Paolo Bernardoni

SORS BONA NIHIL ALIUD : MIKLÓS ZRÍNYI (1620-1664)

Oh beata Ungheria, se non si lascia più malmenare! Paradiso, XIX, 142-143

Miklós Zrínyi 1 non era presente sul campo di battaglia di Mogersdorf, quel 1° agosto del 1664 in cui si decisero le sorti della cosiddetta quarta guerra austro-turca: infatti, “gli Ungheri... non erano nella fattione, ma lon- tani a guardar altri posti” 2. Ciò nonostante, credo che potrà farvi piacere co- noscere questo personaggio, se già non lo conoscete, e per meglio conoscer- lo ricorderemo brevemente un paio di episodi della storia ungherese. Con la battaglia di Mohács (“così si chiama il luogo situato alla parte oc- cidentale d’un’isola del Danubio, e da cui prendono il nome l’isola e quella pianura vitifera” 3), combattuta nell’agosto del 1526 tra l’esercito ungherese comandato dal proprio re (il ventenne Luigi II, che in quello scontro perse la vita, insieme a buona parte dell’ élite politica ungherese 4) e l’esercito otto- mano comandato dal sultano Solimano il magnifico , ebbe fine quel Regno ungherese medioevale che ci richiama alla mente soprattutto il nome di Mat- tia Corvino (1443-1490) e la sua favolosa biblioteca 5. Le terre del regno d’Ungheria vennero allora divise in tre parti: tutta la parte meridionale, compresa Buda, passò sotto il diretto controllo dell’Im- pero ottomano; ad est, la Transilvania diventò uno Stato vassallo dei Turchi; a nord, infine, quella che venne chiamata Ungheria reale (comprendente il

1 Ho adottata la dizione attuale sia del nome proprio (Nicola) che del cognome; quest’ulti- mo si può trovare scritto in più modi diversi: Zrin, Esdrin, Serini, etc. In ungherese il co- gnome è sempre anteposto al nome, anche se qui ho fatto il contrario. 2 Relatione del combattimento successo il primo d’Agosto 1664 tra gli Esserciti Christiano, e Turco al fiume Rab presso al villagio di Chiesfalo , Venezia 1664, pp. non numerate. 3 J. VON HAMMER , Storia dell’Impero Osmano , IX, Venezia 1830, p. 97. 4 J. B. SZABÓ -F. TÓTH , Mohács (1526) , Parigi 2009, p.128. 5 P. E. KOVÁCS , Ritratto di Mattia Hunyadi re d’Ungheria , in Nel segno del Corvo , 2002, p. 20: “Le azioni di Mattia, come... la creazione di una biblioteca con 2000-2500 vo- lumi, seconda in grandezza soltanto a quella Vaticana... l’invito a corte di artisti e scienziati restano purtroppo episodi mai più ripetuti nella storia culturale dell’Ungheria... Mattia non sosteneva arti e scienze soltanto per un’esigenza personale di cultura. Egli vide chiaramente che il mecenatismo può dare i suoi frutti, se non nell’immediato, nel corso degli anni”. 1 banato 6 di Croazia) passò, in conseguenza di precedenti accordi dinastici, sotto il diretto dominio degli Asburgo. La vittoria di Mohács diede nuovo slancio all’espansionismo ottomano verso occidente fino a quando “deliberò Suliman Re de’ Turchi l’anno 1566 di passar con l’esercito in Austria: non potendo egli patire d’haverla tante volte assalita con horribil forze; & finalmente, non senza molto suo danno, essere stato astretto a partirne” 7. Nell’agosto del 1566, dunque, l’esercito turco pose l’assedio alla fortezza di Sziget difesa, “più lungamente di quello, che humanamente potevasi credere” 8, da Miklós Zrínyi, omonimo bisnonno del nostro , che vi perse la vita nella sortita finale fatta insieme agli ultimi superstiti. Nonostante l’indiscussa vittoria, i turchi subirono pesantissime perdite 9 ed una dura battuta d’arresto alla loro avanzata, perdendo (seppur per cause naturali, nonostante la leggenda lo voglia ucciso in battaglia) an- che il loro , Solimano, già vincitore a Mohács: Soliman con l’armata giungerà in Ungheria, e contro il tuo castello, ei moverà da pria. Come lupo famelico cercherà la tua morte, ma l’altera sua forza perderà a Szigetvár 10 . Questo assedio, nel secolo successivo, divenne il soggetto della “maggior opera letteraria ungherese dell’epoca barocca” 11 , opera che assegnò al nostro Miklós un posto preminente nella letteratura di quel Paese: nel 1651, infatti, egli pubblicò in lingua ungherese il poema epico L’assedio di Sziget 12 , poi tradotto in lingua croata dal fratello Péter. Questo poema è “la prima formu- lazione del programma politico di Zrínyi, un appello mobilizzante per far cessare la corruzione del paese, per il concentramento delle forze degli un-

