziario di un istituto di credito, un contributo obbligatorio di azionisti e obbligazionisti (il principio si chiama bail in) per tappare i buchi nei bilanci. Con Vicenza e Montebelluna si è scelta una soluzione diversa (sempre nell'ambito delle regole Ue), con la quale il sacrificio viene esteso, di fatto, a tutti i cittadini. I quali, a loro insaputa e senza poter scegliere, domenica 25 giugno, hanno appreso di essere "soci" delle due banche portate alla liquidazione ordinata (coatta amministrativa). E invece di far pagare i colpevoli, si è deciso di socializzare il più possibile le perdite. La brutta notizia è arrivata col il consiglio dei ministri convocato proprio per il decreto legge: si tratta del testo - ora preso di mira da Lega e Cinque Stelle, pronti a dare battaglia - che ha dato il via al pasticcio. Da un lato, con la nascita della discarica pubblica dei buffi delle banche venete; dall'altra, con il regalo a Intesa che le ha comprate per un euro, ottenendo pure una serie sterminata di agevolazioni, garanzie pubbliche, deroghe sui requisiti patrimoniali e incentivi per ridurre il personale (altro che missioni patriottiche). Ecco, per tutte queste ragioni - ovvero per i soldi scippati ai cittadini per riparare ai danni cagionati da altri sarebbe sacrosanto chiarire. E il luogo adatto non è la Cornmissione parlamentare d'inchiesta. È ilTesoro - che peraltro, salvo blitz finora sconosciuti, ha ancora la regia del Comitato interministeriale per il credito e il risparmio - che deve intestarsi l'operazione verità. E se serve un supplemento di poteri, questi possono arrivare, come accennato, in pochissimo ternpo, proprio con un emendamento del governo al provvedimento d'urgenza sulle venete. Ma quando si tratta di sollevare coperchi e tirare fuori scheletri dagli armadi, si tirano indietro in tanti. Basta ricordare l'iniziale coro di consensi, a gennaio, quando il presidente dell'Abi, Antonio Patuelli, propose la creazione di un elenco dei bidonisti (clienti insolventi) che avevano messo in ginocchio Mps e altre banche salvate con quattrini pubblici. Non se n'è fatto nulla. In un intervento pubblicato ieri sul Messaggero, l'ex Primo ministro Romano Prodi ha scritto che la vicenda delle venete «lascia troppe ferite aperte e ci obbliga a riflettere sul funzionamento del nostro sistema bancario». Prodi ha puntato il dito contro gli «strumenti di sorveglianza della Banca d'Italia e sulla debolezza del coordinamento fra il ministero dell'Economia e l'autorità» guidata da Ignazio Visco. Qualcosa non toma, a tutti livelli. E ormai nascondersi dietro un dito o pararsi con un efficace sistema di comunicazione non serve. Lo stesso Patuelli, su queste colonne, suggerì di estendere l'indagine a tutti i potenziali responsabili dei fallimenti finanziari, dai banchieri alle autorità di vigilanza. Ma la «sua» lista è stata accantonata in tutta fretta. E invece bisognerebbe ripartire da lì. A cominciare dal Nord Est. E ovviamente da Siena. twitter@DeDominicisF ***

SCENARIO BANCHE 42 Messaggero 03-lug-2017

Bankitalia, in 85 mila ma i posti sono 30 - La carica degli 85 mila per 30 posti in art Bankitalia

ROMA La marcia degli 85 mila verso Bankitalia. Ma tranquilli, niente di minaccioso. E' solo il solito concorso pubblico che attira le speranze delle nuove generazioni a caccia di un posto. Tanto più se fisso. Una speranza che resterà una chimera per quasi tutti, tranne che per quei 30 bravi e fortunati che saranno stati capaci di attraversare senza cadere due selezioni per poi riuscire a entrare a Palazzo Koch entro la fine dei 2018. Con la qualifica iniziale di vice assistenti. E poi si vedrà. SCREMATURA Hanno fatto la domanda in cosi tanti che, numeri alla mano, sarà assunto un aspirante ogni 2.824. Ma a dire il vero una grande scrematura è già stata fatta. Troppe le domande indirizzate verso Via Nazionale per potere permettere a tutti di prendere parte alla prima prova. E' scattata quindi una preselezione per titoli che ha di fatto alzato il requisito dal diploma alla laurea. E così alla fine gli ammessi allo scritto sono poco più di 8 mila. Insomma solo uno su dieci potrà cimentarsi con il test a risposta multipla. Esame iniziale dopo il quale ne resteranno solo 300. Per entrare nella graduatoria bisognerà poi passare una seconda prova: un colloquio. Una strada lunga ma agognata perché il successo assicurerà un posto fisso, in più targato Banca d'Italia. Una garanzia che ha fatto precipitare migliaia di persone a compilare la domanda. Il bando è datato 20 aprile e per inviare la richiesta di partecipazione c'è stato poco più di un mese (l'iscrizione era possibile fino al 29 maggio). Il 27 luglio usciranno le liste di quanti hanno superato l'esame per titoli. Ma intanto Bankitalia fa sapere che "sono pervenute 84.745 domande e che, pertanto, si effettua la preselezione per titoli", in base a cui "vengono ammessi alla prova scritta 8.140 candidati, quelli in possesso di un punteggio pari a 11,40", ovvero lo score più alto che si ottiene solo se si può vantare il voto massimo di maturità (9 punti) e una laurea magistrale o vecchio ordinamento (la triennale non basta) in una materia tra quelle indicate nel bando (2,40 punti). Proprio il meccanismo di attribuzione del punteggio, che assegna un peso maggiore al diploma rispetto alla laurea, ha causato un po' di malcontento tra alcuni candidati esclusi dalle selezioni. LE POLEMICHE «La preselezione per titoli ha creato una evidente disparità di trattamento nei confronti dei laureati che hanno partecipato al concorso» si legge su alcuni forum che si occupano della vicenda. E c'è addirittura chi ipotizza di fare ricorso alla magistratura. Ad ogni modo Bankitalia aveva già previsto tutto l'iter per la preselezione, anche nel caso fossero pervenute oltre 3 mila domande. Asticella che, ovviamente è stata ampiamente superata. L'attesa era alta, i sindacati inizialmente parlavano di 60mila, non essendoci neppure un limite di età (se non aver superato i 18 anni). Ma il dato effettivo ha oltrepassato ogni aspettativa, sintomo di quanto un posto a tempo indeterminato può fare gola in questo momento. Ecco che l'oggetto del desiderio, magari anche di tanti Millennials, è un posto da impiegato, primo gradino della carriera operativa, che parte da 28.300 euro lordi annui (a cui vanno anche aggiunte indennità e premi). Ma cosa faranno esattamente i 30 neo assunti che passeranno tra le forche caudine della duplice prova? La ricerca riguarda personale di "profilo amministrativo", con "mansioni esecutive"" come "classificazione, archiviazione e protocollo di documenti". Impiegati al primo livello, insomma, senza escludere lo sportello. Le prove dovrebbero iniziare a fine anno (nel primo test: cento domande a risposta multipla tra diritto, economia, matematica, statistica e inglese) e l'inserimento dovrebbe avvenire a metà 2018 e con tutta probabilità le posizioni saranno raddoppiate (da 30 a 60), anche perché la graduatoria dura quattro anni. Michele Di Branco ***

SCENARIO BANCHE 43 Messaggero 03-lug-2017

Intervista a Rocco Martini - Il candidato «Io, laureato ma escluso Volevo solo un art lavoro fisso»

«lo ho preso la maturità con 98 su 100, più una Laurea in Giurisprudenza. E sono rimasto fuori solo per un punto. Chi ha maturità con 100 ce l'ha fatta, invece». Rocco Martini, 30 anni, sta nel gruppone di quelli che non faranno il concorso. La tagliola della preselezione in Bankitalia era severissima e lui non l'ha superata. Perché un giovane laureato con prospettive brillanti ha fatto domanda per un posto da impiegato? «Semplice: perché si tratta di un posto fisso statale che certamente permette di poter partecipare a concorsi interni. Di solito funziona cosi. Un po' come chi si arruola in polizia da ispettore e poi diventa commissario». Non avresti rischiato di sentirti sminuito rispetto agli studi che hai fatto? «Credo che questa domanda dovremmo rivolgerla a chi non ha saputo sviluppare il mercato occupazionale offrendo opportunità ai giovani più qualificati». Alcuni laureati, respinti come te alla preselezione per titoli, contestano il meccanismo che avrebbe favorito i diplomati. Cosa ne pensi? «Le regole erano chiare dall'inizio e vanno rispettate: in realtà il concorso era stato concepito per soli diplomati. Quindi un laureato non dovrebbe contestate questo punto. Poteva partecipare in quanto laureato ma essere consapevole che il primo criterio di selezione è costituito dal voto di diploma. Casomai, ribaltando il concetto, ad essere penalizzati sono stati i diplomati non laureati». È stato doloroso essere escluso? «Se devo essere sincero è stato peggio perdere la finale con il Real Madrid a Cardiff. Ma spero che sia io che la Juve avremo un'altra occasione». Che lavoro fai attualmente? «Sono impegnato in una società di recupero crediti e fard gli orali da avvocato in autunno». E a tempo perso fai i concorsi statali, si può dire cosi? «In realtà più che a tempo perso, quando escono i concorsi io li faccio sempre». M. DiBra. RIPROOUZIONE RISERVATA ***

SCENARIO BANCHE 44 Repubblica Affari&Finanza 03-lug-2017

Credito e industria, il Nord-Est volta pagina i nuovi signori della locomotiva art italiana - I nuovi signori del Nord-Est

Roberta Paolinl Cade con le ex popolari venete l'ultima torre di quello che fu il Nord-Est. La fine delle banche che hanno accompagnato per un ventennio la locomotiva nordorientale sono il sintomo della fine di un modello imprenditoriale. I protagonisti di quella epopea provinciale e un po' naive sono cambiati. Si sono modificati i volti, è cambiata la geografia, sono saliti nuovi blasoni. Sono loro che o governano l'andamento di un territorio che sta trainando nuovamente il Pil italiano. E insomma un Nord-Est tutto diverso, da quando si conib questo ormai abusato termine. Mentre prima era il distretto, la filiera, la prossimità territoriale e la caratterizzazione locale, ora sono per lo più gruppi internazionali, che esportano molto ed hanno come interlocutore principale un mondo molto più grande. Delle grandi aristocrazie imprenditoriali, molte in questi anni hanno visto ridimensionare i propri imperi. Alcuni sono ascesi guadagnandosi nuovi paesi, nuovi settori. Altri hanno cambiato tutto. II Nord-Est dei Benetton, dei Del Vecchio, dei Mammo è oggettivamente diventato altro. Le dinastie II gruppo di Ponzano è ancora proprietaria del nucleo originario del suo potentatofinanziario e industriale, la United Colors, ma è diventato una cosa molto diversa. I settori in cui i Benetton dominano sono altri, le infrastrutture con Atlantia e l'operazione in pista con la spagnola Abertis, il retail autostradale di Autogrill. Mentre Benetton Group sta attraversando una faticosa ristrutturazione aziendale, dalla quale non ha ancora messo la testa fuori. Altra storia è la Luxottica di Leonardo Del Vecchio, che si andrà a fondere con la francese Essilor. Ne nascerà un gruppo mondiale che integra il settore dell'occhiale dalle lenti alla montatura alla distribuzione. Ma Del Vecchio non avrà più la maggioranza assoluta del gioiello che creò all'ombra dei monti agordini nel bellunese negli anni '60. Anche i Marzotto hanno preso vie diverse. L'azienda tessile di Valdagno oggi è un gruppo da circa mezzo miliardo di fatturato, ma dalla moda dopo la vendita di Valentino e Hugo Boss una parte dei Marzotto è uscito per sempre. Ii il ramo di Andrea Doni delle Rose, figho di Italia Marzotto, a dominare ormai da un decennio con la ma; oranza della scatola Wizard il gruppo di Valdagno. II più noto volto di Matteo Marzotto il pallino per la moda lo ha tenuto acquisendo, dopo l'avventura del rilancio di Vionnet, il 20% di Dondup, gruppo di abbigliamento da 90 milioni di ricavi. Sempre nella moda resta invece il ramo relativo a Paolo Marzotto, con la holding Pfc, e Gaetano Marzotto, il patron di Zignago Vetro e Cantine Santa Margherita. Questi ultimi hanno acquisito due anni fa il 7% di Hugo Boss dal fondo Permira, con il quale sono ancora soci di minoranza nella scatola RedeBlack che tiene la maggioranza relativa del gruppo . D ramo relativo a Gaetano, Luca,'Nicolò e Stefano, figli di Vittorio Emanuele Marzotto e nipoti di Paolo, guida il gruppo quotato Zignago Vetro, ricavi per 322 milioni, e specializzazione nella produzione di vetro cavo. Oltre alle Cantine Santa Margherita fatturano 110 milioni. Per Diesel, Renzo Rosso deve ripensare la sua creatura: i marchi alti vanno bene, il jeans, che pesa per il 60% sul fatturato, deve reinventarsi. Nel 2016 con quasi 1,6 miliardi di fatturato e utile a 3,8 milioni la componente jeans ha chiuso in perdita. Sandro Veronesi di Calzedonia è uno dei vincenti del nuovo Nord-Est. lia mutuato dal tessile e dal retail della tradizione dei Benetton un modello e ne ha creato un category killer. Calzedonia, Intimissimi, Tezenis, Falconeri. Sono tutti i brand di un nuovo mondo che fattura 2,1 miliardi. Poi ci sono gli Zoppas, passati dalla produzione di elettrodomestici a due diversi gruppi: uno specializzato nella macchine per imbottigliamento, la Sipa, l'altro nel beverage con San Benedetto. Tra i casati c'è la famiglia Amenduni, i grandi dell'acciaio veneto che nonostante le svalutazioni dovuti ai crac di Veneto Banca e Popolare Vicenza (della seconda erano i principali azionisti benché non abbiano mai avuto nessun ruolo nella gestione dell'istituto) e la brutta storia di Uva di cui avevano il 10%, restano un gruppo industriale solido che nel 2016 è tomato in utile. Ci sono i De' Longhi: il patron Bepi ha lasciato la gestione al figlio Fabio che ne ha fatto un gruppo internazionale con capacità di espansione notevole e una cassa solida che gli consentirebbe di fare acquisizioni per un miliardo. Le nuove generazioni. Un'azienda familiare relativamente giovane, è Geox. Mario Moretti Polegato in vent'anni ha costruito un gruppo da 800 milioni di fatturato e con l'acquisizione di Diadora, data in gestione al figlio Enrico, ha ri lanciato un brand che stava fallendo. Oggi la Lir, la finanziaria di famiglia, controlla il 60% dello Sportsystem di Montebelluna. Nel farmaceutico c'è 7ambon, oggi nelle mani della figlia del fondatore Elena. Il gruppo vicentino riesce a competere

SCENARIO BANCHE 45 con Big Pharma con un posizionamento in nicchie specifiche, come i farmaci legati alla degenerazione cellulare e ad alcune malattie rare. Sempre nel farmaceutico c'è il gruppo della famiglia Stevanato, mezzo miliardo di fatturato nel 2016 e il 16% del mercato dei contenitori in vetro per la somministrazione dell'insulina. La Nice di Lauro Buoro invece ha costruito sui sistemi di home automation un piccolo impero nella campagna trevigiana. Nel food c'è Roberto Brazzale, che ha fatto del Gran Moravia un'alternativa al Grana Padano. Nello settore miete successi la Giovanni Rana, guidata dal figlio Gian Luca. La Morellato di Massimo Carraro è l'unica grande impresa dei gioielli sopravvissuta all'avanzata straniera ed alla fine di interi distretti, come l'orafo argentiero del vicentino e del bassanese. Nel padovano c'è poi la Carel di Luigi Rossi Luciani, illuminato imprenditore padovano, che ne ha fatto un campione nella tecnologia. Marchi senza famiglia C'è chi resiste ma la famiglia non c'è più o quasi. La Rossi Moda, quando venne acquisita da Lvmh fu il primo caso in cui i francesi scommettevano su competenze tipiche di questo territorio. Oggi il gruppo francese è uno dei principali investitori della Riviera del Brenta, l'area dove vengono realizzate le scarpe di Dior e . Sempre francese è l'intuizione di comprendere le potenzialità di , nata vicentina e diventata un brand globale sotto l'egida di Kering. Ma non solo i cugini d'oltralpe hanno fatto bene con celebri marchi del Nord-Est. Un caso fra tutti è il turnaround realizzato da Stefano Beraldo per il Gruppo Coin, prima con Pai Partners e poi con il fondo angloamericano Bc, una delle sto - rie di successo meglio riuscite di questo territorio con l'insegna cadetta Oviesse diventata il noto fashion retail Ovs e protagonista di una serie di successi. In tutto questo la famiglia veneziana Coin è uscita di scena. Ancora Pai ha acquisito la maggioranza dell'azienda di occhialeria Marcolin aprendo ad una nuova stagione di sviluppo senza la famiglia fondatrice. Un manager, Andrea Tomat, insieme ad altri acquistò, invece, a inizio millennio dalla famiglia Caberlotto il celebre marchio sportivo Lotto per rilanciare il gruppo. Ancora un manager, Alessandro Benetton con la sua 21 Investimenti, ha rilanciato e cambiato il mondo di Pittarello. ll primo gruppo italiano di moda veloce per le calzature. Dalla cura Benetton è nato PittaRosso. Le caldaie di Ettore Riello, celebri negli anni Novanta per la pubblicità con il volto di Eva Herzigova sono state acquisite dagli americani di Utc. Mentre i Carraro dell'omonimo gruppo di as sali e trasmissioni hanno dovuto cedere circa il 30% della loro azienda alla famiglia brasiliana Arduini per avere nuove risorse per sostenere lo sviluppo del gruppo. Crisi familiari Spesso la famiglia non c'è più o è In crisi. C'era un sogno che si chiamava Gruppo Burgo, gli imprenditori vicentini sono i Marchi. Realizzarono ormai oltre 10 anni fa un reverse merger, entrarono allora come azionisti Mediobanca e Generali, e diedero vita al primo gruppo cartario del sud Europa. Quel sogno si è dovuto ridimensionare tre anni fa, le banche hanno convertito parte dell'ingente debito contratto e sono entrate come azionisti, mentre la famiglia Marchi è andata in minoranza. Ai Grandi Molini, la più importante azienda molitoria oggi in concordato, è andata anche peggio. La famiglia è quella dell'imprenditore Costato, ex vice-presidente di Confindustria. Quanto al gruppo vitivinicola Zonin, il banchiere caduto in disgrazia dopo le vicende della banca vicentina aveva da tempo lasciato tutta la gestione ai tre figli. Ma sulla famiglia pendono le richieste di risarcimento miliardarie dopo il crac della banca. La famiglia Zanatta di Tecnica, quella dei rollerblade e degli scarponi, ha ceduto il 40% alla Italmobiliare di Carlo Pesenti dopo aver tentato in questi anni di ristrutturare l'azienda appesantita dai debiti. Ci sono poi i Chiarott la loro azienda di costruzioni Mantovani è andata in crisi dopo gli esiti dello scandalo Mose. E ancora i Tabacchi: il ramo relativo a Vittorio è uscito da tempo da Safilo, oggi di proprietà degli olandesi di Hal. Mentre il ramo di Dino Tabacchi ha ceduto la catena di occhiali Salmoiraghi Viganò al concorrente Luxottica. E storia di questi giorni la parabola di Stefanel: il patron Bepi dopo aver rifinanziato l'azienda con due aumenti di capitale, dopo aver ceduto la partecipazione nel retailer aeroportuale Nuance per iniettare altre risorse, si è dovuto arrendere al concordato preventivo. Infine, i Boccolo, che stanno vendendo a pezzi l'impero alberghiero. Gianni Zonin, artefice del disastro della Popolare di Vicenza, continua a dribblare gli Inquirenti della Procura cittadina, che l'ha formalmente indagato. Inseguito da un'azione dl responsabilità da un miliardo e mezzo, continua a professarsi nullatenente essendosi spogliato del suol beni. Intanto, proprio nei glomi del decreto del governo che ne ha stabilito le sorti, è arrivata la richiesta di rinvio a giudizio per l'ex ad dl Veneto Banca, Vincenzo Consoli. A muoversi è stata la procura di Roma, che ha chiesto il processo anche per l'ex presidente Flavio Trinca e altri nove tra amministratori e manager, per irregolarità nella gestione e ostacolo all'esercizio delle funzioni dell'autorità di vigilanza. ***

SCENARIO BANCHE 46 Repubblica Affari&Finanza 03-lug-2017

Banche, Intesa Sanpaolo riapre il risiko il sistema aspetta le Bcc, Unipol e Parma art - Banche, Intesa riapre il risiko ora tocca a Bcc, Parma e Unipol