6 Equivalente pressappoco ad un ducato o ad un vicereame , era retto da un bano . 7 Historia di Zighet ispugnata da Suliman Re de’ Turchi l’anno 1566 , Venezia 1570, p. 3. 8 G. GUALDO PRIORATO , Vita, et azzioni del Conte Nicolò di Zrin Bano di Croatia , 1674, pagine non numerate (c. 3r). 9 “L’assedio costò la vita a circa 20.000 turchi... terminò con la famosa uscita di Zrínyi dal- la fortezza che determinò la fine degli eroici difensori” (M. ASZTALOS -S. PETHÖ , Storia dell’Ungheria , Milano 1937, p. 210); si stima che la guarnigione ungherese fosse di circa 3000 uomini. 10 Obsidionis Szigetianae (L’assedio di Sziget , in ungherese Szigeti Veszedelem ), c. II, 84, in O. MÁRFFY , Palpiti del cuore magiaro nella sua letteratura , Torino 1937, p. 20. 11 T. KLANICZAY , Letteratura e nazionalità. La letteratura ungherese nell’area danubiana , in “Rivista di Studi Ungheresi”, 1 (1986), p. 16. 12 Scritto nell’inverno 1645-1646, fu pubblicato a Vienna nel 1651, insieme ad alcuni versi pastorali e mitologici, con il titolo di Adriai Tengernek Syrenáia ( La sirena del mare Adria- tico ); l’edizione in croato, invece, fu fatta a Venezia nel 1660. 2 gheresi e per cacciar fuori i turchi” 13 , ed il suo scopo principale era “quello di dimostrare che i turchi potevano essere sconfitti” 14 . Delle speranze che Zrínyi attribuiva alla ritrovata unità della nazione un- gherese (dove “dal dì che Luigi cessò d’esser tra i vivi / si contendon parec- chi la sua corona santa”) si ha indicazione precisa nelle parole che egli mette in bocca al turco : Invero - non lo nego - se non ci fosser gare tra lor, di certo averne dovremmo gran timore. Le poche schiere magiare potrebbero intaccare e offuscar della nostra corona lo splendore 15 . Ma, come dice Zrínyi stesso nel prologo al suo poema, “il mio mestiere non è la poesia, ma un altro più grande ed utile al servizio del nostro Pae- se” 16 : è quindi tempo che ci occupiamo di lui in relazione alla sua biografia e, soprattutto, agli avvenimenti che lo videro protagonista nel 1663-1664.

Appartenente ad una delle più ragguardevoli famiglie aristocratiche del regno d’Ungheria, famiglia che derivò il proprio nome dalla località croata di Zrin ottenuta in feudo nel XIV secolo 17 e le cui proprietà si estendevano dalle coste dell’Adriatico fino alle rive dei fiumi Drava e Mur, Miklós nac- que il 1° maggio del 1620 18 . “Nella sua gioventù fu applicato a gli studi, & esercitij cavallereschi, e militari, fece diversi viaggi per il mondo, per conoscer le qualità de paesi, e delle nationi straniere... fece gran profitto nelle lettere, e nello studio politi- co” 19 . Rimasto presto orfano di padre e posto sotto la tutela del primate d’Ungheria, Miklós fu educato in un collegio retto da padri gesuiti e, termi- nati gli studi, nel 1636 intraprese un viaggio in Italia: il cosiddetto Kavalier-

13 T. KLANICZAY , Un machiavellista ungherese: Miklós Zrínyi , in Italia ed Ungheria. Dieci secoli di rapporti letterari , Budapest 1967, p. 189. 14 Ivi , p. 191. 15 F. SIROLA , L’assedio di Sziget poema del conte Nicolò Zrínyi , Fiume 1907, p. 14. 16 M. ZRÍNYI , The Siege of Sziget , Washington D. C. 2011, p. 3: “my profession and voca- tion is not poetry, but rather is greater and more useful in the service of our nation”. Cito qui i titoli di alcuni dei suoi scritti politici e militari, non tradotti in italiano: Il prode ufficiale , Discorsi sulla vita di Re Mattia , La medicina contro l’oppio turco , cfr. P. RUZI- CSKA , Storia della letteratura ungherese , Milano 1963, pp. 409-410. 17 F. BANFI , L’origine della famiglia Zriny , in “Archivio Storico per la Dalmazia” (1934), fasc. 96, p. 618. Banfi traccia la storia della famiglia sin dalle più lontane origini e, pur ri- gettando l’ipotesi che questa discenda dalla gens Sulpicia , non ne esclude una possibile ori- gine latina ( Ivi , p. 608). 18 G. PÁIFFY , Das kroatisch-ungarische Geschlecht Zrinski/Zrínyi , in Militia et Litterae. Die Beiden Nikolaus Zrínyi und Europa , Tubinga 2009, p. 30. 19 PRIORATO , Vita cit., c. 3v. 3 stour , cioè il viaggio d’istruzione dei membri della nobiltà tedesca ed au- striaca 20 , il cui ingente costo era visto come una specie di investimento indi- spensabile a facilitare l’accesso e la carriera a Corte. Nel corso di questo viaggio egli visitò anche Venezia, città della quale gli Zrínyi erano amici “ossequentissimi e fedelissimi”, forse anche perché erano allora fiorenti i lo- ro commerci con la Repubblica 21 e perché tra i loro avi potevano contarne uno ascritto alla nobiltà veneta nel 1314. Ancora nel 1667 l’ Avogaria di Comun confermava la prerogativa del patriziato alla famiglia, pratica avvia- ta poco prima della prematura morte dallo stesso Miklós che, “in conse- guenza di molti dispiaceri e delusioni sofferti presso la Corte imperiale”, pensava di trasferirsi a Venezia22 . Il viaggio, nel quale Miklós era accompagnato da un canonico della cat- tedrale di Strigonia 23 , proseguì per Roma: qui fu ricevuto da papa Urbano VIII e qui poté visitare, oltre alla Roma antica del Colosseo e del Pantheon, anche la Roma barocca di palazzo Barberini , del palazzo di Propaganda Fi- de e dei numerosi cantieri avviati da quel pontefice sotto la direzione del Bernini 24 . Egli passò poi qualche tempo a Napoli e probabilmente a Firenze e Pisa e nel suo viaggio “ebbe modo di osservare la triste situazione politica dell’I- talia umiliata dalla dominazione straniera, che gli doveva ricordare le soffe- renze della propria patria” 25 . Dopo quasi un anno Miklós tornò in patria, “pieno di nuovi concetti e di nuovi sentimenti. Portò seco dall’Italia tutti i libri italiani che poté acquista- re e una simpatia imperitura verso il popolo italiano e la sua cultura” 26 , di modo che si può senz’altro affermare che “nessuno prima di Miklós Zrínyi, nella letteratura ungherese, aveva avuto tante relazioni con la letteratura classica ed ancora più con quella contemporanea italiana” 27 . Si stima che la sua biblioteca fosse una delle più ricche, se non la più ric- ca fra quelle della aristocrazia ungherese del XVII secolo: “vi si poteva tro- vare il meglio delle opere italiane di poesia, di filosofia politica, di storio-