Vittoria Puledda Un po' per virtù e molto per necessità. Ma alla fine quel che conta è il risultato e, guardando al sistema bancario italiano negli ultimi ventiquattro mesi l'effetto-consolidamento è evidente. Con un paio di paradigmi, ormai radicati: chi compra mette mano al borsellino, non al portafoglio, perché le transazioni avvengono per un euro simbolico; punto due, nessuno compra niente se non ripulito dai crediti in sofferenza - passati e ragionevolmente prospettici - insieme all'accordo per un discreto numero di esuberi pagati dal Fondo apposito e alla carta bianca per chiudere una parte delle filiali. Del resto, la strada in questo senso l'ha tracciata Mediobanca, quando a fine 2015 (e poi con l'operazione conclusa nel 2016) ha preso da • Barclays Italia le attività retail: un'operazione con cui CheBanca! ha raddoppiato le dimensioni, ricevendo in dote dall'istituto inglese 240,5 milioni «a compendio di un ramo d'azienda in pareggio, con attività e passività bilanciate». Semplificando un po', chi compra non paga ma incassa una dote per ristrutturare il perimetro rilevato. Fino al "regalo" a Intesa con le due banche venete - che forse proprio tanto regalo non è se nessun altro si è fatto avanti per riceverlo - che ha avuto un effetto positivo sul mercato: la diversa percezione del sistema bancario italiano, che ha smesso di essere considerato un'emergenza. C'è ancora qualche partita delicata aperta (Carige, le tre piccole casse che potrebbero approdare nelle braccia di Credit Agricole Italia) e un quasi "ex" problema, quello del Montepaschi..Che proprio risolto non è ma che dovrebbe vedere a giorni, se non ad horas, il disco verde delle autorità per la ricapitalizzazione precauzionale. Ma il più è fatto. Il nuovo contesto. L'effetto del lungo processo, partito un paio di anni fa, è stato il consolidamento di un campione nazionale, Intesa Sanpaolo, ancora più leader in Italia quando sarà definitivo il passaggio delle attività "buone" delle due banche in liquidazione, Popolare di Vicenza e Veneto banca. Solo in termini di quote di mercato per numero di sportelli, il gruppo post integrazione passerà dal 13,2% al 16,3% e, relativamente alle regioni del Nord-Est salirà dall' 11,5% al 17,1% (anche considerando i tagli già concordati). Una forza d'urto che rischia di insidiare, come effetto collaterale, le stesse Generali in quei territori, vista la crescente convergenza delle attività bancarie e assicurative verso il ricco segmento del risparmio gestito (e delle stesse polizze, in cui il gruppo di Carlo Messina ha già una robusta quota del 15,4% sommando vita e danni). Semmai, il fattore di relativa debolezza è proprio la concentrazione sul mercato italiano, con tutti vantaggi in termini di sinergie e le debolezze per l'esposizione al rischio-paese. Una scelta per il momento opposta a quella di Unicredit, concentrato sul proprio processo interno di ristrutturazione e gestione del piano industriale, che punta alla razionalizzazione dei costi e alla riorganizzazione della rete commerciale. Sul lato dei ricavi, la storia è in gran parte ancora da scrivere. L'altro grande universo in via di definizione è quello delle Bcc: il processo è ancora in corso ma il percorso è ormai delineato, con la nascita di due grandi holding bancarie, Iccrea (con attivi totali stimati per 170 miliardi) e Cassa Centrale Trento, che dovrebbe attestarsi intorno a 70 miliardi (più il gruppo regionale delle Raiffeisen dell'Alto Adige). Le trecentotrenta piccole e piccolissime banche di credito cooperativo si coaguleranno intorno a questi poli, per obbligo di legge (la riforma del settore) se non per scelta. Ma con l'obiettivo di rafforzare le struttura e risolvere "in casa" le potenziali criticità (che non mancano). Le prospettive Completata la stagione in corso, è possibile che ci si prenda una sosta, per digerire le operazioni e soprattutto per mettere mano al problema degli Npl, su cui Banca d'Italia continua a puntare sul massimo realizzo ottenibile e Bce sul più rapido smaltimento possibile. La distanza dei prezzi (il 46% in media secondo Via Nazionale, con una gestione in casa dei crediti in difficoltà, il 20% in media che sono disposti a pagare i fondi specializzati) è tutto sommato minore di quanto appaia, se si considera che nelle cessioni in blocco all'esterno bisogna calcolare 10-15 punti per il costo dei servicing, cui si aggiunge il costo del capitale e altre voci. Un calcolo che spiega almeno in parte la differenza di prezzo per smaltire i crediti in difficoltà e anche la ritrosia delle banche a vendere (perché sienerano perdite consistenti) ma anche in molti casi la necessith di farlo, per ottemperare alle richieste di Bce. Chi pub sceglie la strada della bad bank appena adottata da Unipol) o comunque della gestione in proprio. Molti osservatori ritengono che fino alla prossima primavera il sistema bancario non vedrà nuove operazioni: la scommessa ancora in piedi è di trovare una solida redditività per l'attività

SCENARIO BANCHE 47 bancaria tipica, bassa non solo in Italia ma anche in Europa. II paradosso Del resto anche finora nessuno o quasi si è seduto spontaneamente ad un tavolo per pianificare un'acquisizione. Non c'è la corsa a comprare reti, se non per necessità e infatti il dato quasi paradossale è che buona parte della risistemazione della mappa del credito è frutto dell'emergenza, spesso drammatica. A partire dalle quattro banche andate in risoluzione a fine 2015 (costate circa 4,5 miliardi al sistema) e faticosamente cedute solo di recente. Tre, come è noto, sono andate ad Ubi, per un euro simbolico, una dote fiscale a vantaggio della banca guidata da Victor Massiah, un drastico piano di esuberi (per quanto volontari) e l'intervento di Atlante per rilevare una parte di nuovi Npl (2,2 miliardi) dopo il corposo pacchetto di crediti deteriorati girati subito dopo la risoluzione alla Rev. Ma non è bastato, perché la Bce ha imposto ad Ubi un aumento di capitale da 400 milioni: fondi raccolti in un batter d'occhio sul mercato - che ha mostrato di apprezzare l'operazione - ma significativi delle difficoltà che le nuove regole impongono, nelle operazioni straordinarie. Post acquisizione, la banca è passata da avere una quota di mercato del 5% mediamente su impieghie depositi, ad una del 6% (quindi, il 20% in più rispetto al suo punto di partenza). Anche per Cariferrara, finita in braccio a Bper, lo" schema è analogo (ma senza l'aumento di capitale). Nelle zone-chiave il salto dimensionale è apprezzabile: in Emilia Romagna il gruppo sale al 10% di quote di mercato e nella sola Ferrara raddoppia (dal 5 al 10%); l'obiettivo resta quello di arrivare alla fusione di Cariferrara entro fine anno. La trattativa Ancora aperto invece il dossier del Credit Agricole Italia per acquistare la Cassa di Cesena, quella di Rimini e quella di San Miniato. La due diligence (commissionata a Lazard) si concluderà a metà luglio. L'offerta, per il momento riservata, dovrebbe aggirarsi intorno ai 130-150 milioni e come di consueto dovrebbe essere subordinata al mantenimento di determinati livelli di patrimonializzazione delle tre banche in via di cessione, nonché dalla ripulitura degli Npl. Se l'operazione andasse in porto, Credit Agricole Italia passerebbe da una quota di mercato del 2,8 al 3,8%. Per ora l'unica operazione spontanea, figlia della riforma delle banche popolari, è stata quella tra Banco Popolare e Bpm. Percorso virtuoso anche se travagliato (sul mercato continuano le voci che ritengono possibile un aumento di capitale nei prossimi 12 mesi, ipotesi che le fonti ufficiali smentiscono con fermezza). Nel frattempo, la banca unita ha scalato le classifiche dei campioni nazionali per quote di mercato, con percentuali di penetrazione pari al 10,35% nei depositi e dell'11,16% nei impieghi nella ricca Lombardia. LA SCHEDA - Si stringono i tempi per gli NpI Resta il problema delle sofferenze per le banche Italiane. Ma negli ultimi mesi la Banca d'Italia sta spingendo perché ci sia una completa pulizia di bilanclo che consenta la ripresa del credito e offra una spinta propulsiva al sistema economico che sta mostrando incoraggianti segnali di ripresa. Le banche hanno finora preso più tempo possibile perché cedere le sofferenze significa far emergere delle perdite nel bilanci. Si nota comunque, grazie anche alla sistemazione di molte delle partite aperte sui salvataggi, una maggiore disponibilità del sistema creditizio a prendere la via dello smaltimento del non performing loan. Questo mercato rappresenta cicra 50 mIliardi ma secondo alcuni si potrebbe arrivare fino a 70-80 miliardi. Una serie di operatori di mercato sono pronti a prendersi gli npl, a prezzi di mercato, per smaltirli a poco a poco. Intesa preferisce invece smaltirli da sola perché non ha fretta e può attendere. ***

SCENARIO BANCHE 48 Repubblica Affari&Finanza 03-lug-2017

Intervista a Gianni Mion - Mion: "Vicenza e Montebelluna la guerra dei manager art alla Bce"

Marco Parrara Milano Gianni Mion, classe 1943, ha il sorriso di un raganzo. Anche dopo gli 11 mesi passati alla presidenza della Banca Popolare di Vicenza, cominciati nel luglio scorso e terminati il 25 giugno con il comntissariamento dell'istituto. Undici mesi passati insieme all'ad Fabrizio Viola a cercare ostinatamente di rianimare una banca in coma. Il primo giorno da ex presidente, Mion era già a Milano a occuparsi di Spac 3, che dopo i successi di Spac 1 che ha portato al listino la Fila e di Spac 2 che ha quotato Avio, probabilmente entro luglio porterà in Piazza degli Affari Aquafil, azienda che produce fibre chimiche da derivati del petrolio e con una tecnologia proprietaria dal riciclo di moquette dismesse. Intesa fa un buon affare. «Fa una buona operazione, aumenta le sue quote di mercato in zone dove non era molto forte. Sono felice che ha affidato l'integrazione e la bad bank a dirigenti che avevamo ingaggiato noi, persone competenti che ora giocheranno in serie A, mentre con noi erano in serie C». Ma per Intesa è un regalo? «La domanda giusta è: c'era una soluzione migliore, altre ipotesi sul tavolo? C'è stata una manifestazione di interesse di alcuni fondi, ma la proposta era un po' ibrida e avrebbe lasciato la banca fragile, per questo il ministro dell'Economia non l'ha I portata alla Bce e a Bruxelles». Quindi la sua valutazione sull'esito è positiva. «La cosa importante è il passaggio della clientela da una banca di secondo o terzo rango ad una di primissimo piano. Ci saranno dei problemi di adattamento ma alla fine questo li aiuterà a crescere». Vicenza e Veneto Banca non lo avevano fatto? «Molti imprenditori clienti delle due banche non avevano reagito alla crisi del 2008 perché mentre gli altri istituti riducevano gli affidamenti costringendo le imprese a ristrutturarsi, queste li aumentavano e le aziende non sono state spinte a farlo. Ora la spinta ci sarà e farà bene a tutti». Ora dl quei crediti si occuperà la bad bank. «Questo darà un po' più di respiro alle aziende in difficoltà, più tempo rispetto alla cessione a questi fondi assatanati. La Bce non ha capito che la cessione accelerata a prezzi vili a fondi aggressivi è un puro e ingiustificato trasferimento di valore. Ma sembrava che non ci fosse altra soluzione». Perché la situazione è esplosa? «Tutto ha avuto inizio da un passaggio necessario, tagliare il nodo gordiano delle banche popolari che ormai erano diventate tutt'altro. La Bce però ha fatto fatica a capire cosa stava maneggiando anche per la resistenza antistorica opposta dai manager delle due banche, che non hanno capito che dovevano aiutare questo passaggio». Difendevano i loro sistemi di potere. «Ma sapendo che la partita era perduta sarebbe stato meglio per loro uscirne bene. Dovevano correre a fondersi e a ristrutturarsi per presentarsi all'appuntamento più leggere e più forti, invece si sono messe a candidarsi per l'acquisto di altre banche, a fare la guerra a Roma. Hanno danneggiato gli azionisti e la clientela. Eppure nei consigli c'era fior di imprenditori: io ho parlato con alcuni di loro, i concetti che ho sentito ripetere sono che "la banca non è un'azienda come le altre", "la banca non pub andare male", "la banca è protetta". Ho parlato una volta anche con Zonin e mi è parso chiaro che l'idea di svalutare i crediti non gli passava neanche per la testa. Le due banche non tenevano conto di come andavano i clienti e vedendo che i titoli del credito scendevano in Borsa davano la colpa alla Borsa. Vivevano in un mondo a parte, con l'idea dell'impunibilità e dell'immortalità». E gli azionisti, tutti innocenti? «Qui si è passati in pochi decenni dai soldi sotto il mattone al salvadanaio e poi alla banca. L'idea era che la banca era sicura e che depositi, obbligazioni e azioni erano quindi sicuri. Venivano alle assemblee in migliaia e gli veniva raccontato del buon andamen - to e dell'aumento delle azioni, davanti a autorità e dipendenti: perché l'azionista, che comprava i titoli con i suoi risparmi e li regalava ai battesimi, alle lauree e ai matrimoni come se fossero lingotti, doveva pensare che quelle persone avallavano una politica suicida? Poi arriva il bail in e ti dicono che i soldi non sono più sicuri: questa cosa, peraltro mai applicata, ha avuto un inutile effetto destabilizzante». Voi cosa avete sbagliato? «Appena entrati nel luglio scorso ci siamo accorti che la situazione era gravissima e che era stata ampiamente sottostimata. Ci siamo messi al lavoro con due obiettivi iniziali, procedere il più rapidamente possibile alla fusione tra Vicenza e Veneto Banca per recuperare efficienza e fare una transazione per chiudere le cause legali, perché nessuno avrebbe investito nella banca di fronte a un contenzioso di quelle dimensioni. Per procedere c'erano due condizioni fondamentali da soddisfare, un accordo pieno con i sindacati per fare la ristrutturazione e che Atlante avesse le risorse necessarie per accompagnarci. Né la prima né la seconda si sono realizzate. A quel punto

SCENARIO BANCHE 49 abbiamo chiesto l'intervento dello Stato, che era disponibile, pero la DgComp di Bruxelles per dare il via libera ha posto la condizione che ci fossero anche capitali privati. Che non sono arrivati». Malgrado la crisi delle banche in Veneto l'economia è in ripresa. Il danno non è stato cosa grande? «E stato enorme invece, soprattutto per le famiglie che hanno perso i risparmi. Poi ci sono stati comportamenti illegali e fraudolenti con la complicità di dipendenti e azionisti che mi auguro abbiano le conseguenza del caso, perché se c'è un modo per trarre vantaggio da queste tribolazioni è che tutti ne abbiano la piena consapevolezza e che chi ha responsabilità venga punto. Se si rimuove tutto il danno resta e la lezione non si impara». ***

SCENARIO BANCHE 50 Repubblica Affari&Finanza 03-lug-2017

Affari in piazza - Carige Fiorentino tra immobili e aumento art Massimo Minella Tempo scaduto per Carige. Oggi il consiglio di amministrazione della banca dei liguri sarà chiamato a fornire alla Bce indicazioni certe sulla cessione dei crediti deteriorati e sul rafforzamento patrimoniale. Sono nodi cruciali e connessi fra loro, perché dal volume e dai tempi di deconsolidamento degli NpI dipende l'entità del rafforzamento. Paolo Fiorentino, neo amministratore delegato di Carige al suo primo consiglio, ha già spiegato in una lettera ai dipendenti che per irrobustire il patrimonio non ci si limiterà all'aumento di capitale (si parla di 700 milioni), ma anche a operazioni di "gestione e valorizzazione degli asset". Che cosa si può cedere? Almeno una parte del patrimonio immobiliare, stimato in oltre un miliardo di euro a valore di libro (ammortizzato), oltre a partecipazioni azionarie (Autostrada dei Fiori) e alla quota di Bankitalia, in eccesso rispetto a quanto stabilito dalle norme e che potrebbe fruttare 80 miloni.

SCENARIO BANCHE 51 Repubblica Genova 03-lug-2017

Carige, più soldi e meno mattone per il risanamento art MASSIMO MINELLA QUALCUNO potrebbe scomodare titoli eclatanti e un po' scontati come "II giorno più lungo". Conoscendo il personaggio, la giornata di oggi per Carige si potrebbe invece aprire scorrendole immagini di "Un uomo tranquillo". Là, in entrambi i film, il protagonista era John Waine, qui è Vittorio Malacalza che si avvia al consiglio di amministrazione spiegando ai suoi più stretti collaboratori la sua massima tranquillità nella gestione della vicenda. Non che sia semplice, la situazione di Carige. Anzi, nella lettera scritta ai dipendenti è stato il neoamministratore Paolo Fiorentino a parlare di "situazione complessa". Ma il piano messo a punto per convincere Bce e Banktalia, secondo i vertici della banca dei liguri, è tale da permettere appunto una buona dose di tranquillità ai suoi amministratori. Si vedrà ovviamente il risultato finale, la pressione su Carige è molto forte e il faro acceso da Bce su piazza della Cassa di Risparmio punta a illuminare ogni dettaglio. Francoforte, in particolare, chiedeva in maniera ultimativa risposte in tempi brevi su governance, cessione dei crediti deteriorati e rafforzamento patrimoniale. Sul primo punto la risposta è stata tempestiva nuovo ad in sostituzione dello sfiduciato Guido Bastianini e tre nuovi consiglieri (continuano a mancare i due dell'azionista Gabriele Volpi, ma questa è ancora un'altra delicata partita ). II nuovo cda appare ora fortemente coeso e motivato nel raggiungimento degli obiettivi vitali per il futuro di Carige: cessione degli npl e rafforzamento. Oggi il cda comincerà a fornire risposte nette su temi che peraltro non ammettono fraintendimenti. Carige ha necessità di liberarsi (tecnicamente "deconsolidare" ) 3,4 miliardi di crediti deteriorati, una montagna che sta schiacciando la possibile ripresa della banca, costringendola a presentare conti sempre in rosso ( sarà così anche per il primo semestre dell'anno) per le continue rettifiche che penalizzano l'andamento corrente. Questa settimana, forse già oggi, sarà conclusa la cartolarizzazione di 940 milioni di npl assistiti dalle garanzie statali (Gacs) attraverso il collocamento dei titoli agli investitori istituzionali. Prossimo passaguio, anche auesto da definire in tempi brevissimi, il "deconsolidamento" degli altri 2,4 miliardi di crediti deteriorati per cui si era inizialmente pensato a una società-veicolo che fosse copia del capitale di Carige e che invece adesso potrebbe aprirsi ad altri modelli in cui l'assetto azionario potrebbe vedere nuovi soggetti alla guida. Resta la madre di tutte le priorità, il rafforzamento patrimoniale la cui entità i vertici della banca intendono come una sorta di "derivata" delle reali esigenze finanziarie che devono tenere conto di quando e di come si potranno cedere gli npl. La cifra sembra comunque oscillare fra i 600e i 700 milioni, ma in aggiunta a questo si procederà anche con la valorizzazione di altri asset, il patrimonio immobiliare, le partecipazioni azionarie (il 20,6% di Autostrada dei Fiori, valore 67 milioni), il surplus di quota Bankitalia ancora in carico a Carige (e che potrebbe fruttare da subito un'ottantina di milioni ). In particolare l'obiettivodei vertici della banca sarebbe quello di alleggerire il volume degli immobili. II valore a libro ( ammortizzato) degli immobili di proprietà di Carige è di 900 milioni e a questo bisogna aggiungere anche gli immobili in leasing, fra i 70 e gli 80 milioni di euro. Insomma, un miliardo totale, un patrimonio immobiliare enorme per una banca delle dimensioni Carige. Al loro interno anche immobili di pregio. Ma da vendere, al più presto. Almeno la metà.

SCENARIO BANCHE 52 Sole 24 Ore - Norme e Tributi 03-lug-2017

Il Fisco vigila sui vantaggi dei «Pir» art PAGINA A CURA DI Stefano Sirocchi Gli aspetti fiscali hanno un ruolo chiave nella diffusione dei Pir, i Piani individuali di risparmio a lungo termine, perché i rendimenti non sono imporubilie gli strumenti finanziari contenuti nei Piani sono esenti da imposte di successione. Le regole del «Pir» Il Pir è un "contenitore" che può ospitare tutti gli strumenti fmanziari del mercato retail e per fruire delle agevolazioni fiscali deve rispettare alcuni requisiti: • la presenza di una determinata quota di investimenti in imprese italiane ed europee, anche di dimensioni medio piccole; • essere costituito da persone fisiche; • contenere somme o valori non eccedenti i 3omila euro in ciascun anno solare e complessivamente non oltrer5omila; • essere detenuto per almeno cinque anni. Il rapporto va aperto presso intermediari abilitati o imprese di assicurazione residenti, con stabile organizzazione o con nomina di un rappresentante fiscale in Italia La legge di Bilancio 2017 (legge 232/16, articolo r, commi tuo- n4) dispone un regime di esenzione fiscale per redditi di capitale e capital gain (artt.44 e 67, c.1, dalla lettera c-bis allac- quinquies,Tuir) generati dagli strumenti finanziari inclusi nei Pir ed effettuati da persone fisiche al di fuori dell'esercizio dell'impresa commerciale. Restano invece escluse dai benefici le plusvalenze realizzate da cessione a titolo oneroso di partecipazioni qualificate (lettera c, comma', articolo 67). Gli investimenti devono essere qualificati e, per almeno il 70% del valore complessivo, costituiti da strumenti finanziari, anche non negoziati in mercati regolamentati o sistemi multilaterali di negoziazione - tranne quelli emessi o stipulati dalle imprese immobiliari che sono esclusi - e in ogni caso purché risultino fiscalmente residenti in Italia, in Stati Ue o See. Inoltre, almeno il 30% di quel 70% (Il 21% del valore complessivo) va investito in strumenti fmanziari di imprese diverse da quelle inserite nell'indice Ftse Mib di Borsa italiana o in indici equivalenti di altri mercati regolamentati: quindi, aziende con minore capitalizzazione, come quelle quotate nei segmenti MidCap, Star e Aim. Le quote vanno rispettate per almenoi 2/3 dell'anno solare. Per diversificare il portafoglio e contenere il rischio, non si può investire più del 10% delle somme o valori del Piano in strumenti emessi o stipulati con lo stesso soggetto, o con altra società dello stesso gruppo, o in depositi o conti correnti. Si può però investire le somme del Pir anche in quote o azioni di Oicr, se rispettano i requisiti di territorialità e composizione del portafoglio. Gli strumenti finanziari in cui è investito il Piano devono essere detenuti per almeno 5 anni; in caso contrario è previsto il recupero delle imposte non versate, applicando l'imposizione ordinaria con gli interessi, ma non le sanzioni. La legge di Bilancio 2017 (comma 112, articolo 1) stabilisce infine che ciascuna persona fisica non può aprire più di un Pir e che ogni Piano può avere un solo titolare. Fisco e investimenti Per completare il quadro, ricordiamo le regole di tassazione degli strumenti finanziari. Le plusvalenze da cessione a titolo oneroso di attività finanziarie relative a partecipazioni non qualificate (azioni e quote sociali, lettera c-bis, c. 1, art. 67 Tuir), realizzate da soggetti non imprenditori, sono imponibili per l'intero ammontare e soggette a imposta sostitutiva del 26 per cento. Sono partecipazioni qualificate quelle che rappresentano una percentuale di diritti di voto esercitabili nell'assemblea ordinaria superiore al 2 o al 20% ovvero una partecipazione al capitale o al patrimonio superiore al 5 o al 25%, in entrambi i casi, rispettivamente, a secondache si tratti di titoli quotati in mercati regolamentati o meno; sotto tali limiti le partecipazioni si intendono non qualificate. Le plusvalenze sono costituite dalla differenza tra fl corrispettivo percepito e il costo o il valore di acquisto assoggettato a tassazione, aumentato di ogni onere inerente alla loro produzione, compresa l'imposta di successione e donazione, ma con esclusione degli interessi passivi. Peraltro, si possono compensare queste plusvalenze con le relative minusvalenze eanche con quelle di cui alle lettere c-ter) e c-quater) dell'articolo 67 Tuir. Se non c'è capienza, le minusvalenze eccedenti sipossono riportare nei quattro periodi di imposta successivi, indicandole nel modello Redditi relativo al periodo d'imposta in cui si sono formate. L'imposizione sostitutiva de126% su tali capital gain, ex articolo 67 del Tuir, può avvenire attraverso fl regime della dichiarazione, del risparmio amministrato o del risparmio gestito. Analogamente, i proventi finanziari di cui all'articolo 44 del Tuir (interessi su conti correnti, depositi, certificati di deposito, dividendi relativi a partecipazioni non qualificate eccetera) percepiti dapersone fisiche residenti non imprenditori, sono generalmente soggetti alla medesima imposta sostitutiva del 26%, ma in tali casi il sostituto opera una ritenuta d'imposta alla fonte, quindi questi redditi non vanno indicati in dichiarazione né sono assoggettati a ulteriori imposte. Tra le eccezioni più frequenti alla ritenuta del 26% segnaliamo: i proventi derivanti da titoli di Stato ed