20 G. P. BRIZZI , La pratica del viaggio d’istruzione in Italia nel Sei-Settecento , in “Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, II (1976), p. 204. 21 V. ZIMÁNYI , L’attività commerciale dei conti Zrínyi nel secolo XVII: i loro rapporti con Venezia , in Venezia e Ungheria nel contesto del barocco europeo, Firenze 1979, p. 409 sgg. 22 F. NANI MOCENIGO , Intorno a Nicolò e Pietro fratelli Zdriny. Notizie storiche , Venezia 1907, p. 5; BANFI , cit ., fasc. 99, p. 135. 23 Cioè di Esztergom, sede dell’arcivescovado ove risiede il primate d’Ungheria. 24 K. SZÉCHY , Gróf Zrínyi Miklós 1620-1664 , I, Budapest 1896, p. 67. 25 E. VÁRADY , La letteratura italiana e la sua influenza in Ungheria , I, Roma 1934, p. 196. 26 A. KÖRÖSI , Machiavelli e Zrínyi , in “Corvina”, IV (1922), p. 65. 27 S. I. KOVÁCS , Dante nella letteratura ungherese antica (1521-1664) , in Italia ed Unghe- ria cit., p. 163. 4 grafia, dell’arte militare che furono da lui non soltanto diligentemente lette, ma costituirono anche una fonte di ispirazione nel suo lavoro letterario” 28 ed era già famosa vivente il suo proprietario 29 . Al volgere del termine della sanguinosa Guerra dei Trent’anni (conclu- sasi nel 1648 con la pace di Vestfalia), Zrínyi si disimpegnò con onore nelle operazioni militari contro gli Svedesi in Moravia e, per ricompensa del suo stato di servizio, nel 1646 ottenne la nomina a bano di Croazia, carica già ricoperta dal padre, morto nel dicembre del 162630 . Un suo contemporaneo ci ha lasciato di lui questo ritratto: “era piuttosto colto, dava buoni consigli, era pieno di zelo verso la sua nazione, non super- stizioso riguardo alla religione, non ipocrita o persecutore. Era uno che dava valore a tutto, era nobile, generoso, conduceva una vita sana, amava quelli simili a lui e i sinceri, odiava gli ubriaconi, i bugiardi, i paurosi. Di corpora- tura era grande, d’animo e di viso bello... non c’è stato un altro [ungherese] virtuoso e famoso come lui, e... probabilmente non ci sarà nemmeno in futu- ro, pur essendo il mistero e la provvidenza di Dio infinite” 31 .

Nel 1661 egli aveva costruito a proprie spese, al confine tra i due imperi, una nuova fortificazione (che chiamò, dal proprio nome, Új-Zrínyivár, cioè Nuova Zrínyi ), cosa che aveva fatto irritare non solo gli Ottomani, ma anche la Corte di Vienna, che voleva mantenere la pace ad ogni costo 32 .

28 KLANICZAY , Un machiavellista cit., p. 185. Purtroppo non ho potuto consultare, dello stesso, la biografia Zrínyi Miklós (2 a edizione, Budapest 1964). 29 Die Bibliothek des Dichters Nicolaus Zrínyi , Vienna 1893, p. III: “Die Bibliothek Zrín- yi’s war schon zu Lebzeiten ihres Besitzers berühmt”. Di 249 opere a stampa elencate, 98 sono in italiano ( Ivi , pp. 3-34). I volumi superstiti di quella biblioteca sono 529, ai quali ag- giungere altri 202 titoli di cui si hanno informazioni attendibili e 120 di cui si hanno solo notizie lacunose ( A Bibliotheca Zriniana története és állománya. History and Stock of the Bibliotheca Zriniana , Budapest 1991, p. 83). 30 I contemporanei attribuirono la morte improvvisa di György Zrínyi, che aveva allora 27 anni, ad avvelenamento dopo un alterco con Wallenstein, “homo nota ambitione ac crudeli- tate infamis” (G. RATTKAY , Memoria regum, et banorum, regnorum Dalmatiae, Croatiae & Sclavoniae , Vienna 1652, p. 199), al cui campo nei pressi di Bratislava egli si trovava. Ipotesi che autori più moderni ritengono infondata (SZÉCHY , cit ., p. 46). NANI MOCENIGO , cit ., p. 5, lo dice morto di peste l’anno successivo. 31 M. BETHLEN , Autobiografia , in Fioretti della prosa ungherese (supplemento a “Rivista di Studi Ungheresi”), Roma 2012, p. 89. Miklós Bethlen (1642-1716) fu un eminente uomo di stato transilvano e la sua autobiografia, purtroppo non disponibile in italiano, “è un prezioso documento storico sugli ultimi decenni dell’Ungheria e della Transilvania del Seicento... nello stesso tempo una vera e propria opera letteraria” ( Ivi , p. 188). 32 H. PETRI Ć, The stronghold of New Serinwar , in Militia et Litterae cit., p. 111: “The build- ing... angered not only Ottoman border armies, but also the opposition of the Habsburg em- pire who wanted to keep peace at any cost” etc. 5 E’ probabile che questa fortificazione si riducesse in realtà a poca cosa se, in una lettera datata 10 dicembre di quell’anno, il ministro della Repub- blica Veneta residente a Vienna, oltre a dire che i turchi si stavano dirigendo contro Kanisza con l’intenzione di attaccare Nuova Zrínyi , aggiungeva il se- guente commento: “i soldati non la chiamano fortezza ma ovile, e non di- venterà mai tale, non prima che una pulce diventi un elefante” 33 . Sulla porta principale della fortificazione campeggiava lo stemma di Zrínyi 34 con il suo motto personale Sors bona nihil aliud (buona fortuna, nient’altro), che forse rispecchiava le sue riflessioni sulle battaglie del pas- sato: “solo una minima parte degli eventi militari può essere calcolata; il re- sto deve essere lasciato al caso [la sors o fortuna , appunto], non avendo l’uomo alcun controllo sugli eventi della guerra”35 ed egli stesso dichiarava “che nessun argomento lo fece tanto pensare in tutta la sua vita quanto la questione della fortuna” 36 . Ma in questa sede non mi occuperò del pensiero militare di Zrínyi e dirò solo che “è stato anche qui... un illustre studioso ungherese, a far giustizia di queste fole [cioè, della presunta grande diffe- renza di pensiero tra i due], dimostrando in maniera incontrovertibile che una analisi delle opere di Zrínyi e di quelle di Montecuccoli pone in eviden- za la sostanziale analogia e la fondamentale identità del loro pensiero milita- re” 37 e che il disaccordo tra i due “non ebbe nulla a che fare con i loro con- cetti di guerra” 38 .