SCENARIO BANCHE 53 equiparati (buoni fruttiferi postali e titoli statali di Paesi white list), soggetti al 12,50%; gli utili da partecipazioni qua l ificate cui si applica un diverso trattamento fiscale e che vanno dichiarati dal percettore; i dividendi relativi a partecipazioni non qualificate, per le persone fisiche che hanno optato per le gestioni individuali di risparmio. Ai fondi pensione si applica invece l'imposta sostitutiva del 20% sul risultato netto maturato in ciascun periodo d'imposta, salvo riduzione della base imponibile se fl fondo investe in titoli di Stato o, più in generale, in attività fmanziarie con un regime agevolato. *** LA PAROLA CHIAVE Investimenti qualificati Sono investimenti effettuati in: - azioni o quote di imprese residenti fiscalmente in Italia, Ue o See (Spazio economico europeo); - azioni o quote di Oicr (Organismi di investimento collettivo del risparmio: fondi comuni di investimento, società d'investimento a capitale fisso, società d'investimento a capitale variabile, fondi d'investimento alternativi) residenti in Italia, Ue o See che investono prevalentemente nelle azioni o quote di cui sopra. Casi e soluzioni IL CAMBIO DI INTERMEDIARIO Quali sono le conseguenze fiscali della cessione degli strumenti finanziari in cui è investito un Pir prima che sia trascorso il periodo minimo di cinque anni? Oppure, alternativamente, è possibile trasferire un Piano da un intermediario ad un altro? Il rimborso entro i 5 anni comporta il recupero delle imposte non versate oltre agli interessi, salvo che il controvalore non sia reinvestito negli strumenti finanziari ammessi entro 90 giorni. Il trasferimento non rileva ai fini del computo del periodo IL PROFESSIONISTA E IL FONDO PENSIONE Un professionista nel regime forfetario ha solo redditi soggetti a imposta sostitutiva e vorrebbe aderire a una forma di previdenza complementare. Puòaverevantaggi fiscali pur non potendo dedurre in didiarazionei contributi versati? Si, il contribuente che segnala al fondo i contributi non dedotti (entro i l31 dicembre dell'anno successivo al pagamento) avrà prestazioni pensionistiche con imponibili fiscali considerati al netto di tali importi IL VERSAMENTO PER IL FAMILIARE A CARICO Per versamenti alla previdenza complementare effettuati in favore di un familiare a carico (avendo questi percepito nell'anno redditi inferiori a 2.840,51 euro) chi può dedurre i contributi e in quale misura? La deduzione spetta in via prioritaria alla persona a carico efino a capienza del proprio reddito complessivo, mentre l'eccedenza può essere dedotta (rigo RP30) dal soggetto che ha il familiare a carico, entro il limite omnicomprensivo di 5.164,57 euro IL TRADING ONLINE NEGLI STATI UNITI Un soggetto residente effettua acquisizioni e cessioni di azioni statunitensi tramite un sito internet di trading on line. Il broker cui fa capo il servizio ha sede all'estero. Ci sono imposte da versare o adempimenti da effettuare in Italia? Il contribuente deve: versare le imposte sui redditi prodotti e l'Ivafe (patrimoniale sulle attività finanziarie estere); compilare i relativi quadri della dichiarazione dei redditi, compreso il quadro RW se nell'anno il conto ha superato i 15mila euro ***

SCENARIO BANCHE 54 Stampa 03-lug-2017

Bankitalia: in 85 mila per 30 posti art FRANCESCO OLIVO Anni di ricerche per raccontare che il posto fisso non è più il sogno delle nuove generazioni, decenni di studi, statistiche e sondaggi e poi basta un freddo comunicato per dimostrare che la realtà è un po' più complessa: la Banca d'Italia indice un concorso pubblico per assumere 30 impiegati e quasi in 85 mila fanno domanda. Non saranno tutti millennials, per presentare la domanda non c'erano limiti d'età (a parte aver superato i 18 anni), ma è certo che la lista di aspiranti viceassistenti è piena di giovani. Il numero di candidature deve aver spiazzato non solo i sociologi, ma anche gli stessi uffici di via Nazionale, tanto che si è dovuta operare una scrematura assai drastica ancor prima della prima prova. Così, quello che era il requisito minimo è cambiato e di tanto: non più il diploma di scuola superiore, ma la laurea magistrale (niente triennale quindi). Esclusi anche quelli senza il voto massimo di maturità. Il colpo d'accetta alle candidature è stato brutale: da 84.745 a 8.140. Solo uno su dieci potrà cominciare la prova, il test a risposta multipla, cento domande a risposta multipla tra diritto, economia, matematica, statistica e inglese. Dopo questo esame resteranno solo in 300. Per entrare nella graduatoria finale bisognerà poi passare un colloquio. Il numero, insomma ha stupito tutti: Banca d'Italia aveva previsto l'iter per gestirne più di tremila, i sindacati parlavano di sessantamila. Tutte stime al ribasso. Il bando è datato 20 aprile e per inviare la richiesta di partecipazione c'è stato poco più di un mese (l'iscrizione era possibile fino al 29 maggio). Il 27 luglio usciranno le liste di quanti hanno superato l'esame per titoli. Tutta questa folla per un posto fisso nell'istituzione per eccellenza, anche se di per sé la mansione del viceassistente, per come viene descritta nel bando, potrebbe non suonare così affascinante per dei laureati con voti alti: «Classificare, archiviare e protocollare documenti, nonché conteggiare, confezionare e sistemare valori, essere di supporto all'attività delle unità anche attraverso strumenti di office automation; infine, il viceassistente può anche essere adibito allo svolgimento di attività di sportello bancario presso le unità di cassa della banca». Se la dicitura, appunto, può non risultare attraente, in tanti, tantissimi, l'hanno vista come primo gradino di una carriera operativa. Lo stipendio non è altissimo, almeno in partenza: 28.300 euro lordi annui. Ma alla cifra vanno aggiunti indennità e premi. E soprattutto la prospettiva è quella di una carriere lunga e soprattutto solida. A oggi non ci sono date certe, quello che si sa è che le prove dovrebbero iniziare alla fine dell'anno. I trenta selezionati dovrebbero prendere servizio nella primavera del 2018. II dato positivo è che le posizioni saranno probabilmente raddoppiate, da trenta a sessanta, visto che la graduatoria ha una durata di quattro anni.

SCENARIO BANCHE 55 Stampa 03-lug-2017

Banche Venete, da giovedì Intesa tratta sugli esuberi art MILANO Intesa Sanpaolo è al lavoro dopo l'operazione che l'ha portata ad acquisire parte degli asset di Popolare di Vicenza e Veneto Banca. Da tuned) scorso l'istituto milanese guidato da Carlo Messina ha creato una nuova direzione regionale e questa settimana (giovedi 6) partiranno i primi confronti con i sindacati sulle 3.900 uscite, che saranno tutte volontarie. Di queste, circa 1.100 dovrebbero arrivare dal personale delle due ex popolari, che ha un'età media più giovane, e le altre dal personale già in forza a Intesa Sanpaolo. Le uscite beneficeranno del Fondo di Solidarietà dei lavoratori bancari e sono inoltre previste misure a salvaguardia dei posti di lavoro quali il ricorso alla mobilità territoriale e iniziative di formazione per la riqualificazione del personale. Come concordato con le autorità europee, è prevista la razionalizzazione di circa 600 sportelli sui 900 acquisiti, mentre le filiali acquisite assumeranno a tutti gli effetti le insegne di Intesa Sanpaolo; ci sono poi 60 sportelli all'estero, incluse le filiali in Romania. Ma la squadra messa in pista da Messina è al lavoro anche sul fronte dell'attività bancaria vera e propria. Dopo aver acquisito con l'operazione 30,1 miliardi di euro di crediti in bonis, attività fiscali per circa 1,9 miliardi, 25,8 miliardi di debiti verso clientela, 11,8 miliardi di obbligazioni senior, 23 miliardi di raccolta indiretta, di cui 10,4 miliardi di risparmio gestito, è stato avviato il processo di integrazione delle due banche nel gruppo. Processo che si completerà con l'adozione del modello di servizio di Intesa Sanpaolo, la migrazione nel nuovo sistema operativo di gruppo (entro i primi mesi del 2018) e la razionalizzazione delle filiali. Da Milano garantiscono che la ex Popolare di Vicenza e Veneto Banca manterranno la propria vocazione a sostegno delle imprese del Nordest.

SCENARIO BANCHE 56 Stampa Tuttosoldi 03-lug-2017

Lettera. La posta di Maggi. Come tagliare le tasse sui depositi art La posta di Maggi Ho un conto corrente presso un importante istituto bancario. Ho ricevuto un avviso che mi annuncia un aumento del canone annuale del conto corrente di quasi il doppio dell'importo. L'aumento è motivato dal tipo di conto corrente (molto vecchio), ma soprattutto, inspiegabilmente, dalla giacenza di liquido che ho sul conto. La giacenza è dovuta al fatto che non nutro la minima fiducia nell'affidabilità di tutti i tipi di investimento che mi presentano. Mi viene proposto di aprire un diverso tipo di conto corrente, ma il vero problema è nella liquidità. Cosa posso fare? Cambio banca? LUIGI F. Se il lettore si riferisce al bollo statale di 3420 euro che è stato introdotto dal 2011 con il Decreto Monti (Legge N.201/2011) sui conti correnti che hanno una giacenza media superiore a 5000 euro, tutte le banche devono ovviamente trattenere l'imposta (che avviene su base trimestrale). In qualche caso, peri, la banca pub decidere, per una propria politica commerciale promozionale, di accollarsi l'imposta. Da cib il primo consiglio: per i correntisti che vogliono un conto meno costoso di quello che hanno, la sola via è cercare sul mercato, informandosi delle condizioni attualmente in vigore nei diversi istituti. Il quadro delle offerte è sempre diverso perché le banche si fanno continua concorrenza, e la cosa più importante per il cliente è partire dai servizi di cui ha bisogno per fare le sue valutazioni. Se pensa di poter fare tutte le operazioni online, troverà in questa categoria di banche soluzioni vantaggiose. Per chi non rinuncia al rapporto personale con lo sportello la scelta si riduce ovviamente alle banche facilmente raggiungibile. Quanto alla sfiducia nell'affidabilità degli investimenti proposti, e suppongo il lettore alluda a prodotti specifici della banca stessa che non capisce bene e di cui diffida, ecco il secondo suggerimento. ll mio consiglio e: faccia da s4 per esempio comprando dei titoli di Stato: sono sicuri, rendono comunque più della liquidità in giacenza, e la possono ridurre sotto 5.000 euro. Oppure investa in Etf delle varie categorie (azionari o obbligazionari), considerando la sua propensione al rischio. Usi la banca come sportello per gli acquisti ***

SCENARIO BANCHE 57 Tempo 03-lug-2017

Banca d'Italia, 85 mila per il posto art _ Un autentico assalto alla banca. Non da parte di rapinatori ma dell'esercito di disoccupati italiani con in mano un diploma. Per i 30 posti di vice assistente alla Banca d'Italiasono arrivate aviaNazionale quasi 85.000 domande. Come si legge sul sito di Bankitalia, «in relazione al concorso per l'assunzione di 30 vice assistenti (bando del 20 aprile 2017, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n.32 del 28 aprile 2017), si comunica che sono pervenute 84.745 domande di partecipazione e pertanto si effettua la preselezione per titoli prevista dall'articolo 3 del citato bando». Una conferma di come il posto fisso continui ancora far gola ai più. Se si considera il rapporto tra i posti e le domande per ogni posizione in palio si sono candidati quasi in tremila. A via Nazionale erano consapevoli che bisognasse procedere subito a una scrematura. E infatti nel bando datato 20 aprile (c'era tempo per fare domanda fino al 29 maggio) sono state precisate le mosseperridurre la platea nel caso in cui fossero arrivate più di 3mila richieste di partecipazione. Nei giorni scorsi palazzo Koch ha così comunicato gli esiti, facendo sapere «che sono pervenute 84.745 domande» e «pertanto si effettua la preselezione per titoli», in base a cui «vengono ammessi alla prova scritta 8.140 candidati, quelli in possesso di un punteggio pari a 11,40», il più alto possibile. Se il requisito obbligatorio richiesto era quello di essere in possesso del diploma alla fine chi accederà al test saranno solo quelli che possono vantare una laurea magistrale (o del vecchio ordinamento) e un diploma di maturità ottenuta con il massimo dei voti. Ora si passa alla seconda fase. E come si legge all'articolo 4 del bando di concorso, «ai candidati ammessi viene data notizia del calendario e del luogo di effettuazione del test tramite avviso sulla Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana - 4 a Serie speciale (Concorsi ed Esami) di uno dei martedl o venerdì del mese di ottobre 2017». Inoltre, con le stesse modalità e gli stessi tempi - qualora per motivi organizzativi non sia ancora possibile determinare data e luogo di svolgimento della prova scritta - viene indicata la Gazzetta Ufficiale sulla quale tale avviso viene successivamente pubblicato. «Nel caso in cui circostanze straordinarie e imprevedibili rendano necessario rinviare lo svolgimento del test dopo la pubblicazione del calendario, la notizia del rinvio viene prontamente diffusa mediante avviso sulla G.U.» FIL Cal. ***

SCENARIO BANCHE 58 SATURNONOTIZIE.IT 02-lug-2017

BancaEtruria-UBI - Primo stop alla trattativa art Con lettera del 28 giugno, UBI ha convocato a Bergamo i sindacati per il prossimo 6 luglio, per il primo incontro sull'aggiornamento del Piano industriale 2019/2020, aggiornamento che riguarderà molto da vicino BancaEtruria: chiusure filiali, esuberi, esternalizzazioni, direzioni territoriali, nuovo modello di filiale, passaggio di lavoratori alla società UBISS - Sistemi e Servizi, e così via. Purtroppo, però, l'esordio della banca si può definire un vero e proprio passo falso, per due motivi: a differenza della prassi e delle tradizionali buone relazioni industriali, la banca ha stabilito la data del primo incontro senza concordarlo coi Sindacati, quando - ad esempio - i sindacati hanno aspettato per lunghi mesi la disponibilità aziendale ad affrontare il Contratto integrativo; la banca ha rigettato, venerdì sera, la proposta dei sindacati - del giorno precedente - in merito alla composizione delle delegazioni di Gruppo ammesse agli incontri sul Piano industriale. Ora, nessun confronto di questo tipo può partire senza aver fissato prima le "regole del gioco", senza cioè trovarsi d'accordo su come devono essere rappresentati al meglio - al tavolo sindacale - i lavoratori di tutto il "nuovo" Gruppo UBI, un Gruppo che ora possiamo veramente definire nazionale, con circa ventiduemila dipendenti e duemila filiali. Dipendenti che provengono da realtà diverse e distanti, non solo per l'entrata di BancaEtruria, Marche e CariChieti, ma anche per l'assorbimento negli ultimi mesi di altre sette banche. Così, proprio per la complessità della trattativa, per la delicatezza del momento, per l'esigenza di avere al tavolo sindacale una rappresentanza uniforme dei lavoratori delle diverse realtà aziendali, nonché per coinvolgere un po' tutti i territori interessati, la FABI e tutti i sindacati avevano chiesto un allargamento delle delegazioni sindacali. Purtroppo, tale argomentata richiesta è stata rifiutata incomprensibilmente dall'azienda. Così, mentre le organizzazioni sindacali dell'intero Gruppo bancario stanno ragionando su questo stop inatteso, anche a livello territoriale ci permettiamo di stigmatizzare il comportamento dell'azienda, un'azienda che ha perso l'occasione per confermare coi fatti la sempre dichiarata attenzione ai territori e ai lavoratori. Speriamo sia stato solo un passo falso.

WEB 59 AREZZONOTIZIE.IT 01-lug-2017

Ubi, incontro sindacale il 6 luglio potrebbe saltare. Non ammesse le delegazioni art territoriali - Arezzo Notizie

Il prossimo 6 luglio Ubi a convocato a Bergamo i sindacati. Ma questo rapporto inizia subito con un’incrinatura. Lo rende noto Fabio Faltoni della Fabi con una nota spiegando che vista la delicatezza del caso, visto i temi al centro del tavolo e il fatto che i diversi territori toccati dall’accorpamento, tra cui quello aretino, tutti i sindacati avevano chiesto ad Ubi di allargare la delegazione ammessa al tavolo, ma è arrivata una risposta negativa che i sindacati faticano ad accettare e per questo nessuno della delegazione potrebbe presentarsi all’incontro il prossimo 6 luglio. Ecco la nota: Con lettera del 28 giugno, UBI ha convocato a Bergamo i sindacati per il prossimo 6 luglio, per il primo incontro sull’aggiornamento del Piano industriale 2019/2020, aggiornamento che riguarderà molto da vicino BancaEtruria: chiusure filiali, esuberi, esternalizzazioni, direzioni territoriali, nuovo modello di filiale, passaggio di lavoratori alla società UBISS – Sistemi e Servizi, e così via. Purtroppo, però, l’esordio della banca si può definire un vero e proprio passo falso, per due motivi: a differenza della prassi e delle tradizionali buone relazioni industriali, la banca ha stabilito la data del primo incontro senza concordarlo coi Sindacati, quando – ad esempio – i sindacati hanno aspettato per lunghi mesi la disponibilità aziendale ad affrontare il Contratto integrativo; la banca ha rigettato, venerdì sera, la proposta dei sindacati – del giorno precedente – in merito alla composizione delle delegazioni di Gruppo ammesse agli incontri sul Piano industriale. Ora, nessun confronto di questo tipo può partire senza aver fissato prima le “regole del gioco”, senza cioè trovarsi d’accordo su come devono essere rappresentati al meglio – al tavolo sindacale – i lavoratori di tutto il “nuovo” Gruppo UBI, un Gruppo che ora possiamo veramente definire nazionale, con circa ventiduemila dipendenti e duemila filiali. Dipendenti che provengono da realtà diverse e distanti, non solo per l’entrata di BancaEtruria, Marche e CariChieti, ma anche per l’assorbimento negli ultimi mesi di altre sette banche. Così, proprio per la complessità della trattativa, per la delicatezza del momento, per l’esigenza di avere al tavolo sindacale una rappresentanza uniforme dei lavoratori delle diverse realtà aziendali, nonché per coinvolgere un po’ tutti i territori interessati, la FABI e tutti i sindacati avevano chiesto un allargamento delle delegazioni sindacali. Purtroppo, tale argomentata richiesta è stata rifiutata incomprensibilmente dall’azienda. Così, mentre le organizzazioni sindacali dell’intero Gruppo bancario stanno ragionando su questo stop inatteso, anche a livello territoriale ci permettiamo di stigmatizzare il comportamento dell’azienda, un’azienda che ha perso l’occasione per confermare coi fatti la sempre dichiarata attenzione ai territori e ai lavoratori. Speriamo sia stato solo un passo falso.