33 A. VELTZÉ , Ausgewaehlte schriften des Raimund fürsten Montecuccoli , IV, Vienna e Lipsia 1900, p. 86: “Einen Schafstall nennen sie die Soldaten und keine Festung, würde auch nie diese Bedeutung erreichen, selbst wenn man aus einem Floh einen Elephanten ma- chen wollte”. Anche il Montecuccoli dice: “l’intitolaron per commun nome i soldati l’ovi- le” (E. DI HUYSSEN , Memorie del General Principe di Montecuccoli , Colonia 1704, p. 266). 34 PETRI Ć, cit ., p. 114. 35 G. PERIÉS , Army provisioning, logistics and strategy in the second half of the 17th cen- tury , in “Acta Historica Academiae Scientiarum Hungaricae”, XVI (1970): “All this means that in the wars of the past the unexpected, incalculable elements, luck , which Zrínyi so of- ten pondered, played a much greater role. According to Zrínyi, only a fractional portion of military events can be calculated; the rest must be left to chance, for man has no control whatsoever over the event of war. Even the best of commanders can do not more than to narrows down the boundaries of fortune’s empire”. 36 KÖRÖSI , cit ., p. 70. 37 LURAGHI , cit ., I, p. 96. In particolare, nello stesso, p. 90 circa la determinazione della for- za massima di un esercito; p. 91 circa la necessità di un sistema logistico di sussistenza ; cfr. T. M. BARKER , The Military Intellectual and Battle , Albany N. Y. 1975, pp. 59 e 62. Lo studioso ungherese è Géza Perjés, di cui Luraghi cita A Metodizmus és a Zrínyi-Montecuc- coli vita e Kinek volt igaza? A Zrínyi-Montecuccoli vita (1961/1962). 38 T. M. BARKER , Montecuccoli as an Opponent of the Hungarians , in “Armi Antiche” (nu- mero speciale), Torino 1972, p. 226: “the difference had nothing to do with their concepts of war”. Su questo punto, si veda soprattutto G. PERJÉS , The Zrínyi-Montecuccoli contro- 6 Nel successivo anno 1662 i transilvani, che, per aver mosso guerra alla Polonia quattro anni prima contro il volere dei turchi, si trovavano in grandi difficoltà con l’Impero ottomano di cui erano vassalli, si ridussero a chiede- re aiuto all’Imperatore, il quale ne incaricò Raimondo Montecuccoli, che al- lora aveva il grado di maresciallo generale di campo ( feldmarschallgeneral ). Contrariamente ai piani originari, però, Raimondo si trovò a dover guidare l’esercito verso la Transilvania, anziché attaccare alcuni obiettivi in territo- rio ungherese da lui identificati come opportuni ad alleggerire sì la pressione ottomana sulla Transilvania, ma portando la guerra in Ungheria. Quella marcia fu funestata soprattutto dalla mancanza di viveri, ma anche da epi- demie e dall’aperta ostilità delle popolazioni sui cui territori l’esercito do- vette passare e, in conclusione, non ebbe alcun effetto pratico, se non quello di inasprire i rapporti tra Zrínyi e Montecuccoli, allorché quest’ultimo rim- proverò aspramente gli ungheresi di non averlo assistito nella bisogna 39 . La fortificazione di Nuova Zrínyi e le ripetute scorrerie che gli ungheresi effettuavano nei territori turchi a ridosso del confine, per quanto “uditi con godimento” dal Senato veneto 40 , divennero in breve tempo uno dei motivi che, nel 1663, indussero l’Impero Ottomano a dichiarare guerra: il turco , in- fatti, “ne passò doglianze con Cesare, e ne adimandò la demolizione; quan- do non vedendone alcun’effetto... l’anno entrante [1664] fu attorniato da tut- to l’essercito ottomano, & a fronte dell’Imperiale, in un fierissimo assalto l’occuporono i Turchi, ed indi amminato lo incenerirono” 41 . La fortezza cadde in mano del nemico alla fine del giugno 1664, dopo che Montecuccoli aveva ordinato ai difensori “che quando non si potessero più difendere al rivellino dessero fuoco al legname, facessero saltare le mine e ritirassersi pel ponte. Tasso credeva potersi sostenere fino al dì seguente, ma appena s’era allontanato Montecuccoli, che i turchi diedero un tale assal- to che i difensori vennero in confusione e presero la fuga senza distruggere le fortificazioni o il ponte. Mille e cento furono trucidati o annegaronsi nella