WEB 60 ILGIORNALE.IT 01-lug-2017

Nel salvataggio delle Venete non tutti i conti tornano art Qualche numero sul salvataggio due banche venete, Popolare di Vicenza e Veneto Banca, che d'ora in poi chiameremo Venete. E due considerazioni preliminari. Prima. Le venete sono fallite, ma in questo caso non è stato applicato il cosiddetto bail in per il quale correntisti e obbligazionisti ci avrebbero dovuto rimettere le penne. Seconda. Non si possono sommare pere e mele. Se il Tesoro fornisce garanzie, ancora non ha speso un euro di soldi pubblici. Se poi ciò che garantisce, salta, solo allora l'impegno diventa un onere. Come vedremo il salvataggio è fatto da un mix di garanzie e cassa. Questi i numeri fondamentali delle Venete nel 2016 (2015): margine di interesse 770 milioni; commissioni nette per 494 milioni; perdite per 3,5 miliardi (2,3 miliardi di rosso nel 2015); sportelli 982 (166 chiusi in un anno); 11.236 dipendenti in crescita rispetto ai 10.976 dell'anno precedente. Insomma le due banche sono morte a causa dei prestiti dati a casaccio, che compromettono il conto economico con svalutazioni. Nel marzo il fondo Atlante, costituito dalla maggior parte delle banche italiane, dalle fondazioni loro azioniste e dalla Cdp (67 istituzioni ne sono i soci) aveva 3,5 miliardi, per ricapitalizzarle. In assemblea i vecchi soci, circa 120mila, non vollero, comprensibilmente, mettere altri quattrini in quel buco nero. Il boss del fondo Atlante disse: per questo genere di ristrutturazione ci vogliono anni, noi ci metteremo 18 mesi. Previsione che non si è verificata. Se c'è una sicurezza in questa vicenda è che il fondo Atlante ha somministrato un'aspirina ad un malato terminale, con il consenso del governo e delle istituzioni che anzi lo hanno spinto a farlo, e che il costo dell'inutile farmaco è stato di 3,5 miliardi. Banca Intesa, che poi si papperá le venete, ha svalutato nel bilancio del 2016 la sua partecipazione nel fondo Atlante per 220 milioni. Al 31 marzo del 2017 la trimestrale porta le svalutazioni, per la sola parte veneta, a 488 milioni. Ma siccome grazie a questa posta pagherá meno tasse, si può dire che la perdita effettiva è di circa 150 milioni. Occorre però ricordare come Banca Imi (gruppo intesa) nel 2015 si era impegnata a garantire per un miliardo l'aumento di capitale di Veneto Banca. Insomma, forzando un po' la storia, si può dire che grazie al fondo Atlante che si è sostituito agli azionisti nell'aumento di capitale, Intesa si è risparmiata il rischio di diventare azionista di Veneto banca e perdere dunque tutto. Nell'ultimo anno, ha ricordato recentemente Carlo Messina, le due banche avevano emesso titoli, per non saltare, per 10 miliardi, interamente garantiti dallo Stato. Se le due banche fossero fallite, il Tesoro si vedeva bruciati dunque fino a 10 miliardi. È stato evidentemente un argomento forte nella trattativa governo-Intesa. Se le banche non fossero state salvate, il Tesoro si beccava l'escussione di garanzie per dieci miliardi. Domenica 25 giugno arriva con un decreto del governo il salvataggio delle banche da parte di Intesa. Se dovesse cambiare una virgola nella sua conversione in Parlamento rischia di saltare tutto: nelle virgole infatti girano i miliardi. La banca guidata da Messina dice di aver comprato le due banche per un euro. In realtá viene pagata dal tesoro per 5,2 miliardi per accollarsi il pacco (4,8 per non compromettere i suoi cosiddetti ratio patrimoniali e oneri di ristrutturazione, e 400 milioni per crediti non sicuri al 100%). Padoan ha tecnicamente definito questo gruzzoletto: anticipo di cassa «che non pesa sulle finanze pubbliche». Boh. Sui giri della contabilitá pubblica alziamo le mani. Forse intendeva dire che le coperture sono giá inserite nella manovra dei 20 miliardi sulle banche di pochi mesi fa. Accettiamo suggerimenti. Intesa inoltre presta 5 miliardi alla bad bank che si ciuccia i crediti deteriorati delle venete. Si becca un interesse dell'1%, ma il suo prestito è garantito dallo Stato, insomma è come un Bot. Messina ottiene risorse e facoltà per prepensionare 3.900 dipendenti e chiudere 600 sportelli (100 in piú di quanti ne ha tutta la Popolare di Vicenza, appena inglobata) entro due anni. Dalle Venete il bacino dei prepensionabili è di mille lavoratori, dal gruppo Intesa è di 8.200. Serviranno risorse, anche pubbliche previste dal decreto di domenica 25 giugno, se, come è probabile, gli esodati dovranno vedersi riconosciuti scivoli fino a sette anni. Secondo un'altra fonte, il Fondo esuberi che dovrebbe costare 4,7 miliardi é fuori dal decreto. Vediamo meglio. I prepensionamenti sono volontari. Una cosa è certa 1.300 proverranno dalle venete. E gli altri da Intesa. Il prepensionamento non costa alle casse dello Stato. Lando Sileoni, numero uno della Fabi, dice che in questo modo negli ultimi anni sono fuoriusciti 40mila dipendenti del settore a costo zero per il contribuente. Questi lavoratori se ne stanno a casa e prendono tra il 70 e il 75% del loro stipendio. La banca riduce il suo costo del lavoro. E il dipendente non spende soldi in benzina e pasti per recarsi in filiale. Conviene a tutti. In questa vicenda Intesa ha un vantaggio non scritto. Avendo 8.200 dipendenti che potenzialmente possono accedere al

WEB 61 prepensionamento e calcolando che in media lo richiedono il 60% dei lavoratori, nei prossimi sette anni avrà 5mila fuoriuscite. A cui sommare le 1.300 derivanti dall'acquisizione delle banche venete. Insomma prende al volo l'occasione per portarsi a casa una riduzione del personale. E ritorniamo al famoso decreto, l'anticipo di cassa da 5,2 miliardi. In esso è prevista una voce che si chiama «oneri di integrazione» pari a 1,285 miliardi. Con questi quattrini pubblici, Intesa si paga l'accorpamento delle filiali, il cambio delle insegne, l'integrazione dei sistemi informatici, la mobilitá del personale e la sua formazione. Ma attenzione, c'è anche una voce che si chiama «prepensionamenti». Immaginiamo che il ministro Padoan lo sappia come si concili questa voce con la sua affermazione che non ci sono quattrini pubblici per l'esodo di lavoratori dal nuovo gruppo. Giusto per info. La bad bank avrá crediti deteriorati per 17,8 miliardi. La Banca d'Italia calcola che si potranno recuperare 9,9 miliardi (un tasso di recupero al 50%). Inoltre 1,7 miliardi arriveranno dalla vendita di partecipazioni azionarie che le Venete avevano. In totale la bad bank potrebbe dunque incassare 11,6 miliardi. In sintesi il Tesoro fornisce più di cinque miliardi a Intesa e si accolla poco meno di 18 miliardi di crediti monnezza. Inoltre il Tesoro si impegna a coprire lo sbilancio di cessione delle banche venete e altre garanzie, per un totale di 10,9 miliardi. In sintesi se tutto fila liscio incassa 11,6 e spende 10,9: un saldo positivo che secondo la relazione del Tesoro può essere di 700 milioni. Correntisti e obbligazionisti senior (sono le obbligazioni più garantite): per loro non cambia nulla, non perdono nulla. Con il bail in sarebbero stati toccati i correntisti per quota superiore a 100mila euro e i bond senior. Secondo alcune statistiche un correntista su tre ha depositi superiori ai 100mila euro, e dunque uno su tre sarebbe stato colpito dal bail in. Obbligazioni subordinate (junior): 180 milioni in mano al retail e circa un miliardo in mano a fondi istituzionali. Totale 1,2 miliardi per un complesso di 14 emissioni, saranno azzerate. Ricordate sempre: gli istituzionali sono anche quei fondi che investono le vostre pensioni. Non sono dei cattivoni speculatori, che la nostra invidia sociale può odiare con leggerezza. Azionisti: quote azzerate. Ma i 120mila privati era da tempo che lo sapevano. Per Atlante, come detto, si tratta di una botta da 3,4 miliardi.

WEB 62 ILSOLE24ORE.COM 28-giu-2017

Intesa Sanpaolo, soltanto uscite volontarie art La trattativa che si aprirà la prossima settimana nel gruppo Intesa Sanpaolo si muove in un terreno completamente nuovo, quello aperto dal decreto legge che ha consentito il salvataggio delle due banche venete, Banca popolare di Vicenza e Veneto Banca, da sabato entrate in Ca’ de Sass. Di questo sono tutti ben consapevoli, come è emerso nell’incontro di ieri tra il coordinamento sindacale di Intesa Sanpaolo e il chief operating officer Eliano Omar Lodesani, la responsabile relazioni industriali, Patrizia Ordasso e il responsabile affari istituzionali sindacali e politiche del lavoro, Alfio Filosomi. L’incontro di ieri - a cui oggi ne seguirà un altro tra i manager e il coordinamento sindacale delle banche venete - è stato la premessa dell’avvio della trattativa che avverrà già la prossima settimana ed è servito per illustrare i contenuti dell’operazione riguardante le Banche venete, il quadro legislativo e regolamentare e il possibile sviluppo del confronto che dovrà tenere conto dei vincoli posti dalla vigilanza europea di riduzione degli organici di circa 3.900 unità e chiusura di circa 600 filiali da realizzare entro il 30 giugno del 2019. Per quanto il terreno sia nuovo, i manager hanno comunque sottolineato che «al centro dei piani di sviluppo si trovano le persone che lavorano nel gruppo. La tutela dell’occupazione ha guidato anche la valutazione della percorribilità dell’operazione banche venete». La riduzione degli organici, spiegano da Ca’ de Sass, sarà «realizzata con uscite volontarie che riguarderanno prioritariamente le Banche venete» e «dovrà essere condiviso un percorso che definisca nel tempo - una volta anche confermata la cornice legislativa - strumenti e/o soluzioni per gestire l’integrazione informatica e delle strutture di governance e il posizionamento competitivo della rete commerciale». Il percorso di integrazione prevede l’uscita di circa 3.900 bancari che non potranno però provenire tutti dalle banche venete perché il bacino dei prepensionabili è di circa mille lavoratori. Le uscite avverranno quindi anche nel perimetro di Intesa Sanpaolo dove la platea di lavoratori prepensionabili è ampia: coloro che hanno i requisiti per andare in esodo, attraverso il Fondo di Solidarietà a 7 anni, sono infatti oltre 8mila. Fin qui il campo delle potenzialità, che guardando i numeri sono superiori alle reali necessità. Il ricorso all’ammortizzatore di settore comporterà però oneri ingenti, soprattutto se nella trattativa emergerà la necessità di utilizzarlo a 7 anni e proprio per questo per i finanziamenti si attingerà, in parte, al fondo finanziario previsto dal decreto. «La soluzione proposta da Intesa Sanpaolo è la migliore sul campo perché mette in sicurezza i posti di lavoro e salvaguarda quanto più possibile i risparmi di famiglie e imprese. Grazie alle forti pressioni esercitate in questi mesi dal sindacato, siamo riusciti a scongiurare i licenziamenti collettivi», commenta Roberto Aschiero, coordinatore Fabi Intesa Sanpaolo. Mauro Incletolli, segretario nazionale della First Cisl aggiunge che «premesso che il gruppo Intesa Sanpaolo non sta facendo beneficenza a nessuno, accogliamo con favore l’operazione perché consente una prospettiva a 11mila famiglie. Per ora si ha visibilità soltanto dei numeri disponibili, ma sarà la trattativa a definire quante uscite saranno necessarie e come dovranno essere realizzate». Maurizio Zoè della Fisac Cgil sottolinea che «come spesso accade in Intesa stiamo lavorano su un terreno nuovo: non siamo nè di fronte a una cessione di ramo d’azienda, nè a una fusione, nè ad una acquisizione ma ci troviamo di fronte a un decreto legge che ha consentito a due banche che rischiavano la bancarotta di essere rilevate da un grande gruppo. Le uscite devono riguardare innanzitutto le banche venete ma siccome i bacini dei prepensionabili di Popolare di Vicenza e Veneto banca non sono sufficienti bisognerà compensare le uscite in Intesa». © Riproduzione riservata