versy , in From Hunyadi to Rákóczi. War and society in late medieval and early modern , Brooklyn 1982, p. 335 sgg. 39 Cfr. F. TOTH , Saint-Gotthard 1664. Une bataille européenne , Panazol 2007, p. 33; BAR- KER , Montecuccoli cit., p. 222; PERJÉS , The Zrínyi-Montecuccoli controversy cit., pp. 342- 344; C. CAMPORI , Raimondo Montecuccoli, la sua famiglia e i suoi tempi , Firenze 1876, pp. 360-375; DI HUYSSEN , cit ., pp. 187-226. 40 NANI MOCENIGO , cit ., p. 21. I Veneziani, infatti, auspicavano l’apertura di un nuovo fronte per alleggerire la pressione ottomana nel Mediterraneo e furono solerti di occulti aiu- ti alle aspirazioni ungheresi, ordinando anche al loro ambasciatore di “far riflessi alla Corte di Vienna per coadiuvare assistenze ai Conti Sdrin... con prudenti uffici” ( Ivi , p. 23). 41 E. SCALA , L’Ungheria Compendiata , Modena 1685, p. 72. 7 Mur. Fra i morti si contarono il tenente colonello conte Thurn e molti altri capitani” 42 . Presago del pericolo, nella primavera di quell’anno Zrínyi aveva scritto all’Imperatore un lungo promemoria, dal quale riporto queste accorate paro- le: “Questi spaventati popoli sentendo che la Monarchia Turchesca empie tutte le sue faretre per scaricarle sul loro petto, et osservando non comparire a loro soccorso alcun corpo d’essercito con le debite provisioni di pane e di ferro, e considerando quasi pendente sopra il proprio collo il taglio delle sa- ble Maomettane ondeggiano insieme fra le braccia della disperatione inca- paci di più dura sofferenza, cupidi di provedere alla propria salvezza, onde se la Maestà Vostra non porge loro qualche maschio, et opportuno rimedio, corrono le cose a manifesta rottura” 43 . La rottura, infatti, come vedremo fra poco, si consumò ben presto. La distruzione della fortificazione venne attribuita dal suo fondatore al mancato intervento difensivo da parte delle truppe imperiali: “quando Mi- klós Zrínyi, il poeta, il condottiero ungherese più colto, il creatore della let- teratura strategica ungherese, il propugnatore fanatico dell’idea d’un eserci- to nazionale ungherese, durante l’inverno del 1663-1664, in occasione d’una vittoriosa campagna militare iniziata a sua propria responsabilità, bruciò il ponte militare costruito in legno dai turchi che si estendeva sulla Drava da Eszék a Dárda, attirandosi in tal modo nella primavera del 1664 la vendetta dei turchi, la corte di Vienna, per quanto l’esercito imperiale avrebbe potuto facilmente prestare aiuto, per invidia di Montecuccoli e per indifferenza, la- sciò andar perduta la fortezza di Zrínyi, appena costruita”44 . A proposito di questa fortificazione, scriveva Raimondo Montecuccoli: “Soglionsi fortini così fatti, cui alcun fiume dalla comunicazione delle pro- prie forze divide, in somiglianti congiunture per comune regola, senza osti- narvisi alla difesa, spianarsi e abbandonarsi per non perdere mal a proposito insieme col forte la gente” 45 , il che ci dà ragione della mancata difesa di quella postazione, il cui abbandono era già stato deciso dal supremo consi- glio aulico di guerra due anni prima. “Nulla dimeno sì per compiacere al Zrínyi che n’era vago e nell’impegno si ritrovava, e vi è più per guadagnar tempo di adunare le forze cristiane... si prese la risoluzione di difenderlo sin

42 VON HAMMER , cit ., XXI, p. 229. 43 N. L. SZELESTEI , Zrínyi Miklós tanácsai a császárnak 1664 tavaszán , in “Irodalomtörté- neti Közlemények”, LXXXIV, 2 (1980), p. 188. Il promemoria è in italiano. 44 ASZTALOS -PETHÖ , cit ., p. 268. 45 R. LURAGHI , Le opere di Raimondo Montecuccoli , II, Roma 2000, p. 431; cfr. DI HU- YSSEN , cit ., p. 267. 8 all’estremo” 46 . Una scelta, quindi, quella di perdere Nuova Zrínyi , dettata dagli interessi strategici dell’Impero: sacrificare il forte in attesa che le forze cristiane potessero riunirsi (si era in attesa del contingente francese e di quello dei Principi tedeschi 47 ) e sbarrare così la strada per Vienna agli otto- mani. Questo fatto determinò la rottura tra Zrínyi e Montecuccoli. Il primo re- darguiva il secondo dicendo “che li Stati, e li confini non si difendevano con le mani alla cintola... ch’il prolongare la battaglia con l’aspettativa di mag- giori rinforzi, era un proceder all’infinito, anzi un aspettare il proprio dan- no” 48 e, lasciato il campo, “dopo la misera demolitione del suo forte, s’era portato a Vienna per dare a Cesare, come fece, un distinto ragguaglio di quanto dal punto, che si pose l’assedio a Canissa, era successo” 49 . Quanto avrebbe potuto essere ancor più eclatante la vittoria di Moger- sdorf, se la cavalleria ungherese avesse portato il proprio contributo, nessu- no può dirlo, fatto sta che essa mancò all’appuntamento tanto desiderato e che per lungo tempo Zrínyi stesso aveva sollecitato50 .