WEB 63 INVESTIREOGGI.IT 01-lug-2017

Lavoro in banca: allarme per i robot anche agli sportelli art Anche il lavoro in banca è tra quelli a rischio di essere cancellati con l’avvento dei robot. A lanciare l’allarme sono i sindacati siciliani. Una sola macchina allo sportello ha determinato il licenziamento di 333 risorse umane. A 50 anni dalla installazione del primo bancomat, anche nel settore bancario la tecnologia rischia di ritorcersi contro. La sostituzione dei robot alla forza di lavoro umana è partita dagli sportellisti e ora sta arrivando anche ai piani più alti, coinvolgendo i consulenti del lavoro. Si salvi chi può. Banca più umana? No diventerà robotizzata e sarà un danno! Abbiamo parlato spesso dell’esigenza di rendere più umane le banche, dal punto di vista della gestione del rapporto con i clienti. Eppure la tecnologia sembra andare nella direzione opposta: ai dipendenti si stanno sostituendo le macchine. Non solo bancomat e robot al posto degli sportellisti: il lavoro in banca potrebbe diventare automatizzato anche se più qualificato. Ci sono, infatti, alcuni istituti in cui operano già consulenti informatici che consigliano i clienti sugli investimenti più sicuri o redditizi. Non stupisce, partendo da questa premessa, il calo a livello occupazionale registrato in banca: solo in due anni meno 145 impiegati bancari. Carmelo Raffa, Dirigente Nazionale Fabi, ha parlato di una vera e propria “gara a chi chiude il maggior numero di sportelli: non c’è un’azienda di credito che non senta la necessità di farlo” tanto che “in molte filiali ormai sino a centomila euro è il computer che gestisce le posizioni finanziarie”. Trovare lavoro in banca (se si è umani) è ancora possibile ovviamente, soprattutto al Nord Italia (Piemonte e Lombardia le regioni con il maggior numero di posizioni aperte). Ma il progresso di automazione e l’avvento dei robot sembra inesorabile anche nel settore bancario e la cosa spaventa non poco.

WEB 64 MILANOFINANZA.IT 28-giu-2017

IL PUNTO SULLE BANCHE - MilanoFinanza.it art MILANO (MF-DJ)--Il punto sulle maggiori partite bancarie MPS E' stata raggiunta un'intesa di massima tra Mps e il Fondo Atlante 2 sulla cartolarizzazione da 26 miliardi di sofferenze lorde. L'accordo, confermano fonti, arriva alla vigilia della scadenza della due diligence che la banca a fine maggio aveva fissato per domani. Manca tuttavia ancora la chiusura del cerchio su alcuni dettagli tecnici e contabili dell'operazione. Il Fondo Atlante, attraverso lo schema che applica di consueto investirebbe acquistando le tranche junior e mezzanine, mentre sulle senior interverrebbe la Gacs. Il prezzo medio della cessione si attesterebbe intorno al 21%. Il fondo gestito da Quaestio Sgr ha una dotazione di circa 1,65 miliardi che puo' dedicare in toto all'operazione senese dopo essere stato sgravato dall'onere di intervenire nella partita sugli Npl delle banche venete. Il vice-direttore generale di Banca d'Italia, Fabio Panetta, ieri si era detto fiducioso sulla chiusura positiva dell'operazione di messa in sicurezza di Mps . Venerdi' 30 e' previsto un Cda di Mps . Ora manca solo il via libera delle autorita' europee alla ricapitalizzazione precauzionale dell'istituto senese che porterebbe lo Stato a salire al 70% del capitale della banca. Carige In attesa del Cda previsto il 3 luglio, in Banca Carige si lavora no stop al processo di valutazione e valorizzazione degli attivi dell'istituto, tra cui figurano per esempio gli Npl, i crediti in bonis, le partecipazioni e anche gli asset immobiliari. E' questo uno dei punti all'interno dell'ampio ordine del giorno del Cda che, spiega una fonte qualificata a MF-Dowjones, tocca anche diversi aspetti legati alla governance della banca. L'obiettivo e' arrivare con i compiti fatti affinche' il Board il prossimo lunedi' - dice un'altra fonte vicina all'istituto ligure - possa gia' discutere ed eventualmente affidare le necessarie deleghe all'a.d. Paolo Fiorentino per vendere (nell'analisi del perimetro della banca figurano immobili non strumentali). Dopodiche' dovrebbe partire il consueto processo di eventuale nomina degli advisor. L'obiettivo e', grazie a possibili cessioni, abbassare l'importo dell'aumento di capitale della banca ligure da definire a stretto giro in ossequio alle richieste della Bce. Il patrimonio immobiliare dell'istituto ligure e' ricco: si va dalla prestigiosa palazzina di Albaro (quartiere residenziale del Levante genovese) agli imponenti complessi sulla Riviera ligure rivenienti dai vecchi affidamenti della Cassa di Risparmio di Savona e di altre controllate del gruppo. La banca ligure vanta persino uffici di rappresentanza nel centro di Londra. La politica del gruppo e' sempre stata quella di comprare immobili piu' che affittare i muri e ora potrebbe aprirsi una fase di cessione di parte di questo ingente patrimonio. L'obiettivo di valorizzare gli asset immobiliari non e' nuovo. Lo scorso ottobre il Cda ha deliberato di approvare la costituzione, quale socio unico, di una nuova societa' denominata " Carige Reoco" destinata ad assumere il ruolo di societa' immobiliare del gruppo Banca Carige nell'ambito di un piu' ampio progetto di valorizzazione degli asset immobiliari, di proprieta' e a garanzia. Sul tema degli Npl si sta studiando la cessione dell'ingente pacchetto a un operatore primario, ma le vie possibili sono diverse. Su questo fronte prende sempre piu' corpo l'ipotesi di adozione del "modello Unicredit ", cioe' la costituzione, riportano indiscrezioni stampa, di una "societa' veicolo", un consorzio partecipato al 51% da investitori istituzionali e operatori del settore e al 49% da Carige , cui cedere 2,4 miliardi di euro di crediti deteriorati, in modo che la banca possa partecipare anche ai benefici derivanti dal loro recupero. Quel che e' certo e' che l'a.d. Paolo Fiorentino sta lavorando gomito a gomito con l'uomo dei crediti Gabriele Delmonte. L'Economia del Corriera della Sera scrive poi che una delle ipotesi a cui si sta lavorando e' una newco partecipata al 49 per cento da Carige in cui far confluire la titolarita' dei diritti sui molti immobili che la ex Cassa di risparmio di Genova ha in portafoglio. La cessione degli asset immobiliari, come detto, potrebbe portare alla riduzione delle pretese cash della Bce, che e' l'obiettivo piu' importante a cui gli attuali soci puntano. Altrimenti, il rischio di una diluizione delle quote e' concreta. Banche venete L'operazione di bsalvataggio delle due ex popolari venete da parte di Intesa Sanpaolo incassa il placet del presidente della Fondazione Cariplo Giuseppe Guzzetti il quale, a Bruxelles, ha detto che solo la banca di Ca' de Sass poteva fare un'operazione simile. Il sottosegretario all'Economia, Pierpaolo Baretta, parlando a Sky Tg24 Economia, ha invece rassicurato su futuri interventi: "Le cifre che sono state annunciate sono numeri ipotetici di garanzia, non prevedo assolutamente che avremo rilevanti interventi sopra i 5 mld, anzi, l'operazione Npl puo' consentire di recuperare una parte rilevante delle risorse". Intanto procede il cantiere dell'integrazione tra Intesa Sanpaolo , che ha acquisito attivita' e passivita' delle due ex popolari per 1 euro. Dopo l'incontro di ieri con i manager delle strutture territoriali e i sindaci di Vicenza e

WEB 65 Montebelluna ora Intesa Sanpaolo , che ha gia' siglato un contratto per acquisire a 1 euro alcune attivita' e passivita' di Popolare di Vicenza e Veneto Banca, prepara l'incontro con i sindacati. Domani a Milano e' infatti prevista una prima riunione con le organizzazioni sindacali. La convocazione, di cui ha preso visione MF- Dowjones, e' al mattino in Piazza Paolo Ferrari e coinvolge Fabi, First-Cisl, Fisac/Cgil, Sinfub, Ugl Credito, Uilca e Unisin. Due i punti all'ordine del giorno: il primo e' l'"acquisto da parte di Intesa Sanpaolo di certe attivita' e passivita' di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca" con l'illustrazione dell'operazione e i risvolti sul tema occupazionale. "L'incontro, si legge nella convocazione "proseguira' sul tema Divisione private banking: ruoli e figure professionali - percorsi di sviluppo professionale". Non e' un mistero, infatti, che Intesa Sanpaolo guardi al Veneto come un terreno fertile per spingere i servizi a piu' alto valore aggiunto come appunto il private banking e il wealth management (i servizi finanziari a 360 gradi che coprono le esigenze nell'intero arco di vita del cliente). La rete veneta, da questo punto di vista, pare particolarmente strategica per il gruppo. Queste filiali sarebbero poi utili per fare cross-selling di prodotti. Un'opportunita' interessante per l'istituto guidato dal ceo Carlo Messina e' poi rappresentata dalle zone del Centro-Sud in cui le due ex popolari sono presenti. Questo primo contatto, tuttavia, servira' a dialogare con le sigle verosimilmente sulla politica del gruppo in tema di occupazione. L'a.d. Messina ha piu' volte ribadito che l'acquisizione di certe attivita' e passivita' delle due banche venete ha permesso di salvaguardare l'occupazione delle persone che ci lavorano, i risparmi affidati da circa 2 milioni di famiglie e l'attivita' di circa 200 mila imprese finanziate e, di conseguenza, il posto di lavoro di 3 milioni di persone nelle regioni che registrano la maggiore crescita economica del Paese. cce (fine) MF-DJ NEWS

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OMNIBUS 08:00 - Temi della puntata: art - Settore bancario. Approfondimento ded...

Temi della puntata: - Settore bancario. Approfondimento dedicato al salvataggio delle banche venete avvenuto tramite "good banks" acquistate da Banca Intesa Sanpaolo e "bad banks" dallo Stato; opinioni su Intesa Sanpaolo e suo AD Carlo Messina; il fondo Atlante; Banca d'Italia vuole eliminare i piccoli istituti di credito? Il disinteresse degli investitori veneti. - Migranti ed economia. L'Unione Europea concede all'Italia maggiori margini di deficit e avalla il salvataggio delle banche: è lecito leggere questo atteggiamento come una sorta di "baratto" dinanzi all'emergenza migranti? - Economia: l'Italia è in vera ripresa? Ospiti: Andrea Cuturi (Anthilia Capital Partners SGR), Lando Sileoni (dir. FABI), Tobia Piller (Frankfurter Allgemeine Zeitung) In collegamento: Carlotta Scozzari (Business Insider), Giulio Sapelli (storico ed economista)

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