Mi sono particolarmente dilungato su questi episodi, antefatti della batta- glia del 1° agosto 51 , perché essi mettono bene in evidenza il diverso senti- mento che animava l’azione dei due personaggi di cui si parla oggi, Zrínyi e Montecuccoli, e perché la pace siglata a Vasvár 52 il giorno 10 dello stesso

46 Ibidem ; cfr. Memoires de Montecuculi, Generalissime des Troupes de l’Empereur , Parigi 1760, p. 454 e Memoires de Montecuculi avec les commentaires de T. De Crissé , III, Ams- terdam e Lipsia 1770, p. 434. 47 Rispettivamente circa 3500 fanti e 1900 cavalieri e circa 6800 fanti e 1500 cavalieri, che andarono ad aggiungersi ai circa 5000 fanti e 5900 cavalieri imperiali (K. PEBALL , Die Schlacht bei St. Gotthard-Mogersdorf 1664 , Vienna 1978, tav. II). “Si può calcolare che il Gran Visir potesse disporre di 60.000 effettivi” (LURAGHI , cit ., I, Bari 1988, p. 29). Cfr. G. WAGNER , Das Türkenjahr 1664: eine europäische Bewährung , Eisenstadt 1964, p. 153. 48 M. NITRI , Ragguaglio dell’ultime guerre di Transilvania, et Ungheria , Venezia 1666, p. 140, volume dal quale traspare una certa simpatia per Zrínyi. 49 Ivi , p. 178. 50 Á. R. VÁRKONYI , La coalition internationale contre les Turcs et la politique étrangère hongroise en 1663-1664 , in “Studia Historica Academiae Scientiarum Hungaricae”, 102 (1975), estratto, pp. 5-30; ID., The mediators: Zrínyi and Johann Philipp von Schönborn , in Militia et litterae cit., pp. 72-81. 51 Anche una Nuova, e vera relatione del sanguinoso Combattimento seguito tra gli Esser- citi, Imperiale sotto il Comando dell’Illustriss. & Eccellentiss. Sig. Generale Montecuccoli, e l’Ottomano, sotto il Comando del Primo Visir, al fiume Rab (Bologna, 1664) dice che l’esercito ottomano “era venuto per disfare lo Stato del Sig. Conte Nicolò d’Esdrino”. 52 Nota anche come pace di Eisenburg. Il sesto dei dieci articoli di questa pace, recitava che “il forte eretto vicino a Canissa con occasione delli sudetti movimenti, e torbidi non si pos- 9 mese segnò il culmine dello scontento degli ungheresi, già profondamente delusi dalla mancata prosecuzione della guerra. Essi, infatti, avrebbero volu- to approfittare della situazione favorevole per darsi all’inseguimento e an- nientare l’esercito ottomano in precipitosa ritirata, mentre, invece, la coali- zione europea che aveva sconfitto il turco sulle sponde del fiume Raab an- dava rapidamente sciogliendosi.

Il primo contatto di natura politica di Raimondo Montecuccoli con gli Ungheresi risale probabilmente alla sua presenza, nell’ entourage imperiale, alla Dieta d’Ungheria tenuta a Pressburg 53 l’anno 1655, circa la quale egli scrisse: “Alli 10 di marzo... Le prime difficoltà sono che l’Imperatore incli- na a non avere Palatino, ma che l’Arcivescovo fosse luogotenente del Re- gno: ma gli stati vi sono contrari e vogliono il Palatino, dicendo essere tali le constitutioni del Regno...” 54 . Certo egli dovette anche essere a conoscenza delle divergenze esistenti in seno alla nobiltà locale: l’elezione del conte Wesselény in Palatino, infatti, pare non incontrasse il favore di altri, fra cui Zrínyi 55 , che ambiva a quella carica. Il giudizio che, alcuni anni più tardi, forse anche sulla scorta dei rapporti intercorsi con Zrínyi, egli tratteggiò degli Ungheresi è decisamente duro: “sono gli Ungheri fieri, inquieti, volubili, incontentabili. Ritengon essi la na- tura degli Sciti e dei Tartari, onde traggono origine. Anelano a una sfrenata licenza”56 , ma non è da ascriversi ad una qualche forma di precostituito sen- timento antiungherese giacché Montecuccoli “non sembra fosse particolar-

sa redificare” (G. GUALDO PRIORATO , Historia di Leopoldo Cesare , II, Vienna 1670, pp. non numerate in fine del volume, “Scritture contenute nel Libro Secondo Parte Seconda”). 53 Così in lingua tedesca, in ungherese Pozsony. E’ l’odierna Bratislava. 54 A. GIMORRI , Raimondo Montecuccoli. I viaggi , Modena 1924, p. 112, e in nota: “Il Ná- dor degli Ungheresi, era l’intermediario tra il re e la nazione, specie di viceré [e quindi pri- mo tra i magnati ]”; cfr. A. TESTA , Le opere di Raimondo Montecuccoli , III, Roma 2000, p. 361. BARKER , Montecuccoli cit., p. 207, dice che in quell’occasione Raimondo Montecuc- coli creò le premesse per diventare egli stesso cittadino ungherese (“may also have laid the basis for becoming an Hungarian citizen himself”) e cita il diploma conferitogli sei anni dopo: “ Diploma pro parte Comitis Raymundi Montecuccoli super eiusdem in indigenam Regni Hungariae receptionem emanatum in data 8 maggio 1661, Országos Levéltár (Ar- chivi Nazionali), Concept. Exped. , Regia Cancelleria Ungherese, vol. 1661, p. 121”. 55 G. SCHREIBER , Raimondo Montecuccoli. Feldherr, Schriftsteller und Kavalier , Graz 2000, p. 119: “Die Grafen Zrínyi und Forgách, die sich für ebenso würdig hielten, fühlten sich gekränkt... ”. 56 G. GRASSI , Opere di Raimondo Montecuccoli , II, Milano 1831, p. 249. Dice il Grassi ( Ivi , p. 305): “Il tempo in cui questo libro [ L’Ungheria l’anno 1673] fu scritto, parmi con certez- za assegnare all’anno 1673”, mentre da altri lo si pone all’anno 1677; cfr. TESTA , cit ., p. 244. 10 mente portato dalla natura al rancore, all’odio e ai pregiudizi razziali” 57 e, anzi, i suoi studi umanistici e la sua lunga militanza in un esercito multietni- co come quello imperiale devono aver fatto di lui una persona incline alla tolleranza. La sua totale dedizione all’Impero, però, lo poneva inevitabil- mente in rotta di collisione con chi, invece, nutriva aspirazioni diverse: “mentre infatti Zrínyi aveva a cuore la causa ungherese come egli la inten- deva (ossia in funzione nazionale ed antiasburgica), Montecuccoli sviluppa- va la politica imperiale di cui egli era il massimo stratega ed i cui interessi egli intendeva fare” 58 . Alla formulazione di tale giudizio dovettero concorrere anche i fatti che, sul fronte magiaro, sortirono dalla pace seguita allo scontro di Mogersdorf: lo scontento degli Ungheresi 59 , che vedevano così definitivamente abbando- nata la propria patria all’occupazione turca, sfociò in quella che noi cono- sciamo come Congiura dei magnati , ovvero la ribellione antiasburgica della nobiltà ungherese. Con la pace di Vasvár i turchi, nonostante la disfatta subita, terminarono la propria campagna militare in modo tutto sommato soddisfacente: le loro posizioni in Europa centrale, infatti, compreso il protettorato sulla Transil- vania, rimasero inalterate. Essi poterono così concentrare i loro sforzi nella guerra per il controllo del Mediterraneo che da lunghissimo tempo li vedeva contrapposti ai Veneziani, ai quali nel 1669 strapparono definitivamente l’isola di Candia, cioè Creta. Tutto ciò e, come abbiamo già detto, la mancata riscossa per la liberazio- ne della loro patria, fece in modo che gli Ungheresi si sentissero traditi nelle proprie aspirazioni: Zrínyi ebbe alcuni contatti con rappresentanti francesi per una possibile alleanza antiasburgica 60 , ma le cose si trascinarono per le lunghe e non si concretizzò alcunché. Di queste trattative dovette poi sapere qualche cosa anche Montecuccoli, se in una lettera del 1666 a Gualdo Prio- rato, che stava lavorando alla sua historia su Leopoldo I, scriveva: “Li Fran- cesi aveano disegni particolari, e fini e oggetti di Stato nella corrispondenza e intelligenza col Zrin” 61 .

57 BARKER , Montecuccoli cit., p. 205: “does not appear to have been particularly inclined by nature to rancour, hatred and ethnic prejudice”. 58 LURAGHI , cit ., I, p. 96. 59 L’ambasciatore veneziano Giorgio Cornaro scriveva da Vienna l’11 gennaio 1665: “Il conte Sdrino [Péter] è arrivato in corte. Parla altamente de’ pregiudizii di questa pace; la nomina inganno de’ Turchi...” e il 25 aprile 1666: “Gli Ungheri sono inferrociti per tanti discapiti, che gl’inferisce la pace...” (F. RAČZI , Acta coniurationem Bani Petri a Zrinio et Com. Fr. Frangepani , Zagabria 1873, pp. 7 e 16). 60 Cfr. TOTH , cit ., p. 119. 61 TESTA , cit ., p. 203. 11 Nella repressione che seguì all’aperta ribellione del 1670, “la quale poco mancò non gettasse in grande scompiglio ed in una spaventosa anarchia tut- ta l’Alemagna” 62 , trovò la morte anche il fratello di lui, quel Péter che ab- biamo già incontrato: “Lettasi la sentenza, tenendo egli sempre gli occhi chiusi, gli fu significato essergli dalla bontà di Cesare fatta la gratia della mano 63 , e condotto sul palco nel cortile, gli fu troncata la testa” 64 .

Miklós, però, era già morto: il 18 novembre del 1664, infatti, “durante una caccia, venne ferito mortalmente da un cinghiale. E’ molto significativo il fatto che, per la situazione politica molto tesa, l’opinione pubblica giudi- casse la morte improvvisa di Zrínyi come l’opera di mani assassine” 65 . Si vociferò, in effetti, di un incidente architettato a bella posta, tanto che si diffuse la diceria di un fucile custodito a Vienna e recante la scritta: “fu questo cinghiale a uccidere Nicola Zrínyi” 66 . Ciò non ha mai trovato riscon- tri oggettivi e, anzi, le testimonianze lo escludono, anche se qualcuno volle vederci la mano di Montecuccoli 67 . Racconta l’ambasciatore veneziano Giovanni Sagredo, il quale “non amava la corte, aveva delle buone relazioni con Miklós Zrínyi e gli Ungheresi” ma non li praticava “se non di notte, con cautela e senza osservazione per essentarmi dall’odio” 68 : “Le conditioni del- la pace tra Imperiali, e Turchi sono quelle accennate nell’ultimo dispaccio del Sig. r Canc. r Grande, eccettuato però il punto della morte del conte di Sdrino, ch’egli presuppone concertata, e fu casuale, com’è noto alla Ser. tà V. ra , occasionata dal di lui coraggio, che non paventò né gl’huomini, né le belve, et che convenne cedere alla fierezza d’un cingiale irritato” 69 .

62 C. DENINA , Rivoluzioni della Germania , V, Firenze 1804, p. 147. 63 La sentenza prevedeva anche il taglio della mano destra (N. MOCENIGO , cit ., p. 60). 64 G. GUALDO PRIORATO , Continuatione dell’historia di Leopoldo Cesare , Vienna 1676, p. 126; era il 30 aprile 1671. Anche Gualdo Priorato, come Raimondo Montecuccoli, esprime un parere negativo: “hebbero gli Ungheri sempre in odio la Natione Alemanna, così per l’antipatia naturale, come per l’ambitione d’essere ancora quelli, che furono, e poter far ciò, che li loro Antenati fecero... Le azzioni fatte da essi Ungheri, registrate nell’Historia, cano- nizzano la giustitia della causa de gli Alemanni”, Ivi , p. 3. 65 ASZTALOS -PETHÖ , cit ., p. 268. 66 RUZICSKA , cit ., p. 395. 67 E. SAYOUS , Histoire générale des Hongrois , Budapest e Parigi 1900, p. 349: “bien des gens soupçonnèrent Montecuccoli d’avoir satisfait les rancunes de son amour-propre”. 68 B. KÖPECZI , Sagredo et Zrínyi, 1663-1664 , in Militia et Litterae cit., p. 105: “il n’aimait pas la Cour, il avait de bonnes relations avec Nicolas Zrínyi et les Hongrois”. 69 Relazione del 2 maggio 1665 di Giovanni Sagredo “ritornato dall’Amb. a di Germania”, che prosegue: “Fu un giuoco di fortuna, et un tratto di mala ventura, che un cavalliere di così rare qualità, come il conte Nicolò, che ha havuti tanti incontri di perire guerreggiando contro Turchi sia morto combattendo contro un cingiale, et che la sorte l’habbia tolto da tanti pericoli di guerra per perderlo tra li divertimenti della caccia. Gravissima è stata la 12 A questo proposito, è da notare come Gualdo Priorato scrivesse dapprima che “trovandosi egli conforme al solito alla caccia per quei boschi, avvenne, che un feroce cingiale ferito da cacciatori di precipitosa corsa urtandogli nelle gambe l’atterrasse, e poscia colli denti ferendolo in gola, lo lasciò se- mimorto” 70 per poi correggersi con lo scrivere: “morto il conte Nicolò l’anno 1664 mentre si trovava alla caccia, non già ucciso da un cingiale, come se ne sparse la fama, ma da un colpo d’archibuggio sotto l’occhio, la cui palla se gli trovò poi nella testa, senza sapersi se il colpo fosse apposta- tamente venuto da un cacciatore mandatogli dal conte Nadasti, o pure in fal- lo da un suo paggio chiamato Angelo” 71 . Un importante testimone oculare, invece, racconta che “alla fine dovette morire a causa delle tre ferite che aveva sul capo. Una sopra l’orecchio a si- nistra, dove la zanna del cinghiale aveva sfiorato l’osso del cranio con un taglio terribile sulla pelle in direzione della fronte, la seconda sotto l’orec- chio sinistro, attraversava il viso verso l’occhio. Queste due ferite non erano niente in confronto della terza, dove la zanna aveva trapassato la vertebra del collo sotto l’orecchio destro, verso la gola, strappando tutti i tendini del collo. Morì per aver perso troppo sangue. Aveva anche un graffio sulla ma- no, ma niente d’importante. Nel bosco ci fu un terribile pianto...” 72 .

Questa la storia che vi ho voluto raccontare, seppur brevemente: quella di un “eroe tragico in un periodo tragico della storia ungherese” 73 che soprat- tutto amava la sua patria ed inseguiva il sogno di liberarla dall’oppressore giattura, perché li conti Sdrini erano i Leoni di Christianità, temuti tanto da Turchi... Morto lui restano gl’Ongheri senza capo di riputatione, e si può dire senza direttione, e senza con- siglio... Disperato per la pace inopportunamente conclusa dall’Imperatore con Turchi poco avanti la sua fatale disaventura mi fece insinuare, che havrebbe servito la Republica ovun- que havesse ricercato il bisogno con sei mille scielti soldati... E’ restato il Conte Pietro suo fratello gran Soldato ancor lui per la bravura, ma non uguale nel credito, e nella condotta” (“Fontes Rerum Austriacarum”, XXVII, Vienna 1867, p. 109). 70 GUALDO PRIORATO , Historia cit., II, p. 583. 71 Ivi , III, Vienna 1674, p. 73; ID., Vita cit., c. 4r: “ucciso infelicemente, mentre si trovava alla caccia de cigniali da una archibugiata sotto un’occhio tiratagli, per quanto se n’è poi saputo, mentre era alle mani con un cigniale, o da Angelo suo paggio, o da un cacciatore... volendo colpire il cigniale”. 72 BETHLEN , cit ., p. 93. A. WEBER , Der Tod des Dichters Zrínyi , in “Ungarische Rund- schau”, III (1914), p. 187, dice che tutte le testimonianze contemporanee avvalorano quanto narra Bethlen (“Sämtliche gleichzeitige Aufzeichnungen bekräftigen die Aussagen Beth- lens, so dass ihre Glaubwürdigkeit wissenschaftlich feststeht”) e riporta una lettera del 27 novembre 1664 con la quale l’ambasciatore veneziano a Vienna comunica alla Repubblica il fatto, “svantaggiosissimo alla Christianità”. 73 J. REMÉNYI , Three Hungarian Poets , Washington D. C. 1955, p. 27: “the tragic hero of Hungary’s tragic epoch”. 13 turco per rifarne il grande regno di Mattia Corvino. Un personaggio che, “amico entusiasta di ogni cosa italiana”74 , in altre circostanze sarebbe cer- tamente andato d’accordo con il nostro Raimondo, col quale condivideva ad alto livello la cultura umanistica dell’epoca, la formazione ed il pensiero mi- litare. Un personaggio a cui, però, mancò spesso quella sors bona da lui stesso auspicata.

74 BARKER , Montecuccoli cit., p. 208: “an enthusiastic friend of everything Italian”. 14